UN OCULISTA DEL MUNICIPIO DI ASISIUM: PUBLIO DECIMIO EROS MERULA _Marzia Carli- Lorenzo Muzzi- Luisa Pedico_

August 11, 2017 | Autor: Luisa Pedico | Categoría: Ancient Medicine, Roman Epigraphy, Roman Archaeology, Ancient and Roman Roads, Asisium (Assisi)
Share Embed


Descripción

UN OCULISTA DEL MUNICIPIO DI ASISIUM: PUBLIO DECIMO EROS MERULA (di Marzia Carli, Lorenzo Muzzi, Luisa Pedico)

1

1. Il monumento e il testo L'obiettivo di questo breve saggio è quello di esaminare e commentare l'iscrizione CIL XI, 5400 pertinente alla lapide funeraria di P. Decimius Eros Merula, liberto che esercitava la professione medica ad Assisi, mettendo in luce l'eccezionalità di questo documento che, allo stato attuale delle scoperte, non ha confronti. Non si conosce con precisione il luogo di rinvenimento dell'epigrafe: Bormann1 giudica falsa l'indicazione fornita da Iacobilli nella silloge delle iscrizioni di Assisi dove si legge: inventa Assisii in fundamentis extractis an. 1612 ecclesiae S. Antonii Patavini. Lo stesso luogo viene invece ritenuto dallo studioso esatto per un'altra iscrizione che ci fa conoscere lo stesso personaggio 2. Pur coi limiti dovuti alla mancata visione autoptica della lastra da parte di tutti gli eruditi dal XVI secolo in poi3, è possibile ricostruire le vicende storiche che l'hanno caratterizzata. Dopo essere stata vista nella casa del medicus civitatis di Assisi, fu di proprietà della famiglia Baciucci prima e dei Mauri poi. La casa dei Mauri con le loro proprietà passò agli Ansidei, eredi del conte Eustachio Confidati e venduta al comune da Giovan Battista Ansidei nel 1790 per 21,50 scudi. L'epigrafe è attualmente conservata nel Museo civico nazionale di Assisi, ma un calco è disponibile nel Museo della Civiltà Romana a Roma4. La lastra, di calcare grigio, misura cm 95 x 90 x 18,5 e presenta un listello largo cm 8 sui lati lunghi, cm 4 sui lati brevi. Lo specchio epigrafico (cm 85 x 66,5) è delimitato da una cornice appiattita a gola rovescia; sul lato destro appare maggiormente accurata e definita. Presenti numerose scheggiature ai margini; la lastra risulta inoltre spezzata nella parte inferiore. Le lettere hanno un'altezza variabile: dalla l.1 alla l.4 da cm 5,5 a 4,5; dalla l.5 alla l.13 da cm 3,5 a 3. Il ductus è regolare; da notare alcune lettere longae quali la I alle ll. 3, 5, 13; la P alla l. 6; la T alla l. 9; la S del simbolo HS alle ll. 5, 7, 9, 11, 14. I segni d'interpunzione sono triangolari e indicati con regolarità, tranne che in fine di riga. La rubricatura è moderna (5). 1

CIL XI, 5400.

2

CIL XI, 5399.

3 Il primo ad aver visto la lastra e ad annotarne il testo sembra essere Henricus Smetius ( 15371614 ), dal cui manoscritto ( Smetius ms. Neap. p. 190, ed. 74, 4 ) sembrano dipendere molti altri. 4

Asdrubali Pentiti – Spadoni – Zuddas 2007, p. 283.

5

Asdrubali Pentiti 2005, pp. 113-114.

2

L'incisione delle lettere capitali appare curata e precisa al contrario di quella dei numerali indicanti le cifre devolute per le singole attività. In particolare, alle ll. 5 e 7 i tratti laterali per indicare 'cinquantamila' e 'duemila' sono curvi, irregolari e piccoli nel primo caso, regolari e grandi nel secondo; invece quelli per scrivere 'trentamila' alle ll. 9 e 11 sono realizzati dritti. Nel complesso il testo risulta ben allineato sull'asse centrale nelle prime quattro linee; meno regolare nelle linee restanti. La differenza di resa tra le lettere e le cifre potrebbe spiegarsi con due tempi di lavorazione distinti: nella prima fase sarebbero state incise le lettere, nella seconda le cifre. L'impressione che si ha è infatti quella di una gestione dello spazio non ottimale da parte del lapicida che nella l.7 ha lasciato metà riga vuota, mentre alle ll. 9 e 11 ha dovuto raddrizzare i tratti curvi per mancanza di spazio. Anche per questo motivo si potrebbe pensare che le cifre siano state comunicate successivamente. Da un raffronto con l'iscrizione CIL XI, 5399 non è da escludere che la mano del lapicida sia la medesima6. Riportiamo di seguito il testo con la traduzione: P(ublius) Decimius P(ublii) l(ibertus) Eros / Merula medicus / clinicus chirurgus ocularius VI vir / Hic pro libertate dedit HS IƆƆƆ / hic pro seviratu in rem p(ublicam) / dedit HS CIƆ CIƆ / hic in statuas ponendas in / aedem Herculis dedit HS CCIƆƆ CCIƆƆ CCIƆƆ / hic in vias sternendas in / publicum dedit HS CCIƆƆ CCIƆƆ CCIƆƆ IƆƆ CIƆ CIƆ / hic pridie quam mortuus est / reliquit patrimoni / HS CCIƆƆ CIƆ CIƆ CIƆ CIƆ (?)

Publio Decimio, liberto di Publio, Eros Merula medico clinico, chirurgo, oculista, seviro.Qui per la libertà pagò 50 mila sesterzi, per il sevirato versò all'erario pubblico 2 mila sesterzi, per collocare statue nel tempio di Ercole offrì 30 mila sesterzi, per lastricare strade versò nella cassa pubblica 37 mila sesterzi, prima di morire lasciò un patrimonio di 14 mila (?) sesterzi.

6

Vedi infra testo paragrafo 5.

