Microcredito in India. Esiste un modello realmente efficace?

May 20, 2017 | Autor: Paola Carbone | Categoría: India, Self Help Groups, Microfinanza, Sostenibilità, Microcredito, Grameen Model
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Descripción

Corso di Laurea in Lingue, culture e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea

Tesi di Laurea

Microcredito in India. Esiste un modello realmente efficace?

Relatore Ch. Prof. Stefano Beggiora

Laureando Paola Carbone Matricola 831887

Anno Accademico 2013 / 2014

MICROCREDITO IN INDIA. ESISTE UN MODELLO REALMENTE EFFICACE?

भूमिका िेरे शोध का विषय भारत की विकल्पी अर्थव्यिस्र्ा है । भारत िें िेरी पहली यात्रा के दौरान इस प्रसंग पर ननबंध मलखने का विचार उत्पन्न हुआ। िुम्बई िें िैं एक रचनात्िक हस्तमशल्प (Creative Handicrafts) केंद्र को दे खने के मलए गई। यह केंद्र अंधेरी की एक बड़ी बस्ती िें है जहााँ इस शहर के गरीब लोग रहते हैं। िहां एक सािाजजक सहकारी समिनत है और उसका कायथ िुहल्ले की गरीब औरतक को काि उपलध ध कराना है । इसका प्रिुख लक्ष्य औरतक को धन प्रबंध के मलए तैयार कराना है । इन गरीब औरतक को अपने सशजततकरण के मलए बहुत सारी िहत्िपण ू थ एिं उपयोगी बातें मसखाई जातीं हैं। इन औरतक को विमभन्न सिूहक िें विभाजजत ककया जाता है । हर कायथदल िें बीस औरतें काि करतीं हैं। ये औरतें मिलकर कपड़क के क्षेत्र के मलए कपड़े , डिध बे और तककये या चादरक जैसा िाल बनातीं हैं। सारी सािग्री सौ प्रनतशत भारतीय होती है लेककन िाल खासकर विदे श िें बेचा जाता है । यह पररयोजना िुझे बहुत पसंद है तयककक इन औरतक को जिम्िेदारी ददलाती है और उन्हें सशतत करा दे ती है । इस योजना के कारण बस्ती की गरीब औरतें काि करके पैसे किा सकतीं हैं और अपने बच्चक को मशक्षण ददला सकतीं हैं। कभी कभी पैसे बचाकर अपने पररिार के मलए घर भी बना सकतीं हैं। िेरा शोध व्यिहाररक चीिक के बारे िें होते हुए भी िस्ति िें सैद्ांनतक है । इस शोध िें िैं शूक्ष्ि ऋण (microcredit) के िुख्य प्रनतिान के बारे िें मलखती हूाँ और संपण ू थ प्रस्तुत जानकारी ज्ञात मसद्ांतक पर आधाररत है । इस शोध िें िैं तीन प्रनतिानक या िॉिलक का वििरण करती हूाँ और उनके बीच तुलना करती हूाँ।

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पहले अध्याय िें िैं अर्थव्यिस्र्ा और राजनीनतक संदभथ के बारे िें मलखती हूाँ। दस ू रे अध्याय िें िैं शूक्ष्ि वित्त (microfinance) के विषय को प्रस्तुत करती हूाँ।

तीसरे अध्याय िें िैं तीन िॉिलक का

िणथन करती हूाँ। िेरे अनुसार शूक्ष्ि ऋण का प्रसंग नया है और इसमलए बड़ा रोचक है । इस प्रकार अर्थव्यिस्र्ा न मसर्थ भारत के मलए उपयोगी हो सकती है परन्तु दस ू रे दे शक िें भी इसका प्रयोग ककया जा सकता है । िैंने इस विषय के बारे िें मलखने का ननश्चय ककया तयककक भविष्य िें िैं इसका और गहराई से अध्ययन करना चाहती हूाँ। िुझे आशा है कक लेख दस ू रक को प्रेरणा दे सके और लाभदायक हो।

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INTRODUZIONE

Nel corso della trattazione si affronterà il sub-continente indiano dal punto di vista macroeconomico, analizzando, in particolare, i vari modelli economici che si ispirano alla micro finanza e al microcredito. Si prenderanno in esame il “modello Grameen”, nato in Bangladesh grazie al noto professore universitario di economia Muhammad Yunus, il self-help group e il modello cooperativo. L’idea di soffermarsi a studiare i modelli di microcredito in India è nata durante il primo viaggio nel Paese, quando ho visitato il laboratorio del Creative Handicrafts a Mumbai, nel 2010. Più precisamente, il progetto appena citato, si trova nello slum Andheri, nella parte occidentale della città. Ero andata in India con il mio gruppo Scout perché stavamo affrontando un progetto di scelte politiche all’interno del quale c’era l’interesse nel visitare associazioni che facessero scelte “alternative” all’ordine del giorno. Il Creative Handicrafts è un’impresa sociale che si impegna a fornire lavoro alle donne dello slum in condizioni socio-economiche svantaggiate, le quali, divise in gruppi, si adoperano per creare prodotti legati al settore tessile. Tra le collaboratrici del progetto c’è chi si occupa della fabbricazione di bambole di stoffa, chi confeziona vestiti, borse, ma anche cose utili per la casa, come cuscini, lenzuola, tovaglie, fino ad arrivare ad astucci e portamonete. All’interno dell’impresa esistono dodici gruppi composti da circa venti donne. Così organizzate esse creano prodotti destinati alla vendita, fabbricati unicamente con materiali indiani. Questo progetto è importante per lo sviluppo della trattazione soprattutto per la finalità dell’azione che mira a fornire all’universo femminile, appartenente ad un contesto territoriale difficile, la possibilità di seguire un percorso di responsabilizzazione indirizzato al raggiungimento della stabilità economica. Tale “Creative Handicrafts”, infatti, rappresenta un modello concreto di selfhelp group. In secondo luogo è importante notare che il progetto sia rivolto alle donne. In questo modo possono ottenere un riscatto nella società e nella famiglia e possono occuparsi al meglio della salute e dell’istruzione dei propri figli. Nel primo capitolo si descriverà il contesto economico del sub-continente a partire dall’Indipendenza fino ad arrivare ai nostri giorni; nel secondo, verrà proposta una riflessione sulla micro finanza, per poi andare nel dettaglio nel terzo, affrontando il tema del microcredito e proponendo una descrizione dei tre modelli già accennati. Il titolo della tesi, la domanda “Esiste un modello realmente efficace?”, è la questione che ha dato l’avvio alla ricerca e accompagnerà tutta la riflessione, fino alle sue conclusioni finali. Non si 4

pretenderà di fornire un’unica risposta al quesito, perché, come si noterà nel corso dell’elaborato, tutt’ora si sta studiando e cercando di capire se esiste una risposta che prevalga sulle altre.

