Porto Palos, Book, 2006

July 19, 2017 | Autor: Angelo Andreotti | Categoría: Contemporary Poetry, Poesía, Poesia
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Descripción

Angelo Andreotti

Porto Palos

Ogni cosa nella misura in cui ha essere ha verità. (Aristotele, Met. II, 1, 993 b, 30)

Nel tempo andiamo …

1

.1.

Nel tempo andiamo, tra inevitabili separazioni e insolite comunioni. Ce ne andiamo che poco è finito e ancora molto è sospeso, perché sempre cerchiamo con sguardi più lunghi del fiato. Alle volte ce ne accorgiamo, e allora ci tratteniamo appesi al mulinello del tempo, in preciso equilibrio tra l’istante che viene e l’istante che va, nell’istante che resta ma non basta a rassegnare conforto. Tragittiamo incerti, trascorriamo, e così ci trasformiamo da confidente distratti di ricordi in memorie pendenti nell’aria, sollevate appena.

2

.2.

Sentiamo il tempo venirci incontro come vento a premerci la pelle, e ci freniamo di fronte alla persistenza del futuro, rallentiamo, spesso c’incagliamo, con il respiro affannato dall’insistente susseguirsi dell’istante. Mentre la sera ci sorprende ancora intenti all’attesa di un senso che ci prenderà senza comprensione, noi vaghiamo e frughiamo buio e stelle, e impazienti e snervati scivoliamo in sogni che poi scordiamo. Ma prima del sonno, nella veglia, il passato che di giorno ci sfugge ci afferra alle spalle, ci stringe ai fianchi, incalza, e spinge avanti a noi ciò che vorremmo invece restasse dietro, ci mostra ciò che non abbiamo consumato, con gesto largo e paziente sventaglia gli orizzonti che non abbiamo varcato, indica il rovesciarsi del nostro passo calcato su tragitti appena intrapresi, sorride volti che abbiamo abbandonato, e infine rincorre il tempo, attarda il futuro, e poi continua la sua fuga dal nostro sguardo.

3

.3.

Non è tempo, non è più tempo per un’idea che sia la costruzione lenta di un deserto, il luogo aperto di un giardino, il fiorire sensato ancora di un’altra idea. Non c’è tempo per trattenere tra le mani l’immagine perseguita del futuro, e non c’è tempo per lasciarsi dietro alle spalle l’inaridirsi di una fiducia. Non si trova tempo per inseguire la fretta di un’attesa che frena la fine di un inizio, e non ce n’è neppure per chinarsi di fronte al risveglio di un sorriso. Non è più tempo per il silenzio che racconta l’abbraccio muto di una gioia, né per quello raccontato da uno sguardo che ci chiede.

4

.4.

C’indebitiamo con il futuro, calpestando orme già tracciate e previste nei passi che abbiamo sollevato. Ogni notte adombriamo il giorno, e lo adagiamo sul domani che attende fremente la sua razione di passato fino a farne parte, soggiogato dal ritmo sciolto degli eventi. Ci destreggiamo tra diverse ipoteche convinti d’esser liberi attori di un recitare a braccio, ma del futuro vediamo unicamente quel che il passato ci ha insegnato. Non ci resta che il respiro lento del sogno, la sua traversa consequenzialità che rumoreggia ipotesi vissute forse senz’orma sulla terra, radenti qualsivoglia realtà d’indizio.

5

.5.

Ci sono giornate che vanno lontano, s’arrampicano sul presente e infrangono il servile senso che protrae l’inconcludenza del tempo, per poi spingersi verso le promesse che lo sguardo avvista nonostante la buia astuzia del destino. Ci sono giornate che rapiscono il futuro, lo strattonano, scardinando gli istanti che ce lo separano e ce lo rendono incomprensibile. Però qualcosa ancora tra le mani ci resta, appena un’intuizione di ciò che dovrebbe essere ma ancora non è, che certo sarà, non appena si poserà a terra la polvere che il nostro passo solleva nella poca aria respirata, nel breve tempo del nostro cammino affannato, disperato, appassionato, che senza traccia impronta sentieri destinati al silenzio. Al pensiero muto di un ricordo che pian piano smette le sue ragioni.

6

.6.

Sapremo incontrarci ancora una volta, oppure per sempre ignoreremo il tempo trascorso nel tempo fermato dall’incauta sfida dell’eterno. Sarà forse come un immenso, svaporato in quel respiro sorpreso colmo di vuotezza, rimasto ad aspettare aria sorpresa nell’attesa dell’istante che non viene, che tarda e tarderà se la durata avesse un senso. Sia leggero quel vuoto anziché cavo, e come volo innalzi ciò che resta agli occhi di chi resta, lasciando spazio all’idea che da terra spingiamo al largo per un viaggio senza racconto.

7

.7.

Si va ovunque, perché ovunque noi andiamo, e non c’è posto che possa appartenerci se non riconoscendolo in ciò che fu, ma che mai tornerà a essere. Così è nel futuro che si gioca il presente, laddove andremo senza riuscire ad arrivarci poiché un poco più in là avrà portato il suo orizzonte. In apparenza indaffarati, in realtà noi aspettiamo che il tempo s’affanni, che l’ora si perda nel momento esatto in cui il senso dell’essere si rivela, magari coincidendo i tempi nello spazio di un respiro, ben sapendo in fondo che la verità è inciampo, e troppo spesso ci manda a terra.

8

.8.

Reclinati verso la corruzione del ricordo ci separeremo. A uno a uno lasceremo vuoto lo spazio nei giorni ricolmo di gesti manifesti e di quotidiane segretezze, accolte con il pensiero in ombra. Dovremo andarcene, affollati di silenzi mai parlati, di silenzi trattenuti in dimore serrate a doppia mandata dal tempo che incalza, affamando la quiete che cresce sull’orma che fermerebbe il passo di chi alza lo sguardo da terra, e vorrebbe restare dentro al suo bisogno di comprensione, se solo ne conoscesse il sentiero. E invece si corre, rastrellando ore e divorando la tregua di un attimo risolto nell’attimo stesso che scorre senza pause, e abbandona ciò che andrebbe condiviso.

