Rendere efficiente l’insonnia, l’ultima frontiera del profitto

May 25, 2017 | Autor: Marco Dotti | Categoría: Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, Capitalism, Psicologia
Share Embed


Descripción

pagina 99we |

22 | IDEE

sabato 2 gennaio 2016

rendere efficiente l’insonnia l’ultima frontiera del profitto MARCO DOTTI

n Voci, volti, movimenti oculari, battiti di ciglia e persino la pressione dei polpastrelli sulla tastiera. È il bio-business dell’emotions analysis. Ed è in continua ascesa. Gli analisti di Bloomberg hanno previsto, da qui al 2020, una considerevole crescita di questo segmento del mercato del software. Nei prossimi quattro anni, il comparto di progettazione e sviluppo nel riconoscimento, tracciabilità e analisi delle emozioni dovrebbe così raggiungere un fatturato di 10 miliardi di dollari sul mercato globale, ma le stime paiono al ribasso. Emozione fa rima con attenzione, ma non è solo questione di rima. Nell’era del data mining – lo sfruttamento integrale dei dati – la forma è molto, ma la sostanza continua a essere tutto. E la sostanza è presto detta: ciò che può essere messo a valore, sarà messo a valore, ma perché ne derivi un profitto, dovrà essere trasformato in un insieme di dati coerenti ed elaborabili. Sono già molte, per esempio, le scuole canadesi che si sono dotate del classroom management software di Stoneware, una controllata della Lenovo, che consente di monitorare l’attenzione degli allievi in presa diretta. L’insegnante e il dirigente scolastico possono così rilevare all’istante, attraverso movimenti bulbo-oculari e microcontrazioni facciali, se lo studente è attento o finge di esserlo. Un diagramma storico dei livelli di attenzione dell’allievo nel corso dell’anno dirà poi molte altre cose, non solo in termini di profitto o comportamento scolastico. Dirà, per esempio, se una soglia critica è stata superata e, in tal caso, se siano necessari provvedimenti farmacologici o clinici ad hoc. Anche se ama presentarsi co-

me tale, nulla è meno neutro di un software, soprattutto in un frangente storico dove economia dei beni materiali ed economie dei benefici culturali si compenetrano, come non era mai successo prima d’ora. Prendiamo la cosiddetta information economy. Se l’economia concerne l’allocazione di risorse, in regime di scarsità «qual è la risorsa più preziosa nel contesto dell’economia dell’informazione?», si chiede Richard A. Lanham nel suo The Economics of Attention (University of Chicago Press, 2006). È forse l’informazione,

Molte scuole canadesi hanno adottato un congegno che capta la distrazione degli allievi

la risorsa più scarsa? O sarà l’attenzione, che quella informazione richiede per essere effettivamente fruita? Il punto focale di questo mercato è proprio rivolto al bene immateriale più scarso e scarsamente capitalizzabile sul pianeta: l’attenzione umana. Come comprenderla, monitorarla, suscitarla o anticiparla? Come metterla a valore dalla scuola, ai media, dalla farmacologia alla pubblicità? In un lavoro che ha segnato il passo in questo ambito, The attention economy. Understanding the new currency of business (Harvard Business School, 2001), gli specialisti di management Thomas Davenport e John Beck propongono degli attentionscape, per tracciare i flussi di attenzione. Se un tempo, scrivono Davenport e Beck, l’attenzione «era considerata un dato acquisito, ed erano beni e servizi a essere considerati portatori di valore, in futuro molti fra questi

AVVELENAMENTI

NON STOP Jonathan Crary 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno • Einaudi 2015

Un mondo in cui domina il sistema “24/7” – ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette di produzione, desiderio e consumo – è «un mondo completamente disincarnato». Jonathan Crary insegna Modern Art and Theory alla Columbia e in questo saggio riflette sulla particolare conformazione del “soggetto-uomo” in un tempo – il nostro – sempre più segnato “dall'ideale perverso di una vita senza pause, attivata in qualsiasi momento del giorno e della notte”, in una condizione di veglia globale dove il tempo coincide sempre più con la dimensione di un “non tempo” interminabile e totalizzante.

