Martina Proust testo def

July 15, 2017 | Autor: Sabrina Martina | Categoría: History of Philosophy
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Descripción

«Logos» Biblioteca di saggistica n. 27

Sabrina Martina Proust e Maeterlinck Il chiarimento delle percezioni oscure

Prefazione di Marco Piazza

FIRENZE LE CÁRITI EDITORE

Prima edizione: maggio 2014 Stampa: Digital Team, Fano (PU). Consulenza di Phasar, Firenze. ISBN: 978-88-87657-89-0. È vietata la riproduzione. © Le Cáriti Editore, casella postale 1003, Succ. Fi 7, 50121 Firenze. www.lecariti.com; [email protected]

SOMMARIO

Prefazione. Il ‘temps enseveli’ di Maeterlinck/Proust, di Marco Piazza

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PROUST E MAETERLINCK.

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Il chiarimento delle percezioni oscure

Premessa

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Capitolo I. Le «reminiscenze anticipate» e il rapporto Proust-Maeterlinck

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I.1. Le «reminiscenze anticipate» I.2. La novellistica di Maeterlinck e il saggio La Mort: una concezione ‘favolosa’ del tempo

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Capitolo II. La serra, l’arca, la caverna

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II. 1. Serre calde II. 2. La previsione dei futuri II. 3. La dialettica storica in Maeterlinck: simbolo, rappresentazione e origine II. 4. La Nékuia II. 5. Variazioni maeterlinckiane sul mito della caverna II. 6. Altre variazioni. Il ruolo delle piante II. 7. «Résurrection du passé»?

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Capitolo III. Uscire dalla caverna

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III. 1. Un pastiche di Pelléas del 1893 III. 2. Il Pelléas nella Recherche III. 3. L’intelligenza e il cuore III. 4. L’ottica degli spiriti III. 5. «Fleurs démodées» e fiori di lusso III. 6. Le intermittenze del passato storico III. 7. La fortuna III. 8. Journées de lecture III. 9. Da Journées de lecture a Sodome et Gomorrhe III. 10. L’abolizione delle metafore

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Capitolo IV. Rientrare

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IV. 1. Ancora la nota a Sésame. La legge della prospettiva in Maeterlinck IV. 2. 1907: Impression de route en automobile IV. 3. 1908-1909: il pastiche di Maeterlinck IV. 4. Il saggio La Mort. Conclusioni

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Bibliografia

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PREFAZIONE

Il ‘temps enseveli’ di Maeterlinck/Proust di Marco Piazza

La ricognizione delle corrispondenze fra Maeterlinck e Proust finalizzata anche a comprendere il ruolo che l’opera del primo ha esercitato nella genesi e nello sviluppo di quella del secondo trova un sicuro punto di partenza in alcune lettere di Proust, in special modo in quella ad Antoine Bibesco del 1902, immediatamente successiva alla lettura della raccolta maeterlinckiana Le Temple enseveli.1 Benché Proust non vi faccia cenno nella sua missiva e nemmeno – a quanto ci consta – in altri luoghi, non poteva certo essergli sfuggita la più che probabile derivazione di quel titolo dall’incipit di una celebre poesia di Mallarmé dedicata a onorare la memoria di Charles Baudelaire.2 In quei versi visionari e allusivi Mallarmé mette in bocca al dio delle tombe, Anubis, un tempio sepolto che non sarebbe altro che il teatro del futuro, quello in cui la poesia dovrà riguadagnare il suo posto, da cui adesso però è stata bandita (complice anche il gesto dissacrante dello stesso Baudelaire). Quella poesia che vanamente si siede sulla pietra tombale del poeta di Les Fleurs du mal, una poesia provata dagli oltraggi subìti in una città notturna illuminata a giorno e la cui vestale ideale non è altri che la prostituta baudelairiana: Le temple enseveli divulgue par la bouche Sépulcrale d’égout bavant boue et rubis Abominablement quelque idole Anubis Tout le museau flambé comme un aboi farouche 1. M. Proust, Correspondance de Marcel Proust (1880-1922), texte établi, présenté et annoté par Ph. Kolb, Paris, Plon, 1976-1993, t. III: 1902-1903, p. 59. 2. Composta nella primavera del 1894, fu pubblicata dapprima sulla rivista «La Plume» con il titolo Hommage (n. 197, 1 janvier 1895) e poi ancora con il medesimo titolo nel volume collettivo in memoriam del 1896 (cfr., infra, nota n. 3), per poi assumere il titolo definitivo Le Tombeau de Charles Baudelaire soltanto nell’edizione Deman del 1899. Proust aveva attaccato i poeti simbolisti nell’articolo Contre l’obscurité, apparso sulla «Revue Blanche» del 15 luglio del 1896, dove però non menziona esplicitamente Mallarmé, che tuttavia si sentirà ugualmente chiamato in causa e risponderà all’autore di Les Plaisirs et les jours sulle pagine della stessa rivista con un articolo dal titolo assai emblematico: Le Mystère dans les lettres. Su Proust e Mallarmé si vedano in particolare: R.G. Cohn, Proust and Mallarmé, «French Studies», 24 (3), 1970, pp. 262-275; M. Brix, Aux sources de l’affrontement Proust-Mallarmé. Littérature française et platonisme, «Revue d’Études Françaises», 5, 2000, pp. 125-139.

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Ou que le gaz récent torde la mèche louche Essuyeuse on le sait des opprobres subis Il allume hagard un immortel pubis Dont le vol selon le réverbère découche Quel feuillage séché dans les cités sans soir Votif pourra bénir comme elle se rasseoir Contre le marbre vainement de Baudelaire Au voile qui la ceint absente avec frissons Celle son Ombre même un poison tutélaire Toujours à respirer si nous en périssons.3

Celebrare la memoria di Baudelaire, per Mallarmé, significa, da un lato, tener viva la trasgressività del suo gesto poetico, duplicandolo, chiedendo al lettore di non archiviare Les Fleurs du mal come un passato poetico, per quanto recente – ossia come una tappa dello sperimentalismo in poesia –, ma di riviverli nella loro portata spaesante e al contempo di apertura su un’epoca nuova. Dall’altro, il «temple enseveli», che non può essere confuso con il sepolcro del poeta, ma dev’essere per l’appunto identificato con la poesia del futuro, contiene un messaggio che rischia di restare imprigionato sotto il marmo sepolcrale di Baudelaire, se non sappiamo rivolgerci alla poesia con la spregiudicatezza e lo slancio ideale di chi non intende imbalsamare il passato.4 Apparentemente lontano dalle inquietudini di un Baudelaire pare il messaggio complessivo della raccolta di Maeterlinck. Tuttavia un collegamento con i versi di Mallarmé è ravvisabile nella funzione assegnata al passato dallo scrittore belga, che nel primo periodo della sua produzione si colloca non lontano da Mallarmé per la ricerca di un linguaggio onirico e allusivo, all’interno del movimento simbolista. Se prendiamo il capitolo di Le Temple enseveli intitolato «Passé», vi troviamo esposta una teoria che attirò l’attenzione di Proust, secondo la quale dobbiamo coltivare la forza morale con cui interrogare il nostro passato, senza cioè restare passivi di fronte al suo potere, potenzialmente annientante. In altre parole dobbiamo andare a cercare nel passato ciò che ci serve e solo in questo modo il nostro sforzo ci permetterà di trasformare il passato in futuro.5 Ritradotta in termini proustiani – sintonici con il disseppellimento virtuale della vis poetica cui allude Mal3. S. Mallarmé, Hommage, in Le Tombeau de Charles Baudelaire, Ouvrage publié avec la collaboration de Stéphane Mallarmé, Paris, Éditions de la Société Anonyme «La Plume», 1896, p. 41. 4. Una puntuale interpretazione della poesia di Mallarmé è contenuta in: A. Gill, “Le Tombeau de Charles Baudelaire” de Mallarmé, «Comparative Literature Studies», vol. 4, n. 1/2, 1967, pp. 45-65. 5. Cfr. M. Maeterlinck, Le Temple enseveli, Paris, Fasquelle, 1902, pp. 209-210.

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larmé – la teoria di Maeterlinck suggerisce al romanziere di trasformare il proprio passato in un’opera della scrittura. Del resto questa chiave di lettura è già contenuta in uno dei testi anticipatori la Recherche, ossia nella chiusa della lunga prefazione alla traduzione di Sesame and Lilies di Ruskin, Sur la lecture, dove Proust, a proposito del «Passé familièrement surgi au milieu du présent» (e si noti la maiuscola, in accordo con l’uso che ne fa Maeterlinck nel suo saggio), paragona quel passato al fantasma di un tempo sepolto: «s’adressant dans tout son aspect un peu trop directement à l’esprit, l’exaltant un peu comme on ne saurait s’étonner de la part du revenant d’un temps enseveli».6 Inutile forse sottolineare – per prima vi avrebbe accennato Anne Simon7 – il gioco di specchi e di assonanze con il titolo maeterlinckiano, tanto più che proprio la raccolta contenente il capitolo «Passé» è ampiamente citata nelle note a piè di pagina della traduzione di Ruskin, nelle quali Proust approfitta talora per aprire digressioni che vanno ben oltre quanto attiene al compito del traduttore.8 Già da una simile congiunzione tematico-concettuale si può evincere la funzione di stimolo che la speculazione filosofica di Maeterlinck ha avuto sulla genesi della Recherche. Tuttavia, come Sabrina Martina mostra con acribia analitica nel suo libro, uno dei fuochi principali – se non quello primario – di tale congiunzione dev’essere individuato nella consapevolezza propria di entrambi gli autori relativamente al peso delle percezioni oscure nel processo di stratificazione dei ricordi e di recupero del passato. Intorno a questo nucleo di ascendenza leibniziana le strade di Maeterlinck e di Proust a un certo punto però divergono, nella misura in cui per il secondo la metafora può aiutarci a dipanare la matassa della memoria, facendo pendere la bilancia della verità dalla parte del medium letterario, mentre il primo diffida delle metafore e opta per la scrittura filosofica. Proust, alla vigilia della composizione della Recherche, nel 1906, si trova già a preferire lo scrittore al 6. M. Proust, Sur la lecture, in J. Ruskin, M. Proust, Sésame et les Lys, Précédé de Sur la lecture, Introduction d’A. Compagnon, Complexe, Bruxelles, «Le Regard Littéraire», 1987, pp. 35-97, p. 97. Sur la lecture apparve in anteprima sulla rivista «La Renaissance latine» del 15 giugno 1905. Fu poi incluso nella raccolta Pastiches et mélanges, con il titolo Journées de lecture, nel 1919, con il passo finale – da cui citiamo – mutilato. Mariolina Bertini offre una suggestiva lettura del testo – con riferimenti alla versione originaria – nel suo Complicità. In margine a «Giornate di lettura», Introduzione in M. Proust, Sulla lettura, trad. it. di P. Serini e M. Bertini, Milano, Rizzoli, 2011, pp. 5-25. 7. Cfr. A. Simon, Proust lecteur de Maeterlinck. Affinités séléctives, in Marcel Proust 4. Proust au tournant des siècles, textes réunis par B. Brun et J. Hassine, Paris-Caen, Minard, 2004, pp. 145-159, p. 156. 8. Cfr. J. Ruskin, Sésame et les Lys, trad. fr. di M. Proust, in J. Ruskin, M. Proust, Sésame et les Lys Précédé de Sur la lecture, cit., pp. 99-316, p. 126, n. 18 del Traduttore, dove Proust cita il capitolo «L’Évolution du mystère» (corrispondente alle pp. 101-167 di Le Temple enseveli, cit.)

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filosofo, quello scrittore che, malgrado le prese di posizione ostili alla metafora, nei suoi ultimi scritti ne ha fatto invece un uso così felice: Maeterlinck a ajouté un admirable philosophe au merveilleux écrivain qu’il était. Mais et même si, comme je le crois, cet écrivain est devenu encore plus grand, son ami le philosophe n’y a été pour rien. On sent très bien que ce n’est pas parce que le penseur s’est développé que l’écrivain a grandi. Conclusion: la beauté du style est au fond irrationnelle.9

Queste frasi decretano l’indipendenza della letteratura dalla filosofia agli occhi di Proust, ma non certo l’inutilità della filosofia ai fini della comprensione del mondo, tanto è vero che ancora nel 1908 lo troviamo indeciso se dare alla sua opera in fieri la forma del romanzo o quella del saggio. Sappiamo che la Recherche può essere considerata tanto un testo letterario quanto (nello stesso tempo) un testo filosofico, ma ogni analisi di questa «sorta di romanzo» condotta da una prospettiva filosofica non può ignorare la priorità espressiva che Proust assegna al linguaggio letterario e che ribadisce qui tra le righe a proposito di Maeterlinck. Del resto la difficoltà che gli interpreti incontrano quando effettuano una ricognizione filosofica della Recherche dipende proprio dal fatto che in essa la filosofia è disciolta nella letteratura, fino a rendersi talora pressoché invisibile come tale.10 Le percezioni oscure di leibniziana memoria, ci suggerisce Proust nel suo dialogo a distanza con Maeterlinck, vanno pertanto ritradotte in uno stile adeguato, non possono essere convertite in termini meramente teorici. Del resto, scegliere la strada della traduzione della verità in un linguaggio teorico condannerebbe lo scrittore a produrre un’opera greve e rozzamente composta, come – secondo una felice metafora dello stesso Proust – un oggetto cui si lasciasse attaccato il cartellino del prezzo. Dunque un Maeterlinck, quello proustiano, che va al di là o contro lo stesso Maeterlinck, un Maeterlinck di cui Proust condivide l’idea di uno scavo negli ipogei della memoria condotto in base a un piano, a un’intenzionalità, e non certo come un abbandono al flusso dei ricordi o peggio al potere medusizzante del passato. Una memoria scandagliata non soltanto riconoscendo il potere rammemorativo delle cosiddette «reminiscenze anticipate», ossia di quello che Benjamin chiamerà il «futuro nel passato», ma anche prestando attenzione alle sfere sottratte alla nostra coscienza, dal sogno all’inconscio stesso. Su questo terreno Maeterlinck e Proust si incontrano, e questo vale soprattutto per la fase di incuba9. J. Ruskin, Sésame et les Lys, cit., pp. 129-130, n. 18 (del Traduttore: cioè di Marcel Proust). 10. Cfr. M. Piazza, Passione e conoscenza in Proust, prefazione di R. Bodei, Milano, Guerini e Associati, 1998, pp. 23-32.

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zione della Recherche, in cui il sogno assume il valore che poi verrà rilevato dalla memoria involontaria. La costellazione tematica è quella della contrapposizione fra inconscio e intelligence, che sta alla radice del progetto proustiano, e rispetto alla quale la lettura dei saggi di Maeterlinck aveva offerto a Proust non poche conferme, per non parlare dei travasi linguistici che si possono ipotizzare comparando i testi dei due autori. Un solo esempio, a proposito del programma di ‘discesa’ nelle ‘profondità’ del nostro io: il «notre moi véritable» che secondo Maeterlinck si trova «en nous» e rispetto a cui «notre intelligence» si forma una conoscenza imperfetta,11 è in Proust il «notre vrai moi», che pareva morto e che si risveglia per effetto dei processi della memoria involontaria, ma rispetto al quale l’«intelligence», attraverso il meccanismo dell’attenzione, è incapace di produrre una qualsivoglia restituzione.12 La netta presa di posizione da parte di Proust per una letteratura esente da filosofemi – ma non per questo meno filosoficamente rilevante – corrisponde anche alla definizione sempre più netta di un proprio stile capace di restituire il lavoro del pensiero in forma letteraria. Ed è in questa fase decisiva, che si prolunga fin verso il 1911 circa, che Proust prende le distanze da quelle modalità di scrittura da cui era affascinato, tra le quali quella di Maeterlinck, che aveva però l’ulteriore ‘aggravante’ di essere carica di suggestioni filosofiche. In questo scenario vanno collocati i due pastiches databili tra il 1908 e il 1910 circa – preparati dal cripto-pastiche del 1893 (ossia del pastiche attribuito in una fictio letteraria a Bouvard e Pécuchet, i personaggi di Flaubert, e contenuto in Les Plaisirs et les jours) attentamente segnalato anche da Martina13 – con cui Proust si sottrae alla fascinazione che la scrittura del belga aveva a lungo esercitato su di lui.14 Non è una coincidenza il fatto che proprio al 1911 risalga la definitiva esorcizzazione degli esiti teosofici e neospiritici di Maeterlinck contenuta nell’epistolario di Proust proprio attraverso l’impiego caricaturale di certe espressioni maeterlinckiane, dopo la déception provata a seguito della lettura del saggio La Mort.15 Qui il solco tra i due 11. M. Maeterlinck, Le Temple enseveli, cit., p. 257. 12. TR in RTP, IV, p. 451. Cfr. anche CSB, p. 211, Corr, t. XII: 1913, pp. 230-231. 13. Cfr. PJ, p. 106. 14. Cfr. PM, in CSB, pp. 197-201 e pp. 206-207. Il secondo pastiche, ricalcato sul libretto di Maeterlinck per l’opera Pelléas et Mélisande musicata da Debussy, che Proust aveva ascoltato ripetutamente al teatrofono nel febbraio del 1911, è parzialmente contenuto in una lettera a Reynaldo Hahn del mese successivo (cfr. Corr, t. X: 1910-1911, pp. 256-257 e 261-262). Da notare, però, che Proust distingue tra il libretto e la pièce omonima di Materlinck, specificando che il pastiche riguarda il primo e non la seconda, da lui giudicata meno severamente (cfr. PM, in CSB, p. 206). 15. Sul distacco da Maeterlinck a proposito dello spiritismo e dell’immortalità dell’anima, a seguito della déception causata dalla lettura del saggio di Maeterlinck La Mort, apparso su «Le Figaro»

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si fa decisamente profondo, poiché in gioco vi è nientemeno che il tema dell’immortalità dell’anima, su cui Proust concede davvero poco a qualsiasi posizione spiritualistica. Come per altri autori abbondantemente frequentati da Proust, il gesto decisivo di emancipazione passa dunque attraverso una graffiante parodia. Il lavoro di Sabrina Martina ci permette di seguire l’intreccio di questi fili teorico-tematici che legano i due autori, di saggiarne le affinità e le divergenze e, soprattutto, di penetrare nell’officina proustiana cogliendo la funzione e il peso che un autore significativo per Proust qual è Maeterlinck può rappresentare rispetto alla genesi e alla realizzazione della Recherche. Il contributo del lavoro di Martina – la prima monografia dedicata al tema che sappia unire l’attenzione al côté letterario e al côté filosofico – si inserisce così felicemente nell’alveo di un rinnovato – e finalmente solido – interesse per la relazione Proust-Maeterlinck, della quale una decina di anni or sono Anne Simon ci ha fornito un’efficace, ancorché rapida, panoramica e rispetto alla quale Stefano Poggi ha individuato di recente uno dei versanti filosoficamente più rilevanti.16 Volendo stilare uno di quei bilanci che peccano un po’ per semplificazione, si potrebbe sostenere che Proust ha nutrito una costante ammirazione per lo scrittore belga, dalle cui teorie filosofiche nel complesso ha preso progressivamente le distanze, eccetto che per una certa concezione del rapporto con il passato, inteso come luogo di reattività della nostra forza morale, concezione, questa, che ha contribuito a fornirgli la vis e le coordinate teoriche di fondo per portare a termine il suo capolavoro letterario.

nell’agosto del 1911, anch’esso opportunamente ricordato da Martina, ci permettiamo di rinviare a: M. Piazza, Passione e conoscenza in Proust, cit., pp. 144-148. 16. Cfr. A. Simon, Proust lecteur de Maeterlinck. Affinités séléctives, cit.; S. Poggi, Fonti ovvie e trascurate. Le Temple enseveli di Maurice Maeterlink e Le Temps retrouvé di Marcel Proust, «Rivista di estetica», 49, 2012, pp. 385-396.

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PROUST E MAETERLINCK

Il chiarimento delle percezioni oscure

Alla memoria di Vincenzo Paladini, Salvatore Fiordaliso, e dei miei nonni Gina e Giovanni.

Desidero ringraziare quanti mi hanno incoraggiato ed aiutato nelle varie fasi dell’elaborazione di questo lavoro, in primo luogo coloro che hanno voluto questo libro e mi hanno assistito con attenzione e pazienza nel corso della sua elaborazione: Giuseppe Girimonti Greco e Marco Piazza, gli editori Mascia Cardelli e David M. Dei. Un grazie di cuore va poi a tutti coloro che hanno accettato di leggere e rivedere in tutto o in parte il mio testo: Mariolina Bongiovanni Bertini, Mirko Francioni, Barnaba Maj, Antonio Prete, Annapaola Soncini. Un altro grazie va a Pyra Wise, documentalista dell’”équipe Proust” dell’ITEM, per i preziosi consigli e la possibilità di accedere al ricco materiale bibliografico da lei custodito. Ringrazio inoltre Nathalie Mauriac-Dyer per avermi ospitato benevolmente nell’istituto dell’“équipe Proust” da lei diretto. A tutti va la mia profonda gratitudine per l’aiuto, la benevolenza e l’amicizia mostratimi in questi anni.

Premessa

«Nous ne sommes que notre souvenir». Maurice Maeterlinck

Per introdurre il tema fondamentale di questo saggio: il rapporto ProustMaeterlinck, ci affidiamo a una delle ultime parole di Gaston Bachelard, pubblicata dalla figlia Suzanne insieme con gli appunti preparatori di un libro incompiuto, sotto il titolo: Fragments d’une Poétique du Feu. Essa s’interroga sul destino del poeta e sul vero carattere della sublimazione poetica nell’affrontare il dolore: «il poeta soffre in modo più sottile, e di conseguenza più profondamente dopo la sublimazione. L’immagine diventa più dolorosa del ricordo grezzo, il ricordo diventa bruciante e viene portato dalla poesia allo stato di ustione. Il poeta mantiene viva l’ustione, soffia su una brace».1 Questo ci sembra essere stato il destino di Proust. Al di là e forse oltre ogni consolazione promessa, Proust ci appare come un eroe che cerca la morte nel fuoco di un dolore sempre rinnovato, materia fantastica necessaria per forgiare l’urgenza della scrittura. Maeterlinck apparirà in questa luce esattamente come il suo contraltare, come l’immagine di un destino inizialmente possibile e persino auspicabile per il giovane Proust, che si rivela poi antitetico al suo. Poiché Maeterlinck appartiene – secondo Proust – alla categoria di quei letterati-filosofi che hanno cominciato la loro vita con l’estetica e l’hanno conclusa con la morale. Le loro vite si sono divise in due, come attraversate da un’interna linea di faglia che segna il raffreddamento del fuoco iniziale. Al Maeterlinck poeta e drammaturgo subentra ben presto il Maeterlinck filosofo, saggista, appassionato dell’occulto, divulgatore scientifico, moralista autore di aforismi. Lo spazio della creazione letteraria si assottiglia per lasciare il posto ad un’interrogazione non esente da redites. Come tutti sanno, letteralmente opposto è il tragitto di Proust, che se ancora alle soglie della Recherche esita – cfr. il Carnet de 1908: «La paresse ou le doute ou l’impuissance se réfugiant dans l’incertitude sur la forme d’art. Faut1. G. Bachelard, Fragments d’une Poétique du Feu, Paris, Presses Universitaires de France, 1988, trad. it. di A.C. Peduzzi e M. Citterio, Poetica del fuoco. Frammenti di un lavoro incompiuto, Como, Red Edizioni, 1990, p. 16.

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il en faire un roman, une étude philosophique, suis-je romancier?»2 –, dopo aver a lungo flirtato con la maschera greca del filosofo e quella orientale del saggio, una volta entrato nel romanzo non lo lascerà più. All’opposto, in una delle sue ultime opere, scritta quand’era quasi ottantenne, Maeterlinck ribadisce la scelta decisamente anti-romanzesca (e per certi versi anche anti-teatrale) che caratterizza il suo questionnement.3 Che bilancio trarre da questo doppio e inverso grafico? I vantaggi – se così si può dire – e gli svantaggi si calcolano solo sul fronte della qualità letteraria e della gloria che ne consegue? Con Benjamin, non esitiamo a mettere Proust sullo stesso piano di un eroe tragico o cristiano, un eroe della sofferenza che nessun al di là consola.4 Come ignorare uno dei gridi finali della Recherche: «Ô puissé-je, en expiation, quand mon œuvre serait terminée, blessé sans remède, souffrir de longues heures, abandonné de tous, avant de mourir!»5 Quanta sof2. M. Proust, Le carnet de 1908, établi et présenté par Ph. Kolb, « Cahiers Marcel Proust », 6, Paris, Gallimard, 1976, p. 61. 3. M. Maeterlinck, L’Autre Monde ou le Cadran Stellaire, Paris, Charpentier, 1942, p. 8 : «Il m’a semblé que dans les meilleurs romans, on rencontre des pensées qui appellent l’attention mais sont noyées dans le flot de récits relatant des événements sans grand intérêt, parce qu’ils sont presque toujours les mêmes depuis la naissance du théâtre et des livres. Négligeant le récit que j’aurais pu faire, je vous présente les réflexions qui en seraient probablement nées, nues et sans ornements empruntés, puisque vous n’avez pas de temps à perdre». 4. Cfr. W. Benjamin, Zum Bilde Prousts, in Id., Schriften, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1955, trad. it. di A. Marietti, Per un ritratto di Proust, in Id., Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura, Torino, Einaudi, 19732, pp. 27-41, in particolare alle pp. 37-38: «È difficile trovare nella letteratura occidentale, dopo gli esercizi spirituali di Ignazio da Loyola, un tentativo più radicale di sprofondare. Anche questo ha al centro una solitudine che trascina il mondo nel suo vortice con la forza del maelstrom»; e pp. 40-41: «[…] una così profonda complicità con il corso del mondo e con l’esistenza come quella di Proust avrebbe dovuto infallibilmente portare a una soddisfazione pigra e volgare, se si fosse fondata su qualsiasi altra base che quella di una sofferenza così profonda e costante». Sul carattere cristico (in senso mondanizzato) dell’esperienza letteraria proustiana, cfr. J. Kristeva, Le temps sensible. Proust et l’expérience littéraire, Paris, Gallimard, 1994, «NRF/essais», p. 241 : «Au sensualisme grec, il joint une ambition christique : la passion devenue homme se sacrifie au dernier culte, celui de la littérature, qui lui semble la seule capable de boucler la boucle, de conduire le Verbe à la chair». Sul rapporto di Proust con il cristianesimo e l’ebraismo cfr. A. Beretta Anguissola, Il lato ebraico della pietra, in Journées Proust III. La Recherche tra apocalisse e salvezza, Atti del Convegno di Urbino (14 e 15 maggio 2003), a cura di D. De Agostini, Fasano, Schena, 2005, pp. 15-22; Id., Philosophie nouvelle ou fin de la philosophie dans Le Temps retrouvé, in Proust et la philosophie aujourd’hui, Actes du colloque de Gargnano sous la direction de M. Carbone et E. Sparvoli, Pisa, ETS, 2008, pp. 323-339; B. Brun, Marcel Proust et la religion, in Les Romanciers et le Catholicisme, «Les Cahiers du Roseau d’Or », n. 1, 2004, pp. 63-81, disponibile su : http://www.item.ens.fr/index.php?id=13957, consultato l’11 marzo 2013. Sul senso morale del narratore cfr. A. Compagnon, Le « sens moral » du narrateur, in Proust et la philosophie aujourd’hui, cit., pp. 191-206. 5. M. Proust, Le Temps retrouvé, À la recherche du temps perdu, édition publiée sous la direction de J.Y. Tadié, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1987-1989, IV, p. 481. D’ora in poi ci si riferirà a questa edizione con la sigla RTP. I singoli romanzi che la compongono saranno citati con le sigle indicate qui di seguito tra parentesi dopo il titolo del romanzo: Du côté de chez Swann (CS), À l’ombre des jeunes filles en fleurs (JF), Le Côté de Guermantes (CG), Sodome et Gomorrhe (SG), La Prisonnière (LP) Albertine disparue (AD), Le Temps retrouvé (TR). Sul dolore in Proust cfr. gli interventi raccolti negli atti del convegno tenu-

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ferenza traduce? Invece, il paesaggio polare delle opere della senilità di Maeterlinck, ormai abbandonato dai lettori, esprime una grande serenità, conquistata grazie ad un’attenta disciplina interiore e proprio a quella “sublimazione” che, giusta le conclusioni di Bachelard, non fa che rendere più cocente il dolore del poeta. Eppure l’uno non è meno prossimo alla morte dell’altro, in senso biografico come poetico. Questo libro vuole essere anzitutto il racconto di queste due, antitetiche, vocazioni.

tosi a Urbino nel 2003, e in particolare quello di A.I. Squarzina, L’utilità del dolore, in Journées Proust III…, cit., pp. 35-44. La Squarzina caratterizza l’atteggiamento di Proust come “algofilia”. Più produttiva ci pare la prospettiva evocata, sempre a proposito dell’intervento della Squarzina, da M. Vallora, Proust e la pelle della pittura, in Journées Proust III…, cit., p. 201, che evidenzia il carattere comunque rivelativo e redentore della sofferenza proustiana.

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Capitolo I Le «reminiscenze anticipate» e il rapporto Proust-Maeterlinck6

I.1. Le «reminiscenze anticipate». «Réminiscences anticipées» è un’espressione proustiana, che appartiene ad un frammento non datato pubblicato nell’edizione del 1971 (Clarac-Sandre) del Contre Sainte-Beuve, fra le note dedicate a Moréas: Les écrivains que nous admirons ne peuvent pas nous servir de guides, puisque nous possédons en nous, comme l’aiguille aimantée ou le pigeon voyageur, le sens de notre orientation. Mais tandis que guidés par cet instinct intérieur nous volons de l’avant et suivons notre voie, par moments, quand nous jetons les yeux de droite et de gauche sur l’œuvre nouvelle de Francis Jammes ou de Maeterlinck, sur une page que nous ne connaissions pas de Joubert ou d’Emerson, les réminiscences anticipées que nous y trouvons de la même idée, de la même sensation, du même effort d’art que nous exprimons en ce moment, nous font plaisir comme d’aimables poteaux indicateurs qui nous montrent que nous ne nous sommes pas trompés, ou, tandis que nous reposons un instant dans un bois, nous nous sentons confirmés dans notre route par le passage tout près de nous à tire-d’aile de ramiers fraternels qui ne nous ont pas vus. Superflus si l’on veut. Pas tout à fait inutiles cependant. Ils nous montrent [que] ce qui a paru précieux et vrai à ce moi tout de même un peu subjectif qu’est notre moi œuvrant, l’est aussi, d’une valeur plus universelle, pour les moi analogues, pour ce moi plus objectif, ce tout-lemonde cultivé que nous sommes quand nous lisons, l’est non seulement pour notre monade particulière mais aussi pour notre monade universelle.7 6. Una versione leggermente diversa e notevolmente ridotta di questo capitolo è già apparsa sotto forma di articolo: cfr. S. Martina, Le “Reminiscenze anticipate” e il tempo “favoloso”: note sul rapporto ProustMaeterlinck, «Quaderni Proustiani», n. 7, 2013, pp. 131-154. 7. M. Proust, Contre Sainte-Beuve précédé de Pastiches et mélanges et suivi de Essais et articles, édition établie par P. Clarac avec la collaboration d’Y. Sandre, Paris, Gallimard, 1971, p. 311 (corsivo nostro). D’ora in poi ci si riferirà a questa edizione con le sigle: CSB (Contre Sainte-Beuve) / PM (Pastiches et mélanges) / EA (Essais et articles). Il nostro testo fa riferimento principalmente a questa edizione, anche se siamo a conoscenza dei numerosi dubbi sollevati da alcuni studiosi circa la sua ricevibilità: cfr. l’Introduzione di M. Bongiovanni Bertini all’edizione italiana del Contre Sainte-Beuve (M. Proust, Contre Sainte-Beuve, traduzione di P. Serini e M. Bongiovanni Bertini dall’edizione critica a cura di P. Clarac, con un saggio di F. Orlando, introduzione di M. Bongiovanni Bertini, Torino, Einaudi, 1991, pp. XXXIX-XLVII). Cfr. anche gli interventi di L. Keller, Il Contre Sainte-Beuve di Proust. Problemi di edizione e di interpretazione, e di S. Acierno e J. Baquero Cruz, Riflessioni sull’edizione dei Cahiers Sainte-Beuve, «Quaderni Proustiani», a cura di M. Piazza, G. Girimonti Greco e M. Francioni, n. 4, 2007; B. Brun, À la recherche du Contre Sainte-Beuve, in Id., La Conquista del escritor, traduction en espagnol

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Questo passaggio chiama in causa la categoria così importante dell’anticipazione per rendere conto di quelle che oggi chiamiamo pratiche intertestuali, oggetto di studio privilegiato delle scienze letterarie.8 In un nostro precedente saggio9 abbiamo messo in rilievo il vocabolario leibniziano di Proust: che interviene esattamente, in special modo nella sua corrispondenza, quando Proust vuole caratterizzare queste pratiche. Questo semplice fatto spalanca prospettive letterarie e filosofiche di grande importanza. Nella ‘reminiscenza anticipata’ Proust ci mostra lo scrittore, ridivenuto lettore, che coglie nelle opere altrui un elemento comune alla sua opera, e lo coglie nel presente come anticipazione di qualcosa (idea, sensazione, sforzo artistico) destinato ad essere avvertito come ricordo in un secondo momento. È come se il meccanismo di selezione dei ricordi funzionasse simultaneamente alla produzione mnemonica, e segnalasse in anticipo le impressioni destinate a ridivenire coscienti in un secondo momento come ricordi. Secondo Bergson, un fenomeno affine a questo ha luogo nella ‘fausse reconnaissance’ o ‘ricordo del presente’.10 La percezione e il ricordo si formano nello stesso momento, come due getti – l’uno reale e l’altro virtuale – del medesimo flusso: «Sosterremo che la formazione del ricordo non è mai posteriore a quella della percezione, ma contemporanea ad essa. Mano a mano che la percezione si crea, il suo ricordo si disegna ai suoi lati, come l’ombra al lato del corpo».11 Ciò significa che il ricordo del presente può sorgere come rappresentazione recando su di sé il segno del passato: «colto nel momento in cui si forma, esso appare con il segno del passato, costitutivo della sua essenza».12 A questo si accompagna una singolare sensazione di anticipazione, un poter predire, da parte del soggetto, ciò che sta per accadere perché già conosciuto: «Questo riconoscimento futuro che sento par J. G. Lopez Guix, La Vanguardia, Culturas, «En busca de Proust», n. 175, Miércoles, 26 octobre 2005, pp. 3-4, reperibile su http://www.item.ens.fr/index.php?id=76070, consultato il 13 marzo 2013. 8. Un’ampia analisi è dedicata al tema delle «reminiscenze anticipate» e in particolare a questo frammento del Contre Sainte-Beuve da A. Pecchioli Temperani, Marcel Proust e le reminiscenze anticipate, Roma, Bulzoni, 1985. Sul tema della lettura, presente al centro di questo passaggio, cfr. L. Finas, Dall’idolatria all’incitation: Proust teorico della lettura, a cura di G. Girimonti Greco e M. L. Vanorio, «Fronesis», a. 1, n. 2, luglio-dicembre 2005, pp. 27-44. Questo testo è la traduzione del primo capitolo di Ead., Le toucher du rayon. Proust Vautrin Antinoüs, Paris, Nizet, 1995. Cfr. inoltre Ph. Chardin, «Réminiscences anticipées» et «Ramiers fraternels» : Les réécritures de quelques romans européens du XIXème siècle dans Le Temps retrouvé de Marcel Proust, in La littérature dépliée. Reprise, répétition, réécriture, sous la direction de J.-P. Engélibert et Y.-M. Tran-Gervat, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2008, «Interférences», pp. 115-124, reperibile su : http://www.item.ens.fr/index.php?=441363, consultato l’11 marzo 2013. 9. S. Martina, La monadologia proustiana dal cuore all’intelligenza, «Intersezioni», 2009, a. XIX, 1, aprile, pp. 69-93. 10. H. Bergson, Le souvenir du présent et la fausse reconnaissance [19081], in Id., L’énergie spirituelle, Œuvres, édition du Centenaire, Paris, Presses Universitaires de France, 1959, trad. it. di M. Acerra, Il ricordo del presente e il falso riconoscimento, in Id., Il cervello e il pensiero e altri saggi, Roma, Editori Riuniti, 1990, pp. 87- 119. 11. Ivi, p. 102. 12. Ivi, p. 108.

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come inevitabile, grazie allo slancio preso dalla mia facoltà di riconoscere, esercita in anticipo un effetto retroattivo sul mio presente, ponendomi nella strana situazione di una persona che sente di conoscere quello che sa di ignorare».13 Tuttavia, il fenomeno del ‘ricordo del presente’ presenta solo una superficiale somiglianza con la ‘reminiscenza anticipata’. Qui il presente coglie se stesso come anticipazione nel suo diventare passato in rapporto al futuro, nel suo farsi ricordo. La ‘reminiscenza anticipata’ è ricordo nel suo farsi – e in ciò è affine al ‘ricordo del presente’ –, ma proietta la percezione del passato sulla prospettiva del futuro, sfuggendo quindi a quella sensazione di futuro chiuso che è peculiare della ‘fausse reconnaissance’.14 Essa costituisce al contrario un’intensificazione dello slancio vitale verso il futuro.15 Come tale, non può essere ascritta alla fenomenologia del déjà vu che risente di un clima storico-culturale e psicologico di decadenza e disattenzione alla vita.16 Più che a Bergson, occorre pensare ad Agostino: al presente dell’attesa. Ciò significa che il presente contiene un elemento eterno che solo la rimemorazione può portare alla luce (la rimemorazione è dunque dischiuditrice di senso), tanto che il presente non ha quasi valore in sé, pur rappresentando un valore estremo, ma si costituisce in vista di una rimemorazione futura. Il presente esiste per la sua attesa rivolta al futuro, in vista del suo farsi passato. La realizzazione dell’attesa messianica del futuro si compie solo nel momento della rimemorazione, quando l’unità fittizia del presente si è spezzata trasformandosi in ricordo da un lato e in rimemorazione dall’altro, in io ricordato/io che ricorda per usare la dicotomia di Jauss o meglio, io che ricorderà.17 L’istante presente si dialettizza in passato-futuro. Per la filosofia di Ba13. Ivi, p. 109. 14. Questa sensazione di futuro chiuso è anche caratteristica della temporalità melanconico-depressiva, quale è caratterizzata da J. Kristeva, Soleil noir. Dépression et mélancolie, Paris, Gallimard, 1987, «folio/essais». 15. Per tutti questi concetti e in particolare per la nozione di «slancio personale» che apre il futuro cfr. E. Minkowski, Le temps vécu. Études phénoménologiques et psychopatologiques, Paris, D’Artrey, 1933 (poi Paris, Minkowski, 1968), trad. it. di G. Terzian, revisione e cura di A.M. Farcito, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Torino, Einaudi, 1971 (2004). 16. Cfr. sul fenomeno del déjà vu la conclusione di R. Bodei, Piramidi di tempo. Storie e teoria del déjà vu, Bologna, Il Mulino, 2006, «Intersezioni». Dello stesso autore cfr. anche: Id., Sotto il faro non c’è luce, «Quaderni Proustiani», n. 3, 2003, disponibile anche su http://www.luglieditore.com/forum/proust/news/amic1.htm, consultato il 13 marzo 2013. 17. H.R. Jauss, Zeit und Erinnerung in Marcel Prousts «À la recherche du temps perdu». Ein Beitrag zur Theorie des Romans, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1986, trad. it. di M. Galli, Tempo e ricordo nella Recherche di Marcel Proust, prefazione di A. Beretta Anguissola, Firenze, Le Lettere, 2003, «I biancospini». Cfr. M. Francioni, Dar corpo agli anni. Appunti su Tempo e ricordo nella Recherche di Proust di H R. Jauss, in Memoria e oblio: le scritture del tempo, Atti del Convegno Annuale dell’Associazione per gli Studi di Teoria e Storia Comparata della Letteratura (Lecce, 24-26 ottobre 2007), a cura di N. Scaffai, «Compar(a)ison. An International Journal of Comparative Literature», 2009, n. I/II 2006, pp. 231-237; G. Girimonti Greco, Rileggere Proust, rileggersi: Bildung ed ermeneutica riflessiva nelle pagine proustiane di Hans Robert Jauss e Giacomo Debenedetti, «Ermeneutica letteraria», II, 2006, pp. 39-50; H. Bonnet, La théorie d’Hans Robert Jauss confrontée à l’esthétique

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chelard, ciò non conduce ad una svalorizzazione dell’istante presente, ma alla presa di coscienza che l’istante è il crogiuolo formatore di una ambivalenza, che contiene almeno due direzioni simultanee (fenomeno che il linguaggio spazializzato di bergsoniana memoria fa fatica a spiegare e di cui solo la poesia può rendere conto): «Perlomeno, l’istante poetico è la coscienza d’una ambivalenza. Ma è di più, perché è una ambivalenza eccitata, attiva, dinamica».18 L’istante poetico e l’istante metafisico coincidono nella coscienza di un’esitazione ontologica: «le temps est hésitation»,19 «notre hésitation temporelle est ontologique».20 Affine a questa interpretazione della ‘reminiscenza anticipata’ presente in questo passaggio di Proust è quella che rinvia ad una costellazione di pensiero platonica, variamente reinterpretata nella storia della cultura. Se ne può prendere come esempio la prima quartina del sonetto LIX di Shakespeare, citata da Bodei nella traduzione di Ungaretti: Se quaggiù nulla è nuovo, ma tutto quanto ciò che è Già avvenne un tempo, illusi sarebbero i nostri cervelli Che, tormentandosi a inventare, porterebbero invece Una seconda gravidanza d’un ulteriore figlio!21

‘Reminiscenze anticipate’ può significare che il lavoro dello spirito consiste nel ricordare e nel portare alla luce platonicamente un’unica verità o modello ideale. Ma questo lavoro, ogni spirito lo compie per proprio conto: non può essere aiutato in nessun modo dallo sforzo parallelo di altri spiriti. Questo, Proust lo sottolinea all’inizio del passaggio citato. Ogni scrittore è una monade. E questo si colloca fuori da ogni platonismo. La novità – anche rispetto a Leibniz – è che Proust introduce un modello di monade ‘a due piani’: alla monade operante spetta l’isolamento assoluto, mentre a quella che egli chiama ‘monade universale’ (e che non ha corrispettivi nella Monadologie di Leibniz) spetta una dimensione inter-soggettiva. Qui lo scrittore non è più tale, ma è divenuto un lettore, un esponente di una cultura condivisa, e qui interagisce con le altre monadi, o meglio con le opere cui esse hanno dato vita. In questa dimensione intra-mondana ha luogo il fenomeno dell’anticipazione, perché qui si manifesta lo scorrere del tempo. Altri indizi nell’opera proustiana fanno infatti credere che la monade più proustienne, «Bulletin Marcel Proust», n. 36, 1986, pp. 451-468. 18. G. Bachelard, Métaphysique et poésie, «Messages», n. 2, 1939, trad. it. di A. Pellegrino, Istante poetico e istante metafisico, in Id., L’intuition de l’instant, Paris, Stock, 1932 (19662), trad. it. di A. Pellegrino, L’intuizione dell’istante. La psicoanalisi del fuoco, Bari, Dedalo, 1973, p. 116. 19. G. Bachelard, La dialectique de la durée, Paris, Presses universitaires de France, 19632, p. 25. 20. Ivi, p. 29. 21. G. Ungaretti, Vita d’un uomo. 40 sonetti di Shakespeare tradotti, in Id., Ungaretti. Vita, poetica, opere scelte, Milano, Mondadori, 2007, Sonetto LIV, pp. 76-77. Citato da R. Bodei, Piramidi di tempo, cit., p. 89.

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interiore e soggettiva, in quanto riflesso di un principio di inizio e novità assoluta, sia sottratta alla dimensione temporale. In questa dimensione intra-mondana può pertanto accadere che qualcun altro abbia avuto la reminiscenza (di un’idea, di una sensazione, di un’intenzione dello stile) prima di qualcun altro e che le opere possano disporsi in una continuità cronologica, precedendo quella del soggetto, ma tutte comunque riflesso di una verità sia pur interiore.22 Tuttavia, occorre notare che anche all’interno di questa dimensione intra-mondana della lettura il tempo è aggirato in una specie di coesistenza ideale di tutti gli spiriti: ciò che scandisce il tempo, infatti, non è altro che il tempo della lettura del soggetto, il quale esperisce le novità letterarie che anticipano le sue proprie creazioni allo stesso titolo delle opere di autori già passati e magari morti che non erano note al soggetto-lettore fino a quel momento.23 Maeterlinck e Jammes, Joubert ed Emerson scandiscono simmetricamente lo spazio di questa coesistenza ideale in cui il tempo è la biografia culturale di un soggetto unico. Un altro elemento che induce a credere che il tempo, introdotto attraverso l’escamotage dei due livelli, sia comunque ridotto ad una dimensione puramente soggettiva di distentio animi, ‘tempo dell’anima’ che niente ha a che vedere con il ‘tempo del mondo’, è il carattere simmetrico della lettura, che guarda a destra e a sinistra, mentre la monade creatrice è come un uccello in volo o l’ago di una bussola che segna una sola intenzione, una sola direzione. Potremmo addirittura sostenere che la monade creatrice è l’intentio animi, dove la monade ‘universale’ è la distentio. Secondo la terminologia agostiniana illustrata da Ricœur, intentio è ‘contuitus’, ‘attentio’, che si traducono come attenzione e visione.24 Esse sono anche le facoltà centrali della monade di Leibniz.25 22. Cfr. G. Deleuze, Proust et les signes, Paris, Presses Universitaires de France, 19836 (19641), pp. 54-55. Sempre Deleuze parla in Le Pli di due piani della monade, in perfetta corrispondenza con la ripartizione proustiana del frammento citato, e del piano alto come luogo della lettura o ‘gabinetto di lettura’: Id., Le Pli. Leibniz et le Baroque, Paris, Minuit, 1988, trad. it. di V. Gianolio, La piega. Leibniz e il Barocco, Torino, Einaudi, 1990, pp. 4748. Sulla questione del recupero di Leibniz fra gli ispiratori delle moderne teorie della critica letteraria, cfr. R. Barthes, Critique et vérité, Paris, Seuil, 1966; N. Frye, Anathomy of Criticism. Four Essays, Princeton, Princeton University Press, 1957, trad. it. di P. Rosa-Clot e S. Stratta, Anatomia della critica. Teoria dei modi, dei simboli, dei miti e dei generi letterari, Torino, Einaudi, 1969 (2000); P. Gambazzi, Les paperoles de Proust et le bœuf mode de Françoise. Point de vue, «liséré de contingences» et essence, in Proust et la philosophie aujourd’hui, cit., pp. 271-304. 23. Cfr. L. Finas, Dall’idolatria all’incitation: Proust teorico della lettura, cit. 24. P. Ricœur, Temps et récit. Tome I, Paris, Seuil, 1983, trad. it. di G. Grampa, Tempo e racconto. Volume primo, Milano, Jaca Book, 1983, p. 28, cap. I: Le aporie dell’esperienza del tempo. Il libro XI delle Confessioni di sant’Agostino. 25. G.W. Leibniz, Nouveaux Essais sur l’entendement humain [1765], chronologie, bibliographie, introduction par J. Brunshwig, Paris, Garnier Flammarion, 1990, Préface, p. 39 : «Il est vrai qu’il ne faut point s’imaginer qu’on puisse lire dans l’âme ces éternelles lois de la raison à livre ouvert, comme l’édit du préteur se lit sur son album sans peine et sans recherche; mais c’est assez qu’on les puisse découvrir en nous à force d’attention, à quoi les occasions sont fournies par les sens […]».

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Questi concetti hanno trovato la loro decisiva formulazione con la fenomenologia della coscienza interna del tempo di Husserl, dove è facile ravvisare elementi leibniziani.26 Per definire le intenzioni che l’ora presente rivolge al futuro, Husserl introduce il concetto di ‘protenzione’: […] ogni ricordo contiene intenzioni d’aspettazione il cui riempimento conduce al presente. Ogni processo originariamente costituente è animato da protenzioni che costituiscono e captano a vuoto ciò che ha da venire, come tale, e lo portano a compimento. Senonché: il processo rimemorativo non rinnova memorativamente queste protenzioni soltanto! Esse non stavano soltanto captando, esse hanno anche captato, si sono riempite, e di ciò noi siamo coscienti nella rimemorazione.27

L’apertura della rimemorazione verso il futuro ne sottolinea il carattere di assoluta novità, l’incremento di ricchezza e di senso che la rimemorazione aggiunge al ricordo: «la rimemorazione non è aspettazione, ha però un orizzonte rivolto al futuro, e precisamente al futuro di ciò che è rimemorato, che è un orizzonte posto. Questo orizzonte, nel progredire del processo rimemorativo, viene continuamente aperto in modo più nuovo, più vivo, più ricco».28 Oltre i riferimenti al pensiero antico, questo concetto della ‘reminiscenza anticipata’ si può dunque paragonare ai concetti temporali fondativi della coscienza della modernità, in primo luogo il ‘classico’ di Baudelaire e il ‘tempo-ora’ di Benjamin. Jürgen Habermas illustra questi concetti nella prima di dodici lezioni sulla modernità filosofica: Il punto di riferimento della modernità diviene ora l’attualità che consuma se stessa, e che ci rimette l’estensione di un’età di transizione, di un’età contemporanea – della durata di parecchi decenni – costituita nel centro dell’età moderna. Il presente attuale non può più acquistare la propria autocoscienza nemmeno dal suo opporsi ad un’epoca ripudiata e oltrepassata, ad una figura del passato. L’attualità può costituirsi soltanto come punto d’incrocio fra tempo ed eternità. Con questo contatto diretto fra attualità ed eternità, il moderno non si sottrae certamente alla sua caducità, bensì alla banalità: nella concezione di Baudelaire esso è disposto in modo tale che il momento transitorio troverà conferma come l’autentico passato di un presente che ancora deve venire [corsivo nostro]. Esso si dimostra come ciò che un giorno sarà classico: ‘classico’ è ormai il ‘fulmine’ del sorgere d’un mondo nuovo, che certamente non sarà stabile, perché con la sua stessa comparsa suggella già anche la propria decadenza. Questa concezione del 26. Fatto ammesso esplicitamente dallo stesso Husserl: in E. Husserl, Logische Untersuchungen, Halle, Max Niemeyer, 19223, trad. it. di G. Piana, Ricerche logiche, Milano, Il Saggiatore, 1968, I, pp. 226-228, il fondatore della fenomenologia rivendica esplicitamente il suo retaggio leibniziano (cfr. ivi, p. 228). 27. E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917, The Hague, Martinus Nijhoff, 1966, 19271, trad. it. di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), Milano, FrancoAngeli, 19923, § 24. Protenzioni nella rimemorazione, p. 84. 28. Ibid.

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tempo, radicalizzata ancora un’altra volta nel surrealismo, fonda l’affinità fra il moderno e la moda.29

Questo concetto viene ulteriormente approfondito da Benjamin attraverso l’elaborazione del concetto messianico di ‘tempo-ora’ (Jeztzeit).30 Fondamentale, in Benjamin, è la nozione di ‘futuro passato’: «il rapporto carico di tensioni con le alternative, in linea di principio tutte aperte, del futuro, riguarda ora direttamente anche il rapporto con un passato a sua volta agitato da aspettative. La spinta dei problemi del futuro si moltiplica con quella del futuro passato (e inappagato)».31 «Une heure n’est pas qu’une heure, c’est un vase rempli de parfums, de sons, de projets et de climats».32 L’attesa progettante del futuro entra di diritto come una componente dell’epifania proustiana: il passato contiene delle aspettative, è fatto di progetti che l’epifania riporta in vita nella loro essenza, e nel loro carattere di inappagamento. Nello scritto prima citato, anche Bergson sottolineava che «il nostro presente è soprattutto un’anticipazione del nostro futuro».33 Bachelard sostiene addirittura, sulla scorta di un testo di Pierre Janet, che l’antici29. J. Habermas, Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwölf Vorlesungen, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1985, trad. it. di E. Agazzi e di E. Agazzi, Il discorso filosofico della modernità. Dodici lezioni, Bari, Laterza, 19882, p. 9. Per questi concetti cfr. M. Bongiovanni Bertini, Proust e la teoria del romanzo, Torino, Bollati Boringhieri, 1996. 30. Ivi, p. 11. 31. Ivi, p. 16. Marco Piazza ha ripercorso il rapporto Proust-Benjamin sostenendo la tesi che Benjamin si sia servito di alcuni concetti fondamentali della riflessione poetologica proustiana per elaborare il “cuore” teoretico del proprio pensiero: la filosofia della storia. Piazza si sofferma sull’importanza che assume nei PassagenWerk il dispositivo proustiano dei 'risvegli', rappresentati in particolare dalle celebri pagine proemiali della Recherche, per modificare radicalmente l’approccio dello storico al passato: se il passato storico era un tempo visto come un punto fermo al quale lo sguardo del ricercatore doveva cercare faticosamente di avvicinarsi a tentoni, con Benjamin il passato erra intorno al presente, cercando un dispositivo per folgorazioni nel quale incarnarsi e tornare in vita, come le stanze del passato errano attorno alla semicoscienza del narratore proustiano nel dormiveglia. Piazza segnala un debito fondamentale del pensiero benjaminiano nei confronti di Proust; Benjamin ha riformulato in termini storici e collettivi il principio proustiano della memoria involontaria: «E, se l’immagine dialettica benjaminiana fa suo il carattere risvegliante della memoria involontaria, proprio nel suo balenare fulmineo e improvviso può riappropriarsi di quei caratteri auratici che l’esperienza non riusciva più a possedere» (M. Piazza, Redimere Proust. Walter Benjamin e il suo segnavia, Firenze, Le Cáriti, 2009, p. 60). 32. TR, RTP, IV, pp. 467-468 (corsivo nostro). Troviamo nella Recherche un esplicito riferimento al fenomeno della “doppia vista” che fa sì che un fenomeno sia percepito insieme nel presente e nel passato: «ces événements qu’une sorte de double vue rétrospective nous fait paraître avoir déjà été connus dans le passé» (LP, RTP, III, p. 836). Un altro riferimento connota i ricordi come aventi una direzione verso il futuro, anche quando sembrano immobilizzati dalla rievocazione. In termini bachelardiani, si tratta di immagini dotate di un differenziale di movimento, di immagini vettoriali: «Et ces moments du passé ne sont pas immobiles; ils gardent dans notre mémoire le mouvement qui les entraînait vers l’avenir, – vers un avenir devenu lui-même le passé, – nous y entraînant nous-même» (AD, RTP, IV, p. 70). 33. H. Bergson, Il ricordo del presente…, cit., p. 115.

