Natasha Niebieskikwiat, Lágrimas de Hielo. Torturas y violaciones a los derechos humanos en la guerra de Malvinas, recensione

July 3, 2017 | Autor: Serena Ferraiolo | Categoría: Falklands/Malvinas, Falklands War
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nel 1977, ricordato anche da Grillo. Valore aggiunto al volumetto e omaggio gradito è un CD musicale composto da tre brani: due tanghi tra i più famosi dell’autore (il già citato A Evaristo Carriego e Milonga para Mabel y Peluca, che Rovira dedicò alla seconda compagna) mentre il terzo, A Eduardo Rovira, è stato composto da Roberto De Prisco, condirettore della collana, che insieme ad altri musicisti del gruppo di Musicateneo 30 in tango ne ha curato l’esecuzione estremamente godibile. Nel 1971 in un’intervista riportata Rovira diceva: «Il tempo passa, il tango – secondo me – si evolve». Laura Mariateresa Durante

Natasha Niebieskikwiat, Lágrimas de Hielo. Torturas y violaciones a los derechos humanos en la guerra de Malvinas, Kapelusz, Norma Editorial, Buenos Aires, 2012, 296 pp. La produzione legata alla guerra delle Malvinas conta in Argentina, in particolar modo dal 2007 a oggi, un numero impressionante di testi che abbracciano le più disparate tematiche, dalle questioni di diritto internazionale alle testimonianze di ex combattenti, a opere di finzione letteraria. In questo variegato panorama si colloca Lágrimas de hielo (2012) di Natasha Niebieskikwiat. L’autrice, giornalista affermata e specializzata in politica internazionale, è attualmente conosciuta come la giornalista che più volte ha viaggiato alle Malvinas per il suo lavoro presso Clarín, per il quale continua a seguire gli sviluppi politici legati al tema della sovranità nazionale sull’arcipelago. Lágrimas de hielo è un testo analitico ed empatico insieme, frutto di grande coraggio e di una lunga gestazione. Comincia nel 2007, ci racconta la stessa autrice nel prologo, a raccogliere informazioni sugli abusi avvenuti durante la guerra delle Malvinas, sulla scia

delle dichiarazioni di Liliana Herráez, giudice di Río Grande, che per prima li considerò crimini di lesa umanità. All’interno dello stesso prologo, che risuona come una lunga avvertenza per il lettore, emergono più volte due sentimenti gemelli: lo stupore e il desiderio di giustizia che l’hanno spinta a fare sua questa causa, nonostante gli interminabili giri di boa della giustizia, che ad oggi non hanno portato a una condanna. Il testo è, secondo le parole della stessa autrice, «Una extensa crónica donde los ex combatientes que sufrieron esos abusos brindan su testimonio» (Niebieskikwiat 2012: 19). Si tratta di una denuncia corale a sostegno di quelle che giuridicamente non hanno ancora sortito effetto. Insieme alle testimonianze dirette di ex combattenti di diversi ranghi e reggimenti, dalle diverse latitudini della nazione, il testo si avvale del sostegno di un corpus di documenti attualmente presenti negli archivi di Stato. Con l’intenzione di rendere partecipe il lettore di ogni fase del processo di elaborazione del testo, l’autrice ritiene coerente inserire brevi parentesi aneddotiche relative all’operazione stessa della ricerca. A tal proposito ci informa che ha avuto la possibilità di lavorare solo su una prima parte dei documenti originariamente a disposizione, che dopo poche settimane dalla sua ricerca sono stati dichiarati vietati al pubblico per decreto amministrativo, pertanto ancora coperti dal segreto di guerra. Il tema è senza dubbio sorprendente, e come spesso accade quando ci si avvicina alla lettura di un testo relativo alla guerra delle Malvinas, lo straniamento provocato induce il lettore ad avvalersi, per la comprensione, degli strumenti necessari ad orientarsi all’interno di un testo di finzione letteraria. In questo come nella maggior parte dei testi che affrontano questo momento della storia dell’Argentina dal punto di vista dell’ex combattente, l’inganno, la falsificazione, l’irreale diventano protagonisti della narrazione, ancor prima degli individui. Da qui, per guidare il lettore, per offrirgli appigli, per collocarlo all’interno del fenomeno in questione, (perché parliamo di una “cronaca”

