Per sempre accanto al suo dio: la sepoltura di una menade tebana vicino al teatro di Magnesia al Meandro (Inschr. v. Magnesia, 215)

July 19, 2017 | Autor: Paola Lombardi | Categoría: Ancient Greek Religion, Ancient Greek Epigraphy
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Scienze dell’antichità Storia Archeologia Antropologia

14/1 (2007-2008)

Università degli studi di Roma «La Sapienza»

Dipartimento di scienze storiche archeologiche e antropologiche dell’antichità

Direttore responsabile Gilda Bartoloni Direzione M. Barbanera, B.E. Barich, G. Bartoloni, G.M. Forni, G.L. Gregori, M. Liverani, P. Matthiae, L. Michetti, L. Nigro, C. Panella Segretaria di redazione I. Brancoli Verger

Università degli studi di Roma «La Sapienza»

ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE

SEPOLTI TRA I VIVI BURIED AMONG THE LIVING Evidenza ed interpretazione di contesti funerari in abitato

Roma, 26-29 Aprile 2006

A cura di Gilda Bartoloni e M. Gilda Benedettini

Paola Lombardi Per sempre accanto al suo dio: La sepoltura di una menade tebana vicino al teatro di Magnesia al Meandro (Inschr. v. Magnesia, 215)

Il mio intervento* sarà costruito intorno all’interpretazione di una delle iscrizioni più interessanti di Magnesia al Meandro, testo noto da oltre un secolo1. Prima di affrontare l’analisi del documento è necessario però premettere alcune considerazioni di carattere storicoarcheologico su Magnesia. La storia urbanistica di Magnesia è complessa2: ciò che è certo è che ci fu una Magnesia, fondata in età arcaica, che Strabone (Geogr., 14, 647-648) definisce polis Aiolìs (in quanto fondazione dei Magneti di Tessaglia) e riguardo alla quale ricorda «Lì era il santuario della Meter Dindymene, la Madre degli dei il cui sacerdozio sarebbe stato ricoperto secondo alcuni dalla moglie, secondo altri dalla figlia di Temistocle. Oggi il santuario non c’è più perché la città si è spostata in altro luogo». Questa seconda Magnesia, posta nella pianura di fronte al monte Thorax, era ancora definita, ai tempi di Strabone, «epì maiandro, anche se» – osserva ancora il Geografo – «è molto più vicina al Lethaios che al meandro». In effetti i resti della città, attualmente esistenti (fig. 1), sono nella piana a N/E del monte Thorax, lungo la sponda meridionale del Lethaios, ed invece ad una quindicina di km dal Meandro. Marchese3 ipotizza che la prima Magnesia fosse più a sud, forse alla confluenza dei due fiumi. Altre informazioni relative alla prima Magnesia sono contenute in un importante documento epigrafico di età ellenistica4 e in un frammento di Conone (FGrHist, 1, 26, T 29): la migrazione dei Magneti dalla originaria Tessaglia verso l’Asia sarebbe avvenuta al ritorno dalla guerra di Troia, in base all’oracolo delfico, con tappe attraverso Delfi e Creta. Si ricordano ancora, nelle fonti relative alla prima Magnesia, i momenti critici dell’età arcaica: invasione di Gige, dei Cimmeri, poi dominio di Mileto fino al controllo della Persia, ricordato da Erodoto (Hist., 1, 161), controllo che di fatto fece

* L’idea di approfondire lo studio del testo in questione nasce da un lavoro seminariale sulle figure femminili nei miti e nel culto di Dioniso, svolto nell’anno accademico 2004/05 con studenti della laurea specialistica e con la partecipazione attiva del dottore di ricerca Giulio Vallarino. 1   Kern 1900, 215.

2

 Alla bibliografia citata da Bürchner 1928, s.v., coll. 471 s., si aggiunga: Marchese 1986, pp. 124 ss.; Bingöl 1990, pp. 63-67; Bingöl 2005, pp. 165-169. 3   Marchese 1986, p.139. 4   Kern 1900, 17; vd. in proposito le osservazioni di Dušanic´ 1983, pp. 11-48.

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Fig. 1. – Pianta di Magnesia (da Kern 1900).

transitare la città nella sfera di influenza ateniese, dato che fu proprio il re persiano Artaserse a «donarla», come governatorato, a Temistocle che lì sarebbe morto (Tucidide, Bell. Peloponn., 1, 138, 5)5. Sta di fatto che tra il 454/3 e il 425/4 è nella Lega marittima delio-attica6. Al momento della campagna del generale lacedemone Thibrone in Asia nel 400 a.C., si data lo spostamento della città, per ragioni di sicurezza, più lontano dal Meandro e più vicino al Lethaios, ai piedi del monte Thorax (Senofonte, Hellen., 4, 8, 7; Diod. Sic., Bibl. Histor., 14, 36). Questo spostamento fu forse motivato anche dall’intento di avvicinarsi e prendere possesso, in certo senso, del territorio pertinente al santuario della Leukophrys, santuario di origine indigena, comune alle genti Carie. In effetti, tutta la sistemazione urbanistica della città si può dire che è in funzione del santuario, l’agora stessa viene costruita in posizione tangente al santuario7 che era considerato già dagli antichi la struttura più notevole della città. È a quest’ultimo che è legata la vera fama e fortuna di Magnesia a partire dal momento in cui ottiene il riconoscimento, 5

  Sulle vicende di Temistocle a Magnesia vd. Le1978. 6   Meritt et al. 1939, pp. 336-337, ove compare

nardon

come Maiavndrioi. 7   Bingöl 1995.

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praticamente in tutto il mondo greco ellenistico, delle Leukophryenai, feste di Artemis Leukophryene8 come isopitiche e l’asylia per se stessa. Le feste erano state istituite dai Magneti, in seguito ad una epiphania della dea, in forma locale nel 221/0 mentre nel settembre del 208/79 si sarebbe svolta la prima celebrazione panellenica delle Leukophryenai che detengono, secondo Wörrlle10, il primato di più antica festa isopitica dell’Asia Minore. Ad Artemis è dedicato allora il grande tempio opera di Hermogenes11. È a partire da questo momento che il numero delle iscrizioni di Magnesia cresce in modo esponenziale, cosa che va tenuta presente per l’esegesi del nostro documento12. In particolare, tutti i documenti di riconoscimento delle Feste e della asylia per la città e il territorio tappezzano le pareti dell’agora. A 100 m circa a sud dell’agora è il teatro. Per quanto riguarda tale costruzione, cui è collegata in modo particolare la nostra iscrizione, Dörpfeld13 individuò tracce di strutture in poros che si daterebbero al momento della fondazione di IV secolo. Secondo la De Bernardi Ferrero14 tali strutture potrebbero essere un presunto auditorium, mentre il vero e proprio teatro sarebbe quello la cui kataskeuhv viene ricordata come atto di evergetismo di un certo Apollophanes in due decreti che si datano tra la fine del II secolo e il 160 a.C.: in onore di Apollophanes si decreta di erigere un’immagine di bronzo nel luogo più in vista del teatro: ejn tw'i ejpifanestavtwi tovpwi tou' qeavtrou15. Ma già un decreto dei Magneti, rinvenuto a Priene, datato intorno al 200 a.C.16 attesta non solo l’esistenza del teatro come luogo di collocazione del decreto onorario, ma anche l’esistenza delle Dionisie, nel corso delle quali gli onori venivano proclamati (ll. 15 s.). Anche secondo i più recenti studi su Magnesia17 la prima costruzione in poros (das sog. «Theatron»), non sarebbe stata progettata con funzione di teatro ma esclusivamente per rappresentazioni di carattere cultuale. Sembra comunque che una vera e propria monumentalizzazione dell’edificio non sia mai stata completata. La struttura era certamente, come è di norma per i teatri greci, connessa o piuttosto inclusa nel santuario del dio: un cippo18 8

 Il culto della dea era già vivo in età classica: Pausania (1, 26, 4) ne vede sull’acropoli di Atene una statua che sarebbe stata dedicata dai figli di Temistocle. 9  Gli eventi che hanno portato all’istituzione della festa sono narrati nell’epigrafe Kern 1900, 16. La datazione al 208/7 della I celebrazione panellenica (rispetto al 206/5 che era sostenuta da Kern) è il risultato di una revisione del testo da parte di Ebert 1982, pp. 198 ss., che è stata poi unanimemente accettata: così Dušanic´ 1983, nota 200; Rigsby 1996, p. 185 s., n. 66 (che prende in esame, alle pp. 179-279, l’intero dossier dei documenti) e Lefèvre 2002, n. 100. 10   Wörrlle 2000, p. 160 11   Sui problemi connessi con la figura di questo importante architetto e la sua collocazione cronologica vd. Hoepfner - Schwandner 1990. 12   Se manca infatti totalmente materiale epigrafico delle età arcaica e classica, a causa dello spostamento della città, anche per il IV secolo bisogna dire che i documenti conservati sono molto pochi (vd. in proposito Kern 1900, p. XXIX).