9

.9.

Ci sono giorni e giorni da ricordare, e un’infinità d’istanti da conservare che il tempo trasuda nel tempo che avanza. Tempo che non basta a trovare la fine a un senso, per quanto sempre ne resti per dar corso ad altri giorni già promessi a esiti incompiuti, che s’accatasteranno assieme a tutti i sogni dimenticati la mattina stessa che li ha svegliati. Di rispettabili miserie si vive, e di audaci incompletezze che ci mantengono eterni per la perfetta incomprensione del limite estremo del respiro.

10

.10.

Si attraversano notti afone e bianchi pensieri, quando la vita s’affolla e s’intriga nelle frettolose matasse che il giorno avvolge attorno a un’idea. Si preferisce a volte lasciarne la tessitura ad altre mani, che sappiano imbastire l’orlo del precipizio oltre il quale il respiro dissolve il suo odore, arato nel fresco distendersi dell’alba sui pagliericci improvvisati da un imperfetto dormiveglia, che smania tempo per poi infrangersi esausto nell’aria turbata da luci col ritmo diafano degli inizi.

11

.11.

È sempre tardi per far ammenda con se stessi, per rapinarsi un ricordo lasciando vuoto il giorno che lo si è vissuto. Ci si guarda le mani aperte su quel gesto, e si trovano i segni di trascorse confidenze che si potranno rinnovare non appena si vorrà riconoscerne il dono, mentre il nostro sguardo si stacca dalla veglia del mondo degradando luce fino al nostro sonno.

12

.12.

Sarà per questa striscia di luna caduta su nuvole basse che adesso ripenso al mio tempo, e a stento riconosco le mie promesse in un cielo illuminato con giustezza che non soltanto alza lo sguardo, ma allunga il pensiero fin dove avremo potuto arrivare, se a sviarci non fosse stata la fatica dell’esser vivi, e l’intollerabile sospetto di vivere senza un senso.

13

.13.

Giorni e poi stagioni in cui si scivola con noncurante attenzione, e poi ancora ore a premere sul tempo le loro dita che artigliano la vita fino al punto di scordarsene. È proprio vero che con il ricordo si racimolano istanti che non resistono al vento del presente: si disperdono lasciando appena un odore, qualcosa che trova forma in un racconto, e senso altrove. Se ci fosse un principio sapremo come incominciare, e invece si finisce sempre a esser presi dal corso degli eventi che imbriglia il pensiero, e lo aggancia al primo crocevia che in curve nasconde le varie direzioni. A volerlo, potremmo andarcene in ogni istante, ma l’istante non fa storia, è una piega senza tempo, perciò si resta annaspando un’uscita ben sapendo che non quella si va cercando. Si tenta di conservare l’ora serena che vivemmo, ma in realtà il presente con conosce tregua, e non ha spazio che per sé stesso.

14

.14.

Non dovremmo mai scordarci l’azzurrità del cielo, e neppure la disperata nullità del perderci nell’ora che accoglie l’infinito disperdersi di un sogno. Siamo giorni di opere e notti di riposo, e poi siamo anche dimenticanza, esilio, e soprattutto saremo oblìo allorché andremo sfumando in ricordi d’altri. La vita è più simile a sé stessa, quando a rammentarcene è la desolata solitudine di un pensiero smosso dal rapido dispiegarsi di un significato, oppure quando rallenta sotto il tenue diffondersi di una tenerezza. Sarà sempre un

momento di annunciata

improvvisazione a sorprenderci il respiro, e poi a darci la soluzione muta per immensità di risposta, o per assenza. Per ora si percorre quel po’ di strada che si scava nel mondo a colpi di tempo, e a volte ci basta l’attesa del domani per distendervi un sorriso.

15

.15.

Sprimacciando il giorno volano pensieri sulle ore che attendono, quando ancora Espero punteggia la falce della luna nel cielo intorpidito dal risveglio delle luci, sgranchite ora sulle cose che pian piano ritrovano quei dettagli negati al buio. L’aria, immusonita per la notte trascorsa dirimpetto a un’insonnia, adesso percorre il suo spazio, e si distende lungo il mattino smanacciando qua e là, come a frugare tra l’erba qualcosa di perduto la sera avanti, quando commossa e sedotta si è adagiata di fronte al quieto socchiudersi del sole. Si resta così, a guardarla affrettata e affannata, mentre a tocchi lievi s’arruffa più su a nube, sospesa a un filo di sguardo nel tempo trascorso che finalmente racconta l’inesistenza delle ore.

16

.16.

Quel che conta sono i ritorni, l’improvviso rigurgito del tempo che insiste cose lasciate a mezzo, abbandonate o trascurate, e le spande addosso a un pensiero che poi gonfia in speranza o nostalgia. Ci sono cose che tornano per essere finite, altre che restano per venir rimpiante dentro a un’idea incisa nello sguardo, che frusta gli orizzonti di ogni giorno, di ogni ora, di ogni cielo che li accoglie. Così ci s’accorge di vivere sospesi in futuri passati, sorpresi d’essere finiti spesso nell’incava oscenità del dover essere, sparpagliando manciate d’attimi in un’attesa che alla fine raccatta anni seminati a inedia. L’illusa sapienza del caso ci dovrà bastare per andare dove stiamo andando. Altro non serve, se non la voluttuosa ragione di poter essere.

17

.17.