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PRIMO CAPITOLO: CONTESTO ECONOMICO E POLITICO DELL’INDIA 1.1 Economia protezionista: 1947-1974 L’India è un giovane ed enorme Paese che ha saputo presentarsi in maniera vincente sulla scena mondiale, nemmeno settanta anni dopo essere uscit o dalla dominazione britannica, diventando oggi la terza maggiore economia asiatica. L’economia indiana al momento dell’Indipendenza, nel 1947, si presentava come ben consolidata a livello nazionale. Si proponevano sul mercato due tipi di imprenditori: quelli delle grandi imprese industriali, esistenti già nel periodo coloniale e quelli delle piccole e medie imprese. Le grandi imprese erano piuttosto efficienti e competitive poich é in precedenza avevano dovuto rivaleggiare con i prodotti britannici. Mentre le piccole e medie imprese si svilupparono dopo l’Indipendenza, quando il governo indiano, per far fronte ad una crisi valutaria, propose un modello economico piuttosto restrittivo. 1 Tale crisi valutaria colpì l’India nel 1957 e fu causata dall’esauriment o di riserve di valuta estera. Questo portò il governo di Nehru a cambiare orientamento politico, in quanto l’andamento in parte aperto del mercato non era in grado di far fronte alla crisi; per questo si adottò un modello più autarchico. Inoltre, tra i personaggi incisivi della scena p olitica del periodo dell’Indipendenza è da ricordare Gandhi. Egli creò un movimento che riuscì a mobilitare le masse per scacciare gli inglesi attraverso la non cooperazione non violenta. Ma il suo programma politico non aveva un reale sostegno a livello economico, in quanto si basava su progetti utopici come l’esclusione della tecnologia per l’incremento dello sviluppo. Questa, infatti, avrebbe tolto il lavoro ad una buona parte della popolazione; inoltre riteneva che un’economia di tipo agricolo fosse sufficiente per la crescita dell’India. 2 Al momento dell’Indipendenza, divenne primo ministro Jawaharlal Nehru, membro del Partito del Congresso, statista emergente con l’idea politica di un’India non -allineata, i primi anni in competizione con il vice primo ministro Vallabhai Patel, di indirizzo più conservatore e tradizionalista. Nehru dovette creare un programma politico ed economico ex novo e nel farlo si orientò sul modello sovietico, proponendo un approccio più protezionista, applicato a partire dalla fine degli anni Cinquanta circa. Nel 1948 invece, attuò la prima Risoluzione di politica industriale, allontanando le pressioni della parte più radicale del suo partito, indirizzate verso un’economia del Paese chiusa. In tale Risoluzione 1

Prem Shankar Jha, Quando la tigre incontra il dragone. Uno sguardo nel futuro di India e Cina, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2010, pagg. 70-71 2 Mishra L. P., Movimenti politici dell’India, Ubaldini Editore, Roma, 1971, pag. 21

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si dichiarava che dovevano appartenere allo Stato i tre settori della difesa, energia nucleare e ferrovie; inoltre lo Stato si riservava il diritto di sviluppare altri settori come la siderurgia, l’industria aeronautica e le telecomunicazioni. Questo tipo di modello economico fu permesso grazie alle grandi quantità di riserve di valuta estera accumu late durante la seconda guerra mondiale. Come si è visto però, tali riserve si esaurirono nel 1957. Favorendo alcuni settori, il governo dovette sacrificarne altri, come l’agricoltura. 3 In un primo momento si incoraggiò i contadini ad utilizzare tecniche più moderne, con l’aiuto di nuove tecnologie e fertilizzanti. Tale forza lavoro investì larga parte dei propri soldi in queste tecnologie, ma quando l’economia indiana venne liberalizzata, il governo spinse le banche ad investire nei settori economicamente più produttivi, quali le industrie. Ci si ritrovò con un enorme numero di contadini indebitati a causa del mancato credito inizialmente promesso dalle banche e del conseguente calo dei prezzi dei prodotti agricoli. 4 Ne conseguì un periodo di crisi per la forza lavoro rurale con un alto tasso di suicidi dovuti alle difficoltà economiche. 5 Ci si rese conto dunque, che questo tipo di approccio protezionista alla lunga non era il più adeguato per una crescita incisiva dei mercati indiani. Nei primi quarant’anni circa dopo l’Indipendenza, il Paese ha visto il susseguirsi di sei primi ministri e la predominanza del Partito del Congresso al governo. Solo per un paio d’anni ha preso il potere il Partito Janata, tra il 1977 e il 1980. I più importanti primi ministri di questi anni furono Jawaharlal Nehru (1947-1964), la figlia Indira Gandhi (19661977 rieletta negli anni 1980-1984) e suo figlio Rajiv Gandhi (1984-1989). La politica di Nehru era di tipo dirigista, basata sul protezionismo, sulla maggiore attenzione al le produzioni nazionali piuttosto che sulle importazioni e sul maggiore controllo statale delle attività economiche. 6 Questa chiusura economica è ritenuta da m olti economisti causa del rallentamento dello sviluppo del paese. 7 D’altronde, tale approccio economico portò ad un ampio sviluppo manifatturiero, anche se, allo stesso tempo, il tasso di crescita indiano restò molto basso e il livello di povertà alto. Il modello autarchico sostenuto non riusciva a produrre crescita né tantomeno autosufficienza per il paese. Fu per questo che il primo

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Jha P. S., op. cit., 2010, pagg. 219-221 Beggiora Stefano, India e Nordest: il mercato del terzo millennio, Editrice Cafoscarina, Venezia, 2009, pagg. 32-33 5 Torri Michelguglielmo, “L’India nel sessantesimo anno di indipendenza”, in L’Asia nel «grande gioco». Il consolidamento dei protagonisti asiatici nello scacchiere globale, Guerini, Milano, 2008, pagg. 105-162 6 Meghnad Desai, “Un paese di successo che resta molto povero”, Pianeta India, Limes n. 6, 2009, pagg. 35-43 7 Jha P. S., op. cit., 2010, pag. 215 4

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ministro Indira Gandhi proseguì con la linea politica del padre in un primo momento, ma successivamente si discostò per tentare una liberalizzazione dei mercati. Anche il figlio Rajiv Gandhi continuò con l’ apertura dell ’economia cominciando dal settore informatico. 1.2 Riforme “di soppiatto”: 1974-1990 Quando, all’inizio degli anni Settanta, l’India fu colpita prima da una carestia (1972) e successivamente accusò il colpo della quadruplicazione del prezzo del petrolio (1973), l’allora primo ministro in carica Indira Gandhi, cominciò a rivedere il program ma economico e ad abolire buona parte delle restrizioni poste. Tali restrizioni non avevano lo scopo di favorire tutto il paese, per questo il primo ministro attuò le riforme “di soppiatto”. Iniziò così un periodo che durò circa due decenni, più precisame nte dalla prima riforma del 1974 all’invasione irachena del Kuwait nel 1990. Il governo cominciò alzando i tassi d’interesse sui depositi bancari e liberalizzando le direttive in vigore sulle concessioni di prestiti al settore privato. Successivamente la Banca centrale indiana dovette svalutare la rupia e adeguare l’inflazione con il tasso medio dei paesi industrializzati. Verso la fine degli anni Settanta vennero liberalizzate anche le importazioni, abolendo i divieti precedenti ed eliminando le limitazioni imposte sull’importazione di determinate merci. Nei primi anni Ottanta ci fu una nuova carestia e un ulteriore aumento del prezzo del petrolio. Questo portò all’eliminazione dei sussidi all’agricoltura e alla maggiore concessione di licenze industriali. 8 Successivamente, il primo ministro Rajiv Gandhi comprese per primo le potenzialità del settore informatico a livello mondiale. Intorno alla metà degli anni Ottanta tale settore venne pubblicamente liberalizzato dalle restrizioni rimaste dal precedente governo della madre Indira. L’intuizione del primo ministro fu giusta e lo si notò grazie alla straordinaria crescita alla fine degli anni Ottanta di questo settore, il quale divenne il principale sbocco lavorativo per i giovani indiani. 9 Tuttavia, queste riforme furono minime e incomplete, per questo l’India era ancora lontana dall’avere un’economia aperta. Infatti, a dispetto della liberalizzazione delle importazioni, i commerci internazionali erano ancora ostacolati dall’imposizione di dazi molto elevati. Nonostante la crescita economica, il livello di esportazioni rimase ridotto e ciò portò ad un divario nella bilancia dei pagamenti il quale doveva essere coperto dai prestiti esteri. Nel 8 9

