Viaggio verso l\'eterno presente

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Descripción

Firenze Orsanmichele

Alberto Burri fino al 3 l gennaio

I due cicli eli opere che Alberto Burri ha recentemente portato a termine, l'uno per una mostra itinerante in Germania ed in altri paesi, dopo una breve presenta­ zione in uno dei capannnoni del Seccatoio del tabacco di Città di Castello, l'altro, per la mostra aii'Orsammichele di Firenze, rappresentano un episodio del tutto anomalo nell'itinerario del­ l'artista. .. viaggio» era il titolo complessivo dato al p1;mo ciclo e, certo, più che la suggestione dello spazio del capannone indu­ striale in cui è nato quel lavoro, con le sue fughe prospettiche evidenziate dalla stessa disposi­ zione delle opere, era la natura stessa di quei lavori a detenni­ na!'ne il titolo. Il lavoro di Burri era stato, fino ad ora, sempre scandito da tappe che si ponevano come innovazio­ ne tecnica, rispetto ad una prassi precedente oltre che come as­ sunzione di nuovi materiali. Era stato cosi, dai legni alle combu­ stioni, dai sacchi alle plastiche,

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Nello pagina acconto, in alto: catafalco d i Gionlorenzo Bernini per il Duca di Beoufort, eretto nel 1669 nello chiesa dell'Arocoeli o Roma, in un'incisione di D. De Rossi. Al centro: particolare del corro allegorico che Bernini costruì per i Chigi nel carnevale 1685, in un disegno di G.P.Schor. Sempre nello pagina acconto, sotto o sinistro: disegno di Hons Colloert. Sotto o destro: disegno attribuito odAdrioen Colloert.

dai cretti ai cellotex, sempre pe­ :-ò in nome di una perseguita classicità della materia, di una spazialità misurata e controllata, pur nel suo aperto distendersi, eli una luminosità cromatica sia nei toni monocromi che ne11'accen­ sione dei colori più vivaci, fatta di impercettibili variazioni, di minimi spostamenti tonali che solo una luce sapientemente do­ sata e spasmodicamente control­ lata sapeva far affiorare dall'ope­ ra. Ora, per la p1ima volta, assistia­ mo a questo simultaneo ritorno dell'artista a tecniche e materie che sembravano ormai abbando­ nate. Ricompaiono così, nel pri­ mo ciclo, le lamiere, nella duplice versione, quella parzialmente di­ pinta che registra la contamina­ zione con l'intervento manuale dell'artista non solo per certi mi­ nimi interventi pittorici, ma an­ che in quella leggera sollevazio­ ne a sipario operata sulla stessa, e quella più asettica, inossidabi­ le, in cui è la sola impaginazione nel campo visivo ed il ritmo os­ sessivo delle viti che ne fissano i campi di lettura oltre che diffe­ renziarli tra loro e scandire i tempi di costruzione dell'imma­ gine, sospesa tra aspirazione al­ l'evanescenza e costrizione a ri­ manere all'interno di essa. Ri­ compare altresì il polivinile con

una combustione però che non ha più effetti dirompenti o di lacera­ zione viva nella materia ma di restituzione alla stessa di una preziosità altrimenti inafferrabi­ le: il filo d'acciaio allora inserito che incr espa appena la giàmossa superficie, concentra così l'at­ tenzione sul grande vuoto cen­ trale che, come una visione si spalanca di fronte a noi per poi richiudersi in un ermetico silen­ zio. Tutto ciò è indice però di un dignitoso riserbo su un appena intravisto vuoto incolmabile, an­ ziché un'amara constatazione di una negatività dell'esistere che non potrebbe che portare ad az­ zeramenti totali, o, anzichè qua­ lificarsi, sul fronte opposto, co­ me fiduciosa speranza in palinge­ netici spazi-luce come ultima consolazione per una prassi or­ mai ridotta alla pura sopravvi­ venza, attraverso ciò che solo ha ancora un senso: la minima va­ riazione sul tema. Allo stesso modo, il legno pressato dei cello­ tex, tranne che nel suo autonomo darsi appena solcato da leggere incisioni tracciate con sicuro ed ampio gesto a costruire campi e poli visivi che costringano alla stessa ampiezza di sguardo, con una precisa spinta verso la com­ prensione totale dell'opera, ten­ de a farsi suppor to di una com­ plessa operazione di costruzione

visiva. Su questo, l'acrilico si im­ pone con le proprie impronte os­ sessive sino a farsi figurazione esasperata dimensionalmente, o, elemento di misurazione, in quel suo stemperare le preziosi­ tà dell'oro o, infine, nel suo tota­ lizzante distendersi, sino a rico­ struire come in negativo un ri­ dotto repertorio di immagini ri­ mosse cui il lieve affiorare fa as­ sumere il-sapore di gigantesche C'ostruzioni dove il monolitismo, come elemento primordiale, di­ venta strumento di riferimento per una attività volutamente t·i­ condotta ad un proprio grado ze­ ro. Anche il grande cretto, con­ cepito per esigenze pratiche co­ me un polittico e diviso così in tre elementi verticali, subisce una sorta di drastica revisione in quel suo porsi come operazione seriale anzichè come grande ed unico elemento. Non vi compaio­ no più sommovimenti interni o il naturalistico infittirsi di alcune parti, come in certi cretti prece­ denti: l'essicazione della cerami­ ca è invece pressochè uniforme come si trattasse di un rattrappì­ mento simultaneo e raggelato della materia, mantenuto in una sorta di sospensione come per una trasmutazione in atto non ancora compiuta e definitiva. Si intravede allora il preciso in­ tento di una lucida operazione In questo pagina: le opere che compongono il «Viaggio» di Alberto Burri. Lo mostro è oro itineronte in Europa. A sinistro: Burri al lavoro. Sotto, do sinistro o destro: polivinile combusto; panoramico dello parete con le opere esposte; legno pressato (cellotex) e acri lici neri. In bosso, do sinistro o destro: cretto (ceramico e vi novi l); acrilici e oro su legno pressato e lamiere inossidabili ribadite.

