Muhammad e la cerva di Quinto Sertorio, in Vitae Mahometi, Reescritura e invención en la literatura cristiana de controversia, edited by Cándida Ferrero Hernández and Óscar de la Cruz Palma, Madrid, CSIC (Nueva Roma), 2015, 223-253.

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Descripción

Vitae Mahometi: reescritura e invención en la literatura cristiana de controversia. Simposio internacional, Universitat Autònoma de Barcelona (España), 19-20 de marzo, 2013

MuḤammad

e la cerva di

Quinto Sertorio

Pier Mattia Tommasino Columbia University Ce ne sono tante. L. Sciascia Più avanti nel mio articolo, a quel che ricordo, io formulo l’idea che tutti... be’, diciamo, se non altro i legislatori e i fondatori della società umana, a partire dai più antichi sino ai vari Licurgo, Solone, Maometto, Napoleone e via discorrendo, tutti sino all’ultimo siano stati dei delinquenti, già per il semplice fatto che ponendo una nuova legge, per ciò stesso infrangevano la legge antica, venerata dalla società e trasmessa dai padri; inoltre, certamente non si arrestarono nemmeno dinanzi al sangue, quando il sangue (talora del tutto innocente, e valorosamente versato in difesa della legge antica) poté essere loro d’aiuto. F. Dostoevski

Le

vite del profeta

Gianfranco Contini nel 1938, tra gli anni parigini e il primo arrivo a Friburgo, pubblicava un frammento provenzale sul Profeta Muḥammad, conservato in un foglio pergamenaceo, di scrittura duecentesca, tra le nuove acquisizioni francesi della Biblioteca Nazione di Parigi. Fornendo il testo frammentato della breve biografia, il filologo italiano ricordava, usando le parole di Augusto Mancini, che alla fine degli anni Trenta lo studio della leggenda di Muḥammad, in Occidente si fondava ancora, in buona sostanza, sulle ricerche di Alessandro D’Ancona pubblicate in rivista sul finire del secolo Decimo nono.1

1  G. Contini (1937, 313-319) (2007, 809-814). Ringrazio con affetto Alfredo Stussi per avermi spedito l’articolo del suo maestro. A. D’Ancona (1889), ripubblicato in forma di saggio (1994).

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Dopo le ricerche di Norman Daniel sugli Arabi e l’Europa nel Medioevo (1960, 1975), e la tempesta scatenata dall’Orientalismo di Said (1978), specialmente dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso, si è tornato a discutere, nella cornice più ampia della storia delle rappresentazioni occidentali dell’altro musulmano, della vita, anzi delle vite del profeta. E ciò grazie a un interesse rinnovato per il ruolo dell’Islam medievale nella formazione dell’Europa moderna, e soprattutto in seguito al lavoro monumentale di Hartmut Bobzin sul Corano nell’età della Riforma (1995), e a un articolo fondante di Angelo Michele Piemontese sui corani di Pico e Ficino (1996). Studi che seguivano, in Italia, la riproposta in volume del saggio di D’Ancona sulla leggenda occidentale di Muḥammad, per l’editore Salerno di Roma (1994). Da allora moltissimo si è fatto, soprattutto dopo i fatti del 2001, e le caricature danesi di Muḥammad, del 2005, e sotto l’egida di progetti di ricerca internazionali, essenzialmente di base europea. Tra questi, il progetto Islamolatina, La percepción del Islam en la Europa latina dell’Università Autonoma di Barcellona, diretto dal filologo latino José Martínez Gázquez, al quale, con piacere e riconoscenza, si rende qui omaggio.2 Le vite di Muḥammad, dunque. «Ce ne sono tante», «nelle nostre biblioteche, molte» ricordava, nel Consiglio di Egitto di Leonardo Sciascia, l’ambasciatore del Marocco Abdallah Mohamed ben Olman. Il quale, curioso di storia, chiedeva al fra-cappellano Vella se ve ne fossero «a Cambridge, o in altre città d’Europa». Ora è finalmente possibile, di là dalla fictio storica di Sciascia e dai fatti tardosettecenteschi della minzogna saracina, rispondere alla domanda elusa dal fra-cappellano: ce ne sono tante, nelle biblioteche d’Europa molte, sia manoscritte che a stampa. E di alcune di esse, e soprattutto delle latine medievali, esistono ora studi rigorosi, che seguono la tradizione di D’Ancona e di Mancini, come auspicato da Gianfranco Contini. Ricordo almeno le ricerche di John Tolan, Óscar de la Cruz Palma e Fernando Gonzalez Muñoz, a cui ora si aggiunge un primo, e già ricchissimo, repertorio fornito da Michelina Di Cesare.3 N. Daniel (1960); E. Said (1978); H. Bobzin (1995); A.M. Piemontese (1996). L. Sciascia (1963) [cito da Milano (2009)]. Ricordo a proposito la relazione di P. Squillacioti, La defenestrazione di Agrigento. Lagumina, Sciascia, Il Consiglio d’Egitto, prolusa duran2  3 