3

Figura 1: lastra epigrafica, I secolo d.C. ca., Assisi (Perugia), Museo Comunale.

Il testo non presenta particolari problemi di lettura se non nell'ultima linea conservata, ma si segnala che le lezioni della tradizione manoscritta presentano in alcuni casi delle differenze rispetto al testo riscontrabile sulla pietra: in particolare, HEROS per EROS (7). Alcune varianti sono riscontrabili anche nel libro 36 degli scritti d'antichità di Pirro Ligorio, conservati in parte a Torino e in parte a Napoli: alla l.4 è aggiunta la sigla AUG, alla l. 8 è omessa IN e si trova la forma PONENDA in luogo di PONENDAS, alla l. 11 ANC invece di CIƆ CIƆ, alla l. 12 è supposta una lacuna tra HIC e PRIDIE, alla l.13 si legge RELIQUIS · PATRIMONII invece di RELIQUIT · PATRIMONI. Il Bormann ritiene che queste differenti letture siano da imputare al fatto che il Ligorio non vide la lapide personalmente e ipotizza che dipendesse da Petronio Barbato. Una questione filologica spinosa è data, come accennato, dalla rottura della lastra nella parte inferiore, che rende problematica la lettura dell'ultima cifra, quella lasciata in eredità da Merula dopo la sua morte: il Bormann legge Q CCCIƆƆƆ CCCIƆƆƆ CCCIƆƆƆ cioè 800 mila sesterzi. Alcuni studiosi successivi (8) hanno accettato tale integrazione; tuttavia oggi, anche grazie alle numerose autopsie fatte, si propende per ridimensionare notevolmente la somma portandola a 14 mila sesterzi (9).

7

Vedi lemma a CIL XI, 5400.

8

Asdrubali Pentiti 2005 p. 114

9

Vedi nota 9.

4

Per quanto concerne la cronologia, l'osservazione dei caratteri permette di avanzare una datazione al I sec. d.C. confermata dalla resa stilistica del simbolo HS (10). Qualche indicazione cronologica potrebbe venire anche dagli usi linguistici: in particolare l'uso della costruzione sintattica in + gerundivo per esprimere la proposizione finale ( qui alle ll. 8 e 10 ) in dipendenza del verbo dare rappresenta un caso non comune. Nel latino classico sia Varrone che Cicerone alternano in ad ad, quest'ultimo solo dopo i verbi confero, converto, transfero. Tuttavia ciò è riscontrabile anche in autori posteriori come Livio (11). È logico tuttavia supporre che questa scelta rifletta non tanto un livello cronologico, quanto il registro linguistico della lingua parlata dove la rigidità grammaticale doveva essere necessariamente inferiore. 2. Onomastica e titolatura del medico Per quanto concerne l'onomastica del personaggio, la gens Decimia appare attestata ad Assisi soltanto da questa ed un'altra iscrizione, CIL XI, 5399, menzionante sempre lo stesso personaggio. Il grecanico Eros è seguito dal cognomen Merula che nella documentazione epigrafica registrata da Iiro Kajanto ha sedici occorrenze, di cui due riguardano liberti. Queste ultime sono CIL XI, 5399 e CIL XI 5400: pertanto, l'unico liberto con il cognomen Merula attestato in questo gruppo d'iscrizioni è il nostro12. Nella documentazione epigrafica il titolo medicus è di frequente accompagnato da un secondo termine indicante la specializzazione13. Il medico Merula sembrerebbe essere un professionista nel campo della medicina, ciò è desunto dalle numerose specializzazioni menzionate nell‟epigrafe CIL XI, 5400: medicus clinicus, chirurgus, ocularius. Durante il periodo imperiale il medicus14 era di frequente chiamato chirurgus15, poiché la distinzione tra medico e chirurgo non era così netta come risulta essere oggi16. La chirurgia 10 Mrozek 1987, p. 24. 11 Leumann – Hofmann – Szantyr 1972, p. 377. Traina – Bertotti 1993, p.299. 12 Kajanto 1982, p.331. 13 I primi medici romani avevano competenza generica, ma col tempo si adottò il sistema che vigeva ad Alessandria, ove ciascuno curava una sola malattia ovvero organo in particolare. Fu tuttavia notevole l‟avversione nella cultura romana riguardo talune specializzazioni: «Omnes medicinae parte ita innexae sunt, ut ex toto separati non possint»: (Cel. Med. VII, 2); si veda Penso 1985, p. 110; si consulti inoltre D‟Amato 1993, pp. 48-49. 14 La separazione tra medicina e chirurgia non era molto marcata. Spesso i medici praticavano piccoli interventi, come la riduzione di fratture leggere, specialmente in campagna: Penso 1985, p. 116. 15 Si assistette al fenomeno di frammentazione della competenza medica a causa dell‟assenza di insegnamenti e riconoscimenti ufficiali; le specializzazioni verosimilmente non si acquisivano al termine di un corso di studi che completava e approfondiva una formazione di base, ma con la pratica e l‟esperienza: Penso 1985, p. 104; si consulti anche Cordella – Criniti 2008, p. 239. 16 De Filippis Cappai 1993, p. 92.

5

inoltre costituiva anche uno specifico ramo terapeutico della medicina: etimologicamente era infatti la disciplina in virtù della quale il medico guariva utilizzando “le mani”(17). Sono attestati, in numerose epigrafi di Assisi e della Regio VI, medici che guarivano le malattie dell‟orecchio (medicus auricularius), dei denti (medicus dentium), degli occhi (medicus ocularius), ecc. (18). Difatti, era contemplato uno specialista per ogni parte del corpo, chirurghi per ogni tipo di operazione e due tipi di oculisti (19): uno per la chirurgia oculare, l‟altro per la terapia clinica (20). Le fonti parlano di medicus ocularius (21), ob oculis, ophtalmicus e anche di chirurgus ocularius (22). Ingente è il numero di epigrafi in cui sono menzionati i medici ocularii (23), verosimilmente una specializzazione alquanto ambita nel