A volte è l’ombra a raccogliere i discorsi del sole, come adesso, mentre il cielo pattina cavalcate di nubi verso l’orizzonte abitato già da questo tramonto dai rossi imbruniti. È un’ora che non basta a contenere il tempo di un pensiero, avvolto attorno a uno sguardo tracimato oltre lo spazio dell’aria sospinta dal vento, odorosa d’altre presenze. Dopo verrà il buio, che al momento ancora attende la sua ampiezza per disperdervi promesse di sogno, e poi anche veli da offuscarvi i sensi, appena al di là delle mani che allunghiamo ogni qual volta s’intraveda il segno che saprà orientare i giorni che verranno. Avanzano così le notti, a passi muti, nascondendo il futuro che s’appresta a riposare nel sonno che dormiamo sempre, quando a cullarci potrebbe essere stata una speranza, oppure l’illusa soddisfazione di un compimento.

18

.18.

Il significato appena compreso nasconde sapienze che certo saprebbe spiegare, se soltanto ci fosse tempo per ascoltarne il racconto che si estende attorno a quel poco di verità che percepiamo dalla presenza delle cose. Ciò che inizia non ha esistenza, ma semplice pensiero che allunga la nostra smania di conoscere ciò che eternamente ci distanzia dall’origine, dal cominciamento che la nostra mente s’illude di trovare tra le pieghe del mondo. Ma principio e fine altro non sono che punteggiature di un discorso che ci manca il fiato per pronunciarlo, e ci lascia ansanti, appoggiati a una vita che dura, e non resta.

19

… inciampando nel senso…

20

.1.

Si resta a guardare svagatamene assorti l’indaffarato muoversi del mondo, e ci s’impila nell’ordine dato trovandovi adeguata collocazione. Si marcia compatti verso la meta indicata fischiettando concetti valori e bellezze, subendo, tradendo, donando espiando e perdonando, ciascuno sedotto dal proprio modello al quale appartiene con moderato interesse. Si va, mentendo sensatezze credute per gioco, per volontà o per arroganza, comunque assolti dal destino finale che rassegna l’idiozia a un danno casuale. Ci sono giorni che ci si guarda attorno con le mani aperte, pronte, sicuri di chiuderle sull’appiglio che il lungo esercizio di una vita saprà riconoscere tra le false certezze. Questi sono giorni perfetti per cercare cos’altro c’è da capire.

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.2.

Ci consoliamo ascoltando il fruscio sordo e maldestro di parole morte nell’aria, e ci sosteniamo sollevando grandi concetti che non conteniamo, che debordano dal nostro sguardo affannato tra terra e cielo. Il sentiero che percorriamo ci conduce ovunque ci sia posto per la tregua di un’esistenza corrotta da insoddisfatte mete, le stesse che dissimili c’assomigliano nel sembrarci ognuno diverso. È così che nasce il nostro cercarci allontanandoci dallo specchio che ignobilmente ci riproduce illudendoci persino simili a noi stessi. Non siamo mai stati ripetibili pur replicando tempi e spazi, perché se ci conoscessimo prenderemmo distanza anche da quel che crediamo d’essere.

22

.3.

La verità non ha evidenze, e rapidamente scolora i chiari confini immaginati oltre la notte che dal basso ammiriamo, adocchiando l’inattuabile idea di non essere. È così che c’avvolgiamo di tiepidi concetti, che attenuino il graffio e medichino il respiro che a termine saprà mostrarci la desolata ampiezza di un addio negli occhi di un altro, che si sottrae poco alla volta all’incontro abituato dal tempo. Siamo vaghi, e null’altro che l’aria può costeggiare il volo delle nostre ceneri arse, assieme a quel poco di vero che l’esser stati trattiene nella provvisoria durata di un ricordo.

23

.4.

Restiamo come ai margini di un viaggio barcollando concetti e visioni che sappiano dirci qualcosa di quieto, che sappiano portarci in sereni paesaggi dentro dove abbandonare il passo, alleggerendo la vita e il suo senso. Ma il senso della vita tormenta la cerca affannata che a volte scombina il tragitto dello sguardo, che per suo conto annaspa scarnificando un pensiero ben espresso, che non basta ad accogliere il mistero traboccante e incontenibile del perché qui e non altrove. È così che il limite trovato conferma il triste confine che invalicabile trapassiamo col sogno, magari ragionato da una parola di troppo.

24

.5.

La chiarità presaga del mattino, che riscatta il respiro trovato a sorpresa dopo il sonno, accoglie suppliche che sappiamo dimenticare, non appena altri sguardi pesano il sogno che s’incaglia tra i margini sfogliati di quel paesaggio sopito sul confine indicibile del risveglio, che si consuma adulando la notte trascorsa malgrado la nostra distanza, e la sua inabitabile permanenza che rinnega il giro delle ore accogliendo però l’istante senz’ombra a termine. Abbandoneremo la voce, là, dove i significati si perdono inseguiti da un pensiero, lo stesso di sempre espresso tutto d’un fiato e fallito per troppa diligenza, o per assenza di canto.

25

.6.

C’è sempre un sospiro nel pensiero pensato, un filo d’aria da seguire con la mente a scandaglio del dubbio, strettamente ancorato a ragioni che insufficienti gravitano attorno all’assoluta verità. Si tracciano percorsi da camminare a perdita d’occhio, con l’evidente certezza di quel luogo inaccessibile verso il quale si va, traguardo raggiunto a conti fatti, quando sapienza ignora la parola da udire, o da rubare a quanti scrutando socchiudono lo sguardo per l’eccessiva ampiezza di ciò ch’è visto.

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.7.

Certe volte ci sono state che sarebbe bastato poco, appena un giro d’angolo, un’occhiata complice d’orizzonti, oppure una sommessa parola a gravitare un pensiero attorno a un’ipotesi, che riuscisse a scalfire l’accanita cecità dell’inesperienza e quel suo affaccendato mulinare di foglie convinto d’ammansire il vento… E invece silenzio, muta compiacenza o incurante tenerezza per un andar distratto e senza filo, nell’aggrovigliato labirinto delle scelte che rivela il suo percorso sempre dopo averlo già calpestato.

27

.8.