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e non di “finzione”), Natasha Niebieskikwiat sottolinea che non sono oggetto della sua ricerca le atrocità commesse da un esercito contro quello nemico, o i soprusi perpetrati nei confronti della popolazione civile o ancora le torture inflitte ai prigionieri nemici, bensì gli abusi che si sono consumati all’interno delle stesse truppe, tra argentini. Siamo davanti a episodi di tortura, reiterati, a danno degli allora combattenti della guerra delle Malvinas, quei giovani chicos de la guerra che poco sapevano di armi, arruolati a volte dopo soli tre mesi di istruzione, appena maggiorenni, per mano dei loro stessi comandanti, generali e tenenti. Il quadro che ci si presenta è disperato. Il testo si apre su un episodio incredibile (è lo sgomento il sentimento di fondo che alberga nell’ani­ mo del lettore): “La morte di Chinchulín”, Remigio Fernández, correntino, arruolato nel Reggimento di Fanteria Motorizzata 5, morto di fame ad Howard. Le circostanze della morte vennero coperte dagli alti ranghi dell’esercito, che lo dichiararono, nelle comunicazioni ai familiari, morto in battaglia. Documentazioni quali l’Informe Calvi e l’Informe Rattenbach elaborate da commissioni militari, insieme alle testimonianze di soldati e di Enrique Mariano Ceballos, direttore dell’Ospedale militare installato sull’isola, aiutano l’autrice a ricostruire una storia diversa: il soldato viene dichiarato morto per denutrizione nei documenti dell’Ospedale militare, in un momento in cui gli inglesi non avevano ancora raggiunto l’arcipelago, e la guerra, quella vera, non era ancora iniziata. La fame è uno degli elementi chiave delle narrazioni. Tanto gli ex combattenti quando i medici e le commissioni militari stesse sottolineano lo stato di denutrizione e gli effetti che ne derivano dal punto di vista tanto della salute fisica degli individui (Enrique Mariano Ceballos, dal punto di vista medico, attribui­ sce alla denutrizione dei soldati e al regime scarsamente proteico della loro scarsa alimentazione il numero elevato di “piede di trincea”, una malattia frequente durante le campagne militari fino alla seconda guerra mondiale)

267 quanto di quella mentale, al punto da essere enumerata tra le cause della sconfitta. Alle problematiche logistiche che obbligavano spesso i reggimenti a sopravvivere per intere settimane razionando le provviste valide per pochi giorni, si sommavano i comportamenti dei Generali, che si garantivano la sopravvivenza sottraendo provviste al resto del reggimento. La disparità risultava evidente agli stessi soldati che in casi estremi si vedevano costretti a rubare, per necessità, tanto dagli alloggi dei loro Generali quanto, in alcuni casi, dalle abitazioni della popolazione civile. S’innescava, pertanto, un circolo vizioso di punizioni e torture, raccontate dagli ex combattenti. Le tecniche utilizzate dai Generali erano diverse. Dalle flessioni ai bailes, spari sui piedi dei soldati che erano costretti a “danzare” per evitare le pallottole, agli estaqueos: i soldati venivano legati con i polsi e le caviglie a delle aste, a volte con corde, a volte con fil di ferro, e venivano lasciati, a volte nudi, altre vestiti, per un minimo di sei ore e un massimo di un giorno, al freddo, sulla neve. Si parla di laghi ghiacciati, pozzanghere in cui a piedi nudi venivano lasciati per giorni, e di entierros: gli stessi soldati erano costretti a scavare una fossa nella torba umida, dove spesso trovavano acqua al di sotto di pochi centimetri, immergersi e ricoprirsi di terra fino al collo. Così restavano anche fino a 24 ore. Nell’elenco delle torture, celate sotto le mentite spoglie di “punizioni”, si arriva a menzionare le fucilazioni. Il lavoro minuzioso dell’autrice, volto a denunciare e a ricostruire fedelmente gli eventi, da un lato assume le sembianze di un documento storico, con riferimenti ai già citati documenti d’archivio, all’interno dei quali, per una fedele ricostruzione dei fatti, vengono menzionati nella stragrande maggioranza dei casi nomi, cognomi, luoghi e orari che possano in tal modo attribuire valenza scientifica al testo. D’altro canto la sua scrittura diventa a tratti intima e colloquiale, si colora di dettagli personali, connotando intimamente le interviste agli ex combattenti che diventano incontri tra individui. In questi momenti riesce ad emergere Osservatorio