17 Il termine deriva dal greco da χείρ (mano) ed ἔργον, (opera). Il proemio al libro VII dell‟opera di Celso contiene una breve storia della chirurgia e tratta delle qualità dell‟ottimo chirurgo; secondo Celso, la chirurgia è la terza branca della medicina, quella che cura con l‟opera della mano: Penso 1985, p. 457; si consulti anche De Filippis Cappai 1993, p. 97. 18 Si consulti l‟elenco presente in Cristofori 20042, p. 608 al quale è da aggiungere: Licini[an]us, medicus chirurgus da Trebi edito in Cordella, Criniti 2008, pp. 237-238 e p. 243, fig. 10; cfr: AE 2008, 498. Il medico pratico, medicus clinicus, era inoltre affiancato da un gruppo di specialisti, soprattutto negli interventi chirurgici, specialmente nell‟operazione della cataratta: Penso 1985, p. 108. 19 Di Stefano Manzella 1972, pp. 125-130. 20 Idem, pp. 108-109. 21 Cristofori 2011, p.159. 22Celso dedica tre capitoli del libro VI della sua opera alle affezioni che colpiscono occhi, orecchie e narici, ma ben più a lungo si sofferma sulle malattie oftalmiche, poiché gli occhi, essendo esposti da varie infezioni, devono essere tutelati con molta premura: De Filippis Cappai 1993, p. 89; si consulti anche Cristofori 2011, pp. 158-159.

23 Riguardo i medici oculari si consultino: Gades, CIL II, 1737; Ipagrum, CIL II, 5055; Durrachium, CIL III, 614; Vicetia, CIL V, 3156; Verona, CIL V, 3940; Aquileia, CIL V, 8320; Roma, CIL VI, 3987; Roma, CIL VI, 6192; Roma, CIL, 8909; Roma CIL VI, 8910; Roma, CIL VI, 9605; Roma, CIL VI, 9606; Roma, CIL VI, 9607; Roma, CIL VI 9608; Roma, CIL VI, 9609; Roma, CIL VI, 33157; Roma, CIL VI, 33880; Caesarea, CIL VIII, 21105; Formiae, CIL X, 6124; Bononia, CIL XI, 742; Asisium, CIL XI, 5400; Asisium, CIL XI, 5441; Fanum Fortunae, CIL XI, 6232; AE 1924, 106; AE 1953, 59; AE 1961, 116; AE 1972, 23; AE 1994, 840; AE 1996, 1032. Si consulti l‟elenco presente in Nutton 1972, pp. 18-21.

6

campo della medicina24. In particolare, la pluralità di ocularii ad Assisi25 potrebbe riferirsi all‟esistenza di un culto di divinità delle acque dotate di poteri terapeutici26. Il termine clinicus invece, potrebbe suggerire la facoltà del medico di effettuare un servizio a domicilio, quindi presso il letto, κλίνη, oppure verosimilmente potrebbe riferirsi alla possibilità del servizio offerto dal medico presso la propria „clinica‟; infatti, sarebbe plausibile l‟ipotesi della presenza di una taberna medica in cui Merula esercitasse la sua professione ad Assisi. I medici, infatti, avevano spesso a disposizione un ambulatorio, detto appunto taberna medica o medicina; qui, essi visitavano, praticavano interventi, ricoveravano27. Diversi ritrovamenti archeologici confermano la presenza, sia pure non capillare, di alcune tabernae medicae in Italia. Tra i rinvenimenti archeologici si annoverano: la “Casa del Chirurgo”, sita lungo la via Consolare di Pompei e che verosimilmente rappresenterebbe la domus del medico ovvero la sua taberna medica28, l‟ambulatorio di A. Pumponio Magoniano – il cui nome compare scritto sulle pareti esterne – situato anch‟esso a Pompei in via dell‟Abbondanza29 e, infine, la “Domus del Chirurgo di Rimini”, situata nell‟omonima città30. 3. Manomissione di Merula. L‟iscrizione funeraria di Eros Merula evidenzia come il personaggio si sia altresì avvalso del denaro guadagnato lavorando come medicus per riscattare la propria libertà: hic pro libertate dedit HS L(milia). Come l‟espressione pro seviratu, anche pro libertate è peculiare dell‟epigrafe in esame, tanto che la sua occorrenza è assai rara nell‟intero corpus epigrafico latino: infatti la locuzione compare, oltre che nell‟iscrizione di Merula, in altri tre casi, tutti provenienti da zone esterne

24 Ci sono giunte molte informazioni riguardo i medici ocularii e i ferri chirurgici per le operazioni agli occhi: Penso 1985, pp. 108-110. Si consultino anche D‟Amato 1993, pp. 48-49; Nutton 1972, pp.16-29; Cristofori 2011, pp. 141-177; De Filippis Cappai 1993, pp. 89-92. 25 Cfr. Asisium, CIL XI, 5412; Asisium, CIL XI, 5441.

26Ragni 1996, pp. 691-697. 27 Spesso i medici possedevano una propria taberna medica non situata in casa, ma in specifici locali che si aprivano sulla strada: Penso 1985, p. 133; De Carolis 2009, p. 47; si veda anche De Filippis Cappai 1993, p. 102. 28 De Filippis Cappai 1993, p. 102. 29Ibidem. 30De Carolis 2009, pp. 47-49.

7

all‟Italia. Tra questi, solamente uno è in un contesto paragonabile a quello in esame31: si tratta di un‟epigrafe proveniente dall‟Egitto32.

Le scarne informazioni in nostro possesso non consentono sufficienti confronti sulle cifre pagate da uno schiavo per la propria manomissione: non sono infatti note ulteriori attestazioni di epigrafi latine simili a quella in esame, mentre maggiori informazioni sono ricavabili per quanto concerne l‟ambito greco33. In ogni caso, è possibile intuire che la cifra pagata da Merula per la propria manomissione fosse abbastanza alta, date le conoscenze dello schiavo in ambito medico, che probabilmente lo rendevano di maggior valore rispetto ai comuni servi: in una simile situazione è quindi probabile che l‟ex padrone del medicus abbia preteso una somma di denaro consistente per acconsentire alla liberazione di Eros Merula34. 4. Sevirato di Merula. Rivolgiamoci ora alla parte dell‟epigrafe in cui Merula richiama il fatto di essere seviro e la somma attraverso la quale egli ha ottenuto tale carica: hic pro seviratu in rem p(ublicam) / dedit HS II(milia).