Con un cielo di notizie si traguarda l’ineffabile vastità di un’illusione che distacca il passo dall’orma, e allontana la meta fin oltre la curva priorità dello spazio. Lì si nasconde il tempo, a baciare il futuro con le labbra tumide di desideri da appagare, da lasciare come stanno, con il fiato interrotto nel punto esatto in cui l’aria si fa respiro e poi di nuovo attesa per un rilancio dello sguardo, che vede più in là della mente confusa da troppa realtà d’afferrare e conservare in concetti, che da lì a poco svaniranno in parole svuotate in distanze ormai proibite.

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.9.

Si cercano risposte a domande imperfette, e si inseguono concetti fin dove si ferma la sintassi di un pensiero. Ma il respiro è corto per i sospetti dell’anima e perciò si guarda laggiù in fondo, dove curiosità spinge e inadeguatezza frena nel disordine immacolato delle cose incomprese. Anche il passo è breve, e non raggiunge lo sguardo che allunga la mano a graffiar l’aria mentre annaspa inarrivabili verità. È così che si resta a fare i conti con la vita e la sua durata, che sospende il suo cammino sull’orlo di un’amnesia.

29

.10.

Ci sono cose che non hanno nome per incauta concessione, o per ansiosa incomprensione, e scendono verso il basso a lato di un’idea attecchita di per sé mentre altro si cercava, magari dentro a un ricordo o forse oltre a una speranza. S’adagiano giù in fondo addormentando la placida crescita dell’accadere, che resta in sospeso ascoltando il biasimo delle ore che arrancano, che passano e altro non lasciano, se non l’incontaminata ritrosia del tempo che gentilmente ci guida nei dintorni di un’immemore sapienza, che per istinto indica il punto esatto dell’incoscienza.

30

.11.

Ci si ferma per caso, a guardare per esempio un’ombra sfoltita sull’erba di un corpo che passa, oppure ad ascoltare il lento riandare del vento nell’aria che risuona distanze appena varcate. Si vive di sguincio alle cose, accostandoci al mondo e alle sue sembianze, che appaiono e dispaiono, manovrando a umore la cognizione del reale. Distratti, si perde il respiro per uno scarto di senso che ci sposta a lato di un’idea, pensata inseguita creduta, e poi scivolata fuori dai margini di un disegno che un giro di capo ha di colpo cancellato: è così che si scopre che la realtà è un dubbio che persegue e scompone quel poco di certo che c’accompagna per strada. Impigliati a scelte fatte con sapiente innocenza, spesso ci si trova a pestar terra fino a incider solchi fondi come un destino. Alle volte di un nostro gesto non c’è ritorno, e altre volte il ritorno è segnato nell’assoluto dolore di uno sguardo che implora un rimando per tirar fiato. Si segue il filo di un discorso appeso al di sopra di un abisso, e ci si mantiene in equilibrio legati a un sogno che basta poco a perder di vista.

31

.12.

La dolcezza che manca a un pensiero per farsi sogno la si trova nel silenzio tutto aperto di uno sguardo che cerca, e trova il mondo così com’è, senza apparentamenti, vagamente inaccessibile nell’offerta traboccante di ciò che di sé appare. Così, quando il vento dipinge l’erba di chiari e di scuri, molleggiando come ora i verdi in onde sconnesse che lo sguardo scavalca sotto un cielo stretto, prospettico, e ammorbato di pioggia, c’è ancora spazio per un’idea di vita che sappia scoprire nell’ombra il nascondersi del sole. E nell’odore di una pioggia che arriva – ma non ancora – si scontorna il respiro largo di una serenità che attesa saprà raggiungerci, non appena sarà tempo per gli occhi di saper vedere quel che da sempre è lì, quantunque sfocato dal nostro sconsolato bisogno di dolore, che immobilizza il gioioso srotolarsi di una corsa in avanti.

32

.13.

Non ce la siamo figurata così la vita, rammendata smagliata lesa, che a coprirsene a un certo punto si resta a pelle nuda. Sempre ci si sorprende del posto in cui si è andati a finire, scordando che il sentiero lo si percorre passo alla volta, e che caso e destino sono scuse che ci raccontiamo allorquando ci si perde. A volte sonnolenza ci prende, e appannati ci accerchiamo attorno a un senso che non viene, nonostante spesso s’incroci con un sogno a occhi aperti, sogno sognato e vissuto, e poi svegliato dal rumoroso sfalcio delle ore. Quelli della comprensione sono istanti di morte. Non restano a contatto della mente più del tempo necessario per mostrarsi, lasciando poi un vuoto colmo di certezze incomplete, di esperienze insipienti, e l’inquieta impressione di un’esistenza rabberciata con il filo di un discorso lasciato a mezzo.

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.14.

Ciò che c’è si trova, e ciò che non c’è si cerca: per questo ci consoliamo inseguendo il profumo del sole che versa i suoi ori sul giorno, e su pensieri di vita che impiallacciamo di parole lavorate in sogno. A volte ci sorprende angoscia, e allora strappiamo le radici alla terra convinti di estirpare quel che ci vieta il volo fino alle stelle. Ma non è così che si cattura il sereno, né si raggiunge quella quieta chiarità confidata da sguardi affini, e neppure può bastarci l’ombra meridiana distesa a giaciglio per un’idea condivisa. Ci dimeniamo nel tempo, spostando significati per un poco di spazio, ed è così che può succederci di scordare il mondo e il senso che gli abbiamo dato, e poi di trovarci immemori esauditi dall’abbraccio dell’aria.

34

.15.

Con la vita rasente al muro, noi si va per strada strusciando occasioni, presupposti, sentenze. Si sfiora il tempo che abbiamo nella fretta di arrivare almeno attorno al segno che sentiamo ci appartenga, e il tempo pure ci sfiora lamentando la sua inadeguatezza a contenere così tanta finitudine. Si cammina con l’aria saputa di chi conosce dove sta andando, e si svoltano angoli, si scelgono crocicchi, si attraversano fiumi di possibilità convinti di aver visto al di là del presente, quando invece ci s’infila soltanto laddove a fiuto s’è sentita aria pura. In fin dei conti si resta girando attorno a se stessi, alla propria verità che sguscia là dove finiscono tutte le altre. A noi non è il finire a tormentarci, ma il pensiero, l’ultima scorsa prima di andare.