Jha P. S., op. cit., 2010, pagg. 217,241 Jha P. S., op. cit., 2010, pagg. 55-56

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maggio del 1990 il debito estero esplose, ma i finanziatori si oppos ero ad un ulteriore finanziamento nei confronti dello stato indiano. Questo periodo di crisi coincise con l’invasione irachena del Kuwait e la conseguente riduzione delle rimesse monetarie spedite dai lavoratori indiani che lavoravano in quei paesi. A ciò si aggiunse l’ennesimo aumento del prezzo del petrolio e la conseguente crisi valutaria. Nello stesso periodo, in Europa cadeva il muro di Berlino (novembre 1989) e crollava l’Unione Sovietica. Fu un duro colpo per l’India intera che, pur non allineata, seguendo la politica di Nehru, aveva fatto del socialismo un modello a cui ispirarsi anche come strategia economica. Il modello politico ed economico del Partito del Congresso sostenuto fino ad allora non si rivelò adatto per l’India in questo determinato p eriodo e anche il popolo lo notò non rieleggendo un suo rappresentante nelle elezioni del 1989. Al suo posto salì al potere un governo di minoranza, il quale, a causa del poco sostegno da parte dei deputati, non riuscì comunque ad attuare le riforme necessarie. Si presentarono due anni di instabilità politica e quando nel gennaio 1991 si ebbe una crisi valutaria, il Partito del Congresso non appoggiò le riforme necessarie, in quanto queste erano fortemente austere e quindi impopolari. Solo nel giugno 1991, il Partito del Congresso tornò al potere, sotto la guida di Narasimha Rao (1991-1996). 1.3 Verso un’economia aperta: 1991-ad oggi Il primo ministro Rao diede l’incarico di ministro delle finanze a Manmohan Singh, il quale tentò di contenere la crisi. L’India fece un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e con la Banca mondiale impegnandosi a svalutare la rupia, liberalizzare il tasso di cambio e tutte le importazioni, abolire le concessioni industriali e ridurre i dazi doganali. 10 Ci si accorse che, riducendo i controlli, il ritmo di crescita del paese aumentava. I risultati di questa nuova politica non si videro subito, bensì agli inizi del nuovo secolo (2003), quando l’India riportò una crescita del 9% annuo. 11 Il primo ministro Rao si trovò a dover sanare l’economia indiana portata alla deriva dal suo stesso partito; per questo non poté pubblicamente criticare le mancanze del governo precedente in quanto anche lui ne faceva parte e dovette applicare delle riform e che non pesassero troppo sulla popolazione.

10 11

Jha P. S., op. cit., 2010, pagg. 250-251 Jha P. S., op. cit., 2010, pagg. 40-41

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La crisi valutaria di inizio anni Novanta colpì solo la valuta es tera, perché in quegli anni il Paese era all’apice della crescita economica. La prima azione da compiere fu quella di assicurare tutti gli inve stitori stranieri e gli stessi indiani residenti all’estero che avevano prelevato grossi quantitativi di denaro. Si passò dunque alla svalutazione della rupia del 25%, ma l’accordo con il FMI prevedeva anche una diminuzione del deficit attraverso una riduzione delle spese. Ciò avrebbe portato al calo dell’inflazione e alla diminuzione delle importazioni. Negli anni successivi al boom economico del 1993 ci si accorse però, che pur seguendo le istruzioni del FMI per ridurre le spese, il deficit non diminuiva; ciò che diminuiva anzi era la crescita dell’industria e quindi le entrate tributarie. Questo breve ritorno all’austerità economica non avrebbe portato altro che dissensi alle riforme e si procedette quindi all’attenuazione dei controlli sulla spesa pubblica puntando molto sugli investimenti pianificati. Un’altra indicazione del FMI per il governo di Rao era quella di aprire di più i suoi commerci con l’estero riducendo i dazi proibitivi. Nei cinque anni del governo del primo ministro però, non si riuscì a portare a termine questo ciclo di riforme, anche se i dazi diminuirono notevolmente e il deficit calò almeno in parte. 12 Questa fase di riforme non vide il giusto appoggio da parte della popolazione indiana soprattutto durante i primi anni. In primo luogo il governo vide l’opposizione dei lavoratori a reddito fisso. Tale categoria comprendeva giornalisti, insegnanti, membri delle forze armate, i quali temevano che la riduzione dei controlli avrebbe portato all’inflazione con la conseguente riduzione dei loro redditi già modesti. A loro si aggiunsero i lavoratori sindacalizzati i quali erano preoccupati che le riforme potessero intaccare la loro protezione assoluta dai licenziamenti. Inoltre i sindacati lavoravano principalmente nel settore pubblico, quello me no competitivo, il quale senza la protezione statale avrebbe avuto molte difficoltà a mantenere la competitività nel mercato sia interno che estero. La loro opposizione si fece sentire attraverso alcuni scioperi fino al 1994. Un’ulteriore categoria era quella degli agricoltori: da sempre erano i lavoratori più oppressi dall’economia indiana e pertanto avrebbero dovuto appoggiare le riforme che abolivano i controlli sui prezzi e sulla distribuzione dei loro prodotti. Invece , loro temevano un mercato aperto perché li avrebbe allontanati dai prezzi fissi dei loro prodotti e delle materie prime che minimizzavano i rischi dei raccolti (carestie, siccità, scarsità). 12

Jha. P. S., op. cit., 2010, pagg.253-254

10

L’ultima categoria che si oppose alle riforme del governo Rao fu quella dell’industria. In un primo momento le industrie apprezzarono le riforme che permettevano loro di investire nei settori che apparivano più proficui, ma successivamente si resero conto che era un grande rischio per loro in quanto dovevano competere con le merci importate. La vera opposizione emerse solo intorno al 1993 guidata dal “Bombay Club”, composto da industriali indiani tra i più importanti. Questo gruppo di industriali si legò subito con il Bharatiya Janata Party (BJP), partito più protezionista che si era opposto all’apertur a del mercato indiano agli Investimenti Diretti Esteri (IDE). 13 La loro opposizione non era sulla stessa

linea

protezionista

degli

anni

precedenti,

ma

era

rivolta

principalmente

all’ottenimento di “condizioni di competitività uniformi per le imprese indiane ”. Come accennato, questo emerse nel 1993 quando ci fu la deregolamentazione degli investimenti esteri. La conseguenza fu un ritorno degli stranieri, i quali ripresero il controllo delle loro società rendendole competitive e avversarie delle societ à indiane, locali. Quest’ultime inoltre, avevano dei vincoli da seguire che le società straniere non avevano. Il “Bombay Club” fece pressioni al governo per evitare che le società indiane venissero schiacciate dalle società estere, ottenendo che gli investitori stranieri non potessero più riappropriarsi delle loro aziende indiane a prezzi stracciati. Alla luce di tutte queste opposizioni, il governo di Narasi mha Rao prese delle precauzioni. Innanzitutto introdusse le riforme con una certa calma, in modo tale da per mettere a chi era maggiormente colpito di abituarsi ai cambiamenti. Tali riforme dovevano seguire un ordine preciso, sequenziale, ristabilendo l’equilibrio dell’economia prima e consentendo la ripresa della crescita poi. Inoltre si stimolò la crescita econ omica per allentare l’opposizione alle riforme e si rafforzarono le società statali, prima di liberalizzare completamente i mercati, per poterle presentare più competitive. Infine, al contrario delle già accennate riforme “ di soppiatto” introdotte dal primo ministro Indira Gandhi negli anni Settanta, queste furono sempre ben dichiarate attraverso un’azione sistematica di rapporti redatti ufficialmente e dichiarazioni ai media. Attraverso tali rapporti si creavano dibattiti dove tutti potevano esprimere le loro opinioni e la popolazione stessa si abituava all’idea del cambiamento. Quando l’India si allontanò dalle indicazioni del FMI ci fu il boom economico, nel 1993 e la conseguente iniezione di fiducia negli industriali indiani che ricominciarono ad investire. La crescita industriale toccò il 16,2% nel primo trimestre del 1996, punta mai raggiunta in precedenza. Fu in questi anni però che ricominciarono i problemi al governo. 13

Le uniche limitazioni agli IDE riguardano i settori strategici della difesa, energia atomica e infrastrutture dei trasporti, soprattutto ferrovie. Beggiora S., op. cit., 2009, pag. 206