STAUB /GETTY IMAGES

beni e servizi verranno offerti gratuitamente», in cambio di qualche minuto di attenzione. L’attenzione come nuova moneta, dunque. Qui più che altrove, le ibridazioni fra economia ed estetica, neuroscienze, scienze cognitive e della persuasione, studi culturali e computer

science sono all’ordine del giorno. D’altro canto, che l’attenzione sia una risorsa scarsa è provato da un fatto tanto elementare, quando evidente. Nessuno può alterare il ciclo di 24 ore di una giornata, a meno di non voler produrre sugli altri e su di sé disturbi neurofisiolo-

CURE

RIFORMA Yves Citton Pour une écologie de l’attention • Seuil 2014

Siamo immersi in ambienti ibridi, fra natura e artificio, che catturano, si contendono, sovraccaricano la nostra attenzione. Si pone dunque un problema: come diventare soggetti attivi di processi che hanno, al contempo, risvolti etico-politici? Yves Citton chiama in causa il campo degli studi umanistici e offre una ricognizione dell’attention economy, formulando la necessità di un approccio ecologico alla nostra attenzione. Dinanzi alla realtà aumentata, alla digitalizzazione delle relazioni, siamo chiamati non a una vuota nostalgia o a un’apocalittica visione del futuro. Siamo chiamati a un passaggio dall’economia all’ecologia dell’attenzione.

gici e metabolici irreversibili. Anche nelle ore di veglia, l’attenzione di un soggetto si riduce a poche ore. Nessuno può contrarre le proprie ore di sonno fino a raggiungere uno stadio di insonnia efficiente, che garantisca, cioè, oltre all’astensione dal sonno, la piena efficienza produttiva.

ANTIDOTI

IDENTITÀ Sherry Turkle Reclaiming Conversation. The Power of Talk in a Digital Age • Penguin Press 2015

Connessi ma soli. È il paradosso della modernità digitale. Gli uomini – spiega Sherry Turkle, che da anni lavora sui surrogati di presenza e sulla vita digitale degli oggetti – amano le loro protesi digitali più di se stessi. O, meglio, ridefiniscono se stessi in funzione di quelle protesi: parti che fanno le veci del tutto. La nostra identità bricolage, come la chiamava Ulrich Beck, è in perenne veglia perché consegnata a una perenne performance: possiamo spegnere i device senza intaccarla? Possiamo dire “basta, io scendo”? Forse sì. Parlando. Ridando campo, spazio e corpo all’antica arte della conversazione. La face-to-face conversation come antidoto e come strategia.

Il sonno e i livelli di disattenzione necessaria al cervello umano per riprendere fiato sono però sempre più al centro di diversi tentativi di bioderegulation. Nel frattempo – questo ci spiega l’economia dell’attenzione – attenzione e disattenzione, sonno e veglia sono stati ampiamente ridefiniti. La disattenzione è diventata un disvalore socio-pedagogico da far passare attraverso le briglie della patologia. Ma il sonno, anche se concepito come lo standby di uno smartphone o di un pc, resta l’ultima barriera naturale che si frappone al flusso continuo produzione-consumo-riproduzione. Contro questo scoglio fisiologico vanno a sbattere ambizioni e pretese dei sistemi di mobilitazione, monitoraggio, consumo e controllo nel capitalismo avanzato. Lo racconta Jonathan Crary, nel 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno (traduzione di Mario Vigiak, Einaudi 2015), dove il sottotitolo originale (Late Capitalism and the Ends of Sleep), invero leggermente mutato nell’edizione italiana, rende al meglio il

sabato 2 gennaio 2016

| pagina 99we

IDEE | 23

Mercato | L’attenzione è la nuova moneta della società dell’informazione. Per procurarsela le aziende offrono sempre più prodotti gratuiti. E puntano sulle tecniche di sovra-stimolazione

Se usciamo dal contesto televisivo – dopo tutto, sono passati 12 anni dalle parole di Le Lay – e ci caliamo nuovamente in quello del software integrato e dei Big Data, comprendiamo meglio che cosa significhi e quale sia la posta in gioco nell’economia dell’attenzione. Non c’è riforma scolastica, non c’è videogioco, non c’è dibattito su sicurezza, lavoro, tempi di attesa in ospedale, tempi di conseguimento di titoli di studio, tempi di pensionamento, aspettative di vita, ma soprattutto non c’è dispositivo tecnico che non si configuri, oggi, come un apparato di cattura delle porzioni disponibili dell’attenzione. E che pur di catturarle non offra gratuitamente quei beni e servizi di cui parlavano Davenport e Beck. Ma a quale scopo? Oggi, nei palazzetti americani dove giocano le star della Nba, particolari telecamere dette dance cam riprendono balli, smorfie, capriole improvvisate non da quelle star dopo una vittoria o un canestro, ma dai tifosi, mandando on air le sequenze più bizzarre e divertenti. E quelle telecamere, costantemente rivolte sul pubblico, si fanno carico di un altro lavoro oscuro: monitorano la loro attenzione, colgono cadute e picchi della loro emozione. Questo è