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pazione e il differimento sono i fattori di discontinuità che permettono la fissazione dei ricordi, in una memoria che ha perso il privilegio bergsoniano di facoltà originaria per diventare una facoltà essenzialmente mediata dall’interazione sociale: «Elle [la mémoire] pratique l’enjambement temporel de l’action différée. En d’autres termes, on se souvient d’une action plus sûrement en la liant à ce qui la suit qu’en la liant à ce qui la précède».34 Secondo Pierre Janet, citato da Bachelard, «L’action différée est […] le véritable point de départ de la mémoire».35 Questo significa, secondo Bachelard e Janet, che la fissazione del ricordo ha luogo in seguito ad un processo d’immediata razionalizzazione dell’evento che crea una cornice attorno alla quale potrà esercitarsi la facoltà di rimemorazione. Il linguaggio e l’attesa sono i due fattori che contribuiscono maggiormente alla fissazione dei ricordi: senza l’azione del linguaggio, che parla, esprime, drammatizza, è impossibile rapportare il ricordo ai suoi quadri. D’altra parte l’attesa ha lo stesso valore di creazione di una cornice: essa fa il vuoto davanti all’evento atteso e desiderato, in modo che esso appaia nella sua chiara novità. In altri termini, la fissazione del ricordo – sia che la si rapporti, bergsonianamente, ad una facoltà originaria e spirituale, sia che la si rapporti con Janet ad una facoltà mediata e dipendente dalla ragione – è dipendente dalle aspettative, dai progetti, dalle attese, dai ragionamenti e dai calcoli che prendono corpo nell’atto stesso del presente. Benjamin riscopre la possibilità rivoluzionaria di ridare vita alle attese morte. Troviamo una concezione analoga in Husserl, per il quale il ricordo è animato da una coda di protenzioni e ritenzioni che spetta alla rimemorazione riportare in vita. I quadri della memoria ridanno quindi vita anche alle proiezioni verso il futuro, a quello che Husserl definisce «contesto intenzionale».36 Husserl distingue una doppia intenzionalità della rimemorazione, quella che riguarda il contenuto del ricordo (l’impressione), dall’atto apprensionale (cioè dalla formazione del ricordo stesso per mezzo di una modificazione della coscienza d’‘ora’ che le attribuisce il segno del passato). Se l’impressione costituisce il contenuto del ricordo, l’atto apprensionale costituisce il ‘fantasma’. Riprendendo una tesi cara al suo maestro Brentano, Husserl mostra che la modificazione che contrassegna il passato come atto apprensionale è affine a quella che ha luogo nell’immaginazione.37 In consonanza con Proust, Husserl mostra che solo l’identità 34. G. Bachelard, La dialectique de la durée, cit., pp. 45-46. 35. P. Janet, L’évolution de la mémoire et de la notion du temps : compte rendu intégral des conférences d’après les notes sténographiques, Paris, Chahine, 1928, p. 232. 36. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza…, cit., Appendice III: Le intenzioni contestuali della percezione e del ricordo. I modi di coscienza del tempo, p. 131. 37. Ivi, § 31. Impressione originaria e istante individuale obiettivo, p. 96: «Orbene, l’intero punto“ora”, l’intiera impressione originaria subisce la modificazione di passato; e solo con questo abbiamo esaurito l’intiero concetto di “ora”, perché esso è relativo e rimanda a un passato, come del resto passato rimanda all’ora. Anche questa modificazione riguarda innanzitutto la sensazione, senza cancel-

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della sensazione che costituisce il contenuto del ricordo permette di controllare anche quella parte di attività immaginativa impegnata nell’atto apprensionale, perché in questo modo essa risulta comunque legata ad una coscienza d’‘ora’, – mentre la sua precipua caratteristica in quanto prodotto dell’immaginazione è di esserne slegata38 –: Elle [la sensation] est le contrôle aussi de la vérité de tout le tableau fait d’impressions contemporaines qu’elle ramène à sa suite, avec cette infaillible proportion de lumière et d’ombre, de relief et d’omission, de souvenir et d’oubli que la mémoire et l’observation conscientes ignoreront toujours.39

Osservare la contrapposizione lumière-relief-souvenir/ombre-omission-oubli. Essa implica che il quadro rievocato ha un punto in maggior luce e rilievo, un punto in primo piano, la sensazione, che si prolunga indefinitamente secondo le modificazioni dell’atto apprensionale. Questa contrapposizione primo piano/sfondo è esplicitamente presente quando si parla dell’epifania che risuscita Piazza San Marco.40 La resurrezione del ricordo è, secondo una contrapposizione che Proust ama ripetere, psicologia nello spazio che si contrappone alla psicologia piana, tridimensionalità versus bidimensionalità: «l’inégalité des deux pavés avait prolongé les images desséchées et minces que j’avais de Venise et de Saint-Marc, dans tous les sens et toutes les dimensions».41 Anche qui ci troviamo davanti a un dettaglio in primo piano, che costituisce il controllo – in termini di coscienza del tempo – della veridicità dell’intero quadro.42 Questa contrapposizione memoria/oblio in termini spaziali primo piano/sfondo è stata ampiamente tematizzata da Husserl.43 È possibile ravvisare larne il generale carattere impressionale. Essa modifica l’importo complessivo dell’impressione originaria, sia secondo la materia che secondo il posto temporale, ma agisce esattamente nel senso di una modificazione di fantasia, e cioè modificando da parte a parte, senza tuttavia alterare, l’essenza intenzionale (l’importo complessivo)» (c. n.). 38. Concetto anche questo verificabile sul testo proustiano dell’Adoration perpétuelle quando Proust afferma incidentalmente che i quadri dell’immaginazione, fatti di un solo colore e tratti dalla sostanza di un nome, si possono ritrovare solo nei sogni – che secondo lui sono sottratti alla configurazione della veglia e costituiscono un universo atemporale alternativo (TR, RTP, IV, p. 455). 39. Ivi, p. 458. 40. Cfr. G. Girimonti Greco, Note sulla «Recherche» in «camera obscura». Proust, Brassaï e gli «enjeux romanesques» dell’immagine fotografica, in Letteratura & Fotografia I, a cura di A. Dolfi, «Quaderni Novecento», 2, Roma, Bulzoni, 2007, pp. 265-318. 41. Ivi, p. 455. Sulla psicologia piana e psicologia nello spazio cfr. anche AD, RTP, IV, p. 137. 42. Su questo tema cfr. L. Renzi, Proust e Vermeer. Apologia dell’imprecisione, Bologna, Il Mulino, 1999. Cfr. anche due importanti interventi di F. Orlando, Proust, Sainte-Beuve, e la ricerca in direzione sbagliata, introduzione a M. Proust, Contro Sainte-Beuve, cit., pp. VII-XXXVII, e Id., «Savoir» contre «Voir». Métamorphose et métaphore, in Proust et la philosophie aujourd’hui, cit., pp. 19-31. 43. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza…, cit., § 25. La doppia intenzionalità della rimemorazione, p. 86: «Un primo piano senza sfondo non è niente. Un lato che appare non è niente senza quello che non appare. È

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in questa visione prospettica della coscienza interna del tempo, che è sicuramente comune a Husserl e a Proust, elementi leibniziani. Come un quadro fiammingo, la monade ha un dettaglio in rilievo, qualcosa di aggettante in luce verso lo spettatore: è, letteralmente, il ‘dettaglio di ciò che cambia’ (l’“ora” ‘vivente’ di Husserl), di cui consta la percezione. Tutto ciò si legge ai paragrafi 12-14 della Monadologie, cui rimandiamo in nota.44 Un altro aspetto da analizzare, in questa prospettiva fenomenologica, della citazione iniziale, è la capacità di cogliere analogie, di stabilire legami fra due o più opere identificando in esse la stessa idea, la stessa sensazione, lo stesso sforzo artistico. Questa capacità, caratteristica di Proust come del narratore proustiano,45 è descritta in alcune note riportate nell’edizione 1971 del Contre Sainte-Beuve,46 come capacità da un lato musicale, di cogliere l’aria che sottostà allo stile di un autore; dall’altra, come capacità visiva di cogliere gli elementi comuni fra due quadri di uno stesso pittore, che possono presentare uno stesso dettaglio significativo. Il dettaglio quindi è essenza, legame, e racchiude una dimensione musicale: esso è anche «air de chanson», flusso temporale soggettivo.47 A partire da questa soggettività e da questa capacità di così anche nell’unità della coscienza del tempo: la durata riprodotta è il primo piano, mentre le intenzioni relative alla sua inserzione nel tempo fanno prendere coscienza di uno sfondo che è uno sfondo temporale. In un certo senso, ciò ha un seguito nella costituzione della temporalità dell’oggetto stesso che dura, col suo “adesso”, il suo “prima”, il suo “poi”. Abbiamo le analogie: per la cosa spaziale, l’inserzione nello spazio complessivo e il mondo spaziale, dall’altra parte la cosa spaziale stessa col suo primo piano e il suo sfondo; per la cosa temporale, l’inserzione nella forma del tempo e il mondo temporale, dall’altra parte la cosa temporale stessa e la sua mutevole orientazione verso l’”ora” vivente». 44. G.W. Leibniz, La Monadologie, édition annotée, et précédée d’une exposition du système de Leibniz par É. Boutroux, Paris, Libr. Delagrave, 1956 (18811), §§ 12-14, pp. 146-147 : «12. Mais il faut aussi qu’outre le principe de changement il y ait un détail de ce qui change, qui fasse pour ainsi dire la spécification et la variété des substances simples. 13. Ce détail doit envelopper une multitude dans l’unité ou dans le simple. Car tout changement naturel se faisant par degrés, quelque chose change et quelque chose reste; et par conséquent il faut que dans la substance simple il y ait une pluralité d’affections et de rapports, quoiqu’il n’y en ait point de parties. 14. L’état passager, qui enveloppe et représente une multitude dans l’unité ou dans la substance simple, n’est autre chose que ce qu’on appelle la Perception, qu’on doit distinguer de l’aperception ou de la conscience, comme il paraîtra dans la suite». 45. Cfr. TR, RTP, IV, p. 296 : «ou plutôt c’était un objet qui avait toujours été plus particulièrement le but de ma recherche parce qu’il me donnait un plaisir spécifique, le point qui était commun à un être et à un autre. Ce n’était que quand je l’apercevais que mon esprit – jusque-là sommeillant, même derrière l’activité apparente de ma conversation dont l’animation masquait pour les autres un total engourdissement spirituel – se mettait tout à coup joyeusement en chasse, mais ce qu’il poursuivait alors – par exemple l’identité du salon Verdurin dans divers lieux et divers temps – était situé à mi-profondeur, au-delà de l’apparence elle-même, dans une zone un peu plus en retrait» (c. n.). 46. M. Proust , PM, pp. 303-304. 47. Cfr. G.W. Leibniz, Nouveaux essais…, cit, Préface, p. 40 : «les habitudes acquises et les provisions de notre mémoire ne sont pas toujours aperçues et même ne viennent pas toujours à notre secours au besoin,

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osservazione minuziosa scaturisce un’essenza ideale, come per Husserl il tempo oggettivo scaturisce da quello soggettivo (il flusso dei vissuti), mercé quell’operazione parzialmente intellettuale che è la rimemorazione. Essa è certamente anche per Husserl coglimento di essenza, dato che la temporalità oggettiva si stabilisce e si struttura a partire dai confronti della rimemorazione, che permette di cogliere diverse unità temporali significative di uno stesso oggetto, ovvero in ultima analisi delle identità (cfr. Leibniz, «détail de ce qui change»), ovvero delle essenze (idee kantiane).48 Notevole è la vicinanza fra i due autori quando la rimemorazione si propone come operazione suscettibile d’indefinita ripetizione, ogni volta più astratta e potenziata, fenomenologicamente elevata a potenza: Ce qu’il y a dans un tableau d’un peintre ne peut pas le [Proust si riferisce a chi coglie l’identità fra due quadri ecc.] nourrir, ni dans un livre d’un auteur non plus, et dans un second tableau du peintre, un second livre de l’auteur. Mais si dans le second tableau ou le second livre, il aperçoit quelque chose qui n’est pas dans le second et le premier, mais qui en quelque sorte est entre les deux, dans une sorte de tableau idéal, qu’il voit en matière spirituelle se modeler hors du tableau, il a reçu sa nourriture et recommence à exister et à être heureux. Car pour lui, exister et être heureux, ce n’est qu’une seule chose. Et si entre ce tableau idéal et ce livre idéal dont chacun suffit à le rendre heureux, il trouve un lien plus haut encore, sa joie s’accroît encore.49

Fa capolino in questo passaggio il tema dell’intermittenza. Il personaggio che scorge l’essenza delle cose è intermittente: «Il est intermittent…».50 Mercé l’eredità romantica, Proust accoglie nelle sue note del Contre Sainte-Beuve l’idea che tutti i poeti siano un solo grande poeta, dalla vita intermittente, lunga quanquoique souvent nous les remettions aisément dans l’esprit à quelque occasion légère qui nous en fait souvenir, comme il ne nous faut que le commencement d’une chanson pour nous ressouvenir du reste» (c. n.). 48. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., Appendice IV: Rimemorazione e costituzione di oggetti temporali e di tempo obiettivo, p. 133: «Nella costituzione del tempo è insita la possibilità dell’identificazione: io posso compiere sempre di nuovo una retromemorazione (rimemorazione), riprodurre sempre “di nuovo” ogni porzione temporale in tutta la sua pienezza e a questo punto, nella sequenza di riproduzioni di cui ora dispongo, cogliere la stessa cosa: la stessa durata con lo stesso contenuto, lo stesso oggetto. L’oggetto è un’unità di coscienza che, nei ripetuti atti (dunque: nella sequenza temporale), può risultare la stessa, l’identico dell’intenzione, identificabile in atti di coscienza numerosi quanto si voglia, e quindi percepibile o ri-percepibile in quante percezioni si voglia. Io posso “ogni momento” convincermi dell’identico “è”. Sia un processo nel tempo: io posso esperirlo per la prima volta, posso esperirlo di nuovo in ri-esperienze ripetute e coglierne l’identità. Posso tornarci ora sempre di nuovo col mio pensiero e posso documentare sempre di nuovo questo pensiero per mezzo di una ri-esperienza originaria. È così che comincia a costituirsi il tempo obiettivo […]». 49. M. Proust, PM, cit., p. 304, nota di Proust. 50. Ibid.

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to quella dell’umanità.51 A questo concetto si riallaccia la concezione proustiana del ‘classico’: Je crois que tout art véritable est classique, mais les lois de l’esprit permettent rarement qu’il soit, à son apparition, reconnu pour tel. Il en est à ce point de vue de l’art comme de la vie. Le langage de l’amant malheureux, du partisan politique, des parents raisonnables, semble, à ceux qui le tiennent, porter avec soi une irrésistible évidence. On ne voit pas pourtant qu’il persuade ceux auxquels il s’adresse: une vérité ne s’impose pas du dehors à des esprits qu’elle doit préalablement rendre semblables à celui où elle est née. Manet avait beau soutenir que son Olympia était classique et dire à ceux qui la regardaient: «Voilà justement ce que vous admirez chez les Maîtres», le public ne voyait là qu’une dérision. Mais aujourd’hui, on goûte devant l’Olympia le même genre de plaisir que donnent les chefs-d’œuvre plus anciens qui l’entourent, et dans la lecture de Baudelaire [le même] que dans celle de Racine. Baudelaire ne sait pas, ou ne veut pas, finir une pièce, et d’autre part il n’y en a peut-être pas une seule de lui où se succèdent et se pressent, avec une telle richesse, toutes les vérités accumulées dans la seule déclaration de Phèdre. Mais le style des poèmes condamnés, qui est exactement celui des tragédies, le surpasse peut-être encore en noblesse.52

Dopo aver preliminarmente fatto riferimento alle kantiane «lois de l’esprit», cioè a quelle illusioni costitutive che mascherano il riconoscimento immediato di una verità, Proust cita alcuni esempi: l’Olympia di Manet, le poesie condannate di Baudelaire, che sono nel più puro stile classico come quello di Racine, anche se Baudelaire è poeta meno grande di Racine e non sa (o non vuole) finire una poesia: Ces grands novateurs sont les seuls vrais classiques et forment une suite presque continue. Les imitateurs des classiques, dans leurs plus beaux moments, ne nous procurent qu’un plaisir d’érudition et de goût qui n’a pas grande valeur. Que les novateurs dignes de devenir un jour classiques, obéissent à une sévère discipline intérieure, et soient des constructeurs avant tout, on ne peut en douter. Mais juste51. M. Proust, Sainte-Beuve et Baudelaire, CSB, ivi, p. 262, dove Maeterlinck è citato esplicitamente : «ce grand poète qui au fond est un, depuis le commencement du monde, dont la vie intermittente, mais aussi longue que celle de l’humanité, eut en ce siècle ses heures tourmentées et cruelles, que nous appelons: vie de Baudelaire, ses heures laborieuses et sereines, que nous appelons : vie de Hugo, ses heures vagabondes et innocentes que nous appelons : vie de Gérard et peut-être de Francis Jammes, ses égarements et abaissements sur des buts d’ambition étrangers à la vérité, que nous appelons : vie de Chateaubriand et de Balzac, ses égarements et surélévations au-dessus de la vérité, que nous appelons : deuxième partie de la vie de Tolstoï, comme de Racine, de Pascal, de Ruskin, peut-être de Maeterlinck […]». 52. M. Proust, Classicisme et romantisme, EA, ivi, p. 617. Il testo è una lettera a Émile Henriot che conduceva un’inchiesta su classicismo e romanticismo, per la rivista «La Renaissance politique, littéraire, artistique», e apparve sul numero dell’8 gennaio 1921, pp. 13-14. Esso è pubblicato anche nella corrispondenza di Proust (ed. Kolb): M. Proust, Correspondance de Marcel Proust (1880-1922), texte établi, présenté et annoté par Ph. Kolb, Paris, Plon, 1976-1993, t. XIX: 1920, pp. 642-644. (D’ora in poi questa edizione sarà siglata Corr.)

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ment parce que leur architecture est nouvelle, il arrive qu’on reste longtemps sans la discerner.53

Solo questi novatori, che appartengono alla linea ininterrotta dei classici, sono in grado di leggere i classici antichi e di fondare una nuova critica. L’effetto retroattivo che questi nuovi classici hanno sui classici antichi è di poter leggere in loro bellezze che esistono, ma che al loro tempo passarono inosservate: Ces classiques non encore reconnus, et les anciens pratiquent tellement le même art, que les premiers sont encore ceux qui ont fait la meilleure critique des seconds. Sans doute, il ne faut pas qu’elle aille à l’encontre des tendances, de la ligne de croissance d’un poète. […] Mais il nous est permis de faire goûter dans les tragédies de Racine, dans ses cantiques, dans les lettres de Mme de Sévigné, dans Boileau, des beautés qui s’y trouvent réellement et que le XVIIe siècle n’a guère aperçues.54

Di questa critica Proust dà molti esempi nella Recherche. Si può affermare pertanto che la nozione proustiana di ‘reminiscenza anticipata’ si inserisca pienamente sulla scia dei concetti fondativi della coscienza storica della modernità e possa addirittura rappresentare una singolare tappa intermedia fra Baudelaire e Benjamin: per Proust l’oggetto delle ‘reminiscenze anticipate’ è sempre, letterariamente, un ‘classico’ nel senso baudelairiano, e il riferimento incrociato di attualità ed eternità permette letture critiche a ritroso, che vanno cioè dai classici del momento presente ai classici del passato, permettendo di scorgere in loro bellezze già esistenti al momento della loro apparizione storica ma che solo la modernità può cogliere, rivelando così le attese inappagate dei testi, il loro benjaminiano ‘futuro passato’. Il chiasmo fra futuro e passato permette di comprendere anche il carattere sinestesico di quella capacità di astrazione fenomenologica che ne è alla base.55 Un altro filo unisce queste osservazioni. Questi concetti hanno nei nostri autori dei corrispettivi simbolici di grande pregnanza: in Proust l’insieme delle 53. Ibid. 54. Ivi, pp. 617-618. 55. A questo discorso si riallaccia in modo assai pertinente la discussione sul concetto di ‘originalità’, per la cui analisi l’opera di Proust costituisce un terreno privilegiato, come mosttra un articolo di G. Perrier, L’étrange mot d’originalité (recensione da Originalités proustiennes, sous la direction de Ph. Chardin, Paris, Kimé, 2010), Let’s Proust again!, «Acta Fabula», pp. 1-13, http://www.fabula.org/revue/document7559/php, consultato il 13 marzo 2013. Il termine ‘originel’, a lungo dotato di una connotazione negativa perché uscito etimologicamente dall’espressione teologica ‘peché originel’, quale sinonimo di bizzarria e di eccentricità, emerge come categoria estetica nel XVII secolo con una certa affinità con un altro concetto estetico cardine in quell’epoca, il ‘naturel’ o la ‘naïveté’, che vanno a mano a mano a sostituirsi all’imitazione. In Proust tale nozione dialoga con quella della molteplicità dei riferimenti intertestuali come anche con la molteplicità di copie o immagini interiori dell’opera che ciascun lettore ne ricava à part soi, in quanto lettore di se stesso.

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reminiscenze date dalla lettura di diversi autori è paragonato al volo di uno stormo di colombacci; in Baudelaire il ‘classico’ è paragonato ad un fulmine; in Benjamin il ‘tempo-ora’ è assimilato al balzo di una tigre nella selva del passato; in Husserl l’‘ora-vivente’ è paragonata al volo di un uccello o alle iridescenze di una fiamma. Premettendo che l’immagine del lampo è hegeliana – come non manca di sottolineare Habermas56 – ed esprime il venire alla luce della coscienza della modernità, cos’hanno in comune queste immagini? In un’indagine svolta nel 1925 sull’origine dei nomi degli dei, Cassirer illustrò la tesi che l’origine dell’onomastica divina sia da ricercare nelle cosiddette ‘divinità momentanee’: impressioni sensibili di particolare forza e tenore drammatico che la sensibilità primordiale dell’umanità riuscì a separare dal continuum di impressioni circostanti e a cogliere in una stilizzazione significante (affini al primitivo linguaggio geroglifico della vichiana «età degli dei»). Sono le prime forme simboliche: La collina in cui un perseguitato trova riparo, l’acqua che salva l’assetato, il fulmine, l’animale feroce, il rumore che colgono di sorpresa l’uomo isolato, in generale le situazioni e gli oggetti che al tempo stesso respingono e attraggono, atterriscono e liberano dallo sforzo, che tengono l’anima sospesa fra terrore e attrazione, tali pregnanti impressioni di alta rilevanza e in grado di attirare su di sé un’attenzione che le isola da un contesto, possono condensarsi ad immagine mitica, possono essere semanticizzate e perciò esorcizzate, fissate con nomi divini, evocate nuovamente e, in tal modo, rese dominabili. Grazie alla trasformazione simbolica dell’esperienza sensibile in senso, la tensione affettiva viene deviata e nel contempo stabilizzata.57

Troviamo un’intuizione affine in Walter Benjamin nella tesi numero sei di Filosofia della storia, dove l’autore tedesco afferma che «articolare storicamente il passato non significa conoscerlo “come propriamente è stato”. Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante del pericolo».58 Nel passaggio di Proust da cui abbiamo preso le mosse, ci troviamo davanti a un incrocio tra la riflessione filosofica e la polivalenza delle immagini. Ci è lecito quindi proseguire la nostra ricerca sul doppio binario della riflessione filosofica e dell’analisi delle immagini, non per attribuzione arbitraria dei concetti alle immagini, ma seguendo la coerenza e la logica del testo proustiano. E in questo senso, la prospettiva più feconda è fornita da Cassirer. Infatti, nel passaggio di Proust alle ‘reminiscenze anticipate’ corrispondono due ordini d’immagini: al 56. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità, cit., pp. 6-7. 57. J. Habermas, Vom sinnlichen Eindruck zum symbolischen Ausdruck. Philosophische Essays, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1997, trad. it. di C. Mainoldi, Dall’impressione sensibile all’espressione simbolica. Saggi filosofici, Bari, Laterza, 2009, p. 11. 58. W. Benjamin, Schriften, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1955, trad. it. di R. Solmi, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, 19952, p. 77.

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volo degli uccelli si affianca la segnaletica linguistica dei cartelli («poteaux indicateurs»), alle ‘divinità momentanee’, primo mondo delle forme simboliche, il mondo del linguaggio astratto.59 Il lampo, lo stormo in volo, il balzo della tigre, la fiammata esprimono dunque il dialettizzarsi dell’istante presente in passato-futuro. In una lettera del 1907, Proust contesta quegli scrittori che fanno dell’immagine l’accessorio del pensiero e riserva all’immagine una ‘nascita divina’: […] voici de quelle tendance je veux parler: celle d’un Jaurès (quel horrible écrivain!) qui fait de l’image la servante purement pratique et utilitaire du raisonnement, pareille à ces plans en relief qui servent à mieux faire comprendre aux élèves une leçon. Non, l’image doit avoir sa raison d’être en elle-même sa brusque naissance toute divine.60

In un’altra lettera del 1913, a proposito di Jammes, Proust parla di nuovo delle immagini come di «atomi dello stile», di elementi infinitesimali, dove giace la verità dell’impressione, espressa adeguatamente anche da un solo aggettivo. Jammes è maestro in queste impressioni infinitesimali, anche se gli manca la capacità di coordinarle in un insieme coerente: Ne sût-il pas mettre ses sensations en ordre, faire un livre, même un conte, même un paragraphe, même une phrase, il lui resterait que la cellule même, l’atome, c’est-à-dire l’épithète et l’image sont d’une profondeur et d’une justesse que personne n’atteint. Au fond de nous, nous sentons bien que les choses sont ainsi, mais nous n’avons pas la force d’aller jusqu’à ce fond extrême ou gît la vérité, l’univers réel, notre impression authentique. Et nous ordonnons magnifiquement des à peu près d’expressions. Jammes lui laisse dans un grand désordre des expressions dont chacune est une révélation.61

Infine, nel 1920, a proposito dei versi del critico-poeta Henri Ghéon, Proust parla di «brusque combinaison de la pensée et de l’image nécessaire, instantanée e conflagrante».62 Anche se in Proust esiste una dimensione di armonia compositiva per cui i frammenti devono entrare in un insieme e gli indizi devono costituire gli anelli di una catena dimostrativa (poco importa poi se quest’unità è retrospettiva), queste brevi e incisive formulazioni dedicate al tema dell’immagine (la cellula dello stile) ci permettono di affermare che in questa dimensione microtestuale essa dipende, anche per Proust, da un’‘ontologia diretta’, come vuole Bachelard. L’immagine rimanda al carattere originario che l’impressione 59. Cfr. E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, II, Das mythische Denken, Oxford, Bruno Cassirer, 1923, trad. it. di E. Arnaud, Filosofia delle forme simboliche. Il pensiero mitico, Firenze, La Nuova Italia, 19641, 1988. 60. M. Proust, Corr, t. VII: 1907, p. 167. 61. M. Proust, Corr, t. XII: 1913, pp. 37-38. 62. M. Proust , Corr, t. XIX: 1920, p. 737.

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mantiene anche nel processo secondario della rimemorazione, come vuole Husserl. Le formulazioni di Bachelard a questo riguardo sono perentorie: l’immagine è presenzialità, improvviso e brusco rilievo dello psichismo: «Il faut être présent, présent à l’image dans la minute de l’image: s’il y a une philosophie de la poésie, cette philosophie doit naître et renaître à l’occasion d’un vers dominant, dans l’adhésion totale à une image isolée, très précisément dans l’extase même de la nouveauté d’image».63 L’approccio fenomenologico che Bachelard mostra di adottare in questo fondamentale saggio permette di accostarsi all’immagine cogliendone il valore d’inizio assoluto nella coscienza. Questo consente anche di caratterizzare le analisi antropologiche e psicoanalitiche delle immagini (perseguite poi dall’archetipologia di Durand) come spiegazioni che escludono un legame causale, ma che vanno ricomprese nell’ottica di una reversibilità per cui il futuro dell’immagine si riproietta sul suo passato archetipico, facendola risuonare di echi. In questo ‘retentissement’ il futuro proietta la propria luce sul passato, invertendo la tradizionale irreversibilità del tempo che persegue il ragionamento scientifico. Ci troviamo di nuovo di fronte ad un altro esempio di ‘reminiscenza anticipata’: Quand, par la suite, nous aurons à faire mention du rapport d’une image poétique nouvelle et d’un archétype dormant au fond de l’inconscient, il nous faudra faire comprendre que ce rapport n’est pas, à proprement parler, causal. L’image poétique n’est pas soumise à une poussée. Elle n’est pas l’écho d’un passé. C’est plutôt l’inverse: par l’éclat d’une image, le passé lointain résonne d’échos et l’on ne voit guère à quelle profondeur ces échos vont se répercuter et s’éteindre. Dans sa nouveauté, dans son activité, l’image poétique a un être propre. Elle relève d’une ontologie directe.64

Questa ‘ontologia diretta’ rimanda alle riflessioni sul tempo di Bachelard, e in particolare ad una matrice leibniziana espressamente dichiarata.65 Analoga genealogia suggeriscono le affermazioni di Proust. L’unione di pensiero e immagine è una brusca combinazione: intelligenza e cuore si uniscono per la durata di un istante, esplodendo66 (cfr. le immagini di istantaneità conflagrante che 63. G. Bachelard, La poétique de l’espace, Paris, Presses Universitaires de France, 19675, p. 1. 64. Ivi, pp. 1-2. 65. Cfr. G. Bachelard, L’intuizione dell’istante…, cit., p. 82. 66. Questo ci riporta alla fenomenologia husserliana e alla distinzione di Sartre tra “filosofia digestiva” (figurante l’assimilazione appropriativa degli oggetti nella coscienza secondo parametri ancora veteroidealistici rappresentati dai filosofi contemporanei e amici di Proust), e l’intenzionalità husserliana come apertura della coscienza che è sempre coscienza “di” qualcosa e come nuova modalità del darsi degli oggetti alla coscienza nella forma di un «s’évader vers» (che Debenedetti traduce con «esplodere verso»). Scrive Sartre: «C’est que Husserl voit dans la conscience un fait irréductible, qu’aucune image physique ne peut rendre. Sauf, peut-être, l’image rapide et obscure de l’éclatement. Connaître, c’est "s’éclater vers", s’arracher à la moite intimité gastrique pour filer, là-bas, par-delà soi, vers ce qui n’est pas soi, là-bas, près de l’arbre et cependant

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Proust utilizza quando vuole definire l’originalità dello stile: la brusca nascita divina, il decollo dell’aereo, la lampada che si accende, anche l’acqua che bolle ecc., e le immagini che caratterizzano il Septuor di Vinteuil). Qui Proust parla di combinazione, altrove di trasformazione (non esclude l’intelligenza per far posto all’istinto come strumento privilegiato dello scrittore, ma li combina o li trahors de lui, car il m’échappe et me repousse et je ne peux pas plus me perdre en lui qu’il ne peut se diluer en moi : hors de lui, hors de moi. Est-ce que vous ne reconnaissez pas dans cette description vos exigences et vos pressentiments? Vous saviez bien que l’arbre n’était pas vous, que vous ne pouviez pas le faire entrer dans vos estomacs sombres et que la connaissance ne pouvait pas, sans malhonnêteté, se comparer à la possession. Du même coup, la conscience s’est purifiée, elle est claire comme un grand vent, il n’y a plus rien en elle, sauf un mouvement pour se fuir, un glissement hors de soi; si, par impossible, vous entriez “dans” une conscience, vous seriez saisi par un tourbillon et rejeté au dehors, près de l’arbre, en pleine poussière, car la conscience n’a pas de “dedans”; elle n’est rien que le dehors d’elle-même et c’est cette fuite absolue, ce refus d’être substance qui la constituent comme une conscience» (J.-P. Sartre, Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l’intentionnalité [1939], in Id., Situations I, Paris, Gallimard, 1947, pp. 32-33). Sartre assimila Proust alla « filosofia digestiva» e conclude : «Nous voilà délivrés de Proust» (ivi, p. 34). Un radicale capovolgimento di quest’interpretazione vetero-idealistica di Proust ha luogo nella lettura di Giacomo Debenedetti, il quale, dopo aver definito il romanzo proustiano «una intermittenza di intermittenze» (G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento. Quaderni inediti, presentazione di E. Montale, Milano, Garzanti, 1998, p. 300), volge l’argomentazione sartriana in favore di una lettura fenomenologica di Proust, richiamandosi al celebre episodio delle rose del Bengala: «Le posizioni qui espresse si divaricano da quelle di Proust davanti alle rose del Bengala o di Joyce davanti all’orologio della Dogana. Ma nell’une e nell’altre c’è l’idea di un “esplodere verso”: Proust e Joyce paiono supporre un’intenzionalità anche degli oggetti, che devono “esplodere verso” di noi, parlarci e riconoscerci nel momento stesso che si fanno conoscere» (ivi, p. 301). Questa lettura è stata ripresa da M. Lavagetto, Stanza 43. Un lapsus di Marcel Proust, Torino, Einaudi, 1991, in part. il cap. dedicato a Le rose del Bengala, pp. 47-60, e da V. Pietrantonio, Debenedetti e il suo doppio. Una traversata con Marcel Proust, Bologna, il Mulino, 2003, in part. il cap. VIII: Un susseguirsi ininterrotto di esplosioni (cfr. la bibliografia contenuta nell’articolo di G. Girimonti Greco, Rileggere Proust, rileggersi…, cit.). Dal nostro punto di vista, possiamo osservare che la metaforica dell’éclatement ha una delle sue principali manifestazioni in Leibniz, malgrado l’appassionata polemica anti-leibniziana di Sartre, e che Leibniz è oggetto di un’importante rivalutazione storica proprio da parte di Husserl, il creatore del concetto di intenzionalità. Le immagini e la metaforica dell’éclatement potrebbero essere giunte a Proust, oltre che direttamente dal testo della Monadologie, anche attraverso le spiegazioni di Alphonse Darlu, che è rievocato dalla corrispondenza proustiana oltre che dall’autobiografia del suo compagno di liceo Fernand Gregh nell’atto di posare il suo cappello su una sedia e di chiedere agli allievi di pensare a quel cappello come a una monade, quindi nell’atto di farvi cadere il suo fazzoletto dentro (l’oggetto) per vedere quale sarebbe la sua fine: assimilazione digestiva? «Sur sa chaire, il [Darlu] plaçait devant lui son chapeau haut de forme, et le prenait comme exemple d’une doctrine abstruse qu’il exposait; ainsi que le notait Fernand Gregh, “il faisait sortir toute la philosophie, comme un prestidigitateur, de ce chapeau”. Marcel se rappelait toujours ses explications des théories de Leibniz : “Supposez que mon chapeau est une monade; eh bien, je laisse mon mouchoir dans ce chapeau…” mais on ne nous dit pas ce que représentait le mouchoir… » (G.D. Painter, Marcel Proust. Les années de jeunesse (1871-1903), Paris, Mercure de France, 1966, pp. 98-99). L’immagine del cappello rivoltato per farvi uscire gli oggetti in ordine contrario a quello in cui vi erano caduti potrebbe prestarsi a completare questo ricordo che si può definire d’infanzia orientando l’ipotesi su quelle che potevano essere le lezioni di Darlu: una specie di gioco di prestigio mirante a definire non l’assimilazione dell’oggetto alla coscienza, ma la sua fuoriuscita, proprio nel senso dell’intenzionalità ante litteram, definita da Enzo Paci con le parole di Valéry: «Notre esprit est fait d’un désordre plus un besoin de mettre en ordre» (Paul Valéry citato da E. Paci, Diario fenomenologico, Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 17). Cfr. la metafora dei calzini rivoltati di cui si serve Benjamin per definire lo stile di Proust (W. Benjamin, Per un ritratto di Proust, cit., p. 30).

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sforma l’uno nell’altra). Qui, nell’éclat, nella conflagrazione che unisce fondo e forma c’è analogia con le «Fulgurations continuelles»67 di leibniziana memoria. L’atto decisivo che crea la monade è la folgorazione; poi la monade si distingue in «sombre fond» e conoscenza chiara, corpo e anima, cuore e intelligenza, percezioni e appercezioni, ecc. Il cupo fondo è quasi l’avanzo carbonizzato di uno sguardo divino (si pensi al mito cosmogonico della Théodicée della terra inizialmente incandescente e poi solidificata che sarà infine ritrasformata in un sole68). La creazione dell’immagine ritorna indietro, per Proust, alla brusca nascita divina della monade, questa ‘divinità momentanea’. All’inizio ci sono le fiamme, il calore. Poi il cupo fondo: il cuore, resto carbonizzato di uno sguardo divino. La terra, il corpo, il cuore: sedi dell’istinto per Proust, delle conoscenze oscure per Leibniz. Poi, secondo una cosmogonia simile, alcune terre sono inondate, diventano specchi d’acqua: la luce dello specchio è sede dei riflessi della conoscenza chiara, dell’intelligenza (grado impallidito della luce che proviene dalla conflagrazione iniziale). Per Leibniz questi riflessi possono diventare sempre più netti, approssimarsi indefinitamente nella luce dell’anima – senza tuttavia mai raggiungerla – alla luce iniziale. Il passaggio platonico (mito della caverna) dalle ombre alla luce non arriva all’ultimo stadio, se non nella forma del mito cosmogonico (restaurazione della terra in sole).69 Questo è l’elemento propriamente neoplatonico che accomuna Proust e Leibniz. Ciò accade perché il sole è già stato fissato (o ha fissato), e la monade con la sua limitatezza di creatura è figlia dell’insostenibilità di questa contemplazione: i veri paradisi sono quelli perduti. La monade è già il frammento di un mondo esploso, di una conflagrazione già avvenuta, quella dello sguardo divino che contempla la realtà e la crea. Fin qui possiamo includere anche le estasi atemporali70 di Temps retrouvé come echi della saggezza antica plotiniana.71 Ma in Proust, come tutti sanno, le cose vanno di67. G.W. Leibniz, La Monadologie, cit., § 47, pp. 167-168 : «Ainsi Dieu seul est l’unité primitive, ou la substance simple originaire, dont toutes les Monades créées ou dérivatives sont des productions, et naissent, pour ainsi dire, par des Fulgurations continuelles de la Divinité de moment en moment, bornées par la réceptivité de la créature, à laquelle il est essentiel d’être limitée». 68. G.W. Leibniz, Essais de théodicée. Sur la bonté de Dieu, la liberté de l’homme et l’origine du mal [1716], chronologie et introduction par J. Brunschwig, Paris, Garnier Flammarion, 1969, pp. 113-114. 69. Sulla questione platonismo versus antiplatonismo di Proust cfr. la bibliografia contenuta nell’articolo di G. Girimonti Greco, L’ultimo Barthes fra «science du sujet» e «imitation» proustiana. Note in margine a La préparation du roman I et II. Cours et séminaires au Collège de France (1978-1979 et 1979-1980), «Ermeneutica Letteraria», I, 2005, pp. 83-98 e Id., Contro il neoplatonismo, recensione da H.R. Jauss, Tempo e ricordo nella Recherche di Marcel Proust, prefazione di A. Beretta Anguissola, trad. di M. Galli, Firenze, Le Lettere, 2003, «L’Indice dei libri del mese », aprile 2004, p. 21. Per il platonismo cfr. inoltre l’articolo di R. Breeur, Le vertige du temps, in Proust et la philosophie aujourd’hui, cit., pp. 257-269. Un punto di vista opposto e antiplatonistico è espresso nello stesso libro da C. Imbert, Les échasses du prince de Guermantes, ivi, pp. 231-255. 70. Cfr. le «estasi metacroniche» in F. Orlando, Proust, Sainte-Beuve e la ricerca…, cit. 71. Cfr. Plotino, Enneadi, traduzione di R. Radice, saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di G.

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versamente: e non tanto perché esiste una rivelazione finale, ma perché questa rivelazione si affida al carattere dischiudente senso della rimemorazione e del linguaggio. La vera vita è la letteratura. E questo significa che il fondo geologico e archeologico custodito sotto l’acqua (o addirittura il ghiaccio) può riemergere: Combray dalla tazza di tè. In base alle nostre osservazioni, al predominio delle immagini liquide in Leibniz succede, con Kant, l’ancoraggio alle realtà stabili della terra. E questo passaggio alla coscienza della modernità filosofica, sia sul fronte concettuale che archetipale, segna la formazione filosofica di Proust. Per certi versi, come sottolinea Habermas, la contemporaneità filosofica segna un ritorno indietro. La critica generalizzata della ragione occidentale s’impiglia comunque nelle aporie della filosofia del soggetto.72 Un esempio importante di questa situazione è nel pensiero di Gilles Deleuze (1925-1995), che rivendica una matrice leibniziana e recupera l’immagine hegeliana del lampo a figura della Differenza: Senonché in luogo di una cosa che si distingue da un’altra, immaginiamo qualcosa che si distingue, e tuttavia ciò da cui si distingue non si distingua da essa. Il lampo per esempio si distingue dal cielo nero, ma deve portarlo con sé, come se si distinguesse da ciò che non si distingue. Si direbbe che il fondo sale alla superficie, senza cessare di essere fondo. C’è qualcosa di crudele, e anche di mostruoso, da una parte e dall’altra, in questa lotta contro un avversario inafferrabile, in cui il distinto si oppone a qualcosa che non può da esso distinguersi, e che continua a coniugarsi con ciò che da esso si separa. La differenza è lo stato della determinazione come distinzione unilaterale. Della differenza, si deve dunque dire che la si fa, o che si fa, come nell’espressione “fare la differenza”. Questa differenza, o LA determinazione, è dopo tutto la crudeltà.73

Riformuliamo pertanto la nozione di ‘reminiscenza anticipata’ con l’aiuto della filosofia deleuziana. Essa implica la possibilità di stabilire una correlazione attraverso una specie di salto tra due serie omogenee eppure diverse, secondo quell’idea del ‘differire’ che è stata pronunciata per la prima volta da Derrida.74 Deleuze mostra le implicazioni psicoanalitiche di questa concezione: il fantasma che si struttura come macchia cieca, casella sempre spostabile, ritardo consecutivo fra due serie di ricordi, una infantile e l’altra adulta, che entrano in conflagrazione. Un altro esempio cui Deleuze ricorre in Logique du sens è la lettera rubata Reale, Milano, Mondadori, 2002. L’accostamento a Plotino è presente nel saggio di Ch. Du Bos, Marcel Proust, in Id., Approximations, Paris, Fayard, 1965, pp. 81-117. Cfr, anche R. Bodei, Sotto il faro non c’è luce, cit. 72. Cfr. J. Habermas, Nachmetaphysisches Denken. Philosophische Aufsätze, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1988, trad. it. di M. Calloni, Il pensiero post-metafisico, Bari, Laterza, 1991. 73. G. Deleuze, Différence et répétition, Paris, Presses universitaires de France, 1968, trad. it. di G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Bologna, Il Mulino, 1971, p. 53. 74. J. Derrida, L’écriture et la différence, Paris, Seuil, 1967, trad. it. di G. Pozzi, La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 2002 (19711).

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di Poe: che entra in composizione in due serie narrative differenti, oggetto sempre spostato, significante che ‘manca’ sempre al proprio posto.75 Nel caso dell’esercizio critico illustrato da Proust, il ‘classico’, ciò che perpetuamente cerca la ‘reminiscenza anticipata’, è la differenza sempre spostabile, l’oggetto virtuale che può esistere solo come perduto e costituirsi in un discorso critico sempre solo come ri-trovato, in un ritardo costitutivo rispetto alle due serie in cui si ripartisce e si struttura la ripetizione (nel caso del testo di Proust, i classici antichi e i classici moderni). Il classico è dunque contemporaneamente anche il nuovo, o, deleuzianamente, la Differenza estratta in seno alla ripetizione. Come giustamente osserva Habermas, ed è in parte riconosciuto dallo stesso Deleuze, la filosofia del ‘rovesciamento del platonismo’ non può non restare in qualche modo platonica, implicata in un rapporto con l’origine irrelata, perpetuamente rimandato ma mai riformulato in termini diversi da quelli tradizionali.76 E lo dimostra, se ci fosse bisogno di una conferma, la continuità delle immagini: troviamo il lampo all’origine della filosofia presocratica, come prodotto del FuocoLogos generatore di Eraclito, e lo troviamo in Deleuze. La ragione diurna ha, comunque, il sopravvento, anche se l’ultimo lampo, quello di Deleuze, reca con sé il cielo nero. Tornando al frammento da cui abbiamo preso le mosse, possiamo interpretare così la suddivisione della monade in due piani: alla monade universale appartiene l’intelligenza critica e l’intermittenza che permette di ricongiungere gli sparsi frammenti di realtà custoditi sotto le singole impressioni; infatti Proust richiama sia nella Recherche che nei frammenti critici l’immagine del raggio di luce che congiunge, come un orlo, singoli frammenti dell’opera di uno stesso autore.77 In termini husserliani, la costituzione del tempo obiettivo, che avviene 75. G. Deleuze, Logique du sens, Paris, Minuit, 1969, trad. it. di M. de Stefanis, Logica del senso, Milano, Feltrinelli, 1975. 76. «Il fatto che lo strutturalismo moderno si sia formato e sviluppato nella dipendenza più o meno diretta e dichiarata dalla fenomenologia, sarebbe sufficiente a renderlo tributario della più pura linea tradizionale della filosofia occidentale, quella che, al di là del suo antiplatonismo, riconduce Husserl a Platone» (J. Derrida, La scrittura e la differenza, cit., pp. 34-35). 77. A questo tema è in gran parte dedicata la monografia di L. Finas, Le toucher du rayon…, cit. A proposito della convergenza fra il “sistema” dei personaggi di Balzac e quello proustiano e della peculiarità balzacchiana di riprendere tutti i personaggi del suo ciclo nei vari romanzi, con un complicato meccanismo di ritorni, allusioni retrospettive e “reminiscenze anticipate”, così scrive la Finas, commentando la peculiare metaforica della luce che interviene negli scritti dedicati da Proust a Balzac: «Ainsi un rayon détaché du fond de l’œuvre, passant sur toute une vie” [M. Proust, Sainte-Beuve et Balzac, CSB, p. 274]. L’œuvre est foyer lumineux. L’œuvre émet. De quel fond s’agit-il? Chronologique? Le fond antérieur? Un rayon, détaché du Père Goriot, traverse Les Illusions perdues jusqu’à ce moment de la rencontre entre les deux hommes [l’incontro fra Vautrin e Lucien de Rubempré], vers la fin du roman. Détaché du passé, le rayon visite le présent. Mais ne s’agirait-il pas aussi du profond de l’œuvre? De sa profondeur? D’elle toute, en somme. Passé, présent, avenir s’y confondent en un rayon qui en illumine chaque parcelle. Ainsi s’explique le "toute une vie". Proust, lisant ce passage, a déjà en mémoire la vie entière de

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attraverso la molteplicità della rimemorazione, si riformula per Proust come problema dell’unità dell’opera, del ricongiungimento sotterraneo e trasversale di singoli frammenti di poesia. Oltre che di tempo mondano, si può parlare anche di un ‘terzo tempo’, nel senso di Ricœur, di legiferazione interna che il poeta si assume all’interno di un universo temporale da lui creato, basata sulla libertà della rimemorazione. Alla monade creatrice spetta invece il rinvenimento dell’impressione originale, che si fonda sull’‘ora’. Rimemorazione e percezione si spartiscono così il campo, dato che non ci illudiamo di risolvere in questi modesti tentativi di accostamento il problema della ‘fenomenologia’ proustiana.78 Si può osservare comunque che l’epifania proustiana resta una categoria irriducibile a Husserl, il quale afferma a chiare lettere che il tempo nella sua purezza non può essere incontrato nella sensazione: «Ma ovviamente tutte queste percezioni sono inadeguate, il tempo con la sua pienezza non è dato adeguatamente, non si può mostrare come sensazione».79 Fruttuosa appare invece la strada perVautrin, celle même, apocryphe, qui se poursuit après la mort de son créateur. Et c’est cette vie entière qui reflue vers un de ses moments, comme la mort, encore à venir, de Lucien, reflue sur sa rencontre avec Vautrin. C’est là qu’il convient de détacher vers Proust, comme vers son origine, le rayon parti de la pensée de Balzac. Un déplacement d’origine qui aboutit à l’œil du lecteur» (ivi, pp. 54-55). Queste osservazioni illuminano un aspetto delle « reminiscenze anticipate », cioè il loro essere parte integrante della struttura romanzesca nella ripresa (proustiana) dell’artificio balzacchiano di far apparire sempre gli stessi personaggi nei diversi romanzi, ripresa esplicitamente rivendicata da Proust e studiata, fra gli altri, da Bertini, come il principale apporto balzacchiano alla sua creazione. Tutte queste osservazioni vanno all’incontro di quelle già citate di A. Pecchioli Temperani, Marcel Proust e le reminiscenze anticipate, cit. Sul carattere della concezione proustiana dell’opera d’arte come “foyer lumineux” riscontriamo inoltre una significativa convergenza con Maeterlinck. Nel saggio Le Théâtre, del 1890, quest’ultimo scrive: «Le symbole du poème est un centre ardent dont les rayons divergent dans l’infini, et ces rayons, s’ils partent d’un chef-d’œuvre absolu comme ceux dont il est question en ce moment, ont une portée qui n’est limitée que par la puissance de l’œil qui les suit» (M. Maeterlinck, Le Théâtre, in Œuvres I. Le Réveil de l’âme, Poésie et essais, édition établie et présentée par P. Gorceix, Bruxelles, Complexe, 1999, cit., p. 461). 78. Cfr. le monografie di R. Breeur, Singularité et sujet. Une Lecture phénoménologique de Proust, Grenoble, Éditions Jerôme Millon, 2000, et A. Simon, Proust ou le réel retrouvé. Le sensible et son expression dans A la recherche du temps perdu, Paris, Presses Universitaires de France, 2000 ; della stessa autrice cfr. : Ead., Phénoménologie et référence : Proust et la redéfinition du réel, «Littérature», n. 132, 2003, pp. 55-70. Su Proust e Deleuze cfr. l’articolo e la bibliografia ad esso correlata di M. Autieri, Deleuze e Merleau-Ponty interpreti di Marcel Proust, «Quaderni Proustiani», n. 7, 2013, pp. 169-191. 79. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza…, cit., Appendice XI: Percezione adeguata e inadeguata, p. 151. In questo senso Leibniz è forse per così dire ancora più proustiano di Husserl, perché contempla la possibilità che le piccole percezioni (cioè le impressioni) diano luogo a ‘sviluppi periodici’ (le proustiane intermittenze) nelle ‘occasioni’, ovvero nell’incontro con una percezione simile di tanto in tanto. È quanto si desume dalla lettura dei Nouveaux essais sur l’entendement humain. Cfr. G.W. Leibniz, Nouveaux essais sur l’entendement humain, [1765], Paris, Garnier Flammarion, 1990, p. 42 : «Ces petites perceptions sont donc de plus grande efficace qu’on ne pense. Ce sont elles qui forment ce je ne sais quoi, ces goûts, ces images des qualités des sens, claires dans l’assemblage, mais confuses dans les parties, ces impressions que les corps environnants font sur nous, et qui enveloppent l’infini, cette liaison que chaque être a avec tout le reste de l’univers. On peut même dire qu’en conséquence de ces petites perceptions le présent est plein de l’avenir et chargé du passé, que tout est conspirant

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corsa da Mauro Carbone, che indica nelle idee ‘sensibili’ – cioè inseparabili dal loro sostrato materiale – il punto in cui Marcel Proust traccia la direzione per una nuova ontologia, correggendo anche – in senso antimetafisico e antiplatonistico – Husserl. La nuova ontologia, delineata da Merleau-Ponty e Deleuze, può rintracciare nell’idea sensibile proustiana anche quel chiasmo fra avvenire e passato in cui consiste la novità dell’anticipazione, e ritrovare così un concetto husserliano, riformulato da Merleau-Ponty sotto il nome di ‘iniziazione’. Esso fa riferimento all’‘ora’ di Husserl: alla illimitata fecondità di ogni presente che, proprio perché singolare e passeggero, non potrà mai cessare di essere e di essere universalmente. Questa ‘apertura di una dimensione che non potrà più essere richiusa’, riceve da Merleau-Ponty il nome di ‘iniziazione’.80 I.2. La novellistica di Maeterlinck e il saggio La Mort: una concezione ‘favolosa’ del tempo. Questo ci pare anche il punto di partenza per affrontare il rapporto ProustMaeterlinck. Le categorie filosofiche e archetipali finora evocate trovano un terreno privilegiato di applicazione nell’opera di Maeterlinck (1862-1949).81 In primo luogo, c’è in Maeterlinck l’equivalente della ‘reminiscenza anticipata’ proustiana. Una novella del 1893, L’Anneau de Polycrate, introduce una situazione simile alle discussioni di estetica che hanno luogo in Bretagna fra Jean e lo scrittore C. nel Jean Santeuil: una locanda delle isole zelandesi, all’apparenza perfettamente felice, gestita da una coppia di osti, dove sono radunati alcuni visitatori. È proprio l’apparenza idilliaca del luogo ad attirare l’attenzione dei visitatori, che ritrovano in quella serenità imperturbata la caratteristica dei luoghi e dei ricordi d’infanzia. I personaggi maeterlinckiani lì riuniti s’interrogano su quali saranno (σύμπνοια πάντα, comme disait Hippocrate) et que dans la moindre des substances, des yeux aussi perçants que ceux de Dieu pourraient lire toute la suite des choses de l’univers. Quae sint, quae fuerint, quae mox futura trahuntur.[Citazione leggermente modificata di Virgilio, Georg., IV, 393]. Ces perceptions insensibles marquent encore et constituent le même individu qui est caractérisé par les traces qu’elles conservent des états précédents de cet individu, en faisant la connexion avec son état présent, qui se peuvent connaître par un esprit supérieur, quand cet individu même ne les sentirait pas, c’est-à-dire lorsque le souvenir exprès n’y serait plus. Mais elles (ces perceptions, dis-je) donnent même le moyen de retrouver le souvenir au besoin par des développements périodiques qui peuvent arriver un jour [corsivo nostro]». 80. M. Carbone, Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili, Macerata, Quodlibet, 2004, p. 49. Cfr. M. Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, Paris, Gallimard, 1964, trad. it. di A. Bonomi, Il visibile e l’invisibile, testo stabilito da C. Lefort, nuova edizione italiana a cura di M. Carbone, Milano, Bompiani, 1969 (poi R.C.S, 2003), in particolare il capitolo intitolato: L’intreccio-Il chiasma. 81. Un primo tentativo in questo senso è presente nel nostro saggio: S. Martina, Il tempo nello specchio dei sogni: Onirologie di Maurice Maeterlinck, in Memoria e oblio: le scritture del tempo, cit., «Compar(a)ison. An International Journal of Comparative Literature», 2009, n. I/II, 2005, pp. 99-105, cui ci permettiamo di rinviare.

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i ricordi che permetteranno all’anima, dopo la morte, di riconoscere se stessa nella folla delle anime consimili: Nous parlions des jours heureux et quelqu’un dit que c’étaient les seuls qui vécussent réellement en notre mémoire. «Les plus grandes tristesses et les plus grands malheurs, ajoutait-il, ne laissent pas de traces durables. Deux fois, déjà, j’ai vu la mort de si près qu’elle ne pourra plus m’étonner. Et cependant, que me suis-je rappelé dans ces moments où l’on s’efforce de résumer toute la vie dans le souvenir de quelques actes ou de quelques heures, afin de les emporter comme des marques sur son âme, pour ne pas se perdre et s’oublier soi-même à travers l’éternité? [corsivo nostro] Je n’y ai revu aucun de ces événements, qu’on appelle communément les événements graves de la vie; mais j’ai reconnu quelques minutes parfaitement douces, simples et innocentes qui se trouvaient surtout dans mon enfance. Voilà donc ce que je suis en réalité et tout ce qui m’accompagnera probablement de l’autre côté de la vie. Et il est remarquable que ces instants étaient très purs. Lorsque je parle ici de ces choses, à une grande distance de la dernière heure, il me semble que mes moments les plus heureux ont été des moments plus violents et plus coupables. Ils ne revenaient point à l’instant du choix décisif et il faut qu’ils ne m’appartiennent pas autant que les autres. Je n’oserais jamais vous dire ce qu’étaient les autres. Ils sont faits de joies si petites, si puériles et si paisibles qu’on ne peut en parler qu’en soi-même. Et cependant, j’en suis sûr maintenant, puisqu’elle a tendu, deux fois déjà les mains vers ces mêmes moments, voilà ce que mon âme va emporter comme le collier qu’on met au cou d’une princesse abandonnée, afin de la retrouver quelque jour. Il est donc vrai que notre enfance est l’âme de notre vie, et que ce “moi transcendantal” qu’ont recherché les philosophes ne doit pas se chercher autre part? Je crois que vous avez raison, reprit le peintre N…, mais il faut ajouter quelque chose. J’ai comme vous quelques minutes représentatives qui m’accompagneront dans le voyage dont on n’aime pas à parler, et comme il ne me sera plus donné d’en créer d’autres, ces minutes seront probablement tout ce qui me restera, pour jamais, de moi-même; car nous ne sommes que notre souvenir [c. n.]. Ces minutes sont peut-être notre récompense; et là aussi il y aura des pauvres et des riches. Quant à moi, je sais aussi ce que j’emporterai; et c’est un secret que je ne veux pas dire, car l’âme humaine me semble pleine de justice et de pudeur. Vous disiez encore que ces instants étaient toujours heureux, et je reconnais que c’est vrai. Nous sommes si bien faits pour le bonheur que ce n’est qu’en lui que nous nous retrouvons nous-mêmes; et il semble qu’il soit la substance de notre être. Mais avez-vous remarqué que nous sommes avertis lorsque nous traversons une de ces minutes éternelles? On les reconnaît à quelque chose d’ineffable. Nous les voyons déjà dans l’avenir et une force invincible nous oblige à ne rien perdre d’un moment qui aura sans doute de grandes conséquences. [corsivo nostro] C’est ce que j’ai très clairement éprouvé la première fois que j’ai vu cette maison telle que je l’ai peinte ici.»82

Il ricordo si caratterizza come una differenza interna dell’anima, secondo una linea di riflessione leibniziana poi ripresa da Bergson (‘souvenir pur’): «Il 82. M. Maeterlinck, L’Anneau de Polycrate, in Introduction à une psychologie des songes (1886-1896), textes réunis et commentés par S. Gross, Bruxelles, Éditions Labor, 1985, p. 38.

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faut même, que chaque Monade soit différente de chaque autre. Car il n’y a jamais dans la nature, deux Êtres, qui soient parfaitement l’un comme l’autre et où il ne soit possible de trouver une différence interne, ou fondée sur une dénomination intrinsèque».83 Il ricordo è l’ornamento (la collana) dell’anima. I gioielli rappresentano secondo Jung le potenze dell’anima, le ricchezze sconosciute dell’inconscio.84 Il tema del gioiello perduto e ritrovato è presente sullo sfondo del racconto di Maeterlinck. Esso trae il suo titolo dalla leggenda di Policrate, tiranno di Samo: un alleato di Policrate, il faraone Amaris, chiese a Policrate, allora al culmine della potenza, di disfarsi di qualcosa di molto prezioso per scongiurare la sventura e l’invidia degli dei in un gesto dal simbolismo apotropaico. Policrate allora gettò in mare un anello prezioso ma alcuni pescatori presero un pesce che conteneva nella pancia l’anello e ne fecero dono al tiranno, che si vide così il dono rifiutato dagli dei. Amaris allora comprese che quello era un segno di sventura e ruppe l’alleanza con Policrate. Poco dopo i suoi presentimenti si avverarono. Nel 522 a.C. il satrapo Orete attirò Policrate in un’imboscata e lo fece giustiziare. Da allora per oltre un secolo, i tiranni persiani ebbero il controllo di Samo. Nel racconto di Maeterlinck, i due osti ritrovano la figlia che avevano perduto. Questo ritrovamento segna il culmine di una felicità che appariva già perfetta, malgrado che da molti anni su di loro incombesse il sospetto – la quasi certezza – di avere ucciso il primo marito della donna e i suoi due figli di primo letto. Il ritrovamento è allora interpretato come un segno di sventura e di vendetta divina imminente dagli ospiti, che fuggono precipitosamente. Legato al tema dell’anello compare il tema dell’insularità: come la vicenda di Policrate, anche la vicenda dei due osti si svolge su un’isola, costantemente minacciata – siamo in Olanda – dal livello del mare che è più alto di quello della terraferma: «Nous nous trouvons ici plus bas que le lit même de la mer, et si la digue venait à se rompre, les eaux monteraient probablement jusqu’aux dernières tuiles de ce toit qui nous couvre».85 Si può parlare allora di un’isola effimera, come quelle che sorgono negli arcipelaghi del Pacifico, in seguito alle eruzioni vulcaniche sottomarine, con la differenza che qui la terraferma è strappata al 83. G. W. Leibniz, La Monadologie, cit., § 6, p. 145. 84. J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dictionnaire des symboles, Paris, Laffont-Jupiter, 1969, trad. it. di M.G. Margheri Pieroni, L. Mori e R. Vigevani, Milano, Rizzoli, 1986, 2 voll., vol. I, p. 515. Cfr. C.G. Jung, Psychologie und Alchemie, Olten, Walter-Verlag, 1944, trad. it. di R. Balzen, interamente riveduta da L. Baruffi, in Id., Opere, ed. diretta da L. Aurigemma, Torino, Bollati Boringhieri, vol. 13, Psicologia e alchimia, 1992, in particolare il paragrafo 6 del IV capitolo della parte terza, dal titolo: Il tesoro nascosto, pp. 328-332; Id., Symbole der Wandlung. Analyse des Vorspiels zu einer Schizophrenie, Zurigo, Rascher Verlag, 19524 [1911-1912], trad. it. di R. Raho, in Id., Opere, ed. diretta da L. Aurigemma, Torino, Bollati Boringhieri, vol. 5, Simboli della trasformazione. Analisi dei prodromi di un caso di schizofrenia, 1970, p. 335 e sgg, laddove Jung mette in risalto la connessione fra il tema dello smarrimento e del ritrovamento dell’oggetto e l’ingoiamento (simbolismo acquatico del pesce). 85. M. Maeterlinck, L’Anneau de Polycrate, cit., p. 39.