31 AE 1904, 217, da Hermopolis, in Egitto; l‟espressione è poi riscontrabile in CIL VIII, 26582, da Thugga, dove però si parla di una libertas publica, che potrebbe consistere nella concessione dello statuto coloniale (Christol 1979, p. 222); infine, compare in un‟epigrafe da Capera ritenuta falsa (Hurtado de San Antonio 1977, p. 193). 32 AE 1904, 217 cita: et accepit pr[o] liberta[t]e eius ab // Aurelio Aletis Inaroutis a vico Tisicheos / nomi Hermupolit(an)u(s!) dr(achmas) Aug(ustas) dua mil{l}ia / ducentas. Sempre dall‟Egitto, il testo di P. Turner 19, databile al 101 d.C., ci informa riguardo al costo di 1.000 dracme per la manomissione di una schiava, cf. il commento di T.C. Skeat alle ll. 5-6 del documento, a p. 97. Ulteriori confronti con papiri di età romana sono in Straus 1973, p. 146. 33 Annotazioni riguardanti le tasse di manomissione degli schiavi in Grecia sono in Calderini 1908, pp. 136-142; in particolare, parlando dell'imposta accreditata dal liberto allo Stato volta a iscrivere l'atto di manomissione su una stele comune (p. 140) l‟autore riferisce: “considerando ora l‟ammontare della tassa di 22 ½ den., che è la più comunemente diffusa, e della quale solo generalizzando si può parlare, osserviamo che essa è molto alta se la confrontiamo con le spese reali necessarie per la semplice iscrizione nella lista cittadina”; inoltre, l'autore evidenzia il fatto che tale tassa in Grecia avesse un valore fisso indipendentemente dalla somma del riscatto dello schiavo, a differenza di quanto prescriveva la legge romana secondo cui la tassa di manomissione corrispondeva a un ventesimo del totale del riscatto (p. 141, nota 2). Duncan-Jones, più recentemente, si è altresì occupato delle imposte di manomissione nel santuario di Delfi (Duncan-Jones 1984); infine, in Haslam 1976, sono alcuni riferimenti riguardanti gli atti di manomissione. Quest‟ultimo autore specifica che la liberazione di uno schiavo, in Grecia e a Roma, comprendeva una tassa regolare di dieci dracme, più il costo effettivo della libertà, ovvero il

34Del resto, il differente valore degli schiavi in base al sesso, all‟età, alla nazionalità e alle conoscenze è bene evidenziato in Duncan-Jones 1984, p. 208.

8

L‟espressione pro seviratu occorre raramente nelle iscrizioni romane, tanto che la bancadati Clauss-Slaby comprende due sole epigrafi oltre alla nostra in cui compaiono i due termini in relazione fra loro (35). È interessante notare che la prima iscrizione, proveniente da Palermo, indica che il seviro M. Ulpius Eutychus, anch‟egli liberto come Merula, oltre a una summa honoraria di non specificato importo ha donato un‟ara e una base di un monumento a Mercurio (36). Il fatto che in questo caso non sia stata resa esplicita la somma data per ottenere la carica augustale potrebbe segnalare che i sesterzi elargiti non costituissero una quantità degna di essere menzionata su pietra (pur considerando che il denaro speso per donare i due monumenti è da porsi in aggiunta a tale cifra). C‟è da dire, tuttavia, che l‟iscrizione di M. Ulpius Eutychus non è funebre, bensì attesta la dedica di un‟ara e di una base a una divinità: è quindi probabile che non si avvertisse la necessità di specificare l‟esatto valore dei donativi del seviro. La seconda e ultima iscrizione in cui compare l‟espressione pro seviratu proviene dalla Hispania Citerior, ma ne teniamo brevemente conto data la scarsità di altre fonti epigrafiche in proposito: questa parla di un sevirato ottenuto senza corrispondere alcuna summa honoraria (37). Affinché risulti con maggiore chiarezza a quanto ammontassero in media le summae honorariae per essere investiti di cariche politiche o religiose a livello locale, conviene fare alcuni confronti con le testimonianze provenienti da altre città dell‟Impero. Ad esempio, nonostante siano relative ad un periodo successivo rispetto all‟epigrafe di Merula, risultano utili le informazioni sui costi per accedere alle cariche municipali in due città dell‟Africa Proconsularis: a Thubursicu Numidarum (Numidia centrale, attuale Algeria), per divenire decurione o duoviro agli inizi del III secolo era necessario versare una somma di 4 mila sesterzi così come, probabilmente, per accedere all‟edilità; diversamente per divenire flamine, e ricoprire quindi la maggiore carica sacerdotale della città, era necessario il versamento di 6 mila sesterzi (38). Per quanto concerne la città di Thamugadi (attuale Algeria), in età severiana 35 Un' espressione analoga a pro seviratu è ob honorem seviratus, come evidenziato in Asdrubali Pentiti – Spadoni – Zuddas 2007, p. 284: tuttavia questa formula non compare in epigrafi dove è specificato l'ammontare della summa honoraria corrisposta dal seviro, ma unicamente nell'ambito di dediche a divinità.

36 CIL X, 7267: M(arcus) Ulpius Italici lib(ertus) / Eut[y]chus aram / et basim Mercuri / pr[ae]ter summam hono/rariam pro sevir[a]tu / pecunia sua posuit / d(onum) d(edit).

37 Fabre – Mayer – Rodà 1997, p. 241 = HEp 12 (2002), 60 a: [pro se]viratu gratuito D[ // Se[...]. La possibilità che un aspirante seviro sia dispensato dal pagare la normale summa honoraria per ottenere la carica è sottolineata da De Boissieu (De Boissieu 1846-1854, p. 176).

