Picasso e la coda del desiderio.

July 9, 2017 | Autor: Raffaele Pinto | Categoría: Pablo Picasso
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Descripción

Raffaele Pinto - Universitat de Barcelona



Picasso e la coda del desiderio.


Si è cercato di spiegare il cubismo con la matematica, la
trigonometria, la chimica, la psicoanalisi, la musica, e non so con che
altra cosa ancora. Tutto ciò non è stato che letteratura, per non dire
'non senso', ed ha portato al cattivo risultato di accecare la gente
con delle teorie[1].

L'idea che le teorie accechino può rappresentare un utile pretesto
ermeneutico per una nuova riflessione sul temperamento estetico di Picasso,
che giustifichi la persistenza della sua validità nel contesto culturale
odierno.
Sembra logico infatti dedurre, dall'assioma sull'annullamento
teoretico della luce ("accecare la gente con delle teorie"), l'assioma
opposto, che solo la prassi illumini, e che la visione sia quindi in se
stessa prassi, vitalmente necessaria, forse, come lo sono gli occhi
all'esistenza fisica delle persone. Il paradosso ideologico di tali tesi
apparirà subito nella sua scandalosità appena si pensi che la tradizione
filosofica occidentale ha identificato la filosofia con la luce, cioè il
pensiero con la visione, come dimostra il fatto che praticamente tutti i
termini che descrivono il fenomeno della astrazione rinviano al campo
semantico della visibilità: idea, speculazione, riflessione... Il concetto
stesso di forma, così essenziale nella antica filosofia, prima di divenirlo
nell'arte moderna, sarebbe impensabile senza il riferimento trascendentale
ad un approccio visivo al reale. La rivoluzione estetica di Picasso
consiste dunque innanzitutto in una inversione del rapporto analogico fra
il pensiero astratto (le teorie) e la luce, il che spiega la sua viscerale
avversione ad ogni formalismo codificato: vedere significa, per l'artista,
eliminare il diaframma teorico (razionale e letterario) che, come uno
schermo, ci impedisce di percepire il mondo. Il paradigma platonico di una
luminosità che coincide con l'idea e rivela la forma, è esattamente
rovesciato in un paradigma (picassiano, nel suo radicalismo) di una
luminosità che coincide con la sensibilità più primaria, anteriore, quindi,
a qualunque astrazione. In parole sue,

l'arte non è l'applicazione di un canone di bellezza, ma ciò che
l'istinto e il cervello possono concepire indipendentemente da ogni
canone[2].

E la sua pittura è leggibile appunto come ricerca puntigliosa della
percezione autentica, che lungi dal darsi nella ingenuità di un rapporto
spontaneo con le cose, deve essere faticosamente raggiunta attraverso la
decostruzione della impalcatura teorica ed ideologica che le offusca.
Pragmatismo, quindi, inerente alla visione ed interno alla percezione. La
visibilità appare allora come espressività essenziale, svelamento
traumatico del mondo e scoperta del suo vero volto, così occulto alla
sensibilità convenzionale da risultare irriconoscibile nella fedele
restituzione, ad opera dell'artista, delle sue patologiche distorsioni.
Ma cosa può significare l'assioma dell'accecamento prodotto dalla
razionalità teorica sul piano, che ora ci riguarda, della invenzione
letteraria? Se la razionalità si manifesta, nell'arte, come teoria, sotto
quale veste essa si presenta nel linguaggio? In altri termini, qual è la
funzione di occultamento e mistificazione che nel testo letterario oscura
il significato delle parole? È ancora il pittore che ci viene in aiuto, con
la lucidissima coscienza del significato estetico delle sue invenzioni
letterarie. All'intervistatore impertinente, che gli rimprovera gli errori
di ortografia che apparentemente intorbidano la sua scrittura, risponde:

Ebbene? Dagli errori si conosce la personalità, hombre! Se mi mettessi
a correggere gli errori di cui mi parli, per accordare le parole con
regole che non hanno nulla a che vedere con me, ciò che è mio si
perderebbe nella grammatica che non ho mai assimilato; preferirei
inventarne una per la mia fantasia, piuttosto che costringere le mie
parole in un ordine che non mi è proprio[3].