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mare dall’ingegno e dalla fatica umani, e appare come qualcosa di artificiale e di costruito, come la felicità della casa zelandese. L’isola effimera ricompare in un passaggio del saggio La Mort (1913) per definire l’io, o meglio ancora quello che Maeterlinck mostra di considerare il suo centro nevralgico, la memoria, legata inestricabilmente al corpo: «Au surplus, alors même qu’elle [la nostra coscienza] oublierait toutes ses existences antérieures, qu’y deviendrait-elle parmi les assauts, l’afflux et les apports sans fin de son éternité posthume; îlot minuscule et friable que rongeraient sans trêve deux océans illimités?»86 La stessa immagine dell’isola effimera per definire l’io costantemente minacciato di sparizione – nel contesto della dottrina empiristica degli io multipli e successivi – la ritroviamo in Jean Santeuil: «Car les époques de notre cœur sont comme des îles qui s’engloutiraient dans l’océan au moment où le voyageur les quitte et dont, quelque tendre souvenir qui l’y ramène, il ne pourra plus retrouver la trace».87 Marco Piazza ha messo in risalto che la pubblicazione del saggio La Mort costituisce il punto d’arrivo e in un certo qual modo il nodo nevralgico del rapporto Proust-Maeterlinck.88 Come si evince dalla corrispondenza, Proust si distan86. M. Maeterlinck, La Mort, Paris, Charpentier, 1928 (19131), p. 65 (corsivo nostro). 87. M. Proust, Jean Santeuil, Paris, Gallimard, 2001, p. 801. Cfr., per l’immagine dell’isola effimera, M. Maeterlinck, Introduction à une psychologie…, cit., p. 90 : «une parole n’est jamais que le sommet d’une immense montagne qui émerge un instant, comme un îlot éphémère de l’océan silencieux de notre identité». L’immagine è ricorrente in Maeterlinck : «Nous sommes menés ainsi par le passé et l’avenir. Et le présent qui est notre substance tombe au fond de la mer comme une petite île que rongent sans répit deux océans irréconciliables » (Id., Le Trésor des Humbles, Paris, Mercure de France, 1912, p. 201). Sulla multiplicité du moi cfr. l’articolo di M. Piazza, Proust e la molteplicità dell’io, «Intersezioni», XVI, dicembre 1996, pp. 531-540. Per il modello superficialeprofondo e per la sua doppia declinazione, acquatica e geologica, cfr. anche Id., Passione e conoscenza in Proust, prefazione di R. Bodei, Milano, Guerini e Associati, 1998, pp. 109-124. Il tema dell’isola effimera è al centro della riflessione di Gilles Deleuze in un suo inedito giovanile di recente pubblicazione: G. Deleuze, L’île déserte et autres textes, Paris, Minuit, 2002. Sull’io diviso cfr. E. Bizub, Proust divisé, Genève, Droz, 2006. 88. Cfr. le pagine dedicate a Maeterlinck in M. Piazza, Passione e conoscenza in Proust, cit., pp. 61-63 e 144148. Anne Simon mette in risalto che la divergenza di opinioni che si registra al momento dell’apparizione del saggio La Mort non può essere considerata il punto terminale del rapporto. Proust continua a difendere Maeterlinck e a palesare la sua stima di lui nella corrispondenza anche dopo il 1911: «Mais si Proust semble alors prendre ses distances, il n’en reste pas moins que dans les années qui suivent, il défend systématiquement, chaque fois qu’il le sent attaqué, celui qui en 1911 est devenu prix Nobel de la littérature» (A. Simon, Proust lecteur de Maeterlinck. Affinités sélectives, in Marcel Proust 4. Proust au tournant des siècles, textes réunis par B. Brun et J. Hassine, «La Revue des Lettres Modernes», Paris-Caen, Minard, 2004, pp. 145-159, in part. p. 146). Ciò è messo in risalto anche dai lavori di Carlo Bronne, che mostrano un Proust accanito difensore di Maeterlinck anche in testi posteriori al 1911 (cfr. C. Bronne, Proust et Maeterlinck, «Bulletin Marcel Proust», 22, 1972, pp. 1309-1315; Id., Proust et Maeterlinck: un pastiche inédit, «Bulletin de l’Académie Royale de Langue et Littérature Françaises», 45, 1967, pp. 182-196). Alle assonanze fra la concezione proustiana dell’io e il testo de La Mort è dedicata una parte considerevole dell’importante saggio di L. Hodson, The Presence of Maeterlinck in Proust’s Style and Thought, «Essays in French Literature», University of Western Australia, n. 21, November 1984, pp. 38-61. Per un’ulteriore disamina del disaccordo che interviene al momento della pubblicazione del saggio La Mort e per l’attitudine ammirativa di Proust che continuò anche dopo quest’episodio cfr.

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zia da Maeterlinck proprio in occasione di questo saggio che espone una concezione della morte antitetica alla sua. Tuttavia, in questo testo Maeterlinck enuclea quattro concetti che sono assolutamente affini a quelli proustiani, e cioè: che il centro dell’io è costituito dalla memoria;89 che la memoria è legata indissolubilmente al corpo;90 che l’io è multiplo; che le funzioni dell’io sono intermittenti. La contrapposizione consiste allora nell’atteggiamento fondamentale di Maeterlinck, che contesta la pretesa – preservata dalle grandi religioni – di conservare l’io nell’isolamento di un’anima caratterizzata in modo esclusivo da certi ricordi per tutta l’eternità. Qual è – si domanda Maeterlinck – il prezzo della conservazione assoluta dei ricordi? L’isola effimera potrebbe conservarsi solo a prezzo del mantenimento della sua individualità contro l’acquisizione di una ‘coscienza universale’ o ‘coscienza modificata’ (ipotesi teosofica o neospiritica che a Maeterlinck appare preferibile): Elle ne s’y maintiendrait, chétive et si précaire, qu’à la condition de ne plus rien acquérir, de demeurer à jamais close, isolée et bornée, impénétrable et insensible à tout, au milieu des mystères inouïs, des trésors et des spectacles fabuleux qu’il lui faudrait éternellement parcourir sans plus rien voir ni entendre; et ce serait bien la pire mort et le pire destin qui pussent nous atteindre.91

Gli interpreti proustiani hanno rilevato l’antichità del tema delle «intermittences du coeur» in rapporto alla dottrina della memoria involontaria di Temps retrouvé. Questo tema costituiva la strutturazione più antica della formula romanzesca, se è vero che nel 1913 Proust pensava di dare il titolo Les Intermittences du cœur all’intera opera che aveva progettato – e abbiamo visto come esso trovi anche L. Lesage, Marcel Proust and His Literary Friends, Urbana, The University of Illinois Press, 1958, pp. 63-71. 89. M. Maeterlinck, La Mort, cit., pp. 40-41 : «Ce moi, tel que nous le concevons quand nous songeons aux suites de sa destruction, n’est donc ni notre esprit ni notre corps, puisque nous reconnaissons qu’ils sont l’un et l’autre des flots qui s’écoulent et se renouvellent sans cesse. Est-ce un point immuable qui ne saurait être la forme ni la substance, toujours en évolution, ni la vie, cause ou effet de la forme et de la substance? En vérité, il nous est impossible de le saisir ou de le définir, de dire où il réside. Lorsqu’on veut remonter jusqu’à sa dernière source, on ne trouve guère qu’une suite de souvenirs, une série d’idées d’ailleurs confuses et variables, se rattachant au même instinct de vivre; un ensemble d’habitudes de notre sensibilité et de réactions conscientes ou inconscientes contre les phénomènes environnants. En somme, le point le plus fixe de cette nébuleuse est notre mémoire, qui semble d’autre part une faculté assez extérieure, assez accessoire, en tout cas, une des plus fragiles de notre cerveau, une de celles qui disparaissent le plus promptement au moindre trouble de notre santé» (corsivi nostri). 90. Ivi, p. 40 (cfr. anche nota precedente) : «Notre corps aurait-il conscience de lui-même sans notre pensée, et d’autre part, notre pensée sans notre corps, que serait-elle? Nous connaissons des corps sans pensée, mais non point de pensée sans corps. Une intelligence qui n’aurait aucun sens, aucun organe pour la créer et l’alimenter, il est à peu près certain qu’elle existe; mais il est impossible d’imaginer que la nôtre puisse exister ainsi tout en demeurant pareille à celle qui tirait de notre sensibilité tout ce qui l’animait». 91. Ivi, p. 65.

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una sua applicazione in sede critica, come capacità di riflessione fenomenologica in grado di estrarre un’essenza ideale da due serie differenti. Maeterlinck ricorre alla stessa nozione nel testo di La Mort: Ce point sensible où se résume tout le problème, car il est le seul en question; et à la réserve de ce qui le concerne, l’immortalité est certaine, ce point mystérieux, auquel, en présence de la mort, nous attachons un tel prix, il est assez étrange que nous le perdions à tout moment dans la vie, sans éprouver la moindre inquiétude. Non seulement chaque nuit il s’anéantit dans notre sommeil, mais même à l’état de veille, il est à la merci d’une foule d’accidents. Une blessure, un choc, une indisposition, quelques verres d’alcool, un peu d’opium, un peu de fumée suffit à l’altérer. Même quand rien ne le trouble, il n’est pas constamment sensible. Il faut souvent un effort, un retour sur nous-mêmes pour le ressaisir, pour prendre conscience que tel ou tel événement nous advient. À la moindre distraction, un bonheur passe à côté de nous sans nous toucher, sans nous livrer le plaisir qu’il renferme. On dirait que les fonctions de cet organe par quoi nous goûtons la vie et la rapportons à nous-mêmes, sont intermittentes, et que la présence de notre moi, excepté dans la douleur, n’est qu’une suite rapide et perpétuelle de départs et de retours.92

Quello che forse non è stato detto a sufficienza è che l’intermittenza proustiana è diversa da quella maeterlinckiana. Maeterlinck parla di una facoltà rivolta prevalentemente al presente, che consente di assaporare la vita riferendola a noi stessi: essa è la facoltà che consente di estrarre la felicità dalle cose e dalle impressioni che ci toccano. La distinzione fra ricordi dolorosi e gioiosi è presente in entrambi gli autori, ma mentre in Proust – nel Proust della Recherche – è l’intermittenza che si fa carico del dolore, Maeterlinck dice in questo passaggio che l’io è intermittente eccetto che nel dolore.93 Se Proust utilizza una categoria di Maeterlinck, lo fa dunque rovesciandone completamente il senso. Questa inversione spiega come il punto di massima concordanza fra i due autori – in apparenza – segni anche il loro divorzio. Ciò significa oltretutto che secondo Maeterlinck l’io mantiene una costante percezione del dolore mentre la gioia è fatta di alternanze e di ritorni. Per Proust invece, un illusorio benessere dato dal potere anestetizzante dell’abitudine maschera le capacità dell’io di percepire il dolore. Occorre spiegare questa discrepanza di concezioni. Le prove narrative di Maeterlinck – Le Massacre des Innocents (1886), Sous Verre (1886),94 Les Visions typhoïdes 92. Ivi, p. 55 (corsivo nostro). 93. Sul dolore nella mémoire cfr. la bibliografia raccolta nell’articolo di G. Girimonti Greco, La Nonnaétrangère: (per)turbamenti ottici ed epistemo-affettivi in Proust, in Dove non c’è nome. Nuovi contributi sul perturbante, a cura di G. Rimondi e A. Buttarelli, Mantova, Edizioni Scuola di cultura contemporanea, 2007, pp. 109-128, e il fondamentale intervento di F. Orlando, «Savoir» contre «Voir». Métamorphose et métaphore, in Proust et la philosophie aujourd’hui, cit., pp. 19-31. 94. Tutte le novelle citate sono raccolte nel libro miscellaneo dal titolo Introduction à une psychologie des songes (1886-1896), con la sola eccezione di Sous verre, un inedito ritrovato e pubblicato da Fabrice

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(1887), Onirologie95 (1889), L’Anneau de Polycrate (1893) – si collocano tutte in una fase di sperimentazione giovanile e l’ultimo racconto segna anche il congedo dalla scrittura narrativa. In esso si fanno palesi alcuni caratteri generali che segnano tutti questi racconti, in primo luogo l’interesse per quegli stati in cui si manifestano delle incrinature nello scorrere del tempo. Anche nel passaggio citato possiamo distinguere due modi attraverso i quali si raggiunge la coscienza degli istanti privilegiati o ‘rappresentativi’ destinati a contrassegnare l’anima eventualmente dopo la morte, come sigillo (marque) apposto sulla sua identità. Queste forme sono: a) l’avvicinamento alla morte, specialmente per annegamento (il tema della visione panoramica dei morenti trattato anche da Bergson); b) l’anticipazione, che si manifesta come capacità di interpretare il passato e l’avvenire di un essere quando lo si è scorto per la prima volta. A queste due modalità ne vanno aggiunte altre due: c) l’estasi d) il sogno. Una fitta rete di relazioni unisce queste quattro forme, poiché l’estasi è irrazionale come il sogno e soprattutto costituisce il compimento della morte, si configura quindi attraverso le stesse immagini che portano alla vicinanza alla morte e anzi la completano (Les Visions typhoïdes); lo sprofondamento nel sonno è assimilato a uno sprofondamento nella morte e ripresenta la stessa immagine dello specchio (Onirologie); le immagini di annegamento sono racchiuse all’interno di un sogno (Onirologie); le impressioni che si provano alla vigilia di un incontro con gli esseri e le cose sono paragonate, per la loro labilità, alle immagini oniriche (L’Anneau de Polycrate). Se si considerano l’estasi mistica e la vicinanza alla morte come due aspetti dello stesso fenomeno, che si possono ridurre ad unità, si scopre che un filo collega sogno, annegamento o coscienza della morte e coscienza della prima volta che si colgono gli esseri e le cose. Il sogno è uno stato intermedio tra la veglia e il sonno, che caratterizza i momenti in cui verità affioranti dall’inconscio permettono di avere una percezione delle cose in qualche modo sottratta all’ordine temporale e capace di addentrarsi nelle latèbre del passato e dell’avvenire.96 La stessa cosa accade rispettivamente quando si ha coscienza della prima volta che s’incontra un essere o quando si acquista la coscienza della morte: l’entrare in un nuovo ordine di cose e di eventi costituisce un momento privilegiaVan De Kerckhove nella sua edizione critica dei carnets de travail di Maeterlinck: M. Maeterlinck, Carnets de travail (1881-1890), édition établie et annotée par F. Van De Kerckhove, Archives et Musée de la Littérature, Bruxelles, Éditions Labor, 2 voll. La trascrizione diplomatica del testo della novella occupa le pp. 609-672 del primo volume. 95. Una bibliografia su questo racconto è reperibile sul sito: http://reves.ca/songes.php?fiche=1635, consultato il 25 marzo 2013. 96. Sul tema del sogno in Proust cfr. B. Brun, Le dormeur éveillé. Genèse d’un roman de la mémoire, «Cahiers Marcel Proust. Études proustiennes», n. 11, 1982, pp. 241-315; Id., Le Fauteuil magique, «Marcel Proust aujourd’hui», n. 2, Mille et une nuits dans la Recherche, Revue annuelle bilingue de la Société Néerlandaise Marcel Proust, 2004, pp. 11-28, consultato sul sito dell’ITEM al link : http://www.item.ens.fr./index.php?id=76035 il 3 aprile 2013.

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to, poiché oltre che primo è anche ultimo, rispetto alla serie di eventi che verranno in seguito e che modificheranno la percezione che si ha del presente; per cui lo sguardo che si apre per la prima volta è uno sguardo anticipatamente retrospettivo, e quindi in qualche modo sottratto all’ordine temporale. Quest’aspetto è particolarmente importante, in quanto corrisponde esattamente al significato di ‘iniziazione’ secondo Merleau-Ponty. Il momento della prima volta che si scorge una persona coincide col momento della rivelazione del suo essere nel passato e nel futuro, e questa rivelazione è accostata tanto allo sguardo infantile (e divino) quanto alle impressioni che si provano nei sogni: Monsieur, dit-il en se tournant vers moi, monsieur qui n’a fait que les entrevoir [si riferisce ai due osti proprietari della locanda], doit se trouver encore sous le coup de la première impression, laquelle est toujours infaillible, car c’est le moment où l’âme qui habite en nous sort de sa retraite pour saluer une autre âme et la juger. Une fois ce moment passé, elle sait tout ce qu’il faut savoir et ne se dérangera plus. Et c’est pourquoi l’on peut dire que nous ne connaissons vraiment un homme que la première fois que nous le voyons. Nous l’oublions ensuite. Il faut donc se hâter de fixer cette impression à l’aide de quelques paroles, sinon elle s’efface aussi vite que le souvenir des songes, au règne desquels elle appartient peut-être. Eh bien, monsieur, je vous saurais gré de nous dire ce que vous avez éprouvé en pénétrant ici, car moi aussi je suis fort curieux des manifestations de cette partie de notre être, qu’un philosophe américain appelle, assez exactement, je crois, the over-soul. – Monsieur, lui répondis-je, vous me demandez là une chose qui n’est pas sans quelque péril. Il est vrai que la première fois que nous approchons un homme, nous le voyons assez clairement dans le passé et l’avenir et que nous le jugeons aussi parfaitement et d’aussi haut que si nous étions le Dieu qui l’eût créé. Nous vivons ainsi au milieu de certitudes et d’infaillibilités dont nous ne savons pas tirer parti. Mais ces choses s’effacent dès qu’on y réfléchit. Nous sommes, comme des lanternes sourdes, pleins de grandes clartés intérieures, mais qu’il est impossible d’ouvrir.97 97. M. Maeterlinck, L’Anneau de Polycrate, cit., p. 39 (corsivo nostro). Marco Piazza sottolinea l’importanza che ha la "prima impressione" di una persona incontrata nella genesi di quel complesso meccanismo conoscitivo che è la passione proustiana. Se quest’ultima è contraddistinta dal tentativo di superare una distanza, quella che separa il soggetto dall’oggetto amato, posta d’emblée come insuperabile, e pertanto destinata a ingenerare il movimento di riflusso della déception, tuttavia alcuni passaggi proustiani riaffermano il valore conoscitivo della prima impressione, mostrando che essa, sia pure retrospettivamente, viene ritrovata dall’amante-geloso al termine del suo procedimento di decifrazione indiziaria. Anche per Proust, come per Maeterlinck, il primo incontro fortuito costituisce l’ancoraggio con l’autenticità dell’impressione che consente di avvicinarne l’oggetto dal giusto punto di vista (M. Piazza, Passione e conoscenza in Proust, cit., pp. 306-307). La differenza fra Proust e Maeterlinck non starebbe quindi in un modello relativistico di pensiero contrapposto a un modello dogmatico di stampo spiritualista e idealista, contrapposizione insostenibile dato che, secondo lo stesso Piazza, il prospettivismo proustiano non deve essere inteso come termine oppositivo a una ricerca della verità in senso forte (Cfr. Id., Proust, la verità e il nichilismo, in Journées Proust…, cit., pp. 45-68). La differenza starebbe nel carattere retrospettivo che assume in Proust la prima impressione, recuperata dopo un paziente e talvolta vano lavoro di disincrostazione dalle menzogne e di demitizzazione dell’oggetto d’amore, laddove in Maeterlinck è oggetto di anticipazione, quindi si porge come immediata, anche se soggetta al rischio dell’indecifrabilità.

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Un’ultima caratterizzazione riguarda il fatto che il Dio che si manifesta nello sguardo della “prima volta” non parla il linguaggio umano, e che quindi bisogna cercare di tradurlo. Affiora il tema della traduzione, che ricomparirà anche in seguito.98 È degno di nota anche il fatto che la traduzione del linguaggio sovrumano del divino che scorge il passato e l’avvenire sia resa attraverso un’analogia, e che questa analogia corrisponda ad un componimento poetico. In tutte le prove narrative di Maeterlinck un ruolo primario è rivestito dallo sguardo: che si addentra in uno specchio o nell’acqua all’approssimarsi della morte e del sonno, mentre molto rilievo si dà all’incrociarsi di sguardi che si verifica per la prima volta fra due persone: Ce que je voudrais saisir, c’est le petit moment où le Dieu qui réside en moi, comme il réside en vous, a jugé ces deux êtres. Tant qu’ils furent endormis, il n’a rien aperçu. Mais dès qu’ils eurent ouvert les yeux, et dans le peu de temps qu’il faut pour qu’une paupière se lève et s’abaisse, il a rencontré leur âme, lui a fait signe, l’a possédée et sait à quoi s’en tenir. Voilà encore deux âmes qui ne m’abandonneront plus dans ce monde ni dans l’autre.99

La prima volta contrassegna l’apertura di una dimensione che non potrà più essere richiusa. A differenza di quanto accade in Proust, questo momento topico dell’‘iniziazione’ non passa attraverso un’idea sensibile. Esso passa attraverso un “segno” che traduce una conoscenza metafisica: la conoscenza avviene direttamente da anima ad anima attraverso l’apertura dello sguardo. Essa può essere resa solo analogicamente, attraverso il lavoro del sogno e dell’immaginazione, ma a differenza di quanto accade per le idee sensibili proustiane, essa si configura indipendente dalle sue presentazioni materiali e immaginative, che possono fornire solo degli equivalenti imperfetti. Ciò appare confermato dalle prime righe di un saggio di Maeterlinck dal titolo significativo: Le Réveil de l’âme, raccolto nel volume del 1896 Le Trésor des Humbles: «Un temps viendra peutêtre, et bien des choses annoncent qu’il n’est pas loin, un temps viendra peutêtre où nos âmes s’apercevront sans l’intermédiaire de nos sens».100 Pertanto, attraverso la ripresa del tema romantico dello sguardo, traluce una pretesa d’immediatezza ontologica e metafisica (che sarà tardivamente riformulata da Heidegger). L’idea è incommensurabile al suo velo, anche se qui sulla terra co98. Ivi, p. 40 (corsivo nostro): « Car le visage que nous voyons pour la première fois, nous le voyons, un moment, avec les yeux infaillibles de l’enfant. Il est étrange que nous vivions et que nous agissions ainsi, exclusivement, selon les lois d’une vie supérieure dont nous ne parvenons pas à parler. Mais voilà que je bavarde inutilement, au lieu d’aller au fait. Vous allez voir que le Dieu qui réside en vous, comme vous dites, ne vous a pas trompés, qu’il a bien jugé, et doit avoir vu ces deux êtres dans le passé et dans l’avenir, quoiqu’il n’ait pu vous dire tout ce qu’il sait, car il ne parle pas la même langue que nous». 99. Ibid. (corsivo nostro). 100. M. Maeterlinck, Le Trésor des Humbles, Paris, Mercure de France, 1912, p. 29.

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nosciamo solo le sue traduzioni diverse; il richiamo a questa immediatezza con cui nello sguardo si dà un segno da dio a dio – un Dio che comunica con se stesso, da non confondere con la Parola che Dio rivolge all’uomo, quindi in prospettiva neoplatonica – allude alla dimensione primaria di un linguaggio divino. L’originale è dato, anche se noi conosciamo solo le sue deformazioni. Se, giusta la tesi di Carbone, l’estetica novecentesca inaugurata da Proust muove sulle infinite ‘deformazioni’ dell’idea sensibile,101 in Maeterlinck si abbozza un’altra estetica, che vede nell’iniziazione non o non solo un ‘chiasmo’ fra presente e passato, bensì un inizio puntiforme suscettibile di infinito allargamento nella prospettiva di uno sguardo non-umano o più-che-umano (come testimonieranno più tardi le opere dedicate agli insetti e ai fiori). Questa linea si colloca, platonicamente, nella direzione indicata da Paul Klee come Gestaltung, ‘formazione’, che si muove sulla via infinita dell’incompiutezza. L’anticipazione a questo punto può esserlo solo della morte. Entrambe le estetiche trovano in Leibniz la loro matrice e autorizzazione. Se Proust riprende e sviluppa le parti estetiche con particolare riguardo al tema della persistenza del corpo della monade, Maeterlinck sviluppa la linea scientifica della prevedibilità del tempo. In questo, sono flagranti alcuni punti di contatto con Husserl (regresso infinito, coscienza divina come termine del regresso che autorizza il tempo oggettivo, coscienza profetica). L’ultimo elemento da considerare è che tutte queste novelle – con la sola eccezione di Les Visions typhoïdes – contengono riferimenti a un’opera d’arte che fissa e immobilizza una visione: Le Massacre des Innocents è un’ekphrasis ovvero la descrizione letteraria di un quadro di Pieter Brueghel; Sous Verre contiene riferimenti a delle vetrate istoriate che ornano le pareti a cupola della serra in cui si colloca il racconto; Onirologie e L’Anneau de Polycrate si chiudono e aprono rispettivamente con riferimento a dei quadri in cui sembra condensarsi il senso simbolico del racconto. In particolare in Onirologie ci è parso che si condensino le tre sintesi del tempo di Deleuze, ovvero le tre modalità in cui il tempo si struttura nella ripetizione.102 La stessa analisi si può fare per L’Anneau de Polycrate, in quanto già nel passaggio citato si può scoprire questa triangolazione: vicinanza 101. Un concetto, questo, anticipato da Schopenhauer, che è una fonte filosofica importante tanto per Proust quanto per Maeterlinck. Schopenhauer conia la metafora musicale delle variazioni in assenza del tema originale, per esprimere la molteplicità delle incarnazioni sensibili delle Idee nelle diverse forme del mondo minerale, animale e vegetale. Cfr. A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, Lipsia, Brockhaus, 18593, trad. it. di N. Palanga, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di G. Riconda, Milano, Mursia, 1969, l. II, § 17, p. 134: «[la scienza della natura] ci dimostra la presenza di un principio di analogia dalle infinite sfumature, che scorre attraverso il tutto e le parti; di una unité de plan, in virtù della quale tutte quelle forme sembrano tante e diverse variazioni di un tema unico non espresso» (c.n.). Su questo tema cfr. il contributo di M. Carbone, Amour et musique: thème et variations, in Proust et la philosophie aujourd’hui, cit., pp. 145-164. 102. Cfr. il secondo capitolo di G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit.

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alla morte – anticipazione – opera d’arte che traduce la visione. È possibile accostare questa triangolazione alle tre sintesi del tempo enucleate da Deleuze, considerate anche come le tre parti di un’azione drammatica: il primo tempo (Habitus) coincide con l’anticipazione: l’azione è troppo grande per me; il secondo tempo (Eros o Mnemosyne) coincide con l’opera d’arte: l’azione è pari a me; il terzo tempo (Thanatos) coincide con la vicinanza alla morte. Prima di richiamarci a Deleuze però occorre riflettere alla definizione che abbiamo dato della ‘reminiscenza anticipata’. Essa è l’istante che si dialettizza in passato-futuro. Nel racconto considerato, il passato e il futuro della coppia di osti sono caratterizzati dalla determinazione causale del destino sulla linea retta colpa (passato) – punizione (futuro). Ciò che si sottrae a questa determinazione temporale e razionale è il presente dell’immagine, la cesura che separa il passato dal futuro, l’elemento eterno che ha le caratteristiche della presenzialità. L’eternità è l’istante considerato nella sua separazione assoluta e nel suo carattere di presenzialità messo in rilievo da Bachelard.103 È questo presente in qualche modo ‘eterno’ che i quadri del pittore N. vorrebbero fissare. Verrebbe da dire che il presente è la felicità dell’immagine – bachelardianamente, che esso è l’‘isola effimera’ nel breve tempo della sua apparizione fra i due oceani del prima e del poi, che essa può costituirsi solo come cesura e differenza, che le sue apparizioni sono intermittenti come lo era la felicità di Sisifo secondo Camus: nel tempo che il masso rotolava, pausa di sospensione alla ripresa della fatica. Questa felicità non è una semplice illusione, un accidente momentaneo sulla linea irreversibile del tempo. Essa è presentata come un dato, una realtà tangibile prima di ogni altra e dimostrativamente illustrata in apertura di racconto. Essa è reale, anche se apparentemente contraddice la linea di svolgimento temporale data dal tempo dell’anticipazione. Va da sé che essa è afferrabile solo come limite, in un presente = 0, che tende all’autoannullamento, e che quindi può essere solo pre-sentita nel sogno, nella vertigine, nell’estasi, nella vicinanza alla morte. Questi non sono stati, ma movimenti del dileguare. Movimenti della Differen103. L’importanza del presente come tempo dominante la coscienza della modernità è sottolineata da Hegel. Cfr. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie (1816-1830), [1816], Teil 4. Philosophie des Mittelalters und der neueren Zeit, in Id., Gesammelte Werke, Bd. 7/4, hrsg. von P. Garniron und W. Jaeschne, Hamburg, Meiner, 1986, trad. it. di E. Codignola e G. Sanna, Lezioni sulla storia della filosofia. La filosofia moderna, Firenze, La Nuova Italia, 1945, rist., ivi, 1981, vol. III, p. 27: «Abbiamo già ricordato quanto importi il mirare al contenuto come contenuto della realtà del presente: il razionale, infatti, deve avere realtà oggettiva. La conciliazione dello spirito col mondo, la sublimazione della natura e d’ogni realtà, non dev’essere un al di là, un “allora”, ma deve compiersi adesso e qui. Questo momento dell’adesso e del qui è quello che in sostanza per tal via viene alla autocoscienza». Il pensiero di Bachelard resta fedele a questa linea di sviluppo di matrice hegeliana, come mostra, fra gli altri, Giuseppe Quarta nel suo saggio introduttivo a: G. Bachelard, La philosophie du non. Essai d’une philosophie du nouvel esprit scientifique, Paris, Presses Universitaires de France, 1940, trad. it. di G. Quarta, La filosofia del non. Saggio di una filosofia del nuovo spirito scientifico, Roma, Armando, 1998.

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za, secondo Deleuze. E tutti questi movimenti sono ampiamente tematizzati nelle opere narrative di Maeterlinck che abbiamo citato. Nel racconto considerato, il momento della cesura è rappresentato dall’istante in cui il pittore N. contempla la casa dei due osti. Questo istante è oggetto di un’anticipazione, poiché è allora che egli viene segretamente avvertito di star attraversando uno dei minuti della sua vita destinati a diventare oggetto di rammemorazione, quelli che più oltre sono definiti minuti ‘rappresentativi’. Nella descrizione del paesaggio zelandese risalta l’elemento della vicinanza alla morte e al sogno, perché dall’immagine contemplata traluce una «joie presque somnambulique»104: Il y avait, entre autres, un petit port, endormi, avec un pont-levis peint en bleu et des arbres attentifs et heureux, où l’on apercevait vraiment l’âme de cette joie presque somnambulique. Mais l’aspect de la maison où nous étions l’avait frappé plus que tout autre. Un jour, il avait passé sur la route, vers midi, et s’était subitement arrêté, comme quelqu’un qui a trouvé enfin ce qu’il cherchait. Il me montra l’étude qu’il avait faite. C’était bien la maison, telle que je l’avais vue moi aussi ce matin même. Et à la voir on apprenait à être heureux. Les regards de tous les passants devaient avoir écrit sur le seuil: «Je voudrais vivre et je voudrais mourir ici.» Et cependant c’était plus simple que le rire d’un enfant.105

Questo è il momento della cesura nel racconto. Nelle sue lezioni su Kant,106 Deleuze contrappone una concezione antica e ciclica del tempo a una moderna, i cui prodromi filosofici fa risalire a Kant, dove il tempo si è raddrizzato, come una molla compressa che sia stata fatta scattare, fino a raggiungere la linea retta. In questa nuova concezione del tempo l’elemento differenziale è costituito dal presente, intorno al quale si dispongono il passato e il futuro, come le due parti del verso intorno a una cesura. Chi ha dato dignità non solo filosofica ma anche poetologica a questa concezione del tempo è stato Hölderlin, nei suoi scritti sul tragico.107 Deleuze riassume la distinzione che Hölderlin stabilisce fra Eschilo e Sofocle: il tragico di Eschilo lo è del tempo ciclico, ricalcato sul tempo astronomico degli antichi.108 Qual è la novità di Sofocle? Edipo inaugura il tempo lineare, in cui non è l’uomo che si sottrae al limite, ma in cui è il limite che si sottrae all’uomo. Nella cesura, l’uomo deve divenire egli stesso passaggio al limite.109 104. M. Maeterlinck, L’Anneau de Polycrate, cit., p. 37. 105. Ibid. 106. G. Deleuze, Fuori dai cardini del tempo. Lezioni su Kant, a cura di S. Palazzo, Milano, Mimesis, 2003. 107. F. Hölderlin, Sul tragico, con un saggio introduttivo a cura di R. Bodei, trad. it. di G. Pasquinelli e R. Bodei, Milano, Feltrinelli, 1989. 108. G. Deleuze, Lezione del 21 marzo 1978, in Fuori dai cardini…, cit., p. 78. 109. Ivi, pp. 78-79: «In cosa Sofocle fonda ultimamente il tragico moderno? È il primo a raddrizzare il tempo. È il tempo di Edipo. Hölderlin afferma che, prima di Sofocle, nel tragico greco, è l’uomo che si sottrae

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La cesura così caratterizzata si colloca in un «presente puro».110 Essa coincide con il momento dell’anticipazione e della profezia, in quanto Hölderlin colloca la cesura nelle maggiori tragedie sofoclee, l’Edipo re e l’Antigone, all’altezza dei discorsi di Tiresia, il quale ha una funzione di psicopompo: «Egli interviene nel corso del destino come custode della potenza della natura che rapisce tragicamente l’uomo alla sua sfera vitale, al centro della sua vita interiore, per portarlo in un altro mondo, trascinandolo nella sfera eccentrica dei morti».111 Nel racconto di Maeterlinck, il custode delle potenze della natura è l’artista, il pittore N., che coglie nella casa degli osti l’aspetto di una felicità sonnambolica, innaturale. È il suo arrivo che fa precipitare gli eventi, fino alla fuga degli ospiti: tuttavia, il finale della novella è ambiguo, poiché pare preludere a una restaurazione del tempo ciclico, ma la punizione aspettata resta in sospeso. Maeterlinck non decide se prevarrà il principio di riparazione dell’ingiustizia e così il finale sprofonda in un’attesa indefinita della morte che può ben preludere alla terza sintesi deleuzeana. Resta un’indecidibilità fra ciclico e lineare; ma questa indecidibilità è in fondo già il superamento del ciclico, il passaggio al limite. Ciò è dimostrato anche dalla scelta narrativa di Maeterlinck: come mostra Deleuze, il tempo raddrizzato ha un carattere ‘favoloso’, cioè eminentemente narrativo. Questo presente puro della cesura coincide con il momento in cui nell’io si produce un’incrinatura: secondo Hölderlin, ha luogo in questo presente la doppia infedeltà dell’uomo verso Dio e di Dio verso l’uomo. Essi possono comunicare solo nella loro lontananza. Maj accoglie l’idea hölderliniana che il tragico moderno trovi le sue prime ‘tracce’ ideali in Sofocle, e collega la frattura che ha luogo nella cesura tragica con la frattura storica rappresentata dalla modernità, dove non è più ravvisabile un’alleanza fra il mondo divino e il mondo umano, fino a giungere all’orrore di voler cancellare persino le tracce materiali della presenza dei morti.112 Il paradosso di Maeterlinck è che, mentre egli coglie questa frattura, fa del ‘presente puro’ dell’immagine la sede della felicità umana, l’unica concessa. La felicità si manifesta come effetto della lontananza fra dei e uomini: al limite. Vedete che, nel limite-limitazione, l’uomo trasgredisce il limite e, ad un tempo, vi si sottrae; ma nel caso di Edipo non si può più dire che siamo nell’orizzonte di chi trasgredisce il limite, di chi si sottrae al limite. Nel caso di Edipo, è il limite che si sottrae. Dov’è il limite? Il limite diviene passaggio al limite. Splendida formula di Hölderlin: in Edipo l’inizio e la fine non rimano più. E la rima è precisamente l’arco con cui il tempo si curva, in modo tale che inizio e fine rimino tra loro: c’è stata riparazione dell’ingiustizia. In Edipo il tempo è divenuto una linea retta che è la linea stessa su cui va errando Edipo. La lunga erranza di Edipo. Non sarà più data riparazione se non nella forma radicale della morte. Edipo è in un perpetuo rinvio, percorre la propria linea retta del tempo. In altri termini, è attraversato da una linea retta che lo trascina. Verso dove? Verso niente. Heidegger potrà dire più tardi: verso la morte». 110. Ivi, p. 79. 111. F. Hölderlin, Sul tragico, cit., p. 96. 112. B. Maj, Idea del tragico e coscienza storica nelle “fratture” del Moderno, Macerata, Quodlibet, 2003.

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è l’esito di una radicale separazione fra universo umano e divino. Questa frattura fa dell’immagine percepita dalla coscienza nell’incrinatura fra tempo umano e tempo divino un simbolo in senso proprio (poiché l’immagine rappresenta il presente contemplato e che domina nel suo carattere intensivo la coscienza dell’artista, sede dell’incrinatura dell’io). La genesi di questa tendenza astrattiva al cuore della cesura113 in questione è ricostruita da Deleuze in riferimento a Kant. Anche qui si coglie il nesso tra cesura e anticipazione. Secondo Kant, tutto quanto possiamo sapere a priori sulla percezione è che l’oggetto della percezione non contiene solo una quantità estensiva, ma anche una quantità intensiva, cioè un grado.114 Questa rappresentazione puramente astratta dell’immagine ha un corrispettivo nella coscienza del pittore N., il quale cerca nel paesaggio che lo circonda l’espressione della felicità fiabesca, e quindi anticipa a se stesso la qualità della sensazione, si potrebbe dire l’intensità della sensazione che la casa degli osti, scoperta in un’ora canonica delle rivelazioni, ma anche delle sparizioni, la piena luce del mezzogiorno, gli farà provare. La descrizione della casa è caratterizzata dai colori, indicizzati secondo un grado d’intensità massima, e secondo termini di riferimento temporali, ma che paradossalmente, come dimostrava Deleuze, richiamano la forma vuota della coscienza in cui vengono percepiti: Une façade de briques, d’un rouge très doux, qui semblait peinte d’hier, et qui était couverte de beaux fruits mûrs et réguliers; des fenêtres blanches et des volets verts. Un petit jardin plein de marguerites et de plantes tranquilles. Une douzaine de ruches d’un bleu plus tendre que l’azur de juillet. La portes et les fenêtres fermées sur la chaleur de la campagne et de la route; et sur le seuil, deux paires de petits sabots, merveilleusement blancs, attendaient au soleil, comme dans un conte de fées, indices et témoins adorables de la sagesse, de la fraîcheur, de la quiétude et du silence intérieurs.115

113. Ricostruita da R. Barilli, Il posto del simbolismo nel lungo arco del postmoderno, in Miti e figure dell’immaginario simbolista. Arte, teatro, musica, danza, a cura di S. Sinisi, Genova, Costa & Nolan, 1992, pp. 5-18. in particolare con riferimento all’appiattimento delle superfici che ha luogo nelle opere dei Nabis e della scuola di PontAven. I Nabis furono scenografi per i primi drammi di Maeterlinck. 114. G. Deleuze, Lezione del 21 marzo 1978, cit., p. 83:« […] potete riscontrare in Kant [Deleuze si riferisce al capitolo della Critica della ragion pura intitolato Anticipazioni della percezione], al livello fisico dell’intensità, quel che Hölderlin teorizzava al livello dell’analisi della tragedia, cioè la linea retta del tempo, segnata da una cesura che corrisponde all’intuizione=0; ciò che Kant chiamerà l’intuizione formale vuota, a partire dalla quale si produrrà il reale che riempie spazio e tempo; è tale intuizione=0 quella intuizione vuota che forma la cesura. È in funzione di questa cesura, di questo grado zero implicato da ogni quantità intensiva, che si pone naturalmente la correlazione con il tempo come forma vuota, come linea pura. Sul tempo come linea pura si segna dunque la cesura del grado zero, cesura che fa sì che prima e dopo non rimino più insieme. Ancora una volta, la questione non è: ci sono un tempo e uno spazio vuoti? La questione è che si dà una coscienza vuota del tempo, e in virtù della natura del tempo stesso. In altri termini, Dio è divenuto tempo, nello stesso tempo in cui l’uomo diventava cesura». 115. M. Maeterlinck, L’Anneau de Polycrate, cit., p. 37 (corsivi nostri).

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Secondo Deleuze, la cesura è simbolo adeguato alla totalità del tempo. Nella concezione di Deleuze, la ripetizione non è ciclica, ma costituisce un circolo perennemente decentrato, e l’eterno ritorno non si dà mai dell’Identico o dello Stesso, ma solo del Differente. La cesura è l’introduzione di questa Differenza nel cuore del tempo e della coscienza, che produce una spaccatura nell’io (Io è un Altro), la quale può essere resa solo analogicamente, nel lavoro del sogno e dell’immaginazione. Il presente puro è il virtuale non realizzato, il puro sogno che eccede la realtà, ma che non è completamente destituito di realtà, perché bergsonianamente tutti i tempi si co-originano partendo da un passato che non fu mai presente, un passato puro che costituisce l’oggetto della risorgenza onirica del bergsoniano ‘ricordo puro’, il quale non coglie mai altro che differenze (quella che Deleuze chiama la seconda sintesi del tempo, posta sotto il segno di Eros e Mnemosyne). E infatti il presente dell’immagine di Maeterlinck contiene un rimando ad un elemento di un passato immemoriale: «Ce n’était pas un bonheur ordinaire. Il était profond, stable et résigné comme une pensée de MarcAurèle».116 Questo significa che l’attuale e il virtuale e tutti i tempi coesistono, ed anche tutti i destini, poiché il presente ricondotto a zero non è un semplice contenitore metafisico dei tempi, bensì una virtualità pura che non cessa mai di avvenire, una riserva infinita di possibili che producono continuamente il nuovo a partire dalla dissoluzione. E ciò significa in ultimo luogo la possibilità di conciliare la felicità dell’immagine con il dolore che la precede e che la segue, poiché, come osserva Sandro Palazzo, «il paradosso del ritorno è che solo l’irreversibile ritorna e che il ritorno rende possibile l’irreversibile: il novum a partire da una cesura come katastrophé».117 116. Ibid. 117. S. Palazzo, La catastrofe di Kronos, in G. Deleuze, Fuori dai cardini del tempo…, cit., p. 41. Cfr. anche G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 138: «Vi è dunque un elemento sostanziale del tempo (un passato che non fu mai presente) che svolge la funzione di fondamento senza essere per sé rappresentato. Rappresentato, invece, è sempre il presente, come antico o attuale, mentre attraverso il passato puro il tempo si dispiega nella rappresentazione»; pp. 139-140 : «Occorrerà innanzitutto che tutto il passato coesista con se stesso, secondo gradi diversi di distensione e di contrazione. Il presente è il grado più contratto del passato che coesiste col presente solo se il passato coesiste anzitutto con sé, secondo un’infinità di gradi di distensione e di contrazione diversi, secondo un’infinità di livelli (secondo il senso della celebre metafora bergsoniana del cono, o quarto paradosso del passato). Si consideri la cosiddetta ripetizione in una vita, più precisamente in una vita spirituale. Un certo numero di presenti si succedono e sconfinano gli uni negli altri. E tuttavia si ha l’impressione che, per quanto forte sia l’incoerenza o l’opposizione possibile dei presenti successivi, ognuno di essi rappresenti “la stessa vita” a un livello differente, componendo quel che si chiama un destino. Il destino non consiste mai in rapporti di determinismo, tra presenti che si succedono progressivamente secondo l’ordine di un tempo rappresentato. Esso implica, tra i presenti successivi, legami non localizzabili, azioni a distanza, sistemi di ripresa, di risonanza e di echi, casi oggettivi, segnali e segni, ruoli che trascendono le situazioni spaziali e le successioni temporali. Si potrebbe dire che i presenti che si succedono, ed esprimono un destino, rappresentano sempre la stessa cosa, la stessa storia, a parte la differenza di livello, qui più o meno disteso, là più o meno contratto. Ecco perché il destino si concilia così malamente col determinismo, e così perfettamente con la libertà, la quale consiste nella

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Giungiamo quindi all’‘ottimismo’ maeterlinckiano. Forse Maeterlinck, con questa dottrina delle intermittenze che traducono un presente = 0 quindi eterno,118 e che Deleuze chiamerebbe echi, fenomeni di risonanza, vuole dirci che non un tipo particolare di rammemorazione è apportatore di gioia, ma che ogni intermittenza è ritrovamento – fra un nulla del prima e un nulla del poi –, che lo svolgimento causale e quindi la stessa durata bergsoniana – qualora non la si intenda appieno – è logica e apportatrice di morte, che solo il ritrovamento è vita, e quindi che anche l’istante del male quando viene ritrovato deve diventare fonte di gioia? Siamo sulla linea di una teodicea, come dimostra il carattere interamente leibniziano dell’opera-caposaldo dell’ottimismo di Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée (1898).119 In Proust resta un’irredimibilità assoluta del male, un residuo delle intermittenze dolorose che nessuna opera d’arte può sollevare e redimere.120 C’è il concetto di male radicale, che esclude qualsiasi redenzione. Riscelta del livello. La successione dei presenti attuali non è se non la manifestazione di qualcosa di più profondo: il modo in cui ognuno riprende per tutta la vita, ma a un livello o grado differente rispetto al precedente, tutti i livelli o gradi coesistenti e che si offrono alla nostra scelta, dal fondo di un passato che non fu mai presente»; p. 141: «E poiché ogni vita è un presente che passa, una vita può riprodursi in un’altra, a un diverso livello, come se il filosofo e il porco, il criminale e il santo potessero rappresentare lo stesso passato, ai differenti livelli di un gigantesco cono, che è ciò che si chiama metempsicosi». Sulla stessa linea bergsoniana ed in particolare sui cambi di livello come caratteristica fondamentale della sfera morale si era già mosso lo psicopatologo e fenomenologo Eugène Minkowski (op. cit.). Sulla matrice leibniziana di questa concezione e sull’estetica che ne deriva, in particolare nell’arte di Paul Klee, cfr. E. Franzini, Arte e mondi possibili. Estetica e interpretazione da Leibniz a Klee, Milano, Guerini e Associati, 1994, p. 225: «In questo accesso al possibile Klee, sulla strada di Leibniz, ha compreso che la genesi della forma è estetica: la differenza tra estetico e artistico, tra incoscienza e forma, tra visibile e invisibile – tra dolore e piacere, tra vita e morte, tra vita e non vita – differenze tutte quante evidenti, descrivibili, esperienziali non sono tuttavia di “essenza” o di “natura”, bensì di grado. E nei vari gradi della vita si nasconde quel possibile che l’arte porta in luce, offrendo sempre di nuovo ai nostri sensi nuovi significati possibili, che la forma esibisce anche là dove non ha finalità rappresentative». Analoghe intuizioni si trovano nel già citato saggio di M. Vallora, Proust e la pelle della pittura, in Journées Proust III, cit., pp. 201-202. Vallora sottolinea come l’apocalisse in Proust assuma il valore etimologico non di catastrofe ma di rivelazione: «è questo il senso più preciso, per Proust, da attribuire al termine biblico: la fine ‘significa’ non catastrofe, ma comprensione totale». 118. Per questo concetto cfr. l’introduzione di S. Palazzo, La catastrofe di Kronos, cit. 119. Guy Doneux definisce questo libro, che segna nel modo più palese il passaggio dal primo al secondo Maeterlinck, come il centro dell’opera del poeta-filosofo: «il est au centre de toute l’œuvre maeterlinckienne. Avant lui, tout y tendait obscurément; après lui, tout en découle. Je pourrais y signaler le germe, voire l’ébauche des grands drames et de tous les principaux essais de la maturité. La Sagesse et la Destinée est une espèce de somme : quiconque a fait le tour de ce livre a fait le tour de Maeterlinck. L’homme de la Grande Loi s’y annonce et l’homme de l’Oiseau Bleu y est déjà tout entier à côté de l’homme du Trésor des Humbles» (G. Doneux, Maurice Maeterlinck. Une poésie. Une sagesse. Un homme, Bruxelles, Académie Royale de Langue et de Littérature Françaises, 1961, p. 161). Marcel Postic indica chiaramente in questo libro la presenza di una posizione conciliativa di stampo leibniziano (provvidenzialismo), ma segnala anche alcune feconde esitazioni di Maeterlinck, che potrebbero aver influenzato Albert Camus (cfr. M. Postic, Maeterlinck et le symbolisme, Paris, Nizet, 1970, p. 237). 120. Cfr. gli interventi raccolti negli Atti del Convegno di Urbino in Journées Proust III, cit. Cfr. anche: G. Bataille, La littérature et le mal, Paris, Gallimard, 1969, pp. 151-169.

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formuliamo pertanto quella che era apparsa come una contraddizione fra Proust e Maeterlinck: non è tanto che le intermittenze dell’uno siano apportatrici di dolore e quelle dell’altro di gioia, ma è che le ultime, anche se dolorose, sono redimibili e non così le prime. Questo spiega diverse cose anche urtanti: come Maeterlinck, nella riflessione aforistica della vecchiaia, torni spesso sulla nozione che qualsiasi male, anche quello commesso da un Hitler, sia nulla davanti all’infinità spazio-temporale in cui l’essere vivente è immerso e davanti a un (ipotetico) Dio; e persino certi accenni, in La Sagesse et la Destinée, alla possibile sparizione del popolo ebraico che – e questo fatto giustamente ci scandalizza – si collocano fuori dal contesto di pensiero religioso e filosofico contemporaneo, segnato dal dramma dell’avvento al potere del nazionalsocialismo, per cui la shoah costituisce l’ultima grande frattura storica (tuttavia, le affermazioni di Maeterlinck a questo riguardo precedono di alcuni decenni il dramma come si è effettivamente realizzato con il nazismo).121 Per Proust non si può dare in alcun modo teodicea fuori dallo spazio letterario e dalle sue pratiche, e anche qui entro certi limiti (le uniche intermittenze gioiose sono quelle della poesia); occorre invece chiarire l’estetismo di Maeterlinck, che ritrasferisce questo concetto filosofico nell’ambito di quelli che Husserl chiamerebbe ‘mondi della vita’. Alla luce di queste affermazioni, l’allontanamento di Proust da Maeterlinck non è solo un fatto di stile; esso assume implicazioni di portata storica e filosofica molto più vaste.

121. Sui complessi rapporti di Proust con il tema dell’antisemitismo cfr. H. David, Marcel Proust et ses amis antisémites, «Revue d’Histoire Littéraire de la France», n.s 5-6, Septembre-Décembre 1971, pp. 909-920; B. Brun, De quelques plaisanteries antisémites dans les manuscrits de rédaction du roman, in Marcel Proust 4, Proust au tournant de siècles, «La Revue des Lettres modernes», cit., 2004, pp. 41-52, disponibile sul sito dell’ITEM al link http://www.item.ens.fr/index.php?id=76040, consultato il 9 aprile 2013.

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Capitolo II La serra, l’arca, la caverna

II. 1. Serre calde. Il capitolo precedente si è chiuso con l’affermazione di quella che ci appariva una radicale divergenza fra Maeterlinck e Proust. Occorre ora però riprendere l’analisi dal punto in cui l’avevamo lasciata per cogliere i punti di contatto di cui si sostanzia questa fondamentale divaricazione. Avevamo osservato la possibilità di far interferire sul testo di Maeterlinck preso in esame concetti tratti dalla filosofia di Deleuze, ed eravamo giunti al punto in cui quest’ultimo, richiamandosi a Kant e a Hölderlin, caratterizzava la concezione moderna del tempo come ‘tempo vuoto’, concezione ‘favolosa’ del tempo. Avevamo raggiunto la determinazione dell’anticipazione come cesura e simbolo. Un ruolo fondamentale era rappresentato dalla poetologia di Hölderlin, con il suo concetto del ‘divenire nel trapassare’, che avevamo caratterizzato come presente tendente all’autoannullamento. Questo tempo liminare, con la caratteristica di anticipazione che esso presenta, ha un ruolo germinale nella poesia di Maeterlinck, tanto che potremmo paragonarlo, per la sua importanza, al ruolo che in Proust rivestono le cosiddette ‘epifanie’ di debenedettiana memoria. Ora si tratta di vedere se esista una correlazione tra queste due figure. Questo tentativo di determinazione ideale delle poetiche dei due autori attraverso quelle forme che ne costituiscono in qualche modo il condensato, si accompagna al reperimento in Proust delle tracce lasciate dalla figura dell’anticipazione, come si è visto nel primo capitolo. Attraverso l’esame di come Proust ripartisce e struttura anticipazione ed epifania – poiché, a differenza di quanto accade in Maeterlinck, in cui solo la prima è presente, in Proust sono presenti entrambe – si potranno forse trarre delle conclusioni generali sulla natura dell’opera proustiana. Per fare ciò terremo sempre presente, quale ideale punto di partenza, la citazione dal Contre Sainte-Beuve con cui si apriva il primo capitolo, nodo fondamentale della monadologia proustiana.122 122. Su questi termini fondamentali nella letteratura critica proustiana, cfr. G. Debenedetti, Il Romanzo del Novecento, cit.; Id., Rileggere Proust e altri saggi proustiani, Milano, Mondadori, 1982; F. Orlando, Proust, SainteBeuve e la ricerca…, cit.; G. Deleuze, Proust et les signes, cit.

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In primo luogo, bisogna osservare che Maeterlinck è presente nell’opera di Proust fin dall’inizio: la prefazione che Anatole France volle premettere al primo libro di Proust, Les Plaisirs et les Jours (1896), parla dei suoi racconti come di ‘serre calde’, con un trasparente riferimento all’opera poetica d’esordio di Maeterlinck, divenuta presto opera-manifesto del simbolismo, Serres chaudes appunto (1889): Il excelle à conter les douleurs élégantes, les souffrances artificielles, qui égalent pour le moins en cruauté celles que la nature nous accorde avec une prodigalité maternelle. J’avoue que ces souffrances inventées, ces douleurs trouvées par génie humain, ces douleurs d’art me semblent infiniment intéressantes et précieuses, et je sais gré à Marcel Proust d’en avoir étudié et décrit quelques exemplaires choisis. Il nous attire, il nous retient dans une atmosphère de serre chaude, parmi des orchidées savantes qui ne nourrissent pas en terre leur étrange et maladive beauté. Soudain, dans l’air lourd et délicieux, passe une flèche lumineuse, un éclair qui, comme le rayon du docteur allemand, traverse les corps. D’un trait le poète a pénétré la pensée sécrète, le désir inavoué.123

Questa metafora utilizzata da Anatole France contiene un’indicazione ermeneutica da non sottovalutare. Essa può essere approfondita non soltanto nella direzione di una parentela tematica fra le due opere, ma anche nel senso di un’estetica della Gestaltung, che colloca le riflessioni del primo Proust (o quantomeno alcune sue tracce) in una zona intermedia fra i morti e i non-nati, in un bachelardiano stato di ‘antecedenza d’essere’.124 Abbiamo visto come questa este123. A. France, Préface, in M. Proust, Les Plaisirs et les Jours suivi de l’Indifférent et autres textes, édition présentée, établie et annotée par Th. Laget, Paris, Gallimard, 1993, p. 289. Da qui in avanti ci riferiremo a questo testo con la sigla PJ. 124. Per la matrice leibniziana di questa estetica cfr. in particolare E. Franzini, Arte e mondi possibili, cit. Queste tracce sono sintomaticamente rintracciabili in Les Plaisirs et les Jours, nel frammento VI di Rêveries couleur du temps, in cui Proust mette in scena il tema della delusione generata dall’incontro con l’oggetto d’amore, che attinge la sua perfezione solo nell’immaginazione. La breve novella racconta di un bambino innamorato di una sua piccola vicina di casa, che tenta il suicidio gettandosi da una finestra. Tutti pensano che si tratti di una banale delusione dovuta all’indifferenza dell’amica; invece si viene a sapere che il bambino ha compiuto quel gesto dopo essersi incontrato con lei, e dopo aver ricevuto da lei molte prove di affetto. La vera delusione è stata ingenerata in lui dalla prospettiva della felicità reale, se paragonata a quella che gli aveva dipinto la sua immaginazione. Il bambino resta incapace di riconoscere l’amica dopo la caduta, ma costei, una volta cresciuta, lo sposa e resta accanto a lui. La conclusione della novella è che non bisogna neppure cercare di vivere la vita, ma solo immaginarla, e che la felicità promessa all’immaginazione può essere trovata solo di là dalla morte: «La vie est comme la petite amie. Nous la songeons, et nous l’aimons de la songer. Il ne faut pas essayer de la vivre : on se jette, comme le petit garçon, dans la stupidité, pas tout d’un coup, car tout, dans la vie, se dégrade par nuances insensibles. Au bout de dix ans, on ne reconnaît plus ses songes, on les renie, on vit, comme un bœuf, pour l’herbe à paître dans le moment. Et de nos noces avec la mort qui sait si pourra naître notre consciente immortalité?» (M. Proust, PJ, p. 172). Analoghe tracce si riscontrano nella conclusione di La mort de Baldassare Silvande e La fin de la jalousie. Sulle analogie riscontrate dalla critica fra il finale de La

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tica possa essere considerata propria di Maeterlinck, ed è proprio in Serres chaudes che essa trova formulazioni pregnanti e analogie vertiginose. Al centro della raccolta poetica di Maeterlinck si colloca il simbolo della serra, che è un modo per dire la modernità e il suo stato di cesura, quella doppia infedeltà di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, che secondo Hölderlin è al centro dell’idea del tragico moderno. E infatti queste poesie sono un’anticipazione della poetica drammaturgica di Maeterlinck. Un primo legame fra le Serres chaudes e Les Plaisirs et les Jours è costituito dal riferimento comune all’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis (1380 ca. 1471), che Proust cita in esergo ai suoi racconti insieme con altri autori. Questo uso laico di un testo religioso – ispirato a Proust, sembra, sempre da Anatole France – è sintomatico di un atteggiamento spirituale comune che, mercé la temperie culturale dell’epoca, contagia i due autori. Maeterlinck fa riferimento a quest’opera per paragonarla appunto ad una serra nella sua introduzione alla traduzione dell’Ornamento delle nozze spirituali di Ruysbroeck (1293-1381), il mistico brabantino che aveva scoperto grazie alle citazioni contenute in À rebours (1885) di Huysmans e che tradusse per un largo tratto della sua formazione di poeta, traendone ispirazione.125 Ruysbroeck costituisce l’incontro fondamentale della biografia poetica di Maeterlinck, ma di questo incontro occorre precisarne il senMort de Baldassare Silvande e il finale del Pelléas et Mélisande, cfr. A. Henry, Marcel Proust. Théories pour une esthétique, Paris, Klincksieck, 1981, e l’art. cit. di C. Imbert. 125. Cfr. J. Brosse, Maeterlinck et Ruysbroeck, saggio introduttivo in Ruysbroeck L’Admirable, L’Ornement de noces spirituelles de Ruysbroeck l’Admirable, traduit du flamand et accompagné d’une introduction par M. Maeterlinck, Bruxelles, Les Éperonniers, 1990 (18911), pp. C-K. Il primo fondamentale studio dedicato ai rapporti cronologici e poetologici che intercorrono fra la scoperta di Ruysbroeck e le prime opere poetiche e drammaturgiche di Maeterlinck è di J. Hanse, De Ruysbroeck aux “Serres Chaudes” de Maurice Maeterlinck, Bruxelles, Académie Royale de Langue et Littérature Françaises, 1961. Joseph Hanse vi sostiene la tesi che Maeterlinck abbia conosciuto una conversione al cattolicesimo dietro influsso di Ruysbroeck, destinata però a dissiparsi dopo pochi anni. Doneux pone invece l’accento sull’opposizione al cattolicesimo, che avrebbe caratterizzato uniformemente la vita di Maeterlinck, disgustato fin dall’adolescenza dalla religione puramente esteriore e formale della classe cui apparteneva (i rentiers di Gand), e dall’insegnamento religioso severo e terrorizzante ricevuto durante gli anni in cui fu liceale al collegio gesuitico di Sainte-Barbe a Gand, da cui uscirono, oltre a lui, tutti i principali autori della pléiade simbolista belga: Rodenbach, Verhaeren, Van Lerberghe, Le Roy, Hellens. L’ossessione della caducità e della morte presente in tutti questi autori si spiegherebbe anche con l’influsso dei gesuiti di Sainte-Barbe (G. Doneux, Maurice Maeterlinck. Une poésie…., cit., p. 11). Ma, per il resto, nel definire la religiosità di Maeterlinck, anche Doneux pone sullo sfondo un cristianesimo fondamentale (interpretazione che non ci vede d’accordo), e definisce Maeterlinck attraverso il paradosso di un’anima religiosa priva però delle illuminazioni della fede e condannata all’ateismo. Cfr. anche l’importante saggio di R. Campagnoli, Les “Serres froides” de Maeterlinck, in “Belgitures”. Écritures de la Belgité, Bologna, CLUEB, 2003, pp. 81-94. Anche Campagnoli asserisce l’ispirazione cattolica della raccolta : « Il est étonnant qu’on puisse nier le fondement catholique évident de ce recueil, ou même l’atténuer, en oubliant le rapport qu’y prennent les images dites de symbolisme avec la tradition mystique de la prière déréglée, qui justifie aussi le choix sporadique du vers libre » (ivi, p. 81).