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Appaiono meno studiate le vite umanistiche del profeta. Se, infatti, filologi latini e storici medievali sono giunti a risultati concreti, non si può dire lo stesso per l’età umanistica e rinascimentale. Questo per due motivi. Le vite quattrocentesche e cinquecentesche del profeta sono ancora lette in modo esclusivo e spesso liquidatorio, soltanto alla luce di, e in continuità con, la polemica religiosa medievale. Senza coglierne a dovere le ragioni della riscrittura, i luoghi del riuso, i nuovi contesti editoriali e politici, sia internazionali che regionali, e quindi le discontinuità ideologiche, e gli scarti di genere più evidenti. Ma soprattutto la trionfante storia delle rappresentazioni dell’altro musulmano, e con essa dell’immagine di Muḥammad nell’Europa d’antico regime, continua a mettere in ombra l’analisi delle vite rinascimentali del profeta all’interno del genere stesso. Cioè fuori dalla cornice della leggenda d’anconiana di Maometto, e finalmente in relazione con la biografia umanistica e rinascimentale. Fanno eccezione gli studi di Matthew Dimmock (2013), e specialmente di Margaret Meserve (2008). Le ricerche di quest’ultima trovano la dislocazione d’interesse tra polemica religiosa e storiografia medievale trovano una buona chiave di lettura dei testi degli umanisti sull’Islam e, di riflesso ma incidentalmente, delle vite umanistiche di Muḥammad.4 L’esempio

di

Giovanni Battista Castrodardo

Spinge a seguire le analisi di Meserve (2008), la lettura l’analisi già condotta sulla vita del profeta composta da Giovanni Battista Castrodardo bellunese (c. 1517-c. 1588) nell’introduzione all’Alcorano di Macometto, pubblicato da Andrea Arrivabene a Venezia nel 1547. A più riprese mi sono soffermato su questa biografia, davvero

te il congresso su Bartolomeo e Giuseppe Lagumina e gli studi storici e orientali in Sicilia fra Otto e Novecento, organizzato da P. Corrao, A. Lagumina e G. Mandalà, e coordinato da G. Mandalà (Palermo, Biblioteca centrale della Regione Siciliana ‘Alberto Bombace’, 29-30 novembre 2013). Ringrazio G. Mandalà per le informazioni sul congresso; M. Di Cesare (2012). 4  A. Shalem (2013), con la collaborazione di M. Di Cesare, H. Coffey, A. Saviello; M. Dimmock (2013); J.E. Brockopp (2010); M. Meserve (2008), che seguono un articolo fondamentale di J. Hankins, (1995); N. Bisaha (2006); L. d’Ascia (2001).