Oggi tutti i dispositivi tecnici si configurano come apparati di cattura dell’interesse

PHOTO BY ORLANDO / THREE LIONS / GETTY IMAGES

problema. Tardo capitalismo, non il capitalismo tout court, ma il capitalismo del post, quello che ambisce ai regni dell’insonnia funzionale e dell’economia dell’attenzione. Crary docente alla Columbia, riprende qui alcune tesi già avanzate 15 anni or sono in

Negli stadi e nelle arene le dance camcolgono cadute e picchi delle emozioni dei tifosi

un suo lavoro dedicato alla storia della colpevolizzazione della disattenzione e alla medicalizzazione dei soggetti disattenti. In Suspensions of Perception. Attention, Spectacle and Modern Culture (Mit Press, 1999), lo studioso osserva che, dal XIX secolo, soprattutto nel contesto delle nuove forme di produzione industriale di massa, la disattenzione inizia a essere trattata al tempo stesso come un pericolo e co-

me un grosso problema tecnico-organizzativo. Proprio quelle forme di produzione erano infatti alla base di gran parte delle forme nascenti di disattenzione. La modernità si nutre di attenzione, ma genera disattenzione. Caratteristica della modernità, specifica Crary, sembra dunque essere questa doppia elica: da un lato l’ossessione per l’attenzione, che deve essere alta, costante, mai disattesa; dall’altro, la tendenza a sviluppare sempre nuove tecniche di stimolazione psico-sensoriale e flussi di informazione che modificano le percezioni e il loro controllo, nelle fasi di tempo libero come in quelle di lavoro. Un gatto che si morde la coda, insomma. Ma oggi, più che dai gatti, è con le tigri, che le code lunghe del mercato si devono confrontare. Quando nel 2004 Patrick Le Lay, al tempo direttore del canale televisivo generalista francese Tf1, affermò che lo scopo del suo canale era vendere porzioni di «tempo disponibile del cervello umano alla Coca Cola» stava forse dicendo qualcosa di diverso?

VOLONTÀ A sinistra, una bambina in classe a Borgo Petilia, Caltanissetta, 1950 circa. A destra, uno scolaro americano cerca di risolvere un problema, 1955 circa

Diverso era il contesto: non più la produzione industriale di massa sul modello di efficienza fordista, ma nuove forme di produzione, sviluppo e controllo in cui l’informazione è parte non solo integrata, ma essenziale del processo. Yves Citton, uno dei ricercatori che più si sono dedicati alla questione, nel suo importante Pour une écologie de l’attention (Seuil, 2014) ricorda che Le Lay indicava semplicemente con inusuale franchezza come oggi la nuova merce al centro della contesa per il potere mediatico (e non solo di quello) non sia l’informazione, ma l’attenzione – o, meglio, il tempo qualitativamente alto ma quantitativamente scarso dell’attenzione.

il primo passaggio. Trasformare e elaborare quelle tracce in dati è il secondo. Il terzo punto, quello meno evidente, unisce il “come” al “dove”: si tratta di mettere a posto quei dati, ma l’ambito in cui quei dati – debitamente elaborati – ricadranno non è sempre evidente. Dall’epidemiologia alla sicurezza, dal profiling che può affiancare colloqui psicologici o di selezione del personale, fino all’uso per posizionare tipologie di soggetti all’interno del nascente sistema clinico dei cluster, il mercato dell’attenzione è una prateria potenzialmente aperta su ogni aspetto dell’umano. La sovrastimolazione dell’attenzione, gli apparati di analisi e controllo, di produzione e consumo che ne derivano, ma anche le relazioni di potere che questi implicano e sottendono, devono così – ammonisce Citton – essere portati con urgenza al centro delle nostre analisi, etiche, economiche, politiche in senso lato, non tanto della nostra indignazione. Imparare a gestire le proprie “risorse attenzionali” in funzione di una competizione integrale, 24 ore su 24 per 7 giorni su 7 come ricorda Crary, piegando persino il sonno alla logica della performance o piuttosto ricalibrare in forma ecologica i frammenti ancora non colonizzati della nostra attenzione. Non sembra esserci una terza via.