11

Nel 1995 il Partito del Congresso, nonostante la continua crescita economica, si a ccorse che l’inflazione era arrivata all’11% e alzò il tasso d’interesse; la crescita dei prezzi rallentò e fece cessare il boom economico. Nel 1996 il Partito del Congresso perse le elezioni e al suo posto salì al potere un insieme di tredici partiti mino ri chiamati Fronte Unito. L’ascesa inaspettata e la non raggiunta maggioranza li costrinse a legarsi al Partito del Congresso, il quale acconsentì all’incarico unicamente per tenere il suo avversario, il BJP, fuori dal potere. Seguirono due anni di instabi lità politica, che videro arrivare nel 1997 la recessione. Una serie di circostanze allungò ulteriormente il periodo di recessione, come lo scarso raccolto del 1998 e le sanzioni ricevute dalla comunità internazionale a causa dei test nucleari condotti nel maggio dello stesso anno. All’inizio del nuovo millennio si dovette procedere ad un riaggiustamento strutturale e le aziende che sopravvissero sono ora quelle più competitive. Tali aziende erano guidate da una nuova generazione di proprietari-dirigenti, estremamente istruiti in ambito manageriale. Il merito di queste aziende fu quello di riuscire a ottenere profitti nonostante la domanda fosse quasi nulla. Nel 2003 la recessione giunse al termine e il governo, nelle mani della National Democratic Alliance (NDA) e con il primo ministro Atal Bihari Vajpayee, decise di vendere tutte le azioni del settore statale attraverso pubbliche offerte sul mercato azionario. Inoltre, la NDA accettò la proposta di un gruppo di finanzieri (il “nuovo Bombay Club”) di vendere le azioni anche al pubblico indiano. Nel 2004 torna al potere il Partito del Congresso come guida della United Progressive Alliance (UPA), con primo ministro Manmohan Singh, il quale mantiene l’apertura dei mercati azionari. È importante notare che nonostante la maggioranza di anni al governo del Partito del Congresso, è sotto la NDA e il BJP che il Paese vede attuarsi in maniera effettiva le riforme teorizzate dal ministro Singh. Una testimonianza di ciò ci è data dalle ultime dichiarazioni del BJP, il quale nel 2014 ha vinto le elezioni anche per l’essersi attribuito il merito del miracolo economico indiano. Come si è già detto, le conseguenze delle riforme iniziate negli anni Novanta si videro soprattutto nei primi anni del nuovo millennio. Tali risulta ti sono l’accelerazione della crescita del PIL, il miglioramento nella qualità della vita, la crescita dell’occupazione e l’aumento delle entrate tributarie. 14 Riprendendo il discorso dell’apertura agli IDE, non si può non parlare del processo di apertura delle Special Economic Zones (SEZ). Queste sono dei territori che il governo 14

Jha P. S., op. cit., 2010, pagg. 255-274

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predispone per attrarre gli investitori stranieri orientati all’export. Le società possono insediarsi in tali zone attraverso una serie di normative e linee guida e all’interno di questi territori godono di agevolazioni ad hoc. L’unica garanzia che lo Stato indiano richiede è l’importazione di almeno il 75% della produzione dell’industria nel proprio paese d’origine. Un problema sollevato dalla creazione di tali zone è che non si tiene conto del background sociale presente: spesso molti terreni vengono presi ai loro legittimi proprietari senza il loro consenso. Come si è detto, gli investitori che vogliono creare una s ocietà all’interno di una SEZ devono seguire un iter burocratico, ma devono ottenere anche un saldo positivo in valuta estera nel primo triennio di vita. I vantaggi che il governo propone per le società che operano nelle SEZ per ora non si applicano in maniera concreta in quanto le procedure sono complesse e lente; di conseguenza c’è un rallentamento di un mercato dalle potenzialità incredibili. Non tutte le SEZ possono però vantare un grande successo: buona parte delle società all’interno di queste non raggiungono i profitti richiesti. 15

15

Beggiora S., op. cit., 2009, pagg. 207-225

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SECONDO CAPITOLO: CHE COS’È LA MICRO FINANZA?

2.1 La crescente finanziarizzazione Negli ultimi anni il nostro sistema economico appare sempre meno collegato all’economia reale e sempre più sfuggevole, astratto, intangibile. Ciò è dovuto al fatto che ci troviamo spettatori di un processo di “finanziarizzazione crescente”. Per descrivere questo delicato passaggio, ci si appoggerà alle riflessioni di un noto studioso della micro finanza, Jean-Michel Servet. In particolare, si farà riferimento ad una sua pubblicazione del 2006, che costituisce un vero e proprio manuale di studio sul tema. 16 Con l’espressione “intensificazione della finanziarizzazione dei rapporti sociali” si intende un insieme di restrizioni e di regole nell’impie go di modalità di pagamento, il ricorso al credito e la protezione contro i rischi. 17 L’effetto più evidente di globalizzazione finanziaria è la conseguenza di quattro processi d’intensificazione della finanziarizzazione. In primo luogo si assiste ad una crescente monetizzazione del consumo. Essendo diminuita la produzione per consumo interno, i nuclei familiari hanno cominciato a diversificare i propri consumi. A testimonianza di ciò si osserva un passaggio dalla produzione di massa di beni standard alla produzione di servizi specializzati. Ad esempio, dal punto di vista finanziario, i vari istituti offrono oggi una gamma di servizi che si adattano sia ai bisogni dell’individuo sia a quelli delle imprese. Tuttavia, spesso questi servizi non raggiungono questo obiettivo e non toccano la totalità della clientela. In questo modo,

i

diversi

fattori

di

finanziarizzazione

provocano

delle

situazioni

di

marginalizzazione e di esclusione, che si affronteranno nel prossimo paragrafo. Dunque, ogni bene di consumo oggi ha un prezzo e sempre più beni vengono inseriti nel menù dei potenziali consumatori. È inutile ricordare come l’innovazione determini ai giorni nostri un accorciamento dei tempi di produzione, ma anche della durata di vita di un prodotto. Questo è provocato dall’impazienza del consumatore, sempre alla ricerca di nuovi articoli. Nel sub-continente indiano si trova un’efficace dimostrazione di quanto detto finora. La frammentazione della società dovuta al sistema castale, prevede particolari funzioni lavorative in base al gruppo sociale di appartenenza. In questo modo, la divisione sociale del lavoro crea un rapporto di dipendenza e gerarchie piuttosto complesso. Inoltre, vengono creati beni adatti a tutte le fasce della popolazione, perseguendo l’ottica second o la quale si 16 17

Jean-Michel Servet, Banquiers aux pieds nus, Paris, Odile Jacob, 2006 Servet, op. cit., 2006, pag. 38

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debba pagare per qualsiasi cosa. Nel corso del tempo la marcata divisione delle caste è andata affievolendosi e la specializzazione castale e la coesistenza sociale hanno lasciato il posto al guadagno individuale. In secondo luogo, a favorire l’intensificazione della finanziarizzazione è il processo di crescita dell’intermediazione finanziaria. Come scrive Servet, ormai la modalità di pagamento tramite conti bancari e assegni, sta sostituendo le banconote, i contanti. Questo avviene perché le nuove modalità di pagamento sono diventate un modo di distinzione sociale e di affermazione dello status. Si tratta di un processo molto simile all’integrazione ed esclusione, con la tendenza a marginalizzare coloro i quali non possono offrire garanzie a un istituto finanziario, né tanto meno un guadagno appropriato. Il terzo processo è la protezione contro i rischi. In passato era compito dello Stato occuparsi della protezione e sicurezza dei cittadini attraverso una ridistribuzione dei contributi fiscali. Oggigiorno, invece, questa capacità di protezione sta diventando sempre più individuale e varia in base alla solvibilità di ciascuna persona. Una conseguenza palese è che più le persone vivono in condizioni di povertà, più faticano a proteggersi economicamente, evitando di inserirsi in attività speculative. In questo modo, la possibilità di uscire dalla condizione di povertà sarà sempre più remota. La quarta e ultima forma di finanziarizzazione concerne lo sviluppo delle speculazioni. L’insieme dei processi finora descritti permette la creazione di una massa di capitali che favorisce l’espansione dei mercati finanziari. La finanza diventa il punto cardine del sistema produttivo in quanto è ormai diffusa l’idea che è più conveniente speculare piuttosto che produrre.