13

  Dörpfeld 1894, pp. 65-92, in particolare p. 89 s.  In De Bernardi Ferrero 1970, pp. 99 ss., in particolare per la cronologia p. 103 s. 15   Kern 1900, 92b, ll. 9-15: dedovcqai tw'i dhvmwi∕: ejph/nh'sqai me;n ∆Apollofavnhn ∆Apollofavnou ejpi; th'i proairevsei h}n e[scen ∕ eij" th;m patrivda, sth'sai de; aujtou' kai; eijkovna calkh'n ejn tw'i ejpifanestavtwi ∕ tovpwi tou' qeavtrou kai; eijskhruvssesqai aujto;n ejn toi'" ajgw'sin kaqovti kai; oiJ ∕ a[lloi eujergevtai: to; de; ajnavlwma to; ejsovmenon eij" th;n eijkovna uJphreth'sai Dhmhv ∕trion ejk tw'n povrwn tw'n ajpotetagmevnwn eij" th;n kataskeuh;n tou' qeavtrou ∕ tw'm proseyhfismevnwn:. 16   Inschr. Priene, 61, in onore di giudici inviati da Priene a Magnesia: kai; stefaºnw'sai aujtou;" ejn tw'i qeavtrwi toi'" provtoi" Dionusivoi". 17   Questo ribadisce Bingöl 2005, pp. 165-169. Le varie fasi costruttive erano state esaminate già dallo stesso autore precedentemente: Bingöl 1991, pp. 17-21. 18   Kern 1900, 233. 14

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(fig. 5), che Kern data, dal punto di vista paleografico, al I secolo a.C., con la scritta o[ro" iJerou', rinvenuto nel 189419 come pilastro della porta meridionale del corridoio centrale del teatro, lo attesta chiaramente. Di queste necessarie premesse di carattere storico-archeologico si deve tener conto nell’esaminare le iscrizioni più da vicino. L’iscrizione A è incisa su una stele alta m 1,40 e larga m 0,57 con un testo di 41 righe e fu rinvenuta accanto ad una base/altare che aveva, sul piano superiore, il foro in cui essa si inseriva; sulla base/altare è l’iscrizione B. La prima pubblicazione dell’epigrafe A fu ad opera di S. Reinach20, che si basò sull’analisi di un calco del documento inviato dall’Ispettore alle antichità locali D. Baltazzi21. La stele è stata poi ritrovata nel 1978 nel Museo Archeologico di Istanbul, da A. Henrichs22 che ha ristudiato il documento fornendo altresì una foto dell’originale (riprodotta in fig. 2). Della base/altare si sono invece perse le tracce in quanto rimasta a Magnesia e, a quanto dice Kontoleon, rotta dagli operai al momento del ritrovamento23. Si ha fortunatamente un apografo dell’iscrizione B (qui riprodotto in fig. 3) effettuato da Hiller von Gaertringen prima della rottura24. La base e la stele sarebbero state ritrovate nel 1890, prima cioè dell’inizio degli scavi che hanno prodotto il volume di Inschriften di Kern, «dans un ravin» a S/O del teatro (fig. 1), secondo l’indicazione fornita dal Baltazzi nell’inviare copia del documento a Reinach. Kern ipotizzò invece che il luogo di provenienza fosse a circa m 500 ad ovest del complesso agora-teatro, nella zona ad ovest del cosiddetto ginnasio romano dove egli colloca anche un Dionysostempel25. In realtà le ipotesi di Kern si basavano sul ritrovamento, in quella parte della città, di un’iscrizione che menziona un’associazione dionisiaca di età imperiale, quella dei Klytidai26 e sull’idea che anche la nostra iscrizione si riferisse ad un’associazione privata. Ma la nostra iscrizione fa riferimento, come si vedrà, al culto cittadino del dio e non ad un culto privato. Quanto poi all’identificazione del luogo dell’iscrizione dei Klytidai con un tempio di Dioniso, io credo invece che, come per es. ad Efeso, si trattasse della sede dell’associazione27. Quindi, per concludere, le nostre iscrizioni provengono dal vallone a S/O del teatro. Il testo delle due iscrizioni, basato su Kern e controllato sulla foto fornita da Henrichs (per quanto concerne il documento A) e sull’apografo di Hiller von Gaertringen (per il documento B), è il seguente: 19

  Hiller von Gaertringen 1894, p. 44, n. 46 e Dörpfeld 1894, p. 67. 20   Reinach 1890, pp. 349-361, ove è riprodotta la foto del calco, nella tav. accanto alla p. 354. La prima segnalazione del testo delle due iscrizioni era stata data da Kontoleon 1890, pp. 330-332. Altra bibliografia è citata in Kern 1900, 215. 21  Il calco, all’epoca di Reinach, era conservato nella Biblioteca del Musée Saint-Germain. 22   Henrichs 1978, pp. 121-160; Henrichs indica anche i dati relativi alla collocazione nel Museo (p. 126, nota 10): Inv. n. 3083 - Room I, central block,

wall 3; foto n. 10430. 23   Kontoleon 1890, p. 332. 24   Hiller von Gaertringen 1891, p. 249. 25   Kern 1900 esprime tali conclusioni sia nell’edizione vera e propria del testo, sia soprattutto in Kern 1895, pp. 79-101. Il presunto tempio di Dioniso è indicato, nella pianta riprodotta in fig. 1, con il n. 4. 26   Kern 1900, 117. 27   Inschr. Eph., 4, 1267, del II secolo d.C.: base di immagine di Dioniso pro poleos Oreios Bacchios nella casa di Furios Aptos che è sacerdote del dio.

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∆Agaqh'/ Tuvch/ ∆Epi; prutavnew" ∆Akrodhvmou tou' Dioteivmou oJ dh'mo" oJ Magnhvtwn ejperwta'/ to;n qeo;n peri; tou' shmeivou tou' gegonovto" o{ti platavnou kata; th;n povlin klasqeivsh" uJpo; ajnevmou euJrevqh ejn aujth'/ ajfeivdruma Dionuvsou, tiv aujtw'/ shmaivnei h] tiv a]n poihvsa" ajdew'" diateloivh: di∆ o}n qeoprovpoi ejpevmfqhsan ij" Delfou;" ÔErmw'nax ∆Epikravtou" ∆Arivstarco" Diodwvrou. qeo;" e[crhsen: Maiavndroio lacovnte" ejf∆ u{dasin iJero;n a[stu Mavgnhte" kteavnoi" ejpamuvntore" hJmetevroisin, h[lqete peusovmenoi stomavtwn ajp∆ ejmei'o, tiv" uJmei'n mu'qo", ejpei; bavkco" qavmnw/ e[ni keivmeno" w[fqh. ejxefavnh de; e[ti kou'ro", ejpei; ptolivaiqra tiqevnte" nhou;" oujk wj/kivssat∆ eju>tmhvtou" Dionuvsw/. ajlla; kai; w{", w\ dh'me megavsqene", i{drue nhou;" qursocarou'": iJerh'a tivqei de; eujavrtion aJgnovn: ejlqevte de; ej" Qhvbh" iJero;n pevdon, o[fra lavbhte Mainavda", ai} geneh'" Eijnou'" a[po Kadmheivh": ai} d∆ uJmei'n dwvsousi kai; o[rgia kai; novmima ejsqla; kai; qiavsou" Bavkcoio kaqeidruvsousin ejn a[stei. kata; to;n crhsmo;n dia; tw'n qeoprovpwn ejdovqhsan ejk Qhbw'n Mainavde" trei'" Koskw; Baubw; Qettalhv, kai; hJ me;n Koskw; sunhvgagen qivason to;n Platanisthnw'n, hJ de; Baubw; to;n pro; povlew", hJ de; Qettalh; to;n tw'n Kataibatw'n: qanou'sai de; au|tai ejtavfhsan uJpo; Magnhvtwn, kai; hJ me;n Koskw; kei'tai ejn Koskwbouvnw/, hJ de; Baubw; ejn Tabavrnei, hJ de; Qettalh; pro;" tw'/ qeavtrw/.