35

.16.

Si sta qui, per sempre a chiederci se il futuro è davvero assente, o se già passato oltre le intenzioni del presente. Non resta traccia del tempo che abbiamo atteso, e quantunque vissuto svapora in distanze che mai riusciamo a scrutare, se non a occhi chiusi, ruminando ricordi dissolti nell’estasi che sempre invoglia il nostro poter essere. Così siamo, funamboli di equidistanze tra credere e sapere, continuamente in ansia di senso, stupendo di fronte a quei giorni che s’avverano a nostra insaputa.

36

… ogni qual volta…

37

ogni qual volta morbido di realtà confusa lo sguardo molesterà il mattino frugando tra i sogni sciolti dalle dimenticanze del sonno radente voci e silenzi alla ricerca di un corpo che lo smetta saprà ripetersi l’incanto fuggito dall’insonne impoverirsi del buio verso promesse via via schiarite e svelate dal crescere dell’ombra

38

resta il tempo per un saluto ogni qual volta lo spazio confonda la distanza che scorre nel dialogo serrato col catenaccio dello sguardo nel mutuo scambio d’occhi intrappolati dal muto fremere di significati a raso di parole pronunciate a voce lenta e mente altrove comunque dirimpetto al dirupo che invoglia il volo dell’abbraccio

39

ai margini del prossimo istante può perdersi un pensiero ogni qual volta il sogno azzarda la sua mano sulle cose del mondo e spande l’enigma di un incontro attorno al tempo che resta prima che s’affacci l’affanno ad assillare dell’attesa il senso magari confuso tra i respiri a fine giornata rivolti al sole per baciarne sbadati gli ultimi raggi

40

si sognano divergenti condizioni e ci si scopre tormentati da inquiete previsioni ogni qual volta l’alba sorprende l’assurdo gesto nella memoria sospeso di un graffio a scheggiar l’anima già impastata di dubbi sudati e rigirati in un sonno alieno per poi voltarsi e ritrovarti nel tuo silenzio guardato e ricevuto come immacolata forma d’amore

41

lo stupore di fronte al mondo che allarga il respiro e inciampa lo sguardo potrà sorprendersi ogni qual volta con la premura dell’attesa l’innocenza colpirà lo schiaffo che rifiuta la sua presenza e la purezza detergerà la guancia lordata dall’offesa che ingrata già inghiotte le sue vergogne

42

il nome che ti ho dato e che invita la tua cura nel mio mondo non si pronuncia con la voce ma si azzittisce tra i denti ogni qual volta si senta la dispersione di un senso di fronte all’estensione immensa dell’ineffabile presenza di un dolore sofferto per caso e per insolenti coincidenze che sorteggiano nel mucchio

43

masticando polvere e stelle sapremo lentamente avvicinarci al destino indicato dal giusto saper volere che allenta l’affanno della ricerca con l’umile ricchezza dell’ascolto ogni qual volta meraviglia ci solleva lo sguardo da terra e lo spinge all’orizzonte sedendoci ai bordi del sentiero col fiato corto e assetato per l’eccessiva corsa del pensiero

44

la solitudine è l’odore dell’ombra che conforta la sapienza lanciata assieme all’imbroglio oltre il confine estremo di un fiato interrotto dall’infamia che sempre accompagna la coscienza spersa a passeggio di un’offesa ogni qual volta il pudore disprezza il rossore che avvampa per improvvisa cognizione di un torto imposto all’ingenuo allungarsi di una mano

45

quelle mani che ancora sfiorano di gentili carezze i campi seminati nel mio ricordo ed estesi oltre il mio percorso adesso hanno calli lavorati dalla terra rimossa per drenare il tempo che avanza ogni qual volta il respiro è trattenuto per un sorriso mancato per un sorriso trovato

46

calpestando le orme d’altri si cerca miseramente il nesso che sappia giustificarci qui e non altrove per quanto ovunque potremo essere e così spaesati fiutiamo odori morti inseguendo come certi tracce di senso soltanto illuso ogni qual volta ascoltiamo a occhi chiusi l’indifferente fruscio del tempo

47

sarà la notte nel punto più largo del suo cielo a ricordarci la distanza inavvicinabile che ci separa da noi stessi e da quella nostra nudità ancora invisibile ma sentita sulla pelle quando scendiamo dall’inganno che ci raccontiamo ogni qual volta contiamo l’infinito

48

l’invulnerabile cecità del vento scontra il corpo che ci accompagna a spasso di un’intenzione che gradualmente ci distoglie dall’origine remota di un pensiero avuto per intuizione e ceduto per sventatezza sepolto nelle ceneri della mente ma pur sempre presente come brace che attende aria per riattizzarsi e trasformarsi ogni qual volta

49

… risuona il silenzio…

50

.1.

Cerco un posto in cui restare, forse un silenzio che non sia attesa ma soltanto lento ascolto, oppure quieta riflessione che sappia costruire un senso nel tempo di una risposta. Cerco un posto in cui si possa svasare pensieri, sterrarne le radici e rinvigorirle di luce e aria per poi insediarle in nuove terre, che crescano e diano frutti dal sapore diverso per ogni labbra. Cerco un posto in cui la voce non sia urlo, ma libero commercio di sorrisi, semplice espressione di parole che sappiano misurare la distante vicinanza di un’altra voce. Cerco un posto in cui il cielo sia condiviso da ogni sguardo, e dove ogni sguardo sia allargato dalla costante meraviglia del respiro. Cerco un posto in cui risuoni il silenzio di Dio, per smentire lo stravagante delirio degli uomini.

51

.2.