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so. Fino alla pubblicazione di Serres chaudes, infatti, Maeterlinck poté credersi cattolico osservante; e il riferimento alle piante velenose della serra come allegorie di peccati rimuginati non senza un certo autocompiacimento conferma che quella era la dimensione psicologica puramente esteriore della sua vita spirituale. Consiste anzi proprio in questo l’aspetto più fragile e sintomaticamente ‘decadente’ dell’accostamento fra le due opere, in quanto il paragone fra le piante malsane e i peccati sensuali compare anche in Les Plaisirs et les Jours. Ma l’uso poetico che Maeterlinck fa dei documenti mistici esclude questa interpretazione tutto sommato rassicurante: si tratta di un uso decisamente ‘profano’. Maeterlinck parte dall’acuta consapevolezza storica che nella modernità è intervenuta una separazione fra uomo e Dio, e che lo stato rappresentato dagli scritti dei mistici può essere preservato solo al prezzo di rinchiuderlo nello spazio letterario e nelle sue pratiche (la serra), spazio laico, e con un suo parziale depotenziamento. La serra di Maeterlinck, questo spazio chiuso e riservato, protetto dalle intrusioni minacciose ma anche dalle ventate purificatrici dell’esterno, esprime in modo perfetto la tesi storica di Michel De Certeau, secondo il quale si assiste, nei secoli XIV-XVII, al tentativo di costituzione di una nuova scienza, la mistica.126 Tentativo fallito però: la mistica non riesce a definire lo statuto epistemologico del suo oggetto, e lascia in eredità le proprie pratiche alla letteratura, e anche in misura minore alla medicina, alla psicologia e alle nuove scienze del paranormale che si costituiscono al seguito del positivismo (tutti campi per i quali Maeterlinck manifestò un costante e profondo interesse). Per Maeterlinck, la storia del misticismo è la storia di questo irreversibile raffreddamento dall’estate mistica all’autunno e poi all’inverno della scienza: Je vois en elle [l’opera di Ruysbroeck] toute l’existence du beau Moyen Âge, au moment où Dieu a été le plus surnaturellement aimé dans l’absence de tout ce qui n’était pas Dieu seul. Ça a été réellement alors l’unique été des cœurs, et à nous qui sommes en hiver, hélas! et peut-être plus loin, et qui souffrons même à entrer en l’automne de l’Imitation, comme si nous ouvrions une serre au sortir d’une cave, ces ardeurs semblent à présent de fiévreuses tènèbres où notre pauvre âme périrait comme une plante du pôle au soleil. C’est tristement ainsi; et notre amour malade est devenu symbolique, au lieu que le leur était absolu, car les meilleurs d’entre nous ne peuvent plus aimer Dieu qu’en le voyant en leur esprit, tandis qu’ils parvenaient au-delà d’eux-mêmes et de toutes les images, comme Ruysbroeck le répète sans cesse, et ainsi ils étaient autant au-dessus de nous que nous sommes encore audessus des païens. Et c’est de cet amour abstrait que naissent les obscurités que vous allez rencontrer et que nous semblent morbides aujourd’hui.127 126. M. De Certeau, La Fable mystique, I. XVIe – XVIIe siècle, Paris, Gallimard, 1982, trad. it. di S. Facioni, Fabula mistica. XVI-XVII secolo, Milano, Jaca Book, 2008 (Bologna, il Mulino, 19871). 127. M. Maeterlinck, Introduction, in Œuvres I. Le Réveil de l’âme…, cit., p. 285 [Revue générale, Bruxelles, oct. 1889 e nov. 1889]

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Affiora in queste pagine dedicate a Ruysbroeck anche il tema dell’Inéclos, letteralmente il’non-dischiuso’,’ogni cosa non sbocciata’, col quale siamo al cuore della poetica di Serres chaudes.128 A un certo punto dell’introduzione, infatti, Maeterlinck si pone il problema di cosa sarebbe accaduto se l’opera di Ruysbroeck non fosse stata scritta, non fosse passata dallo stato di puro possibile alla realtà, e chiama direttamente in causa la nozione leibniziana di Possibile, immaginando la spaventosa lotta che avviene nella mente di Dio fra i possibili per non essere esclusi dall’esistenza: […] et je répète avec étonnement, qu’il me paraît miraculeux que cette œuvre ne se confonde pas, à chaque instant, avec le silence dont elle semble tramée, car à certains endroits il n’y a pas entre elle et lui, l’épaisseur d’un cheveu. Et que serait-il advenu si elle n’avait pas été délinée? Quelle invisible influence nous eût manqué, si elle n’avait pas été pensée, et si l’énorme part de ce silence avait été augmentée d’autant? Sait-on le mal d’une parole qui n’a pas été dite ou d’une idée qui n’est pas née lorsque les temps étaient venus? et avons-nous autre chose que quelques pensées pour nous protéger contre l’inexistence? Une expérience essentielle s’effaçait de l’étude de l’âme, et c’était un pétale de ce lis universel perdu sans retour, car les phases de son éclosion ne se répètent jamais plus. J’ai peur de songer aux étranges tempêtes de ce mystèrieuses vallées du Possible, aux moments les plus subtils de la croissance de ce lis dont nous sommes, car ses feuilles les plus divines courent aussi les plus grands dangers de l’inéclos; et combien de ces pertes ont sans doute affaibli notre âme d’aujourd’hui!129

Questa idea equivale anche alla formulazione di un principio di poetica che Maeterlinck applicherà nelle sue opere: l’opera deve avere una ‘densità mistica’ e pertanto essere colta appena un grado solo sopra il silenzio, quasi nel momento del suo passaggio dal possibile al reale. Essa deve essere a tratti indistinguibile dal silenzio di cui è intessuta. La serra è pertanto il luogo in cui si può produrre questa éclosion, ma è a maggior ragione la sede di ciò che resta inéclos: 128. Cfr. l’introduzione di Davide Zizza alla traduzione italiana di Serres Chaudes a cura di Milo De Angelis: «La parola poetica sta sempre sulla soglia-limite fra il dire e il rivelare. La poesia di Maeterlinck sta pertanto “au milieu” di qualcosa da disvelare ed è lì per uscire dall’inesploso. Se consideriamo il termine “inéclos” della poesia Oraison, eliminando la “in” privativa, riconosciamo la radice verbale di éclore (schiudere, aprire) comune al termine di “éclater”, e quindi “éclat, éclatement” […] che possiede il senso di scoppiare, esplodere. Che cos’è quindi l’inéclos se non l’inesploso, “ogni cosa non sbocciata”? La realtà inosservata, la poesia stessa vive in un “milieu” che sta fra l’inesploso e la rivelazione, come una bomba la cui miccia è stata avviata ma ancora non ha raggiunto la deflagrazione: l’esistenza, la realtà delle cose, passano inesplose, se i nostri occhi non applicano una lettura del senso che intrinsecamente possiedono. Maeterlinck sorprende perché quando lo leggiamo esplode» (D. Zizza, Le serre traslucide dell’interiorità, in M. Maeterlinck, Serre calde e Quindici canzoni, a cura di M. De Angelis, Milano, Mondadori, 1989, «Oscar poesia», articolo reperito sul sito http://www.niederngasse.it/rubriche/approfond, consultato il 18 gennaio 2013). È interessante nel passaggio citato la connessione fra l’inéclos e l’éclatement, quindi col tema dell’”esplodere verso”. 129. M. Maeterlinck, Introduction, cit., p. 287.

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Ayez pitié de mon absence Au seuil de mes intentions! Mon âme est pâle d’impuissance Et de blanches inactions. Mon âme aux œuvres délaissées, Mon âme pâle de sanglots Regarde en vain ses mains lassées Trembler à fleur de l’inéclos.130

Qui si può caratterizzare meglio la parentela fra le due opere: entrambe descrivono uno stato d’inazione, all’interno di un luogo chiuso e protetto, in cui il possibile ha la meglio sul reale, ma in entrambe questo stato è rappresentato anche come fecondo e dotato di una pienezza germinativa di vita.131 Il riferimento nei versi di Maeterlinck va in particolare a un verso di Virgilio, «pendent opera interrupta», che nella traduzione francese suonava: «les ouvrages délaissées restent suspendus».132 Un riferimento analogo si coglie in un passaggio della dedica di Les Plaisirs et les Jours, in cui Proust descrive la malattia come uno stato d’interruzione della vita, durante il quale i lavori restano sospesi, e il malato è dotato di una chiaroveggenza che gli permette di avere intuizioni profonde sul senso della vita e della morte: […] les malades se sentent plus près de leur âme. La vie est chose dure qui serre de trop près, perpétuellement nous fait mal à l’âme. À sentir ses liens un moment se relâcher, on peut éprouver de clairvoyantes douceurs. Quand j’étais tout enfant, le sort d’aucun personnage de l’histoire sainte ne me semblait aussi misérable que celui de Noé, à cause du déluge qui le tint enfermé dans l’arche pendant quarante jours. Plus tard, je fus souvent malade, et pendant de longs jours je dus rester aussi dans l’«arche». Je compris alors que jamais Noé ne put si bien voir le monde que de l’arche, malgré qu’elle fût close et qu’il fît nuit sur la terre. Quand commença ma convalescence, ma mère, qui ne m’avait pas quitté, et, la nuit même restait auprès de moi, «ouvrit la porte de l’arche» et sortit. Pourtant comme la colombe «elle revint encore ce soir-là». Puis je fus tout à fait guéri, et comme la colombe «elle ne revint plus». Il fallut recommencer à vivre, à se détourner de soi, à entendre des paroles plus dures que celles de ma mère; bien plus, les siennes, si perpétuellement douces jusque-là, n’étaient plus les mêmes, mais empreintes de la sévérité 130. M. Maeterlinck, Oraison, in Œuvres I. Le Réveil de l’âme, cit., p. 64. 131. Cfr. l’inizio della prima poesia, dal titolo Serre chaude: «Ô serre au milieu des forêts! / Et vos portes à jamais closes! / Et tout ce qu’il y a sous votre coupole! / Et sous mon âme en vos analogies! » (M. Maeterlinck, Serres chaudes. Quinze chansons. La Princesse Maleine, édition présentée par P. Gorceix, Paris, Gallimard, 1983, p. 31). O ancora, in Cloches de verre : «Ô cloches de verre! / Étranges plantes à jamais à l’abri! / Tandis que le vent agite mes sens au dehors! / Toute une vallée de l’âme à jamais immobile! / Et la tiédeur enclose vers midi! / Et les images entrevues à fleur du verre!» (ivi, p. 37). 132. Virgile, Énéide, texte présenté, traduit et annoté par J. Perret, Paris, Gallimard, 1991, IV, 88.

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de la vie et du devoir qu’elle devait m’apprendre. Douce colombe du déluge, en vous voyant partir comment penser que le patriarche n’ait pas senti quelque tristesse se mêler à la joie du monde renaissant? Douceur de la suspension de vivre, de la vraie «Trêve de Dieu» qui interrompt les travaux, les désirs mauvais, «Grâce» de la maladie qui nous rapproche des réalités d’au-delà de la mort – et ses grâces aussi, grâces de «ces vains ornements et ces voiles qui pèsent», des cheveux qu’une importune main «a pris soin d’assembler», suaves fidélités d’une mère et d’un ami qui si souvent nous sont apparus comme le visage même de notre tristesse ou comme le geste de protection implorée par notre faiblesse, et qui s’arrêteront au seuil de la convalescence, souvent j’ai souffert de vous sentir si loin de moi, vous toutes, descendance exilée de la colombe de l’arche.133

Mario Lavagetto ha ricostruito il senso della dedica all’amico morto Willie Heath come un’offerta votiva che prelude a una vera e propria νέκυια, in cui sarà il sacrificante a offrire il proprio sangue per permettere ai morti di parlare.134 Il riferimento è all’Odissea, dove Ulisse svolge un doppio rito sacrificale – puntualmente evocato da Proust in apertura della dedica – per permettere a Tiresia di predire il futuro. Ancora una volta, come si vede, si tratta di Tiresia e delle anticipazioni. Ma secondo la ricostruzione di Lavagetto, il momento in cui Proust stesso si offrirà come vittima sacrificale per far parlare i morti – momento che, come ha mostrato Debenedetti, attiene a quel ‘patto con gli inferi’ che si trova nella genesi di qualsiasi romanzo – avrà luogo molto più tardi, alle soglie della Recherche. Qui ciò che conta è precisare il senso di quella reclusione nell’arca da cui prende le mosse la prima opera proustiana. La reclusione è fondamentale e assume un valore archetipale, come mostra magistralmente Lavagetto: L’arca è lo spazio chiuso, protetto, difeso, dove Noé e i suoi discendenti possono acquistare la capacità di vedere il mondo, nonostante la notte che grava sulla terra: agli occhi di un lettore della Recherche, e di chi conosca la vita di Proust, si tratta di una immagine archetipica, di una prefigurazione della famosa stanza tappezzata di sughero dove uno strano essere umano vive con le imposte chiuse e, immobile come un gufo, conduce la sua esistenza separata, sorretto dalla convinzione che le grandi opere sono figlie dell’oscurità e del silenzio. La malattia è l’analogo dell’arca, ha lo stesso potere, lo stesso valore di segregazione: regala il distacco e la difesa, la sollecitudine costante della madre che non abbandona il figlio per un minuto fino a quando – con la convalescenza – apre la porta e si allontana. Ritorna quella sera, ma con la guarigione, come la colomba liberata 133. M. Proust, À mon ami Willie Heath, PJ, pp. 41-42. 134. M. Lavagetto, La dedica e il sacrificio, in I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Basilea, 21-23 novembre 2002), a cura di M.A. Terzoli, Roma-Padova, Antenore, 2004, pp. 345-364. Ringrazio l’amico Mirko Francioni per avermi comunicato questo testo. Sulla νέκυια cfr. J. Robaey, “L’allitération perpétuelle”: eredità classica e forma ideale nella memoria involontaria, in Journées Proust III…, cit., pp. 95-122; F. Létoublon-L. Fraisse, Proust et la descente aux enfers: les souvenirs symboliques de la Nékuia d’Homere dans la Recherche du temps perdu, «Revue d’histoire littéraire de la France», n. 6, 1997, pp. 1056-1085; V. Agostini-Ouafi, Nel buio regno. Proust, Michelet e Debenedetti, Firenze, Le Cáriti, 2011.

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da Noé, non torna più. […] Quella che Proust mette in scena è una cesura irreparabile [corsivo nostro]. L’adolescenza finisce, il neofita – dopo avere vissuto per giorni e settimane nella capanna chiusa o nella caverna – è restituito alla luce: l’iniziazione si è compiuta, la vita con la sua implacabile durezza lo circonda. Il periodo sospeso e tutelato dell’esistenza si chiude per sempre con l’allontanamento della madre. […] È allora che – sul piano simbolico – si determina una cicatrice originaria e che torna ad affiorare, a sanguinare nei momenti critici. La morte di Willie Heath, preceduta di un anno da quella di Edgar Aubert, ne ha risvegliato la memoria e sembra avere determinato una rottura ulteriore: si è verificato quello che si verifica abitualmente – diceva Jung – «nel mezzogiorno della vita […] l’inversione della parabola, la nascita della morte. La vita dopo quell’ora non significa più ascesa, sviluppo, aumento, esaltazione vitale, ma morte, dato che il suo scopo è la fine».135

Nella sua ricostruzione, lo studioso indica il valore di cesura della malattia e della convalescenza corroborandolo attraverso il valore archetipico della caverna – arca e caverna sono collegate dal punto di vista archetipale. Il riferimento non è solo al mito platonico del VII libro della Repubblica136 e alle sue svariate interpretazioni nel corso dei secoli, indagate da Konrad Gaiser,137 ma a valori ancora più antichi, legati al carattere sacro delle caverne, luoghi d’incontro col numinoso. Questi valori sono stati indagati da Bachelard, il quale nel capitolo sesto di La terre et les rêveries du repos dedica una parte della sua monografia alle immagini letterarie della grotta: «La Caverne est un Cosmos. Le philosophe conseille une ascèse de l’intelligence, mais, cette ascèse, elle se fait normalement dans “l’antre cosmique des initiations”. L’initiation travaille précisément dans cette zone de passage des rêves et des idées; la grotte est la scène où la lumière du jour travaille les ténèbres souterraines».138 Secondo Bachelard, una lettura del mito platonico della caverna fatta alla luce della sola conoscenza chiara potrebbe causare un certo stupore per il fatto che i prigionieri platonici si lascino prendere, apparentemente, da un semplice gioco di ombre cinesi. Tuttavia il mito della caverna è suscettibile di una lettura più in profondità, legata ai valori inconsci connessi alla caverna, e fra questi valori inconsci c’è anche, e gioca un ruolo nel racconto platonico, la riproduzione dei riti misterici di iniziazione che avevano luogo nelle profondità delle caverne. Talvolta, per via della sua esposizione, la caverna ha il suo giorno di sole: «La Caverne attend le Soleil».139 Esso indica, in un racconto di Lawrence, il giorno fissato per un sacrificio. L’ombra che si trova nella 135. Ivi, pp. 351-353. 136. Platone, Œuvres complètes. La République, texte établi et traduit par É. Chambry, Paris, Société d’édition «Les Belles Lettres», 19677, tome VII, Ire partie, VII 514 a – 517 b, pp. 145-149. Citiamo dall’edizione francese per via della sua particolare accuratezza filologica. 137. K. Gaiser, Il paragone della caverna. Variazioni da Platone a oggi, Napoli, Bibliopolis, 1985. 138. G. Bachelard, La terre et les rêveries du repos, Paris, José Corti, 19485, p. 203. 139. Ibid.

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cavità perfetta esprime l’ambivalenza della vita e della morte. Sempre ispirandosi all’opera di Lawrence, Bachelard osserva la funzione che ha il sonno come stato intermedio fra la vita e la morte,140 come «morte vivente», per una mistica della germinazione.141 La grotta è la tomba naturale, che segna un ritorno alla terra-madre. Gli eroi che vi sono seppelliti spesso si trasformano in serpenti. Il serpente, come essere terrestre, gode spesso il privilegio di una lunga vita: «une sorte de destin des images conduit à donner une éternité aux êtres terrestres».142 Questi ultimi valori riportano l’immagine della caverna all’Ade. E alla dimora sotterranea dei morti è paragonata la condizione umana da Empedocle, e nel mito finale del Fedone. Socrate vi narra che la terra ha la forma di una sfera e che gli uomini abitano le cavità sotterranee della terra, dove si riversano i sedimenti dell’atmosfera, l’acqua e la nebbia, credendo che tali cavità siano la vera terra.143 In un libro recente sulle riscritture novecentesche del mito della caverna, Alessandro Miorelli definisce il senso della cosmografia platonica tracciato nel Fedone mostrando che, secondo Socrate-Platone, e prima ancora Empedocle, gli uomini abitano una regione intermedia fra il mondo dei morti e la vera terra.144 Occorre a questo punto tornare a Maeterlinck, per notare in uno dei passaggi che abbiamo citato la riemersione dell’immagine della caverna. A proposito della successione ciclica delle stagioni dall’estate mistica medievale all’inverno della modernità, Maeterlinck infatti parla di «nous qui sommes en hiver, hélas! et peut-être plus loin, et qui souffrons même à entrer en l’automne de l’Imitation, comme si nous ouvrions une serre au sortir d’une cave […]».145 Appare chiaro che la serra si pone come uno spazio intermedio fra la caverna e un terzo termine non ancora precisato. È tuttavia agevole scoprirlo, se si pensa al vettore verticalizzante del paragone, che corrisponde a un’indicazione temporale: l’inverno è la caverna, l’autunno la serra, l’estate corrisponderebbe a quelle montagne da dove Plotino aveva scorto la rivelazione mistica che Ruysbroeck avrebbe poi ripresa,146 montagne connotate dall’intensità della luce eterea, sulla cui cima si 140. Sul tema del non-morto in Proust cfr. J. Kristeva, Le temps sensible…, cit. 141. G. Bachelard, La terre et les rêveries du repos, cit., p. 206 : «Pour peu qu’on s’oriente dans l’ombre, loin des formes, quittant le souci des dimensions, on ne peut manquer de constater que les images de la maison, celles du ventre, celles de la grotte, celles de l’œuf, celles de la graine, convergent vers la même image profonde. Quand on creuse dans l’inconscient, ces images perdent peu à peu leur individualité pour assumer les valeurs inconscientes de la cavité parfaite». 142. Ivi, p. 209. 143. Platone, Fedone, introduzione, traduzione e commento di G. Reale, Brescia, La Scuola Editrice, 1970, 109 b-e. 144. A. Miorelli, Ancora nella caverna. Riscritture narrative tardo-novecentesche del mito platonico della caverna, Trento, Editrice Università degli Studi di Trento, 2006, p. 55. 145. Cfr. supra, p. 61. 146. M. Maeterlinck, Ruysbroeck l’Admirable, in Le Trésor des Humbles, cit., p. 104.

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colloca un incendio. Il carattere nettamente ascensionale delle metafore maeterlinckiane le colloca su una linea chiaramente platonica. La serra occupa lo spazio centrale fra la montagna e la caverna, fra il calore accecante della luce solare e del cielo estivo e il freddo dell’oltretomba. La somiglianza fra la cosmografia platonica ed empedoclea e quella maeterlinckiana è accentuata da altri simboli che si espandono a raggiera intorno al simbolo centrale della serra: l’acquario; la cloche à plongeur, che dà il titolo a una delle poesie di Serres chaudes; la foresta brabantina da cui Ruysbroeck può cogliere gli accecanti riflessi della sapienza immemoriale.147 Tuttavia, come si conviene a un luogo deputato alle iniziazioni, la serra è anche il luogo di un radicale rovesciamento dei valori. Sud e Nord, luce e tenebre, caldo e freddo, vita e morte, veglia e sonno invertono le loro polarità intorno a questo centro fondamentale. Per comprendere questo fenomeno di trasmutazione dei valori, o per dirla con Bachelard di trans-valorizzazione, possiamo fare riferimento a uno dei maggiori teorici dell’archetipologia, Gilbert Durand. In una sua opera fondamentale del 1947, Les structures anthropologiques de l’imaginaire,148 e in altre successive,149 Durand introduce un modello generale di spiegazione degli archetipi basato su una fondamentale polarità, quella fra regime diurno e regime notturno. Il regime diurno si identifica in toto con la cosmografia platonica presente anche nel mito della caverna, e con la figura retorica dell’antitesi. Esso presuppone un universo gerarchizzato, in cui i valori positivi e negativi sono nettamente ripartiti lungo una scala che corrisponde al movimento verticale: salire/cadere. Tutto ciò che può essere ricondotto all’angoscia originaria scatenata dallo scorrere del tempo, come l’animalità, il movimento vorticoso delle acque, le fasi lunari, la femminilità ciclica e mestruale, è connotato come radicalmente negativo ed associato alle tenebre, alla caduta, al corpo. Tutto ciò che configura un’evasione a-temporale da Kronos è associato alla luce e valorizzato positivamente in senso ascensionale (con un trattamento a volte esplicitamente ascetico-religioso). Si tratta della metafora fotologica fondamentale, fondatrice della filosofia, secondo Derrida.150 Il regime notturno invece opera un differente clivage dei valori. Esso consiste in un tentativo di integrazione e di incorporazione dei molteplici volti di Kronos nell’ordine simbolico, attraverso la captazione delle forze vitali del divenire.151 Tutti i simboli negativi secondo il regime 147. Ivi, p. 112. 148. G. Durand, Les structures anthropologiques de l’imaginaire. Introduction à l’archétypologie générale, Grenoble, Allier, 1947 (poi Paris, Presses Universitaires de France, 1961), trad. it. di E. Catalano, Le strutture antropologiche dell'immaginario. Introduzione all'archetipologia generale, Bari, Dedalo, 1972. 149. G. Durand, L’imagination symbolique, Paris, Presses Universitaires de France, 1964; Id., L’imaginaire, Paris, Hatier, 1994, trad. it. di A. C. Peduzzi, L’immaginario. Scienza e filosofia dell’immagine, Como, Red, 1996. 150. J. Derrida, La scrittura e la differenza, cit. 151. G. Durand, Les structures anthropologiques de l’imaginaire, cit., pp. 203-204.

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diurno vengono invertiti di senso e rivalorizzati: da ciò discende una eufemizzazione della morte. Questi simboli entrano poi in costellazioni mitiche di carattere ciclico o progressivo, con cui i due aspetti del tempo (ciclico e lineare) entrano a far parte del regime notturno. Fra i simboli mistici d’inversione ritroviamo la grotta, l’isola, la foresta, la nave-arca, i contenitori, i fiori, il centro. Si può a questo punto collegare la dialettica dei due regimi durandiani con la dialettica dentro/fuori che attraversa la raccolta Serres chaudes. In questo senso, un’indicazione ermeneutica ci viene fornita dalla tesi di Delay, che sostiene la transizione di Maeterlinck da un regime diurno dominante nel primo teatro al regime notturno dominante nel secondo. Lo schema critico per cui Maeterlinck conoscerebbe due maniere apparirebbe quindi confermato dall’analisi archetipologica.152 Questa tesi tuttavia non tiene conto della produzione poetica e saggistica di Maeterlinck anteriore o coeva al cosiddetto ‘primo teatro’, che mostra come il regime notturno costituisca la chiave della sua lettura di Ruysbroeck e degli autori romantici e simbolisti. Non si può parlare di passaggio da un regime a un altro, se non da un punto di vista molto particolare. Durand parla del romanticismo come di un caso di ‘totalizzazione dell’immaginario’, in cui il regime notturno domina in maniera pressoché esclusiva. L’originalità del Maeterlinck di Serres chaudes sta nel modo di concepire la dialettica dei due regimi: al simbolo della serra, centro notturno della trasvalutazione dei simboli diurni in senso mistico (proprio nel senso in cui Durand parla di ‘simboli mistici’) si contrappone un fuori diurno, di evasione a-temporale, pre- o post-storica. Il regime notturno della serra, simbolo d’inversione e intimità che ha come cifra la chiusura, è concepito come in equilibrio instabile, perennemente minacciato dal diurno che si trova all’esterno. Maeterlinck integra i due regimi all’interno di una dialettica storica: il regime notturno rappresenta il tentativo tipico della cultura moderna di eufemizzare la morte, di istituire una cesura laddove anche il rapporto con Dio non può più essere diretto bensì mediato da una separazione reciproca, dicibile solo attraverso il simbolo, mentre il regime diurno rappresenta la preistoria con il suo terrore non sublimato dello scorrere del tempo, lo spavento e il disordine, da un lato, e l’identificazione non-mediata con Dio dall’altro.153 Il fuori diurno è oggetto di timore e di aspettazione nello stesso tempo, nei due simboli del sole (distruttore e rigeneratore) e della pioggia purificatrice. Le immagini che l’io lirico coglie at152. N. Delay, Structures et symboles de « L’imaginaire nocturne » dans le second théâtre de Maeterlinck, in Présence/Absence de Maeterlinck, colloque de Cerisy-la-Salle (2-9 septembre 2000) organisé par C. Angelet, C. Berg et M. Quaghebeur, actes publiés sous la direction de M. Quaghebeur, Bruxelles, A.M.L. Éditions – Éditions Labor, 2002, pp. 198-239. 153. Cfr. anche le riflessioni sul tempo di R. Bodei, Le malattie della tradizione. Dimensioni e paradossi del tempo in Walter Benjamin, in Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, a cura di L. Belloi e L. Lotti, prefazione di F. Desideri e L. Rampello, Roma, Editori Riuniti, 1983, pp. 210-234.

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traverso le finestre della serra sono infatti immagini apocalittiche nel duplice senso di una regressione all’indietro e in avanti, comunque fuori dalla dimensione della storia umana, nel senso che sarà precisato più oltre. La storia si colloca allora come uno ‘spazio intermedio’ fra i terrori della natura e della materia e la verità assoluta delle idee, per riprendere una definizione di Siegfried Kracauer.154 Se si ricostruiscono i riferimenti proustiani al mito della caverna, si vedrà che essi sono intrecciati a Maeterlinck e muovono proprio nella direzione dell’attribuzione al mitologema della caverna di questo significato. II. 2. La previsione dei futuri. Nell’aprile del 1902 Maeterlinck pubblica la raccolta di saggi Le Temple enseveli, che suscita l’interesse di Proust, il quale poco dopo (il 6 giugno) scrive una lettera all’amico Antoine Bibesco per ringraziarlo di avergli prestato il libro. Il saggio che ha suscitato l’interesse di Proust riguarda il tema dell’anticipazione. Proust infatti scrive: Vous ne savez pas ce que vous m’avez donné ce soir! Ou si vous le saviez vous êtes le plus généreux des mortels pour parler comme Œdipe à Thésée. Le Temple enseveli contient des trésors et il n’est qu’honnête que je vous le rende comme à quelqu’un à qui on aurait donné un petit sac et qui voyant après l’avoir ouvert qu’il contient des pierres précieuses croirait improbe de se l’approprier. Moi aussi je n’ai fait encore que l’ouvrir. Mais j’ai déjà lu l’Avenir, ce qui est aussi beau que de lire dans l’avenir bien que cela n’en donne pas le moyen.155

Oltre al riferimento iniziale all’Edipo a Colono,156 questo passaggio della lettera di Proust contiene un riferimento all’ultimo saggio della raccolta di Maeterlinck, dal titolo L’Avenir. La tesi che Maeterlinck vi espone è la prevedibilità del futuro personale:

154. S. Kracauer, History. The Last Things Before the Last, New York, Oxford University Press, 1969, trad. it. di S. Pennisi, Prima delle cose ultime, Casale Monferrato, Marietti, 1985, p. 13: «Il mio scopo è di stabilire l’area intermedia della storia come un’area in sé autonoma, quella dello sguardo provvisorio sulle ultime cose che vengono prima delle cose ultime». Si può pensare anche alla dialettica tra identificazione-fusione con la madre da una parte (il fuori) e distanza dalla madre attraverso il linguaggio dall’altra (il dentro), secondo quanto afferma Kristeva (Soleil noir, cit.) sul ruolo fondamentale del linguaggio per operare un distanziamento dalla madre da parte del bambino. Ciò spiegherebbe tutta la tonalità affettiva mesta e melanconica (depressiva?) di queste poesie. 155. M. Proust, Corr, t. III: 1902-1903, p. 59. 156. Sofocle, Antigone. Edipo re. Edipo a Colono, introduzione, traduzione e note di F. Ferrari, Milano, Rizzoli, 1982, p. 359.

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Il est, à certains égards, tout à fait incompréhensible que nous ne connaissions pas l’avenir. Il suffirait probablement d’un rien, d’un lobe cérébral déplacé, de la circonvolution de Broca orientée de façon différente, d’un mince réseau de nerfs ajouté à ceux qui forment notre conscience, pour que l’avenir se déroulât devant nous avec la même netteté, avec la même ampleur majestueuse et immuable que le passé s’étale, non seulement à l’horizon de notre vie individuelle, mais encore de celle de l’espèce à laquelle nous appartenons. C’est une infirmité singulière, une limitation curieuse de notre intelligence, qui est cause que nous ne savons pas ce qui va nous arriver, alors que nous connaissons ce qui nous est advenu.157

Secondo Maeterlinck il tempo si materializza relativamente a noi, ma gli eventi sussistono in un ‘eterno presente’ a-temporale e quindi esistono già prima che accadano. Il tempo è una questione di punto di vista, è una delle materializzazioni del nostro punto di vista nello spazio.158 Maeterlinck adotta un punto di vista metafisico, rifiutandosi di cogliere la specificità del tempo come fenomeno umano, ma non può fare a meno di sottolinearla di passaggio: lo scorrere del tempo è un’illusione della nostra sensibilità, la quale contiene in sé tutti i tempi, anche il futuro, ma è affetta da un’infermità interna che vuole che il tempo scorra in una sola direzione. Lo spazio deve essere considerato come analogo al tempo, con la differenza che i nostri sensi ci consentono una maggiore mobilità al suo interno: come quando siamo in viaggio, non ci sentiamo di dire che una città che non abbiamo ancora raggiunto non esiste, così non possiamo affermare che gli eventi che non ci sono ancora accaduti non esistano da qualche parte.159 Il pensiero di Maeterlinck si riallaccia, come si vede, alla concezione spazio-temporale propria del razionalismo filosofico: una concezione ‘spazializzante’ del tempo, che è proprio quella che Bergson aveva contestato duramente contrapponendole la sua concezione della ‘durata’. Tuttavia, nella distinzione maeterlinckiana fra un tempo interiore (storia personale), che potrebbe essere previsto dall’inconscio in quanto secreto dalla propria stessa sostanza, e un tempo esteriore, metafisico, dei grandi avvenimenti che non possono essere previsti, sussiste forse una differenza che può essere analoga a quella fra tempo-durata e tempo spazializzato. Non bisogna dimenticare che il punto di partenza del pensiero di Maeterlinck è critico: egli istitui157. M. Maeterlinck, L’Avenir, in Le Temple enseveli, Paris, Charpentier, 1902, pp. 285-286. 158. Ivi, p. 286 : « Du point de vue absolu où notre imagination parvient à se hausser, bien qu’elle n’y puisse vivre, il n’y a aucune raison pour que nous ne voyions pas ce qui n’est pas encore, attendu que ce qui n’est pas encore par rapport à nous doit forcément exister déjà et se manifester quelque part. Sinon, il faudrait dire que, en ce qui concerne le Temps, nous formons le centre du monde, que nous sommes les témoins uniques qu’attendent les événements pour avoir le droit de paraître et de compter dans l’histoire éternelle des effets et des causes. Il serait aussi absurde de l’affirmer pour le Temps qu’il serait absurde de le faire pour l’Espace, cette autre forme un peu moins incompréhensible du double mystère infini dans lequel flotte toute notre vie ». 159. Cfr. ivi, pp. 286-287.

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sce una separazione assoluta fra punto di vista umano individuale e realtà metafisica in cui esso è immerso, e fa di questo centro individuale una cesura e una sede di lacerazione, come per il simbolo della serra. Tuttavia, tra il 1889 e il 1902, l’evoluzione di Maeterlinck come ‘pensatore’, e da poeta a pensatore, lo orienta verso soluzioni sincretistiche e conciliative: pur mantenendo la fondamentale esigenza kantiana di preservare la dimensione dell’umano con le sue illusioni costitutive, egli non rinuncia, come già i romantici, a porre una dimensione metafisica oltre l’umano e a credere che essa si identifichi con una razionalità assoluta (concepita in senso radicalmente sovra-personale, in sintonia soprattutto con Spinoza), e a cercare di stabilire una comunicazione con questa dimensione metafisica. Piuttosto significativo appare inoltre il fatto che la facoltà chiamata ad elevarsi sino a questo punto di vista assoluto sia l’Immaginazione e non la Ragione. Entra in gioco il simbolo della porta, della fessura, della comunicazione tra mondo umano e mondo divino. Il modello archetipologico di Maeterlinck non risulta pertanto da un meccanico passaggio da regime diurno a regime notturno – come vorrebbe Delay –, bensì da un differente modo di porre la dialettica fra queste due polarità nel corso del tempo: nella sua prima fase la dialettica è (momentaneamente) irresolubile, se non nella forma dell’evento luttuoso che interrompe la continuità della vita umana – evento tragico intorno al quale si articola tutta la prima drammaturgia di Maeterlinck; nella seconda fase, invece, la dialettica dei due regimi adotta un modello sintetico di ‘conciliazione’. La doppia polarità sfuma nella possibilità che ha la luce di insinuarsi nelle latebre dell’ombra. Ciò è visibile anche nel testo preso in esame. Secondo Maeterlinck, il tempo è un mistero che è stato arbitrariamente diviso in passato e avvenire, ma molto probabilmente, considerato ‘in sé’, esso non è che un ‘eterno presente’: «En soi, il est à peu près certain qu’il n’est qu’un immense Présent, éternel, immobile, où tout ce qui a eu lieu et tout ce qui aura lieu a immuablement lieu, sans que demain, excepté dans l’esprit éphémère des hommes, se distingue d’hier ou d’aujourd’hui».160 La separazione dell’uomo dal mistero del suo futuro, che coincide con il mistero del suo inconscio, è rappresentata da Maeterlinck attraverso una serie d’immagini che ritornano continuamente nella sua opera: quella del muro e quella dei vasi non comunicanti, cui si ricollega l’esigenza di praticare delle fessure, delle infiltrazioni, tali da permettere di comunicare con ciò che è al di là del muro, di attingere il liquido in cui i vasi chiusi e stagnanti sono immersi. On dirait que l’homme eut toujours le sentiment qu’une simple infirmité de son esprit le sépare de l’avenir. Il le sait là, vivant, actuel et parfait, derrière une espèce de mur autour duquel il n’a cessé de tourner depuis les premiers jours de sa venue sur cette terre. Ou 160. Ivi, pp. 287-288.

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plutôt, il le sent en lui, et connu d’une partie de lui-même, sans que cette connaissance, pressante et inquiétante, puisse parvenir, à travers les canaux trop étroit de ses sens, jusqu’à sa conscience, qui est le seul lieu où une connaissance acquière un nom, une force utilisable, et pour ainsi dire droit de cité humaine. C’est seulement par lueurs, par des infiltrations fortuites et passagères, que les années futures dont il est plein et dont les réalités impérieuses l’entourent de toutes parts pénètrent en son cerveau. Il s’étonne qu’un extraordinaire hasard ait clos presque hermétiquement à l’avenir ce cerveau qui y plonge tout entier, comme un vase scellé plonge sans s’y mêler au profond d’une mer monstrueuse qui l’accable, l’agace et le caresse de ses milliers de vagues. De tout temps, il essaya de trouver des crevasses dans ce mur, de provoquer des infiltrations dans ce vase, de percer les parois qui séparent sa raison, qui ne sait presque rien, de son instinct qui sait tout, mais ne peut se servir de sa science.161

Questa cifra della chiusura, che abbiamo già osservato a proposito della serra,162 era presente anche nelle formulazioni di poetica drammaturgica di Maeterlinck. Si legge nel saggio-manifesto del primo teatro di Maeterlinck, Le tragique quotidien (1893), che le circostanze del dramma sono come le pareti di una coppa d’acqua in cui il poeta farà cadere le gocce rivelatrici del suo genio (che corrispondono alle infiltrazioni nel vaso del testo precedente): Le poète ajoute à la vie ordinaire un je ne sais quoi qui est le secret des poètes, et tout à coup elle apparaît dans sa prodigieuse grandeur, dans sa soumission aux puissances inconnues, dans ses relations qui ne finissent pas, et dans sa misère solennelle. Un chimiste laisse tomber quelques gouttes mystérieuses dans un vase qui ne semble contenir que de l’eau claire: et aussitôt un monde de cristaux s’élève jusqu’aux bords et nous révèle ce qu’il y avait en suspens dans ce vase, où nos yeux incomplets n’avaient rien aperçu. Ainsi dans Philoctète, il semble que la petite psychologie des trois personnages principaux ne forme que les parois de la coupe qui contient l’eau claire, qui est la vie ordinaire, dans laquelle le poète va laisser tomber les gouttes révélatrices de son génie…163 161. Ivi, pp. 288-289 (corsivi nostri). Il tema dei vasi collegato al presentimento dell’avvenire è del resto già presente esplicitamente nei Menus Propos del 1890: «L’avenir est en nous et nous sommes l’avenir. Nous sommes les vases de l’avenir. Si ces vases n’existaient pas, l’avenir se serait répandu et la terre l’aurait absorbé sans en laisser de traces» (Id., Œuvres I, cit., p. 188). 162. Cfr. in particolare il carattere subacqueo che assumeva la chiusura in Cloche à plongeur : «Ô plongeur à jamais sous sa cloche!/ Toute une mer de verre éternellement chaude! / Toute une vie immobile aux lents pendules verts! / Et tant d’êtres étranges à travers les parois! / et tout attouchement à jamais interdit!/ Lorsqu’il y a tant de vie en l’eau claire du dehors! » (Id., Serres chaudes. Quinze chansons. La Princesse Maleine, cit., p. 57). 163. M. Maeterlinck, Le tragique quotidien, in Le Trésor des Humbles, cit., 1912, pp. 172-173. Questa metafora riprende un’immagine analoga di Schopenhauer. Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà…, cit., l. III, § 49, p. 293: « Perché, come il chimico non può esaurire il suo ufficio nel descrivere con chiara esattezza i corpi semplici e i loro principali composti, ma deve anche metterne in rilievo le proprietà caratteristiche, esponendoli al contatto di reattivi convenientemente scelti; così anche il poeta deve non soltanto presentarci dei caratteri significativi con la verità e la fedeltà della natura; ma, per farceli meglio comprendere, deve rappresentarli in situazioni in cui possano spie-

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In questo passaggio occorre osservare l’espressione je ne sais quoi, che designa il carattere ineffabile del genio poetico. Tale espressione è caratteristica di Leibniz, che la riferisce alle piccole percezioni: «Ces petites perceptions sont donc de plus grande efficace qu’on ne pense. Ce sont elles qui forment ce je ne sais quoi, ces goûts, ces images des qualités des sens, claires dans l’assemblage, mais confuses dans les parties, ces impressions que les corps environnants font sur nous, et qui enveloppent l’infini, cette liaison que chaque être a avec tout le reste de l’univers».164 A proposito di questo brano dei Nouveaux essais sur l’entendement humain, Franzini osserva: Questa frase ha un’importanza fondamentale, sia perché approfondisce il senso estetico dell’espressività simbolica sia perché conduce verso il secondo significato, quello che si potrebbe chiamare artistico, del simbolo leibniziano (quel «non so che» come caratteristica costitutiva fondamentale delle poetiche barocche). Le piccole percezioni sono infatti espressive e formative: formano il gusto, le qualità dei sensi, cioè immagini e giudizi che sono chiari (so, per esempio, quel che intendo e quel che provo quando giudico bello un determinato dipinto) nel loro insieme, anche se risultano confusi nelle loro parti, nelle loro stesse origini. Il gusto, nozione centrale dell’estetica settecentesca, nasce proprio qui: dalle impressioni confuse che i corpi esterni fanno su di noi. Ma queste impressioni estetiche confuse hanno la capacità di costruire chiarezza, di esprimere cioè significati simbolici, che Leibniz stesso definisce «infiniti», in grado di creare nessi potenziali (che sono ovviamente nessi simbolici) con tutto quanto l’universo: ci si apre così a un sentimento estetico che genera una comunione affettiva fondata su significati simbolici universali (formali), radicati tuttavia nella confusione (estetica) delle piccole percezioni e dei loro universi possibili.165

Questo significato artistico, simbolico ed espressivo della monade giunge ad assumere in Leibniz una portata cosmologica, come dimostra il seguito del passaggio leibniziano già citato, cui rimandiamo in nota.166 Siamo di nuovo richiamati all’anticipazione: il significato cosmologico assunto dal valore simbolico della monade è la prevedibilità dei futuri. E questo passaggio leibniziano è richiamato dal testo di Le Temple enseveli su cui ci siamo soffermati, nella frase: «les années futures dont il est plein» che riecheggia il leibniziano «le présent est plein de l’avenir». Si può assumere che il salto compiuto da Leibniz in questo gare tutte le loro peculiarità, e assumere contorni precisi, netti » (c.n.) 164. Cfr. supra, n. 79, pp. 40-41, la citazione di Leibniz a proposito delle ‘petites perceptions’ (c.n.). 165. E. Franzini, Arte e mondi possibili, cit., cap. V, Leibniz e Klee. Il possibile tra i morti e i non nati, p. 192. 166. Cfr. la citazione di Leibniz supra, n. 79, pp. 40-41: « On peut même dire qu’en conséquence de ces petites perceptions le présent est plein de l’avenir et chargé du passé, que tout est conspirant (σύμπννοια πάντα, comme disait Hippocrate) et que dans la moindre des substances, des yeux aussi perçants que ceux de Dieu pourraient lire toute la suite des choses de l’univers. Quae sint, quae fuerint, quae mox futura trahuntur ».

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capitale passaggio dei Nouveaux essais dalla dimensione estetica e simbolica a quella cosmologica sia stato compiuto da Maeterlinck nel suo passaggio da poeta a pensatore: da un’estetica monadologica e possibilizzante a una concezione metafisica dell’universo basata sulla prevedibilità fondata nella razionalità universale, che ben si presta ad essere piegata in senso scientista e positivista (tanto più che al seguito del positivismo si costituisce la scienza del paranormale). Il prezioso passaggio leibniziano non si conclude qui: Ces perceptions insensibles marquent encore et constituent le même individu qui est caractérisé par les traces qu’elles conservent des états précédents de cet individu, en faisant la connexion avec son état présent, qui se peuvent connaître par un esprit supérieur, quand cet individu même ne les sentirait pas, c’est-à-dire lorsque le souvenir exprès n’y serait plus. Mais elles (ces perceptions, dis-je) donnent même le moyen de retrouver le souvenir au besoin par des développements périodiques qui peuvent arriver un jour.167

Questo passaggio ha due conseguenze. La prima parte di questo passaggio importa per la concezione della storia. La storia personale è tramata da piccole percezioni, e in questo senso Maeterlinck la contrappone alla Storia dei grandi avvenimenti. Pertanto l’isolamento monadologico che contraddistingue la serra e il dramma maeterlinckiano ha un valore storico, nel senso in cui Kracauer parla di ‘microstoria’ contrapposta a quella che egli chiama ‘storia monumentale’: nelle visioni che si collocano nel fuori dalla serra prendono posto immagini della storia fatta di grandi eventi, come guerre, diete, carestie, fenomeni dell’industrializzazione. Questi orrori ed errori della storia sono significativamente deprivati di data ed accostati ai fenomeni dell’età preistorica, in quanto Maeterlinck li colloca entrambi sul piano della natura, come estranei all’umano.168 Questi eventi sono suscettibili di entrare a far parte della coscienza individuale e della microstoria personale quando sono colti nel loro rovescio quotidiano. Pertanto prevale la rappresentazione della storia che tocca l’umanità singola degli individui e che li coglie in un momento di riposo, come il pranzo dei sopravvissuti sul campo di battaglia, la passeggiata delle vergini un giorno di digiuno, 167. Cfr. supra, n. 79, pp. 40-41. 168. Cfr. M. Maeterlinck, Serres chaudes. Quinze chansons. La Princesse Maleine, cit., pp. 57-58 : « Attention! l’ombre des grands voiliers passe sur les dahlias des forêts sous-marines; / Et je suis un moment à l’ombre des baleines qui s’en vont vers le pôle!/ […] /Essuyez vos désirs affaiblis de sueurs; / Allez d’abord à ceux qui vont s’évanouir:/ Ils ont l’air de célébrer une fête nuptiale dans une cave; / Ils ont l’air d’entrer à midi, dans une avenue éclairée de lampes au fond d’un souterrain; /Ils traversent, en cortège de fête, un paysage semblable à une enfance d’orphelin. // Allez ensuite à ceux qui vont mourir. /Ils arrivent comme des vierges qui ont fait une longue promenade au soleil, un jour de jeûne; / Ils sont pâles comme des malades qui écoutent pleuvoir placidement sur les jardins de l’hôpital; / Ils ont l’aspect de survivants qui déjeunent sur le champ de bataille. / Ils sont pareils à des prisonniers qui n’ignorent pas que tous les geôliers se baignent dans le fleuve, /Et qui entendent faucher l’herbe dans le jardin de la prison ».

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la sosta dei prigionieri mentre i carcerieri fanno il bagno nel fiume o falciano l’erba nel cortile della prigione. Questi momenti di sosta – significativamente connotati dalla luce solare, e in particolare dall’ora meridiana – sono le cesure attraverso le quali i grandi eventi si trasformano in’microfatti’, la grande storia entra nella piccola storia degli individui, e assumono un valore simbolico, essendo spogliati di data. La coscienza individuale, per converso, conferisce loro un valore universale, in quanto è proprio nei momenti di sosta e di riposo che si colgono le correlazioni sotterranee degli eventi storici e personali con le verità eterne, come Maeterlinck ribadisce pochi anni dopo in Le tragique quotidien.169 Questi microfatti dei momenti di riposo in contrasto con il clamore delle grandi battaglie assumono perciò il valore di piccole percezioni, e tutta l’estetica della drammaturgia di Maeterlinck prima maniera si fonda sulle piccole percezioni, come dimostra anche l’ammirevole dottrina del dialogo di secondo grado.170 La seconda conseguenza del passo di Leibniz preso in esame è che vi si abbozza una dottrina dell’intermittenza, di grande momento per Proust. Anche per Leibniz, infatti, sono le piccole percezioni che permettono quegli ‘sviluppi periodici’ con cui si può riafferrare un ricordo perduto. Ma in Leibniz queste intermittenze sono inserite nell’ambito di una concezione metafisica e cosmologica. Tracce di una simile concezione si possono ritrovare nel Jean Santeuil, che coincide a nostro avviso con il momento storico della conoscenza diretta dei testi di Leibniz da parte di Proust. In questo romanzo Proust ci presenta già dei fenomeni di resurrezione involontaria dei ricordi, ma facendoli sempre precedere da una prima parte cronologicamente anteriore nella storia in cui l’esperienza immagazzinata dalla memoria è già preannunciata come oggetto di ricordo futuro, nella forma dell’anticipazione. Un meccanismo narrativo che segue un filo cronologico è il motore di una “reminiscenza anticipata” in tutti questi episodi. Ci basti per ora accennare a questo punto, come anche alla notevole somiglianza fra Proust e Maeterlinck nella metafora dei vasi 169. M. Maeterlinck, Le tragique quotidien, cit., pp. 168-169 : « Mais n’est-ce peut-être pas une vieille erreur de penser que c’est aux moments où une telle passion et d’autres d’une égale violence nous possèdent que nous vivons véritablement? Il m’est arrivé de croire qu’un vieillard assis dans son fauteuil, attendant simplement sous la lampe, écoutant sous sa conscience toutes les lois éternelles qui règnent autour de sa maison, interprétant sans le comprendre ce qu’il y a dans le silence des portes et des fenêtres et dans la petite voix de la lumière, subissant la présence de son âme et de sa destinée, inclinant un peu la tête, sans se douter que toutes les puissances de ce monde interviennent et veillent dans la chambre comme des servantes attentives, ignorant que le soleil lui-même soutient au-dessus de l’abîme la petite table sur laquelle il s’accoude, et qu’il n’y a pas un astre du ciel ni une force de l’âme qui soient indifférents au mouvement d’une paupière qui retombe ou d’une pensée qui s’élève, – il m’est arrivé de croire que ce vieillard immobile vivait, en réalité, d’une vie plus profonde, plus humaine et plus générale que l’amant qui étrangle sa maîtresse, le capitaine qui remporte une victoire ou l’ "époux qui venge son honneur"». 170. Cfr. infra, p. 207.

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non comunicanti. Per il momento, la prima conseguenza che si può trarre è che, sulla base di questa concezione, l’io tocca la propria individualità, il proprio punto ‘egoico’, nelle piccole percezioni. E questo è un punto fondamentale comune a Maeterlinck e a Proust. L’immagine dei vasi chiusi rimanda a un altro Autore: Hölderlin. Nel descrivere le caratteristiche della poesia drammatica, Hölderlin sottolinea il momento dell’oggettivazione: tra tutte le forme di poesia quella drammatica prevede che il poeta faccia scomparire il proprio io oggettivandolo in immagini e situazioni quanto più possibile estranei ad esso. Pertanto il poema drammatico è come un «recipiente» che conserva una «materia estranea, diversa dall’animo e dal mondo propri del poeta».171 In uno scritto del 1892, Introduction à une psychologie des songes, Maeterlinck riprende questa teoria per esporne i limiti. Lo scritto parte dalla distinzione radicale tra immaginazione diurna e notturna. Maeterlinck afferma che l’immaginazione diurna, anche del più grande fra i creatori drammatici, non è mai in grado di creare degli esseri completamente indipendenti dal destino del loro autore, e che il destino dei personaggi, sebbene declinato secondo circostanze e linee di sviluppo diverse, è sempre una proiezione per quanto indiretta della vita del loro autore. Per questo Maeterlinck contrappone la sua estetica del virtuale e dell’informulato – nel modo tipicamente notturno dei sogni – a qualsiasi realizzazione drammatica effettiva, affermando che ciascun uomo, quando sogna, è poeta drammatico più grande di Shakespeare: «On a dit que tout homme était un Shakespeare dans ses rêves, et cela est vrai au point, lorsqu’on y réfléchit, de nous faire perdre l’estime de toute réalisation dramatique et de tout effort psychologique qui a lieu pendant le jour».172 Questo ci induce a caratterizzare meglio la polarizzazione diurno/notturno in Maeterlinck. Il diurno si contrassegna sempre per l’impossibilità di un’oggettivazione completa: esso è il mondo dell’io lirico. Il semble presque impossible à l’imagination diurne de créer des êtres dans lesquels nous ne nous reconnaissions pas, c’est-à-dire absolument étrangers à nous-mêmes, comme ils 171. F. Hölderlin, Fondamento dell’«Empedocle», in Sul tragico, cit., p. 78. Cfr. G. Steiner, The Death of Tragedy, London, Faber & Faber, 1961, trad. it. di G. Scudder, Morte della tragedia, Milano, Garzanti, 1965, p. 108: «Il dramma è l’esercizio supremo dell’altruismo. Attraverso un miracolo di regolata autodistruzione, che possiamo comprendere soltanto imperfettamente, il drammaturgo dà vita a personaggi la cui vitalità è esattamente proporzionata alla loro “alterità”, al loro non essere immagini, ombre o riflessi del drammaturgo stesso. Falstaff vive perché non è Shakespeare; Nora perché non è Ibsen; anzi la loro forza vitale è di molto superiore a quella dei loro creatori. […] Forse i personaggi sono quelle ombre o quelle forze autonome, all’interno della psiche, che il poeta non riesce ad integrare nella propria personalità. Sono cancri dell’immaginazione che rivendicano il diritto alla vita al di fuori dell’organismo da cui sono stati generati (e quanto a lungo potrebbe resistere un uomo tenendosi dentro un Edipo o un re Lear?). Comunque, qualsiasi rapporto abbiano con la fonte dell’invenzione, i personaggi drammatici assumono una propria integrale esistenza; vivono una vita che supera di gran lunga i limiti mortali del poeta» (c.n.). 172. M. Maeterlinck, Introduction à une psychologie…, cit., p. 88.

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le sont dans le monde réel, et capables d’actes que nous ne pouvons ni ordonner, ni défendre, ni prévoir. Tous ces êtres, même dans Shakespeare, dont l’œuvre est cependant presque somnambulique, ont toujours la teinte de l’identité de leur créateur.173

L’interpretazione che Maeterlinck fornisce della drammaturgia, partendo da Shakespeare, assume una curvatura monadologica, che ha sullo sfondo una concezione cosmoteologica. La metafora che traduce il genio drammatico di Shakespeare è quella diurna del sole: «cette grande force attractive du génie shakespearien […] comme un soleil attire toutes ses planètes».174 Anche la monade secondo Leibniz è un piccolo sole, il prodotto di «Fulgurations continuelles de la Divinité de moment en moment, bornées par la réceptivité de la créature, à laquelle il est nécessaire d’être limitée».175 Ogni personaggio è come un pianeta che gira intorno a questo sole, dotato di circostanze che ne dettagliano l’esistenza e di una propria linea di sviluppo, ma conserva il rapporto di derivazione dal sole intorno al quale gira, sotto forma di destino: Mais dites-moi, en regardant ailleurs, si le héros de Shakespeare n’est pas toujours la même âme entourée de circonstances différentes? Desdémone n’est-elle pas Ophélie mariée, et la vierge danoise pourrait-elle dire autre chose que l’amante de Venise, et concevez-vous que sa destinée eût pu être changée? Juliette n’est-elle pas l’Ophélie du Midi, comme Othello est l’Hamlet africain, malgré tout ce qui sépare le rêve de l’action? Mettez Othello dans Elseneur, peut-être voudra-t-il tuer Claudius un peu plus tôt, mais son âme d’Hamlet le lui permettra-t-il? Mettez Hamlet dans l’île de Chypre et l’âme d’Othello ne viendra-t-elle pas le soir même l’envahir? Je disais, tout à l’heure, à propos d’Ophélie à Venise, que sa destinée n’eût pu être changée, et cela est très étrange que la destinée s’empare ainsi, dès les premières lignes, de la moindre création du poète, et que cette destinée, qui ne s’entend pas seulement de celle de cette vie, mais d’une autre, étendue bien au-delà de notre portée, semble n’être qu’un rayonnement de celle du poète, qu’elles qu’aient été, d’ailleurs, la vie et la fin visibles de celui-ci. Rapprochez, par exemple, la destinée de la Marguerite de Goethe de celle de Juliette. Au premier abord, elles semblent extérieurement analogues dans le malheur, et cependant, n’avons-nous pas ici la sensation de deux mondes entièrement différéntes, et n’est-ce pas comme si l’on comparait la destinée d’un arbre à celle d’une abeille et d’une pierre à celle d’un oiseau? Tandis que celles de Miranda et d’Ophélie, malgré l’absolue divergence de leurs lignes et l’opposition de leur fin apparente, ne sont-elles pas au fond exactement les mêmes? Mais n’est-ce pas confondre ici le caractère et la destinée? Et pourquoi ne pas les confondre, puisqu’il est impossible de voir en quoi ils diffèrent. Tout au plus pourrait-on dire que le caractère est la portion appréciable de la destinée, tandis que la destinée est le caractère au moment où il devient invisible.176 173. Ibid. 174. Ibid. 175. G.W. Leibniz, La Monadologie, publiée d’après les manuscrit de la Bibliothèque de Hanovre avec introduction, notes et suppléments par H. Lachelier, Paris, Hachette, 1881, § 47, p. 62. Cfr. supra, n. 67, p. 37. 176. M. Maeterlinck, Introduction à une psychologie…, cit., pp. 88-89 (corsivi nostri).