Fig. 2. – Foto dell’iscrizione A (da Henrichs 1978, tav. accanto a p. 124).

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B) Qew'/ Dionuvsw/ ∆Apollwvnio" Mokovllh" ajrcai'o" muvsth" ajrcai'on crhsmo;n ejªpi;º sthvlh" ajnagravya" su;n tw'/ bwmw'/ ªajnºevqªhºken Fig. 3. – Iscrizione B: apografo di Hiller v. Gaertringen (da AM 1891, p. 249).

A) Alla Buona Fortuna. Sotto la pritania di Akrodemos f. di Diotimos, il demos dei Magneti interroga il dio riguardo al segno che è avvenuto dopo che, colpito dal vento un platano in città, fu trovata al suo interno un’immagine di Dioniso, (chiedendo) che cosa significhi ciò o facendo che cosa facilmente si possa far compiere il disegno. Per questo furono inviati a Delfi come theopropoi Hermonax f. di Epikrates e Aristarchos f. di Diodoros. Il dio vaticinò: Voi che avete avuto in sorte la sacra città presso le acque del Meandro, o Magneti difensori delle nostre sostanze, veniste presso le mie bocche per sapere quale disegno ci sia per voi, dato che fu visto, in una spaccatura, Bacchos giacente. Apparve ancora fanciullo poiché voi, pur avendo fondato una città fortificata, non costruiste per Dioniso templi ben tagliati; ciò non di meno, o popolo magnanimo, innalza templi che si deliziano del tirso. Nomina un sacerdote, ben adeguato, puro. Andate alla sacra piana di Tebe, per prendere Menadi, della discendenza di Ino Cadmea , che vi daranno i sacri strumenti e le norme giuste e istituiranno in città thiasi di Bacchos. Conformemente all’oracolo, per mezzo dei theopropoi, furono assegnate da Tebe 3 Menadi – Koskò, Baubò e Thettalè; e Koskò riunì il thiasos delle Plataniste, Baubò quello propoleos e Thettalè quello delle Kataibatai. Una volta morte furono sepolte dai Magneti e Koskò si trova nel «Tumulo di Koskò», Baubò a Tabarne e Thettalè vicino al teatro. B) Al dio Dioniso. Apollonios Mokolles, mystes di antica associazione, ha dedicato l’antico oracolo, dopo averlo ricopiato su una stele e anche l’altare. Fermo restando il fatto che, dal punto di vista archeologico, la storia di Magnesia per noi non esiste prima del IV secolo a.C., è importante analizzare il documento epigrafico di cui ci occupiamo, nella sua struttura, formale e di contenuti, per tentare di individuare le circostanze alle quali collegarlo e spiegare le vicende di queste 3 menadi di cui a Magnesia, in età imperiale, si conoscevano i luoghi di sepoltura, uno dei quali almeno, quello di Thettalè, in pieno centro pro;" tw'/ qeavtrw/. Le due iscrizioni, così come sono giunte a noi, sono state scritte certamente in buona età imperiale, direi I metà II secolo d.C.28: si notino la curvatura del N, la forma di S, K e W (particolare delle ll. 17-19 in fig. 4); in modo più accurato la A e meno la B, almeno in base 28

  È questa anche la datazione proposta da Hen-

richs 1978, p. 126 e nota 10 (ove riporta le ipotesi di da-

tazione degli studiosi precedenti. Kern 1900, p. XXX, per es., ipotizza una datazione al I secolo d.C.).

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Fig. 4. – Particolare dell’iscrizione A (ll. 17-19).

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Fig. 5. – Cippo dal teatro (da AM 1894, p. 44).

all’apografo di Hiller von Gaertringen. Anche l’uso del trattino orizzontale come segno di separazione conduce alla stessa datazione. Ai fini dell’individuazione dell’epoca di composizione del nostro documento però questo elemento non è importante, se non come terminus ante quem. Per dichiarazione esplicita del dedicante il testo dell’oracolo è copiato da un più antico documento. Questi più antichi documenti, secondo gli editori ottocenteschi29 sarebbero le opere di storiografi locali cui la città avrebbe fatto riferimento a più riprese per accreditarsi, per esempio, nel caso della richiesta di riconoscimento delle Leukophryenai30 ma che andrebbero comunque ritenuti fittizi. Secondo Henrichs31, invece, l’oracolo sarebbe autentico, anche se il suo contenuto sarebbe giunto ad Apollonios comunque attraverso opere di storiografi locali. Tale oracolo, sempre secondo Henrichs, farebbe menzione dell’aiuto fornito dai Magneti a Delfi durante l’invasione dei Galati nel 279/8 che costituirebbe così il terminus post quem per l’introduzione del culto e per la datazione dell’iscrizione, mentre il terminus ante quem sarebbe il 221/0, in quanto da quel momento in poi si adotterebbe, nelle iscrizioni di Magnesia, la datazione mediante lo stephanephoros e non mediante il prytanis che compare nella nostra iscrizione. Inoltre, poiché considera che anche il racconto della sorte delle Menadi sia stato ricavato da Apollonios dal dossier degli storiografi locali, datati a loro volta a prima del 207/6 in base al collegamento con le Leukophryenai, conclude che tutte le vicende: evento miracoloso/richiesta oracolo/invio Menadi/attività Menadi/morte e sepoltura, si sarebbero sviluppate nell’arco della seconda metà del III secolo a.C. Io credo invece che ci siano elementi interni al testo, negli aspetti del culto dionisiaco, che vanno assolutamente tenuti in considerazione soprattutto in relazione a quanto sappiamo della storia di Magnesia per stabilire se e in che momento il tipo di culto dionisiaco cui ci si riferisce possa essere stato introdotto e per intervento di chi. A tal fine è importante anzitutto stabilire una cronologia relativa tra le varie parti dell’epigrafe e, soprattutto, individuare elementi interni al testo validi per la collocazione cronologica degli eventi narrati. È chiaro intanto che il testo A narra almeno 4 momenti succedutisi in un rapporto di causa-effetto, anche se non narrati nello stesso ordine.

29

  Pomtow 1896, p. 767 s.; Wilamowitz 1895, p.

180.

30   Sono le opere tw'n poihta'n kai; tw'n iJstoriagravfwn cui fa esplicito riferimento il decreto di rico-

noscimento delle Leukophryenai da parte degli Epidamni (Kern 1900, 46, ll. 12-14). 31   Henrichs 1978, p. 129.