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esemplare dei modi di riscrittura in corso nel Cinquecento italiano ed europeo.5 In questo testo, Castrodardo usa materiali diversi per riscrivere una nuova biografia del profeta. Tra di essi, desta particolare interesse il De origine urbis Venetiarum (1492, 1534) dello storico veneziano Bernardo Giustinian (1408-1489), tradotto in italiano da Ludovico Domenichi nel 1545. In quest’opera Giustinian scrive chiaramente, confermando l’analisi di Margaret Meserve, di non voler seguire i trattati di polemica nella narrazione della vita di Muḥammad, ma le cronache medievali e la storiografia umanistica. Sposta quindi l’attenzione verso un ambito preciso: la storia politica e militare dell’Islam. E rifiuta di leggere esclusivamente i polemisti medievali e contemporanei, i «sacris litteris dediti». I quali hanno scritto sull’Islam «non tam scribendae historiae gratia, quam eius confutandi erroris». O come traduce Domenichi: «non tanto per scrivere historia quanto per confutare quello errore».6 Giovanni Battista Castrodardo (1547), dunque, segue e amplifica il testo di Bernardo Giustinian (1492, 1545) secondo le sue nuove letture machiavelliane. E in questa operazione trascina con sé anche le fonti medievali e contemporanee di polemica religiosa, di cui legge e riscrive il racconto della biografia di Muḥammad, sopprimendone le sezioni polemiche. Ciò accade ad esempio nell’uso di una seconda fonte: la Confusión o confutación de la Secta Mahomética y del Alcorán di —o attribuita a— Juan Andrés (ff. 1487-1515), tradotta in italiano nel 1537 da Domingo de Gaztelu, segretario dell’ambasciatore spagnolo a Venezia López de Soria. Questo atto di taglio e di dislocazione di materiali testuali verso un altro genere di scrittura, dalla polemica alla storiografia, costituisce la sua attività di lettore.7

P.M. Tommasino (2012b). P.M. Tommasino (2013, 182); B. Giustinian, De origine urbis Venetiarum, Venezia, Bernardino Benalio, 1492-1545, ff. 108r-119r, passim. 7  E. Ruíz García - M. Isabel García (2003). L’edizione del testo è accompagnata da un secondo volume con l’edizione anastatica di un esemplare veneziano del 1543, ritrovato nella Biblioteca de Barcarrota (Badajoz): J. Andrés, Opera chiamata confusione della setta machumetana […], Siviglia [cioè Venezia], 1537. Si veda a proposito il forum di discussione sull’Alcorano di Macometto, pubblicato nel prossimo numero della rivista Storica (56, 20, 2014), 5  6 

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Castrodardo offre così un ritratto storico-politico di Muḥammad come legislatore e profeta armato. E ciò accade anche sul frontespizio dell’Alcorano, in cui campeggia l’immagine di un Muḥammad come legislatore saggio e prudente, abbigliato da generale romano, e armato di spada e Corano. Immagine che solitamente e schematicamente si attribuisce al libertinismo francese, all’Islam degli Illuministi, fino ad arrivare al fregio della Suprema Corte americana di Washington (Adolf A. Weinman, 1935), ma le cui radici affondano salde in una lunga tradizione. Castrodardo infatti agisce come lettore autonomo, ma non isolato. E costituisce così un caso di studio per capire ciò che avvenne nelle biografie di Muḥammad umanistiche e rinascimentali. Come obbliga il classicismo, Castrodardo ha un modello ben preciso, lo storico veneziano Bernardo Giustinian, ma soprattutto una tradizione da seguire: la storiografia umanistica. La