La grammatica è al linguaggio ciò che le teorie sono all'arte, e
come la visione deve liberarsi della razionalità astratta che la acceca,
così la voce deve liberarsi delle regole astratte che la ammutoliscono. Il
percorso decostruttivo che condurrà il poeta a riconoscere il proprio
bisogno espressivo e a praticarlo in una concretissima produzione testuale,
passa attraverso la sospensione dei principi grammaticali che rendono
inautentica la lingua, alienando la parola ("costringere le mie parole in
un ordine che non mi è proprio"). L'errore diventa così il segno del suo
stile, cioè della verità essenziale di Picasso, la cifra individuale che
personalizza il discorso rendendolo, come la sua pittura, inconfondibile.
Si capisce allora come mai sulla sua pagina la distorsione apparentemente
arbitraria dei significanti produca lo stesso effetto di folgorazione
espressiva che la distorsione delle forme produce sulle sue tele. Una volta
eliminato l'ordine inautentico che la grammatica impone al linguaggio, le
parole finalmente fluiscono secondo la logica necessaria ed essenziale che
la vita e la storia assegnano loro, in una miracolosa scoperta delle
sorgenti originarie, cioè fantastiche, del significato. In tale recupero
prerazionale (e quindi vichiano, si sarebbe tentati di glossare) della
radicale poeticità del linguaggio, la scrittura del pittore si mostra
immediatamente come terreno privilegiato per la sperimentazione
interlinguistica ed interculturale, giacché l'espressivismo agrammaticale
dell'artista carica la sua parola di una densità semantica e comunicativa
che è già, potenzialmente, ponte gettato fra culture linguistiche diverse.
14-17 gennaio del 1941. Parigi. La guerra, l'occupazione nazista, il
freddo, la fame[4]. La scoperta della parola (parola teatrale, gesto
verbale quindi, parola detta e sofferta) si produce entro esatte e dolenti
coordinate esistenziali, che affiorano nel testo innanzitutto attraverso le
ipostasi che sfilano, come personaggi di una psicomachia medievale, sul
paesaggio onirico che funge da palcoscneico: Piedone, Cipolla, La torta,
Punta rotonda (metafore oscenamente vaganti fra la sessualità e la
gastronomia), il Silenzio, le Angosce (allegorie di un dolore
materializzatosi fino a divenire persona). Il desiderio preso per la coda
solo controvoglia si lascia classificare dall'etichetta del surrealismo. E
sebbene siano riconoscibili nella pièce le suggestioni di Breton e
Apollinaire (nello stile di scrittura "automatica"), e più sottilmente
quelle di Jarry e Lorca (nel sarcasmo della critica ideologica), essa vuole
essere letta, soprattutto, secondo la logica che il titolo spudoratamente
indica, la logica di un desiderio afferrato per la sua appendice
posteriore, la coda: metafora fallica, ovviamente, ma di una fallicità
degradata e farsesca, molto più prossima agli stimoli impronunciabili che
provengono dalle funzioni gastriche ed escrementizie, che non a quelli,
nobilmente e letterariamente atteggiati, che provengono dalle funzioni
sessuali primarie. Se una sessualità è oscenamente al centro del discorso,
non è certo quella alimentata dall'erotismo misticheggiante e perbenistico
dell'immaginario visivo, ma bensì quella, posteriore appunto, e quindi
sottratta alla visibilità, degli odori e dei sapori, tanto difficile da
pronunciare quanto misteriosa da vedere. E abbiamo allora il primo
paradosso del testo: i personaggi non sono persone, ma odori e sapori, che
restituiscono al corpo la sua sensorialità essenziale (che la forma
personale della metafisica occidentale ha da sempre negato). I corpi di
Picasso sono corpi sentiti dai sensi inferiori (e non visti e uditi dai
sensi superiori) e quindi disgregati nel polimorfismo delle loro pulsioni.
E ciò vale forse per la sua pittura non meno che per la sua letteratura. Si
osservi, in questo monologo di desiderio della Angoscia magra che contempla
il corpo addormentato del suo amato Piedone, il passaggio progressivo dalle
metafore visive e uditive a quelle olfattive e gustative, in un crescendo
di sensualità che si conclude con la evocazione di una fisicità
integramente abitata dall'impulso:

È bello come un astro. È un sogno ridipinto a colori d'aquarello su una
perla. I suoi capelli hanno l'arte degli arabeschi complicati delle
sale del palazzo dell'Alambra e la sua cera ha il suono argentino della
campana che suona il tango della sera alle mie orecchie amorose. Tutto
il suo corpo è penetrato dalla luce di mille lampade elettriche accese.
I suoi calzoni sono gonfi di tutti i profumi d'Arabia. Le sue mani sono
trasparenti gelati alla pesca e al pistacchio. Le ostriche dei suoi
occhi racchiudono i giardini pensili sospesi a bocca aperta alle parole
dei suoi sguardi e il color di salsa all'aglio che l'avvolge diffonde
una luce così dolce sul suo petto che il canto degli uccelli che si
sente vi si appiccica come un polipo all'albero del brigantino che,
nelle risacche del suo sangue, naviga a sua somiglianza.