CERIMONIE Teenager annoiata a un party di epoca vittoriana

GETTY IMAGES

pesce batte uomo nove secondi a otto Postumi | Ubriaca di internet, la nostra concentrazione è crollata n Che sia davvero l’epoca degli uomini pesce, come profetizzava Ödön von Horváth, nel suo Gioventù senza Dio?Ciò cheloscrittoreaustriaco non poteva sapere, quando scrisse il suo terzo romanzo, nel 1937, è che l’immagine di uomini dagli occhi tondi, fissi, inespressivi come quelli di pesci rossi che «vivono in un paradiso di stupidità» sarebbe riapparsa in modi e forme impreviste. Nel maggio 2014, Microsoft ha pubblicato un rapporto che raccoglie i risultati di uno studio condotto in Canada tra il 2000 e il 2013. Il titolo è How does digital affect Canadian attention spans? e i dati presentati sonoimpressionanti: nell’arco di13 anni lasoglia mediadi attenzione dei soggetti osservatisi è ridotta di un terzo, passando da dodici a otto secondi. Otto secondi: «Un secondo in meno dei pesci rossi», ammonisce il rapporto. Insomma, pesce batte uomo 9 a 8. Ed eccoli qua, gli uomini pesce di von Horváth. Ma a preoccupare le aziende è soprattutto la ricaduta del deficit di attenzione sui livelli di consumo: riducendo il margine dell’attenzione, la concorrenza si fa più spietata. «L’attenzione», si legge nel rapporto, «è ingrediente necessario per la pubblicità». Diminuisce la capacità di stare concentrati più a lungo e in parallelo cresce la ricerca di stimoli nuovi. Il problema però è che questo non avviene solo nell’ambiente di lavoro, dove – ricorda ancora la ricerca –spesso ci dividiamo fra due o più schermi. Alone Together, «Soli insieme», per usare l’efficace espressione di Sherry Turkle, docente al Massachusetts Institute of Technology (Mit), noi lo siamo sempre,anche(o soprattutto)infamiglia. Anzi, ciò che l’antropologo Gregory Bateson chiamava “doppio legame” assume ora una valenza di sistema. Da un lato, a genitori neurofisiologicamente incapaci di attenzione si chiede di essere sempre più attenti ai propri figli. Dall’altro la destrutturazione degli orari di lavoro, unita al tempo esploso dei social network (come il filosofo Adriano Fabris hafelicemente titolato il suo libro sulla comunicazione nell’epoca di Twitter, uscito da poco per Edb), profilauna mutata qualità dell’attenzione. Anche se gli scienziati sono divisi riguardo alla definizione di soglia di attenzione e alle quote di colpe e meriti delle nuove tecnologie, tutti concordano sul fatto che il contatto costante con

la retee l’immersione neisuoi pseudoambienti cambia la natura, e non solo la quantità di tempo, dedicata alle relazioni e agli affetti. Quando si trasforma il mondo in uno stato mentale e la coerenza della propria biografia è messa a repentaglio da un “mi piace”, le conseguenze – buone o cattive che siano – non si possono per ora calcolare. Lo va dicendo da tempo proprio Sherry Turkle, che nel suo recente Reclaiming Conversation. The Power of Talk in a Digital Age (Penguin, 2015) osserva come comunichiamo senza sosta nell’universo digitale in cui siamo immersi. Ma una comunicazione costante non coincide con una reale attenzione. Dopo cinque anni di lavoro sul campo, nelle famiglie e nelle scuole, Turkle afferma che nel mondo sempre connesso la tecnologia non offre via di fuga dalla solitudine digitale in cui essa stessa ci ha precipitati. Alla lunga, però, di questo la studiosa è convinta, l’essere umano ha grandi capacità di resistenza, che sipossono riattivareattraverso la conversazione, ben più che con apparati tecno-farmacologici di cattura dell’attenzione. In fondo, tutto questo l’aveva già capito la filosofa Simone Weil quando, in un suo studio sull’attenzione scolastica come forma di preghiera, definiva per l’appunto l’attenzione «la forma più rara e pura di generosità». Da parte sua Turkle osserva che un’attenzione fondata non su pillole o algoritmi, masu unaretedirelazioni, puòessere anche un antidoto contro alcuni dei problemi più grandi che si riscontrano in famiglia o a scuola: il bullismo, in particolare. Recensendo il libro di Turkle sul New York Times, lo scrittore Jonathan Franzen ricorda che ogni conversazione comporta un rischio, quello di annoiarsi. Ma proprio questa noia può costituire la matrice prima di una vera innovazione. «Pazienza e innovazione», osserva Franzen, «vanno di pari passo». Dissipare l’attenzione può essere un problema non da poco per le nostre società. Il declino dell’empatia a cui stiamo assistendo avrebbe dunque una stretta correlazione – così dicono recentissimi studi – con lo stay tuned, il tutti connessi. Meglio annoiarsi un po’, dunque. Annoiarsi per resistere, questo potrebbe essere lo slogan. M.D.

Lihat lebih banyak...

Comentarios

Copyright © 2017 DATOSPDF Inc.