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In questo lungo passaggio vorremmo evidenziare i seguenti punti: 1) Maeterlinck concepisce il drammaturgo come un creatore di mondi, in analogia con la cosmoteologia leibniziana che mostra il legame genetico fra il creatore, monade infinita, e le creature, anch’esse monadi però limitate dalla loro ricettività, sotto forma di fulguration, o, come dice Maeterlinck, di rayonnement. Il drammaturgo, e più in generale lo scrittore, è concepito in analogia con il Dio della Théodicée. 2) Conformemente a questo sistema, il personaggio è anche lui a sua volta una monade, che possiede vita propria e un proprio destino che si irradia anche oltre i confini e le circostanze visibili di tempo e di spazio narrativi e drammaturgici in cui è fissato dal suo autore. 3) Ogni personaggio possiede una propria linea o legge di sviluppo, che è determinata dalle circostanze in cui l’autore lo pone. 4) I diversi autori intrattengono fra loro il rapporto di diverse monadi creatrici, in quanto i mondi cui esse danno vita sono caratterizzati da un isolamento e da una differenza assoluti. 5) Destino e carattere s’identificano, in quanto il destino e il carattere dei personaggi sono interamente predeterminati dal loro autore, secondo un determinismo inflessibile, a parte il limite che separa il conscio dall’inconscio (l’immaginazione diurna da quella notturna). Siamo di fronte ad una riflessione estetica che possiede il dono della compattezza e della sistematicità. Malgrado il carattere a-sistematico delle annotazioni monadologiche di Proust, nella corrispondenza proustiana sono evidenziabili tutti questi punti. 1) Anche Proust, divenuto ormai l’autore della Recherche, si paragona al Dio di Leibniz e considera i suoi personaggi le sue creature. Nel 1919 scrive ad una sua lettrice, Violet Schiff, che si era lamentata del decadimento morale del personaggio Swann e del preannuncio, contenuto in À l’ombre des jeunes filles en fleurs, della morte di Swann nel volume successivo: Daignez agréer Madame mes hommages bien respectueux et toute la reconnaissance de Swann que vous ayez fondé sur lui des possibilités d’élévation morale qui ne sont pas réalisées chez lui d’une façon constante mais l’auraient pu car le monde des Possibles est plus étendu que celui du réel dit Leibnitz […]177

2) Proust concepisce il personaggio come una monade, essere dotato di destino e in grado di generare altri personaggi, come si evince da una lettera del 1910, in cui Proust paragona un personaggio romanzesco del suo amico Robert de Montesquiou appunto a una monade: «Vous n’avez parlé que d’une gouvernante. Mais il est d’autres Winter Bottom inclus en elle comme en leur monade. Et l’on épiloguera et glosera sur la portée du type et de cette Pingouine».178 Proust 177. M. Proust, Corr, t. XVIII : 1919, p. 364. 178. M. Proust, Corr, t. X: 1910-1911, p. 228.

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paragona il personaggio di Montesquiou, Winter Bottom, ai Pinguini di Anatole France in L’île des Pingouins, e lo considera «dans sa plus particulière réalité, un symbole très général de bien des êtres».179 3) Ogni personaggio proustiano è concepito in conformità ad una legge interna di sviluppo. Ciò è palese, fra l’altro, quando, sempre a proposito di Swann, Proust parla di «indice de différentiation»180 e descrive le principali linee di sviluppo dei suoi personaggi come appesantimento e deviazione.181 4) Gli artisti sono mondi unici, caratterizzati da una differenza interna radicale: […] le style pour l’écrivain aussi bien que la couleur pour le peintre est une question non de technique mais de vision. Il est la révélation, qui serait impossible par des moyens directs et conscients, de la différence qualitative qu’il y a dans la façon dont nous apparaît le monde, différence qui, s’il n’y avait pas l’art, resterait le secret éternel de chacun. Par l’art seulement nous pouvons sortir de nous, savoir ce que voit un autre de cet univers qui n’est pas le même que le nôtre et dont les paysages nous seraient restés aussi inconnus que ceux qu’il peut y avoir dans la lune. Grâce à l’art, au lieu de voir un seul monde, le nôtre, nous le voyons se multiplier, et autant qu’y a d’artistes originaux, autant nous avons de mondes à notre disposition, plus différents les uns des autres que ceux qui roulent dans l’infini et, bien des siècles après qu’est éteint le foyer dont il émanait, qu’il s’appelât Rembrandt ou Ver Meer, nous envoient encore leur rayon spécial.182

Proseguendo nell’analisi del testo di Maeterlinck, il paragone abbozzato fra l’Ofelia di Shakespeare e la Margherita di Goethe si compie con l’ipotesi di introdurre Margherita nel palazzo di Elsinore; Maeterlinck afferma che si verificherebbe l’effetto che oggi definiremmo di straniamento, del contatto fra due mondi chiusi e completamente estranei gli uni agli altri. La presenza di un personaggio proveniente da un altro mondo autoriale sarebbe più spettrale di quella di un fantasma: Toutes les relations de tous les personnages ne seraient-elles pas changées; et toutes leurs actions ne deviendraient-elles pas impossibles à côté de cette petite ouvrière qui n’a jamais respiré l’air qu’ils respirent, et qui leur apporte une réalité dont ils n’ont pas d’idée tandis qu’elle n’a pas d’idée de la leur? N’y suspendrait-elle pas toute la vie normale, comme la présence d’un insecte étranger dans une ruche y suspend toute l’activité ordinaire et la 179. Ibid. Ciò ci riporta alla nozione di ‘originalità’ illustrata da Perrier (art. cit.): «Originale, l’œuvre qui aurait le pouvoir presque surnaturel de constituer une origine, c’est-à-dire de s’engendrer elle-même et d’engendrer une multiplicité de copies. “Original: qui porte son origine en soi”, selon la définition radicale du Trésor de la Langue Française» (G. Perrier, L’étrange mot d’originalité, cit., p. 3). Il personaggio romanzesco secondo Proust ha proprio questa caratteristica. 180. M. Proust, Corr, t. XIX: 1920, p. 78. 181. Ibid. 182. TR, RTP, IV, p. 474.

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détourne un moment sur lui-même? […] On aurait, à peu près, le même contact effrayant d’un autre monde inconnu et fermé.183

Questa similitudine – insieme con altre che nella citazione abbiamo tralasciato – conferma non solo la separazione assoluta degli artisti come mondi chiusi in conformità con quanto afferma Proust; essa pone anche il problema comparatistico dell’utilizzo delle diverse influenze letterarie nell’opera di Maeterlinck. Grazie alla sua sterminata cultura e alla sua conoscenza del fiammingo, dell’inglese e del tedesco, Maeterlinck poteva attingere a un serbatoio di modelli antichi e moderni molto vasto.184 Ora, non è proprio questo effetto che egli ricerca nelle sue prime opere? I suoi personaggi non sembrano venire da mondi separati, anche giusta il carattere drammatico – non conciliativo – della dialettica fra le polarità diurna e notturna? Quando Maeterlinck introduce i suoi personaggi celebri di principesse venute da lontano all’interno di esangui gruppi familiari dove incontrano l’ostilità e il senso di estraneità al gruppo, non mette proprio in scena, sotto forma di conflitto drammatico, il carattere fantasmatico dello scontro fra mondi autoriali opposti? Nel passaggio precedente Maeterlinck cita come esempio dello stordimento che proverebbero i personaggi di Shakespeare a contatto di quelli di Goethe l’immagine di un uomo superiore che giungesse a far avvertire la sua esistenza a degli esseri inferiori, e quella di un sonnambulo che entrasse nella sala dove si svolge una festa e la attraversasse con gli occhi fissi su un altro mondo.185 Sono due paragoni in cui si riflettono alcuni dei procedimenti più comuni nel primo teatro di Maeterlinck.186 Inoltre, anche la scelta di Shakespeare e Goethe sembra fatta apposta per confermare quest’idea, dato che l’uno rappresenta la polarità drammatica, mentre l’altro rappresenta la polarità conciliativa del tragico.187 Come già la monade proustiana, anche la monade autoriale maeterlinckiana si apre a una dimensione intertestuale, con la differenza che se nella prima domina un principio di armonizzazione, nella seconda domina la varietà e l’effetto noir che nascono dalla sottolineatura dei contrasti. Tuttavia, in ultima analisi l’armonia domina sovrana anche qui: nella sua prefazione alla raccolta in volume dei drammi del 1901, Maeterlinck afferma che la loro unica qualità che resiste nel tempo è «une certaine 183. M. Maeterlinck, Introduction à une psychologie…, cit., pp. 89-90 (corsivi nostri). 184. Ciò è riconosciuto da Proust, che in Journées de lecture mette in risalto la vasta cultura di Maeterlinck che sfiora a volte l’erudizione e afferma che la cultura può soffocare il talento mediocre sotto un peso eccessivo, ma funge invece da stimolo e da catalizzatore per il genio autentico (cfr. infra, n. 517, p. 198). 185. M. Maeterlinck, Introduction à une psychologie…, cit., pp. 89-90. 186. Cfr. in particolare la scena II dell’atto III de La Princesse Maleine (M. Maeterlinck, Œuvres II. Théâtre I, édition établie et présentée par P. Gorceix, Bruxelles, Complexe, 1999, pp. 139-144). 187. Sul carattere conciliativo del tragico goethiano cfr. G. Steiner, Morte della tragedia, cit., pp. 103-104 e sgg., e B. Maj, Idea del tragico…, cit., pp. 46-47.

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harmonie épouvantée et sombre».188 Nella sua posizione di un contrasto fra un’immaginazione diurna e un’immaginazione notturna, da cui lo scritto prende le mosse, Maeterlinck cerca una via d’uscita ai limiti della prima. Come già abbiamo evidenziato a proposito degli esperimenti narrativi di Maeterlinck, egli cerca di far scaturire la creazione direttamente da quegli stati notturni e liminari come l’estasi, il sogno, l’avvicinamento alla morte, ecc. Ora, non è possibile ipotizzare che proprio in questi stati sia possibile collocare l’interazione fra diversi modelli e monadi autoriali, nel nome di un’armonia che è definita, appunto, sombre? Con l’armonia giungiamo all’aspetto dialogico della monade, sottolineato da Franzini: «La nozione di sostanza individuale completa è dunque necessariamente connessa a quella di relazione, cioè di un accordo comunicativo tra i vari punti di vista, che instaurano in questo modo una vera e propria rete comunicativa che esprime le molteplici possibilità dell’ordine scelto da Dio».189 L’opera d’arte è un mondo che seleziona e contiene differenti monadi, cioè diversi riferimenti intertestuali che si riallacciano tutti a quell’unico ordine di possibilità che l’artista ha inteso creare. E l’armonia cupa che Maeterlinck persegue è un’armonia fondata sulle dissonanze, che risponde perfettamente alle esigenze poste da Leibniz: Nella Confessio philosophi, Leibniz scriveva che «l’armonia è tanto maggiore quanto più sono le cose e quanto più esse sono apparentemente disordinate e tuttavia insperatamente ricondotte, in virtù di qualche stupefacente rapporto fra loro, al più pieno accordo». Il disordine va così «lavorato», «interpretato» in una direzione armonica, cioè con il fine di costruire una forma nuova a sua volta armonica: l’origine di questa genesi è estetica, radicata nel rapporto sensibile originario tra l’uomo e il mondo. L’idea di origine non rimane dunque racchiusa in un’oscurità inavvicinabile e la sua stessa valenza mitica diviene il segno di una produttività che segue un percorso dall’apparenza all’essenza, dall’insensibile inconscio e caotico verso una forma «barocca», armonicamente segreta, che ha la capacità di esprimere un punto di vista sul mondo, sul senso intimo delle cose.190

Anche questo aspetto dell’estetica teatrale di Maeterlinck trova una puntuale conferma in Proust: nella sua corrispondenza, l’espressione leibniziana «harmonie préétablie» ricorre tutte le volte che Proust vuole fare osservare ai suoi corrispondenti una coincidenza di espressioni e di immagini fra il loro scritto e il suo. Con la differenza che in Proust l’armonia si nutre di consonanze. Per Maeterlinck l’universo notturno è anche il luogo dei possibili dialogici. La contrapposizione luce/ombra come realtà/possibilità (mondo reale versus mondi possibili) è del resto esplicitamente tematizzata in Leibniz, nel dialogo posto alla fine della 188. M. Maeterlinck, Préface, in Œuvres I. Le Réveil de l’âme, cit, p. 496. 189. E. Franzini, Arte e mondi possibili, cit., p. 235. 190. Ivi, p. 205.

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terza parte della Théodicée, in cui Pallade Atena mostra a Teodoro una piramide dal vertice luminoso, dove si trova il mondo reale, che digrada infinitamente verso tenebre sempre più oscure dove si trovano i mondi possibili scartati da Giove.191 Questa polarizzazione mondo diurno luminoso reale/mondi notturni possibili la ritroviamo anche in Les Plaisirs et les Jours, nei passaggi che Proust dedica al sogno: […] Mais brisé de chagrin, tu t’endors… Il pleut des pleurs dans des ténèbres éclairées. Rêve où la morte vit, où l’ingrate a ta foi, Tes espoirs sont en fleurs et son crime est en poudre… Puis éclair déchirant du réveil, où la foudre Te frappe de nouveau pour la première fois.192

Il contenuto di questi versi è ripreso nel frammento Rêve: Je me réveillai brusquement, reconnus ma chambre et comme, dans un orage voisin, un coup de tonnerre suit immédiatement l’éclair, un vertigineux souvenir de bonheur s’identifia plutôt qu’il ne le précéda avec la foudroyante certitude de son mensonge et de son impossibilité.193

Anche qui Proust mette in scena il brusco passaggio dal mondo dei sogni alla realtà della veglia, connotando il primo con quell’ossimoro di «tenebre illuminate» che risponde perfettamente alla definizione durandiana del regime notturno, e la seconda con l’improvvisa irruzione del lampo (simbolo diurno). Il lampo – insieme con il suo corrispettivo acustico, il tuono – simboleggia il passaggio improvviso dal mondo notturno dei sogni – e dei possibili, poiché nel sogno si realizzano anche quelle eventualità che sono contraddette dalla realtà – al mondo diurno della realtà.194 Esso configura una cesura che è anticipazione della morte, annuncio di un passaggio ulteriore, che implica il ritorno verso il mondo dei morti e alla patria celeste. Questo è il significato che si desume dall’Edipo a Colono (che Proust evoca nella già citata lettera del 1902 dove dà notizia della sua lettura di Le Temple enseveli195): il lampo e il tuono mandati da Zeus annunciano a Edipo l’ultimo giorno della sua vita mortale, la discesa nel regno dei morti, la sacralizzazione delle sue spoglie e della terra dove saranno seppellite e la sua finale assunzione fra gli dèi. Secondo Maj, che ricostruisce i caratteri fondamen191. G.W. Leibniz, Essais de Théodicée, cit., l. III, §§ 414-417, pp. 359-362. 192. M. Proust, Schumann, in Portraits de peintres et musiciens, PJ, cit., p. 137. 193. M. Proust, Rêve, in Rêveries couleur du temps, PJ, p. 192. 194. Cfr. art. cit. di P. Gambazzi. 195. Cfr. supra, p. 69.

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tali del tragico nell’estetica di Goethe, quest’ultimo rifiuta la teoria aristotelica della catarsi quale è comunemente interpretata. Tuttavia, mettendosi in sintonia con i testi di Goethe, Maj sostiene l’idea della teoria aristotelica in una diversa accezione: la catarsi farebbe parte della struttura stessa della tragedia, come scioglimento dei nodi tragici che ha luogo nella terza parte della trilogia. Essa non sarebbe più attinente alla psicologia dello spettatore e all’effetto patetico che la rappresentazione provocherebbe in lui, ma sarebbe un momento della concezione drammaturgica del testo. L’esempio è appunto l’Edipo a Colono, che rappresenta l’accoglimento dell’eroe esule, dopo l’espiazione, in una nuova città (la punizione della colpa tragica comporta l’esilio e l’abbandono della città). Questo momento è preliminare alla sacralizzazione della morte dell’eroe tragico e al suo accoglimento fra gli dei, mentre sulla terra il luogo dove riposano le sue spoglie diviene meta di culto. Questa transizione finale costituisce una forma di conciliazione peculiare del tragico, stando alla poetologia di Goethe, diversa da quella sintetica hegeliana.196 In Sofocle, il lampo e il tuono segnalano a Edipo questo ultimo passaggio.197 II. 3. La dialettica storica in Maeterlinck: simbolo, rappresentazione e origine. Il lampo però ha anche un altro significato correlato a questo primo: è la cesura dopo la quale si colloca il venire al mondo, la crudeltà della nascita (che come mostra Lavagetto a proposito di Proust equivale ad un nascere alla morte). L’abbandono del regno del possibile per il mondo reale implica necessariamente la consapevolezza della finitezza e della morte come ultimo traguardo. Questo significato è ben evidente in due frammenti di Maeterlinck. Nel primo si legge: «Nos communions avec la vie, sommeillent en nous et ne s’éveillent qu’à certaines émotions, comme un incendie dans un béguinage ou un éclair dans un colombier, et combien de béguinages n’ont jamais brûlé!»198 In questo frammento il lampo simboleggia la comunione con la vita, ovverosia uno dei concetti fondamentali della poetologia di Maeterlinck. Esso trova formulazione nelle annotazioni di un quaderno di Maeterlinck, risalente agli anni 1888-1889, pubblicato con il 196. B. Maj, Idea del tragico…, cit., pp. 47-48. 197. Sofocle, Antigone. Edipo re. Edipo a Colono, cit., p. 381: «CORO. Guarda! / Enorme inaudito / dirompe questo fragore divino. / Fino alla cima dei capelli / mi assale sgomento. / Il mio cuore si acquatta. Ecco! /Di nuovo divampa / per l’etere il fulmine. / Qual termine darà? /Ho paura: / invano mai, / mai senza sventura si avventa. / Etere grande! O Zeus! EDIPO. Figlie, è venuto per vostro padre l’ultimo giorno, come gli dei hanno predetto. Non c’è più scampo ». 198. M. Maeterlinck, Le «Cahier bleu», édition critique avec notes, index et bibliographie de J. WielandBurston, Gand, Éditions de la Fondation Maurice Maeterlinck, 1977, p. 108.

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titolo di Cahier bleu. Si tratta di un testo fondamentale in cui Maeterlinck precisa, in brevi e illuminanti intuizioni, le sue idee sull’arte, sull’evoluzione storica dei popoli e delle loro letterature ed arti, che vertono intorno alla distinzione romantica fra latinità e germanesimo. I popoli germanici (fiammingo, inglese, tedesco) sono indicati come i portatori di un’istanza nuova nel mondo dell’arte che si manifesta innanzitutto come pittura presso i fiamminghi, poesia presso gli inglesi, filosofia e musica nei tedeschi. Essi sono forti delle loro lingue barbariche incontaminate, che non sono – come il francese – frammenti e derivazioni di lingue morte (la grande eredità latina è qui degradata a «cadavere» secondo un gusto delle immagini macabre caratteristico del Maeterlinck giovanile). I popoli germanici manifestano una pienezza di vita, un contatto simpatetico con la sostanza delle cose, un attaccamento al suolo d’origine che non hanno equivalenti nelle letterature neolatine, destinate nella modernità a porsi sulle loro tracce. Dai frammenti immediatamente successivi a questo è possibile precisare il significato della comunione con la vita in rapporto con la poetica che Maeterlinck viene definendo: Ce que Rembrandt a réalisé, faire du premier venu un portrait aussi spirituel qu’un Vinci, et secret, – un peintre devrait dire à son modèle: Je ne vous vois pas aujourd’hui, jusqu’à ce qu’il ait trouvé en lui une vie ou un symbole, une communion avec la vie, ou bien le renvoyer en lui disant: «Vous ne me dites rien. – Ah! La communion avec la vie! vue dès le cordon ombilical, qui rattache chaque homme à l’essence et suivre à travers la diffusion de son existence!199

Per Maeterlinck la comunione con la vita è un mezzo introspettivo di visione – un punto di vista. Il pittore deve trovare il punto di vista adeguato al modello ritratto – come si evince da altre annotazioni, la parola ‘simbolo’ ha per lui questo significato tecnico. Il simbolo è pertanto correlato all’estetica barocca, nella quale il punto di vista definisce la rappresentazione. La comunione esprime anche il contatto con l’Origine, attraverso la metafora del cordone ombelicale. Del resto questa correlazione profonda fra le immagini di nascita e rinascita da una parte e le prospettive prese sul mondo dall’altra è connaturata alla filosofia e anche all’immaginazione operante negli scritti di Leibniz, e si riallaccia alla distinzione che Deleuze stabilisce fra il piano della materia e quello dello spirito nel suo pensiero, che si articolerebbe sempre su due livelli.200 Anche qui Maeterlinck coglie una correlazione profondamente barocca: la metafora geometrica del punto di vista – nel piano delle idee – si riallaccia intimamente al sentimento visce199. Ivi, p. 209. 200. Cfr. G. Deleuze, La piega, cit., in particolare il primo capitolo.

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rale e uterino della nascita e dell’origine nel piano della materia – la patria perduta cui ciascun autore tende, come il Vinteuil della Recherche –.201 Al cordone ombelicale si riallaccia l’immagine della radice, e la metafora del simbolo come pianta che è ricorrente in Maeterlinck. In alcune annotazioni dei Menus propos, risalenti al 1891, si legge una distinzione fra il simbolo e l’allegoria: Le Symbole est l’Allégorie organique et intérieure; il a ses racines dans les ténèbres. L’Allégorie est le Symbole extérieur; elle a ses racines dans la lumière, mais sa cime est stérile et flétrie. L’Allégorie est un grand arbre mort; il empoisonne le paysage. L’Allégorie est interprétée par l’Intelligence; le Symbole est interprété par la Raison.202

Questa distinzione fra Ragione e Intelletto rimanda precisamente a Kant e a Hegel e alla filosofia romantica, come la distinzione fra simbolo e allegoria al Romanticismo tedesco. Attraverso l’immagine cosmica dell’albero Maeterlinck si riallaccia alle strutture sintetiche dell’immaginazione. Paragonando il simbolo, ovverosia l’essenza della letteratura, a una creatura vegetale Maeterlinck si riallaccia direttamente all’organicismo di Goethe, e alle radici storiche del Romanticismo. Come ha mostrato Bachelard, l’albero che affonda le sue radici nelle tenebre terrestri e diffonde le sue fronde nella luce e nell’aria celeste è un grande fattore di equilibrio immaginario, che all’interno del regime notturno scopre una vocazione diurna. Viceversa, l’albero che ha le sue radici nella luce è accostato ai significati mortiferi e negativi caratteristici del regime diurno. I simboli del simbolo – ovvero quelle immagini che, per Maeterlinck, traducono l’essenza della sua poetica – hanno questa duplice caratterizzazione immaginaria. Mostrano cioè che il simbolismo agisce su tutti i registri dell’immaginazione. Questa distinzione fra Ragione e Intelletto si ritrova in un altro brevissimo frammento dei Menus propos, dove il rimando è chiaramente notturno, fa riferimento alla nerezza come colore dell’abisso, ma anche come colore di pregnanza e di forza sostanziali, nello stesso senso in cui Maeterlinck scrive, a proposito della scrittura del mistico Ruysbroeck, che essa è nera di energia: «La Raison est plus noire que l’Intelligence».203 Siamo davanti a un evidente movimento di interiorizzazione: il punto di vista ricercato rimanda a una seconda vista puramente interiore, a un movimento retrospettivo dell’occhio che vede se stesso. Il tentativo di cogliere questa visione interiore caratterizza tutta la prima produzione di Maeterlinck.204 Tale distinzione kantiana 201. Per i due piani dello spirito e dell’immaginazione materiale in cui si articola il pensiero di Leibniz e per l’immaginario della nascita e della rinascita nel confronto con Proust cfr. il nostro articolo: S. Martina, La materia delle visioni e le visioni della materia: Leibniz in Proust, «Quaderni proustiani», n. 6, 2012. 202. M. Maeterlinck, Menus propos (1891), in Œuvres I…, cit., p. 190. 203. Ibid. 204. Segnaliamo la profonda affinità fra le poetiche di Maeterlinck e di Edvard Munch, il quale cercò di

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fra Ragione e Intelletto giunge a Maeterlinck per il tramite del romanticismo inglese, in particolare attraverso Carlyle e Coleridge. Dobbiamo all’edizione dei Carnets de travail (1881-1890) di Fabrice van de Kerckhove la scoperta di questa filiazione. Da Carlyle e da Coleridge Maeterlinck trae, oltre alla distinzione kantiana fra Ragione e Intelletto, dotata di un significato particolare presso gli autori inglesi, anche l’opposizione di simbolo e allegoria; le considerazioni sull’illusione letteraria e teatrale, che implicano una momentanea sospensione dell’incredulità; le riflessioni sulla memoria dei sogni, sul carattere eterno di ogni parola e pensiero, sull’immaginazione come facoltà dell’anima che più avvicina l’uomo a Dio.205 L’immagine dell’albero di tenebre contrapposto all’albero di luce è sviluppata nel testo che Maeterlinck consegnò alla rivista «L’Art moderne», nel 1890, in risposta all’inchiesta di Edmond Picard sulla natura dell’arte, con il titolo Confession de poète. In questo testo appare evidente che tutti gli aspetti dell’opposizione simbolo/allegoria sviluppati da Goethe206 sono alla base della poetica maeterlinckiana: J’ai toujours constaté sur moi-même, que toutes les parties conscientes de mon art (pardonnez-moi cette expression trop orgueilleuse, mais je l’emploie uniquement pour abréger) ont varié sans cesse et se sont inclinées aux souffles divers des lectures et des autres influences; tandis que toutes les parties instinctives, tout ce que je n’avais pas voulu, tout ce dont j’ignorais l’origine, tout ce dont je ne me rendais pas compte, demeurait immuable au milieu de mes évolutions. J’ai remarqué aussi qu’à mesure que j’acquérais la pleine conscience de quelque élément de mon art, c’était l’infaillible indice de la mort et de l’élimination prochaine de cet élément. On pourrait dire que désormais trop conscient, il était semblable à une branche qui se flétrissait après avoir produit son fruit. Il y en a d’innombrables ainsi, mortes au pied de l’arbre; de quoi faire un salutaire feu de joie où je voudrais brûler les formules, les apparences et les procédés. Il me semble que ces progrès de la conscience qui montent lentement comme une vie, en laissant la mort derrière elle, n’offrent d’intérêt, et ne doivent être accélérés, à travers toutes ces morts successives, que parce que, les premières branches disparues, d’autres, inconnues et insoupçonnées jusqu’alors, entrent immédiatement en sève, vertes et fécondes tant qu’elles restent dans l’ombre, pour se faner à leur tour quand la clarté les gagne, et ainsi de suite, jusqu’à la cime des feuillages, que j’espère n’apercevoir que de l’autre côté du tombeau.207

Secondo una nota tesi di Benjamin, l’estetica del romanticismo è congiunta a fissare in alcuni suoi disegni i movimenti interni all’occhio, produttori di allucinazioni. 205. M. Maeterlinck, Carnets de travail (1881-1890), cit., vol. II, nota 133, p. 739. 206. Cfr. T. Todorov, Théories du symbole, Paris, Seuil, 1977, trad. it. di E.K. Imberciadori, Teorie del simbolo, Milano, Garzanti, 1991 (19841 ), p. 254 e sgg. 207. M. Maeterlinck, Confession de poète, in Œuvres I…, cit., pp. 454-455.

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quella barocca attraverso l’allegoria. In Benjamin, il simbolo è congiunto all’immagine del lampo, per via della sua brevità e del suo aspetto momentaneo, mentre l’allegoria costituisce «il fondo scuro contro il quale doveva profilarsi chiaro il mondo del simbolo».208 Questa caratterizzazione richiama immediatamente il sombre fond della monade, da cui si distaccano le percezioni coscienti. Tale legame fra l’estetica benjaminiana e il suo retaggio leibniziano meriterebbe un approfondimento; esso è provato tra l’altro dal riferimento esplicito alla monadologia contenuto nella fondamentale Premessa gnoseologica che Benjamin antepose all’esposizione del suo saggio critico, mostrando il carattere discontinuo delle Idee, simili a monadi.209 Questa caratterizzazione si propone come una chiave di lettura fondamentale per l’estetica proustiana e maeterlinckiana. Nella citazione del Contre Sainte-Beuve da cui siamo partiti, infatti, compare una caratteristica suddivisione della monade autoriale in due piani: monade creatrice individuale e monade lettrice universale. Questo raddoppiamento è scandito da un altro raddoppiamento interno: il doppio simbolismo, da una parte celeste, dell’uccello in volo (i «ramiers fraternels»), dall’altro tellurico dell’ago calamitato. Il rinvio ai mondi inferi e superni si raddoppia come immagine divinatoria da una parte (la contemplazione dello stormo di colombacci fraterni mentre riposiamo in un bosco ci conferma nella giustezza della nostra direzione), ed emblematica dall’altra (essi sono come cartelli indicatori). La loro alternativa riposa sull’opposizione asimmetrico/simmetrico, che è sottolineata da Benjamin attraverso un’immagine analoga a quella di Proust (e riscontrabile non occasionalmente anche in Maeterlinck), quella del lampo divinatorio che penetra la profondità boscosa: «L’unità di misura temporale dell’esperienza simbolica è l’attimo mistico in cui il simbolo accoglie il senso nel suo interno nascosto e, se così si può dire, boscoso. D’altra parte, l’allegoria non è esente da una dialettica simmetrica […]».210 Esattamente lo stesso avviene in Proust: da una parte il simbolo rimanda, giusta la definizione benjaminiana, al «volto trasfigurato della natura nella luce della redenzione»,211 mondo celeste e superno (diurno) cosparso di segni che tradiscono un’essenza momentanea; dall’altra l’allegoria rimanda al mondo infero e cavernoso dove giace la calamita, e all’universo emblematico della scrittura (i cartelli indicatori), ovvero «la facies hippocratica della storia come un pietrificato paesaggio primevo».212 Tra i mondi infero e superno si colloca, come interfaccia, punto di giunzione, non casualmente connotato come luogo di sosta e di riposo, il bosco, che fin dalle prime 208. W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1963, trad. it. di E. Filippini, Il dramma barocco tedesco, Torino, Einaudi, 1971, p. 164. 209. Ivi, pp. 26-27. 210. Ivi, pp. 169-170. 211. Ivi, p. 170. 212. Ibid.

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prove di Proust assume una caratterizzazione notturna, e che è analogo alle posizioni intermedie della serra e della caverna nel Fedone.213 Il mondo che ci propone l’immagine di Proust definisce una dimensione intermedia rispetto alle due polarità inferi/superni. E questo ci permette di caratterizzare meglio l’opposizione stabilita da Durand: il mondo notturno della foresta e della serra è un punto di collegamento, una cesura tra i due lati del numinoso, che Durand ascrive da una parte alla luce eterea, dall’altra ai terrori e alle tenebre nefaste. È come un’interfaccia d’ombra tra le due opposte polarità della luce. Simbolo e allegoria sono le due facce di questa polarità, che continuamente rinviano l’una all’altra. Appare evidente il collegamento con Maeterlinck: abbiamo già evidenziato come la serra si proponga appunto come tale magico luogo notturno di trasmutazione, come spazio intermedio tra una storia pietrificata, da una parte, e una fine divina della storia dall’altra, come spazio preservato e insieme depauperato della modernità, come spazio edipico distanziato dal rapporto fusionale con la madre attraverso il linguaggio, riservato all’umano. Anche nelle citazioni precedenti sul simbolo appare evidente come, per Maeterlinck, simbolo e allegoria si richiamino reciprocamente: e in particolare la seconda appare come il connotato di una natura mortifera (l’albero morto che avvelena il paesaggio) e segnata da un principio di disgregazione e frammentazione (il progressivo staccarsi delle foglie dall’albero, per cadere morte ai suoi piedi), in contrapposizione con la vivente unità organica dell’albero che rappresenta il 213. Hans Blumenberg mostra che il primo riparo per l’uomo primitivo fu la foresta, e che il passaggio da questa alla caverna fu una transizione altrettanto complessa come il passaggio delle specie viventi dal mare alla terra, e l’inaugurazione di un nuovo biotopo che permise all’uomo di abbandonare il campo aperto e concentrare l’attenzione, ma anche di distendere la vigilanza in un sonno tranquillo. Cfr. H. Blumenberg, Hölehnausgänge, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1989, trad. it. di M. Doni, Uscite dalla caverna, Milano, Medusa, 2009, pp. 18-19. Tuttavia, è notevole il fatto che l’immagine proustiana del bosco nella citazione del Contre Sainte-Beuve faccia riferimento non alla primitiva sacralità della foresta ancestrale, ma ad un bosco compiutamente antropizzato, dotato di sentieri e di cartelli indicatori, ovvero a ciò che Blumenberg in un altro testo avrebbe definito un «parco dei vissuti», dove ogni desiderio si compie secondo le aspettative di chi lo percorre. Cfr. Id., Lebenszeit und Weltzeit, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1986, trad. it. di B. Argenton, Tempo della vita e tempo del mondo, a cura di G. Carchia, Bologna, Il Mulino, 1996. Il bosco antropizzato come luogo esemplare del tempo della vita equivale perfettamente all’immaginario della caverna. Il passaggio dal termpo della vita al tempo del mondo equivale alla possibilità di uscire dalla caverna, di riconquistare ciò che era andato apparentemente perduto nella reclusione del sonno, di varcare una soglia. E a quest’uscita e a questa transizione fondamentale si riallaccia la formazione del ricordo e della memoria. Il ricordo è ciò che aspetta l’eroe al suo uscire dalla caverna. L’ouverture della Recherche è evocata da Blumenberg nel suo saggio sulla caverna come un primo esempio di descrizione fenomenologica dei valori soglia del passaggio da veglia al sonno che potevano trovare matrice solo nell’immaginario della caverna: «Il mondo è ciò che si può riconquistare: quello che appartiene a tutti nel momento del risveglio, quello che è solo del singolo quando ricorda, tutto ciò non è altro che l’imporsi dell’identità contro gli smacchi della discontinuità, della perdita, dell’oblio. Il sonno, l’oblio e la morte, che in quanto tali non si possono esperire, sono esigenze di rinuncia alla coerenza interna di una vita che non è inesauribile: solo così si riuscirebbe a distinguere la realtà dalla finzione. Lasciar stare il “tempo perduto”, non intraprendere e non portare a termine questa recherche, avrebbe significato aderire alla stessa insensatezza del non poter mai essere sicuri di aver avuto a che fare con la realtà» (p. 11).

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simbolo, in perfetto equilibrio immaginario fra luce e tenebre, laddove l’albero allegorico coglie l’aspetto più mesto e artificiale della luce. Questo ci permette di sfuggire a quanto la schematizzazione di Durand può avere di troppo rigido e di caratterizzare il notturno non in base ad una banale antitesi al diurno, ma come una cesura inclusa nelle due polarità del diurno, una cesura partendo dalla quale – e giusta il suo carattere magico di trasmutazione dei valori – può essere riafferrato il senso dell’origine. Benjamin distingue origine da genesi.214 L’origine è il luogo – intermedio – dove si dischiude una duplice visione, relativa ai mondi infero e superni, in un rapporto dialettico con la storia. Anche in Edipo a Colono la conciliazione finale prevede da una parte l’assunzione dell’eroe tra gli dei (mondo superno), dall’altra la sacralizzazione delle sue spoglie e della terra dove sono deposte (mondo infero). La conciliazione del conflitto tragico, che secondo Maj è il segno di un conflitto tra le forze celesti e quelle sotterranee, implica che nella cesura dove si dischiude la doppia visione queste forze ritornino in equilibrio. Ma ciò può avvenire solo a prezzo dell’uscita dalla caverna e del finale ritorno ad essa. È quanto sembra suggerire un frammento dei Menus propos (1891), in cui Maeterlinck riprende l’immagine della colombaia e dei piccioni viaggiatori: L’Événement, qui n’est pas l’esclave de notre destinée, est un étranger que nous avons embrassé par erreur, en croyant embrasser un ami. Il ne venait pas à notre rencontre. Au moment de notre naissance, les événements de notre vie sont lâchés, loin de nous, comme un vol de pigeons, voyageurs. Ils s’en reviennent au colombier jusqu’au moment de la mort. Qu’advient-il de ceux qui ne nous retrouvent plus? de ceux que l’ennemi tue en route et de ceux qui arrivent trop tard? Ces derniers cherchent-ils la demeure de nos enfants? Il y a peut-être des événements infidèles et parjures. Mais malheur à l’homme qui ne se trouve pas au rendez-vous de l’événement!215

Questo frammento si trova in un rapporto simmetrico con quello citato, in cui la comunione con la vita faceva uscire i piccioni dalla colombaia per mezzo 214. Ivi, p. 124: «L’origine, benché sia una categoria pienamente storica, non ha nulla in comune con la genesi. Con origine non s’intende un divenire del già nato, bensì un divenire e un trapassare di ciò che nasce. L’origine sta nel fiume del divenire come un vortice e trascina dentro la propria ritmica il materiale della nascita. Nella nuda e palese compagine del fattuale, l’originario non si dà mai a conoscere, e la sua ritmica si dischiude soltanto a una duplice visione. Essa vuol essere conosciuta come restaurazione, come ripristino da un lato e, dall’altro e proprio per questo, come un che di imperfetto e non conchiuso. In ogni fenomeno d’origine si determina la forma sotto la quale un’idea sempre di nuovo si confronta col mondo storico, fino a quando non sia lì, compiuta, nella totalità della sua storia. Così, dunque, l’origine non è emergente dai dati di fatto, essa ne investe la preistoria e la storia successiva». Riscontriamo una prossimità fra quanto afferma Benjamin e le riflessioni di Blumenberg sull’inizio della Recherche come esplorazione della soglia: «Riguardo all’insonne, i fenomeni che egli descrive si sottraggono a ciò che si può ricordare; ma proprio questa distanza, che rende impraticabile la “riflessione”, produce l’intuizione [Anschauung] dell’essenziale in quanto indifferente all’accadere fattuale» (H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 11). 215. M. Maeterlinck, Menus propos (1891), cit., p. 190.

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di un lampo. Essa rafforza il valore del lampo come nascita, ma anche il doppio movimento di andata e ritorno che caratterizza il movimento dei piccioni.216 In Différence et répétition, Deleuze connota il lampo come differenza e definisce quest’ultima riallacciandosi ad un concetto heideggeriano: il differenziante della differenza.217 La condizione fondamentale nella quale la differenza sviluppa questo in-sé come differenziante, è l’organizzazione in serie. Deleuze scopre i concetti fisici di ‘risonanza’ e di ‘movimento forzato’, che poi applicherà più ampiamente in Logique du sens.218 Questo sistema basato sulla congiunzione di serie disparate è il sistema psichico, secondo un’intuizione di Freud poi sviluppata da Matte Blanco219: le tre sintesi del tempo precedentemente delineate corrispondono ai concetti ora enunciati di accoppiamento, risonanza e movimento forzato. In particolare, la sintesi di Habitus produce accoppiamento di serie; quella di Eros instaura i fenomeni di risonanza, infine la terza, con l’istinto di morte, supera l’eros risonante con un movimento forzato la cui ampiezza psichica supera le stesse serie risonanti. Tornando al frammento di Maeterlinck, è evidente il raffronto fra la teoria così abbozzata dell’Evento, che insiste nel movimento forzato che oscilla dalla prima alla terza sintesi, cioè dalla nascita alla morte, e l’immagine di Maeterlinck, il quale definisce gli eventi della vita come il movimento oscillatorio di un volo di piccioni viaggiatori, che un lampo ha fatto evadere dalla colombaia, e che fino all’ora della morte continuano a fare ritorno alla loro dimora. Il movimento dei piccioni viaggiatori è oscillatorio, da un’estremità all’altra, dall’esterno all’interno, forzato, in quanto sembra corrispondere ad un istinto che accomuna tutti i piccioni, e unisce le due estremità della vita agli albori e della morte. C’è dunque una perfetta consonanza tra le immagini del filosofo e dello scrittore. Inoltre l’interrogativo posto da Maeterlinck – ovvero che fine fanno i piccioni che non giungono in tempo all’appuntamento, quelli che si sbagliano, insiste sul carattere diffuso, di singolarità che caratterizza l’esistenza: il lampo che libera gli eventi, i piccioni viaggiatori, equivale alla differenza che suscita getti di singolarità che diramano, a 216. Una possibile fonte d’ispirazione per questo frammento di Maeterlinck potrebbe essere un passaggio di Platone nel Teeteto, segnalato da Schopenhauer come l’esempio della «colombaia donde si prende non il piccione desiderato ma un altro» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà…, cit., l. I, § 15, p. 117). 217. Nella storia della filosofia, la matrice dell’immagine del lampo è eraclitea. Cfr. il fr. 9 di Eraclito: «τὰ δὲ πάντα οιακίζει κεραυνός», «ma tutto governa la folgore». Angelo Tonelli chiarisce il significato del lampo nella nota a questo frammento: «La folgore è immagine del Divino-Luce-Fuoco-Immediatezza che irrompe nel cosmo visibile lacerando la trama consueta della coscienza e dell’esperienza, pur essendo esso stesso oggetto di esperienza. È Attimo. “E dove viene esaltato l’attimo è presente la conoscenza misterica, da Parmenide a Nietzsche. L’istante testimonia ciò che non appartiene alla rappresentazione, all’esperienza” (Colli SG III 196). La folgore è raggio di Αιών, l’eternità, che richiama le creature al lampeggiamento ubiquitario e atemporale, da cui tutte traggono origine» (Eraclito, Dell’Origine, traduzione e cura di A. Tonelli, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 50). 218. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit. p. 192. 219. J. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bilogica, Torino, Einaudi, 1981.

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ventaglio, in direzioni diverse; ogni evento è una singolarità, una differenza, che interviene a caratterizzare un’esistenza fra la nascita e la morte, e questa differenza è libera e spostabile, può sbagliarsi di soggetto e intervenire ad esempio a caratterizzare l’esistenza dei suoi figli. Come mostra Deleuze, l’inconscio è intersoggettivo. Altri aspetti non meno importanti della teoria deleuziana mettono in risalto la sintonia con Benjamin (del resto entrambi questi autori sono segnati dalla scrittura proustiana come processo di apprendistato filosofico, come per Benjamin ha mostrato Piazza): lo spazio notturno delle tre sintesi è uno spazio del virtuale; esso ospita, sotto la denominazione di ‘triste precursore’, quegli effetti ottici di identità che riferiscono due serie allo stesso effetto di superficie, la loro identità risultando solo dalla nostra incapacità di pensare l’infinita differenza delle serie se non a partire dal concetto stesso di identità, che si coagula intorno a quelli che Deleuze definisce ‘oggetto virtuale = x’ e ‘parole esoteriche’: e che corrispondono, a ben guardare, ai due aspetti, l’uno simbolico, l’altro allegorico, della «duplice visione» di Benjamin: «ripristino» da un lato, e dall’altro, «un che di imperfetto e non conchiuso»220: i due lati, come abbiamo visto poc’anzi, dell’epifania proustiana. Deleuze distingue a questo riguardo il carattere erotico delle reminiscenze suscitate da una sensazione, che egli ascrive alla seconda sintesi, dal carattere esiziale delle intermittenze come quella che interviene a caratterizzare dolorosamente il ricordo della nonna morta, che appartiene alla terza sintesi.221 Il passaggio dalla grotta alla camera vetrata (e viceversa) è dunque anche segno del passaggio dalla seconda alla terza ripetizione. Lo scrittore risiede nella camera bassa, ovvero nella grotta. L’istinto del piccione viaggiatore (lo scrittore) è in rapporto con la risonanza – come il magnetismo. L’io operante non va oltre la risonanza delle serie, perché è confinato nell’isolamento soggettivo di una monade, mentre l’io che legge (monade universale) si apre ad una dimensione intersoggettiva, ovvero “sfonda” verso la terza sintesi del tempo (cfr. il carattere intersoggettivo della lettura di Mme de Sévigné, che passa di madre in figlia). Interviene a questo punto un ricordo di Borges, il lettore è migliore dello scrittore e l’oblio è migliore della memoria, chiaro esempio di sfondamento verso la terza sintesi del tempo. Caratteristica di Borges è anche il rifiuto del romanzo, atteggiamento che caratterizzerà anche Maeterlinck in vecchiaia. Perché? la risposta la dà Proust: perché il romanzo è un genere monadologico, non va oltre la seconda sintesi, si limita al rapporto di risonanza fra serie (le esperienze erotiche della memoria involontaria) e può solo alludere alla terza dimensione. Il romanziere nella sua fase operante è limitato ai fenomeni di risonanza. Se Proust insiste tanto sulla monade è perché l’isolamento soggettivo gli sembra una condizione im220. W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, cit., p. 24. 221. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., pp. 198-199.

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prescindibile dell’operare. La monade è propriamente romanzesca. Ma Proust corregge la monadologia in questo senso, che accanto alla monade soggettiva dello scrittore scopre la monade intersoggettiva del lettore: cosicché il tema monadologico nella Recherche investe il passaggio dalla seconda alla terza sintesi. Ci soccorre a questo punto un’altra immagine del Cahier bleu: lo scrittore risiede su un faro, come sentinella sulla torre. «Voilà pourquoi les poètes sont comme des veilleurs sur les tours, et les mots comme des colombes sur les toits où elles s’endorment, et qu’il faut constamment faire s’envoler».222 La stessa immagine ricorre in Jean Santeuil, dove lo scrittore C. si ritira a scrivere nella casetta di un guardiano di faro, a strapiombo sulla scogliera: «Et là, dans ce lieu véritablement sublime il examinait le vol des oiseaux qui passaient sur la mer, écoutant le vent, regardant le ciel, à la façon des anciens augures, non comme un présage de l’avenir, mais plutôt […] comme un ressouvenir du passé».223 Lo scrittore, maestro delle risonanze, suscita il movimento forzato delle parole dalla prima alla terza sintesi, facendo costantemente involare le colombe che altrimenti si addormenterebbero sulle pareti del faro: questo doppio movimento, di andata e di ritorno, segna, secondo Deleuze, il cammino dell’opera d’arte. Occorre allora riflettere su quest’ubiquità della camera proustiana, che se pure ha come sua dimensione primaria e fondatrice la caverna, si caratterizza per i continui cambi di livello. Un’immagine analoga connota i molteplici piani scalati in altezza della camera materlinckiana, secondo Doneux. Il che appare confermato da un’altra interferenza: se Maeterlinck, parlando in Introduction à une psychologie des songes del contatto fra Margherita e Ofelia, come esseri provenienti da mondi estranei gli uni agli altri e impenetrabili, afferma che Margherita non ha mai respirato l’aria che essi respirano, il tema dell’aria mai respirata prima si trova anche in un passo celebre del Temps retrouvé, collegato con la metafora dei vasi non comunicanti scalati a differenti altezze: […] le geste, l’acte plus simple reste enfermé comme dans milles vases clos dont chacun serait rempli de choses d’une couleur, d’une température absolument différentes; sans compter que ces vases, disposés sur toute la hauteur de nos années pendant lesquelles nous n’avons cessé de changer, fût-ce seulement de rêve et de pensée, sont situés à des altitudes bien diverses, et nous donnent la sensation d’atmosphères singulièrement variées. Il est vrai que ces changements, nous les avons accompli insensiblement; mais entre le souvenir qui nous revient brusquement et notre état actuel, de même qu’entre deux souvenirs d’années, de lieux, d’heures différentes, la distance est telle que cela suffirait, en dehors même d’une originalité spécifique, à les rendre incomparables les uns aux autres. Oui, si le souvenir, grâce à l’oubli, n’a pu contracter aucun lien, jeter aucun 222. M. Maeterlinck, Le «Cahier bleu», cit., p. 110. 223. M. Proust, JS, p. 48.

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chaînon entre lui et la minute présente, s’il est resté à sa place, à sa date, s’il a gardé ses distances, son isolement dans le creux d’une vallée ou à la pointe d’un sommet, il nous fait tout à coup respirer un air nouveau, précisément parce que c’est un air qu’on a respiré autrefois, cet air plus pur que les poètes ont vainement essayé de faire régner dans le paradis et qui ne pourrait donner cette sensation profonde de renouvellement que s’il avait été respiré déjà, car les vrais paradis sont les paradis qu’on a perdus.224

Questo bellissimo e fondamentale passaggio ci permette di connotare la posizione filosofica di Proust in contrapposizione a Maeterlinck: come è evidente già dal brano del Jean Santeuil citato prima, il sistema complesso di cambi di livello in Proust si volge sempre al passato. Inoltre, l’armonia proustiana nasce anch’essa dal contrasto fra più mondi e dal contatto tra mondi diversi ed estranei, ma esclude l’interazione di diversi modelli letterari, per far regnare esclusivamente la coscienza dell’io ricordato, la quale però si frammenta a sua volta monadologicamente secondo la dottrina della successione degli io, e secondo l’originalità differenziatrice dello stile. Possiamo a questo punto anticipare quella che sarà una delle nostre conclusioni: questo sistema di cambi di livello richiede e ha come direzione fondamentale la discesa nella caverna. Per impadronirsi del ricordo bisogna uscire dalla caverna e inerpicarsi sulla montagna, poiché, come mostra Blumenberg, il ricordo è l’angelo che attende sulla soglia della caverna.225 Ma per rendere a sua volta fruibile al lettore tale ricordo bisogna ridiscendere nell’ipogeo. La molteplicità di livelli caratterizza in maniera esemplare il mito della caverna platonica. Per quanto riguarda l’aspetto gnoseologico, esso è esplicitato da Gaiser attraverso uno schema che chiarisce il significato di ciascun elemento del mito.226 In entrambi i luoghi (la caverna e il mondo esterno) la conoscenza passa attraverso due gradi che si suddividono a loro volta in due gradi subordinati. Tra il gradino inferiore (la dòxa) e il gradino superiore (l’epistème) sussiste una relazione di adombramento (le ombre sulla parete della caverna) o di rispecchiamento (le immagini riflesse nell’acqua). Emergono due metafore subordinate alla metafora fotologica fondamentale: l’ombra e lo specchio. I quattro gradini ottenuti corrispondono a: mondo della caverna (a) mondo dei fenomeni (b) mondo delle idee (c), secondo la proporzione: (a):(b) = (b):(c). Del mondo della caverna fanno parte gli uomini che passano dietro il muricciolo e gli oggetti portati in fila, costituiti da immagini di creature viventi (statue) e attrezzi. I quattro gradi corrispondono alle due categorie di oggetti e alle loro ombre. Alle ombre sulla parete corrispondono le impressioni relative agli oggetti corporali, che possono essere: soggettive, ovvero impressioni momentanee dei sensi, e oggettive, ovvero qualità materiali, come il 224. TR, RTP, IV, pp. 448-449. 225. H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 12. 226. Cfr. K. Gaiser, Il paragone della caverna…, p. 16.

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peso, il colore, ecc. La percezione diretta degli oggetti portati dietro il muro corrisponde invece all’esperienza. Gli attrezzi simboleggiano i prodotti dell’arte, le statue le creature viventi della realtà. Questi livelli di conoscenza fanno parte della dòxa, e si dividono in eikasìa e pìstis. Nel mondo di superficie, alla base si trovano le immagini riflesse e le ombre degli oggetti sulla terra e nel cielo; poi gli oggetti stessi, suddivisi in terrestri e celesti. Tutte queste immagini sono simboli della realtà intellegibile: prima gli oggetti della matematica, mentre le piante e gli animali della terra sono idee delle singole cose (subordinate) e i corpi celesti sono ideenumeri, norme valutative (idee sopraordinate). In cima sta il sole, l’Idea del Bene. All’ascesa faticosa verso il sole e verso la chiarezza delle Idee corrisponde, nel mito platonico, un’ulteriore discesa: il prigioniero liberato deve ritornare nuovamente nella caverna per illuminarla, portandovi il riverbero delle verità che ha appreso. E qui, nel mondo mutevole delle opinioni e delle passioni di parte, il suo destino si rovescia in tragedia: il prigioniero verrà probabilmente ucciso dai suoi compagni, che non desiderano liberazione alcuna. Questa reversibilità del mito della caverna è sottolineata dagli interpreti come depositaria di un significato profondo. Il terzo atto del mito appare fondamentale per la comprensione di Proust, poiché ci pare di poter affermare che Proust lo incorpora nel suo progetto, sorte tragica inclusa. Come sottolineato da Maj, il tragico attende gli eroi sulla via del ritorno. All’opposto, il platonismo di Maeterlinck, volto prevalentemente al futuro, si conclude con una evasione intellettualistica dal problema del male, cioè coglie di Platone l’aspetto radicalmente anti-tragico (salvo rovesciarsi poi nel pessimismo degli ultimi anni, dopo la Grande Guerra). Sintomatico, a questo riguardo, è il titolo di una delle prime opere della cosiddetta seconda maniera di Maeterlinck: Ariane et Barbe-Bleue ou la Délivrance inutile (1901). Arianna, ultima moglie di Barbablù, rappresenta la luce della ragione e cerca di liberare le spose precedenti, rinchiuse in un sotterraneo, che portano i nomi delle eroine infelici dei drammi anteriori, le eroine del puro desiderio. Il tentativo si risolve in uno scacco, ma non ha luogo nessuno spargimento di sangue: Barbablù viene perdonato e le spose rifiutano la liberazione loro offerta da Arianna, e solo quest’ultima va incontro alla libertà, la quale appare, come si desume dal titolo, fondamentalmente sprovvista di senso. Ben diverso il significato della catabasi in Proust. Come mostra Mario Lavagetto, sulla scorta di Debenedetti: per Ulisse la via del ritorno passa inevitabilmente attraverso la discesa agli inferi e il sacrificio che gli dischiude la possibilità di evocare le «teste senza vita dei morti», di ottenere da loro non solo pronostici sul futuro, ma conferme, ma il diritto di farsi in ogni momento portatore e testimone della propria storia. La «Νέκυια è veramente il cardine narrativo dell’Odissea. La sorte del racconto e il destino dell’eroe fanno perno su di lei». Anzi, continua Debenedetti, non c’è romanzo, «vero romanzo» che non ruoti intorno a

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una più o meno esplicita e riconoscibile riproposizione della Νέκυια, che non nasconda – nelle proprie fibre, nella propria stoffa – un appuntamento altrettanto decisivo, insieme rivelazione e punto di svolta che segna in maniera inesorabile la peripezia e la catastrofe. Per conquistare il suo destino, e divenirne stabile proprietario, l’eroe è tenuto a cercare e a ricevere una investitura dalle potenze ctonie: ha bisogno di propiziarsele, deve ottenere convalida dall’oracolo e dal confronto, pauroso e decisivo, con l’ombra.227

II. 4. La Nékuia. Seguiamo quindi Lavagetto nella sua ricostruzione dell’itinerario proustiano, e scopriamo che nei passaggi proustiani evocati da Lavagetto a proposito della Νέκυια si inserisce, in filigrana, un riferimento a Maeterlinck. Lo scrittore belga assume per Proust il valore di una tentazione che lo distoglie dal decisivo confronto con l’ombra. Il 20 dicembre 1902 Proust scrive una lunga lettera ad Antoine Bibesco (lo stesso amico che in quell’anno gli aveva prestato Le Temple enseveli): Tout ce que je fais n’est pas du vrai travail, mais seulement de la documentation, de la traduction etc. Cela suffit à réveiller ma soif de réalisations, sans naturellement l’assouvir en rien. Du moment que depuis cette longue torpeur j’ai pour la première fois tourné mon regard à l’intérieur, vers ma pensée, je sens tout le néant de ma vie, cent personnages de romans, mille idées me demandent de leur donner un corps comme ces ombres qui demandent dans L’Odyssée à Ulysse de leur faire boire un peu de sang pour les mener à la vie et que le héros écarte de son épée. J’ai réveillé l’abeille endormie et je sens bien plus son cruel aiguillon que ses impuissantes ailes. J’avais asservi mon intelligence à mon repos. En défaisant ses chaînes j’ai cru seulement délivrer un esclave, je me suis donné un maître, que je n’ai pas la force physique de contenter et qui me tuerait si je ne lui résistais pas.228

In questo passaggio, in cui si rappresenta drammaticamente il conflitto interiore che sfocerà nella nascita della Recherche, il riferimento a Ulisse si colora di una luce particolare perché un analogo riferimento è presente in uno degli arti227. M. Lavagetto, La dedica e il sacrificio, cit., p. 356. 228. M. Proust, Corr, t. III: 1902-1903, p. 196. Il passo al quale qui fa riferimento Proust è il seguente: Omero, Odissea, XI, vv. 34-50: «E quando ebbi implorato con voti e suppliche le stirpi dei morti, afferrai le bestie e le sgozzai sulla fossa, scorreva il loro sangue scuro. Fuori dall’Erebo si radunarono le anime dei trapassati: fanciulle, ragazzi, vecchi che molto soffrirono, giovani donne dall’animo nuovo al dolore; molti guerrieri caduti in battaglia, colpiti da lance di bronzo, con le armi macchiate di sangue. Si affollavano intorno alla fossa, da ogni parte, con grida acute: un livido terrore mi colse. Ordinai ai compagni di scuoiare e bruciare le bestie che giacevano uccise dal bronzo crudele e di invocare gli dei, Ade possente e la tremenda Persefone; io intanto con la spada sguainata stavo in guardia e non permettevo che le ombre vane dei morti si accostassero al sangue prima che avessi interrogato Tiresia» (Odissea, introduzione e traduzione di M.G. Ciani, commento di E. Avezzù, Venezia, Marsilio, 2003, p. 367).

