We All Can Do It! Per un femminismo multietnico e trans-inclusivo.

June 30, 2017 | Autor: Alessandra Maglie | Categoría: Gender Studies, Feminism, Feminism and Social Justice, Women and Gender Studies
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Filosofia della Storia 2014/2015
We All Can Do It!
Per un femminismo multietnico e trans-inclusivo.
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Alessandra Antonella Rita Maglie
http://val3ntea.tumblr.com/post/37366997997/we-can-all-do-it-by-soirarthttp://val3ntea.tumblr.com/post/37366997997/we-can-all-do-it-by-soirartDestinazione: Alfabeta 2 oppure Doppiozero.
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Il femminismo torna a grande richiesta sui vostri schermi. O forse, non se n'è mai andato, si è solo trasformato, in un dinamismo continuo che cambia al cambiare delle necessità di coloro che se ne fanno promotrici. Tuttavia, alla parola "femminismo" è ancora legata una accezione negativa, che sa, tristemente, di misandria e ascelle non depilate. La connotazione radicale del femminismo della prima ora è difficile da estirpare dall'immaginario comune, ed è per questo che lo stereotipo della femminista è ancora quello di una donna trasandata, frustrata, dalla sessualità un po' confusa. Ma le marce di protesta, la liberazione sessuale, appartengono ai libri di storia. Il femminismo di oggi si è scelto un altro terreno di gioco: i social media. Infatti, l'ultima ondata del femminismo ha trovato in Internet un mezzo propulsivo e nelle giovani utenti un pubblico ricettivo ed entusiasta – basta dare un'occhiata a Tumblr o a Twitter per rendersene conto (http://femblr.tumblr.com/, http://fearlessfeminism.tumblr.com/, https://twitter.com/ineedfeminism, https://twitter.com/evrydayfeminism).
Le principali destinatarie e fruitrici di questo genere di critica sociale e culturale, però, sono ancora donne che, per il contesto sociale in cui si trovano, sono in una condizione privilegiata. Questo fumetto di Ronnie Ritchie (http://everydayfeminism.com/2015/03/what-im-not-a-feminist-means/), con l'illuminante chiarezza delle vignette, spiega che alcune mancanze del femminismo delle origini contribuiscono ancora oggi a generare una ricezione parziale del movimento da parte di alcuni gruppi sociali in particolare: il problema principale è la mancanza di una diffusa e programmatica volontà di inclusione delle minoranze etniche, che tradizionalmente nel femminismo non hanno mai avuto voce. Le istanze di liberazione, autonomia, accettazione di sé, hanno davvero il potere, attraverso il megafono dei social media, di cambiare la vita e il modo di pensare delle donne il cui stato di oppressione di genere è intimamente connesso alla discriminazione razziale. Femminismo in questo senso è quello di Malala Yousafzai, la giovanissima attivista pakistana che si è battuta, rischiando la vita, per difendere il diritto allo studio negato alle giovani donne vittime del regime dei talebani. Femminismo è quello della celebre Gulabi Gang, la "gang dei sari rosa", un'associazione tutta al femminile che opera nelle zone più povere dell'India e combatte gli abusi domestici e la cultura dello stupro. L'esperienza della misoginia o della discriminazione di genere non si può comprendere senza studiarne le intersezioni con il razzismo, la disuguaglianza sociale, la disabilità, tutte dimensioni del tutto estranee al femminismo della prima ora. Il dibattito in Italia sull'argomento è terribilmente arretrato: prova ne sia il fatto che su Wikipedia non è disponibile in lingua italiana la pagina "Intersectionality" (cioè appunto il termine con cui gli addetti ai lavori dei Gender studies indicano lo studio delle intersezioni tra le forme di oppressione di genere, di razza, di classe).
Un'altra dimensione con cui il femminismo oggi deve fare i conti è quella dell'inclusione delle donne transgender. Le esperienze di transessualità sono contributi importanti in un movimento il cui scopo è sfidare apertamente i ruoli di genere. Alcune frange femministe radicali, tuttavia, non sono esenti da transfobia, tagliando così fuori dal movimento tutte coloro che, pur identificandosi come donne, hanno l'unico "difetto" di non possedere una vagina. Ma la costruzione del genere non sempre passa attraverso forme convenzionali (ammesso che esista una identità femminile "convenzionale"): la disforia di genere è appunto quella condizione per cui il genere di un individuo, il modo in cui identifica se stesso, non corrisponde al sesso assegnato alla nascita. Sesso e genere non vanno confusi: se il femminismo s'interroga sul modo di concepire e di vivere il genere femminile, quello che si costruisce come mezzo di auto-espressione, non hanno forse lo stesso diritto a parteciparvi, con le proprie esperienze, coloro che hanno avuto la "sfortuna biologica" di nascere con un corpo, con un sesso, che non corrisponde alla propria identità di genere?
http://scrittosulmuro.tumblr.com/post/100157224930/femminismihttp://scrittosulmuro.tumblr.com/post/100157224930/femminismiI temi più battuti dal femminismo oggi sono tra i più vari: l'accettazione del proprio corpo e della propria sessualità, la soppressione della cultura dello stupro, la rappresentazione positiva delle donne nei media, e così via. Ma allora perché, davanti a un movimento così dinamico e positivo nelle sue istanze, c'è ancora chi è restio ad identificarsi come "femminista"? I ruoli di genere, quelle costruzioni sociali che ci derivano dall'educazione e dal contesto in cui viviamo, sono duri a morire, e il mito negativo della femminista lo è ancora di più. Lo scopo del femminismo come movimento oggi, è l'uguaglianza dei generi, di tutti i generi, che non sono solo il maschile e il femminile così come intesi da un canone socialmente e culturalmente determinato, ma tutte le declinazioni dell'identità con cui gli individui si esprimono liberamente, senza la pressione di obbedire a dei ruoli di genere. Il focus sul "femminile" deriva dalla necessità di mettere l'accento sulla dimensione umana, sociale, sessuale, comunemente più svantaggiata. Lo stesso sessismo che svilisce e umilia il genere femminile, d'altronde, esercita una pressione indiretta sul maschile, il quale è sminuito e vilipeso ogni volta che dimostra di avere quelle caratteristiche ritenute proprie del "sesso debole" (dire a un ragazzino che è "una femminuccia" è un'accusa delle più infamanti). Questo non accadrebbe se il maschile e il femminile, con le loro esperienze umane a tutto tondo, fossero su un piano di parità.
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In definitiva, se per educazione, per esperienze personali, o per qualsiasi altra ragione, una donna rifiuta di identificarsi nell'etichetta di "femminista", ciò è irrilevante, purché agisca in nome della giustizia sociale e difenda se stessa e le altre. Ma il silenzio e l'indifferenza sono imperdonabili, poiché sono prerogativa di chi, forte dei propri privilegi, crede che il femminismo non serva più a nessuno.

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