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1) accadimento di un evento straordinario: platano spaccato dal vento (ll. 3-5) 2) scoperta di un «segno»: immagine riferibile al dio all’interno del tronco (ll. 5-8) 3) richiesta al dio di Delfi del significato del «segno» mediante l’invio di theopropoi (ll. 1-3; 8-10) 4) indicazioni dell’oracolo relative all’introduzione del culto di Dioniso dalla sacra terra di Tebe (ll. 11-29) 5) eventi successivi all’arrivo delle Menadi, fino alla loro sepoltura (ll. 29-40) La sequenza di eventi (punti 1-4) è quella «classica» in relazione a istituzione di culti su indicazione oracolare in seguito ad eventi o ritrovamenti straordinari. Poprio per quanto riguarda Dioniso un confronto preciso si ha nell’oracolo reso ai Methymni dopo che alcuni pescatori avevano ritrovato nelle reti un provswpon fatto di legno d’ulivo. Pausania (Perieg., 10, 19, 3) riferisce che in risposta la Pizia aveva ordinato loro di venerare Diovnuson Fallhvn. Da Oenomaus (in Eusebio, Prep. Evang., 5, 36) abbiamo il testo dell’oracolo: «∆Allav ke Mhquvmnh" naevtai" polu; lwvion e[stai ∕ Fallhno;n timw'si Diwnuvsoio kavrhnon». Secondo Parke - Wormell32 questa tipologia dei responsi oracolari di Delfi, in cui è inserito anche quello di Magnesia, si daterebbe al VII periodo di attività dell’oracolo (300-190 a.C.). Lo stesso schema delle ll. 5-8 è attestato in età imperiale e relativamente ad altro santuario oracolare, quello di Didima, anche se qui l’evento naturale è sostituito dalla visione nel sonno33: in un’iscrizione molto frammentaria datata agli inizi del III secolo d.C. si fa riferimento a qualcosa avvenuto durante il sonno (genovmeno" de; . . . u{pnou), poi al ritrovamento di un’immagine (ajfeivdruma eu{ron) e, poco più avanti è menzionato il responso oracolare (qeo;" e[crhsen)34. A questo proposito è interessante osservare che questo documento di Didima, insieme ad un’iscrizione di Priene35, costituisce l’unico confronto per l’uso del termine nella forma con il dittongo ajfeivdruma mentre tutte le altre attestazioni – sia letterarie che epigrafiche – presentano la forma ajfivdruma. Quanto poi al significato particolare del termine, sul quale si è espresso anche recentemente Rolley36, io ritengo che esso vada interpretato nel senso indicato a suo tempo da Dittenberger37 a proposito dell’archaion aphidryma di Asclepio custodito nell’Asclepieo di Atene, come un’immagine in qualche modo «caratterizzata» (per forma o attributi) così da essere riconoscibile come copia di una particolare statua di culto: così intende per es. Dionigi di Alicarnasso (Antiquit. Rom., 2, 22, 2) quando ricorda gli aphidrymata di Artemide efesia diffusi presso i Greci. Quindi l’immagine apparsa ai Magneti aveva una forma immediatamente riconoscibile come apheidryma di Dioniso Bacchos. La richiesta al dio di Delfi è fatta, come sembra evincersi dalle ll. 1-3 e 8-10, in seguito ad una decisione ufficiale presa dal demos dei Magneti, attra32

  Parke - Wormell 1956, p. 136 s., nn. 337 e 338.   È fenomeno frequente, soprattutto in età imperiale, l’istituzione di un culto in seguito a visioni o ad ordini espressi da una divinità apparsa in sogno: vd. in proposito van Straten 1976, pp. 1-38, in particolare p. 16 e nota 239. 34   Rehm 1958, n. 500. 33

35

  Inschr. Priene, 112, col. XXV, l. 115 di una lunga iscrizione onoraria datata all’84 a.C. per lo stephanephoros Zosimos. 36   Rolley 1997, p. 37, che lo considera genericamente equivalente a «reliques». 37   Syll.3, 756.

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verso l’invio di due theopropoi38: «∆Epi; prutavnew" ∆Akrodhvmou tou' Dioteivmou oJ dh'mo" oJ Magnhvtwn ... » esordisce il documento. Henrichs, come abbiamo detto, considera la menzione del prytanis determinante per la datazione del documento a prima del 221/0. È vero in effetti che l’iscrizione forse più importante di Magnesia, quella relativa all’asylia e al riconoscimento del ruolo di isopitiche delle feste Leukophryenai, sembra segnare l’inizio della datazione con lo stephanephoros invece che con il prytanis, ma è anche vero che, come osserva Kern, tale criterio non può essere adottato in modo rigido in quanto, per es., tale tipo di datazione compare anche in un’iscrizione certamente di età romana (in quanto il pritane stesso presenta il gentilizio Klaudios)39. Ma la cosa secondo me più probabile – come dirò alla fine – è che questa parte del testo sia opera del miste Apollonios il quale, in età imperiale, ampliando in qualche modo il contenuto dell’oracolo40 e volendo dare al documento un sicuro marchio di antichità ha ritenuto di inserirvi la formula ufficiale del decreto nel quale si fa riferimento alla richiesta da parte del demos (l. 2) datando quest’ultimo poi con il prytanis, forse in base al confronto con i più antichi documenti epigrafici esistenti a Magnesia. La stessa anomalia di datazione si trova per esempio anche nella fonte storica locale che tramanda le vicende di Temistocle a Magnesia e che data gli eventi del tempo con lo stephanephoros invece che col prytanis41. D’altra parte, l’iscrizione presenta, oltre naturalmente la paleografia, alcuni aspetti ortografici che ne dimostrano chiaramente l’appartenenza all’età imperiale: manca sempre il mutamento del n finale in m in tutti i casi in cui è seguito da p (alle ll. 4, 7, 24) cosa che è invece normale in documenti di età ellenistica; inoltre il nome del prytanis presenta la forma itacistica Diovteimo~, rispetto a Diovtimo~ ripetutamente attestato in documenti di età ellenistica. In conclusione direi che questo elemento non può essere determinante per datare l’introduzione del culto a prima del 221/0. Anche l’interpretazione della frase kteavnoi~ ejpamuvntore~ hJmetevroisin (ll. 14-15) «difensori delle nostre sostanze» oltre che come un riferimento all’aiuto portato dai Magneti al santuario delfico in occasone dell’assalto dei Galati del 279/8 – come intendono i più – credo possa fare riferimento ad un momento in cui veramente i Magneti hanno avuto potere decisionale all’interno dell’Amfizionia e hanno potuto «difendere» i beni del santuario. Mi riferisco al momento, datato da Lefèvre42 al 205/4, in cui viene assegnato ai Magneti «il decimo voto» cioè il diritto ad uno hieromnemone all’interno del Consiglio amfizionico, cosa che durerà circa 10 anni. Quindi i Magneti, tra la fine del III e i primissimi anni del II secolo a.C., hanno un legame particolare con Delfi: non è un caso forse che il riconoscimento delle Leukophryenai come isopitiche avvenga da parte dell’Amfizionia proprio in questi anni.

38

 Termine usato genericamente per indicare individui che vanno a consultare un oracolo, non solamente quello delfico; per es. in Milet, 6, 3, 1225 sono coloro che ricevono dall’Apollo didimeo indicazioni per l’istituzione del culto di Artemide Skirìs a Mileto. 39   Kern 1900, p. XXIX

40

  Sono convinta infatti sia dell’autenticità dell’oracolo sia dell’esistenza di una copia di archivio dello stesso, che Apollonios, per sua stessa dichiarazione, ha ricopiato su una stele. 41   FGrHist, 1, 480 F1. 42   Lefèvre 2002, nel commento al n. 100 (decreto del 194/3 in onore dello hieromnemone Sosiklès).