2.2 Principali cause di povertà Ci si soffermerà ora sul problema della povertà, in particolare presentando le cause: l’esclusione finanziaria e l’usura. Come si è visto, le modalità di pagamento definiscono i rapporti tra gli individui e le istituzioni. 18 Di conseguenza, la limitazione nell’accesso a un determinato modo di pagamento o a forme di prestiti e finanziamenti, confinano l’individuo in una posizione di esclusione finanziaria. Questa esclusione si presenta come estromissione dai prest iti forniti dalle banche in quanto quest’ultime richiedono una garanzia. 19 18

Servet, op. cit., 2006, pag.132 M. Yunus, Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, 1998, pag. 21, è proprio dalla questione della richiesta di garanzie che Yunus decide d’intraprendere il proprio progetto. Per lui era un paradosso pretendere una cauzione dai poveri, dato che chiedono il prestito per la sopravvivenza. 19

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L’opinione di Servet è che l’esclusione finanziaria possa essere “subita” o “ricercata”. Se è subita, tendenzialmente ciò avviene nelle zone urbane più povere, come le bidonville, n elle regioni in declino o ai margini della dinamica economica globale, come antiche zone industriali o minerarie in Asia, Africa e Sud America. In questo caso gli “esclusi” sono le vittime di un’azione intrapresa da terzi. Tuttavia a volte l’esclusione può essere anche ricercata, infatti esistono gruppi che pretendono di rimanere al di fuori dei servizi offerti dalle banche per ottenere un certo tipo di autonomia oppure come modello di resistenza all’esclusione. 20 È evidente, comunque, che questo non è il caso della popolazione indiana. Si può parlare di due tipi di esclusione finanziaria: la stigmatizzazione e la discriminazione. Entrambe portano alla marginalizzazione economica e sociale. La stigmatizzazione dipende dall’opinione del resto della società e avviene quando una persona ricorre ad un tipo di pagamento piuttosto che ad un altro marcando la propria appartenenza ad un determinato livello sociale. Questo può essere il caso di coloro che ricercano di propria sponte l’esclusione finanziaria. Tuttavia , se lo status d’appartenenza non è elevato, la stigmatizzazione viene vissuta negativamente in quanto non si potrà avere libero accesso alle risorse finanziarie. Quando l’esclusione deriva invece, da un’azione volontaria degli istituti finanziari, si parla di discriminazione o “messa al bando”. Queste istituzioni, infatti, scelgono la propria clientela in base a un’analisi del rischio. Così facendo però, s’incorre nella tendenza alla povertà cronica: solo chi può garantire il risarcimento del prestito avrà diritto al servizio, ma sono proprio quei soggetti che non hanno garanzie da offrire ad aver maggior bisogno di fiducia. Eppure, questo metodo di selezione può avere risvolti positivi nel momento in cui l’istituzione che l’adopera è un’istituzione di micro finanza e i clienti scelti fanno parte delle fasce più basse della popolazione. La stigmatizzazione e la discriminazione negativa portano alla marginalizzazione sociale ed economica. La marginalizzazione sociale varia in base ai contesti culturali. In In dia, dove il sistema castale rappresenta un forte elemento discriminatorio, intere fasce della società sono escluse dalle attività economiche. Un altro problema per la Nazione è rappresentato dalla mancanza di un’equa distribuzione di istituti bancari sul territorio. Laddove le istituzioni finanziare sono rare, la

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Per esempio in Argentina c’è una forma di auto-organizzazione dove i membri di una comunità hanno una moneta propria. Servet, op. cit., 2006, pag. 63

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marginalizzazione si presenta come impossibilità nel realizzare progetti o nel poter far uso del diritto all’iniziativa economica. In conclusione il quadro presentato può essere visto come un ci rcolo vizioso, in quanto la povertà di una persona (vista come mancanza di patrimonio, disoccupazione, ecc.) causa l’esclusione finanziaria, la quale a sua volta causa la marginalizzazione economica che porta alla povertà. 21 Tale sistema economico dominante giunge allora al suo paradosso. La povertà è strumentalizzata dalla teoria economica per giustificare la crescita. In altre parole, la pressione delle necessità, cioè del volere sempre di più, serve come stimolo per far lavorare l’uomo. La crescita diventa così una condizione per eliminare la povertà. Come si possono conciliare, allora, questi quattro processi di intensificazione della finanziarizzazione del capitalismo, che generano i poveri e gli esclusi, con la logica dello sviluppo? Si tenterà ora di analizzare la seconda causa principale di povertà, l’usura. 22 Dopo il rifiuto delle banche ai prestiti, i poveri non hanno nessun altro a cui rivolgersi se non agli usurai. Questi pongono dei tassi d’interesse settimanali molto alti, aspetto che non permette all’individuo in difficoltà di uscire dalla sua pessima condizione. Ufficialmente l’usura “riba” sarebbe una pratica non accettata dal Corano; più specificamente, nel Corano si dice che non possono essere imposti interessi su un prestito. Ma nonostante le costrizioni religiose, in Bangladesh, ad esempio, l’usura è uno strumento socialmente accettato, essendo l’unica possibilità di prestito per intere fasce di popolazione. Nel corso del tempo, infatti, anche la definizione stessa di usura è cambiata e si è adattata alla pratica: si è cominciato a considerare usura non tutti i prestiti che prevedono un interesse, ma solo quelli dove quest’ultimo è palesemente elevato.

2.3 Le proposte della micro finanza Date le premesse del contesto appena descritto, si pone qui una questione politica e pratica oltre che finanziaria, ovvero la garanzia del diritto al credito. La micro finanza si rivolge a tutte quelle fasce di popolazione escluse dai normali servizi finanziari perché ritenute insolvibili. Infatti, attraverso la collaborazione tra vari istituti, si riesce a ridurre i costi di gestione dei conti bancari con la conseguenza di poter rivolgersi ad una più ampia clientela. Questi istituti possono essere banche, ma anche cooperative o organizzazioni non governative. 21 22

Servet, op. cit., 2006, pag. 72 Yunus, op. cit., 1998, pag. 18

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Il principale servizio della micro finanza è sicuramente il microcredito. Come ha ricordato Sam Daley-Harris nella sua introduzione allo State of the Microcredit Summit Campaign Report del 2009: "In 2007, more than 100 million of the world’s poorest families received a microloan. While more than 100 million people received a microloan in 2005, it was not until 2007 that the 100 million poorest marker was reached. This groundbreaking achievement was the attainment of a goal set by more than 2,900 delegates from 137 countries at the first Microcredit Summit in Washington, DC in 1997. At that Summit, delegates made a commitment to reach 100 million of the world’s poorest families, especially the women of those families, with credit for self -employment and other financial and business services by the end of 2005. Achievement of this goal touches the lives of an estimated half a billion family members." 23