I momenti di più prepotente sinestesia sono facilmente
identificabili: "i calzoni gonfi di profumi", "le mani... trasparenti
gelati alla pesca e al pistacchio", "le ostriche dei suoi occhi", "il color
di salsa all'aglio", "Il canto degli uccelli si appiccica come un polipo
all'albero del brigantino". Ma è tutto il brano, e poi l'intero testo, che
in ogni suo snodo discorsivo e drammatico abbatte le barriere grammaticali
fra i campi semantici e distrugge i limiti etici fra le differenti zone
della sensibilità, intese tutte come fondamentalmente erogene, poiché il
desiderio le attraversa come se tutte appartenessero alla sua giurisdizione
simbolica ed espressiva. Ma la finalità, o il risultato, di questa libera
circolazione del desiderio attraverso il corpo è la ricostruzione,
attraverso la voce che funge da personaggio, di una diversa e più vera
essenza personale, percepita nella globalità dei suoi rapporti col reale e
quindi in una superiore dimensione di autonomia. L'Angoscia verbalizza
infatti, nella prospettiva del desiderio, la descrizione di un corpo
sentito nella palpitante vitalità ed integrità delle sue parti.
Non deve perciò sorprendere, di questo rimontaggio erotico della
personalità, il fatto che le premesse esistenziali del testo siano
l'indigenza e la fame, il dolore e le ferite della guerra. Al contrario,
solo quando è stretto dalla morsa della necessità, l'io può riaggregarsi e
ricostruirsi attorno al desiderio. Il personaggio che enuncia le frasi ora
citate si chiama Angoscia, cioè dolore, e la sposina-prostituta che fa da
protagonista femminile della storiella sentimentale che il testo racconta,
la Torta, nel suo penultimo intervento così descrive l'epifania dell'amore:

Ho incontrato l'amore, sapete. Ha le ginocchia scorticate e chiede
l'elemosina di porta in porta in porta. Non ha più soldi e cerca un
posto di controllore d'autobus in periferia...

La realtà ultima del dolore umano è quindi non solo ben presente e
perfettamente riconoscibile nel testo (come daltronde lo è sempre nella
pittura dell'artista); essa è anche condizione espressiva ed etica perché
il desiderio possa essere assunto come principio di rappresentazione
La coda del desiderio è dunque l'esistenza umana posteriore, cioè
residuale ed autentica, divenuta per qualche istante (la durata della
pièce) legge fisica dell'espressione. Suo corollario è la denuncia della
inautenticità della sessualità convenzionale, quella che la letteratura
codifica come primato della genitalità, la quale ha storicamente svolto la
stessa funzione accecante delle teorie rispetto all'arte e della grammatica
rispetto al linguaggio. In una foucaultiana intuizione del significato
fondamentalmente repressivo che la sessualità ha svolto nella cultura
occidentale, Picasso ha rappresentato, ante litteram, l'amputazione della
sensibilità che la genitalità rappresenta. Il corpo, apparentemente
disgregato nella materialità degli istinti (che si incarnano nelle voci del
testo), in realtà si affranca da un desiderio inteso come pura fallicità, e
si diffonde centrifugamente sul mondo seguendo il libero gioco delle
pulsioni. Tale percorso all'indietro verso le fonti della vita ci appare
oggi come il miracoloso recupero di una essenza umana sempre più sbiadita
dalle nebbie virtuali del postmoderno. Con l'integrità del corpo è infatti
la dignità della persona che viene riscattata dalle macerie morali della
guerra, in tutta la fragilità e la nobiltà della sua natura. Miracolo della
poesia, che nell'ora più buia del XX secolo è riuscita a strappare una
scintilla di vita a una cultura morente.




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[1] Cfr. Marius de Zaya, Picasso speaks, in "The Arts", New York, maggio,
1923. Cito da Mario De Micheli, Postfazione a Pablo Picasso, Il desiderio
preso per la coda.
[2] Cfr., Chistian Zervos, Conversation avec Picasso, in "Cahier d'Art",
Paris (cito da Mario De Micheli, Postfazione...
[3] Jaime Sabartés, Buon giorno Picasso, Mastellone, Milano 1953.
[4] Sulle condizioni in cui Picasso compose il testo, cfr. Josep Palau i
Fabra, Picasso autor teatral, introduzione a Pablo Picasso, El desig agafat
per la cua i les Quatre nenes, Edicions 62, Barcelona, 1989. L'ultima
battuta contestualizza drammaticamente l'opera: "Lanciamo con tutte le
nostre forze i voli delle colombe contro le pallottole e chiudiamo a doppia
mandata le case demolite dalle bombe".
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