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Ma in questo scorcio del III secolo a.C. è altresì particolarmente importante – in seno all’Amfizionia – il ruolo di Tebe43. Proprio in un arco di tempo compreso – secondo Lefèvre – tra il 228/7 e il 215/444 tre lunghi decreti sanciscono il riconoscimento della festa tebana di Dioniso Kadmeios nonché la asphaleia e asylia per i Techniti dionisiaci per tutto il tempo in cui celebrano, insieme alla povli" tw'n Qhbaivwn, le feste trieteriche per Dioniso Kadmeios. È opportuno vedere nel dettaglio il più importante di questi testi45: ªejpi; Nikavrcou a[rconto" ejn Deºlfoi'", pªulaiva" ojpwrinh'", e[doxen toi'" ∆Amfiºktivosin: o{pw" a]n hJ qusiva tw'i Dionuvswi ªtw'i Kadmeivwi kai; oiJº ajgw'ne" ou}" sªuntelei' hJ povli" tw'n Qhbaivwn kai; to; kºoino;n tw'n tecnitw'n tw'n eij" ∆Isqmo;n ªkai; Nemevan sumporeuoºmevnwn givnhtªai wJ" kavllista, ejpimelei'sqaiº tou;" iJeromnhvmona" oi} a]n w\sin ejn tw'i ªejniautw'i ejn w|i a]n aiJ tºriethrivde" kaªqhvkwsin Ù tw'i Dionuvswi tw'i Kaºdmeivwi ejn Qhvbai" uJpe;r tou' ªth;n ejkeceirivan a[rceinº ejn th'i hJmevraªi h|i a]n hJ povli" tw'n Qhbaivwn kai; to; kºoino;n tw'n tªeºcnitw'ªnº ªejºqelªhvswºsin - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -kaqistºavnai ejn tw'ªiº iJerw'i para; to;n shªko;n th'" Semevlh" -- - - ca 25 - - - · ei\ºnai de; kai; ajsfavleian kai; ajsulivan pa'si toªi'" tecnivtai" toi'" nemhqei'sin eij" th;n qusivaºn tw'n triethrivdwn, pevnq∆ hJmevra" poreuªomevnoi", kai; ajpercomevnoi" a[lla" tosauvta", kºai; e{w" a]n hJ panhvguri" givnhtai, kai; aujtoi'" kªai; toi'" sunergazomevnoi" aujtoi'" paºntacou': eja;n dev ti" para; tau'ta a[ghi tina; h] rJusiavzhi, uJªpovdiko" e[stw ejn ∆Amfiktivoºsin: ei\nai de; kai; to; iJero;n tou' Dionuvsou tou' Kadmeivou ªto; ejn Qhvbai" ajpo; pavntwn a[ºsulon kaqavper kai; to; ejn Delfoi'": th;n de; qusivan kai; ejkeceªirivan ejpaggevlleinº ejpi; ta;" povlei" thvn te tw'n Qhbaivwn povlin kai; tou;" tecnivta": kªurivou" d∆ ei\nai oijkonoºmou'nta" ta; kata; to; iJero;n tovn te iJereva tou' Dionuvsou kai; tou;" ejpimelªhta;" tou;" uJpo; tw'ºn tecnitw'n eiJrhmevnou" kai; to;n ajgwnoqevthn Qhbaivwn: ajnagravyai de; to;n ªgrammateva tovdºe to; yhvfisma ejn sthvlai" dusi;n kai; ajnaqei'nai

43   Sono gli anni in cui i Tebani hanno faticosamente riconquistato una posizione di rilievo all’interno della Beozia e cioè del Koinòn, a spese di Orchomenos, per la prima volta dall’epoca della distruzione ad opera di Alessandro Magno. Sulla storia di Tebe vd. Cloché s. d., in part. su queste vicende, p. 231 s. 44   Secondo la doppia datazione che presentano tutti i documenti delfici del periodo etolico in relazione alla datazione dei cataloghi dei Soteria (vd. tabella

in Lefèvre 2002, p. 24). 45   Lefèvre 2002, n. 70 (riconoscimento della festa e della asylia). Gli altri 2 decreti (nn. 71 e 72) sono relativi ai diritti/doveri dei Techniti e forniscono indicazioni sui luoghi di esposizione delle stele. Il testo di Lefèvre tiene conto delle fondamentali correzioni nelle integrazioni delle ll. 2, 4 apportate da Robert 1935, pp. 196-198 e Robert 1977, p. 195 s., rispetto alla precedente edizione in FD, 3, fasc. 1, 351.

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th;n me;n ejn Delfoi'" ejn tw'ªi iJerw'i tou' ∆Apovllwnoº" o{pou a]n dokh'i ejg kallivstwi ei\nai, th;n de; ejn Qhvbai" para; to;n shko;ªn th'" Semevlh", ajnºaqei'nai de; kai; tw'n a[llwn iJerw'n o{pou a]n dokh'i ejn kallivstwi ei\nai. vacat Sotto l’arcontato di Nicarchos a Delfi, sessione autunnale: è sembrato bene agli Amfizioni: affinché il sacrificio per Dioniso Kadmeios e gli agoni che organizza la città di Tebe e il Koinon dei Techniti che si riuniscono all’Istmo e Nemea, si svolgano nel migliore dei modi, gli hieromnemoni che saranno in carica ogni volta che si terranno le feste trieteriche a Tebe per Dioniso Kadmeios, vigilino a che la tregua cominci nel giorno voluto dalla città di Tebe e dai Techniti;… collocare nel santuario, accanto il sekòs di Semele… che godano della asphaleia e asylia tutti i techniti addetti al sacrificio delle trieteridi per 5 giorni all’andata, 5 al ritorno e poi tutta la durata della panegyris, loro e i loro aiutanti, in ogni luogo: se qualcuno agisce contro queste norme o compie atti di rhysion….sia passibile di condanna da parte degli Amfizioni. Che il santuario di Dioniso Kadmeios a Tebe sia riconosciuto asylos da tutti, come quello di Delfi. E la città di Tebe e i Techniti annuncino a tutti il sacrificio e la tregua. Abbiano l’autorità di amministrare gli affari del santuario il sacerdote di Dioniso, gli epimeleti scelti dai Techniti e l’agonotheta dei Tebani. Che il segretario faccia trascrivere il presente decreto su due stele e ne faccia collocare una a Delfi, nel santuario di Apollo dove sembrerà meglio e l’altra a Tebe accanto al sekòs di Semele: si collochi inoltre il decreto anche negli altri santuari, dove sembri meglio. Le feste di Dioniso Kadmeios di cui si ha in questa iscrizione il riconoscimento da parte dell’Amfizionia, sono state associate da Robert alle Agrionie46, le feste invernali trieteriche, connesse con i rituali compiuti da thiasi di donne sul Citerone, che fornirono certamente ad Euripide l’ispirazione per le sue Bacchai47, feste originariamente connesse con Orchomenos e Cheronea, ma di cui a partire dal II secolo a.C., iscrizioni di varia provenienza attestano la celebrazione anche a Tebe48. Tali feste, con agone musicale e drammatico, si svolgevano nel teatro, costruito dai Tebani nel III secolo, vicino le porte Proitidai, nella città bassa, con forte coinvolgimento dei Techniti, come si è visto. Il dio in esse celebrato era, come indica l’epiteto, il figlio di Semele il cui concepimento e poi nascita prematura in seguito alla folgorazione della madre da parte di Zeus erano localizzati, come si sa, sulla rocca Cadmea, come ricorda Euripide (Bacchai, 1-3), e come ancora ricorda Pausania (Perieg., 9, 12, 3) che dice: «I Tebani dicono che in quella parte dell’acropoli dove ora hanno l’agora, era anticamente la casa di Cadmos. Mostrano lì le rovine del thalamos di Armonia e quello di Semele. Questo, ancora ai miei tempi, lo proteggono come inaccessibile agli uomini. Si dice anche che insieme al fulmine cadde dal cielo, 46   Si deve a Robert 1977, pp. 195-210, in particolare p. 195 s., l’integrazione tw'i Dionuvswi tw'i Kaºdmeivwi invece che ejn tw'i Kaºdmeivwi alle ll. 2 e 4 dell’iscrizione delfica; già in Robert 1935, pp. 193-198 (in part. p. 198) si erano identificate queste feste per Dioniso Kadmeios con le Agrionie di Tebe in un’iscri-

zione di Delo (IG, 11, 4, 1061) del 166 a.C. in onore dell’auleta Kraton. 47  Così pensa Schachter 1981, p. 189. 48  Per le attestazioni di queste feste vd. Schachter 1981, p. 163 (Cheronea); p. 174 (Orchomenos); p. 188 s. (Tebe).