Il microcredito consiste nel concedere piccoli prestiti a basso tasso d’interesse a gruppi di persone ritenute povere. Questi prestiti servono per consentire ai poveri d’iniziare un’attività di impresa, ma sono erogati anche per eventuali emergenze. In due dei tre modelli economici presentati nel prossimo capitolo, la clientela degli istituti di micro finanza è per la maggior parte femminile. Innanzitutto, le donne hanno spesso dimostrato di essere finanziariamente più responsabili rispetto agli uomini. Ciò significa che oltre a saper gestire meglio il denaro, capiscono l’importanza di questi prestit i e ciò permette una restituzione di quest’ultimi molto elevata. Infatti, le donne preferisco no investire prima di tutto nel benessere della famiglia e nell’istruzione dei figli. Dando responsabilità finanziarie alle donne, si cerca anche di far sentire qu est’ultime più sicure di sé e più influenti all’interno della famiglia. Una conseguenza è la diminuzione delle differenze di genere, tipiche nei Paesi in via di sviluppo. 24 Tra gli aspetti positivi del microcredito, si cita la mancata richiesta di garanzie da parte degli istituti di micro finanza. Il problema del fornire le garanzie è alla base dell’esclusione finanziaria di cui si è parlato poc’anzi, pertanto questa assenza consente una maggiore clientela. Inoltre i tassi d’interesse sono davvero molto bas si e i prestiti possono essere restituiti in molte rate piuttosto modeste. Si ritiene, infatti, che la separazione del titolare del prestito dal denaro sia più sopportabile e meno brusca attraverso un processo graduale. 23

Sam Daley-Harris, State of the Microcredit Summit Campaign Record, Microcredit Summit Campaign, Washington, DC, 2009 (http://www.microcreditsummit.org/uploads/resource/document/socr2009_71248.pdf, data consultazione giugno 2014) 24 Elizabeth Littlefield, Jo Nathan Murdoch and Syed Hashemi, “Is microfinance an effective strategy to reach the millennium development goals?”, CGAP Focus Note n. 24, 2003

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TERZO CAPITOLO: IL MICROCREDITO E I SUOI MODELLI NEL SUBCONTINENTE INDIANO

3.1 I tre principali modelli di microcredito In India e in Bangladesh, tra i vari progetti di micro finanza attivi, ci sono tre modelli principali. Grameen, nato in Bangladesh intorno alla metà degli anni ’70, il self-help group, largamente diffuso in India e il modello cooperativo, sviluppatosi soprattutto negli Stati dell’India del sud. 25

3.1.1 Il modello Grameen Il microcredito così come lo si utilizza attualmente, nac que in Bangladesh intorno alla metà degli anni ’70, grazie al noto professore di economia dell’Università di Chittagong (Bangladesh sud-orientale) Muhammad Yunus. Yunus si rese conto che le teorie del sistema economico dominante ponevano la maggior parte delle persone dei villaggi, prive di terra, casa e lavoro con cui poter mantenere loro e la propria famiglia, in una condizione di marginalità. A partire da questa riflessione, nel 1976 Yunus mise in atto il “progetto Grameen” nel villaggio di Jobra, vicino all’Università presso la quale lavorava, il cui obiettivo era quello di cercare di capire quale fosse il motivo della povertà di quegli abitanti . Yunus, con l’aiuto di alcuni suoi studenti, decise di chiamarlo così, perché in bengalese, il termine grameen significa “rurale, villaggio”. Durante il periodo che va dal 1976 al 1979, il gruppo di studenti, con l’aiuto del professore, propose questo metodo non solo al villaggio di Jobra, ma anche ai villaggi vicini, espandendosi fino al distretto di Tangail, a nord di Dhaka. L’intenzione del professore era quella di erogare prestiti principalmente alle donne, considerate maggiormente responsabili nella gestione del denaro; si riteneva quindi che esse fossero in grado di utilizzare il contante a disposizione prima per soddisfare i bisogni primari della propria famiglia e, successivamente, per investire in altre necessità. Nel caso del villaggio di Jobra, il professor Yunus si rese conto che alcune donne non riuscivano ad uscire dal circolo dei debiti per pochissimi centesimi di dollaro. Il suo progetto consi steva dunque nel fornire del denaro a un gruppo di almeno cinque lavoratrici, le quali chiedevano in prestito la somma utile al fine di iniziare una propria attività economica. Fino a quel momento compravano le materie prime ad un prezzo maggiorato dalla s tessa persona cui 25

Servet, op. cit., 2006, pagg. 272-274

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avrebbero rivenduto il prodotto finito, ottenendo una percentuale di guadagno pari a zero. Attraverso il prestito, sarebbero state in grado di comprare le materie prime in modo indipendente e avrebbero venduto il prodotto ultimato al prezzo del mercato, ottenendo un reale guadagno. Come accennato in precedenza, il gruppo è composto da cinque individui : il modulo consiste nel fornire prestiti prima solo a due donne del gruppo e solo una volta che hanno ripagato il loro debito possono ottenere prestiti anche le successive due investitrici, fino alla quinta partecipante. In questo modo i componenti del gruppo si sentono socialmente in dovere di lavorare per ripagare il proprio debito e permettere a tutti di ottenere i finanziamenti. Nei villaggi del Bangladesh in cui Yunus sviluppò questo progetto , non tutta la comunità accolse di buon grado l’iniziativa. 26 Innanzitutto, erano contrari i mariti delle donne cui il professore si rivolgeva. Nel Paese le banche non erano solite chiedere il parere della donna sulle questioni di soldi e in famiglia, era sempre stato l’uomo a occuparsi della loro gestione. Col sistema Grameen, invece, questa responsabilità passava in mano alle donne. Anche il clero si pronunciò contro il progetto. Il professore e i suoi studenti, si sono dovuti muovere con cautela nell’approccio con le donne, in quanto, essendo il Bangladesh un Paese musulmano, vige l’usanza del purdah. La parola significa “velo, cortina”e comprende una serie di pratiche legate all’ingiunzione coranica di proteggere la virtù e la modestia delle donne. Per questo motivo, l’approccio di Yunus e dei suoi studenti è stato quello di recarsi in zone del villaggio dove potessero parlare a più famiglie contemporaneamente, rimanendo così visibili a tutti. Loro, infatti, sceglievano zone pubbliche, come le piazze o le strade in modo tale da non poter essere accusati di violare l’usanza musulmana citata. Per quanto riguarda l’aspetto pratico-gestionale, il professor Yunus era sempre stato contrario all’accorpamento con altre banche bengalesi e agli aiuti monetari della Banca Mondiale, ma da quando il numero di clienti aumentò, l ’economista indiano ebbe l’idea di rendere Grameen un’istituzione indipendente. Ciò significa che i proprietari sarebbero stati al 100% i clienti stessi. 27 Ovviamente il governo oppose resistenza e la proposta iniziale non fu accettata. Solo nel 1983 si riuscì a creare la Grameen Bank. Allo stato attuale le quote sono del 90% di proprietà dei clienti e il 10% proprietà del governo. 28 Oggi, il progetto Grameen si è espanso e sono nati nuovi programmi ad esso paralleli. Uno di questi è la costituzione della Grameen Trust, una società che si occupa di fornire 26

Yunus, op. cit., pagg. 18, 89 Yunus, op. cit., pagg. 164, 171 28 Sito ufficiale della Grameen Bank, www.grameen-info.org (data di consultazione giugno 2014) 27

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assistenza tecnica e la formazione necessaria per avviare un progetto di credito ai Paesi stranieri che vogliono avviare un’attività di microcredito in stile Grameen. Inoltre è attivo il progetto GrameenPhone, una compagnia telefonica creata apposta per i più poveri. 29 Per ciò che riguarda l’esportazione del modello di Grameen nel mondo, Yunus e i suoi collaboratori affermano: “Non intendiamo che si debba riprodurre tale e quale, ma che i caratteri essenziali della nostra formula siano applicati in ambienti nazionali diversi con spirito pratico e innovativo ”.

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Ogni paese deve essere in grado di adattare questo metodo in base alle esigenze della popolazione più povera, ed è ovvio che il modello cambi di volta in volta. Adesso, nel mondo, i progetti di credito ispirati a Grameen sono diffusi in tutti i continenti, in particolare in Africa e in Asia.