38

Duncan-Jones 1990, p. 177.

9

un duoviro pagava 2 mila sesterzi, mentre un flamine 10 mila, una somma piuttosto consistente 39. Dalle informazioni raccolte grazie a questa ricerca, si può dedurre che per ottenere il sevirato non fosse necessario disporre di un patrimonio particolarmente consistente40; infatti, come già sottolineava alla metà del XIX secolo Alphonse de Boissieu, accedere alla carica sacerdotale di seviro era il primo passo per elevare la propria posizione all‟interno della comunità cittadina partendo da una condizione infima: “tandis que les augustales sortent en général de la classe des affranchis, ou ne sont que des ingenús obscurs, des marchands, des membres des corporations que la dignité sévirale parait avoir éléves au rang des chevaliers”41. Tuttavia, come conferma l‟acceso dibattito in proposito42, la definizione del sevirato è assai complessa e non è possibile limitarsi a queste considerazioni generali per comprenderne appieno la natura: in primo luogo, è stato spesso sottolineato il fatto che grazie alla creazione della magistratura Augusto si sia assicurato la lealtà dei liberti e abbia permesso loro di trovare un seguito alle proprie aspirazioni di ascesa sociale, ma è stato altresì evidenziato come il diffondersi del sevirato potesse anche essere una “local response(s) to the new political reality”43. Inoltre, non bisogna tralasciare la significativa presenza di ingenui fra i seviri, soprattutto in alcune località, elemento che ha portato alcuni studiosi ad affermare che la carica di seviro sarebbe stata in realtà fin dall‟origine aperta a tutti i cittadini44, non sempre di infima estrazione sociale. Permangono inoltre dubbi sulla funzione dei seviri, che pare assai poco definita e tutt'altro che omogenea nelle diverse aree dell'Impero. Le perplessità maggiori al riguardo sono date dalla presenza di numerose varianti nella titolatura di tali magistrati: infatti, dall'età augustea in poi è spesso documentata la denominazione di sevir Augustalis o semplicemente di Augustalis, per cui il sevirato sembrerebbe essere principalmente una carica sacerdotale volta a officiare il culto della casa imperiale. La critica recente ha tuttavia attribuito un‟importanza maggiore alle funzioni civili dei seviri, ovvero al ruolo di benefattori e di organizzatori di eventi pubblici (45), come pare confermare la menzione altresì diffusa di seviri che non presentano una titolatura legata al culto dell‟Imperatore; bisogna tuttavia ricordare che la scelta di menzionare o meno il termine

39Ibidem, p. 182. 40 Come è affermato anche in Mouritsen 2011, p. 260. 41 De Boissieu 1846-1854, pp. 170-171. 42 Duthoy 1974; Duthoy 1976; Duthoy 1978; Abramenko 1993; Mouritsen 2006; Mouritsen 2011, in particolare pp. 249-261. 43 Mouritsen 2011, p. 250. 44 Idem, p. 252. 45Idem, p. 251 e 258. Tra i compiti principali dei seviri sono infatti attestati l'organizzazione dei ludi, il finanziamento di opere pubbliche e delle attività dei templi, la dedica di statue.

10

Augustalis sembrerebbe essere frutto del gusto locale e non di una differenziazione effettiva nella funzione dei magistrati (46). Portiamo infine l‟attenzione su quanto le attestazioni epigrafiche ci restituiscono riguardo ai seviri ad Assisi. Oltre all‟epigrafe funeraria di Eros Merula, Asisium restituisce dieci iscrizioni in cui si parla di un libertus che è anche seviro (47). Di contro, tra le epigrafi che citano un sevir, ve ne sono quattordici che non menzionano alcun libertus (48). Una di queste è troppo lacunosa per poter discernere se il personaggio menzionato fosse o meno uno schiavo affrancato (49); per quanto concerne le altre, è talora possibile ipotizzare una condizione libertina a partire dalla origine greca del cognomen di alcuni dei seviri menzionati (Himerus (50) , Chilus (51), Chrestus (52)) (53). Si può quindi intuire, dall‟analisi di questo campione di epigrafi, che la carica di seviro ad Asisium fosse effettivamente molto spesso ricoperta da 46 Per quanto concerne la titolatura dei seviri, oltre a queste varianti principali se ne riscontrano innumerevoli altre: "we find a wide variety of combinations of Augustalis with the names of deities and emperors or the numbers of officials" (Mouritsen 2011, p. 253). Per un elenco di alcune particolari denominazioni, vedi Duthoy 1976, p. 193.

47 CIL XI, 5371; CIL XI, 5393; CIL XI, 5397; CIL XI, 5398; CIL XI, 5402; CIL XI, 5403; CIL XI, 5410; CIL XI, 5411; CIL XI, 5429; AE 1998, 424. In aggiunta a tali epigrafi è CIL XI, 5399, che parla dello stesso Merula menzionato nella nostra iscrizione.

48 CIL XI, 5394; CIL XI, 5401; CIL XI, 5412; CIL XI, 5420; XI, 5421; CIL XI, 5424; CIL XI, 5425; CIL XI, 5426; CIL XI, 5427; CIL XI, 5430; AE 1989, 290; AE 2007, 500; AE 2007, 501.

49 CIL XI, 5431. Per alcune altre epigrafi fortemente lacunose può permanere il dubbio (CIL XI, 5401, CIL XI, 5430), come anche per AE 2007, 501: tuttavia, si noti come in quest'ultimo caso, se anche comparisse il termine libertus, non sarebbe rispettata la classica costruzione praenomen + nomen + genitivo del nome del padrone + libertus + cognomen + VIvir.

50

CIL XI, 5420.

51

CIL XI, 5426.

52

AE 2007, 500.

53 Potrebbe inoltre non essere casuale il fatto che, nell'epigrafe CIL XI, 5394, in seguito alla menzione di un seviro con tria nomina latini, sia citato un personaggio femminile la cui onomastica è grecanica, ovvero Serena Nymphe.