cesarizzazione del profeta

Durante il Quattrocento e nei primi decenni del Cinquecento, è in corso un processo in un ambito parallelo alla polemica religiosa: negli scritti di storia. Tale processo affonda le sue radici nelle cronache medievali, cresce nella storiografia umanistica, e fiorisce in più direzioni dopo Machiavelli. Un processo che definirei di cesarizzazione del ritratto del profeta. E che porterà al Muḥammad legislatore e libertino, all’impostore dei philosophes, fino al Muḥammad dell’articolo di Raskol’nikov in Delitto e Castigo. L’urgenza geo-politica delle invasioni ottomane, di quelle spagnole e francesi in Italia, l’affermazione delle signorie e le imprese dei capitani, come il fiorire nuovo della storia universale e della biografia degli uomini illustri, spinsero gli umanisti a leggere in altro luogo la vita del profeta dell’Islam. Avviene così negli scritti di storia, un decisivo e pragmatico spostamento della vita di Muḥammad dall’anti-agiografia medievale dello sporco pseudo-

con interventi di Giuseppe Marcocci, Vincenzo Lavenia, Paolo Procaccioli, Paola Molino, Pier Mattia Tommasino.

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profeta alla biografia imperiale del legislatore, del conditor legis, primo-mobile arabo dell’universo ottomano contemporaneo. Muḥammad è spostato tra i Cesari. La sua anti-biografia si legge politicamente tra le Vitae Caesarum e introduce alle genealogie ottomane: Muḥammad non è più e non soltanto uomo di religione, ma soprattutto di armi, di legge nuova, e di Impero. Da anti-santo diventa anti-Cesare: e questo processo di dislocazione biografica dalle soglie dei trattati di polemica alla storia imperiale — in parte già in atto nelle cronache cittadine e universali medievali come ricordato da Meserve — e nutrito a volte di filo-turchismo, più spesso geo-politico che religioso, legittima Muḥammad come duce militare e fondatore di una legge che sarà alla base dell’Impero ottomano. Ciò avviene nei grandi umanisti, come nei poligrafi loro divulgatori, nelle opere originali e nei compendi, sia in latino che in volgare. Si veda il già noto Muḥammad delle Enneades universali di Marco Antonio Sabellico (1436-1506), il meno noto Muḥammad delle Vitae Caesarum di Bernardino Corio (1459-1519) o quello delle vite compendiate, con «lucida brevità» dirà l’editore Marcolini, nel De Caesaribus di Giovanni Battista Egnazio (14781553).8 Sia ben chiaro. Il processo in corso tra le historie, e nelle orazioni politiche degli umanisti, non annulla e sostituisce la polemica religiosa: si sviluppa in parallelo. E non va certo descritto come un moto teleologico e lineare ma frastagliato di balzi in avanti, e irto di vicoli ciechi, di involuzioni, attorcigliamenti e smarrimenti improvvisi. Ciò significa che le vite umanistiche di Muḥammad, presentano un continuo riuso di materiali polemici e storiografici medievali, ma anche che l’evidenza di questa continuità ha indotto spesso a una mancata, perché complessa, lettura della loro discontinuità. Le divergenze si leggono spesso nella neutralizzazione di un motivo polemico, nella presentazione rovesciata di un aneddoto, e si annidano in dettagli brevissimi, nel lampo di una similitudine: spesso romanizzante. 8  M.A. Sabellico (1510); G.B. Egnazio (1517), traduzione italiana (1540); B. Corio (1554). Su Muḥammad legislatore nella Historia imperiale di Matteo Maria Boiardo vedi Jo Ann Cavallo (2013, 166).

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Ed è allora all’interno di questo processo, e soprattutto ma non esclusivamente negli scritti e nei compendi di storia, che riaffiora più volte e inizia lentamente a mutare di segno il motivo della simulatio religiosa, dell’uso politico della religione, e ad affacciarsi il parallelo dello scandalo: il Profeta Muḥammad, il pontefice Numa. Ciò succede sul crinale post-umanistico e post-machiavelliano di Giovanni Battista Castrodardo (1547) come prima e accanto a Machiavelli, nell’Esposizione del Pater Noster (1504) di Antonio de’ Ferraris, detto il Galateo (1444-1517). La cui relazione con arabi, turchi, e altri musulmani, andrebbe letta non soltanto cercando tra le orazioni otrantine ma in quelle sul dibattito della nobiltà: la frattura tra barbari e greci, tra latini ed «externi» — o come si dice da qualche decennio lo scontro di civiltà — è aggirata illuminando l’identità dell’individuo, la nobiltà del filosofo.9 Giovanni Cuspiniano