Tenera veglia in morbida notte, che accoglie il sereno distendersi del tempo lungo i silenzi del mondo, che cicaleccia frondosi intenti incoraggiati dall’odoroso ondeggiare del vento. Aria sottile in largo cielo, dove galleggiano pensieri denudati nell’insolente maschera del buio, e si confondono a provvisori pentimenti che bruceranno alla luce del giorno. Docile immenso in sguardi immersi, e poi spersi in convenienti cecità, lontano traguardare per ignorare il gesto rasente del dolore che invoca attenzioni, cure e premure nel muto divincolarsi da una sofferenza posseduta per troppa verità. Oziosa dolcezza in tiepide speranze, che annoia e deruba istanti preziosi per porsi in prudente ascolto del tenue lamento del presente, che sarà futuro non appena la notte spegnerà i suoi sogni, e il giorno mostrerà i solchi reali dei morti trascinati via dalla nostra indifferenza, nel preciso istante in cui ci stancava l’incanto della luna.

52

.3.

Ci troviamo nel mezzo di mollicci perbenismi, di severi egoismi e gioconde carità. Che la realtà resti così com’è, a impasticciare questo mondo e a smentire la sua falsa intelligenza, e svirgoli il suo taglio di luce dentro quei volti ombrati dalla gogna di una vana esistenza caduta in terre inaridite da un sole disuguale, e da giustizie scritte a immagine e somiglianza dei figli taciuti da un dio rinnegato. Che si mostrino quegli occhi bruciati dal continuo scrutare i resti dell’abbondanza, e con audacia rinfaccino la digestiva sazietà del rimorso, e con quello stesso sorriso storpiato dal disuso, strappato per inadeguata misericordia, ora, vanifichino il medicamento dell’anima che la sazia coscienza racimola tra gli spiccioli della sua opulenza, e infine l’azzittiscano sussurrando l’infinita nenia della loro requiem.

53

.4.

I rumori del mondo sono come un bagnato di pioggia, che prima di asciugarsi sferraglia in ottusi ascolti. Adesso che la vita è distratta da un dolore confuso nell’orda di suadenti ipocrisie, le promesse untuosamente recedono, al punto che l’averle pronunciate coincide con la vaghezza di un intento lasciato a mezzo per sopraggiunto passatempo. Mai sapremo conservare il rimorso quel poco che basta affinché sia coscienza, e sempre lo impastiamo con amatoriali sofferenze che svaniscono al primo colpo di vento.

54

.5.

Nell’intimità di un pentimento potremo trovare rifugio bastante a nascondere le nostre vergogne, disciolte in docili attenuanti. C’è sempre tempo per la tristezza che abbonda nella fioritura di appuntamenti mancati per trascurata previsione, quando invece sarebbe occorso un pensiero in più, una cura attenta alla curva di uno sguardo che piega in diversa emozione, al proteso cavo di una mano, immenso recipiente per attigui universi altrui. La prossimità dell’altro non si misura in distanze, ma resta incastrata nel respiro affannoso di uno sguardo che invoca vicinanza, che reclama di essere guardato fin dentro alla ferita inferta dal gesto distratto dell’indifferenza. Dopo è tardi per il pentimento, ancora più tardi se le palpebre si abbassano e costringono gli occhi a terra.

55

.6.

L’azzurrità del cielo non ha eccessi, né angoli in cui svoltare, e si distende nell’aria che spazia nel tempo che occorre al viaggio per farsi meta, oppure inizio che principia o termina le possibilità nascoste delle cose poiché ogni passo calpesta l’inavvertito ciglio del futuro, mentre sempre indietro resta il giusto istante che senza garbo si rivela nel rimorso. È di conforto l’errore e la sapienza che ce lo mostra, ovunque ci sia fiato da appoggiarvi una parola che colmi la distanza per l’ascolto, e condivida la stessa aria che in un respiro congiunge l’attento sguardo che ci specchia e ci distingue, per pronunciare poi l’intimità di un nome proprio.

56

.7.

Siamo spettatori di noi stessi pur sempre compiaciuti dei nostri inganni, e spesso ci consoliamo nell’improbabile privilegio d’avere un’eternità a misura d’uomo. È guardando laggiù in fondo che cerchiamo storie che sappiano dirci il senso del tuo silenzio, per poi ascoltare la nostra voce inciampare su parole che affannate inseguono significati che ci raccolgono. Nelle notti che ti aspettiamo buttiamo lo sguardo tra una stella e un’altra. Il respiro è breve, ma si torna con pienezza di pace.

57

.8.

Finirà il tuo esilio dal nostro tempo che rintocca giorni persi in spese vane, consumati in accumulo di ore allontanate le une alle altre per distratta alacrità. Altrove ascolti, ma invece noi qui si sta ammutoliti di fronte a vicari eletti per tacito assenso dal tuo abbandono, e così ci disorienti, e incerti preferiamo confondere il tuo severo distacco per assenza, fors’anche inesistenza, lasciando che solitudine ammassi i suoi pensieri attorno al vuoto che gravita il tuo profondo disinganno. Se la tua dolcezza vorrà tornare, troverà di certo cuori induriti nell’attesa di capire il senso dei dolori inferti, e menti intontite per la sofferenza di non poterli attenuare.

58

.9.

Vorrei raggiungerti, non fosse che il mio viaggio rallenta ogni qual volta incrocia sguardi presi da paura e da innocenti sofferenze. Misericordia slunga il cammino, e chiede ragioni che il verbo non spiega, intento com’è ad arcuar sintassi per il lancio di concetti che dileguano nel tuo silenzio. A volte ci si ferma, si brandisce una carezza ad alleviare un dolore perché si dice che lì in fondo sta nascosto il tuo volto, ma è triste cercarti.

59

.10.