11

liberti54), condizione per la quale Eros Merula non differisce da numerosi altri personaggi di età imperiale. 5. Forme di evergetismo. Nell‟epigrafe CIL XI 5400, il medico e seviro P. Decimius Eros Merula si presenta come un vero parvenu (55): difatti, nonostante le umili origini, visse in stato di agiatezza, tanto da permettersi diverse forme di evergetismo ad Assisi. Nella tavola, oltre ad essere riportate notizie legate alla sfera privata, sono anche quelle circa le somme spese per ottenere cariche e per finanziare opere; si evince che 30 mila sesterzi furono elargiti dal medico per abbellire il tempio di Ercole con statue (56) di cui nulla si conosce: nessuna iscrizione dedicatoria, né documento epigrafico ovvero rinvenimento archeologico ci danno informazioni su questo edificio. Donazioni di questo tipo non sono neppure attestate dalla documentazione epigrafica di Asisium, si possono però evidenziare diverse forme di evergetismo riconducibili alla Regio VI (57), spesso ad opera di liberti locali; le iscrizioni in cui compaiono tali informazioni sono riferibili al I secolo e di frequente evidenziano con estrema accuratezza la somma impiegata (58) .

54

Come evidenziato da C. Campedelli (Campedelli 2014, pp. 92-93).

55

Campedelli 2014, p. 92.

56

Forni 1987, p. 39.

Pisaurum, CIL XI, 4532: M(arco) Naevio / M(arci) f(ilio) Pal(atina) Magno, / auguri, / colleg(ium) fabr(um) patron(o) / ob merita / Naevi Cerasi patris, / in quorum honor(em) / idem Cerasus / HS X(milia) n(ummum) arcae intulit / et in tutelam statuae / HS n(ummum) XX(milia), / cuius dedicatione / sportulas dedit; / l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum); Pisaurum CIL XI, 6371: V(ivus). Ter(tius) Valerius Ter(ti) l(ibertus) Felix fecit paravit sibi et《so》ror《i Ca》ssiae Ter(ti) l(ibertae) Faustae〚con〛stat ((sestertiis)) ((mille)).

57

58 Asisium, CIL XI, 5406: Petro[nia C(ai) f(ilia) Galeonis 〈:uxor〉] in fid[eicommisso solvendo?] Decian[i fratris nomine, ((sestertium)) --- dedit in opus?] amph[itheatri cum ornamentis?] quod ex [testamento ex ((sestertium)) --- fieri iussit?] perfic[iendum curavit ---]:.

12

Il medico Merula inoltre ebbe modo di distinguersi per la pavimentazione di strade59. La conferma di ciò viene da una tavola in pietra60, piuttosto lacunosa nella parte terminale, priva di cornice (Fig. 2).

Figura 2: lastra in pietra, I secolo d.C. ca., Assisi (Perugia), Museo Comunale.

L‟iscrizione fu rinvenuta, come già ricordato, quando furono poste le fondamenta della chiesa di Sant‟Antonio di Padova ad Assisi61 e ricorda la lastricatura del tratto di via compreso tra una cisterna62 e la casa di un tale L. Mutius63. Considerando la doppia attestazione, 59Campedelli 2014, pp. 91-92. 60CIL XI, 5399. 61 Verosimilmente la lastra potrebbe essere identificata come un cippo posizionato all‟inizio della strada lastricata: Forni 1987, p. 39; si consulti anche Campedelli 2014, pp. 246-247. 62Le tabernae medicae di frequente erano posizionate accanto a cisterne solitamente funzionali alla preparazione di farmaci. La cisterna menzionata nell‟epigrafe CIL XI, 5399 verosimilmente potrebbe essere la medesima scoperta ad Assisi in via Tiberio; in quest‟ultima sono stati rinvenuti un mortaio in opus doliare, balsamari in vetro e vasi in alabastro, è inoltre stato supposto che tali oggetti servissero per la preparazione di sostanze medicamentose: Ragni 1997, pp. 696-697. 63La lacunosità dell‟iscrizione non consente di sapere con certezza a cosa ci si riferisca con l‟espressione ea pecunia; è plausibile che si tratti proprio della somma di 37 mila sesterzi menzionata nella epigrafe CIL XI 5400, e stanziata per la pavimentazione di strade: Campedelli 2014, p. 247.

13

potremmo ritenere l‟atto di evergetismo di Merula alquanto importante e verosimilmente dispendioso. Pur con le dovute cautele, si possono avanzare ipotesi riguardo alla tipologia di strada lastricata. Note sono le leggi64 allora vigenti riguardo al lastricamento delle vie private per mano degli abitanti delle stesse65 è lecito pensare, anche se del tutto indimostrabile, che la strada qui menzionata fosse la stessa in cui si schiudevano le porte della domus ovvero ipotetica taberna medica del medico clinico Merula66; potremmo quindi supporre che il medico Merula esercitasse la professione in luogo fisso. Si potrebbe inoltre ipotizzare che la strada lastricata dal medico fosse pubblica e che verosimilmente con tale atto di evergetismo avesse così potuto perpetuare maggiormente la memoria di sé nella città di Assisi. Non si conosce il numero di vie pavimentate dal medico Merula, per cui risulta difficile ipotizzare l‟importo esatto speso per lastricare la singola strada ricordata nell‟epigrafe CIL XI, 5399 e quello invece disponibile per il lastricamento delle altre vie; certamente la somma spesa, 37 mila sesterzi, risulta ingente considerando le altre cifre menzionate nel documento epigrafico67 e il valore del sesterzio nel I secolo d. C.

64 La lex Iulia municipalis del 45 a.C. prescriveva che i proprietari delle case dovessero a proprie spese lastricare quella parte della via che confinava con la propria casa. Quest‟ordinamento amministrativo rimase in vigore anche durante l‟Impero, tranne due non lievi modificazioni allora apportatevi: l‟una introdotta da Claudio, che tolse ai questori, e quindi all‟erario, l‟obbligo di provvedere alle spese per il lastricamento; l‟altra, molto posteriore alla prima, verosimilmente riconducibile al tempo degli Antonini, quando si istituirono speciali rappresentanti dell‟imperatore (procuratores), incaricati di provvedere a queste spese: De Ruggiero 1925, p. 245.