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sul thalamos di Semele, un pezzo di legno. Dicono che Polydoros adornò questo pezzo di legno con bronzo e lo chiamano Dioniso Kadmos. Vicino è un’immagine di Dioniso tutto di bronzo, fatto da Onasimedes, mentre l’altare è opera dei figli di Prassitele». Altri luoghi sacri a Dioniso e a Semele Pausania (Perieg., 9, 16, 6) vede anche vicino al teatro, presso le porte Proitidai, tra cui il mnema di Semele. Quindi, nell’epoca di Pausania il thalamos di Semele, inaccessibile agli uomini, con l’immagine più antica di Dioniso, un pezzo di legno (come quello comparso all’interno del platano a Magnesia) era sulla Cadmea, ma altri luoghi di culto aveva il dio nella città bassa, accanto al teatro, una sorta di duplicato della Cadmea49. L’appropriazione, da parte di Tebe, delle Agrionie che rappresentavano l’elemento del culto dionisiaco più legato alla zona di Orchomenos e del lago Copaide e soprattutto il riconoscimento da parte di Delfi di questa pertinenza, significa per Tebe avocare a sé il diritto di farsi promotrice anche di questo aspetto del culto dionisiaco, quello appunto menadico femminile (seppure già passato attraverso tante fasi di decantazione50) soprattutto nella interpretazione delle Menadi come nutrici. Dioniso, come è noto, è l’unico dio greco che appare fondamentalmente circondato da figure femminili, per lo più in gruppo ma talvolta anche singolarmente e non solo nel mito ma anche nel culto. Semele la madre anzitutto, che ne costituisce il legame con la Cadmea: «a Zeus Semele, figlia di Cadmo generò l’illustre figlio», narra Esiodo (Theog., 940); Persefone altra madre nei miti cretesi, Ino la zia nutrice (Apollodoro, Bibl., 3, 4, 3 racconta che alla nascita dalla coscia di Zeus fu dato ad Hermes ed Hermes lo affidò ad Ino perché lo allevasse), le altre sorelle di Semele, Agaue e Autonoè, le Ninfe di Nysa ricordate come nutrici nell’episodio omerico di Licurgo (Iliade, 6, 128-140) e anche come Mainades in Diod. Siculo (Bibl. Histor., 53, 65); le altre Ninfe nutrici dei miti attribuiti ai Nassi (Diod. Siculo, Bibl. Histor., 5, 50-52), Arianna la sposa sfortunata, ma anche le Miniadi (Anton. Liber., Metamorph., 10) e le Pretidi (Apollod., 2, 26, 29) gruppi di donne pertinenti rispettivamente alla storia più antica di Orchomenos e dell’Argolide e che hanno con il dio un rapporto conflittuale, fino alle gerarai, le 14 donne legate al culto attico delle Antesterie (Ps. Demost., 59 [in Neeream], 73, ne ricorda il giuramento) e, infine, quelle donne-compagne che le fonti designano sia con nomi localizzati geograficamente Mimallones, Kledones (Macedonia: Hesych., Lexic. s.v; Polyen., Strateg., 4, 158), Bassarai (Tracia), Lenai (Arcadia: Hesych., Lexic. s.v.) sia, con termini più universalmente usati, Mainades e Bacchai. Le fonti iconografiche in particolare (penso soprattutto ai pittori attici Brygos, Lydos, Euphronios) nel corso del VI secolo a.C. hanno per così dire definito una figura canonica di Menade/Baccante che è divenuta prototipica51. Il resto l’ha fatto Euripide 49

 Così ritiene Schachter 1981, p.188. In effetti le tradizioni mitiche della Cadmea erano fondamentalmente connesse con la famiglia di Cadmo e la vita di Semele anche indipendentemente dal rapporto con Dioniso: basta ricordare Pindaro che parla dei canti e danze per Apollo Ismenio cui partecipano le figlie di Cadmo. Vicino al teatro invece la posizione del dio diviene primaria. 50  La più importante, già ad opera del santuario delfico nell’ultimo quarto del IV secolo e che conosciamo attraverso il Peana di Philodamos. Per questa

composizione vd. Sokolowski 1936, pp. 135-143 (con bibl. precedente). Sul contenuto dell’inno in relazione al culto di Dioniso vd. Vallois 1931, in particolare pp. 245-285. 51   Sulla genesi delle raffigurazioni di Dioniso e del suo corteggio, della tipologia delle Menadi e della loro posizione nell’ambito delle figure connesse al dio, compresa Semele, nella ceramica arcaica, si veda il bel lavoro di Isler-Kerenyi 2001, nel quale l’autrice amplia e riassume i suoi numerosi articoli legati a temi dionisiaci lì menzionati in bibliografia.

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nelle sue Bacchai. Ma già in Euripide è possibile intravedere, a mio avviso, qualche differenza tra Mainades e Bacchai, non tanto per i loro comportamenti quanto per le loro «funzioni». Il dio, dice Euripide, giunge a Tebe – primo luogo di tutta la terra ellenica – per diffondere il suo culto, con un corteggio di donne – thiasos emos (v. 56) – che ha portato con sé come paredroi dalla Lidia – ekomisa paredrous – coinvolge le donne nei suoi riti ma è rifiutato dall’autorità, da quel Pentheus che è poi suo cugino essendo figlio di Agaue. Vediamo che (v. 51) le Baccanti sono sui monti mentre lui alla testa delle Menadi – stratelaton mainasi – attacca battaglia. Più avanti (v. 63) sono ancora le Bacchai che danzano sul Citerone, secondo il racconto del coro composto dalle Menadi. Sono ancora le Menadi (v. 83) che indicano alle Baccanti il loro compito: andate, andate ai monti, trovate il piccolo figlio di Semele e diffondetelo per tutta la Grecia. È come se il poeta volesse assegnare all’interno del corteggio femminile, legato al dio, una funzione primaria alle Mainades, un ruolo di ministre del culto, di donne che possono reclutare altre donne, le Bacchai, che diventeranno poi Mainades esse stesse. Ed è questo – di ministre del culto – il ruolo che devono svolgere le Menadi a Magnesia. Dichiarare – come fa l’oracolo – che queste Menadi appartengono alla discendenza della zia/nutrice Ino52 vuol dire che è avvenuta la trasformazione per cui le Menadi, compagne sfrenate di un dio adulto, sono in realtà trophoi, titheres, nutrici di un dio bambino, sacerdotesse quindi di un perfetto culto greco, che formeranno Baccanti la cui funzione sia quella già indicata da Euripide, cioè donne alla ricerca del «piccolo figlio di Semele». Le indicazioni più dettagliate sul mito che vede Ino nel ruolo di colei che istituisce le danze trieteriche per il piccolo Bacchos, mettendo in atto questa trasformazione, si trovano nel poema dionisiaco di Nonno Panopolitano (Dionys., 9, 250 ss.): colpita dalla furia di Era, che brucia la casa di Atamante, Ino fugge alla ricerca del piccolo dio scomparso. Nella sua folle corsa la nymphe erra di monte in monte finché arriva a Pythò. Lì diffonde il terrore fra i pastori gridando in una lingua sconosciuta. Ma Apollo ha pietà di lei, incorona il suo capo con l’alloro e fa scendere su di lei un dolce sonno. Tre anni rimane Ino nei boschi del Parnaso e poi istitui­ sce le danze per il piccolo Bacchos (nepiavcoio corou;~ iJdruvsato Bavkcou) e le Baccanti Coricee seguono i riti profumati d’incenso (Kwrukivde~ Bavkcai metevsticon o[rgia quoventa). È importante a questo punto notare due espressioni dell’oracolo che hanno, io credo, un peso particolare: la puntualizzazione dell’appartenenza di Ino alla famiglia di Cadmo «Eijnou'~... Kadmheivh~» e, per contro, l’indirizzare i Magneti «ej~ Qhvbh~ iJero;n pevdon». Io non credo che queste due espressioni siano casuali. Precisare il legame di Ino con la casa di Cadmo vuol dire per me voler offuscare i forti legami che Ino aveva con Orchomenos dove, nella casa del marito Atamante, secondo il mito, aveva allevato il dio. Indicare poi la città di Tebe non con l’equazione Tebe = Cadmea, ma con il riferimento al pedon (che credo qui vada inteso nel senso di pedion, cioè la pianura) vuol dire affermare il ruolo di una grande Tebe che ha riunito in sé tutte le tradizioni beotiche. Tutto questo, io credo, si adatta perfettamente alla situazione evidenziata dal decreto amfizionico per Tebe visto sopra. E l’immagine che si era mostrata ai Magneti era in effetti Bacchos e[ti kou'ro~; non ci sono dubbi riguardo a questa lettura rispetto all’epikouros che propone (con 52

  «Ino - dice ancora Esiodo (Frgm., 70 M. West) -, che giustamente ebbe fama eterna avendo allevato Bacchos».