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la difficoltà e la sensibilità di un animo umano che non vuole ricordare, o che non vuole raccontare, offrendo al lettore un nuovo sguardo sugli eventi, incentrato sulla complessità del nostro rapporto con la memoria, con il passato. Natasha Niebieskikwiat in Lágrimas de hielo non vuole offrire risposte ai sinsentidos della Guerra delle Malvinas, non vuole aggiungere il suo contributo all’interno del dibattito che ricerca una spiegazione sui perché di questa guerra. È sua intenzione mettere nero su bianco quante più prove possibili perché giustizia venga fatta, omaggiando i caduti e consegnando i giusti onori a quegli uomini che seguendo il proprio giudizio, non hanno rispettato gli ordini imposti e hanno salvato molte vite. Serena Ferraiolo

Martín Kohan, El país de la guerra, Eterna Cadencia, Buenos Aires, 2014, 320 pp. Lo sguardo europeo rivolto all’America Latina è uno sguardo antico, da sempre appesantito da uno scarto generazionale che spinge il “Vecchio continente” a guardare al “Nuovo” come eternamente giovane e inesperto. In questo sguardo è spesso malcelato un pregiudizio, lo stesso che ha spinto l’europeo a farsi colonizzatore, ad affrontare la “barbarie” etichettandola come tale, a celebrarsi espressione di “civiltà” e ad autodeterminare proprio il primato sulla guerra. Lo sguardo di Martín Kohan, scrittore affermato e docente di critica letteraria presso la Universidad de Buenos Aires e la Università de la Patagonia, non si allontana dall’orizzonte e dalle frontiere nazionali, e lo fa per difendere l’idea che «in principio fu la guerra» (Kohan 2014: 21), in qualunque principio, in qualunque cultura, in qualunque processo di costruzione nazionale. Lo sguardo è protagonista sin delle prime pagine, si tratta di uno sguardo duplice che l’autore ci invita a rivolgere al cielo: verso l’orizzonte,

per cogliere il sorgere del sole, e più in alto per seguire un’aquila che si eleva. Le due immagini presto si trasformano in musica: da un lato Febo che spunta all’orizzonte apre la Marcha de San Lorenzo, canzone militare inspirata alla storica battaglia di San Lorenzo, dall’altro l’aquila guerriera è quella di Aurora, canzone trionfale utilizzata come saluto alla bandiera. Martín Kohan sembra condurci sul sentiero di una storia nazionale permeata da un forte sentimento patriottico, militare, legata ai valori della guerra e di una costruzione identitaria che passa necessariamente attraverso le battaglie e per la difesa della patria. Dopo pochi capitoli, l’autore ci propone una nuova immagine, un nuovo invito a posare il nostro sguardo: «Basta con observar por caso el escenario (o la puesta en escena) de la Plaza de Mayo en Buenos Aires: entre la Casa de Gobierno y el Cabildo histórico, con la pirámide de Mayo como bisagra, está de un lado la estatua ecuestre de Manuel Belgrano, y del otro la llama eterna que señala el sepulcro de José de San Martín, situado en la Catedral de Buenos Aires nada menos (aunque no, en rigor de verdad, bajo su nave)» (Kohan 2014: 39-40). La prospettiva duplice si articola nel dialogo tra la realtà, narrata oggettivamente, e le note critiche attraverso le quali l’autore si manifesta, inserite tra parentesi. Sarà questa la voce che ci accompagnerà all’interno del testo, e questa la duplice prospettiva che da un lato mostra e dall’altro scatena riflessioni più profonde relativamente alla cultura della guerra, della quale la toponomastica della capitale e dell’intera nazione sembra essere una dimostrazione. El país de la guerra si compone di ventuno capitoli, in equilibrio tra gli eventi bellici che hanno caratterizzato, in presenza e in assenza, i secoli XIX e XX. L’armonia della struttura, a tratti ciclica e a tratti speculare, è garantita non solo dal bilanciamento contenutistico, ma anche da epigrafi inserite ad apertura di ogni capitolo, che come indizi accompagnano il lettore all’interno del testo e insieme indicano il cammino critico. Le epigrafi, se considerate

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