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Esemplare di tale processo, di lato alla biografia di Castrodardo, è la vita di Muḥammad apparsa nel De Caesaribus dell’austriaco Giovanni Cuspiniano (1473-1529), un’altra riscrittura di una riscrittura, composta nel 1517. Come già indicato da Eric Cochrane, Cuspiniano ha il suo modello primo in Egnazio. E come Egnazio premette la sua vita di Muḥammad all’origine dei khan turchi e dei sultani ottomani: grado zero, arabo e islamico, della dinastia imperiale nemica. Una biografia quindi tutta centrata sul ruolo di precursore dei «reges» e dei «Caesares» turchi, preceduti nella successione al profeta dai «calyphi», «amorrhei», «ammyrati», «meramedini» e «sultani» di Arabia. Già dal titolo: De Mahomete Saracenorum phylarco et pseudopropheta, Muḥammad è prima di tutto filarco e poi pseudo-profeta. Cioè capo-tribù, anzi meglio capo arabo di frontiera, vassallo dell’Impero bizantino.10

C. Finzi (2007, 381). Su Galateo si vedano ora gli studi attenti di Carlo Vecce. Ad esempio: C. Vecce, (2011). Mi occupo di ciò in P.M. Tommasino, Trans-religious nobilities, in corso di ricerca e scrittura. 10  E. Cochrane (1981, 329); A. Pertusi (1973); A. Pertusi (1970); M. Meserve (2008, 241).  9 

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Esibendo l’uso di più fonti, anche Cuspiniano procede, come Castrodardo con Bernardo Giustinian, a una ricca amplificatio della biografia di Muḥammad, pescando principalmente dai militaria di Sabellico e da un testo non esibito: e cioè dall’epistola esortatoria e militante di Francesco Filelfo (1398-1481), a Carlo VII di Francia, in cui incita il sovrano a intraprendere la guerra contro il Turco. I materiali presi da Sabellico e Filelfo, che a sua volta si serve di Andrea Biglia, intessono questa vita di un colore che risale agli stili di Tacito e di Livio. Tra le righe zeppe di materiali polemici medievali, Muḥammad è anche «homo novus», truce nell’aspetto e terribile nella voce, da temere nel corpo per la sua «robur gladiatoria». Insomma capo militare che «aperto Marte» si scaglia contro l’Impero romano d’Oriente. Ma di là dal gioco dei rimandi lessicali, è una similitudine che desta l’attenzione. E che delimita la scelta di campo. Ecco come nell’epistola a Carlo VII di Francia, datata 17 febbraio 1451, si presenta il falso miracolo della colomba sussurratrice, accompagnato — come tradizione testuale e iconografica vuole — da quello del toro: Cum enim columbam, quam Spiritum Sanctum, latro callidissimus, esse qui secum loqueretur iactitabat, assuefecisset in aure sua pasci; ac taurum quendam ex occulto, eius audita altiore voce, ad se festinare et Algoranum cornibus alligatum.11

Ed ecco, invece, come appare riscritto in Cuspiniano l’episodio, pedissequo ma diverso dalla versione di Filelfo, o almeno dalle sue versioni a stampa: Columbam enim, quam Spiritum Santum callidissimus deceptor vocabat, assuefecit in aure sua pasci. Hanc sibi secretissima Dei consilia nunciare iactitabat mendacissimus nebulo, quoties ad aures pro nutrimento avis simplex volabat. Forte hunc dolum a Quinto Sertorio didicit, qui cervam circumduxit, ut milites falleret, quemadmodum Historiae Romanae prodiderunt.12