Pelle calda per un sole quieto, e vento dolce a tornire la mente in serene divagazioni, se solo si potesse schivare il gesto che indifferente nega il possibile stemperarsi del dolore, né mio né tuo, nostro o vostro, in respiri confusi in sguardi che guardando son guardati. E invece ci s’arrende, e si scende a distinguere di diversi orizzonti il comune percorso che sarebbe da insistere a passo svelto, mente lenta e pensieri discorsi, affinché andando ci sia un luogo da raggiungere, e quel luogo sia raggiunto soltanto quando affianco ci s’arrivi. Bisognerebbe dimenticare se stessi per ascoltare gli altri, davvero udirne la sommessa sofferenza o l’intimo conforto, e poi distendersi al sole sfiorati dal vento che porta ovunque l’evidente consapevolezza che vivere per chiunque è dono, non penitenza, che va rinnovato guardando l’essere guardati.

60

.11.

La notte non ha ali, se a volare è il gemito nascosto di un dolore lontano, d’altri sconosciuti, invisibile impudicizia che scava silenzi nel buio di sguardi a caccia di stelle. Non sapremo mai distinguerci nel puro estendersi del tempo, finché disattenzione prevarrà sull’innato senso di appartenenza, e insolente negherà l’evidente somiglianza delle nostre differenze. La nostra morte sta scritta nell’oscenità di uno sguardo distolto dal rantolo di un’implorazione, di una dignità offesa dall’ingiusta spartizione dei destini, che allarga le braccia e stringe disinteresse. Noi, qui, a guardare mondi di lacerate insicurezze come fossero recite distinte da un applauso finale, a uso di perbenismi, e di coscienze purificate nell’atto stesso di un’afflitta e distante condivisione.

61

.12.

Luna mattutina in un cielo che tace la mancata presenza di Dio, oppure la sua temporanea assenza che verrà il tempo per chiederne ragione. Adesso no, perché ciò che è fuori si trova ma ciò che è dentro si cerca, e in prossimità di un silenzio non c’è né dentro né fuori, soltanto limite oltre il quale le apparenze si confondono. Se non fosse per il sale del nostro dolore che scivola lento lungo il tempo che impieghiamo per pensare – disperatamente arrembando il senso che non ci è dato di sapere – potrebbe bastarci l’impercettibile scarto tra l’essere e il non-essere, e adagiarvi la mente appagata dal sogno intravisto. E invece s’arranca nel divenire che sdrucciola sulle cose che mai più si avranno.

62

.13.

Pronunciando parole di silenzio che la voce a volte trova tra gli scarti di un senso, ci s’appresta all’ascolto di realtà immigrate da linguaggi stranieri, o da orizzonti illusi dall’inerte angoscia di indicare percorsi certi alla ragione, che nel dubbio affanna la sua corsa. Così è per disperata intelligenza, o per inattesa negligenza, che il comprendere s’abbandona a stupore disegnando lo spazio del proprio limite, oltre il quale spinge la voce che domanda a Dio il conforto di quel sorriso che ci ha strappato dallo sguardo, d’improvviso, in un giorno di mutua consapevolezza, e l’ha rivolto altrove, in un luogo nascosto all’insolenza.

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… all’ombra di un risveglio

64

.1.

Tu, che forse mi guardi il sonno all’ombra di un risveglio affrettato con la stessa pienezza di un abbraccio che ti scivola il corpo verso l’incavo lasciato dal mio sonno sul tuo tempo, e scorri sul mio respiro distratto pensieri da me ignorati, per sempre sconosciuti, tu, ricordati di averti con me quando lascerò il sogno che ti sta guardando.

65

.2.

Ti tocco per sentirmi, e con leggerezza rispondi muta la conferma al mio esserti accanto, nel frattempo s’appressa l’incolore vaghezza di un’assenza che si consuma appena oltre al sentirmi da te toccato, e così tu guardi il mio stesso mondo ma l’orizzonte che io attraverso passa per paesaggi a te ignoti, mentre a mia volta trascuro per incoscienza che un altro cammino s’intride dei tuoi sospiri.

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.3.

L’attesa è il palmo di una mano protesa a raccolta di tempo, per questo ti penso in penombra, indulgente di parole offerte per un poco di attenzione, e cerco in te il gesto ampio del ricordo che un futuro sognato a due voci deve aver lasciato in questo punto del presente, quando tra noi di nuovo passa la cosciente certezza di esserci uniti, e seppur distinti di continuare a trovarci.

67

.4.

Ci si dissolve in parole dimenticando l’estensione dello sguardo, che porta domande fin dentro al silenzio scavato a dimora di un respiro condiviso, tenuto fermo a fior di labbra, affinché non disperda la giusta pretesa di appartenere all’aria, e all’aria assomigliarci quando si chiude il volo nella piana di un abbraccio.

68

.5.

La tenerezza non ha fretta, rasenta il tempo ma non gli appartiene e rallenta il formarsi dell’istante, quel suo impercettibile computarsi in ore, e poi in giorni e infine in anni, e allora guardo le tue dita percorrermi la vita, indugiare fin dove fa male anche solo un respiro, e ne assaggio l’inespresso medicamento che distilla la tregua invocata per sopraggiunta dolcezza, o abbandono, oppure soltanto accorto dormiveglia.

69

.6.

Portami via la noia, che albeggia sempre in ogni mio pensiero di compimento, e riempi le fessure del mio tempo con l’argilla dei tuoi battiti, così darai a me il senso che non trovo delle cose, il ritmo della loro durata, e dal tuo respiro saprò afferrare quel loro estinguersi in ogni istante che scorrendo consuma se stesso, e ciò che resta poco prima che giunga l’istante seguente.

70

.7.

Non finirà mai quella risposta alla mia breve domanda, quell’accordo lasciato dal tuo sguardo mentre si staccava dal mio, e si portava nel ventre dell’aria a disegnare nuvole interpretando gli orizzonti lasciati ai margini di un pensiero, disperso subito dopo averlo pensato, e poi tornato tra le mie mani strette attorno al dubbio dei tuoi fianchi, ondoso fremere di un’occasione, rimasta così, senza più alcuna ragione.

71

.8.