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un punto interrogativo) Reinach, sia perché la foto fornita da Henrichs consente una lettura più chiara (fig. 4, l. 18), sia perché questa identica espressione si ritrova in un altro documento epigrafico di intonazione poetica per un divino kouros, e cioè l’Inno a Zeus dall’antro Dicteo che, come si sa, seppure giunto a noi nella redazione di età imperiale, risale certamente ad epoca ellenistica53. Il dio dunque exephane «si è manifestato» «è apparso»: proprio come ha fatto l’altra grande dea dei Magneti, Artemis. Ciò che il dio delfico rimprovera ai Magneti – che pure hanno una città ben munita – è di non aver costruito per il dio templi ben tagliati54: per questo ora devono erigere al dio almeno templi qursocarou'~ «che si deliziano del tirso». Questo termine è attestato come epiteto del dio nell’epigramma (tramandato dall’Anthologia Palatina, 3, 1) che avrebbe costituito la didascalia dei bassorilievi scolpiti sulle colonne del tempio di Cizico, eretto per la regina Apollonìs, madre di Eumene II e Attalo II e divenuto emblema della sua divinizzazione, subito dopo la morte di costei (166 a.C.). Nella sua divinizzazione Apollonìs è assimilata a Semele: «Ecco la madre uccisa nel parto dal fulmine di Zeus, la figlia di Cadmo e Armonia, dalla bella chioma, la madre che il figlio che si delizia del tirso, porta su dall’Acheronte, prendendosi la rivincita della hybris del senza dio Pentheus»55. È ancora Dioniso «gioioso portatore del tirso» il figlio di Semele di cui si celebra la nascita nelle feste trieteriche, secondo l’Inno orfico a Semele56: «Invoco la fanciulla di Cadmo, di tutto sovrana, Semele dal bell’aspetto, dalle chiome amabili, dal seno pieno, madre del gioioso Dioniso portatore di tirso (mhtevra qursofovroio Diwnuvsou polughqou'~), la quale subì grandi doglie a causa dello splendore portatore di fuoco, bruciata per i voleri dell’immortale Zeus Cronide, ottenendo onori presso la splendida Persefone, fra gli uomini mortali ogni due anni quando celebrano la doglia feconda del tuo Bacco e la tavola sacra e i santi misteri… Ora ti supplico…». Un altare di Magnesia, decorato con bucrani, databile al I secolo a.C., con una dedica Dionuvswi kai; Semevlhi attesta l’associazione del figlio e della madre nel culto57. Il compito delle Menadi tebane è quindi quello di portare ai Magneti le regole e gli strumenti che si usano nelle cerimonie rituali58 e fondare in città (en astei) thiasoi di Bacchos che è come dire Kadmeios, come abbiamo evidenziato. Sono thiasoi pubblici quelli fondati a Magnesia, in numero di 3 ed hanno nomi che apparentemente sembrano connessi in modo particolare con gli eventi locali che hanno portato all’istituzione del culto stesso. Anzitutto quello di Koskò che riunisce il thiasos to;n Platanisthnw'n certamente connesso con il luogo in città in cui era avvenuta la prodigiosa scoperta all’interno del platano, la cui sepoltura non è contrassegnata da altro se non dal fatto

53  Vd. Guarducci 1942, p. 15: secondo l’editrice l’inno risalirebbe al III secolo a.C., epoca tipica di tali componimenti cultuali. 54   Ptoliethron in Omero (Il., 2, 133) è la rocca di Ilio. 55   tavnde Dio;" dmaqei'san ejn wjdivnessi keraunw',/  ∕ kallivkomon Kavdmou pai'da kai; ÔArmonivh", matevra qursocarh;" ajnavgei govno" ejx ∆Acevronto", ∕ ta;n a[qeon Penqeu'" u{brin ajmeibovmeno". Su Cizico e Apollonìs vd. Thornton 1999, in particolare pp. 501-504 e nota 39.

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  Ricciardelli 2000, n. 44.   Kern 1900, 214. Dal teatro proviene, infine, il terzo dei documenti relativi a Dioniso a Magnesia, una dedica del I sec. d.C. da parte di un sacerdote del dio che è anche agonotheta (Kern 1900, 213) 58  Il termine orghia è usato qui nel suo valore primario di strumenti, oggetti che si usano nelle cerimonie rituali: così anche in un epigramma per una sacerdotessa/menade di Mileto (vd. nota 62) da cui, per estensione passa ad indicare i rituali stessi. 57

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di essere la «collina di Koskò». Poi quello di Baubò, che guida il thiasos propoleos quello che, io credo si possa dire, schematizzando al massimo, compie rituali dalla funzione apotropaica59, la cui tomba en Tabarnei60 è connessa con l’agora perché – come dice il documento Kern 1900, 251 (del II secolo d.C.) – è dalla fonte en Tabarnei che viene l’acqua che giunge ad una fontana dell’agora; infine quello di Thettalè che ha raccolto intorno a sé il gruppo tw'n Kataibatw'n. Il nome di questo thiasos ha creato qualche difficoltà di spiegazione. È stato – certo a buon diritto – associato all’aspetto di Zeus come folgoratore «colui che scende con la folgore». È certamente questo l’uso più attestato del termine kataibavth~ come epiteto di culto. Si è ritenuto allora – da parte degli editori – che il thiasos venerasse Zeus Kataibates che aveva folgorato Semele e provocato la nascita del dio. Ma in questo caso la forma corretta dell’epiteto sarebbe dovuta essere Kataibatetai o Kataibatenoi o qualcosa di simile; in effetti credo che qui ad essere Kataibatai siano i membri del thiasos: sono loro «che scendono giù». Ricordiamo che kataibatai; (al femminile) sono dette le porte attraverso le quali si penetra nella grotta delle Ninfe Naiadi ad Itaca (Omero, Odyss., 13, 110) e kataibavti~ kevleuqo~ è il sentiero per scendere nell’Ade (Apoll. Rh., Argonaut., 2, 353); Kataibavth~ è anche Hermes (Sch., Aristoph., Pax, 649) e proprio nelle Baccanti euripidèe (1360) kataibavth~ è l’Acheronte, il fiume che scende sottoterra. Quindi io intenderei il termine al femminile e vedrei nelle Kataibatài, le donne, guidate da Thettalè, che compivano rituali che implicavano la discesa in una qualche struttura (naturale o riprodotta artificialmente) dalla quale veniva poi portata fuori l’immagine del dio e forse anche quella di Semele per dare quindi l’avvio ad una pompè che era parte fondamentale dei rituali dionisiaci. Il nome stesso della Menade Thettalè e quelli di Koskò e Baubò, sono nomi parlanti, nomi per così dire, professionali, nel senso che rendono esplicite le caratteristiche del gruppo che rappresentano. Baubò, per esempio, è il nome della vecchia donna che compiendo gesti osceni, riesce a distrarre Demetra dal suo dolore e a farla ridere (Clem. Aless., Protrept, 2, 17-18): ben si adattano a lei rituali apotropaici. Koskò – è stato notato61 – ha un nome che ha attinenza con la mantica, la koskinomanteiva intesa come capacità di interpretare i residui in un «colino». Ma kovskinon indica anche l’uccellino domestico, secondo una definizione dei lessici (Hesych., s.v. kovskinoi: oiJ katoikivdioi o[rniqe~); non escluderei perciò che in questo caso il nome della Menade avesse proprio questa origine, soprattutto pensando al nome del thiasos da lei guidato, to;n Platanisthnw'n (quello intorno al platano). Thettalè infine, è «la Tessala» con tutto ciò che implica il riferimento alla Tessaglia in quanto terra di maghe, di sibille, ma anche, più semplicemente, di donne legate alla danza: una Qessali;~, in un frammento di Sosiphanes (A. Nauck, Tragic. Graecor. Fragm., framm. 1), sembra in grado, con i suoi canti magici, di far

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  Questo epiteto, le cui maggiori attestazioni si hanno in Asia Minore, non si trova solamente riferito, come qui, a thiasoi, ma anche a divinità, a sacerdoti e sacerdotesse e a rituali. Inizialmente interpretato solo in senso geografico, cioè in relazione al fatto che i thiasoi dionisiaci rappresentavano qualcosa che era «fuori della città», dopo alcune osservazioni di L. Robert a proposito di documenti di Amyzon (Robert 1983, pp. 171-176) ha mostrato invece la sua com-

plessità. Su questo argomento ho in preparazione un lavoro. 60   Sull’etimologia del nome non sono d’accordo con Henrichs 1978, p. 130, nota 24, che propende per una variante del latino taberna in quanto, se tale nome può adattarsi ad una struttura dell’agora, non può spiegare il nome della sorgente da cui proviene l’acqua. 61   Henrichs 1978, p. 131.