F. Filelfo, Epistolarum, 57v; L. Gualdo Rosa (1964-1968); Meserve (2008, 191-193). Vedi della stessa autrice le voci Epistola ad Carloum VII regem Francorum e Francesco Filelfo nel repertorio bibliografico CMR [Brill Online, 2014]. 12  G. Cuspiniano (1517, 644). 11 

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Pare che nel passaggio tra Filelfo (1451) e Cuspiniano (1517) sia esploso il paragone tra la colomba ammaestrata di Muḥammad e la cerva bianca addomesticata dal generale romano Quinto Sertorio tra i Lusitani. E non importa indicare di nuovo la trafila medievale dell’episodio del miracolo aviario, già studiata a dovere e con profondità da De la Cruz Palma.13 Né interessa davvero, in ambito di classicismo e riscrittura, puntare sul responsabile del paragone: ciò che conta è la sua deflagrazione. Come è rilevante che nel testo si indichi la sorgente di accensione del ricordo, e cioè le Historiae Romanae. Plutarco, certo. E proprio nella vita di Sertorio. Il quale fece della cerva «un fenomeno di origine sovrannaturale; dichiarava che era un dono di Artemide, metteva in giro la voce che la cerva lo tenesse al corrente di molti fatti occulti». Perché Sertorio «conosceva bene la natura dei barbari pronti a farsi prendere da fissazioni religiose». Oppure Aulo Gellio, che nei centoni delle Notti attiche (XV, xxii, 2-9), descriveva il «simulamentum» militare di Sertorio, cioè il «dolum» imparato da Muḥammad. Era la cerva bianca a indicare l’utile da farsi. E dopo esser stata smarrita e ritrovata — nella finzione apprestata per le truppe — continuava a consigliare il generale: Neque multis diebus post inventam esse cervam Sertorio nuntiatur. Tum qui nuntiaverat iussit tacere, ac ne cui palam diceret interminatus est, praecipitque ut eam postero die repente in eum locum in quo ipse eum amicis esset inmitteret. Admissis deinde amicis postridie, visum sibi esse ait in quiete cervam quae perisset ad se reverti et, ut prius consuerat, quod opus esset facto praedicere […].14

O più probabilmente, e come spesso indicato per Machiavelli, nei Fatti e detti memorabili di Valerio Massimo. E cioè dal De religione simulata (I, ii, 4) che — e qui ci interessa — presenta esempi etnografici comparati, tratta sia dai «Romani» che dagli «externi»: «Q. Sertorius

Ó. de la Cruz Palma (2008, 5-34). Plutarco, Sertorio, a cura di P. Martino, con una nota di L. Canfora (1986, 33); C.F. Konrad (1994), sulle fonti di Plutarco, vedi l’Introduzione, XLI-LVI; Aulo Gellio cf. C. Rolfe (1927, 108-111). 13  14 

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per asperos Lusitaniae colles cervam albam trahebat, ab ea se quaenam aut agenda aut vitanda essent praedicans admoneri».15 Insomma questo paragone, inciso nell’anti-biografia di Muḥammad, premessa da Cuspiniano all’origine dei duci ottomani, deve essere letto non soltanto seguendo il toro e la colomba, ma alla luce della pressione del genere biografico: secondo l’uso di mostrare capitani antichi ed esemplari, primo fra tutti Scipione Africano, accanto ai biografati illustri contemporanei. Filelfo stesso, del resto, comparava ad encomio Carlo VII di Francia con Cesare ed Alessandro magno. Sebbene Cuspiniano indichi un dolo, agli occhi del lettore contemporaneo il paragone con Sertorio è comunque legittimante. E muove necessariamente l’attenzione dallo pseudo-profeta al filarco, e quindi dalla falsità del miracolo all’uso politico-militare della simulatio. Entriamo così nello spazio del dialogo Dell’arte della guerra, composto da Machiavelli due anni dopo (1519-1520) la vita di Muḥammad di Cuspiniano (1517). Testo in cui, ironicamente se visto dal testo di Cuspiniano, Sertorio sta accanto proprio a Carlo VII di Francia. Come è noto Fabrizio diceva così: Valeva assai, nel tenere disposti gli soldati antichi, la religione e il giuramento che si dava loro quando si conducevano a militare; perché in ogni loro errore si minacciavano non solamente di quelli mali che potessono temere dagli uomini, ma di quegli che da Dio potessono aspettare. La quale cosa, mescolata con altri modi religiosi, fece molte volte facile a’ capitani antichi ogni impresa, e farebbe sempre, dove la religione si temesse e osservasse. Sertorio si valse di questa, mostrando di parlare con una cervia la quale, da parte d’Iddio, gli prometteva la vittoria16.