L’inconsueto movente che mi spinge a cercarti è la tua presenza, saputa per l’indovina imprudenza di un sogno che mi ha invaso disordinando la cupa apparenza di un mattino, che sia questo o uno qualsiasi di certo non incide di aggiuntive luci il ferimento delle nuvole, o l’ispessirsi tiepido dell’aria in scirocco soffiato dal tempo fino a qui, però altrettanto sicuramente affila il senso del deserto che percorro colmando la tua assenza.

72

.9.

La parole che mi hai detto è rimasta un po’ sospesa nel vuoto d’aria che s’è tirata dietro, poco prima che io l’afferrassi restituendotela avvolta in quel gesto, crudo, come la luce bassa di quest’autunno girato da un sole cadente, e in quel gesto trovasse spazio l’assurda ma condivisa convinzione dell’irrimediabile, dell’irrinunciabile compiersi dell’assoluto, appena prima che trovassimo assieme il senso nuovo di quell’altra parola, neppure mai detta.

73

.10.

Quantunque l’aria sia la stessa è il pensiero che ci divide, irrompendo diversamente uguale per poi sciogliersi nel breve spazio scavato nel buio che ci ascolta, e tace i nostri sguardi, i nostri corti significati lasciati a mezzo per l’interposta presenza di quel silenzio, prezioso rimasuglio di una tregua coltivata nella lenta ricerca di un posto in cui condividere l’unione dei tempi, nel tempo che ancora vorrà attenderci.

74

.11.

Luna chinata a dondolare questa notte che scende da oriente, e stende odori di lontane mietiture sulle ore appena trascorse, e occhieggia inargentate lingue sulla pelle delle cose. È tempo di adagiarsi ovunque vi sia un cielo per disciogliervi quell’attimo di serenità raccolto per caso, per distratta noncuranza, o cauto assestamento di un’idea pensata poco alla volta per troppa esattezza, ed eccessiva tenerezza. Così ci si perde, ma il cammino è leggero se è lo sguardo a navigarci sfarfallando le sue ipotesi, tra una sponda e l’altra di quest’infinito che s’allarga allorquando scordiamo di essere quaggiù in fondo, a confondere ragione e sogno. Ci capita a volte di raggiungerci, e sempre troviamo altre mani tra le nostre.

75

.12.

Oscillando tra fiducia e sospetto, vacilliamo attorno a noi stessi come fossimo distinti da ciò che siamo. Per questo con la punta dell’occhio ti prendo e mi mostro, e non ti nascondo la mia storia affinché tu riconosca ciò che di mio già possiedi. Se anche mi rubassi i giorni saprei raggiungerti ovunque tu vada, perché lo spazio è un battito che si distende attorno a un cammino, e il tempo è quel sogno che ne veglia i passi. Ci si allontana per unirsi, se c’è voglia di aspettarsi.

76

.13.

Lascia che ascolti il silenzio del tuo sorriso, e percorra lo spazio che ci separa scorrendolo con la punta delle dita fino a raggiungerti, per poi voltarmi a guardare ciò che di me è stato quando, solo, ho accolto questo viaggio che mi porta adesso nel tuo abbraccio, che vorrei risarcisse di quelli mancati il mondo intero, se solo i sorrisi passassero di bocca in bocca. Lascia allora che mi commuova davanti all’incuria di uno sguardo, mentre scavalca il solco di un pianto e insolente inghiotte la pena non vista, o forse soltanto estraniata per distrazione, svogliatezza, per indulgente disinteresse. Eppure io stesso di fronte al tuo essermi accanto dimentico la gioia disgiunta del dono, la sua aleatoria consistenza, e perciò ugualmente non m’accorgo dell’andamento triste del mondo anche per mia incosciente ignavia, quando invece dovrei saper amare attraverso te le sofferte assenze dell’esistenza, e provare a portare questo tuo sorriso a condivisa essenza del vivere, raccontando piano che il patimento è straziante, ma l’ignoranza è triste.

77

.14.

Io posso leggerti la mente, raccogliere i tuoi pensieri tra i miei e portarli tutti con me fino a quando non saprò confondermi nella prossimità che ci distingue. Non c’è spazio che ci separi, soltanto tempo a ricordare i differenti cammini iniziati altrove, partenze incespicate e forse arrivi perduti, senz’altro viaggio se non il lento muoversi dello sguardo che cerca nell’ombra il profilo di una tenerezza. Non c’è più gioia a urlare futuri inseguiti con le mani, sfuggiti in gesti rabbrividiti per eccesso di realtà, quando fantasia s’allunga nell’insonnia di un sogno a un certo punto dormito, e poi svegliato una mattina scivolata sull’aria fredda di una meta disegnata in solitudine. Sarà per distrazione che ci si perde, e si preferisce il silenzio di un ricordo alle occasioni di un passeggio. Sarà per stanchezza che ci si basta.

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.15.

Potessi aprirti la porta della mia mente, e darti la mano per farmi accompagnare lungo le mie strade che cammino, ritrovo e smarrisco ancora e ancora, ingarbugliando la mia vita di significati incerti, aperti fin tanto che il pensiero può abbracciare il sentimento che glieli ha indicati, e spesso chiusi per fiacchezza… Allora potrei mostrarti il deserto che lì abito, e la mia tenda, eretta in un giorno di silenzio fermato da una domanda sbagliata, e poi corretta quell’attimo che azzittendola l’ha interrogata. In quella tenda vorrei portarti, per farti ascoltare la dolcezza del mondo quando nessun giudizio ne increspa il respiro, e con leggerezza si sfoglia nel tempo che non dura, ma accontenta il senso di essere. Nelle notti di bufera, mentre fuori il mondo rotola le sue angosce, da quella tenda potresti anche sentire la calma dell’aria, che spolvera la sabbia in un canto di pensieri che disegnano l’orizzonte per il giorno dopo.

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Nel tempo andiamo inciampando nel senso ogni qual volta risuona il silenzio all’ombra di un risveglio

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