65 Con l‟introduzione e diffusione della lex Iulia, accadde che spesso a causa delle condizioni di vita poco agiate, i privati non adempissero a tale obbligo, e così in questi casi l‟edile dava in appalto il lavoro, appalto ceduto dalla licitazione e concluso dal capo dell‟erario, il questore urbano, e la somma relativa era addebitata ai proprietari che dovevano pagarla all‟appaltatore, procedendo in via giudiziaria in caso di inadempimento: De Ruggiero 1925, p. 243.

66Penso 1985, p. 133.

67 50 mila sesterzi per la manomissione, 2 mila sesterzi per la carica di seviro augustale, 30 mila sesterzi per adornare di statue il tempio di Ercole: Forni 1987, p. 39.

14

Non è nuova né insolita, però, l‟indicazione della spesa68; difatti, i Romani solevano trasmettere tali spese ai posteri con la maggiore esattezza possibile69 e, ovviamente, a seconda della tipologia dell‟atto di evergetismo variava anche l‟ammontare in sesterzi70. Non siamo a conoscenza delle motivazioni di questa inaudita generosità e non ci è dato sapere se essa rispondesse ad esigenze oggettive ovvero soggettive; certo è che, oltre al proposito di giovare alla collettività, rilevante è la ricerca della gloria personale71. Certamente l‟epigrafe CIL XI, 5399 può essere annoverata fra le tipiche iscrizioni che in tedesco prendono il nome di Bauinschrift72, ovvero iscrizioni commemorative della costruzione di opere pubbliche, mentre CIL XI, 5400 è l‟epigrafe in cui Merula raccolse le testimonianze relative al suo successo economico e alla sue evergesie. In conclusione, come è stato più volte evidenziato nei paragrafi precedenti, l'eccezionalità del documento sta nell'elenco delle cifre investite da Merula a cominciare dalla sua libertà fino alla somma lasciata dopo la morte. Eck73 suggerisce di confrontare il testo dell'epigrafe con quello di Plinio notando che mentre quest'ultimo ricorda i suoi servizi resi alla res publica di Como (con le relative spese ), il nostro liberto sembra voler piuttosto ostentare la sua ricchezza, probabilmente accumulata grazie alla sua professione redditizia, tale da permettergli una così grande magnificientia da vivo e un patrimonio ancora cospicuo da morto. Il rimando che lo studioso fa è allo Sichtweise di Trimalcione e al suo epitafio: questo punto di vista si inquadra nel più generale comportamento libertino, messo in luce dalle fonti74, di sfoggiare la propria opulenza agli occhi della comunità presente e futura, quasi una forma di riscatto sociale. Non è possibile stabilire con certezza se la lastra fosse collocata o meno in prossimità della tomba, ma non è da escludere che proprio questo testo fosse l'epitafio del Trimalcione d'Assisi. 68Cf. Concordia, CIL V, 1894: A(ulus) Ritius A(uli) l(ibertus) Tertius Augustalis / testamento viam sterni iussit / in quo opus erogata sunt HS XXX(milia). Ameria, CIL V, 4097: T(itus) Praesent/ius Q(uinti) f(ilius) P(ublius) He/lvecius P(ubli) f(ilius) / aed(iles) ob ho/norem in / viam HS XX(milia). Tarquinii, CIL XI, 3384: C(aius) Vetilius Q(uinti) f(ilius), / IIIIvir i(ure) d(icundo), II quin(quennalis), / a compitu mil(ia) / ped(um) X(milia) s(ua) p(ecunia) s(travit) / et m(ilia) p(edum) III ex / HS CC(milibus) quae C(aius) / Coelius C(ai) f(ilius) Valens / [---]e ad viam ster[nendam] / [---] VOIV Taro / [---]AI[---]ens / [---]do quae [an]tea fuit; si consulti anche Labus 1842, p. 7. 69Labus 1842, pp. 7-8. 70 Atina, CIL X, 5074: C(aius) Pomponius C(ai) l(ibertus) Tigranus / viam plostralem / fecit de sua pecunia / HS n(ummum) (mille)D / sne a(d)iutore vicanis; cf. Tarquinii, CIL XI, 3384, citato alla nota precedente; cf. inoltre Campedelli 2014, p. 247. 71 Giglioni 1973, pp. 190-194. 72Campedelli 2014, 92. 73 Eck 2010, p. 306, n. 21. 74 Si vedano su tutti gli scrittori satirici del I sec d. C., cioè Marziale e Giovenale.

15

Bibliografia Abramenko 1993 = A. Abramenko, Die munizipale Mittelschicht im kaiserzeitlichen Italien. Zu einem neuen Verständnis von Sevirat und Augustalität, Frankfurt 1993.

Asdrubali Pentiti 2005 = G. Asdrubali Pentiti, Iscrizioni latine, in Raccolte Comunali di Assisi. Materiali archeologici, in M. Matteini Chiari (a cura di), Iscrizioni, sculture, pitture, elementi architettonici. Perugia 2005, pp. 113-114.

Asdrubali Pentiti – Spadoni – Zuddas 2007 = G. Asdrubali Pentiti – M.C. Spadoni – E. Zuddas, Asisium, in Supplementa Italica, Roma 2007, pp. 283-284. Bodei Giglioni 1973 = G. Bodei Giglioni, Lavori pubblici e occupazione nell’antichità classica, in L. Cracco Ruggini (a cura di), Il mondo antico. Studi di storia e di storiografia. 4, Bologna 1973, pp. 213-225.

Calabria 2000 = P. Calabria, La moneta romana da Augusto a Settimio Severo, in F. Panvini Rosati (a cura di), La moneta greca e romana, I, Roma 2000, pp. 106-125.

Calderini 1908 = A. Calderini, La manomissione e la condizione dei liberti in Grecia, Milano 1908.