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coli del Temple enseveli che Proust aveva letto proprio in quell’anno. La lettura è tanto più interessante dal punto di vista di Proust – e di un Proust nel bel mezzo di una crisi spirituale – in quanto l’argomento del saggio è: Le passé. La contrapposizione che a prima vista potrebbe apparire con l’immagine di Proust fissata per noi lettori dalla Recherche non è frontale, ma si alimenta di molti punti di contatto. In particolare due argomenti del saggio possono essere considerati sottoscrivibili anche da Proust: il carattere soggettivo del passato, l’idea che il passato è una nostra creazione e che dipende dalla prospettiva in cui ci poniamo (quello che Maeterlinck chiama carattere prospettico della memoria), e la distinzione bergsoniana fra un passato figé e un passato che ancora dura, attivo e operante in noi come coscienza morale.229 Invece un punto è sicuramente antiproustiano – ed è quello che qui ci interessa –: l’esaltazione della memoria volontaria, di un atteggiamento attivo (per non dire attivistico) nei confronti della memoria. Maeterlinck passa in rassegna tutti i luoghi comuni riguardanti il passato: il passato è passato, mentre al contrario secondo lui «le passé est toujours présent»;230 noi portiamo il peso del nostro passato, mentre al contrario è il passato che porta il nostro peso; niente può cancellare il passato, mentre al contrario il presente e l’avvenire, al minimo segno della nostra volontà, percorrono il passato e vi cancellano tutto quello che ingiungiamo loro di cancellare.231 Il passato non è né irreparabile, né indistruttibile, e coloro che lo pensano hanno all’opposto un presente che è irreparabile e che impedisce loro di volgersi verso il passato.232 Anche coloro che si lamentano di non trovare niente di buono nel loro passato, si sbagliano: è il presente infatti che detta quello che troviamo nel passato: «vous y voyez exactement ce que vous y mettez dans l’instant même que vous le regardez».233 Per questa dipendenza del passato dal presente, Maeterlinck sfiora la concezione di Bergson della memoria utilitaristica. La memoria si modella a seconda delle esigenze del presente, e le ricostruzioni del nostro passato variano a seconda delle esigenze del presente ovvero della qualità morale dell’essere che si rivolge al proprio passato: Notre passé dépend tout entier de notre présent et change perpétuellement avec lui. Il prend immédiatement la forme des vases dans lesquels notre pensée d’aujourd’hui le recueille. Il est contenu dans notre mémoire, et rien n’est plus variable et plus impressionnable, rien n’est moins indépendant que cette mémoire, alimentée et travaillée sans 229. Cfr. l’importante saggio di S. Poggi, Fonti ovvie e trascurate. Le Temple enseveli di Maurice Maeterlinck e Le Temps retrouvé di Marcel Proust, «Rivista di estetica», a. LII, 49, I/2012, pp. 385-396. 230. M. Maeterlinck, Le passé, in Le Temple enseveli, cit., p. 205. 231. In verità questa funzione nel testo proustiano è assunta dall’Oblio. 232. Per tutti questi concetti che presentano una patente affinità con la durata vivente di Bergson cfr. le importanti riformulazioni di E. Minkowski, Il tempo vissuto…, cit. 233. Ivi, p. 206.

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cesse par notre cœur et notre intelligence, qui deviennent plus petits ou plus grands, meilleurs ou pires selon les efforts que nous faisons.234

Anche qui, come si vede, il testo di Maeterlinck costeggia quello proustiano attribuendo alla stessa metafora dei vasi un valore del tutto differente. La concezione qui espressa della vita morale fondata sull’effort che costituisce il fondamento della sua libertà può trovare analogie in Bergson (Essai sur les données immédiates), il quale riprende a sua volta Maine de Biran. A seconda della qualità morale dell’essere che si rivolge al proprio passato, ovvero della sostanza che ne accoglie gli eventi, le ricostruzioni del passato cambiano ed eventi che parevano immutabili trovano una diversa configurazione: Ce qui importe à chacun de nous dans le passé, ce qui nous en reste, ce qui est partie de nous-mêmes, ce ne sont pas les actes accomplis ou les aventures subies, ce sont les réactions morales que produisent en ce moment sur nous les événements qui ont eu lieu; c’est l’être intérieur qu’ils ont contribué à façonner; et ces réactions qui créent l’être intime et souverain dépendent entièrement de la manière dont nous envisageons les événements révolus. Elles varient suivant la substance morale qu’elles rencontrent en nous. Or, à chaque degré que gravissent notre intelligence et nos sentiments, la substance morale de notre être se modifie; et aussitôt les plus immuables faits qui paraissent scellés dans la pierre et le bronze revêtent un aspect tout différent, se déplacent et se raniment, nous donnent des conseils plus vastes et plus courageux, entraînent la mémoire dans leur ascension, et d’un amas de ruines qui pourrissaient dans l’ombre, reforment une cité qui se repeuple et sur laquelle le soleil se lève de nouveau.235

È interessante notare l’immagine ascensionale dei gradini, così come il ricomporsi di una città, che presuppone un’ascesa ed una costruzione, su cui brilla platonicamente il sole. Ancora una volta Maeterlinck insiste sul carattere utilitario della memoria, ed afferma che occorre distinguere tra il passato che ci invade quando abbiamo cessato di esercitare un’azione morale nel presente e il passato sul quale noi non cessiamo di esercitare retroattivamente un’azione quando viviamo e cambiamo nel presente. Si vede chiaramente che è molto vicina la distinzione bergsoniana tra il passato che serve all’azione e il passato che è contemplato in un momento di distacco dall’azione, e che finisce con l’invadere il contemplatore con le sue rievocazioni. Maeterlinck accentua il carattere morale di questa distinzione (presente anche in Bergson) ponendo il polo positivo tutto rivolto verso il presente e l’azione, e mostrando invece come il passato puro fiacchi la volontà e sia fonte esclusivamente di tristezza e rimpianto: 234. Ivi, pp. 206-207. 235. Ivi, pp. 207-208.

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C’est arbitrairement que nous situons derrière nous un certain nombre d’événements. Nous les reléguons à l’horizon de nos souvenirs; et une fois là, nous nous imaginons qu’ils appartiennent à un monde dans lequel tous les efforts des hommes réunis ne peuvent pas relever une fleur ni essuyer une larme. Mais, étrange contradiction! tout en admettant que nous n’avons plus aucune action sur eux, nous sommes convaincus qu’ils agissent sur nous. La vérité est qu’ils n’agissent sur nous qu’autant que nous renonçons à agir sur eux. Le passé ne s’affirme que pour ceux en qui la vie morale s’est arrêtée. Il ne se fixe dans sa forme redoutable qu’à partir de cet arrêt. A compter de ce point il y a vraiment derrière nous de l’irréparable, et le poids de ce que nous avons fait descend sur nos épaules. Mais tant que nous ne nous interrompons pas de vivre par l’esprit et le caractère, il demeure en suspens sur notre tête; et pareil à ces images complaisantes qu’Hamlet montre à Polonius, il attend que notre regard lui transmette la figure d’espérance ou de crainte, de trouble ou de sérénité, que nous élaborons en nous.236

Secondo Maeterlinck, il passato contemplato è un passato esteriorizzato, materializzato in evento che tende a ritornare e ad invadere la porta (è costante quest’immagine per distinguere ciò che appartiene al mondo della coscienza viva da ciò che invece è ridotto ad esercitare una funzione materiale, appartenente al mondo esteriore). «Dès que notre activité morale s’alentit, les événements accomplis accourent et nous assaillent; et malheur à celui qui leur ouvre la porte et les laisse s’installer à son foyer!»237 Qui si tocca nella patente contraddizione tutta la strada percorsa da Maeterlinck dal 1891, quando egli proponeva una morale fondata sulla fedeltà agli avvenimenti, emanazioni del nostro inconscio, anche se dolorosi («Mais malheur à l’homme qui ne se trouve pas au rendez-vous de l’événement!»238), e il 1902, quando propone quella stessa immagine ottimistica e positiva di sicurezza soddisfatta (il chiudersi la porta alle spalle) che tutta la prima parte della sua produzione aveva inteso mostrare come inane e moralmente sprovveduta. Il testo prosegue affermando che anche il passato migliore, se torna non come un ospite che invitiamo, ma come un parassita che s’impone, è capace soltanto di degenerare e di produrre rimpianti, diventando dannoso come il passato più lugubre. Maeterlinck caldeggia una disciplina della memoria, per cui il passato dev’essere legato anzitutto al presente, per cui la memoria dev’essere volontaria: Pour tirer du passé ce qu’il contient de précieux – et il contient presque toutes nos richesses – il faut aller à lui aux heures où notre force est dans sa plénitude, entrer en maître en son domaine, y choisir ce qui nous convient, et lui laisser le reste, en lui défendant de franchir notre seuil sans notre ordre.239 236. Ivi, pp. 208-209. 237. Ivi, p. 209. 238. Cfr. supra, p. 89. 239. Ivi, p. 210.

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Per Maeterlinck siamo noi i padroni del passato, mentre Proust, nella sua lettera, si mostra come colui che, credendo di liberare uno schiavo, si è dato un padrone. Ed eccoci al punto. Maeterlinck cita lo stesso episodio dell’Odissea (la Νέκυια di Ulisse) che Proust cita in quella lettera, ma con intento diametralmente opposto: per Proust si trattava di dare ascolto ai morti che chiedono di tornare in vita, qui per Maeterlinck si tratta di non dare ascolto alle voci del passato se non per il tempo e per le esigenze del presente: Mais nous passerons outre, sans retourner la tête, écartant de la main la foule des souvenirs, comme le sage Ulysse, dans la nuit Cimmérienne, à l’aide de son épée, écartait du sang noir qui devait les faire revivre et leur rendre un instant la parole, toutes les ombres de morts – même celle de sa mère – qu’il n’avait pas mission d’interroger.240

Se quest’affermazione appare patentemente in contrasto con quella inversa di ‘disciplina della memoria’, fondata sugli istanti privilegiati delle resurrezioni involontarie, che Proust proporrà al narratore al termine della sua opera, ci sembra tuttavia di poter affermare che le argomentazioni di Maeterlinck, con i loro echi bergsoniani e nietzscheani, potevano avere qualche attrattiva per Proust in un momento di crisi, rappresentare una soluzione economica a quel bisogno di riposo che Proust sente in una profonda lacerazione esistenziale. E infatti Proust parla di un padrone interiore che egli ha risvegliato volgendo per la prima volta dopo tanti anni lo sguardo in se stesso, che non ha la forza fisica di accontentare e che minaccia di ucciderlo. Proprio così: la posta in gioco che Proust avverte ed esprime nella sua lettera a Bibesco come contropartita del dovere di resuscitare i morti è la sua stessa vita. Maeterlinck si pone invece con tutto lo splendore e l’attrattiva di un contraltare, tanto più seducente in quanto le affermazioni di fondo del suo saggio non sono poi così lontane da Proust: anche Maeterlinck afferma che il passato è il centro della nostra vita, attraverso l’immagine del fuoco e del tesoro sepolto: «En réalité, cette ville morte est souvent le foyer le plus actif de l’existence; et selon l’esprit qui les y ramène, les uns en tirent toutes leurs richesses, les autres les y engloutissent».241 L’immagine della città morta, paesaggio desolato di rovine, apre il saggio di Maeterlinck evidenziando due opposte funzioni, una mortifera dell’acqua (un fiume separa la città del passato, ormai cumulo di detriti, dal presente) e una vivificatrice del fuoco (nelle profondità sotterranee questa città contiene un fuoco dal quale potrà risorgere). Il saggio di Maeterlinck è animato sotterraneamente da una profonda tensione utopistica che impone il ripristino e il recupero, se non addirittura molto di più: la rifondazione della cit240. Ivi, pp. 210-211. 241. Ivi, p. 202.

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tà in rovina. L’immagine della città in rovina inoltre si rinforza attraverso un altro riferimento presente in uno scritto anteriore di Maeterlinck, una recensione al libro di Iwan Gilkin La Damnation de l’artiste (1890). Qui l’immagine della città in rovina è esplicitamente Sodoma.242 Senza addentrarci in sterili speculazioni psicologiche, cui tuttavia i ricordi consegnati nella autobiografia di Maeterlinck potrebbero fornire qualche appiglio,243 occorre ancora una volta sottolineare la differenza che separa questo scritto del 1890 da quello del 1902. Nel 1890, la morale di Maeterlinck è che solo il desiderio e l’inconscio sono veramente innocenti, e che il male è qualcosa di artificiale e non voluto. Il vettore dell’immagine della città in rovina che rinasce è discendente: Et voici que les candeurs étouffées s’érigent, s’épandent, s’épanouissent, apparaissent seules natales, admirablement et puissamment inconscientes, au-dessus du mal irréel et voulu. Là où l’horreur manque il n’y a ni amour ni lumière, dit Hello; et l’horreur est exactement ici l’exaspération de la splendeur, le blasphème est le dépit de l’adoration inavouée, la cruauté est le spasme suprême de la pitié, et la haine est la frénésie de l’amour. Et voici le revers de l’impression première. Le mal qui s’étalait come une ville maudite au sommet de la montagne est absorbé avec toutes ses ruines en une expansion et un épanouissement légitimes, attendris et magnifiques d’inconscience. L’horreur aux mille alliages est le vase extraordinaire où sont recueillies les eaux saintes et muettes que l’œuvre épand à son insu peut-être.244

Questa concezione del sadismo (altro concetto fondamentale della poetologia di Maeterlinck, affine alla comunione con la vita sopra illustrata) ha molti tratti in comune con Proust, in quanto anche Proust mette in risalto l’artificialità e la fondamentale innocenza di ogni malintesa concezione melodrammatica del male, mentre scavando alle radici del sadismo pone che la vera radice di ogni male è l’indifferenza del cuore. Maj, illustrando questi concetti, mostra che Proust si muove sulla stessa linea di Sade, ovvero conserva il nesso metafisico che congiunge il male alla divinità, la crudeltà al 242. M. Maeterlinck, La Damnation de l’artiste, in Introduction à une psychologie…, cit., p. 76 : «On circule autour des incandescents faubourgs de Sodome, et on entrevoit avec étonnement en certains angles secrets des murailles, des lys d’une fraîcheur attentive et obstinée. À quoi faut-il s’en tenir? Il est insolite d’éprouver ces inquiètes blancheurs aux portes de l’enfer, et de voir ces fleurs étranges et prépondérantes, se mirer en l’eau morte où sommeille Gomorrhe. Est-ce l’ange qui rafraîchit les flammes en passant au travers, ou le séculaire ennemi de l’ange qui attise les fraîcheurs qu’il voudrait malgré tout?» 243. M. Maeterlinck, Bulles bleues. Souvenirs heureux, in Œuvres I…, cit., p. 680. In un paragrafo di questa autobiografia, Amitiés tendres, Maeterlinck evoca le amicizie del collegio Sainte-Barbe di Gand attribuendone il sottinteso carattere omoerotico alla severità dell’educazione religiosa lì impartita, responsabile del sospetto di peccato che avvelenava qualsiasi relazione amicale. 244. M. Maeterlinck, La Damnation de l’artiste, in Introduction à une psychologie…, cit., p. 77.

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creaturale, radicalizzandone anzi la concezione. Questo nesso permette di stabilire, nella modernità, la fondatezza dell’idea del tragico sulla base del tragico antico (in particolar modo l’Antigone) e di caratterizzare come tragici alcuni eventi storici.245 È proprio questo nesso a venire meno in Maeterlinck dal 1890 al 1902: con la conseguenza che se nel momento di transizione del 1890 l’elemento naturale, con l’innocenza che gli è connaturata, finiva per sommergere il paesaggio di rovine, auspicando una rinascita naturale al posto del carattere artificiale e non voluto del male nella città, nel passaggio del 1902 la città morta è rifondata dalle fondamenta, eliminando ogni traccia di rovina. Fra queste tracce è lecito annoverare anche le tombe dei defunti? Se si segue il ragionamento di Maj la risposta non può essere che affermativa. Ciò è corroborato dal carattere anti-tragico che assume la drammaturgia di Maeterlinck a partire da questo momento. Comunque stiano le cose, l’immagine della Νέκυια di Ulisse ritorna in un testo di Proust del 1907, Journées de lecture, articolo apparso su «Le Figaro» del 20 marzo 1907 come recensione ai Mémoires di Mme de Boigne, che ispirerà a Proust il personaggio di Mme de Villeparisis. Giunto alla conclusione dell’articolo, Proust si scusa con i lettori di avere lasciato spazio alla digressione senza riuscire ad abbordare l’oggetto che si era prefisso, ovvero lo snobismo e la posterità. E qui compare l’immagine di Ulisse: Et si alors quelqu’un des fantômes qui s’interposent sans cesse entre ma pensée et son objet, comme il arrive dans les rêves, vient encore solliciter mon attention et la détourner de ce que j’ai à vous dire, je l’écarterai comme Ulysse écartait de l’épée les ombres pressées autour de lui pour implorer une forme ou un tombeau.246

Commenta Lavagetto: Rispetto alla lettera a Bibesco del dicembre 1902, le funzioni e i ruoli appaiono modificati sullo scenario come sempre evocato con molta libertà da Proust. Se erano le mille idee e i mille personaggi di romanzo a chiedere di essere ricondotti alla vita e a essere tenuti lontani dalla spada, ora ad assumere il ruolo di ombre minacciose sono i fantasmi che si frappongono tra il pensiero e il suo oggetto. Nel primo caso la spada veniva impugnata per sottrarsi a un compito pericoloso, nel secondo – con un radicale rovesciamento – la spada deve tutelare quel compito, permetterne la realizzazione mettendo al bando ogni possibile elemento di disturbo.247

Fra il 1902 e il 1907 molte cose sono cambiate nella vita di Proust: la morte del 245. B. Maj, Idea del tragico…, cit., p. 132. 246. M. Proust, Journées de lecture, in CSB, cit., p. 532. 247. M. Lavagetto, La dedica e il sacrificio, cit., pp. 361-362.

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padre (1903) e quella della madre (1905) lo consegnano a un faticoso lavoro di rielaborazione del lutto, ammirevolmente ricostruito da Lavagetto.248 Da quel doloroso processo sorse il rivolgimento interiore di cui è questione – punto genetico della Recherche. L’articolo del 1907, testimonianza di questo rivolgimento, conteneva anche una lunga digressione sulla sopravvivenza dei fatti minimi nella storia, grazie al lavoro degli archeologi, degli archivisti e degli scrittori di mémoires, in cui fa capolino nuovamente l’immagine della caverna. Per Proust sembra una costante associare la Νέκυια alla caverna. E anche qui vediamo affiorare un riferimento a Maeterlinck. La digressione tagliata dai redattori del giornale s’inseriva all’interno di un paragone tra i mémoires e le vedute ottiche delle esposizioni, che presentavano in primo piano manichini di cera a grandezza naturale per introdurre i piani digradanti del paesaggio.249 All’interno di questo passaggio s’inseriva una lunga digressione che i redattori del giornale tagliarono, e che Proust dichiarò di preferire al resto dell’articolo. Il tema, sfiorato anche nella Recherche, era la conservazione integrale del passato, anche nei suoi dettagli apparentemente più futili, grazie ai ritrovamenti storici di cronache e archivi che ci permetterebbero di sapere quanti erano gli invitati alle battute di caccia di Assurbanipal, i nomi dei suoi ospiti e dei suoi cani da caccia. Affiora qui un tema presente anche nelle annotazioni di Maeterlinck: il carattere prospettico della memoria storica, la falsa prospettiva che nasce per il lettore di storia dalla vivezza e minuziosità dei dettagli con cui ci appaiono i popoli antichi: il che conferisce alla storia una stupefacente uniformità e ci permette di guardare con distacco, quasi fossero già in cornice e tramandate alla posterità, anche le vicende più intriganti e più attuali. Proust si serve dell’immagine delle catacombe per mostrare questa integrale sopravvivenza del passato: Mais voici que les archéologues et les archivistes nous montrent, au contraire, que rien n’est oublié, rien n’est détruit, que la plus chétive circonstance de la vie, la plus éloignée de nous, est allée marquer son sillon dans les immenses catacombes du passé où l’humanité raconte sa vie heure par heure; qu’il n’est pas un champ de Crète, d’Égypte 248. M. Lavagetto, Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust, Torino, Einaudi, 2011. 249. M. Proust, Journées de lecture, CSB, cit., pp. 531-532 : « Les Mémoires de la fin du XVIIIe siècle et du commencement du XIXe, comme ceux de la comtesse de Boigne, ont ceci d’émouvant qu’ils donnent à l’époque contemporaine, à nos jours vécus sans beauté, une perspective assez noble et assez mélancolique, en faisant d’eux comme le premier plan de l’Histoire. Ils nous permettent de passer aisément des personnes que nous avons rencontrées dans la vie – ou que nos parents ont connues – aux parents de ces personnes-là, qui eux-mêmes, auteurs ou personnages de ces Mémoires, ont pu assister à la Révolution et voir passer MarieAntoinette. De sorte que les gens que nous avons pu apercevoir ou connaître – les gens que nous avons vus avec les yeux de la chair – sont comme ces personnages en cire et grandeur nature qui, au premier plan des panoramas, foulant aux pieds de l’herbe vraie et levant en l’air une canne achetée chez le marchand, semblent encore appartenir à la foule qui les regarde, et nous conduisent peu à peu à la toile peinte du fond, à qui ils donnent, grâce à des transitions habilement menagées, l’apparence du relief de la réalité et de la vie ».

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ou d’Assyrie où n’attendent, depuis les premiers âges, que vienne se soucier d’eux l’Histoire […]250

Secondo il testo di Proust, tale difetto di prospettiva non riguarda soltanto i fatti dell’antichità, ma anche la storia recente. Tutti i dettagli della vita degli oscuri rivoluzionari ci sono stati tramandati: Proche ou lointain, presque contemporain de nous ou antehistorique, il n’est pas un détail, pas un entour de vie, si futile e fragile qu’il paraisse, qui ait péri. Et si la fleur d’un rosier de Thèbes ou le rayon d’une ruche de l’Hymette fut oublié au fond d’un hypogée il y a des centaines de siècles, le savant qui y pénètre le premier les retrouve si intacts qu’il est obligé d’en disputer la proie millénaire et pourtant fraîche aux abeilles du présent, aux abeilles d’aujourd’hui qui, sur le soleil de la route, s’y meprennent et la lui voudraient arracher.251

Qui Proust mette in scena un’altra catabasi: quella dello storico e del naturalista nelle catacombe, negli ipogei del passato storico. L’analogia fra lo storico e il naturalista, se da un lato riallaccia Proust alla concezione storiografica del suo tempo, per cui la storia è ricerca di leggi in analogia con le scienze naturali, dall’altro lato proietta il mondo della natura in una dimensione storica, affine alla concezione benjaminiana dell’allegoria come paesaggio naturale pietrificato. All’interno di questo paesaggio pietrificato, tuttavia, vi sono alcuni fenomeni suscettibili di salvazione: il roseto e il favo di miele, sui quali le api del presente ancora si posano. Sono proprio i dettagli apparentemente più inutili, più dimessi della vita quotidiana, quelli dimenticati da secoli, a rendere possibile una redenzione della storia, giusta la concezione di Benjamin: La preistoria e la storia futura di tali essenze sono, a segno della loro salvazione o della loro assunzione entro l’ordito del mondo delle idee, non una storia pura, bensì una storia naturale. La vita delle opere e delle forme, che sotto questa protezione soltanto si dipana chiara e non disturbata dalla vita umana, è una vita naturale. Quando si constata quest’essere salvato nell’idea, la presenza della preistoria come della storia futura, inautentiche e cioè naturali, è virtuale. Essa non è più prammaticamente reale bensì soltanto riscontrabile in quanto storicità naturale nello stato perfetto e pervenuto ormai alla quiete, nell’essenzialità.252

250. M. Proust , CSB, cit., p. 925, n. 2. 251. M. Proust , CSB, cit., p. 926, n. 2. Questo passaggio che, come vedremo poco più oltre, riecheggia in modo diretto un’immagine fondamentale di Maeterlinck, potrebbe avere come fonte anche una nota di Schopenhauer sulla persistenza del passato nel presente come germoglio di un seme disseccato dall’antichità, preso da un vaso egiziano del British Museum: «Fin anche nel regno organico, vediamo un seme disseccato conservare per tremila anni la forza che vi riposa, e poi, al presentarsi di circostanze favorevoli, germogliare e sorgere in pianta» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà…, l. II, § 26, p. 175 e n. 1 correlata). 252. W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, cit., pp. 25-26 (corsivo nostro).

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La possibilità benjaminiana di una redenzione della storia trova conferma e autorizzazione nelle annotazioni che Proust riserva al mondo della storia, questo doppio naturale degli eventi, incapsulato allegoricamente in un ipogeo. Le analogie con il fenomeno tipicamente proustiano della résurrection du passé fondano questa concezione. Accanto a Benjamin, occorre tuttavia interrogare un altro lettore di Proust, Paul Ricœur, che nel suo discorso fonda l’affinità fra il lavoro dello storico e quello del romanziere. In Temps et récit253 troviamo l’esposizione delle aporie della temporalità attraverso un confronto storico che si sviluppa passando dal tempo dell’anima di Agostino a quello cosmologico di Aristotele. L’aporia fondamentale che la filosofia trova nel fornire la sua definizione del tempo, perpetuamente oscillante tra i due poli repulsivi ma incrociati della temporalità interiore e della cosmologia, si ripropone in forma moderna nel confronto, che Ricœur istituisce, tra Husserl e Kant, e infine esplode nelle tre dimensioni del tempo di Heidegger. Questa aporia continua, in prospettiva fenomenologica, la grande contrapposizione fra il tempo dell’anima e il tempo del mondo. La scommessa di Ricœur consiste nell’invertire il senso di occultamento che Heidegger attribuisce alla temporalità ordinaria, mostrando che nei gradini discendenti della storicità e dell’intratemporalità – ovvero nelle due dimensioni sempre più mondane del tempo in cui ha luogo un livellamento delle estasi temporali originarie in una sequenza di ‘ora’ –, ciò che è in gioco non è una progressiva dispersione e perdita di senso, ma, al contrario, una produzione di senso. Il tempo cosmologico – il tempo degli orologi e dei calendari, il tempo della ricerca storica e della ricerca scientifica – costituisce non un polo distruttivo, ma costruttivo, un serbatoio di senso verso cui si proietta la temporalità originaria, al punto che essa costituisce l’inveramento delle tre estasi originarie. Ciò non sottrae, nell’interpretazione di Ricœur, il pensiero di Heidegger all’implosione interna delle aporie precedentemente considerate, che assume la forma del contrasto fra temporalità originaria e temporalità mondana. Due sono i protagonisti convocati da Ricœur a sanare la frattura: da un lato il racconto storico, dall’altro il racconto di finzione, esemplificato in particolare da tre favole sul tempo: Mrs Dalloway di Virginia Woolf, Der Zauberberg di Thomas Mann e À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. Questo intreccio che avviene tra storiografia e racconto di finzione – per cui entrambe aprono al lettore un mondo di attesa dove sarà la sua lettura a saldare il percorso frastagliato fra i due lati del tempo – costituisce un connettivo fra i due lati del tempo fenome253. P. Ricœur, Tempo e racconto I, cit.; Id., Temps et récit II. La configuration dans le récit de fiction, Paris, Seuil, 1984, trad. it. di G. Grampa, Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto di finzione, Milano, Jaca Book, 1985; Id., Temps et récit III. Le temps raconté, Paris, Seuil, 1985, trad. it. di G. Grampa, Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, Milano, Jaca Book, 1988.

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nologico, quello che Ricœur definisce un ‘terzo tempo’, ovvero propriamente il tempo umano.254 Nella lettura fornita da Ricœur, l’esplorazione della Recherche proustiana occupa un posto privilegiato, poiché Ricœur scorge un singolare sdoppiamento del valore assegnato da Proust all’eternità: da un lato la scoperta di essenze atemporali, dall’altro il compito di incorporare il tempo nella scrittura. A questo si aggiunge la doppia polarizzazione dell’opera, gravitante, come è noto, su due episodi, l’uno iniziale, l’altro conclusivo, quelli che Ricœur chiama Ricerca e Illuminazione, Attesa e Visitazione. Il valore di gioco con il tempo che assume la favola della Recherche consiste proprio in questa unione fra le due parti, unione in cui avviene l’esplorazione della mondanità – e il progressivo disincanto che ne è il frutto. È proprio il senso della ricerca a fare dell’opera proustiana un terreno di verifica privilegiato per Ricœur, il quale mostra che la pluralizzazione fenomenologica delle temporalità trova nel campo del racconto di finzione una specola privilegiata, un cantiere dove possono essere esplorate le sottili divaricazioni alle quali la filosofia non ha potuto dare risposte definitive. Proprio nell’esplosione del tempo che avviene, per Proust, attraverso l’immersione nei mondi dell’amore e della mondanità, da dove emerge la necessità di recuperare il valore del sapere indiziario e dell’induzione, consiste il rovesciamento della formula tradizionale del Bildungsroman: il ritrovamento finale della verità non avviene per progressiva accumulazione di indizi ma per caso, come un vento che sparpaglia tutte le certezze acquisite e trasporta, letteralmente, in un altro tempo, in un’aria nuova che tuttavia è già stata respirata in precedenza. La pratica e la teoria acquisita nell’esplorazione dei mondi anteriori non va perduta, ma viene recuperata in altra funzione, quella di fornire una configurazione al racconto. È qui che lo sforzo del romanziere diviene quello di un narratore – e si colloca in singolare parallelismo con quello dello storiografo. A conforto di questo parallelismo si possono fornire alcuni elementi. In primo luogo, a parte il riferimento all’immagine del Temps retrouvé che paragona il cantiere del tempo ad una cava di pietra da cui il ricordo, geniale statuario, trae innumerevoli figure,255 occorre citare almeno un’altra breve 254. Cfr. C. Ginzburg, Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Milano, Feltrinelli, 1998. 255. TR, RTP, IV, p. 464 : «Et ma personne d’aujourd’hui n’est qu’une carrière abandonnée, qui croit que tout ce qu’elle contient est pareil et monotone, mais d’où chaque souvenir, comme un sculpteur de génie tire des statues innombrables». Importante è notare come il genio dello scultore nell’immagine citata sappia trarre differenze da una materia apparentemente uniforme, ovvero sappia sviluppare le potenzialità inespresse della materia e le virtualità contenute nelle sue striature. Il paragone dell’attività spirituale con quella dello scultore che sa sfruttare le vene e i nodi della pietra appartiene pienamente a Leibniz. Lo stesso paragone delle idee con le venature minerali di un blocco di marmo è presente nell’Avant-propos dei Nouveaux essais sur l’entendement humain: « Car si l’âme ressemblait à ces tablettes vides, les vérités seraient en nous comme la figure d’Hercule est dans un marbre, quand le marbre est tout à fait indifférent à recevoir ou cette figure ou quelque autre. Mais s’il y avait des veines dans la pierre qui marquassent la figure d’Hercule préférablement à d’autres figures, cette

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frase dell’ouverture della Recherche in cui il narratore caratterizza la propria posizione all’interno di una stanza che nessun ricordo e nessuna immagine gli consentono di identificare: «j’étais plus dénué que l’homme des cavernes».256 Sono delle immagini di oggetti di uso quotidiano dal valore singolarmente datato – una lampada a petrolio e delle camicie dal colletto rivoltato – a rendere possibile una prima ricognizione e ricostituzione dell’universo della stanza. Sono degli oggetti storici, dei mondanamente utilizzabili, secondo Heidegger, delle tracce, secondo Ricœur, che rendono la stanza abitabile. L’ingresso nel racconto ha anche il senso di un ingresso nella storia: «je passais en une seconde par-dessus des siècles de civilisation, et l’image confusément entrevue de lampes à pétrole, puis de chemises à col rabattu, recomposaient peu à peu les traits originaux de mon moi».257 L’io del narratore proustiano si separa ma emerge quindi da uno sfondo storico; nella caverna proustiana, esattamente come nella caverna di Platone trovavano posto statue ed altri simulacri di oggetti di uso comune, l’io ha uno sfondo storico dal quale proviene e sul quale commisura la propria identità. L’emersione del mito della caverna in Proust è singolarmente significativa se la si commisura a quanto Cassirer narra dei grandi storici tedeschi dell’Ottocento fondatori dello storicismo: Niebhur e Ranke utilizzano entrambi la metafora del lavoro sotterraneo dei prigionieri della caverna platonica, impegnati a discernere le ombre sulla parete, come metafora del lavoro dello storico che non si volge alla luce delle essenze, bensì alle ombre delle realtà contingenti.258 Questa metafora passa, attrapierre y serait plus déterminée, et Hercule y serait comme inné en quelque façon, quoiqu’il fallût du travail pour découvrir ces veines, et pour les nettoyer par la polissure, en retranchant ce qui les empêche de paraître. C’est ainsi que les idées et les vérités nous sont innées, comme des inclinations, des dispositions, des habitudes ou des virtualités naturelles, et non pas comme des actions» (G.W. Leibniz, Nouveaux essais…, cit., p. 40). Proust riprende questa immagine in Du côté de chez Swann, dove paragona i ricordi a striature di rocce di diversa formazione, in cui si possono distinguere « sinon des fissures, des failles véritables, du moins ces veinures, ces bigarrures de coloration, qui dans certains roches, dans certains marbres révèlent des différences d’origine, d’âge, de "formation"» (CS, RTP, I, p. 184). 256. CS, RTP, I, p. 5. 257. Ivi, pp. 5-6. 258. E. Cassirer, Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, trad. it. dall’originale dattiloscritto tedesco di E. Arnaud, Storia della filosofia moderna. Il problema della conoscenza nei sistemi posthegeliani, Torino, Einaudi, 19585, vol. IV, pp. 356-357: «Vi è in Niebhur un notevole passo che è caratteristico di questo nuovo ideale e lo esprime in modo molto significativo. Lo storico è da lui paragonato a un uomo in una camera buia, i cui occhi si sono abituati all’oscurità in maniera tale da percepire oggetti che da uno appena entrato non solo non possono essere scorti, ma vengono dichiarati invisibili. Per me non vi è dubbio che il Niebhur introducendo questa immagine abbia pensato alla similitudine platonica della caverna. Ma egli volge questa similitudine in direzione esattamente opposta a quella che Platone le aveva data. Per Platone è certo che chi ha lasciato una volta la caverna e ha visto la luce del giorno non si curerà più di guardare semplici ombre, ma si volgerà alla conoscenza pura, alla geometria, in quanto conoscenza dell’eterno, e tornerà solo malvolentieri nel luogo dove era prima, giacché non riterrà conveniente mettersi a gareggiare con coloro che vi si trovano nel distinguere e interpretare delle ombre. Il Niebhur invece vuole non solo che noi manteniamo questa facoltà, ma che la perfezioniamo e la affiniamo al massimo grado; una volta egli definì in modo esplicito

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verso Renan, il quale affermava che lo storico deve imparare a discernere i rumori nel sotterraneo, direttamente in Proust, del quale Renan era amico di famiglia. È notevole quindi l’analogia con «les immenses catacombes du passé où l’humanité raconte sa vie heure par heure […]».259 Appare evidente l’analogia fra il lavoro dello storico e quello del romanziere, se si pone mente alla metafora finale del libro interiore di segni sconosciuti che sono segni in rilievo, appercepiti dalla coscienza del narratore come da quella di un palombaro che sondi le profondità di una caverna sottomarina: «signes en relief, semblait-il, que mon attention, explorant mon inconscient, allait chercher, heurtait, contournait, comme un plongeur qui sonde».260 In secondo luogo, assume importanza in Ricœur il concetto d’identità narrativa: «Il germoglio fragile nato dall’unione della storia e della finzione, è l’assegnazione ad un individuo o ad una comunità di una identità specifica che possiamo chiamare la loro identità narrativa».261 Questa costituzione non va senza quel lavoro di interpretazione delle tracce che abbiamo esemplificato poc’anzi, e che Ricœur descrive in questo modo: Il carattere immaginario delle attività che mediano e schematizzano la traccia si dichiara nel lavoro di pensiero che accompagna l’interpretazione di un reperto, di un fossile, di un mucchio di rovine, di un pezzo da museo, di un monumento: viene loro assegnato il loro valore di traccia, cioè di effetto-segno, solo figurandosi il contesto di vita, l’ambiente sociale e culturale, in una parola secondo l’annotazione di Heidegger prima ricordata, il mondo che, oggi manca, per così dire, attorno alla reliquia.262

Questo lavoro è analogo, in Proust, alla costituzione del personaggio. All’inizio della Recherche, è esemplificato questo lavoro di costruzione del personaggio con l’esempio della prozia, che iniettava nella scialba figura di Swann apparso sulla soglia del cancello del giardino tutte le nozioni da lei possedute sul suo conto e così la vivificava, costruendo una personalità di Swann come l’opera dello storico come «lavoro sotterraneo». Su che cosa si fonda questa diversità nel modo di pensare? Evidentemente deriva dal fatto che per il Niebhur l’oggetto del conoscere è diventato altro da quello che era per Platone. Mentre questi limita il sapere all’ὅντως ὥν e dichiara illusorio ogni sapere che non sia rivolto a questo essere puro, per il Niebhur è certo che il divenire come tale non solo è accessibile alla conoscenza, ma è l’unica forma di conoscenza idonea all’uomo in quanto essere che vive e ha uno svolgimento. L’uomo quindi può e deve aver cura di quegli organi che gli possono rendere visibile il divenire: in questa penombra, in questa luce crepuscolare del divenire deve scorgere e discernere determinate forme. Certo lo storico non può, come il dialettico, lasciare dietro di sé il mondo dei fenomeni. E in questo mondo dei fenomeni è e rimane soggetto al pericolo delle apparenze. Ma il suo compito consiste nel dominare queste apparenze elaborando determinati metodi con cui distinguere il fenomeno reale dall’inganno e dall’illusione». 259. Cfr. supra, p. 102. 260. TR, RTP, IV, p. 186. 261. P. Ricœur, Tempo e racconto Volume terzo…, cit., p. 375. 262. Ivi, p. 284.

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“amico di famiglia” del narratore perfettamente distinta da quella dello Swann “mondano”, e in cui non entravano le nozioni che lei non possedeva, relative alla brillante vita mondana di quest’ultimo ed ai suoi successi nelle relazioni aristocratiche. Quello Swann proferito a partire da un punto di vista soggettivo e corale – la prozia come portavoce della famiglia – è rivendicato da Proust, in una delle versioni del paratesto della Recherche, come avente lo stesso valore obiettivo e storico dello Swann più noto. È interessante osservare come l’oggettività storica rivendicata da Proust si costituisca – monadologicamente – attraverso l’istituzione di un punto di vista, e attraverso l’assegnazione, appunto a Swann, di una Identità narrativa nel senso poc’anzi citato: «Et il est agréable de penser», scrive Proust, qu’en réalité nous ne sommes pas même du point de vue le moins important et le plus matériel, une personne donnée, avec tout ce qu’il y a à savoir de nous et dont chaque personne chez qui nous nous transportons n’a qu’à prendre connaissance par un relevé purement matériel. Mais que le fantôme assez vague de notre personne est immédiatement transformé par ces personnes et transporté comme dans un paysage de tableau primitif dans le cadre où elles estiment que nous figurons à telle place et dans telle proportion. Et il n’est pas encore sûr que l’un ou l’autre de ces doubles soit plus vrai que les autres, et ait dans la nuit de la réalité et de l’histoire où nous apparaissons un moment, beaucoup plus de chance d’être vrai que celui que constituait Swann dans l’esprit de ma grand-tante, quand il parlait dans l’obscurité du jardin où on ne le reconnaissait qu’à la voix.263

Il personaggio è il dettaglio in luce che si staglia sul fondo di oscurità della storia, «la notte della storia»,264 come quei personaggi in primo piano che costituiscono una transizione rispetto allo sfondo. Emerge una concezione molto moderna della storia, una concezione soggettivistica e possibilizzante. Anche i personaggi di Proust sono chiamati a uscire fuori dalla caverna della storia per essere salvati.

263. M. Proust, Esquisse IX, CS, RTP, I, p. 672. 264. Troviamo l’espressione « notte della storia » anche in un saggio di Maeterlinck, a proposito della notte di Varennes in cui Luigi XVI fu arrestato dalle forze rivoluzionarie. Maeterlinck esprime un pensiero analogo a quello proustiano, ovvero, che la fatalità storica non esiste, che quello che ci racconta la storia ufficiale nasconde un immenso serbatoio di possibili, che sarebbero bastati, da parte di Luigi XVI, un comportamento diverso con i suoi sudditi incontrati lungo la strada e un piglio più deciso, per agevolare la sua fuga e consentirgli di lasciare il paese. «Et dans le moment décisif, dans cette sinistre et haletante nuit de Varennes, qui est une de ces nuits de l’histoire où la fatalité eût dû régner à l’horizon comme une inébranlable montagne, ne la voiton pas chanceler à chaque pas, cette fatalité, telle qu’un enfant qui marche pour la première fois et qui ne sait si c’est ce caillou blanc ou cette touffe d’herbe qui le fera choir à droite ou à gauche dans le sentier? » (M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., p. 48).

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II. 5. Variazioni maeterlinckiane sul mito della caverna. Tutto ciò assume un valore nell’economia del nostro discorso, essenzialmente comparatistico, perché il passaggio-chiave di Journées de lecture (1907) sulla sopravvivenza del passato nell’ipogeo265 sembra ripercorrere fedelmente le tracce di un passaggio di un libro di Maeterlinck dello stesso anno. In una raccolta di saggi che trae il titolo dal saggio proemiale, L’Intelligence des fleurs (1907), Maeterlinck fornisce, infatti, una personale ‘variazione’ sul mito della caverna, affine a quelle raccolte da Konrad Gaiser. Preferiamo denominare tale passaggio ‘variazione’ piuttosto che riscrittura poiché, secondo Miorelli, che ha studiato le riscritture novecentesche del mito della caverna, il termine riscrittura conviene di più agli autori postmoderni. In questo saggio, Maeterlinck mostra varie prove della presenza di un’intelligenza naturale delle piante, che si esprime soprattutto nei loro complicati congegni di fecondazione. In tale contesto schopenhaueriano, dove uomo e natura sono unificati dalle grandi forze della volontà e del desiderio, si inserisce la ‘variazione’ maeterlinckiana sul mito della caverna. È interessante notare da subito quanto il presupposto filosofico di Maeterlinck sia diverso da quello di Platone: per Platone la condizione umana è affetta da una pascaliana «mostruosità»; viceversa, lo scopo di Maeterlinck è di dimostrare l’umanizzazione della natura e la naturalità dell’umano, ovvero che nell’universo l’uomo non è un caso isolato, non è un mostro e neppure un’eccezione. Il mito della caverna, nelle mani di Maeterlinck, diventa un apologo in favore della natura. La condizione umana è descritta facendo nuovamente ricorso al mito della caverna, ma con una differenza: invece di immaginare, come fa Platone, una caverna parzialmente illuminata da fuochi sulla cui parete si riflettano delle ombre, Maeterlinck immagina una caverna completamente buia, dove gli occhi dei prigionieri abbiano finito con lo sviluppare una sensibilità alternativa, tattile. Egli immagina gli sforzi per adattare gli oggetti presenti nella caverna al loro uso appropriato, e le incertezze e le esitazioni che tuttavia condurrebbero a risultati non diversi da quelli di chi potesse gioire della piena luce: a dimostrazione che la condizione d’ombra non impedisce il lento progresso della conoscenza: Les points de repère de notre connaissance émergent lentement, parcimonieusement. Peut-être l’image fameuse de Platon, la caverne aux murs de laquelle se reflètent des ombres inexpliquées, n’est-elle plus suffisante; mais, si l’on voulait lui substituer une image nouvelle et plus exacte, elle ne serait guère plus consolante. Imaginez cette caverne agrandie. Jamais n’y pénétrerait un rayon de clarté. Excepté la lumière et le feu, 265. Articolo pubblicato da Marcel Proust sul «Figaro» del 20 marzo 1907 con il titolo: Les Récits d’une tante: Mémoires de la comtesse de Boigne, née d’Osmond (1781-1866), da non confondere con la prefazione ruskiniana che porta lo stesso titolo (1905).

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on l’aurait soigneusement pourvue de tout ce que comporte notre civilisation; et des hommes s’y trouveraient prisonniers depuis leur naissance. Ils ne regretteraient point la lumière, ne l’ayant jamais vue; ils ne seraient pas aveugles, leurs yeux ne seraient pas morts, mais n’ayant rien à regarder, deviendraient probablement l’organe le plus sensible du toucher.266

Maeterlinck è fedele all’immagine platonica nel presentarci una caverna antropizzata. Invece, lo spostamento dalla vista al tatto segna un deciso cambio di paradigma: dal paradigma metaforico della luce si passa a quello metonimico del tatto. Questi prigionieri proverebbero a servirsi degli oggetti della civiltà, e, attraverso molte deviazioni, perverrebbero a un risultato soddisfacente: Afin de nous reconnaître en leurs gestes, représentons-nous ces malheureux dans leurs ténèbres, au milieu de la multitude d’objets inconnus qui les entourent. Que de bizarres méprises, de déviations incroyables, d’interprétations imprévues! Mais qu’il paraîtrait touchant et souvent ingénieux le parti qu’ils auraient tiré de choses qui n’avaient pas été créées pour la nuit! … Combien de fois auraient-ils rencontré juste, et quelle ne serait pas leur stupéfaction, si tout à coup, à la clarté du jour, ils découvraient la nature et la destination véritables d’outils et d’appareils qu’ils auraient de leur mieux appropriés aux incertitudes de l’ombre?267

Come si vede, ciò che ha luogo nella caverna non è più il processo di liberazione che implica il brusco passaggio dalle tenebre alla luce, bensì un adattamento lento e paziente alle condizioni dell’ombra. L’uscita alla luce del sole non è presentata come l’esito di un processo inevitabile, ma viene introdotta al condizionale, come una semplice ipotesi. Il paradigma visivo – metaforico – della luce interviene solo come una controprova in più, come una verifica delle conoscenze che il lavoro dell’umanità avrebbe scoperto nell’ombra, guidato da una sua natura e da un suo istinto che la fa agire nella privazione. Quindi, se da un lato Maeterlinck riprende l’idea della prigionia e della privazione, dall’altro lato rinuncia all’intervento esterno e al paradigma di una luce numinosa, per fare agire l’umanità nell’ombra. La privazione di alcuni sensi non impedisce all’uomo di cercare ugualmente la verità, nella condizione in cui è relegato: «Pourtant, au regard de la nôtre, leur situation semble simple et facile. Le mystère où ils rampent est borné. Ils ne sont privés que d’un sens, au lieu qu’il est impossible d’estimer le nombre de ceux qui nous manquent».268 In questa situazione, assumono importanza i bagliori nel sotterraneo: sono le preziose testimonianze che ci vengono dall’intelligenza degli insetti e dei fiori. Esse dimostrano che l’uso di quegli og266. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, Paris, Charpentier, 1907, pp. 100-101. 267. Ivi, p. 101. 268. Ivi, p. 102.

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getti per noi sconosciuti che abbiamo penosamente adattato all’ombra è giusto anche dal punto di vista della luce: Puisque nous vivons dans une caverne de ce genre, n’est-il pas intéressant de constater que la puissance que nous y a mis, agit souvent et sur quelques points importants, comme nous agissons nous-mêmes? Ce sont des lueurs dans notre souterrain qui nous montrent que nous ne nous sommes pas trompés sur l’usage de tous les objets qui s’y trouvent; et quelquesunes de ces lueurs nous y sont apportées par les insectes et les fleurs.269

Come si vede, le uniche fonti di luce nella caverna sono dei bagliori, che provengono da simboli di regime notturno (essi sono anche gli unici oggetti provenienti dal regno naturale, in una caverna che è immaginata misteriosamente arredata di strumenti e attrezzi artificiali, forse lascito di abitatori più evoluti o idea del Dio che l’ha concepita come un’abitazione per gli uomini da lui creati). La caverna diventa un’incubatrice di esseri viventi, animali e piante, a dimostrare la loro parentela con l’umanità, come nel testo proustiano si parlava di un roseto e di un alveare. Qui il rapporto con il testo di Maeterlinck e il probabile debito di Proust nei confronti di Maeterlinck sono patenti. Tuttavia si evince anche una differenza fondamentale: per Maeterlinck non si dà evasione dalla caverna, mentre per Proust dalla caverna bisogna uscire e poi ritornarvi. Questa differenza investe anche il ruolo decisivo dell’immaginazione nella creazione letteraria. Secondo Blumenberg, svegliarsi e uscire alla luce dove incontrare il ricordo sulla soglia della caverna equivale a lasciare il mondo di pura possibilità del sonno per rendersi conto di aver avuto a che fare pienamente con la realtà. In Proust è forte la polarizzazione realtà/possibili. Se la storia è un serbatoio di possibili custoditi nella sua notte, deve esistere nondimeno una storia in luce che esprima la realtà? La questione è aperta. Quel che è certo è che il risveglio è la condizione di questa luce e di questa realtà nella propria singola monade. Tuttavia è necessario anche rientrare nella caverna e confrontarsi con la notte, come recita il finale della Recherche: «mais il me faudrait beaucoup de nuits, peut-être cent, peut-être mille».270 E qui ha un ruolo fondamentale l’immaginazione, facoltà deprezzata dallo stesso Proust in alcuni testi, fondandosi sui quali Bachelard afferma che Proust ha una concezione antiquata dell’immaginazione come facoltà meramente riproduttiva e non produttrice. Blumenberg sottolinea all’inizio del suo saggio che la memoria proustiana non esclude la modificabilità e la plasticità del passato: concetto caro anche a Maeterlinck e da lui espresso nel saggio Le passé, dove usa l’espressione «malléable»271 riferendola al passato, ed afferma che il pas269. Ibid. 270. TR, RTP, IV, p. 620. 271. M. Maeterlinck, Le passé, cit., p. 205.

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sato è interamente nelle nostre mani, come la pasta bachelardiana che può essere modellata a nostro piacimento. L’immaginazione che rielabora il passato è uno strumento fondamentale e una tappa imprescindibile della sua rielaborazione in scrittura.272 Tuttavia proprio qui si registra una forte distanza da Maeterlinck. Prendiamo esempio dalla novella Onirologie (1889): in questo racconto il “passato puro” è evocato per mezzo di un sogno telepsichico, che sconfina nel soprannaturale. L’unico mezzo per rivivere la costitutiva invivibilità del passato è proprio il sogno, che Proust rifiuta come mezzo per recuperare il tempo perduto.273 Dall’altra parte, e come contraltare, si colloca il presente dell’inchiesta del protagonista, che ritorna sui luoghi che il sogno gli ha indicato alla ricerca di un passato assolutamente “perduto” e mai veramente vissuto, poiché gli è stato restituito unicamente dal sogno confermato dalle testimonianze altrui. Questi luoghi benché riconoscibili appaiono privi di aura e ridotti alla funzione di sottolineare la loro radicale differenza dal passato puro così come è stato magicamente rievocato. Ciò che Maeterlinck esclude radicalmente, mostrandosi in questo più dogmatico di Proust, è l’intervento dell’immaginazione nell’elaborazione del racconto di finzione. Da una parte un “passato puro” mai vissuto; dall’altra un “presente” della ricerca storica e dell’inchiesta indiziaria, irrimediabilmente separati tra loro. Esattamente l’opposto di quanto accade in Proust, come segnalato da molti.274 Dallo schema di Maeterlinck discende il suo rifiuto del romanzo e l’impossibilità di un racconto storico: l’immaginazione di Maeterlinck (come si autorappresenta per esempio nell’Oiseau bleu del 1908) è un puro volo fantastico che si avvicina ai generi della science-fiction. Se si pone mente alle variazioni offerte da Konrad Gaiser, l’interpretazione di Maeterlinck del mito della caverna si apparenta con la variazione naturalistica di Aristotele. Pur conservando la divisione in due piani e la metafora fotologica, Aristotele fa consistere il piano superiore nello studio della natura.275 La rielaborazione aristotelica viene seguita dalle altre rielaborazioni della modernità, quelle di Giordano Bruno e Bacone. Contrariamente a quanto viene affermato da Miorelli,276 questo filone dimostra che nella modernità si perpetua una tradizione che rielabora il mito della caverna in senso naturalistico. Lo spostamento ulteriore introdotto da Maeterlinck spinge lo scienziato a rimanere nella caverna e ad analizzare le cose alla luce dei bagliori provenienti dagli insetti e dai fiori. Esso si radica in una trasformazione dell’ideale della conoscenza scientifica che ha luogo alla fine del XIX secolo. L’uscita dalla grande stagione della metafisica tedesca configura la fine dei tentativi unitari di comprendere la natura e la ricerca di nuovi paradigmi 272. H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 12. 273. Cfr. M. Piazza, Passione e conoscenza in Proust, cit. 274. Accanto a P. Ricœur, fondamentale è il contributo di Bertini. 275. Cfr. K. Gaiser, Il paragone della caverna, cit., pp. 55-56. 276. Cfr. A. Miorelli, Ancora nella caverna, cit., pp. 18-19.

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gnoseologici, affidati alla specializzazione della ricerca scientifica. La parziale cecità cui l’umanità sembra condannata nell’apologo di Maeterlinck definisce anche la nuova condizione della conoscenza scientifica, che è confinata nella caverna dello specialismo (caverna antropizzata) e accetta i limiti costitutivi del suo progetto di esplorazione della natura. In questo articolo del 1907 Maeterlinck sposa quindi un ideale compiutamente positivo della conoscenza, riallacciandosi in particolare alla conoscenza biologica e storica. Ma, proprio dal punto di vista gnoseologico, la variazione di Maeterlinck racchiude in sé una contraddizione. Essa infatti da un lato si muove in direzione compiutamente scientista, mentre dall’altro riconduce l’universo scientifico all’autonomia mitica del mondo della caverna (per Aristotele lo studio della natura corrispondeva all’uscita e al piano superiore del mito). Maeterlinck depaupera il mito di una sua parte, facendo venir meno quel confronto fra il mondo dell’ombra e il mondo della luce su cui si fonda la stessa possibilità di erigere un paradigma gnoseologico.277 In conclusione, la variazione maeterlinckiana del 1907 ripropone il paradigma storicistico e biologico della scienza moderna, che inverte la direzione della similitudine platonica. Si muove verso l’autonomizzazione dell’universo della caverna e verso la valorizzazione dell’ombra e del regime notturno. Ma il rovesciamento può andare anche in un’altra direzione. Sostituire l’ombra alla luce non è un’operazione così radicale come cambiare paradigma retorico e conoscitivo: dalla metafora – regno della luce e dell’ombra – alla metonimia. E questo spostamento è presente in una poesia del 1900, che rilegge in chiave fiabesca il tema della prigionia e della liberazione da una grotta con un finale imprevisto: Elle l’enchaîna dans une grotte Elle fit un signe sur la porte; La vierge oublia la lumière Et la clef tomba dans la mer. Elle attendit les jours d’été: Elle attendit plus de sept ans, Tous les ans passait un passant. Elle attendit les jours d’hiver; Et ses cheveux en attendant Se rappelèrent la lumière. Ils la cherchèrent, ils la trouvèrent, Ils se glissèrent entre les pierres Et éclairèrent les rochers. 277. Cfr. L. Kolakowski, Obecnosc mitu, Paris, Institut littéraire, 1972, trad. it. dall’edizione tedesca di P. Kobau, Presenza del mito, Bologna, Il Mulino, 1992.

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Un soir un passant passe encore, Il ne comprend pas la clarté Et n’ose pas en approcher. Il croit que c’est un signe étrange, Il croit que c’est une source d’or, Il croit que c’est un jeu des anges, Il se détourne et passe encore …278

Qui si assiste a un doppio rovesciamento. Il paradigma dentro/fuori è invertito o meglio aggirato completamente. I capelli, strumento attraverso il quale avviene la liberazione della prigioniera, sono sia dentro che fuori la grotta, e il passante, che invece non conosce la dimensione della prigionia, non è colui che sa, ma bensì colui che non comprende («Il se détourne et passe encore…»). La luce non proviene più dall’esterno della caverna, ma è una luce «ritrovata» («Se rappelèrent la lumière») che trova la sua massima espressione non nel raggio che da fuori penetra nell’interno, bensì nella «source d’or» che cola dall’interno della caverna verso l’esterno. Chi è che sa? I capelli sanno, i capelli, immagine legata metonimicamente alla crescita vegetale delle piante, sono lo strumento della liberazione e del ricordo. Al paradigma visivo si è compiutamente sostituito il paradigma tattile. Tocchiamo qui il punto più sensibile della poesia maeterlinckiana. Prima di caratterizzarlo meglio, occorre rispondere alla domanda: è possibile una redenzione del tempo per Maeterlinck? Per rispondere a questa domanda, occorre innanzitutto riferirsi alla conclusione del saggio L’Avenir. La conclusione che Maeterlinck trae dalle sue personali esperienze nel mondo dell’occulto e dalla frequentazione delle veggenti è che probabilmente la loro capacità di predire il futuro non è altro che la capacità di leggere l’inconscio dell’interrogante. Conformemente all’etimologia, il foro interiore è un vero e proprio mercato, dove chiunque può andare e venire a proprio piacimento, e dove occhi più penetranti dei nostri possono scoprire le tracce del futuro. L’inconscio – il Tempio sepolto che dà il titolo alla raccolta – è intersoggettivo. La lettura del futuro è analoga al risvegliarsi di un ricordo latente e sopito, quasi animale, è un fenomeno di anticipazione, una ‘reminiscenza anticipata’: Il est, je le répète, presque incroyable que nous ne sachions point l’avenir. Je m’imagine que nous sommes en face de lui comme en face d’un passé oublié. Nous pourrions essayer de nous en souvenir. Quelques faits insinuent que cela n’est pas impossible. Il s’agirait d’inventer ou de retrouver le chemin de cette mémoire qui nous précède.279 278. M. Maeterlinck, Serres chaudes. Quinze chansons…., cit., p. 77. 279. M. Maeterlinck , L’Avenir, cit., p. 305.