3.1.2 Il modello del Self-Help Group In India ha un più ampio sviluppo un altro apparato di micro finanza, ovvero il modello del self-help group (SHG), modello di microcredito nazionale di riferimento. Fondato sulla costituzione di un gruppo di base di massimo venti persone , 31 il sistema in questione propone un percorso avente come scopo l’istruzione al risparmio e l’autonomia. Gli aderenti sono affiancati da organizzazioni non governative (ONG) che li aiutano sin dal momento della nascita, seguendoli fino a quando non ritengon o i gruppi pronti a ricevere prestiti. In un primo tempo i SHG compiono un’attività di risparmio, mettendo da parte il proprio denaro al fine di creare un fondo comune al gruppo. Una volta realizzato questo primo obiettivo, i membri possono usare il denaro risparmiato per eventuali prestiti individuali. 32 Questi due passaggi presentano una serie di difficoltà a cui molti gruppi non riescono spesso a fare fronte. I SHG che dimostrano, invece, una buona capacità di autogestione vengono proposti agli istituti finanziari di micro finanza o alle banche locali dalle organizzazioni non governative che li avevano presi in carico. 33 Il ruolo di queste 29

Yunus, op. cit., pagg. 248 – 252 Yunus, op. cit., pag. 177 31 In India per motivi legali se un gruppo è costituito da più di venti persone deve essere un’associazione riconosciuta dalle autorità (Servet, op.cit., pag. 272). 32 È interessante sottolineare che la gestione delle rate e degli eventuali interessi è totalmente decisa del gruppo, in piena autonomia. 33 Gli istituti finanziari che forniscono prestiti ai self-help groups possono essere banche nazionali, banche regionali e cooperative bancarie, ma anche organizzazioni di micro finanza. Malcolm Harper, “Self-help group and Grameen bank groups”, in T. Fisher e M.S. Sriram, Beyond Micro-Credit, Putting development back into micro-finance, Oxfam, 2002, pagg. 169-198 30

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ultime è anche quello di fungere da intermediari con le banche che spesso non vogliono avere un contatto diretto con il SHG; per questo motivo le ONG si allontanano dal gruppo soltanto quando questo diventa autonomo. Nel momento in cui un self-help group viene dichiarato autonomo, la banca o l’organizzazione di micro finanza concede un prestito che si va ad aggiungere al fondo comune del gruppo. Il modello self-help group è piuttosto flessibile, soprattutto per quanto riguarda l’amministrazione del conto. Da questo punto di vista, i SHG possono essere classificati come micro-banche, cioè organizzazioni finanziarie autonome. Si utilizza il termine “autonome” in quanto il conto dei membri del gruppo appartiene alla collettività intermediaria e non alla banca direttamente.

3.1.3 Il modello cooperativo Il terzo modello è quello cooperativo, il quale, come nel caso del self-help group, si sviluppa principalmente in India, nelle zone meridionali. Servet, nella sua pubblicazione del 2006 afferma che l’Andhra Pradesh è lo Stato che meglio ha saputo accogliere e sviluppare tale modello: l’esempio principale è costituito dal Cooperati ve Development Foundation, uno stabilimento bancario riconosciuto, proprio come la Grameen Bank. La Fondazione è nata nel 1975 quando è stata registrata come associazione dello Stato del sud: i suoi gruppi accolgono un massimo di 12 persone e un minimo di 8, nel tentativo costante di rispettare l’equità dei generi; infatti, il modello in questione si differenzia dagli altri due in quanto non ha un particolare interesse nel rivolgersi ad un particolare sesso. 34 Il concetto di cooperazione arriva in India dop o essere nato negli Stati occidentali europei. La globalizzazione ha portato alla diffusione della povertà e una delle soluzioni per poter uscire da tale sfavorevole condizione dovrebbe essere l’educazione finanziaria. 35 Nel 1844 fu l’associazione inglese di Rochdale a proporre per la prima volta i principi che dirigono il concetto attuale di cooperazione. Tra questi ricordiamo l’adesione libera, l’autonomia, l’indipendenza e la neutralità religiosa e politica. L’elemento principale che caratterizza questo modello economico è la partecipazione attiva dei membri all’interno dell’organizzazione. Le decisioni vengono prese democraticamente dai componenti dei gruppi e le riforme che vengono improntate si attuano solo se tutti i partecipanti ne sono a conoscenza e la maggioranza le approva. All’inizio tutti i soci

34

Sito ufficiale della Cooperative Development Foundation, http://www.cdf-sahavikasa.net, (data di consultazione giugno 2014) 35 Ceruti M., Treu T., Organizzare l’altruismo, globalizzazione e welfare, Editore Laterza, Bari, 2010, pag. 16

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mettono una quota comune, successivamente i partecipanti possono utilizzarla in base alla loro attività finanziaria all’interno del gruppo. I clienti del modello cooperativo, non usufruiscono solo dei servizi finanziari che le istituzioni bancarie propongono, bensì aderiscono all’istituzione come cooperatori. Anche questo schema economico si impegna nell’istruzione sia dei propri membri sia della comunità dove esso opera. È interessante notare che, così come tra i gruppi di base, anche tra cooperative c’è uno scambio di collaborazioni.

3.2 Punti forti e punti deboli dei modelli Come accennato in precedenza, il Bangladesh è un paese in prevalenza musulmano e solo recentemente è diventato una Repubblica (1991). Quando è nato il modello Grameen, il Paese era ancora sotto dittatura e in balia di colpi di stato militari. La rigidità politica tipica di quegli anni, si riflette nelle rigorose regole del modello, predisposte per combattere la crisi economica del tempo. Proprio per queste imposizioni e inflessibilità cui la popolazione del Bangladesh era abituata, il progetto di Yunus riesce a svilupparsi senza particolari difficoltà all’interno del Paese. Tale metodo prevede degli incontri settimanali tra i gruppi e gli impiegati bancari al fine di monitorare il lavoro delle donne fin nei più piccoli dettagli. Ciò comporta una flessibilità minima del gruppo per quanto riguarda le decisioni e l’accettazione di una struttura di comando imposta a priori. Pertanto questo tipo di approccio non ha avuto molta espansione in India, paese democratico fin dal 1947. Qui, il self-help group (insieme anche al modello cooperativo) grazie alla sua maggiore flessibilità, è lo strumento economico più largamente diffuso, dal momento che non esistono imposizioni da parte di istituti finanziari , né tantomeno da parte delle organizzazioni non governative. Infatti, sono i membri stessi del gruppo a decidere la gestione del proprio conto: l’obiettivo è quello di portare il gruppo all’autonomia e all’autogestione, con una tendenza alla decentralizzazione piuttosto che allo stretto controllo. Per quanto riguarda il modello cooperativo i membri sono considerati come collaboratori più che come clienti, aspetto che accresce il pregio della flessibilità. Il secondo elemento di distinzione è la densità di popolazione: in Bangladesh infatti, la densità è molto elevata e permette un lavoro di scambio più completo tra i gruppi. In India invece, la densità di popolazione è minore, ma il network di istituti finanziari è molto meglio sviluppato che in Bangladesh. Secondo Malcolm Harper:

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“[…] if there is a wide network of bank branches, which need new busi ness opportunities, the environment would seem to be ideal for the self-help group system.” 36