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progettuale che ha nel calcolo soppesato di ogni possibile risul­ tato, senza mai cedere all'effetto imprevisto, la propria regola fondamentale. Ed è questa volu­ ta esclusione di ogni ambigua sollecitazione emotiva, questa disincantata lucidità, a conferire all'intero ciclo di opere quel rigor mortis che lo colloca quasi in una distanziata aurea neoclassica. Proptio in questo contesto allo­ ra, il rapporto di Burri con i pro­ pri lavori precedenti, si pone in termini di riflessione, di analisi sul già dato, in un tentativo di sistemazione, sino a renderli chiari in sé e nella loro ars combi­ natoria, dei singoli elementi co­ stitutivi dell'Opera. E che pro­ prio da tali t;{lessioni possa aprirsi tutto un nuovo indirizzo di ricerca legato ormai ad un tipo specifico di lavoro anzichè ad un modello di riferimento, pare evi­ denziato dal più recente ciclo di opere per la mostra di Firenze. Più unitaria e nell'impostazione tematica e nella scelta dei mate­ riali, questa serie di lavori ha co­ me punto di riferimento l'•uni­ formità" che le dimensioni stesse delle opere, mantenute tra loro costanti, masoprattutto l'uso del cellotex come puro supporto e degli acrilici con una loro figura­ zione nuova ed insolita, tendono ad accentuare. Se il grande acri­

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In questa pagina, sopra: il modellino d i Orsonmichele con la provo dei quadri in scola. A destro: lo scultura in ferro «Grande nero» 1980 (750x90x300) ancoro coperto dalle intelaiature e cc Orti 8», 1980, cellotexeocrilico.

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lico colorato del ciclo precedente doveva leggersi come trasposi­ zione in grande di quelle piccole tempere cui più volte Burri ha affidato il senso di un progetto complessivo, in serie molto com­ patte, circoscritte cronologica­ mente oltre che dal punto di vj­ sta iconografico, questi acrilici più recenti, pur essendo sottesi sicuramente da un precedente modello iniziale, non possono che essere stati concepiti per queste dimensioni reali. E più che di di­ mensioni, si dovrebbe parlare di estensioni, per il loro dispiegarsi en plein air con una intrinseca vocazione alla massima espan­ sione possibile. Senza rischi quindi della benchè minima parvenza di gigantismo, la malizia di queste opere sta proprio nella •estl·ema finzione" cui paiono ricorrere in quel loro esibirsi, declinate nelle più di­ verse versioni, come si trattasse di materiali diversi inseriti nel­ l'opera. L'acrilico è soggetto cioè allo stesso trattamento cui sa­ rebbe sottoposta la materia cui allude e risponde con la stessa reazione, fessurandosi come per un taglio o distendendosi come preso per una delle estremità, con cadenze che solo certi fram­ menti di tela imbevuti di colore, usati precedentemente da Burri parevano permettere. E la stes­

sa nuda bellezza dei sacchi, senza però, compiacimenti materici, sembra tt·asparire dall'inconta­ minato disegno che ne rievoca attraverso il colore, drastica­ mente ridotto a opposte polarità tonati, lo smorzato splendore di una materia nobilitata attraver­ so un gesto, quello dell'artista che l'ha assunta e trasposta nel­ l'aura dell'estetico. L'assolutez­ za di certi ferri appena attutita dal civettuolo aprirsi o levarsi di alcuni «margini,. come ricetto d'ombra, di luce o di colore, sem­ bra ora riecheggiare, ridotta allo stringato contrapporsi tra bitu­ minoso annullamento della ma­ teria ed una pacata accensione della stessa. Anche il timido in­ gresso di alcune note di colore, prepotentemente schiacciate contro i bordi, nel grande vuoto del cellotex, privo di qualsiasi trattamento ed esibito come ma­ teriale cosi come viene fornito dall'industria e, allo stesso mo­ do, il vagare come in condizione di assenza di gravità. di alcuni elementi archetipi, di quelle im­ magini-simbolo cosi frequenti nei lavori di Burti, non fanno che alludere ad una loro possibile al­ tra collocazione come proiezione su uno schermo occasionale in cui la luminosità di un nero brillante fa galleggiare come nel vuoto quegli elementi, cosl come, an­

che se con toni più pacati, la spenta luce del fondo, data dalla stessa materia che fa da suppor­ to, intliga con quei corpi vagan­ ti. Ma se tutto ciò può far pensare ad un espediente per ottenere un estremo grado di libertà, ad evi­ tare ogni possibile fraintendi­ mento, Burri inserisce come ele­ mento d'ordine quella sorta di li­ nea d'orizzonte che più che un indicazione di estensione verso l'interno, si dà come cortina cala­ ta dall'alto, e negli accesi accordi cromatici, di più chiara aspira­ zione pittorica, e nei sinuosi «ri­ tagli» che oltre a farsi elemento diaframmato di limite, creano quel compiaciuto senso del diste­ so, dell'abbandonato, infine, quell'orizzontalità del luogo in senso panico che, evitando ogni possibile fraintendimento, come si trattasse di uno scivolamento nella ripresa ravvicinata di un particolare, apre invece infiniti spazi di cui una controllata scan­ sione sembra essere l'elemento portante, senza ambigui sconfi­ nanemi in incontrollate zone d'ombra interpretativa e visiva.

Francesco Moschini

Sotto, do sinistro a destra: «Orti 7» 1980, cellotex e acrilico (cm 250 x 375);
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