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Tuttavia, Maeterlinck distingue tra due futuri, il futuro dei grandi avvenimenti, che è paragonabile a una memoria storica, e gli appare completamente imprevedibile, e il futuro della vita personale, che appare invece come frutto della nostra elaborazione quindi potenzialmente prevedibile. Anche per questo la connessione tra figure della temporalità e figure dell’animalità è evidente, in quanto questo futuro interiorizzato è paragonato alla conchiglia che circonda l’animale: Je conçois que nous n’ayons pas qualité pour connaître d’avance les bouleversements des éléments, le destin des planètes, de la terre, des empires, des peuples et des races. Cela ne nous touche pas directement, et nous ne le savons dans le passé que grâce aux artifices de l’histoire. Mais ce qui nous regarde, ce qui est à notre portée, ce qui doit se dérouler dans la petite sphère d’années, sécrétion de notre organisme spirituel, qui nous enveloppe dans le Temps, comme leur coquille ou leur cocon enveloppe dans l’espace le mollusque ou l’insecte, cela, et tous les événements extérieurs qui s’y rapportent, est probablement inscrit dans cette sphère.280

Ricompare la distinzione che abbiamo già evidenziato nel testo proustiano fra la storia “monumentale” e quella personale, emanazione segreta dell’inconscio. Quest’ultima è paragonata alle figure dell’animalità: la conchiglia che circonda il mollusco o il bozzolo che avvolge il baco da seta sono secrezioni dell’animale.281 Nuovi simboli di regime notturno che rinviano alla cifra della chiusura della serra. Questo bozzolo e questa conchiglia sono le ricchezze sconosciute dell’inconscio che si cristallizzano in eventi. Fedele al postulato benjaminiano, Maeterlinck salva la storia ponendola come «storia naturale in quiete». L’anticipazione è propedeutica alla resurrezione del passato, come dimostra il carattere redentivo del simbolismo del baco da seta, presente in Leibniz, Proust, Ravaisson.282 II. 6. Altre variazioni. Il ruolo delle piante. Gli esempi citati non sono le uniche variazioni di Maeterlinck sul mito della caverna. In La sagesse et la destinée (1898), Maeterlinck introduceva la distinzione fra quanti hanno imparato a distinguere il loro destino esteriore da quello mo280. Ibid. 281. Quest’immagine della conchiglia o del guscio è ricorrente anche in Proust, ad esempio nell’articolo sulla Mort des Cathédrales (1904) dove le cattedrali abbandonate e museificate sono paragonate a grandi gusci di una conchiglia vuota. Cfr. G. Girimonti Greco, La mort des cathédrales: una difesa proustiana del paesaggio nazionale francese?, «Quaderni Proustiani», n. 6, 2012, pp. 35-58. 282. Per una ricostruzione della genesi di questa immagine lungo una linea di filiazione che parte da Leibniz e attraversa i maestri dello spiritualismo francese del XIX secolo, e per altri consimili esempi di immagini di lunga durata nella storia della filosofia, cfr. la nostra tesi di laurea: S. Martina, Asimmetrie simmetriche. Riflessi del pensiero di Leibniz nella Recherche, sostenuta all’Università di Bologna nel 2002.

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rale e quanti invece non sono capaci di operare questa distinzione, e sono destinati ad essere sempre oppressi, ovunque vadano, dagli uomini o dagli avvenimenti: i primi invece hanno una forza interiore alla quale si sottomettono non solo gli uomini, ma anche gli avvenimenti. Questa forza risiede nella capacità che questi esseri hanno di aumentare la propria coscienza, estendendola di là dai limiti della coscienza abituale. Questa conoscenza di sé che risiede in alcuni esseri non si limita al loro passato e al loro presente, ma si estende anche al loro futuro. Quanti dispongono di questa “coscienza allargata” sanno in parte collocarsi nel futuro: «Ils connaissent une partie de leur avenir parce qu’ils sont déjà une partie de cet avenir même. Ils ont confiance en eux parce qu’ils savent dès aujourd’hui ce que les événements deviendront dans leur âme».283 Maeterlinck giunge ad affermare che a ciascuno di noi accade solo quello che ciascuno vuole che accada; è vero infatti che il nostro potere sugli avvenimenti esteriori è piuttosto limitato; ma in compenso ognuno ha un grande potere sulla propria reazione agli avvenimenti esteriori, che è la parte luminosa di ogni avvenimento: […] nous avons une action toute-puissante sur ce que ces événements deviennent en nous-mêmes, c’est-à-dire sur la partie spirituelle qui est la partie lumineuse et immortelle de tout événement. Il est des milliers d’êtres en qui cette partie spirituelle qui demande à naître de tout amour, de tout malheur ou de toute rencontre n’a pu vivre un instant, et ceux-là passent comme des épaves sur un fleuve. Il en est quelques autres en qui cette part immortelle absorbe tout: et ceux-là sont comme des îles sur la mer, car ils ont trouvé un point fixe d’où ils commandent aux destinées intimes; et la destinée véritable est une destinée intime. Pour la plupart des hommes, c’est ce qui leur arrive qui assombrit ou éclaire leur vie; mais la vie intérieure de ceux dont je parle éclaire seule tout ce qui leur arrive.284

È da notare l’immagine dell’isola, che costituisce la parte spirituale dell’evento e che si contrappone al flusso del destino esteriore: qui ha un valore esattamente opposto a quello dell’isola effimera già analizzato. Ciascuno è raggiunto dagli eventi che non cessa di richiamare: «Nos aventures errent autour de nous comme les abeilles sur le point d’essaimer errent autour de la ruche».285 Chi è riuscito ad interiorizzare i propri destini si è creato una zona di luce che gli permette di sfuggire all’istinto. Il contrasto fra luce e ombra assume sempre più il valore del contrasto fra la saggezza e il destino.286 La zona illuminata è la parte che la saggezza riserva a se stessa, e costituisce un asilo inaccessibile alle forze cieche del destino e dell’istinto. L’esempio sta nei drammi degli antichi, come quelli degli Atridi oppure di Edipo, che non avrebbero avuto luogo 283. M. Maeterlinck, La sagesse et la destinée, cit. p. 29. 284. Ivi, p. 30, c.n. 285. Ivi, p. 31. 286. Ivi, p. 33.

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se i protagonisti fossero stati Socrate o Gesù. Non può esistere un dramma nel quale compaiano figure di saggi, se si fa eccezione per il Fedone, la Passione di Cristo, il Prometeo o il dramma di Antigone. A parte questi casi, tutti gli altri drammi hanno luogo fra bellezze incatenate, perché basterebbe la sola presenza di un vero saggio a rendere inutile lo spargimento di sangue. Né vero saggio può essere considerato Tiresia in Edipo, perché egli ha imparato a vedere il futuro, ma non conosce la legge dell’amore, che è quella che permette di separare i propri destini interiori dai propri destini esterni: «C’est pourquoi le poète tragique ne saurait nous montrer qu’une beauté plus ou moins enchaînée, car dès que ses héros s’élèvent aussi haut que de véritables héros doivent monter, ils laissent tomber leurs armes, et le drame n’est plus que le repos dans la lumière».287 Antonino Pio avrebbe potuto essere travolto dal fato e spinto a commettere gli stessi crimini di Edipo? Sì, ma nel saggio esiste una strada che va dal dolore alla disperazione e che la saggezza non percorre. Egli avrebbe accolto il suo dolore nella parte più pura della sua anima, dove non avrebbe spento la luce che da essa promana. Rispetto a Le Trésor des Humbles, è cambiato l’orientamento spirituale delle immagini di luce: esse nel saggio antecedente erano associate al destino (immagine della stella) mentre qui sono associate alla dimensione interiore dell’anima, e al destino è riservata l’ombra. L’ombra fa qui una comparsa consistente, mentre nel precedente saggio quasi non appariva, ed è riservata appunto alla legge dell’istinto, dell’eredità, a tutte quelle forze oscure che lavorano nell’interno dei destini e della fatalità. Le immagini di luce si sono interiorizzate e si sono piegate a esprimere in modo esclusivo una coppia di significati, l’oscillazione tra la saggezza e il destino, mentre nell’opera precedente esprimevano una pluralità di forze tutte caratterizzate da una comune appartenenza a un’essenza divina, e il fato stesso era iscritto all’interno di queste forze. Ecco un secondo significato da attribuire alla redenzione del tempo: la purificazione morale che equivale al «repos dans la lumière», la sublimazione. La saggezza equivale alla scoperta di una parte della propria incoscienza, e precisamente della parte alta, luminosa, della propria incoscienza, che occorre distinguere dalla parte puramente animale, situata al di sotto della ragione. Maeterlinck distingue quindi tre parti dell’io: una subcoscienza animale, che si trova sotto la parte ragionevole e che deve essere dominata e tenuta a freno da questa; la ragione; e un’incoscienza superiore, divina, nella quale risiede la vera saggezza. L’agrandissement de la conscience ne doit être désiré que pour l’inconscience de plus en plus haute qu’elle dévoile; et c’est sur les hauteurs de cette inconscience nouvelle que se 287. Ivi, p. 34.

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trouvent les sources de la sagesse la plus pure. Tous les hommes ont le même héritage d’inconscience; mais une partie de ce domaine est située en deçà, et une autre au delà de la conscience normale.288

La saggezza non deve solo trionfare sterilmente sulla parte più bassa dell’istinto: essa sarebbe limitata e chiusa se il suo compito consistesse soltanto nel tenere a freno gli istinti inferiori. Il suo compito è soprattutto quello di aprirsi a un istinto superiore, che va illuminato e compreso. Essa non consiste dunque in una idolatria della ragione: «la route de la destinée de notre âme […] est toujours une destinée de purification et de lumière».289 È degno di nota il fatto che la luce sia associata a un movimento di purificazione. A proposito dell’arte, è presente un punto di contatto con Proust, là dove Proust afferma che l’arte è un istinto illuminato e compreso, ed è identico anche il rapporto con l’intelligenza: essa serve a riconoscere la strada di questo istinto superiore e le viene riconosciuta una funzione ancillare nei confronti dell’istinto o dell’incoscienza. Terzo significato della redenzione del tempo è quindi il raggiungimento di un’incoscienza superiore. Il paragrafo successivo a quello che è stato appena citato afferma le differenze fra la saggezza e la ragione, attribuendo alla ragione una sorta di ruolo di guardiano della soglia: «La raison ouvre la porte à la sagesse, mais la sagesse la plus vivante ne se trouve pas dans la raison».290 La ragione si difende, proibisce, indietreggia, elimina, distrugge; la saggezza attacca, ordina, avanza, aggiunge, aumenta, e crea. Le cose che ordina la saggezza non corrispondono di primo acchito a quelle che ordinerebbe la ragione, e vengono accettate solo sulla lunga durata. La saggezza è un appetito della nostra anima piuttosto che un prodotto della ragione. Anche quest’aspetto è suscettibile di un’interpretazione monadologica: nella monade esiste un certo appetito, che coincide con la tendenza a passare da una percezione all’altra, e dalle percezioni più oscure a quelle più chiare.291 In un passaggio che segue quelli ora riportati, Maeterlinck parlerà anche del passaggio dalle idee oscure alle idee chiare e del rapporto organico che la saggezza intrattiene con questo movimento. Soprattutto è da sottolineare la sintonia tra l’aspetto creatore della saggezza di Maeterlinck e il carattere «gravido di avvenire» che contraddistingue la monade: anche la saggezza è gravida di avvenire, in quanto illumina ben più avanti di quanto non faccia la ragione. Un altro aspetto che occorre evidenziare per la sua sintonia leibniziana è che la saggezza è il luogo della differenza: non esiste una saggezza uguale per tutti, perché la saggezza non è come la ragione, che appare 288. Ivi, p. 55. 289. Ivi, p. 56. 290. Ivi, p. 57. 291. Cfr. G. W. Leibniz, Monadologie, §§ 14-17.

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identica e circoscrivibile in tutti gli uomini. La saggezza è paragonata da Maeterlinck a un’atmosfera, che avvolge di un’aria diversa a seconda delle menti in cui bagna, o a un’acqua corrente, che si contrappone alle acque stagnanti della ragione. Ogni saggezza è un mondo, e anche questo richiamo alla differenza tra le varie saggezze, ciascuna delle quali costituisce un mondo, manifesta un’analogia con Leibniz. Il mondo dell’incoscienza superiore è dunque il mondo della differenza individuale di ogni anima rispetto a tutte le altre. La saggezza coincide con questo stesso principio di differenza. Un altro aspetto di sintonia leibniziana di questo concetto di saggezza è il rapporto che essa intrattiene con l’infinito. C’è una grande differenza, afferma Maeterlinck, tra ciò che è semplicemente ragionevole e ciò che è saggio. Una differenza ad esempio sta nel fatto che la ragione partorisce la giustizia e che la saggezza, invece, partorisce la bontà. La saggezza è il sentimento dell’infinito applicato alla vita morale: è da notare come per Leibniz la morale sia un istinto da chiarificare e comprendere, ovvero intrattenga un rapporto diretto con l’infinito, perché il processo di chiarimento delle percezioni oscure, delle abitudini, disposizioni o virtualità della nostra anima va all’infinito in quelle anime che Dio ha deciso di premiare, e anzi costituisce il premio stesso dell’immortalità. Un altro aspetto del rapporto tra saggezza e ragione viene illustrato con un esempio che riporta chiaramente a Leibniz. L’autore parte da un esempio di Fénelon: la nostra ragione consiste nelle idee chiare. A questa affermazione Maeterlinck contrappone una definizione della saggezza fondata sulle idee oscure, sulla quantità di idee oscure che si hanno in riserva rispetto al drappello delle idee chiare. La saggezza dipende dalle idee oscure e sono esse che si trovano alla guida dell’anima e ci ispirano l’obbligo di coltivare alti ideali.292 Tutto il paragrafo oscilla tra il primato dell’inconscio e la necessità del chiarimento, che si impone comunque a Maeterlinck poiché dalla quantità delle idee chiare dipende la quantità delle idee oscure e a furia di chiarimento si può finire col toccare una grande verità. Heureusement, plus on a d’idées claires, plus on apprend à respecter celles qui ne sont pas encore claires. Il faut tâcher d’avoir le plus grand nombre possible d’idées aussi claires que possible afin d’éveiller en son âme un plus grand nombre d’idées qui soient encore obscures. Les idées claires semblent guider parfois notre vie extérieure, mais il est 292. Ivi, p. 62 : «“Notre raison, dit Fénelon, ne consiste que dans nos idées claires.” Mais notre sagesse, pourrions-nous ajouter, c’est-à-dire ce qu’il y a de meilleur dans notre âme et dans notre caractère, se trouve surtout dans nos idées qui ne sont pas encore tout à fait claires. Si l’on ne se laissait guider dans la vie que par ses idées claires, on ne tarderait pas à devenir un homme digne de peu d’amour, digne de peu d’estime. Au fond, rien n’est moins clair que les raisons par lesquelles nous nous persuadons qu’il convient d’être bon, juste, généreux et d’avoir en toute chose les sentiments et les pensées les plus nobles que nous puissions atteindre ».

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incontestable que les autres se trouvent à la tête de notre vie intime, et la vie que l’on voit finit toujours par obéir à celle qu’on ne voit pas.293

Qui è ben evidente il primato dell’invisibile sul visibile, e il rapporto che si stabilisce fra una zona limitata di luce e una più vasta di ombra che mantiene i contatti con l’infinito. È esattamente la stessa topografia della luce che si ritrova in Leibniz. Le appercezioni disegnano una limitata zona di luce rispetto alle percezioni oscure, che si allargano all’infinito.294 Il ruolo attribuito da Maeterlinck alla ragione e all’intelligenza è al centro di una sostanziale rivalutazione, in quanto ad esse tocca il compito di tenere aperte le porte che comunicano con le parti più vive e istintive dell’anima. La conoscenza di sé, infatti, pare dipendere dalla ragione, ma in ultima analisi la morale, cioè la conoscenza di sé nei propri rapporti con l’infinito, affonda le proprie radici in una «sorte d’inconscience mystique».295 Il compito della ragione, che è figlia dell’intelligenza, è di aprire le porte sotterranee dietro le quali sono prigioniere le forze vive e istintive del nostro essere. «La raison, qui est la fille aînée de notre intelligence, doit s’asseoir sur le seuil de notre vie morale, après avoir ouvert les portes souterraines derrière lesquelles sommeillent prisonnières les forces vives et instinctives de notre être».296 Accade a questo punto che le forze risvegliate siano portatrici di una luce ancora più intensa di quella dell’intelligenza. Se l’intelligenza impara a non avere paura di queste altre luci, e non chiude la porta del sotterraneo, può avvenire uno scambio tra la luce dell’intelligenza e queste altre luci: Mais il arrive que parmi les captives qui s’éveillent, des forces plus éclatantes qu’ellemême s’approchent de l’entrée. Elles répandent une lumière plus immatérielle, plus diffuse, plus incompréhensible que celle de la flamme nette et ferme que protège sa main. Ce sont les puissances de l’amour, du bien inexplicable, d’autres plus mystérieuses, plus infinies encore qui demandent à passer.297

L’intelligenza può essere tentata di richiudere le porte: Mais si sa force ne tremble pas, parce que tout ce qu’elle n’a pu apprendre lui a du moins appris qu’aucune lumière n’est dangereuse; que dans la vie de la raison on peut risquer la raison même dans une clarté plus grande, d’ineffables échanges auront lieu, de lampe à 293. Ibid. 294. G.W. Leibniz, Principes de la nature et de la grâce fondés en raison, § 13, in Id., Principi della filosofia o Monadologia. Principi razionali della natura e della grazia, introduzione, traduzione, note e apparati di S. Cariati, Milano, Rusconi, 1997, pp. 50-51. 295. M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, p. 64. 296. Ivi, pp. 64-65. 297. Ivi, p. 65.

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lampe, sur le seuil. Des gouttes d’une huile inconnue se mêleront avec l’huile de la sagesse humaine; et quand les blanches étrangères seront passées, la flamme de sa lampe, à jamais transformée, s’élevera plus haute, plus puissante et plus pure entre les colonnes du porche agrandi.298

Eccoci di fronte all’ennesima ‘variazione’ di Maeterlinck sul mito della caverna. Il significato da attribuirle è purificazione nella luce delle figure del desiderio: un processo di sublimazione morale raggiunto nella zona dell’incoscienza che supera la ragione. Abbiamo visto lo stretto rapporto che intrattiene con la previsione dei futuri. Potremmo aggiungere che quanto Maeterlinck attribuisce a una saggezza indicizzata sull’avvenire valga anche per la proustiana résurrection du passé. Basta invertire la direzione dell’indice temporale del discorso di Maeterlinck dall’avvenire verso il passato per rendersi conto che tutte le osservazioni di Maeterlinck sulla saggezza contenute in questo libro – che Proust conosceva bene – si applichino senza sforzo alla proustiana disciplina della memoria (involontaria). Ciò che caratterizza il discorso di Maeterlinck, sul quale ci siamo ampiamente soffermati, è proprio il carattere creatore della saggezza, contrapposto all’immobilità astratta della ragione e dell’intelligenza. Anche questa plasticità della saggezza per cui Maeterlinck richiama volentieri l’immagine delle fiamme situa il suo alveo nell’ambito della potenza plastica dell’immagine. La luce è ciò che discioglie i contorni netti della visione puramente intellettuale, lasciando libero spazio alle variazioni dell’immaginazione.299 Questo significato trova applicazione letteraria nell’allegoria con cui Maeterlinck descrive gli animali e le piante. L’innocenza vegetale delle piante diventa allegoria di un processo di purificazione, di quella ‘incoscienza superiore’ sopra citata. Ciò è ben evidente nei testi sopra evocati: ai quali bisogna aggiungere l’inizio del saggio L’Intelligence des fleurs, dove il radicamento a terra delle piante diventa allegoria di una condizione di prigionia e il ruolo soteriologico viene attribuito a quegli elementi naturali che rendono possibile alla pianta di evadere dalla propria zolla e di fecondare o di essere fecondata: il vento, le farfalle, le falene… Il liberatore esterno è un’altra figura purificata del desiderio. Come nella poesia del 1902, la liberazione della prigioniera avviene sul posto, attraverso un elemento onnipervasivo che assume 298. Ibidem. 299. Per tutto questo cfr. G. Bachelard, La flamme d’une chandelle, Paris, Presses Universitaires de France, 1961, trad. it. di G. Alberti, La fiamma di una candela, Milano, SE, 1996. Cfr. anche E. Lévinas, Le Temps et l’Autre, Saint-Clément-de-Rivière, Fata Morgana, 1979, trad. it. di F.P. Ciglia, Il Tempo e l’Altro, Genova, Il Melangolo, 1993, p. 36: «La luce è ciò per mezzo di cui qualcosa è altro da me, ma già come se uscisse da me. L’oggetto illuminato è qualcosa che si incontra, ma, nello stesso tempo proprio per il fatto che è illuminato, lo si incontra come se uscisse da noi. Non ha una estraneità intrinseca. La sua trascendenza è avvolta nell’immanenza. È in compagnia di me stesso che io mi ritrovo nella conoscenza e nel godimento. L’esteriorità della luce non è sufficiente per la liberazione dell’io prigioniero di sé».

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il ruolo di liberatore, chiara allegoria del desiderio (lì i capelli, qui il vento e gli insetti). Scrive Maj a proposito dello slittamento dalla metafora alla metonimia: Come hanno notato i fratelli Grimm a proposito di “Athem”, molte lingue muovono dal concetto fisico e sensibile dello spirare o del soffio, per realizzare la gamma delle astrazioni spirituali come halitus, spiritus, anima, psyché e pneûma. La relazione che corre tra questo processo di astrazione e il procedimento metaforico è immanente e costitutiva, come ha mostrato il già citato Bruno Snell. Ma la matrice, che sta all’origine stessa dei concetti in base ai quali la metafora opera con procedimenti “spiritualizzanti”, è un più generale processo di animazione. Il concetto stesso di anima, infatti, è il frutto di uno “slittamento” metaforico. Esso è tuttavia operato su segmenti chiaramente “metonimici”. Se facciamo “respirare” le cose, con ciò attribuiamo loro anche un’anima. […] In altre parole, il concetto di Atemwende è creaturale, nella stessa misura in cui risale alla corporeità della sua radice metonimica.300

Il testo di Maeterlinck qui preso in esame appartiene alla seconda fase della sua produzione. Secondo Paul Gorceix il punto di svolta si collocherebbe nel 1896.301 Questo tornante vede uno slittamento dalla metafora (fotologica) alla metonimia, che si esprime nella valorizzazione della corporeità e del soffio. Già la scelta del linguaggio scientifico è una scelta metonimica. Come osserva Proust, in un frammento intitolato Senancour, c’est moi, dare un senso morale ai fenomeni naturali è pura allegoria.302 È esattamente su questo piano che si muove Maeterlinck, il quale descrive attentamente i fenomeni naturali senza metaforizzarli ma non rinuncia a trarre da essi un significato morale. Maeterlinck si richiama a osservazioni scientifiche sull’intelligenza delle piante: è in loro che si concentra lo sforzo della materia verso lo spirito e verso la luce.303 È interessante notare l’ordine con cui Maeterlinck presenta i due elementi in apertura di saggio. Lo spirito – ovvero la metonimia del soffio vitale – precede la metafora della luce. Questi due elementi li ritroveremo riuniti per tutto il saggio. Nessuna pianta, per quanto sventurata possa essere, è interamente sprovvista di saggezza e di ingegnosità. Tutte perseguono il loro scopo, che è di moltiplicare all’infinito la forma di vita che esse hanno portato sulla terra. Tuttavia, a differenza degli animali, il loro radicamento al terreno e la loro immobilità fanno sì che esse dispieghino tutta una serie di astuzie, di combinazioni, tutto un macchinario che dal punto di vista della meccanica, della balistica, 300. B. Maj, Il volto e l’allegoria della storia. L’angolo d’inclinazione del creaturale, Macerata, Quodlibet Studio, 2007, p. 29. 301. Cfr. P. Gorceix, De La Princesse Maleine à La Princesse Isabelle. Essai sur le théâtre de Maeterlinck, in M. Maeterlinck, Œuvres II. Théâtre 1, cit., pp. 3-76. 302. M. Proust, EA, p. 568. 303. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, Paris, Charpentier, 1907, p. 1.

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dell’aviazione, precede le invenzioni dell’uomo.304 Maeterlinck non ritraccia tutto il vasto quadro della fecondazione floreale, ma si limita a un’osservazione capitale: e cioè che il mondo delle piante, dove tutto in apparenza è raccoglimento e sottomissione, è in realtà il teatro della più vasta rivolta al destino da parte degli esseri viventi. Un’altra osservazione riguarda lo stile di questo saggio. Comincia da subito quella umanizzazione ed erotizzazione dei fiori che richiamano l’azione dell’insetto come l’azione di un messaggero d’amore: «le libérateur étranger, le messager d’amour, abeille, bourdon, mouche, papillon, phalène, qui doit lui apporter le baiser de l’amant lointain, invisible, immobile…»305 Fin da queste prime battute, la situazione tragica delle piante evoca una costellazione di immagini affine a quella della caverna platonica: esseri incatenati in attesa di un messaggero e, forse, di un liberatore. Ma già da queste prime battute si coglie anche tutta la differenza rispetto al mito platonico: perché le piante sono depositarie di un’energia interiore, di un sentimento di rivolta verso il destino, che contrasta in maniera fondamentale con l’acquiescenza e passività dei prigionieri platonici. Qui si innesta una nuova affinità. Tornando al tema della sottomissione e della rivolta al destino, Maeterlinck sottolinea come l’asse verticale, che è la direzione di crescita del fiore, costituisca il fondo del suo orientamento che va dalle tenebre verso la luce. Ricompaiono qui le due direzioni fondamentali del mito della caverna: dal basso verso l’alto e dalle tenebre verso la luce. Per dirla in termini bachelardiani, il fiore dà una lezione di verticalità, assume un’energia positiva che si sprigiona dalle profondità della terra per portarla verso l’alto e verso la luce, e, come in Bachelard,306 un comportamento della natura è posto a modello di comportamenti umani, poiché Maeterlinck afferma che se facessimo tesoro di questa lezione dei fiori riusciremmo probabilmente a cambiare il nostro destino. La pianta è ancorata al terreno dalla nascita alla morte: è questa la legge fondamentale che governa la sua esistenza, che equivale alle leggi del destino che ci opprimono. Così sente imperioso il bisogno di sfuggirle attraverso l’energia di un’idea fissa: Ce monde végétal qui nous paraît si paisible, si résigné, où tout semble acceptation, silence, obéissance, recueillement, est au contraire celui où la révolte contre la destinée est la plus vehémente et la plus obstinée. L’organe essentiel, l’organe nourricier de la plante, sa racine, l’attache indissolublement au sol. S’il est difficile de découvrir, parmi les grandes lois qui nous accablent, celle qui pèse le plus lourdement à nos épaules, pour la plante, il n’y a pas de doute: c’est la loi qui la condamne à l’immobilité depuis sa naissance jusqu’à sa mort. Aussi sait-elle mieux que nous, qui disperdons nos efforts, contre quoi 304. Ivi, p. 2. 305. Ivi, p. 3. 306. Cfr. G. Bachelard, L’Air et les songes. Essai sur l’imagination du mouvement, Paris, José Corti, 1943.

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d’abord s’insurger. Et l’énergie de son idée fixe qui monte des ténèbres de ses racines pour s’organiser et s’épanouir dans la lumière de sa fleur, est un spectacle incomparable. Elle se tend tout entière dans un même dessein: échapper par le haut à la fatalité du bas; éluder, transgresser la lourde et sombre loi, se délivrer, briser l’étroite sphère, inventer ou invoquer des ailes, s’évader le plus loin possible, vaincre l’espace où le destin l’enferme, se rapprocher d’un autre règne, pénétrer dans un monde mouvant et animé …307

È interessante notare come la metafora risalente a Novalis del fiore ardente, che appartiene a un testo del 1896, dove connota la metafisica divina di Platone, Plotino e Ruysbroeck, si trasformi in una descrizione scientifica che anticipa Bachelard nell’intuizione dell’importanza del vettore verticalizzante. Se la metafora si trasforma in descrizione scientifica, contemporaneamente avviene un altro fatto: la tensione verso la luce è espressa da un simbolismo notturno – il simbolismo del fiore, o come si vedrà, dell’albero – ma soprattutto slitta, nell’ultima frase, verso la dimensione metonimica. L’altro mondo in cui, platonicamente, la pianta si sforza di penetrare, è concepito non come una luminosità immobile, ma al contrario come un universo animato. Questo slittamento dalle immagini di luce alle immagini aeree sotto un comune vettore verticalizzante è al centro della trattazione di Bachelard: in L’Air et les songes Bachelard distingue una sublimazione cinematica legata alle immagini del movimento consegnate dalla vista, che non impegna profondamente l’essere e non richiede una partecipazione profonda delle cose, da una sublimazione dinamica, che affonda nel movimento di una sostanza. L’esito di quest’ultimo tipo di sublimazione è la conquista di un «controspazio», o secondo una formula di Bousquet, di uno spazio «à nulle dimension». Fondersi in una materia particolare, più che disperdersi in un universo differenziato di forme, significa giungere a sperimentare la mancanza di dimensioni.308 Occorre osservare a questo riguardo che il mito platonico della caverna presenta solo esempi di sublimazione cinematica. I prigionieri non scorgono la luce perché sono incatenati, ma non sono assolutamente sensibili neppure alla presenza dell’aria. Il processo di progressiva liberazione non accenna minimamente alla presenza dell’aria. Questa differenza spiega anche il diverso atteggiamento dei prigionieri in Platone e in Maeterlinck. In Platone i prigionieri sono acquiescenti alla loro condizione perché, come è stato più volte ricordato, ignorano la 307. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 3-4. 308. G. Bachelard, L’Air et les songes, cit., p. 17 : «Bergson dit dans La Pensée et le Mouvant (p. 37) que l’idée de différentielle leibnizienne ou plutôt l’idée de fluxion newtonienne fut suggérée par une intuition philosophique du changement et du mouvement. Nous croyons que l’on peut préciser davantage et que l’axe vertical bien exploré peut nous aider à déterminer l’évolution psychique humaine, la différentielle de valorisation humaine».

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presenza di un mondo superiore al loro e non ne avvertono minimamente il richiamo. Essi hanno bisogno di un intervento esterno, per essere liberati, e anche allora la liberazione deve vincere delle resistenze. Invece, le piante di Maeterlinck, pur essendo incatenate e non avendo percezioni visive, avvertono la spinta interiore del desiderio. Il desiderio, le speranze, si legano per Bachelard all’elemento aereo. Bachelard spiega che la partecipazione dinamica alle immagini aeree conduce a provare una sensazione di alleggerimento: l’aria è la sostanza della verticalità, essa introduce una differenziale verticale nell’attività dell’immaginazione. A questa verticale si collegano le speranze, i timori, le emozioni fini e trattenute.309 Questo collegamento dell’aria con la speranza spiega il diverso atteggiamento dei prigionieri di Maeterlinck: essi non hanno bisogno, per innalzarsi alla luce, di un intervento esterno che muti la loro natura. Sono dominati da una determinazione interna che li spinge con la forza di un’idea fissa: e questa forza è espressione del desiderio (la schopenhaueriana volontà di vivere).310 Quello che segue esprime la fiducia di Maeterlinck nella possibilità per l’uomo o per altri esseri viventi di evadere dalla nicchia biologica che è loro assegnata. L’esempio di queste creature è presentato all’uomo come un modello di autosuperamento nel quale rispecchiarsi: «Qu’elle y parvienne, n’est-ce pas aussi surprenant que si nous réussissions à vivre hors du temps qu’un autre destin nous assigne, ou à nous introduire dans un univers libéré des lois les plus pesantes de la matière?».311 È notevole questa tendenza dell’uomo, che viene indicata come suo fine, a evadere fuori dal tempo biologico che gli è assegnato. In conclusione, secondo Maeterlinck la pianta dispiega un tale sforzo per evadere dal suo destino che se noi la imitassimo riusciremmo forse a cambiare la nostra sorte. La redenzione del tempo è in funzione della rivolta al destino. Tuttavia, se il punto di partenza di Maeterlinck sembra più ottimistico di quello platonico, resta il fatto che il prigioniero platonico può sciogliersi dalle 309. Ibid. 310. «Noi affermeremo che quello che alla rappresentazione appare come pianta, come semplice vegetazione, come forza cieca, è nella sua essenza volontà; quella medesima volontà che costituisce la base del nostro proprio fenomeno quale si manifesta nella nostra attività e in tutta l’essenza del nostro corpo» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà…, cit., l. II, § 23, p. 156). Anche Schopenhauer fa ricorso alla metafora della tensione vegetale verso la luce per esprimere il lento e difficile cammino della verità: «La verità è simile ad una pianta che germoglia sotto un mucchio di grosse pietre, ma che tuttavia si arrampica verso la luce; con sforzi inauditi, mille giravolte e inflessioni, sformata, pallida, intristita, ma pur sempre verso la luce» (ivi, l. II, § 26, p. 176). Tuttavia per Schopenhauer lo sforzo della pianta assomiglia di più ad un automatismo cieco che ad un progresso dove si possano riconoscere tracce di coscienza e di intelligenza, e il suo scopo è assolutamente vano, atteso che il tempo non ha valore nella sua filosofia e la durata non può costituire un serbatoio di accrescimento e di progresso. Tutto, nella volontà, è dominato dall’essere appunto privo di scopo in una corsa senza fine, e il massimo raggiungimento della pianta consiste nella (secondo Schopenhauer) banale autoripetizione di se stessa. 311. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., p. 4.

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catene, mentre la pianta resta solidamente ancorata al terreno. Per la pianta non sembra esistere la possibilità di attingere direttamente un «fuori». Per questo dunque è necessario un intervento esterno, l’intervento di un liberatore, ma questo intervento assume un aspetto particolare: il liberatore è inconsapevole, è la pianta che se ne serve per i propri fini, cioè assicurarsi una discendenza. Questo meccanismo è alla base dei sistemi di fecondazione. Una delle leggi che condizionano l’esistenza delle piante è la necessità di allontanarsi il più possibile dal ceppo primitivo, poiché i genitori non possono garantire ai figli la sussistenza. Da qui nasce l’esigenza di disseminare il più possibile nello spazio i semi. Maeterlinck cita numerosi esempi, e si sofferma in particolare sul papavero, il quale contiene nella testa la minutaglia dei semi neri. Se questi si limitassero semplicemente a cadere a terra, formerebbero un mucchietto inutile ai piedi della pianta che li ha generati. Invece, per mezzo di aperture che sono praticate in alto, essi vengono seminati ad ogni soffio del vento, come da una mano. Altre piante avvolgono il seme in una gelatina zuccherosa che viene inghiottita dagli uccelli. Maeterlinck cita poi l’esempio di due varietà di erba medica, una a fiori gialli e una a fiori rossi, le quali sfruttano le qualità della vite di Archimede inserendo i loro fiori all’interno di una spirale che rallenta il movimento di caduta sfruttando l’anemofilia, ovvero l’azione del vento. Tuttavia una di queste piante ha aggiunto alla propria spirale anche degli uncini che si attaccano al vello degli animali. La cosa interessante è che, nello strutturare a forma di elica i propri semi, queste piante si sono sbagliate. Questo sistema garantirebbe, infatti, un’adeguata disseminazione solo nel caso che le eliche venissero a cadere da una grande altezza: ma raso terra, è inutile. Più felice risulta invece l’espediente di attaccarsi al vello degli animali. Qui si assiste alle esitazioni e ai tentativi della natura: si coglie il tentativo di una famiglia di piante per assicurare il proprio avvenire, tentativo che non è stato ancora fissato, tanto più che un’altra varietà di erba medica usa il sistema del bozzolo, al quale ha dato varie forme. Alcuni di questi tentativi della natura possono rivelarsi inefficienti: Il semble donc que nous assistions au passionnant spectacle d’une espèce en travail d’invention, aux essais d’une famille qui n’a pas encore fixé sa destinée et cherche la meilleure façon d’assurer l’avenir. N’est-ce peut-être pas au cours de cette recherche, qu’ayant été déçue par la spirale, la Luzerne jaune y ajouta les pointes ou crochets à laine, se disant, non sans raison, que puisque son feuillage attire les brebis, il est inévitable et juste que celles-ci assument le souci de sa descendance? Et n’est-ce pas, enfin, grâce à ce nouvel effort et à cette bonne idée que la Luzerne à fleurs jaunes est infiniment plus répandue que sa plus robuste cousine qui porte des fleurs rouges?312 312. Ivi, pp. 11-12.

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Anche qui, il primo liberatore, il primo mediatore, è il vento (anemofilia). Ma non si tratta soltanto dei semi: è tutta la pianta che partecipa a uno sforzo che si direbbe quasi cosciente; ne sono un esempio i movimenti dei rami contrariati dall’infelice posizione in cui sono nati verso la luce, o gli sforzi di torsione degli alberi che nascono in posizioni scomode, come sulla china di uno strapiombo. Un esempio di eroismo è ritrovato da Maeterlinck nella vita di un enorme lauro centenario cresciuto in Provenza, nelle gole del Lupo. Sorto a duecento metri dal letto di scorrimento del torrente, in verticale rispetto alla parete dello strapiombo, aveva prima dovuto mandare penosamente le sue radici alla ricerca dell’acqua, come avviene del resto per tutti gli alberi travagliati dall’aridità del mezzogiorno; poi aveva dovuto crescere creando un gomito che lo sorreggesse verso l’alto, là dove si concentrava tutta la sua vita drammatica: Il avait donc fallu, malgré le poids croissant des branches, redresser le premier élan, couder, opiniâtrement, au ras du roc, le tronc déconcerté, et maintenir ainsi, – comme un nageur qui renverse la tête, – par une volonté, une tension, une contraction incessantes, toute droite dans l’azur, la lourde couronne de feuilles.313

Intorno a questo nodo vitale si erano concentrate tutte le preoccupazioni, tutta l’energia, tutto il genio cosciente e libero della pianta. La pianta dispiega tutto il suo sapere nel tenere conto, anno per anno, dei molteplici avvertimenti che le danno le tempeste e i venti: «Le coude monstrueux, hypertrophié, révélait une à une les inquiétudes successives d’une sorte de pensée qui savait profiter des avertissements que lui donnaient les pluies et les tempêtes».314 Forse di questo passaggio si è ricordato Proust, che ne fornisce un’interpretazione umoristica: la marchesa di Gallardon compensava con la fierezza del portamento e la scortesia dei modi le continue umiliazioni cui l’aveva sottoposta il rifiuto di Mme de Guermantes di frequentarla: «Ce n’est pas qu’elle ne fût par nature courtaude, hommasse et boulotte; mais les camouflets l’avaient redressée comme ces arbres qui, nés dans une mauvaise position au bord d’un précipice, sont forcés de croître en arrière pour garder leur équilibre».315 Poi, evento capitale nella storia della pianta che racconta Maeterlinck, erano sorte due potenti radici a sostenere il gomito: due cavi usciti dal tronco a più di due piedi al di sopra del gomito erano venuti ad ammarare quest’ultimo alla parete di granito. La fuoriuscita di queste due radici, si domanda Maeterlinck, era solo un caso felice, o esse erano già pronte, nella chiaroveggenza della pianta, a spuntare fuori a un momento determinato? «Avaient-ils vraiment été évoqués par la détresse, ou bien, attendaient-ils, peut313. Ivi, pp. 13-14. 314. Ibid. 315. CS, RTP, I, p. 324.

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être prévoyants, depuis les premiers jours, l’heure aiguë du péril pour redoubler leur aide? N’était-ce qu’un hasard heureux? Quel œil humain assistera jamais à ces drames muets et trop longs pour notre petite vie?»316 Veramente qui si può parlare di un’Atemwende, di una «svolta del respiro», nella vita della pianta. Secondo Maj, questo concetto è al centro della poetica del creaturale di Celan. E altrettanto creaturale è l’interesse di Maeterlinck per le sue piante. Altre meraviglie sono quelle delle piante sensibili, come la mimosa o la lupinella, le quali sono capaci di eseguire dei movimenti (di paura la mimosa, di espansione verso la luce la lupinella). Maeterlinck descrive la danza verso la luce che esegue la lupinella: Cette petite légumineuse, originaire du Bengale, mais souvent cultivée par nos serres, exécute une sorte de danse perpétuelle et compliquée en l’honneur de la lumière. Ses feuilles se divisent en trois folioles, l’une large et terminale, les deux autres étroites et plantées à la naissance de la première. Chacune de ces folioles est animée d’un mouvement propre et différent. Elles vivent dans une agitation rythmique, presque chronométrique et incessante. Elles sont tellement sensibles à la clarté que leur danse s’alentit ou s’accélère selon que les nuages voilent ou découvrent le coin de ciel qu’elles contemplent.317

Queste piante sensibili sono già esseri che hanno oltrepassato la propria nicchia biologica per inserirsi a metà strada fra la pianta e l’animale: «Mais ces plantes […] sont déjà des êtres nerveux dépassant un peu la crête mystérieuse et probablement imaginaire qui sépare le règne végétal de l’animal».318 L’intelligenza tuttavia non si trova solo nella zona liminare in alto, al confine con l’animale; essa si trova anche nella zona liminare in basso, là dove la pianta confina con il limo e con la pietra, come accade per esempio nei crittogami (il fungo prataiolo, la felce e l’asperella) che hanno un gioco di spore di ingegnosità incomparabile. Maeterlinck si sofferma poi sulle meraviglie delle piante acquatiche, le quali devono rispondere a una necessità: far sì che la fecondazione avvenga a secco, lontano dall’acqua. Alcune di queste piante racchiudono i loro fiori in vere campane 316. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 14-15. 317. Ivi, p. 16. 318. Ivi, p. 17. Sull’esempio della mimosa si riscontra la maggiore e più affascinante convergenza fra Schopenhauer e Maeterlinck. Pur negando assolutamente alle piante una “intelligenza” nel senso loro attribuito da Maeterlinck, Schopenhauer è affascinato dai movimenti delle piante, in particolare dei rampicanti, cui dedicò una monografia. Si legge nell’opera maggiore: «l’ascensione della linfa nelle piante si compie, non per una semplice causa, riferibile alle leggi dell’idraulica e della capillarità, bensì per eccitazione; ma è per altro favorita dalle dette leggi, e molto vicina a una semplice modificazione causale. Al contrario i movimenti dell Hedysarum gyrans e della Mimosa pudica, benché si producano per pura eccitazione, somigliano straordinariamente a quelli dovuti a motivi, e sembra che vogliano fare quasi la transizione» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà…, cit., l. II, § 23, p. 154).

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da palombaro; altre, come i nenufari, li mandano alla superficie dello stagno, per mezzo di un lunghissimo peduncolo che si allunga da quando si alza il livello dell’acqua. I falsi nenufari che non hanno peduncolo allungabile mandano i loro fiori sulla superficie come bolle. La castagna d’acqua li munisce di una sorta di vescica gonfia d’aria. Il sistema dell’utricolaria è ancora più complicato: esso consiste in una serie di valvole che sollevano tutta la pianta al momento opportuno e la lasciano fiorire. Maeterlinck descrive minuziosamente questo complicato sistema, mostrando come esso sfrutti il principio di Archimede, e ne approfitta per ribadire un’idea a lui cara: ovvero che niente di nuovo può farsi risalire all’invenzione o alla creazione umana, che apparecchi immemoriali hanno anticipato le nostre più felici invenzioni, e che tutto promana da una sorta di memoria profonda, sedimentata nell’intelligenza della vita e della natura. La memoria delle invenzioni umane rinvia alla più antica memoria della natura: Dans un monde que nous croyons inconscient et dénué d’intelligence, nous nous imaginons d’abord que la moindre de nos idées crée des combinaisons et des rapports nouveaux. A examiner les choses de plus près, il paraît infiniment probable qu’il nous est impossible de créer quoi que ce soit. Derniers venus sur cette terre, nous retrouvons simplement ce qui a toujours existé, nous refaisons comme des enfants émerveillés la route que la vie avait faite avant nous. Il est du reste fort naturel et réconfortant qu’il en soit ainsi.319

Ecco un ulteriore significato da attribuire alla redenzione del tempo in Maeterlinck: essa consiste nel ritrovamento, spesso faticoso, da parte dell’uomo, di quella intelligenza che è sparsa nella memoria vivente della natura. La redenzione si colloca sul piano del rapporto con un’intelligenza naturale, primordiale, serbatoio di tutti gli sforzi delle creature per evadere dal loro destino. Ciò è evidente nella ‘variazione’ sul mito della caverna che conclude il saggio. La descrizione delle nozze fatate della leggendaria Vallisneria, la più romanzesca fra le piante acquatiche, conclude questa parte loro dedicata. La Vallisneria è un’erba abbastanza insignificante, che non ha niente della bellezza dei nenufari o di certe capigliature sottomarine. Ma si direbbe che la natura abbia preso piacere a racchiudere in essa una bella idea: Toute l’existence de la petite plante se passe au fond de l’eau, dans une sorte de demisommeil, jusqu’à l’heure nuptiale où elle aspire à une vie nouvelle. Alors, la fleur femelle déroule lentement la longue spirale de son pédoncule, monte, émerge, vient planer et s’épanouir à la surface de l’étang. D’une souche voisine, les fleurs mâles qui l’entrevoient à travers l’eau ensoleillée, s’élèvent à leur tour, pleins d’espoir, vers celle qui se balance, les attend, les appelle dans un monde magique.320 319. Ivi, p. 21. 320. Ivi, p. 22.

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Arrivati a questo punto, però, i fiori maschio si accorgono che il loro peduncolo è troppo corto, e si trovano così di fronte all’esperienza dell’impossibilità senza ostacolo visibile. Il soggiorno di luce nel quale sbocciano i fiori femmine appare loro troppo lontano, irraggiungibile, eppure quasi a portata di mano: Mais arrivés à mi-chemin, elles se sentent brusquement retenues: leur tige, source même de leur vie, est trop courte; elles n’atteindront jamais le séjour de lumière, le seul où se puisse accomplir l’union des étamines et du pistil. Est-il dans la nature inadvertance ou épreuve plus cruelle? Imaginez le drame de ce désir, l’inaccessible que l’on touche, la fatalité transparente, l’impossible sans obstacle visible!…321

Tuttavia interviene a questo punto uno stratagemma che è come un pensiero disperato di liberazione e anche un’estrema forma di «svolta del respiro»: i fiori maschi che hanno racchiuso nel proprio cuore una bolla d’aria, si staccano dal peduncolo e affiorano alla superficie dell’acqua. Essi muoiono subito dopo che la fecondazione si è compiuta, per cui in questo nuovo scenario, come già per la fecondazione delle api, Maeterlinck contempla l’unione di amore e morte. Tuttavia, questa verità della Vallisneria, vista in termini fiabeschi da Maeterlinck, è contemplata, secondo le sue stesse parole, dalla parte della luce, ovvero dell’intelligenza della specie. L’intelligenza della specie è tutto, l’individuo è nulla. Dal punto di vista degli individui, si potrebbe osservare che anche questo sistema di fecondazione è sottoposto a molteplici errori: alle volte il distacco dei fiori dal peduncolo avviene troppo presto, oppure in acqua bassa ha luogo automaticamente anche quando il peduncolo è abbastanza lungo. L’intelligenza dell’individuo non compare in questo dispiegamento di intelligenza naturale.322 Solo nell’uomo le due forze sembrano equilibrarsi, secondo una fine dialettica che richiama quella, bachelardiana, dell’immagine e del concetto: Nous constatons ici, une fois de plus, que tout le génie réside dans l’espèce, la vie ou la nature; et que l’individu est à peu près stupide. Chez l’homme seul il y a émulation réelle entre les deux intelligences, tendance de plus en plus précise, de plus en plus active à une sorte d’équilibre qui est le grand secret de notre avenir.323

321. Ivi, pp. 22-23. 322. Anche in questa citazione della Vallisneria si osserva un punto di contatto con il testo di Schopenhauer, tuttavia i punti di vista dei due autori divergono. Schopenhauer cita il processo di fecondazione della Valisneria spiralis come esempio della presenza non dubitativa (anche se limitata) di un’armonia nella natura (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà…, cit., l. II, § 28, pp. 199-200). Invece il discorso di Maeterlinck, per lo meno nella sua parte argomentativa, mette in evidenza le disfunzioni e i disguidi che possono ricorrere in questo sistema di fecondazione. Proust riprenderà lo stesso esempio, adottando il punto di vista di Maeterlinck. 323. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., p. 25.

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Questo favoloso racconto della Vallisneria rimanda al Maeterlinck più antico, perché la condizione delle piante acquatiche è di respirare in un mezzo diverso dall’aria. È dunque una condizione paradossale. In questo testo compare l’immagine del «séjour de lumière» che fa riferimento però all’asfittica crudeltà della luce. Infatti quando la fecondazione è compiuta, i fiori muoiono, non possono più respirare. Questa presenza di un’intercapedine trasparente rimanda al primo fondamentale simbolo poetico di Maeterlinck, la serra. Esso appartiene a una stratificazione più antica del pensiero di Maeterlinck – non immune da un certo estetismo – e quindi lo si può considerare una sopravvivenza, nell’articolo del 1907. Segue la parte centrale del saggio, che espone i sistemi di fecondazione ideati dalle piante. Maeterlinck sposa la teoria evoluzionistica secondo la quale esiste un progresso intelligente nelle piante. Del resto, anche la distinzione che si introduce fra intelligenza della specie e intelligenza dell’individuo appare trascurabile a Maeterlinck: «Que l’on dise, à propos de l’Orchidée comme de l’abeille, que c’est la Nature et non point la plante ou la mouche qui calcule, combine, orne, invente et raisonne, quel intérêt cette distinction peut-elle avoir pour nous?»324 Quello che interessa è stabilire le abitudini di questa intelligenza diffusa dalla quale promanano tutti gli atti intelligenti che si compiono sulla Terra. La fede in questa intelligenza diffusa pare un elemento fondamentale delle convinzioni intellettuali di Maeterlinck: «Une question bien plus haute et plus digne de notre attention passionnée domine ces détails. Il s’agit de saisir le caractère, la qualité, les habitudes et peut-être le but de l’intelligence générale d’où émanent tous les actes intelligents qui s’accomplissent sur cette terre».325 Orchidee e imenotteri sembrano gli esseri più adatti a informarci su questi movimenti, e non sembrano diversi per complessità dei mobili, anche se i moventi degli animali restano sempre più sfuggenti di quelli delle piante. Incomincia a questo punto del saggio – che è entrato nella sua fase terminale – la collocazione dell’intelligenza umana nell’ambito di un’intelligenza cosmica, l’affermazione della fondamentale analogia e omologia tra la forza che ci anima e la forza che anima l’universo. Tutto in questa forza, il suo modo di procedere come il suo ideale estetico, l’apparenta all’intelligenza umana. Si potrebbe confrontare questa presenza in ogni aspetto del cosmo della medesima intelligenza con il panlogismo di Leibniz e soprattutto con Spinoza. Innanzitutto Maeterlinck insiste sulla somiglianza fra l’ideale estetico della Natura e quello umano:

324. Ivi, p. 92. 325. Ibid.

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Or qu’observons-nous, en surprenant à l’œuvre la Nature, l’Intelligence générale, ou le Génie Universel (le nom n’importe guère) dans le monde des fleurs? Bien des choses, et, pour n’en parler qu’en passant, car le sujet prêterait à une longue étude, nous constatons tout d’abord que son idée de beauté, d’allégresse, que ses moyens de séduction, ses goûts esthétiques, sont très proches des nôtres. Mais sans doute serait-il plus exact d’affirmer que les nôtres sont conformes aux siens. Il est en effet bien incertain que nous ayons inventé une beauté qui nous soit propre. Tous nos motifs architecturaux, musicaux, toutes nos harmonies de couleur et de lumière, etc. sont directement empruntés à la Nature.326

Segue un’evocazione di bellezze naturali (il mare, la montagna, i cieli, la notte, i crepuscoli) per soffermarsi infine su un’immagine che Maeterlinck considera fondatrice del nostro sentimento dell’universo e evocatrice di felicità, anticipando analoghe frasi di Bachelard: è l’immagine dell’albero. L’albero costituisce una di quelle impressioni che la memoria purificata, la memoria capace di oltrepassare i confini della morte, vorrebbe portare con sé. Questa è un’occasione per enunciare una legge molto importante delle immagini. L’immagine è capace di superare la frontiera che separa i due mondi, la vita e la morte, perché è stata sottoposta ad un processo preliminare di autosuperamento e di purificazione: Je parle non seulement de l’arbre considéré dans la forêt, qui est une des puissances de la terre, peut-être la principale source de nos instincts, de notre sentiment de l’univers, mais de l’arbre en soi, de l’arbre solitaire, dont la verte vieillesse est chargée d’un millier de saisons. Parmi ces impressions qui, sans que nous le sachions, forment le creux limpide et peut-être le tréfonds de bonheur et de calme de toute notre existence, qui de nous ne garde la mémoire de quelques beaux arbres? Quand on a dépassé le milieu de la vie, quand on arrive au bout de la période émerveillée, qu’on a épuisé à peu près tous les spectacles que peuvent offrir l’art, le génie et le luxe des siècles et des hommes, après avoir éprouvé et comparé bien des choses, on en revient à de très simples souvenirs. Ils dressent à l’horizon purifié, deux ou trois images innocentes, invariables et fraîches, qu’on voudrait emporter dans le dernier sommeil, s’il est vrai qu’une image puisse passer le seuil qui sépare nos deux mondes.327

Il soggiorno d’oltretomba è immaginato da Maeterlinck sotto l’insegna della verticalità dell’albero, e di tutte le virtù che esso concretamente racchiude e fantasticamente simboleggia, la resistenza, il coraggio, lo slancio, la solennità: Pour moi, je n’imagine pas de paradis, ni de vie d’outre-tombe si splendide qu’elle devienne, où ne serait point à sa place tel magnifique Hêtre de la Sainte-Baume, tel Cy326. Ivi, pp. 93-94. 327. Ivi, pp. 94-95.

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près ou tel Pin-parasol de Florence ou d’un humble ermitage voisin de ma maison, qui donnent au passant le modèle de tous les grands mouvements de résistance nécessaire, de courage paisible, d’élan, de gravité, de victoire silencieuse et de persévérance.328

Come segnala Michael R. Finn, queste pagine erano ben note a Proust che le cita in un articolo del 1907.329 Questi accenni sono sufficienti per mostrare l’ultimo significato della redenzione del tempo in Maeterlinck: essa coincide con l’immagine,330 che giusta la descrizione fenomenologica di Sartre, pone il suo essere come un nulla,331 ed equivale a quello che Husserl chiamava «ricordo purificato». II. 7. «Résurrection du passé»? Le conclusioni di questo capitolo non possono essere che provvisorie. Affiora, infatti, il fondamentale tema leibniziano del chiarimento delle percezioni oscure, che troverà nella ricezione proustiana di Maeterlinck ripercussioni fondamentali. 1) In primo luogo, affiora già in Serres chaudes una figura purificata del desiderio: è il sonno, che coglie i prigionieri incatenati nella caverna e costituisce la loro unica forma di evasione, che li rende simili alla splendente incoscienza dei 328. Ivi, p. 95. 329. Cfr. M.R. Finn, Proust, Maeterlinck, les arbres et les clochers, «Bulletin Marcel Proust », 54, 2004, pp. 127-133 (anche «French Forum», 30, 1, Winter 2005, pp. 81-96). L’autore segnala la recensione di Proust a Les Éblouissements di Anna de Noailles, apparsa su «Le Figaro» del 15 giugno 1907, dove queste pagine di Maeterlinck sono citate. Cfr. M. Proust, CSB, pp. 533-545, e soprattutto pp. 537-538. Secondo Finn, i celebri passaggi della Recherche nei quali compaiono degli alberi (l’episodio dei tre alberi di Hudimesnil in JF e l’allocuzione agli alberi in TR) risentono del ricordo di questa pagina di Maeterlinck. 330. Finora abbiamo fatto riferimento principalmente al Benjamin di Ursprung, ma l’importanza del concetto di immagine in Benjamin affonda le sue radici nella produzione tarda, in particolare nelle Tesi di filosofia della storia. Se nella Premessa gnoseologica Benjamin aveva messo in guardia i suoi lettori dall’interpretare l’Idea in termini di intuizione o visione, nelle Tesi introduce il concetto di Bild, l’immagine. Ora il compito di redenzione affidato all’immagine è in rapporto con l’accelerazione del tempo storico. La moderna “temporalizzazione della storia” (Koselleck) apre infatti un paradosso: essa «apre quello spazio della discontinuità nella quale solo è possibile il recupero di altre immagini del passato, fuori da quelle consegnate dalla tradizione medesima. L’immagine dialettica è il tentativo di replica a questa paradossalità con altra di ordine superiore; si potrebbe definirla come lo sforzo per reinteriorizzare come ricordo la storia temporalizzata, una storia che paradossalmente è però la sola che è in grado di portare l’anima a risvegliarsi» (G. Carchia, Tempo estetico e tempo storico in Walter Benjamin, in Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, pp. 182-190). Se si adotta la distinzione di Blumenberg fra tempo della vita e tempo del mondo, si vedrà che essa corrisponde al clivage fondamentale di Maeterlinck. Il fiore nella caverna rappresenta appunto l’immagine, quale intersezione fra tempo della vita e tempo del mondo, fra tempo estetico e tempo della storia secondo Benjamin. 331. J.-P. Sartre, L’imagination, Paris, Presses Universitaires de France, 1936 (19697); Id., L’imaginaire. Psychologie phénoménologique de l’imagination, Paris, Gallimard, 1940, trad. it. di R. Kirchmayr, L’immaginario. Psicologia fenomenologica dell’immaginazione, Torino, Einaudi, 2007.

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fiori che riescono a fiorire nel sotterraneo. Questa figura del sonno è collegata da Maeterlinck a un simbolismo di tipo ciclico: ad essa si associa l’avvicendamento ciclico della storia all’esterno e il ritrovamento dell’oggetto perduto. Qui Maeterlinck si muove nella seconda sintesi (passiva) del tempo, secondo Deleuze. Al ritrovamento della naturalezza e dell’incoscienza si associa il ritorno della natura sui luoghi connotati da rovine. Come si legge in Amen: Il est l’heure enfin de bénir Le sommeil éteint des esclaves, Et j’attends ses mains à venir En roses blanches dans les caves. J’attends enfin son souffle frais, Sur mon cœur enfin clos aux fraudes; Agneau-pascal dans le marais, Et blessure au fond des eaux chaudes. J’attends des nuits sans lendemains, Et des faiblesses sans remède; J’attends son ombre sur mes mains, Et son image dans l’eau tiède. J’attends vos nuits afin de voir Mes désirs se laver la face, Et mes songes aux bains du soir, Mourir en un palais de glace.332

L’anafora di «J’attends…» collega questa poesia alla conclusiva della raccolta, dove appare ancora più chiaro il tema del ritrovamento dell’oggetto perduto (l’anello). Il titolo della poesia è Âme de nuit, che manifesta chiaramente il predominio finale del regime notturno e dell’eufemizzazione della morte, ovvero, il carattere regressivo della liberazione incontrata: J’attends vos doigts purs sur ma face, Pareils à des anges de glace, J’attends qu’ils mouillent mes regards, L’herbe morte de mes regards, Où tant d’agneaux las sont épars!333

L’erba morta degli sguardi equivale a quelle sopravvivenze del passato che l’acqua purificatrice invocata dovrebbe ravvivare. È in gioco la funzione della memoria, come appare da un’altra poesia di Serres chaudes, dove la serra equivale 332. M. Maeterlinck, Amen, in Serres chaudes…., cit., p. 56. 333. M. Maeterlinck, Âme de nuit, ivi, pp. 73-74.