Campedelli 2014 = C. Campedelli, L’amministrazione municipale delle strade romane in Italia, Bonn 2014.

Cracco Ruggini 1980 = L. Cracco Ruggini, Progresso tecnico e manodopera in età imperiale romana, in G. Miglio (a cura di), Tecnologia, economia, e società nel mondo Romano. Atti del convegno di Como, 27-28-29 Settembre 1979, Como 1980, pp. 45-66.

Cristofori 20042 = A. Cristofori Non arma virumque. Le occupazioni nell’epigrafia del Piceno, Bologna 20042.

16

Cristofori 2011 = A. Cristofori, Le occupazioni nell’epigrafia dell’Epiro e dell’Illiria meridionale di età romana, «Sulla rotta per la Sicilia: l'Epiro, Corcira e l'Occidente», a cura di G. De Sensi Sestito – M. Intrieri, Pisa 2011, pp. 141-177.

Christol 1979 = M. Christol, Gallien, Thugga et Thibursicum Bure, “Antiquités africaines” 14 (1979), pp. 217-223.

Cordella, Criniti 2008 = R. Cordella – N. Criniti, Iscrizioni inedite dall’area umbro-sabina: Amelia – Spoleto – Trevi – Narni, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», 164 (2008), pp. 231-244.

D‟Amato 1993 = C. D‟Amato, La Medicina, Roma 1993.

De Boissieu 1846-1854 = A. De Boissieu, Inscriptions Antiques de Lyon, Lyon 1846-1854.

De Carolis 2009 = S. De Carolis, Ars Medica. I ferri del mestiere. La domus ‘del Chirurgo’ di Rimini e la chirurgia nell’antica Roma, Rimini 2009.

De Filippis Cappai 1993 = C. De Filippis Cappai, Medici e medicina in Roma antica, Torino 1993.

De Ruggiero 1925 = E. De Ruggiero, Lo Stato e le opere pubbliche in Roma antica, Torino 1925.

Di Stefano Manzella 1987 = I. Di Stefano Manzella, Mestiere di epigrafista. Guida alla schedatura del materiale epigrafico lapideo, Roma 1987.

Duncan-Jones 1984 = R. Duncan-Jones, Problems of the Delphic Manumission Payments 200-1 B.C., «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», 57 (1984), pp. 203-209.

17

Duncan-Jones 1990 = R. Duncan-Jones, Structure and Scale in the Roman Economy, Cambridge 1990.

Duthoy 1974 = R. Duthoy, La fonction sociale de l'augustalité, «Epigraphica», 36 (1974), pp. 134-154.

Duthoy 1976 = R. Duthoy, Recherches sur la repartition geographique et chronologique des termes sevir Augustalis, Augustalis et sevir dans l’Empire romain, «Epigraphische Studien», 11, Köln – Bonn 1976, pp. 143-214.

Duthoy 1978 = R. Duthoy, Les *Augustales, «Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt», II, 16, 2, Berlin – New York 1978, pp. 1254-1309.

Eck 2010 = W. Eck, Monument und Inschrift: gesammelte Aufsätze zur senatorischen Repräsentation in der Kaiserzeit, Berlin – New York 2010, p. 306.

Fabre – Mayer – Rodà 1997 = G. Fabre – M. Mayer – I. Rodà, Inscriptions romaines de Catalogne, V, 1997.

Forni 1987 = G. Forni, Epigrafi lapidarie Romane di Assisi, Perugia 1987.

Haslam 1976 = M. W. Haslam, Notes on Deeds of Manumission, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», 20 (1976), pp. 58-60.

HEp = Hispania Epigraphica.

Hurtado de San Antonio 1977 = R. Hurtado de San Antonio, Corpus Provincial de Inscripciones Latinas de Cáceres, Cáceres 1977.

Kajanto 1965 = I. Kajanto, The Latin Cognomina, Helsinki 1965.

18

Lama 1980 = G. Lama, Scienza e politica in età imperiale romana (da Augusto ai Flavi), in G. Miglio (a cura di), Tecnologia, economia, e società nel mondo Romano. Atti del convegno di Como, 27-28-29 Settembre 1979, Como 1980, pp. 21-43.

Leumann – Hofmann – Szantyr 1972 = M. Leumann, J. B. Hofmann, A. Szantyr, Lateinische Grammatik, II, München 1972.

Martinori 1914 = E. Martinori, La moneta. Vocabolario generale, Roma 1914.

Mattingly 1967 = H. Mattingly, Roman Coins from the Earliest times to the fall of the Western Empire, London 1967.

Mouritsen 2006 = H. Mouritsen, Honores libertini: augustales and seviri in Italy, «Hephaistos», 24 (2006), pp. 237-248.

Mouritsen 2011 = H. Mouritsen, The Freedman in the Roman World, Cambridge 2011.

Mrozek 1987 = S. Mrozek, Les distributions d'argent et de nourriture dans les villes italiennes du haut-empire romain, Bruxelles 1987.

Nutton 1972 = V. Nutton, Roman Oculists, «Epigraphica», 44, 1972, pp. 16-29.

Penso 1984 = G. Penso, La medicina romana. L’arte di Esculapio nell’antica Roma, Saronno 1985.

Ragni 1997 = L. Ragni, La Cisterna di via Tiberio nel contesto dell’Assisi Romana, Assisi 1997.

Ramieri 1996 = A.M. Ramieri, I servizi pubblici, Roma 1996.

19

Straus 1973 = J. A. Straus, Deux notes sur l'affranchissement dans les papyrus de l'Égypte romaine, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» 11, (1973), pp. 143-146.

Traina – Bertotti 1993 = A. Traina – T. Bertotti, Sintasi normativa della lingua latina, Bologna 1993.

Turner = P.Turner, Papyri Greek and Egyptian edited by various hands in honour of Eric Gardner Turner on the occasion of his seventieth birthday, London 1981.

20

Lihat lebih banyak...

Comentarios

Copyright © 2017 DATOSPDF Inc.