Cervi

anteriori: da

Sertorio

a

Sertorio?

Aggiungo per completezza un cervo anteriore che bacia i piedi di Muḥammad Si trova nel Libellus de notitia orbis (1404), composto probabilmente in Germania da Giovanni di Sultania (m. post 1412). Valerio Massimo cf. P. Constant (1935, 26-27). V. Caputo (2012, 121-140); N. Machiavelli (1521, 4). Cito dall’edizione on-line www. letteraturaitaliana.net; vedi anche D. Canfora (2005, 85-86). 15  16 

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Qui un cervo compare tra gli animalia silvestria al giogo impostore dello pseudo-profeta, mescolato e sovrapposto al toro più famoso del miracolo. Chiara Casali, editrice del testo, fornisce questa versione del passo: Tertio finxit dictus Sergius quod prophetam novum sequebantur etiam animalia silvestria ex parte Dei; et fecit nutriri vitulum sive pullum cervi in sinu Machumeti in tantum quod, ubicumque Machumetus ibat, sequebatur eum et quasi lingebat pedes eius. Hec videns utile ad deceptionem, premonuit populum dicens: «Tali die videbitis animal silvestre quod veniet ad pedes prophete et honorabit eum ex parte Dei». Et cum essent in templo congregati, emittentes cervum currendo venit ad eum quasi osculans pedes eius; et cum populus et satellites clamarent ad laudem prophete, cervus reversus ad loca abdita. Et sic hoc modo fastigioso decepit populum irrationalem hoc reputantes miraculum, quod non latuit christianos propinquos hec falsitas [miei i corsivi].17

Un altro cervo si trova in un manoscritto quattrocentesco, conservato a Dresda, latore del Rapporto gregoriano, una raccolta di scritti anonimi sull’Islam che nella tradizione manoscritta, e anche qui, compare di lato al Pantheon di Goffredo di Viterbo (c. 11201191). Il passo è così rubricato Item de Machometo quomodo nutrivit puerum et cervum: Machometus, Sarracenorum propheta, in cripta remota nutrivit quendam iuvenem pulchrum valde et speciosum. Et ipsum docuit et erudivit in doctrina litterali cum multiplicitate multarum linguarum, et moribus eum ornavit et loquela venusta reddidit illum facundum. Et in omni lege erat fere instructus, nam ipse nequam Machometus adhibuerat secum quosdam viros sapientes: Grecos, iudeos et Sarracenos atque Cristianos. Et cum predicto puero nutrivit quendam cervum. Et ipsum cervum docuit ex magno usu quod statim viso puero inclinabat se, et osculabat manus et pedes pueri.18

Ringrazio Chiara Casali per avermi fornito i testi di questo paragrafo, che cito dalla Tesi di Laurea di C. Casali (2010-2011), relata da P. Chiesa, e correlata da G. Albini, 194-196. Vedi della stessa autrice le voci John of Sultania, e Libellus de notita orbis nel repertorio bibliografico CMR (2013) [Brill Online, 2014]. 18  Dresden, Sächsische Landesbibliothek (SLUB) scr.Dresd.App.2982. f. 93, en: [http:// www.deutschefotothek.de/documents/obj/90061618]; M. Vandecasteele (1996, 339-349). 17 