Si tenterà di proporre le caratteristiche oggettive tipiche di ogni modello che, al di là della distinzione geografica, potrebbero renderlo preferibile al momento di una scelta. Si possono trovare diversi elementi a favore del self-help group ed in questo caso, anche del modello cooperativo, come ad esempio i bassi costi di gestione dei conti. I tre modelli si differenziano infatti, in base ai costi con cui gravano sugli istituti bancari coinvolti. Il modello Grameen prevede un ampio uso di impiegati bancari, anche se spesso vengono usati lavoratori non qualificati, il cui compito è quello di seguire passo dopo passo il gruppo. Non solo, il loro incarico consiste anche nel gestire il fondo di risparmio e i prestiti e di registrare tutti gli spostamenti di denaro. Per quanto riguarda il self-help group, invece, non sono gli impiegati bancari a seguire il gruppo, bensì membri di organizzazioni non governative, il cui compito consiste nel fare da intermediari tra i gruppi e gli istituti di finanza. Nel modello cooperativo, come si è già visto, sono i membri stessi ad autogestirsi. Possiamo quindi concludere che, per quanto riguarda le spese bancarie, il modello Grameen è quello più costoso. Un altro elemento a favore del SHG è il fatto che tutte le spese extra, relative in particolare all’attività economica del gruppo, sono addossate alle banche, mentre ne l modello di Yunus, l’intera somma del prestito grava su colui che ne ha fatto richiesta. Ciò comporta un peso e una responsabilità maggiore sui membri della Grameen Bank e la vita del gruppo dipende interamente dalla capacità e volontà dei membri. Un’ultima caratteristica che sostiene il self-help group e il modello cooperativo è il fatto che questi gruppi hanno più possibilità nell’investire i propri risparmi, riuscendo a creare maggiori iniziative economiche che spaziano in vari ambiti. Infatti, un probl ema della micro finanza nei piccoli villaggi è la scarsa varietà di compratori, che rendono difficile l’evoluzione delle iniziative economiche, le quali spesso sono tutte simili. Proseguendo con gli elementi a favore di Grameen, invece, c’è l’omogeneità della popolazione del Bangladesh, non caratterizzata dalle divisioni tipiche del sistema castale indiano. Quest’ultimo, infatti, rende più difficile la collaborazione tra gruppi di caste diverse e anche la mescolanza tra i membri stessi. Il modello in questi one, per esistere, non fa affidamento sulle banche locali del Bangladesh e nemmeno sulla Banca Centrale, ma i prestiti che loro erogano provengono da donazioni estere, per lo più straniere. Il self-help 36

M. Harper, op.cit., pag. 196

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group, invece, dipende da banche attive sia a livell o locale e regionale, ma anche a livello nazionale, prima fra tutte la NABARD. 37 Tutti i modelli hanno un rimborso pari al 95-96% dei prestiti. Ciò è dovuto ai percorsi di responsabilizzazione finanziaria che propongono: il modello di Yunus istruisce i su oi clienti nell’apprendimento finanziario per la restituzione dei prestiti, mentre lo schema del self-help group si concentra soprattutto sull’istruire i membri dei gruppi al risparmio e all’autonomia. Il modello cooperativo infine, ha la tendenza a coinvolgere i partecipanti in tutti i livelli del progetto, rendendo ogni singolo partecipante essenziale e consapevole. Con questi dati alla mano è chiaro che non si riesca a dare una preferenza ad un modello piuttosto che ad un altro. È vero che tali modelli non hanno un egual sviluppo in entrambi i Paesi, ma bisogna pur riconoscere che all’interno dei rispettivi Stati risultano validi.

3.3 Esiste un modello realmente efficace? Si è dunque arrivati a rispondere alla domanda che costituisce il titolo di questo elaborato: esiste un modello di microcredito realmente efficace nel sub -continente indiano? Come sottolineato nel paragrafo precedente, sono varie le differenze tra i modelli economici presentati e sono molteplici i punti di vista a riguardo. In base a quali elementi si può dichiarare vincente un modello economico piuttosto che un altro? Si può avanzare la risposta che non possa esistere un unico modello valido in generale, poiché i fattori coinvolti sono molteplici. È utile inserire un ulteriore dubbio che può essere posto alla base di questo problema, ovvero se il concetto di microcredito, più che il modello, sia realmente efficace. D’altronde, il microcredito è pur sempre un prestito; è vero che, come si è visto, i rimborsi sono elevati, ma se si analizzano le condizioni di coloro che non riescono a restituirli si noterà la medesima, se non peggiore, situazione di partenza. D’altra parte, però, i prestiti sono contenuti e dunque anche i debiti sono in proporzione. Data la diffusione di tali modelli in tutto il mondo, le teorie della micro finanza devono essere almeno in parte valide. Il modello del self-help group, a titolo d’esempio, è piuttosto diffuso in Indonesia, nel Sud Est Asiatico e in Africa, ma anche gli altri due modelli economici sono estesi in varie zone. Ricordiamo inoltre, che nel 2006 Muhammad Yunus ha ricevuto il premio Nobel per la pace, sebbene siano in molti ad avere opinioni non del tutto favorevoli riguardo il suo metodo. C’è chi ritiene più appr opriato il modello del selfhelp group o il modello cooperativo, poiché, come abbiamo visto, entrambi offrono più 37

National Bank for Agriculture and Rural Development, M. Harper, op. cit., pag. 181

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libertà d’azione da parte dei membri. Infatti, un elemento efficace per far progredire e guadagnare il gruppo è la possibilità di investire in imprese piuttosto remunerative. A mio avviso, questo non esclude però la validità del modello economico di Yunus e della Grameen Bank, la quale oggi, raggiunge milioni di persone in tutto il Bangladesh, fornendo micro prestiti per svariati milioni di dollari. Concludiamo dunque con le parole di JeanMichel Servet: “Sans doute serait -il opportun d’établir des comparaisons dans une zone géographique limitée où se trouveraient en concurrence les différents modèles de microfinance. Cela est en l’état de notre information très difficile car d’une part ces situations de concurrence semblent très rares sur le terrain […] et d’autre part les données disponibles sont extrêmement parcellaires. Une telle étude, qui demandera un travail d’investigation considérable, r este donc à faire. La difficulté tient en particulier au fait que rares sont les organisations qui rendent publiques toutes les données nécessaires .”

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J. M. Servet, op.cit., pagg. 279-280

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CONCLUSIONE

Nel redigere questo elaborato mi sono resa conto di quanto possa essere soggettiva la risposta alla domanda titolo della tesi: “esiste un modello di microcredito realmente efficace?” I punti di vista variano in base al Paese di appartenenza, alla classe sociale, agli interessi personali e dunque sarebbe molto interessante poter capire dai partecipanti stessi ai vari modelli quali siano le motivazioni, le necessità e le perplessità reali che accompagnano il loro quotidiano, rilevando quegli aspetti che possono avvicinare la teoria economica alla pratica dell’economia. A livello generale si può dire che in questi anni i vari modelli , fra i casi studiati in India e Bangladesh, hanno funzionato tutti, a livelli diversi e in zone differenti, ma sono comunque riusciti ad ottenere ampi risultati. Il livello di povertà nel sub -continente è comunque elevato, ma l’introduzione e lo sviluppo del microcredito sono stati due fattori marginalizzanti il problema. In conclusione mi sento di dire che il microcredito pu ò essere una delle potenziali soluzioni al problema della povertà, soprattutto se viene ben sviluppato e se gli Stati vi prestano la giusta attenzione. È importante infatti, che i vari progetti siano attentamente monitorati per fare in modo che tale ideale non si risolva solo in una mera e generalizzata dichiarazione d’intenti positivi, ma anche in un aiuto concreto per ampie fasce oggi svantaggiate della popolazione.

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www.cdf-sahavikasa.net

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INDICE

Bhumika Introduzione CAPITOLO 1: CONTESTO ECONOMICO E POLITICO DELL’INDIA 1.1 Economia protezionista: 1947-1974 1.2 Riforme “di soppiatto”: 1974-1990 1.3 Verso un’economia aperta: 1991-ad oggi CAPITOLO 2: CHE COS’È LA MICRO FINANZA? 2.1 La crescente finanziarizzazione 2.2 Principali cause di povertà 2.3 Le proposte della micro finanza CAPITOLO 3: IL MICROCREDITO E I SUOI MODELLI NEL SUB-CONTINENTE INDIANO 3.1 I principali modelli di microcredito 3.1.1 Il modello Grameen 3.1.2 Il modello del Self-Help Group 3.1.3 Il modello cooperativo 3.2 Punti forti e punti deboli dei modelli 3.3 Esiste un modello realmente efficace? Conclusioni Bibliografia Sitografia Indice

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