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scendere dal cielo l’ingannevole Selene; sono le Qettalai; che fanno tornare Selene ed Helios (Plut., De Pyth. Orac., 400 B2), Qettalh; è il nome di una delle Sibille ricordate da Clemente Alessandrino (Strom., 1, 21, 132), qettalh; è persino il nome di una sorgente (per antonomasia le sorgenti cantano) posta sul monte Ossa (Eliano, Nat. Anim., 8, 11 ); Ateneo, infine (13, 86, ll. 21-22), ricorda la presenza di ojrchstrivde~ Qettalai; presso il re Antiochos. Mi sembra che ci siano elementi sufficienti per ipotizzare allora che l’attività del thiasos guidato da Thettalè fosse connessa in modo particolare con il teatro. D’altra parte statue e rilievi di Menadi o di donne comunque connesse con il culto dionisiaco, sono ricordate dalle fonti letterarie come esistenti nei teatri e nei santuari del dio e si coglie il loro valore come monumenti connessi al culto e non con semplice funzione decorativa dal fatto che la loro presenza viene spiegata con eventi risalenti ad epoca molto antica che collegano le donne in questione con l’origine del culto dionisiaco: è il caso, per esempio, di Argo, dove Pausania (Perieg., 2, 22,1) ricorda, nel percorso dall’agora verso la parte est della città, la tomba comune delle donne che avevano combattuto insieme al dio contro Perseo e gli Argivi che le rifiutavano e poi, nella zona del teatro, tra i templi di Tyche e delle Horai, la tomba di Choreia (nome anche qui quanto mai professionale «colei che danza»), la menade che, per la sua autorevolezza occupava un ruolo di primo piano (ajxiovmati proei'cen) rispetto alle altre donne combattenti e perciò avrebbe avuto anche una tomba solo per sé. Anche a Megara, stavolta all’entrata del santuario del dio, si trovano le tombe di Astykrateia e Mantò, discendenti dell’indovino Melampo, giunte a Megara con il loro padre Polyidos che aveva lì fondato il culto di Dioniso Patroos (Paus., Perieg., 1, 43, 5). Nel santuario del dio presso il teatro di Sicione, Pausania (Perieg., 2, 7, 5-6) vede statue o rilievi che ritraggono Baccanti: Bavkcai livqou leukou' :tauvta~ ta;~ gunai'ka~ iJera;~ ei'nai kai; Dionuvsw maivnesqai levgousin. La situazione di Sicione è particolarmente interessante, sia perché anche qui il culto sarebbe di matrice tebana (secondo quanto dice Pausania), sia, soprattutto, per il ricordo di rituali notturni durante i quali un corteo guidato dall’immagine di Dioniso Baccheios, seguito da Dioniso Lysios, si recava da un edificio della città – il kosmeterion – al tempio del dio alla luce delle fiaccole e con canti epicorici: è certo che a tali cortei partecipavano le Bakchai ritratte nelle immagini di marmo bianco, quelle donne sacre al dio e che fanno le menadi per il dio. Una di queste «donne iJerai;» era, a Mileto, intorno alla metà del III secolo a.C., la sacerdotessa Alkmeonìs. Un’epigrafe, sulla base che sosteneva una sua statua funeraria, la ricorda come oJsivhn iJreivhn, gunh; crhsth;62: era lei che guidava al monte le Baccanti cittadine, marciando alla testa della città tutta e recando in mano tutti gli strumenti per il culto e le offerte per il sacrificio. Gli stessi orghia kai nomima esthla che detenevano le Menadi di Magnesia e, forse, proprio come nel caso di Alkmeonìs, il ricordo delle loro attività, sarà stato eternato in monumenti loro dedicati nei luoghi che i thiasoi da loro guidati, frequentavano nel culto: Thettalè che per tanti anni aveva guidato i rituali connessi con il teatro, proprio lì aveva avuto perciò il suo monumento funerario. È da questi monumenti, io credo, che il mi62

  Milet, 6, 3, 1225: th;n oJsivhn caivreim polihvtide" ei[pate bavkcai∕ iJreivhn, crhsth'/ tou'to gunaiki; qevmi", ∕ uJma'" keij" o[ro" h\ge kai; o[rgia pavnta kai; iJra;

∕  h[neikem pavsh" ejrcomevnh pro; povlew". ∕ tou[noma d∆ ei[ ti" xei'no" ajneivretai: ∆Alkmeiwni;" ∕ hJ ÔRodivou, kalw'm moi'ran ejpistamevnh.

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ste Apollonios Mokolles63 avrà desunto le informazioni sulle vicende personali delle tre sante donne, informazioni che poi ha voluto eternare su pietra, spinto certamente da eusebeia ma forse anche dal desiderio di accreditare il thiasos che lui guidava come ho archaios thiasos tra quelli della Magnesia adrianea64. Quindi, riassumendo, il culto, così come evidenziato dalla menzione di Ino Cadmea, dal riferimento ad un’origine dalla piana di Tebe, dall’attività promotrice di Delfi, rispecchia la situazione tutta particolare creatasi a Delfi alla fine del III secolo a.C. nel momento in cui – tra il 205/4 e il 198/7 – i Magneti fanno parte dell’Amfizionia, ottengono il riconoscimento per le loro Leukophryenai, ma ricevono anche – per il peso che ha nello stesso momento, nell’Amfizionia, Tebe – indicazioni precise per «correggere una loro carenza» quella cioè di non aver costruito un tempio per Dioniso. Questo per quanto riguarda, io credo, la ricostruzione, storicamente attendibile, dell’introduzione del culto a Magnesia. Quanto poi alla cronologia relativa delle varie parti dell’iscrizione e alla loro autenticità, come ho detto, il testo dell’oracolo, con una qualche menzione dei theopropoi che lo avevano portato da Delfi, doveva esistere sicuramente in archivio; e di questo documento Apollonios Mokolles fa una copia su pietra nel momento in cui (età adrianea) dedica al dio un altare.

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63

 La forma del nome è perfettamente accettabile come nome di origine caria: vd. Robert 1954, p. 283, nota 12.

64

 Almeno un altro thiasos, quello della sacra casa en Klidoni esisteva a Magnesia: Kern 1900, 117.

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Summary The A. analyses a wellknown and profusely studied Greek inscription of Magnesia on Maeander, the copy of imperial date based on a more ancient document which narrates the life and activities of 3 women - 3 Theban Mainades - who by order of the Delphic oracle founded the dionysian cult in the form of 3 thiasoi. They received public burial after death. One of them, in particular, was buried in the centre of the town, near the theatre. By a careful analysis of the text one can appreciate the existing analogy of dionysiac cult of Magnesia and that of the Theban Dionysos Kadmeios in the form known from amphictionic documents of the end of the III cent. B.C. autenticating the Theban feast Agrionia as well as the asylia for Dionysiac Technites. The tomb of Thettalè near the theatre can be explained by the fact that the rituals accomplished by the thiasos founded by her (tw'n Kataibatw'n) were connected with the theatre.

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