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Ignoro se ci sia una continuità, chissà tedesca e centro-europea, tra Goffredo da Viterbo, Giovanni di Sultania e Giovanni Cuspiniano. Certo sembra che l’episodio classico, soprattutto nella variante con il discepolo di Muḥammad, si intrecci al repertorio di miracoli della leggenda medievale. Indichiamone, però, anche la discontinuità. Non guardando soltanto e sempre alle fonti, ma ai riusi e alle riscritture. In Cuspiniano il riferimento a Sertorio si affianca alla colomba, non al toro. E questo è un dettaglio, e non importa. Importa invece che l’inciso dell’umanista sia consapevole, esplicito ed esposto. Un paragone che conduce, sia il poligrafo stesso che il suo lettore contemporaneo, nella direzione della storia romana. Si registra, quindi, un passaggio. Uno scivolamento cosciente verso l’exemplum del generale. Di lì a poco, nel dialogo sull’arte militare di Machiavelli, la simulatio zootecnica di Sertorio, di lato al concerto di Numa con Egeria dei Discorsi, sarà interpretata come ars militare, pragmatica ed efficace, e non più come il trucco di un imbroglione. Conclusione

breve

Nell’Alcorano di Macometto Castrodardo (1547) rilesse il testo di Bernardo Giustinian (1492, 1545) secondo la simulata religione di Machiavelli. E seguendo la storiografia umanistica, trascinò anche i materiali polemici di Juan Andrés (1515, 1537) verso un altro contesto, abolendo le sezioni polemiche del testo morisco e presentando il falso miracolo del mi‘rāg come fictio e racconto letterario. In modo simile, Giovanni Cuspiniano (1517), poggiando su Francesco Filelfo (1451), sposta il falso miracolo della colomba, riletto a paragone della cerva di un generale romano, verso le strategie dissimulatorie dell’Arte della guerra di Machiavelli (1519-1520, pubblicato nel 1521). Questi due testi, pre e post-machiavelliani, sono esempi di un processo in corso. Che affonda le sue radici — come ha dimostrato Margaret Meserve — nel terreno fertile della storiografia medievale e umanistica, terreno confinante ma distinto da quello della polemica religiosa. Questo terreno, secondo classicismo, arricchisce ed è arricchito a ogni dissodamento, a ogni riscrittura. E da elementi più o meno

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grassi, e nutrienti. Al di fuori del terreno della storiografia politica, e del processo di cesarizzazione del profeta, non si intende il germogliare del Muḥammad legislatore che assumerà figura piena nei secoli a venire. Gli scrutatori degli arcana imperi, come già illustrato nelle ricerche sull’Alcorano di Macometto, poggeranno infatti sui testi che illustrano le artes di Muḥammad e non le fabulae religiose del Corano.19 Le vie della simulazione religiosa, come quelle del Signore, sono infinite. E passano attraverso l’aristotelismo padovano di Pomponazzi, l’ironia machiavelliana, l’anticlericalismo della poesia popolare, lo scetticismo sorto dal multi-confessionalismo, come attraversano le analisi politiche degli imperi dell’Islam degli umanisti italiani del Quattrocento, dei loro volgarizzatori e compilatori: i poligrafi cinquecenteschi lettori di historie. Seguire l’impronta lasciata dalla cerva di Sertorio nell’inciso di Cuspiniano, e inquadrare a dovere i generi e i modi di riuso e riscrittura, serve a ritracciare con più chiarezza i percorsi di diffusione dell’immagine di Muḥammad nell’Europa d’antico regime: una immagine mutevole, ma che è sempre presente, a specchio della mutevolezza e complessità delle cose religiose, politiche e militari europee.

19 

P.M. Tommasino, Leggere l’Alcorano a Firenze (2013, 200-205).

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