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ad una camera ottica per il ritrovamento del passato. Ma questo ritrovamento ha una tonalità tutta particolare, una tonalità mesta. Si legge in Verre ardent: Je regarde d’anciennes heures, Sous le verre ardent des regrets; Et du fond bleu de leurs secrets Émergent des flores meilleures. Ô ce verre sur mes désirs! Mes désirs à travers mon âme! Et l’herbe morte qu’elle enflamme En approchant des souvenirs! Je l’élève sur mes pensées, Et je vois éclore au milieu De la fuite du cristal bleu, Les feuilles des douleurs passées. Jusqu’à l’éloignement de soirs Morts si longtemps en ma mémoire, Qu’ils troublent de leur lente moire L’âme verte d’autres espoirs.334

Due sono i procedimenti con i quali la secchezza dello sguardo e l’irraggiungibilità dei ricordi può essere scongiurata: l’acqua e l’incandescenza. Ma se l’acqua resta solo invocata, l’incandescenza ha luogo nella serra. L’incandescenza è il procedimento stilistico preferito di Ruysbroeck, e ha come mezzo principale la ripetizione, come Maeterlinck segnala in chiusura della sua introduzione all’Ornement di Ruysbroeck: Maintenant il est temps de clore ces notes; mais je crois néanmoins nécessaire, avant que vous entriez en ces zones tropicales de l’âme, de signaler un procédé d’expression assez habituel au poète du Val-Vert, et difficile à restituer en toute traduction, je veux parler d’une étrange insistance sur certains mots ordinaires, de manière à en faire apparaître les aspects inconnus et parfois effrayants, en sorte que l’on s’imagine à peu près, une attention analogue à quelque intense éclairage appliqué à une pensée mal examinée à l’origine et s’étalant ensuite, sous une illumination graduelle, jusqu’en des épouvantements singuliers, à moins qu’elle ne s’enflamme absolument.335

Questo procedimento segna dunque l’affioramento di un passato irredento come das unheimliche. Tutto quello che Maeterlinck può fare in Serres chaudes, come del resto nel suo primo teatro, è dire la separazione dell’uomo da Dio. Ma 334. M. Maeterlinck, Verre ardent, ivi, p. 60. 335. M. Maeterlinck, Œuvres I. Le Réveil de l’âme, cit., pp. 287-288.

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quando l’orizzonte umano è isolato da pareti stagne ed esclude l’extramondano e il divino, quest’ultimo ritorna sotto le specie del noir. E sicuramente noir è il teatro maeterlinckiano che da questa poesia discende. L’altra liberazione, quella affidata al valore di concentrazione degli occhi chiusi, su cui insiste Durand, è solo invocata. La proustiana résurrection du passé è sfiorata, ma non raggiunta da Maeterlinck.336 2) Sul carattere prospettico della memoria. Un interprete di Maeterlinck evoca, in coincidenza involontaria con Deleuze, la nozione di piega337 e il ‘presente eterno’ come un quadro disegnato in anticipo, che si percepisce attraverso scanalature.338 L’inconscio percepisce il futuro, l’intelligenza no. Quindi la piega 336. In un suo articolo, Fabrice Van De Kerckhove ricostruisce la genesi di questa poesia e mostra che la connotazione ottica assunta dal simbolo della serra fa riferimento all’interesse manifestato da Maeterlinck per ogni genere di lenti e procedimenti ottici, in particolare per delle lenti usate come attrazione da fiera nei paesi della Fiandra fiamminga da cui proveniva, che servivano a ingigantire incisioni raffiguranti faits divers. Il vetro ardente è appunto un simile tipo di lente. In particolare Maeterlinck rielabora in diversi testi intorno al 1888 il tema del grossissement: allontanandosi dai contorni dell’oggetto fissato, la lente finisce per confonderne i tratti fino a quasi farli esplodere. Questa immagine metaforizza appunto gli stati di latenza o antecedenza d’essere: essa rappresenta la visione diretta di Dio o dell’Enigma veicolata dalla ricerca mistica, e anche l’anticipazione della morte e l’acclimatamento dei ricordi dei sogni allo stato di veglia. In Verre ardent, essa è applicata al funzionamento della memoria. De Kerckhove riporta le due tracce prosastiche che precedettero i versi e mostra le differenze fra il primo programma di Maeterlinck e la sua effettiva realizzazione. Nella prima traccia prosastica della poesia, «Maeterlinck se propose d’évoquer un processus continu, qui mènerait progressivement, sans heurt ni angoisse, du grossissement à la confusion: en s’éloignant du feuillage des souvenirs, la lentille de l’âme commencerait par les agrandir (les idéaliser?), mais finirait par les brouiller, pour aboutir à la transparence verte de l’émeraude. Maeterlinck applique ici à la remémoration le langage d’une mystique apaisée» (F. Van de Kerckhove, Maeterlinck entre prose et poésie. De Sous verre à Serres chaudes, in Présence/Absence de Maurice Maeterlinck, cit., p. 61). Nella seconda traccia, Maeterlinck abbandona tale programma d’ingrandimento idealizzante. «La seconde partie du programme réintroduit dans l’expérience intérieure du sujet une tension que la première semblait ignorer. Passant sous silence l’étape de l’amplification idéalisante, Maeterlinck distingue à présent trois moments dans la vie de l’âme, qui corréspondraient à trois façons qu’a celle-ci de se rapporter à ses représentations. Toujours comparée à une lentille, l’âme, tel le “verre ardent” évoqué dans la conclusion de l’article sur Ruysbroeck, détruit tout d’abord, en les embrasant, les représentations dont elle tend à se rapprocher trop; lorsque le mouvement s’inverse, le grossissement de “telle pensée ou tel rêve” jette tout d’abord le sujet dans “l’effroi”; mais à mesure que le mouvement se poursuit, et que la lentille s’éloigne, l’épouvante fait place à une vision “graduellement” plus confuse qui accorde au sujet “la consolation verte de l’émeraude”» (ivi, pp. 61-62). La realizzazione poetica effettiva confonde ulteriormente questi due modelli. Mentre sembra prevalere la prima traccia, con la cancellazione del momento angoscioso, l’ultima quartina presenta le sopravvivenze dei ricordi come moire (“marezzatura”) sullo specchio verde che assume il significato di anticipazione. Prevale perciò una tonalità inquieta nel finale (ivi, p. 63). 337. G. Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, cit. 338. R. Vivier, Histoire d’une âme, in Maurice Maeterlinck (1862-1962), a cura di J. Hanse e R. Vivier, Bruxelles, La Renaissance du livre, 1962, pp. 267-268 : «L’effort de Maeterlinck, nous le savons, a toujours été de donner un sens au mot de destin. Dans La Grande Porte il arrive à cette vue: “Qu’est-il au fond, ce Destin? Le présent déjà partout réalisé”. Ceci tient compte de la vieille notion de l’éternel présent, désormais ainsi nuancée: tout existe virtuellement comme un tableau peint à l’avance, et les yeux du temps dans sa marche en le découvrant le font être. Parmi ce virtuel nous ne suivons pas une rainure fixée mais choisissons plus ou moins notre route entre des infinités des chemins étalés sur une sorte de plaine lisse».

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che consente la previsione sviluppa in senso tridimensionale il quadro piatto (astratto) del simbolo inconscio. Il presente attuale (l’‘ora vivente’ di Husserl) è tridimensionale, mentre l’eterno presente è bidimensionale. Per Benjamin, la sostituzione del presente attuale all’eterno è caratteristica della modernità ed è tipicamente allegorica. Il procedimento dell’intelligenza (luce-piega che illumina in Maeterlinck il quadro bidimensionale) è un procedimento, quindi, eminentemente allegorico. E la seconda maniera di Maeterlinck è dominata dall’allegoria. Si può ravvisare qui un’analogia con l’epifania proustiana e con quanto detto nel primo capitolo a proposito di Husserl. Tuttavia, la questione è spinosa e coinvolge lo statuto fenomenologico dell’immagine. Ci pare però di poter affermare che in Maeterlinck il presente vivente si sostituisca completamente al presente eterno nella forma pietrificata dell’allegoria, mentre Proust sfondi verso l’atemporale, stabilendo una comunicazione diretta (simbolica) con le essenze. Il presente proustiano rivela le essenze quasi per trasparenza, non le copre completamente attraverso la relazione significante caratteristica dell’allegoria. Perciò il simbolo proustiano esprime compiutamente il volto della natura trasfigurata nella luce della redenzione. Maeterlinck tende a questo, ma con un rimando di là dalla morte. 3) Questa rigidezza di comunicazioni tra inconscio e coscienza si condensa in Maeterlinck nell’immagine della porta. Essa esprime, ancora una volta, in senso temporale la doppia infedeltà dell’uomo a Dio e di Dio all’uomo, che può essere aggirata solo nel presente attuale (il breve tempo che la porta è aperta). Regno del non concluso e regno della storia eterna non comunicano direttamente. 4) Dove l’allegoria assume un valore euristico originale in Maeterlinck è nell’assunzione del paradigma metonimico in luogo di quello metaforico. Ciò avviene nei grandi saggi dedicati alla natura, dove l’ascesa verticalizzante verso la luce si connota come soffio, espressione purificata del desiderio. Qui è possibile una salvazione del presente in quiete. Essa coincide con i vari significati della redenzione del tempo che abbiamo individuato: purificazione morale, raggiungimento di un’incoscienza superiore, ritrovamento dell’intelligenza universale, sublimazione dei ricordi e delle loro immagini. Tutti questi temi sono connessi agli stati liminari fra esistenza e non-esistenza, come il sonno. 5) In Maeterlinck è più forte l’isolamento della monade, in Proust è più forte la permeabilità fra conscio e inconscio. La difficoltà di comunicazione fra conscio e inconscio si accentua per Maeterlinck quando l’intelligenza si rivolge al passato. Il passato in Maeterlinck torna quasi sempre come irredento. 6) Nel testo maeterlinckiano del 1907 si parla di lueurs (bagliori provenienti dagli insetti e dai fiori) in contrapposizione a lumière. Si abbozza un diverso sta137

tuto della luce, analogo alla distinzione deleuziana fra luce naturale della tradizione cartesiana e fuochi fatui, bagliori differenziali della tradizione stoica e leibniziana. Lueur è un differenziale della luce, è un presente intermittente redento nella differenza. Esso è un’intermittenza che va verso il dileguare. La salvazione differenziale del presente passa attraverso la struttura dell’intermittenza.

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Capitolo III Uscire dalla caverna

III. 1. Un pastiche di Pelléas del 1893. La conclusione del nostro precedente capitolo non chiude ma naturalmente si limita solo ad aprire delle questioni. L’interrogazione potenzialmente inesauribile sul mito della caverna, da cui abbiamo preso le mosse, si arricchirà pertanto di altri elementi. In questi due capitoli conclusivi cercheremo di corroborare le nostre tesi attraverso il censimento il più possibile preciso e completo (anche se non pretende di essere esaustivo339) della presenza di Maeterlinck nei testi proustiani. Una postilla preliminare al titolo di questo capitolo: fa riferimento – come avverrà anche per il capitolo seguente e conclusivo – alla partizione del mito della caverna che lo farebbe assomigliare a un dramma in due atti: nella metaforica proustiana della caverna per rendere fruibile il ricordo e trasformarlo in scrittura è necessario prima uscire dalla caverna e poi rientrarvi. Questo capitolo è dedicato prevalentemente a quelle immagini che attraverso il confronto e lo scambio intertestuale con le opere di Maeterlinck descrivono il momento dell’uscita. La prima menzione di Maeterlinck nell’opera proustiana risale a un pastiche di Flaubert, pubblicato per la prima volta sulla «Revue Blanche», nos 21-22, juillet-août 1893, e poi raccolto in volume in Les Plaisirs et les Jours, sotto il titolo di Mondanité et mélomanie de Bouvard et Pécuchet. Poiché il passaggio in questione parla dell’attualità teatrale, si può fare risalire la conoscenza di Maeterlinck da parte di Proust almeno al 1893, cioè al periodo della sua esplosione come fenomeno teatrale d’attualità sulle scene parigine. Dopo l’apprezzamento di Mallarmé per La Princesse Maleine (1889), primo dramma dell’allora ventisettenne Maeterlinck, un articolo di Octave Mirbeau su Le Figaro (1889) consegnò Maeterlinck alla celebrità, presentandolo al pubblico parigino come un genio tragico paragonabile a Shakespeare. Gli anni 1890-1895 segnarono l’apogeo del successo di Maeterlinck drammaturgo simbolista: «En tout, avec Pelléas et Mélisande (1892), sept pièces de théâtre sont publiées, entre 1890 et 1895. Pelléas et Mélisande 339. In particolare il nostro censimento dei riferimenti a Maeterlinck nella corrispondenza proustiana non è completo. Per altri riferimenti, diversi da quelli da noi citati, rimandiamo ai già menzionati lavori di Carlo Bronne e Anne Simon.

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marque l’apogée du symbolisme maeterlinckien. La piéce fut créée par le Théâtre d’Art sur la scène des Bouffes Parisiens, le 22 mai 1893».340 La corrispondenza di date fra la messinscena del dramma nel 1893 e il riferimento proustiano porta a correggere l’interpretazione per cui Proust sarebbe venuto a conoscenza di Pelléas et Mélisande solo nel 1904, quando se ne trova diretta menzione nella corrispondenza. Si può ipotizzare la diretta conoscenza da parte di Proust del dramma maeterlinckiano già all’epoca della sua prima rappresentazione parigina. In ogni caso, i critici maeterlinckiani parlano, a proposito della rappresentazione parigina di Pelléas, di una vera «bataille de Pelléas» in cui pubblico e critica si divisero aspramente. Il successo della rappresentazione provocò l’entusiasmo degli uni e l’irritazione degli altri: in cinque giorni, il Journal des Débats consacrò tre articoli alla pièce. Il capofila degli oppositori del “maeterlinckisme” era Francisque Sarcey: Francisque Sarcey, on s’en doute, exhale dans Le Temps sa mauvaise humeur contre ceux qui prétendent situer «ce chef-d’œuvre belge» au-dessus des pièces des Augier, des Dumas, des Sardou, des Meilhac! Il enrage contre les inventeurs «de réputations exotiques», contre «ces exhibitions dithyrambiques de génies belges, norvégiens ou suédois, quand nous avons chez nous, dit-il, tant de gens et de talent que l’on affecte de mépriser et de blaguer».341

Un’eco di queste polemiche la ritroviamo nella Recherche, quando alla cena dei Verdurin alla Raspelière, la sera che il narratore fa il suo debutto nel «petit noyau» e vi incontra inaspettatamente M. de Charlus, l’accademico Brichot interviene per deridere il gusto dei suoi contemporanei di incoronare capolavori o pretesi tali di geni esotici. A proposito di un’opera settecentesca di Favart, La Chercheuse d’esprit, Brichot afferma che il gusto di esotismo che ha spinto Jacques Porel e i suoi successori (fra i quali il celebre Antoine, l’introduttore di Ibsen in Francia342) alla guida del teatro Odéon si potrebbe esprimere a meraviglia travestendo questa operetta da lavoro di genio sarmata o norvegese, e ingannando i creduli contemporanei che griderebbero così al capolavoro: «“Il est vrai, répondit-il à M. Verdurin, et si on la faisait passer pour l’œuvre de quelque auteur sarmate ou scandinave, on pourrait poser la candidature de La Chercheuse d’esprit à la situation vacante de chef-d’œuvre. […]”».343 Joseph Hanse riferisce che la risposta dei simbolisti a Sarcey partì proprio dalla «Revue Blanche» (la rivista alla quale collaborava anche Proust e dove 340. P. Gorceix, L’itinéraire de l’homme et de l’écrivain, in M. Maeterlinck, Œuvres I. Le Réveil de l’âme, cit., p. 30. 341. J. Hanse, Histoire d’une gloire, in Maurice Maeterlinck ( 1862-1962), cit., p. 69. 342. Cfr. J. Robichez, Le symbolisme au théâtre. Lugné-Poe et les débuts de l’Œuvre, Paris, L’Arche, 1957. 343. SG, RTP, III, p. 326.

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sarebbe apparso, in quel torno di tempo, il pastiche di Flaubert), sottoforma di un pastiche di Maeterlinck: «Cette fois, c’est la Revue Blanche, dans son supplément humoristique Le Chasseur de chevelures, qui pour railler Sarcey et consorts donne, sous le titre Une primeur, une parodie de Maeterlinck, Les Enfants arriérés».344 Anche Bouvard e Pécuchet, nell’interpretazione proustiana di Flaubert datata 1893, danno una parodia dello stile di Maeterlinck e questo fa pensare che Proust fosse a conoscenza delle polemiche che si erano scatenate intorno al dramma di Maeterlinck e condividesse il gusto delle parodie lanciato proprio dalla rivista alla quale collaborava. Dice infatti il testo proustiano: Maeterlinck effraye, mais par des moyens matériels et indignes du théâtre; l’art émeut à la façon d’un crime, c’est horrible; d’ailleurs, sa syntaxe est misérable. Ils en firent spirituellement la critique en parodiant dans la forme d’une conjugaison son dialogue: «J’ai dit que la femme était entrée. – Tu as dit que la femme était entrée. – Vous avez dit que la femme était entrée. – Pourquoi a-t-on dit que la femme était entrée?» Pécuchet voulait envoyer ce petit morceau à la Revue des Deux Mondes, mais il était plus avisé, selon Bouvard, de le réserver pour le débiter dans un salon à la mode. Ils seraient classés du premier coup selon leur mérite. Ils pourraient très bien le donner plus tard à une revue. Et les premiers confidents de ce trait d’esprit, le lisant ensuite, seraient flattés rétrospectivement d’en avoir eu la primeur.345

Questo riferimento finale alla primeur nella parodia proustiana di Maeterlinck richiama il titolo sotto il quale era apparsa quella dei suoi colleghi della «Revue Blanche».346 Poiché Proust si occupa di letteratura nel quadro della 344. J. Hanse, Histoire d’une gloire, cit, p. 70. 345. M. Proust, Mondanité et mélomanie de Bouvard et Pécuchet. I Mondanité, PJ, cit., p. 106. 346. Un altro riferimento alla primeur dell’umorismo a spese di Maeterlinck è presente nella Recherche: in Le Côté de Guermantes Mme de Guermantes racconta agli ospiti di Mme de Villeparisis come abbia ricevuto in casa sua la screditata amante di suo nipote Robert de Saint-Loup, l’attrice Rachel, per un recital in cui quest’ultima interpretava brani tratti da Les Sept Princesses (1891) di Maeterlinck. Il recital suscitò l’ilarità degli spettatori, sconcertati dalla recitazione d’avanguardia e dalle oscurità di un testo a loro sconosciuto: «Comment, vous ne savez pas qu’elle a joué chez moi avant tout le monde, je n’en suis pas plus fière pour cela”dit en riant Mme de Guermantes, heureuse pourtant, puisqu’on parlait de cette actrice, de faire savoir qu’elle avait eu la primeur de ses ridicules» (CG, RTP, II, p. 520). L’interesse di Proust per Maeterlinck come fatto mondano e fenomeno di moda culturale è costante in Proust in tutto l’arco della sua produzione, come dimostra la continuità fra questo dettaglio del pastiche del 1893 e il testo dei Guermantes. Si può aggiungere che nella Recherche questo interesse per il “fenomeno” culturale Maeterlinck e per la sua ricezione nell’alta società frequentata dal narratore assume lo spessore di un tema narrativo, di uno di quei microfatti della moda che documentano le trasformazioni sociali: in Le Côté de Guermantes il narratore è un fervente ammiratore delle prime opere di Maeterlinck e, da neofita delle nuove tendenze letterarie, resta fortemente deluso quando scopre che Mme de Guermantes della quale è innamorato non comprende Maeterlinck e anzi lo disprezza. Nel Temps retrouvé, nella matinée Guermantes, mercé il tempo trascorso, troviamo invece una Mme de Guermantes volontariamente decaduta dal suo trono mondano che adesso ammira senza riserve Maeterlinck e va a pranzo con Rachel, divenuta frattanto attrice di successo e sua grande amica. Questa insistenza sul carattere “modaiolo”

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mondanità, possiamo concludere che fare la parodia delle balbettanti ripetizioni dei personaggi di Maeterlinck fosse diventata una moda, dato confermato dai critici materlinckiani non solo per quanto riguarda i salotti parigini ma anche brussellesi. Ciò appare confermato dallo stesso Maeterlinck, che nella prefazione all’edizione del suo teatro nel 1901 alludeva a «ces répétitions étonnées qui donnent aux personnages l’apparence de somnambules un peu sourds constamment arrachés à un songe pénible» e all’ironia che suscitavano negli spettatori.347 Quanto alla critica di Bouvard e Pécuchet, essa riflette lo scandalo dei critici abituati alle bienséances del teatro francese classico davanti alla rappresentazione diretta del crimine (la scena V del IV atto di La Princesse Maleine mette in scena l’assassinio della principessa per mano del re e della regina Anne; in Les Aveugles del 1890 un cadavere occupa fin dall’inizio il centro della scena; in Pelléas et Mélisande, la scena IV dell’atto IV mostra Golaud che colpisce i due amanti). Il riferimento ai «moyens matériels» di cui si avvale il teatro di Maeterlinck potrebbe essere letto partendo dalla novità delle messe in scena simboliste, e in particolare all’uso drammatico di elementi scenici, come le illuminazioni.348 Tutto ciò contrastava con la poetica del teatro neoclassico rappresentata da Racine, che nasceva dal rifiuto degli elementi propriamente teatrali e affidava le capacità evocative dei drammi esclusivamente alla parola.349 Nel saggio Le Réveil de l’âme (1896), Maeterlinck aveva così caratterizzato i personaggi di Racine: Les personnages de Racine ne se comprennent que par ce qu’ils expriment; et pas un mot ne perce les digues de la mer. Ils sont effroyablement seuls à la surface d’une planète qui ne tourne plus dans le ciel. Ils ne peuvent pas se taire, ou ils ne seraient plus. Ils n’ont pas de principe invisible, et l’on croirait qu’une substance isolante a été interposée entre leur esprit et eux-mêmes, entre la vie qui touche à tout ce qui existe et la vie qui ne della ricezione di Maeterlinck è uno dei procedimenti con cui Proust mette in atto la demitizzazione di un autore pur sempre ammirato. 347. M. Maeterlinck, Préface, [in Théâtre, Bruxelles, Lacomblez, 1901], Œuvres I, cit., p. 495. 348. Cfr. J. Robichez, Le symbolisme au théâtre, cit.; M. Mazzocchi Doglio, Il teatro simbolista in Francia (18901896), Roma, Abete, 1978; Miti e figure dell’immaginario simbolista, a cura di S. Sinisi, cit.; S. Carandini, La melagrana spaccata. L’arte del teatro in Francia dal naturalismo alle avanguardie storiche, Roma, Valerio Levi Editore, 1988; S. Mazzanti, Luce in scena. Storia, teorie e tecniche dell’illuminazione a teatro, Bologna, Editrice Lo Scarabeo, 1998. 349. Sulla poetica neoclassica di Racine cfr. G. Steiner, Morte della tragedia, cit., p. 76: «Tutto ciò che avviene, avviene nell’ambito del linguaggio. È questo il limite e la grandezza del teatro classico francese. Con parole e nient’altro che parole – formali e pompose per di più – Racine mette in scena l’azione più scatenata. Nulla del contenuto di Fedra esce dalla forma espressiva, dal linguaggio, sicché le parole si trovano più o meno nella situazione delle note musicali, dove contenuto e forma si identificano». Ma il riferimento al teatro neoclassico si rafforza con un altro riferimento ancora più originario alla Poetica di Aristotele: secondo Aristotele, la vera tragedia deve i suoi effetti caratteristici (il terrore e la pietà) alla struttura drammatica dell’azione rappresentata e non alla diretta influenza sul pubblico dei mezzi scenici di rappresentazione. Quando ciò accade (per esempio con Seneca), si tratta di poesia tragica di qualità inferiore. Questo aspetto della teoria aristotelica è ricordato da B. Maj, Idea del tragico…, cit., p. 68.

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touche qu’au moment fugitif d’une passion, d’une douleur, d’un désir. Il y a vraiment des siècles où l’âme se rendort et où personne ne s’en inquiète plus.350

Maeterlinck caratterizza il principio invisibile dell’anima come silenzio, che è il principale mezzo di chiarimento delle percezioni oscure.351 In un saggio intitolato appunto Le Silence, Maeterlinck caratterizza gli uomini silenziosi come alberi dotati di profonde radici: in contrasto con l’assenza di principio invisibile che caratterizza i personaggi di Racine. «La parole est trop souvent, non comme le disait le Français, l’art de cacher la pensée, mais l’art d’étouffer et de suspendre celle-ci, en sorte qu’il n’en reste plus rien à cacher».352 Le ripetizioni nei drammi di Maeterlinck assolvono questo compito di mostrare il carattere fattizio del linguaggio, lasciando intravvedere nelle frequentissime pause tra una battuta e l’altra e anche all’interno di una stessa battuta quell’invisibile del linguaggio che è il silenzio. Le affermazioni di Maeterlinck al riguardo sono perentorie: la parola appartiene al raggio d’azione mondano, e non esprime mai i rapporti reali fra gli esseri.353 Quella 350. M. Maeterlinck, Le Réveil de l’âme, in Id., Le Trésor des Humbles, Paris, Mercure de France, 1904, pp. 33-34. 351. «Le silence est l’élément dans lequel se forment les grandes choses, pour qu’enfin elles puissent émerger, parfaites et majestueuses, à la lumière de la vie qu’elles vont dominer» (M. Maeterlinck, Le Silence, cit., p. 7). Dopo aver citato Guglielmo il Taciturno e l’esempio di altri grandi uomini che si astenevano dal chiacchierare di ciò che progettavano e di ciò che creavano, il saggista esorta il suo lettore a cercare di trattenere la propria lingua per un giorno, affermando che nel silenzio la sua mente sarà sgomberata da operai muti che spazzeranno via i cocci e il sudiciume che albergano in lui. Anche per Proust il silenzio ha il valore di un elemento rivelatore rispetto alle oscurità della parola, che nascono dalle passioni, dagli interessi, dall’abitudine, dai tic linguistici (cfr. M. Piazza). Il silenzio è l’elemento che permette il chiarimento della verità interiore, ovvero il chiarimento delle percezioni oscure. Dice Maeterlinck: «essaie donc de retenir ta langue durant un jour; et le lendemain, comme tes desseins et tes devoirs seront plus clairs! Quels débris et quelles ordures ces ouvriers muets n’ont-ils pas balayés en toi-même, tandis que les bruits inutiles du dehors n’entraient pas!» (ivi, p. 8). 352. M. Maeterlinck, Le Silence, cit., p. 10. 353. Ivi, pp. 9-10: « Il ne faut pas croire que la parole serve jamais aux communications véritables entre les êtres. Les lèvres ou la langue peuvent représenter l’âme de la même manière qu’un chiffre ou un numéro d’ordre représente une peinture de Memlinck, par exemple, mais dès que nous avons vraiment quelque chose à nous dire, nous sommes obligés de nous taire; et si dans ces moments nous résistons aux ordres invisibles et pressants du silence, nous avons fait une perte éternelle que les plus grands trésors de la sagesse humaine ne pourront réparer, car nous avons perdu l’occasion d’écouter une autre âme et de donner un instant d’existence à la nôtre; et il y a bien des vies où de telles occasions ne se présentent pas deux fois…» « Nous ne parlons qu’aux heures où nous ne vivons pas, dans les moments où nous ne voulons pas apercevoir nos frères et où nous nous sentons à une grande distance de la réalité. Et dès que nous parlons, quelque chose nous prévient que des portes divines se ferment quelque part». La tonalità mistica di queste affermazioni può facilmente essere accostata a talune affermazioni di Proust nel Carnet de 1908: l’urgenza degli appelli divini che bisogna ascoltare è sentita con la stessa intensità e traendo da Emerson (che è ampiamente citato da Maeterlinck in questo e in altri luoghi) alcune metafore: «Peut’être dois-je bénir ma mauvaise santé, qui m’a appris, par le lest de la fatigue, l’immobilité, le silence, la possibilité de travailler. Les avertissements de mort. Bientôt tu ne pourras plus dire tout cela» (M. Proust, Le carnet de 1908, cit., pp. 60-61). «Erreur qui vient de ne pas comprendre l’originalité du génie et la nullité de la conversation. Silence contact avec soi-même» (ivi, p. 71). «Je sens que je pleurerais mes dieux évanouis p. 97 Vendre le trône des anges. Chaque heure d’entretien nous coûte un état céleste» (ivi, p.

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sostanza isolante interposta fra i personaggi e il mondo circostante nel caso di Racine è dunque proprio la parola. La parola del drammaturgo simbolista pertanto fa sempre più spazio a interstizi carichi di silenzio. Maj osserva che è filologicamente documentabile la vicinanza a Goethe di Rosenzweig a proposito del tema del silenzio dell’eroe tragico.354 Esso presuppone la possibilità del dialogo tra anime che è un’anticipazione intramondana dell’extramondano – prospettiva che Benjamin rifiuta, tutto concentrato sulla prospettiva marxista di una salvezza immanente nella storia, e trasforma il motivo dialogico in mandato che il presente riceve dal passato, come impegno a riscattarne le ingiustizie patite. Questa possibilità dialogica tra le anime è chiaramente affermata da Maeterlinck nel suo saggio. Maeterlinck distingue un silenzio attivo da uno passivo (corrispettivo del sonno, della morte, dell’inesistenza) e afferma che il silenzio attivo si rivela la prima volta che due esseri tacciono insieme e fissa per sempre la qualità del loro rapporto. Se questo è d’amore, il silenzio è «le grand révélateur des profondeurs de l’être».355 Appare evidente la differenza da Proust, che tocca la parte più delicata della concezione del sé. Per entrambi gli autori, il silenzio ha il valore di rivelazione quasi stratigrafica delle profondità dell’essere, ma è vero anche che la psicologia dei personaggi proustiani esclude la comunicazione delle anime. Nel breve pastiche di Maeterlinck che Proust include fra i dialoghi di Bouvard e Pecuchet, non è solo la ripetizione stereotipa delle formule grammaticali che viene presa di mira356: la tematizzazione della soglia è infatti predominante da un capo all’altro dell’opera di Maeterlinck. L’immagine del visitatore o della donna che entra da una porta dischiusa la percorre da un capo all’altro. In Alladine et Palomides (1894) Maeterlinck mette in scena questo contatto dialogico fra le anime: Astolai84). Nell’ultima citazione qui riportata Proust si riferisce al libro di M. Dugard, Ralph Waldo Emerson. Sa vie et son œuvre, Paris, Librairie Armand Colin, 1907, dove aveva potuto leggere la seguente citazione: « J’agis avec mes amis comme avec mes livres. J’aime les avoir sous la main, mais je m’en sers rarement…Dans les grands jours, des pressentiments planent devant moi au firmament. Je dois alors m’y consacrer…Ma seule crainte est de les perdre, de les voir reculer dans le ciel où ils ne sont qu’un point de lumière brillante. Aussi, bien que j’apprécie mes amis, je ne puis me permettre de causer avec eux et d’entrer dans leurs visions de peur de perdre les miennes. Assurément, j’aurais une certaine joie intime à quitter ces poursuites élevées, cette astronomie spirituelle, cette recherche des étoiles pour sympathiser chaudement avec vous; mais je sais bien qu’alors je pleurerais toujours l’évanouissement de mes dieux». Maeterlinck aveva scritto l’introduzione dei Huit Essais di Emerson apparsi a Bruxelles nel 1907 : Emerson, Huit Essais d’Emerson. Confiance en soi-même. Compensation. Lois de l’esprit. Le poète. Caractère. L’âme suprême. Fatalité. Intelligence, iraduits par M. Mali, avec préface de M. Maeterlinck, Bruxelles, Collignon, 19275. 354. F. Rosenzweig, Der Stern der Erlösung, The Hague, Martinus Nijhoff, 1981, ed. e trad. it. a cura di G. Bonola, La Stella della redenzione, Genova, Marietti, 1985, pp. 80-87. 355. M. Maeterlinck, Le Silence, p. 20. 356. Esempi di ripetizione stereotipa di una formula grammaticale o di una semplice frase sono rinvenibili nella Recherche (RTP, I, 226; I, 268; I, 284; I, 356, I, 365; I, 567). In tutti questi casi è presentata l’alternativa fra l’annuncio di un evento reale o semplicemente possibile, o fra il presente e il passato, o infine Proust mira a sottolineare la vacuità delle parole dei personaggi che – come ad esempio Rachel – si servono di frasi fatte.

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ne si rivolge a suo padre da una soglia con un lungo ed elaborato discorso in cui vorrebbe celare la delusione per l’abbandono da parte di Palomides ma il padre la prega di avvicinarsi con queste parole: «les mots n’ont pas aucun sens quand les âmes ne sont pas à portée l’une de l’autre».357 Astolaine allora comprende la vacuità delle proprie parole e scoppia a piangere. In Proust, la tematizzazione della soglia riveste un ruolo molto importante in due momenti cruciali della Recherche: rispettivamente quando Swann ha la rivelazione dell’essenza del suo passato amore per Odette nella “piccola frase”; e prima delle illuminazioni finali del narratore.358 Ma il momento in cui appare palese la tematizzazione della donna che entra da una porta è quando il narratore, durante una visita di Saint-Loup a Parigi, vede apparire per un attimo le illuminazioni analogiche che cerca senza saperlo, ma è costretto ad abbandonarne la contemplazione, a causa del dovere di conversare e di vivere secondo la parte esteriore del suo essere che gli impone l’amicizia: Les idées qui m’étaient apparuent s’enfuirent. Ce sont des déesses qui daignent quelquefois se rendre visibles à un mortel solitaire, au détour d’un chemin, même dans sa chambre quand il dort, alors que debout dans le cadre de la porte elles lui apportent leur annonciation. Mais dès qu’on est deux, elles disparaissent, les hommes en société ne les aperçoivent jamais.359

Tutte le volte in cui la porta e la donna che vi entra compare nel testo proustiano è tematizzata una vittoria dell’involontario, dell’oggetto che si palesa al di fuori degli schemi dell’intelligenza. Anche in Maeterlinck è rintracciabile un consimile valore assegnato alla stessa immagine: «Il arrive bien souvent que celui qui sait tout frappe vainement à ces portes, et que celui qui ne sait rien lui répond du dedans».360 L’immagine della porta e della donna che vi entra ci riconduce dunque al tema della nullità della conversazione e dell’intelligenza.361 Il 357. M. Maeterlinck, Alladine et Palomides, in Id., Œuvres II. Théâtre I, cit., p. 475. 358. CS, RTP, I, p. 339: «Mais tout à coup ce fut comme si elle était entrée, et cette apparition lui fut une si déchirante souffrance qu’il dut porter la main à son cœur. C’est que le violon était monté à des notes hautes où il restait comme pour une attente, une attente qui se prolongeait sans qu’il cessât de les tenir, dans l’exaltation où il était d’apercevoir déjà l’objet de son attente qui s’approchait, et avec un effort désespéré pour tâcher de durer jusqu’à son arrivée, de l’accueillir avant d’expirer, de lui maintenir encore un moment de toutes ses dernières forces le chemin ouvert pour qu’il pût passer, comme on soutient une porte qui sans cela retomberait»; TR, RTP, IV, p. 445: «Mais c’est quelquefois au moment où tout nous semble perdu que l’avertissement arrive qui peut nous sauver, on a frappé à toutes les portes qui ne donnent sur rien, et la seule par où on peut entrer et qu’on aurait cherchée en vain pendant cent ans, on y heurte sans le savoir, et elle s’ouvre». 359. CG, RTP, II, p. 693. 360. M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., p. 69. 361. Nel saggio Sur les Femmes Maeterlinck caratterizza il suo ideale di femminino (di chiara ascendenza romantica) associando strettamente l’immagine della donna a quella della porta: «Il semble que la femme soit plus que nous sujette aux destinées. Elle les subit avec une simplicité bien plus grande. Elle ne lutte

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tema della sostanza isolante che circonda la conversazione figée ricompare, nella Recherche, a proposito della conversazione in inglese che Gilberte fa con sua madre per non farsi comprendere dal narratore: Dans une langue que nous savons, nous avons substitué à l’opacité des sons la transparence des idées. Mais une langue que nous ne savons pas est un palais clos dans lequel celle que nous aimons peut nous tromper, sans que, restés au-dehors et désespérément crispés dans notre impuissance, nous parvenions à rien voir, rien empêcher.362

III. 2. Il Pelléas nella Recherche. In Proust è costante la contrapposizione mezzo opaco-mezzo translucido. E ciò riporta all’immaginario della caverna. Uno dei passaggi più significativi della Recherche dove si fa menzione di Maeterlinck è il colloquio del narratore con Mme de Cambremer e sua nuora, Mme de Cambremer-Legrandin.363 Quest’ultima, una snob intellettuale che coltiva gusti d’avanguardia, ostenta davanti al jamais sincèrement contre elles. Elle est encore plus près de Dieu et se livre avec moins de réserve à l’action pure du mystère. Et c’est pour cette raison, sans doute, que tous les événements où elle se mêle à notre vie paraissent nous ramener vers quelque chose qui ressemble aux sources mêmes du Destin. C’est près d’elles surtout que l’on a, par moments, en passant, “un clair pressentiment” d’une vie qui ne semble pas toujours parallèle à la vie apparente. Elle nous rapproche des portes de notre être» (M. Maeterlinck, Sur les Femmes, in Id., Le Trésor des Humbles, cit, p. 81, c. n.). L’immagine della donna è strettamente associata alle porte dell’essere e del vero io, mostrando la donna che occupa l’interno della casa. È un’immagine topica in Maeterlinck, poiché egli immagina i rapporti fra i sessi archetipalmente connessi allo schiudersi di una porta : «Tout à l’heure, j’affirmais qu’elles nous rapprochaient des portes de notre être, et vraiment l’on croirait que toutes nos relations avec elles ont lieu par l’entrebâillement de cette porte primitive et dans les chuchotements incompréhensibles qui accompagnèrent sans doute la naissance des choses, alors qu’on ne parlait qu’à voix basse, de peur de ne pas entendre une défense ou un ordre imprévu… » (Ivi, p. 86, c. n.). A questo tema si connette quello del dialogo tra le anime che passa attraverso lo sguardo : « Elle ne franchira pas le seuil de cette porte, et elle nous attend du côté intérieur, où se trouvent les sources. Et lorsque nous venons frapper du dehors, et qu’elle ouvre, sa main n’abandonne jamais la clé ni le vantail. Elle regarde un instant l’envoyé qui s’approche, et, dans ce bref moment, elle a appris tout ce qu’il faut apprendre, et les années futures ont tressailli jusqu’à la fin des temps… Qui nous dira ce que contient le premier regard de l’amour, "cette baguette magique qui est faite d’un rayon de lumière brisée ", rayon qui est sorti du foyer éternel de notre être, qui a transfiguré deux âmes et les a rajeunies de vingt siècles? » (Ivi, p. 87) La contrapposizione fra i gioielli falsi dell’intelligenza offerti dall’uomo alla donna e le parole vere che quest’ultima attinge dalla sua vicinanza alle radici e alle sorgenti dell’essere palesano tuttavia una profonda differenza nel modo in cui i nostri due autori immaginano i rapporti tra i sessi : in Proust la donna è sempre un po’ attrice, a meno che non riesca a trasformarsi in divinità-Idea e in nume tutelare. 362. JF, RTP, I, p. 572. 363. Cfr. SG, RTP, III, pp. 207-217 passim. Per tutto questo episodio e per l’importanza che riveste anche in relazione all’opera di Debussy cfr. M. Lavagetto, Quel Marcel!…, cit. Cfr. anche S. Duval, Ironie, humour et « réminiscences anticipées » : la construction des dames de Cambremer et l’histoire de l’art selon Proust, «Revue d’Histoire Littéraire de la France », n. 3, 2006, pp. 667-687, consultato sul sito dell’ITEM (http://www.item.ens.fr/index.php?id=76023), il 10 aprile 2013.

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narratore una grande ammirazione per Maeterlinck, anche se non riesce poi a riconoscere la scena che il narratore le cita. La citazione del narratore si riferisce a due elementi di uno stesso passaggio del Pelléas et Mélisande musicato da Debussy: nella scena quarta dell’atto terzo, Pelléas esce dai sotterranei dove lo ha portato il fratellastro e rivale in amore Golaud, sotterranei che sfociano in un lago carsico sormontato da grotte attraversate da pericolose fessure sulle quali è costruito il loro castello, dove regna un odore di morte che risale dall’acqua stagnante. In questo luogo sinistro che è costante nella topografia dei palazzi maeterlinckiani, quasi a esprimere l’insicurezza e il carattere perturbante delle fondazioni inconscie, Pelléas è sul punto di essere assassinato dal fratellastro che vorrebbe lasciarlo cadere nell’abisso sotterraneo, con il pretesto di fargli vedere il lago da cui salgono i miasmi che avvelenano il castello e le loro vite. Ciò tuttavia non è direttamente desumibile dal testo, perché, fedele al suo postulato di scartare ogni riferimento diretto alla psicologia superficiale delle passioni per far regnare sola l’azione del «personaggio invisibile» ovvero delle grandi forze oscure dell’involontario e dell’inconscio, Maeterlinck omette di evidenziare questo mobile passionale che traspare soltanto a una lettura più approfondita. In una lettera al principale interprete dei suoi drammi, l’attore simbolista Aurélien LugnéPoë, Maeterlinck spiega minuziosamente le ragioni per le quali Golaud porta Pelléas nella grotta sotterranea: per cercare le sorgenti che avvelenano il castello, per restare solo con lui e potergli parlare liberamente dei suoi sospetti circa un amore inconfessato di Mélisande per lui nell’oscurità (cosa che non fa perché si accorge che una sola parola turberebbe il prestigio che lo trattiene dall’uccidere il fratello), per un’inconfessata tentazione malvagia, che a Pelléas accada un incidente del quale egli non sarebbe responsabile. Questa lettera dimostra che, anche se sfugge alle chiarezze dell’introspezione, Maeterlinck drammaturgo ha ben chiari i mobili più segreti dei suoi personaggi e che una sorta di coscienza professionale lo spinge a confidarli all’attore che li deve interpretare: se il personaggio doveva apparire misterioso al pubblico e alla critica (che spesso lo accuserà di essere un autore che si compiace del gratuito e dell’assurdo), in compenso l’autore e l’attore dovevano conoscere quei retroscena psicologici che il personaggio stesso avrebbe continuato a ignorare.364 Risalito dal sotterraneo, Pelléas sale su una terrazza sopraelevata del castello dove gusta la respirazione a pieni polmoni di un’aria intrisa di brezza marina e dove è raggiunto dall’odore delle rose appena innaffiate e dallo scampanio argentino dell’angelus di mezzogiorno:

364. Cfr. J. Robichez, Le symbolisme au théâtre…, cit., p. 169.

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Ah! Je respire enfin!…J’ai cru, un instant, que j’allais me trouver mal dans ces énormes grottes; et je fus sur le point de tomber … Il y a là un air humide et lourd comme une rosée de plomb, et des ténèbres épaisses comme une pâte empoisonnée…Et maintenant, tout l’air de toute la mer!… Il y a un vent frais, voyez, frais comme une feuille qui vient de s’ouvrir, sur les petites lames vertes… Tiens! On vient d’arroser les fleurs au pied de la terrasse, et l’odeur de la verdure et des roses mouillées s’élève jusqu’à nous… Il doit être près de midi, elles sont déjà dans l’ombre de la tour… Il est midi; j’entends sonner les cloches et les enfants descendent sur la plage pour se baigner… Je ne savais pas que nous fussions restés si longtemps dans les caves…365

Si tratta di una scena topica, che Proust amava particolarmente: al riguardo è rimasta anche una testimonianza biografica di Jean Cocteau.366 Pelléas et Mélisande (1892) segna un primo rivolgimento all’interno della concezione materlinckiana del «drame pour marionnettes». Esso segna la sostituzione dell’amore alla morte come «personaggio invisibile». Per comprendere questo passaggio, è necessaria una riflessione sulla ripetizione, che ci riporta alle inquiete e stravaganti ripetizioni della sintassi di Maeterlinck. Deleuze illustra il senso del tragico come separazione dell’eroe da un sapere rimosso, che, perché è incapace di elaborare, è costretto a ripetere e a recitare in continuazione senza accostarsi maggiormente a esso: e il comico invece si caratterizza allo stesso modo per l’esclusione dell’eroe dal sapere rimosso, con la differenza che non si tratta più di un sapere esoterico e misterioso, ma di un sapere del senso comune. La differenza fra il tragico e il comico consiste nel tipo di sapere rimosso, che nel primo caso è un terribile sapere esoterico, nel secondo un sapere naturale patrimonio del senso comune, e anche nel modo in cui l’eroe è separato dal suo sapere rimosso, nel modo in cui egli «sa di non sapere». Si ripete perché si rimuove. Tuttavia, richiamandosi all’esempio di Freud, Deleuze mostra come Freud non si sia mai appagato di questo modello, e come nel freudismo si prepari una svolta che si attua con Jenseits des Lustprinzips: tale svolta consiste nel fare della ripetizione stessa un principio, che coincide con l’istinto di morte. L’istinto di morte 365. M. Maeterlinck, Pelléas et Mélisande, in Id., Œuvres II Théâtre I, cit., p. 411. 366. J. Cocteau, La Difficulté d’être, Monaco, Éditions du Rocher, 1983 [19471], pp. 75-76: «Comment ne pas songer à ce “cher bon grand fond”, à “cette chère petite grotte”, dans la chambre close où Proust nous reçoit sur son lit, habillé, colleté, cravaté, ganté, terrifié par la crainte d’un parfum, d’un souffle, d’une fenêtre entrouverte, d’un rayon de soleil. “Cher Jean, me demandait-il, n’avez-vous pas tenu la main d’une dame qui aurait touché une rose? – Non, Marcel. – En êtes-vous sûr?” Et mi sérieux, mi pour rire, il expliquait que la phrase de Pelléas où le vent a passé sur la mer suffisait à lui déclencher une crise d’asthme». In Sodome et Gomorrhe, il narratore accoglie le due Mme de Cambremer sulla terrazza dell’albergo e la paragona alla terrazza da cui Pelléas sente l’odore delle rose: «”[…] C’est plus agréable de la terrasse de la Raspelière où le vent apporte l’odeur des roses, mais déjà moins entêtante.” Je me tournai vers la belle-fille: “C’est tout à fait Pelléas, lui dis-je, pour contenter son goût de modernisme, cette odeur de roses montant jusqu’aux terrasses. Elle est si forte dans la partition que, comme j’ai le hay-fever et la rose-fever, elle me faisait éternuer chaque fois que j’entendais cette scène”» (SG, RTP, III, p. 208).

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equivale alla scoperta di un potere autonomo di ripetizione dell’essere, ed è in stretto rapporto con le maschere e i travestimenti. Una conferma a questa concezione viene del resto dallo stesso Freud, il quale a un dato momento della sua evoluzione rinunciò all’ipotesi di avvenimenti reali nell’infanzia per sostituirvi la potenza del fantasma che affonda nell’istinto di morte. Ma in che senso l’istinto di morte può essere collegato a una salvazione? Nel senso che la morte corrisponde a un’esperienza di liberazione. L’idea di un istinto di morte deve essere compresa in funzione di tre esigenze paradossali complementari: 1) dare alla ripetizione un principio originale positivo 2) e anche un potere autonomo di mascheramento, 3) «infine un senso immanente in cui il terrore si mescola strettamente al movimento della selezione e della libertà».367 Il Mistero, ciò che non si sa, è dunque al centro del tragico come del comico. Già questa constatazione permette di iscrivere l’opera di Maeterlinck sotto il segno della ripetizione. Ma che si tratti proprio di un «teatro della ripetizione» è confermato dall’oggetto che di volta in volta assume il Mistero: la morte è il primo e il principale di questi oggetti.368 A questo riguardo, il testo di Maeterlinck col quale si impone innanzitutto un confronto è la Préface au Théatre (1901) con cui Maeterlinck accompagnò la prima edizione completa dei suoi drammi. Innanzitutto, la ripetizione si presenta come la caratteristica fondamentale del linguaggio dei personaggi di Maeterlinck, è un fenomeno talmente palese che lo stesso Maeterlinck si chiede, in questo testo, se non valesse la pena di sopprimere alcune delle ripetizioni più evidenti. Ma esse contribuiscono a creare un tipo particolare di armonia.369 Il principio della ripetizione nel suo valore autonomo e positivo – che non si riduce a essere il blocco di una potenza positiva estranea, come avviene nel caso del discreto, dell’alienato, del rimosso – è trovato da Deleuze nell’istinto di morte. La morte è l’argomento principale dei primi drammi, come Maeterlinck esplicitamente riconosce nella Préface: Cet inconnu prend le plus souvent la forme de la mort. La présence infinie, ténébreuse, hypocritement active de la mort remplit tous les interstices du poème. Au problème de l’existence il n’est répondu que par l’énigme de son anéantissement. Du reste, c’est une mort indifférente et inexorable, aveugle, tâtonnant à peu près au hasard, emportant de préférence les plus jeunes et le moins malheureux, simplement parce qu’ils se tiennent moins tranquilles que les plus misérables, et que tout mouvement trop brusque dans la nuit attire son attention. Il n’y a autour d’elle que de petits êtres fragiles, grelottants, 367. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 38. 368. Il confronto fra il « teatro della ripetizione » di Deleuze e il primo teatro di Maeterlinck è sostenuto in un articolo di S. Ballestra-Puech, «Tragique quotidien» et «théâtre de la répétition», «Loxias», 11, messo in rete il 7 dicembre 2005 su: http://revel.unice.fr/index.html?id=755, consultato il 21 novembre 2011. 369. M. Maeterlinck, Préface, cit., pp. 495-496.

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passivement pensifs, et les paroles prononcées, les larmes répandues ne prennent d’importance que de ce qu’elles tombent dans le gouffre au bord duquel se joue le drame et y retentissent d’une certaine façon qui donne à croire que l’abîme est très vaste parce que tout ce qui s’y va perdre y fait un bruit confus et assourdi.370

Si pensi all’argomento dei primi drammi (La Princesse Maleine, L’Intruse, Les Aveugles): il sapere separato dai protagonisti è il sapere della morte che si avvicina. Essi scoprono la morte nel suo potere di ripetizione, nel potere che ha di travestirsi sotto mille segnali e presagi. In Intérieur, in particolare, questa condizione è illustrata quasi didascalicamente: la scena rappresenta un interno di famiglia visto dalle finestre, mentre fuori, coloro che devono portare la notizia della morte – il sapere della morte di una figlia – esitano se turbare quella tranquillità. Il sapere della morte è separato dai personaggi da un’intercapedine materiale, e questo permette di segnalare un ulteriore significato da attribuire alla serra: la chiusura monadologica permette di isolare in una parete stagna l’eroe, colui che non sa, e di separarlo dal sapere rimosso di cui è portatore. Questo avvicinarsi della morte ai personaggi ricorda la definizione usata da Rousset per definire il teatro barocco francese: «morte in movimento».371 Ritroviamo in Leibniz tale concezione nella teoria della dannazione: la dannazione fissa l’ampiezza di un’anima nel momento in cui muore, ampiezza che può essere minima e ridursi all’odio verso Dio nel caso dei dannati. Quest’odio non è passato, ma è presente, si rinnova continuamente: così la morte non cessa mai di effettuarsi, è l’Evento per eccellenza, come voleva Blanchot. Uomini che non sembrano subire gli effetti del proprio passato, ma che non possono metter fine al riproporsi della sua traccia attuale e presente che riscoprono ogni giorno. Forse questa visione della dannazione appartiene così profondamente al Barocco in funzione di un contesto più vasto: il Barocco ha concepito la morte del presente, come un movimento nel suo farsi, che non si attende, ma si «accompagna».372

Questa è anche la scoperta proustiana dell’impossibile oblio della morte in Albertine disparue. Deleuze sottolinea il rapporto della ripetizione con le maschere e i travestimenti, e questi sono fondamentali nell’ispirazione shakespeariana che anima, ad esempio, La Princesse Maleine (da un punto di vista esclusivamente storico si può osservare che la concezione di Deleuze deve molto a Artaud, il quale a sua volta era grande ammiratore di Maeterlinck e scrisse una prefazione a Serres chaudes). 370. Ivi, pp. 496-497. 371. Cfr. il testo di Quevedo citato da J. Rousset, La littérature de l’âge baroque en France, Paris, José Corti, 1983, pp. 116-117, citato da G. Deleuze in La piega, cit., p. 108. 372. Ibid.

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Un’osservazione successiva di Deleuze illumina ancora di più sul senso della ripetizione, da quella che incatena a quella che salva. La cura è un viaggio al fondo della ripetizione. Maeterlinck asserisce che, dopo aver esplorato il farsi della morte, il mistero assume altri oggetti: dapprima l’amore, poi il tema stesso della salvazione e della felicità. Il più grande mistero non è la morte, ma la felicità umana. E questo è propriamente il valore liberatorio del simbolo: dare autonomia al travestimento fino a liberarlo. Il viaggio in fondo alla cura è proposto al protagonista della Recherche da Elstir, il pittore di genio che costituisce anche un esempio di saggezza e un modello artistico sul cammino del narratore.373 Nella sua prefazione del 1901, Maeterlinck traccia la concezione che ha presieduto alla creazione di questi drammi: la morte vi riveste il ruolo di terzo personaggio o personaggio invisibile, di quell’ignoto in cui il poeta è costretto a far muovere i personaggi. Ma il testo della prefazione, scritto a posteriori quando il primo teatro di Maeterlinck è ormai una fase trascorsa della sua attività, segna un’evoluzione letteraria e filosofica. Maeterlinck ritiene che la morte non debba più dominare in modo così esclusivo i suoi drammi. La concezione radicale del niente dell’esistenza umana lascia il posto alla speranza. A questa concezione Maeterlinck giunse sotto l’impulso di un desiderio di rinnovamento morale. Il poeta non deve solo ornare la morte e il nulla di un’armonia cupa, come accadeva nei primi drammi, dove l’estetica dominava sulle preoccupazioni morali. Egli deve far indietreggiare ulteriormente l’interrogazione infinita che precede la sua ricerca, e rendersi conto che il nichilismo non è l’ultima parola, l’ignoto della morte deve lasciare il posto all’ignoto della speranza. Si passa così da una concezione a dominante prevalentemente estetica a una concezione a dominante prevalentemente morale. Per questo l’opera di Maeterlinck è un viaggio in fondo alla ripetizione, dove la morte non è l’ultima parola, ma il meccanismo di selezione che permette di risalire fino a un ignoto più profondo, quello della libertà. Nella sua prima fase, Maeterlinck ricorre all’immagine dei bagliori (lueurs), simbolo della precarietà di tutta l’esistenza umana.374 Subito dopo aver esposto questa concezione, Maeterlinck passa a conte373. JF, RTP, II, pp. 198-199 : «“On m’avait conseillé”, lui dis-je en pensant à la conversation que nous avions eue avec Legrandin à Combray et sur laquelle j’étais content d’avoir son avis, “de ne pas aller en Bretagne, parce que c’était malsain pour un esprit déjà porté au rêve. – Mais non, me répondit-il, quand un esprit est porté au rêve, il ne faut pas l’en tenir écarté, le lui rationner. Tant que vous détournerez votre esprit de ses rêves, il ne les connaîtra pas; vous serez le jouet de mille apparences parce que vous n’en n’aurez pas compris la nature. Si un peu de rêve est dangereux, ce qui en guérit, ce n’est pas moins de rêve, mais plus de rêve, mais tout le rêve. Il importe qu’on connaisse entièrement ses rêves pour n’en plus souffrir; il y a une certaine séparation du rêve et de la vie qu’il est si souvent utile de faire que je me demande si on ne devrait pas à tout hasard la pratiquer préventivement comme certains chirurgiens prétendent qu’il faudrait, pour éviter la possibilité d’une appendicite future, enlever l’appendice chez tous les enfants». 374. M. Maeterlinck, Préface, cit., p. 497 : «Il n’est pas déraisonnable d’envisager ainsi notre existence. C’est, de compte fait, pour l’instant, et malgré tous les efforts de notre volonté, le fond de notre vérité humaine.

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stare il fondo filosofico da cui essa parte.375 Rispetto ai bagliori delle pagine precedenti, le speranze sono intermittenti. Si accendono e si spengono. Un principio di regolarità è stato introdotto nelle luci della condizione mortale, che non rischiano più di essere spente dai soffi di una notte indifferente. Questo punto va chiarito: nelle conclusioni provvisorie al secondo capitolo avevamo accennato al tremolio dei lueurs come a una condizione d’intermittenza. Dall’una all’altra delle caratterizzazioni della luce intermittente cambia lo statuto del tempo e il tempo dell’attenzione richiesto ai personaggi. Nei petits drames pour marionnettes dell’esordio il bagliore si lega a una luce ‘differenziale’ e caratterizza il presente tendente a 0 dell’autoannullamento. Nel Pelléas le speranze che si accendono e si spengono si legano a una luce naturale e alla ciclicità delle ore diurne e notturne. Il tempo dell’attenzione richiesto ai personaggi nei primissimi drammi si caratterizza come tendente a un istante puntiforme richiesto da un tempo soggettivo discreto. Siamo molto vicini alla teoria fisiologica di Karl Ernst von Baer, che pone l’accento sulla più piccola unità di tempo che caratterizza l’organismo-uomo «cioè il tempo che impieghiamo per divenir consapevoli di un’impressione esercitata sui nostri organi di senso».376 Quest’atomo temporale della sensazione è ricondotto da Baer alla più piccola scansione cronologica dell’organismo umano, il battito del polso. Nel sistema di Baer, ciascun organismo dispone di un tempo proprio fisiologicamente determinato che gli permette di ricevere sensazioni secondo soglie temporali rispettivamente più ristrette e più larghe rispetto a quella umana. Per certi animali il tempo scorrerebbe assai più rapidamente, per altri assai più lentamente rispetto ai parametri umani. Per taluni animali potrebbe essere possibile percepire la luce non più come una sensazione visiva ma come una sensazione sonora. Ciò ci ricorda il Longtemps encore, à moins qu’une découverte décisive de la science n’atteigne le secret de la nature, à moins qu’une révélation venue d’un autre monde, par exemple une communication avec une planète plus ancienne et plus savante que la nôtre, ne nous apprenne enfin l’origine et le but de la vie, longtemps encore, toujours peutêtre, nous ne serons que de précaires et fortuites lueurs, abandonnés sans dessein appréciable à tous les souffles d’une nuit indifférente. À peindre cette faiblesse immense et inutile, on se rapproche le plus de la vérité dernière et radicale de notre être, et, si des personnages qu’on livre ainsi à ce néant hostile, on parvient à tirer quelques gestes de grâce et de tendresse, quelques paroles de douceur, d’espérance fragile, de pitié et d’amour, on a fait ce qu’on peut humainement faire quand on transporte l’existence aux confins de cette grande vérité qui glace l’énergie et le désir de vivre. C’est ce que j’ai tenté dans ces petits drames» (c. n). 375. Ivi, p. 498 : «Mais aujourd’hui, cela ne me paraît plus suffisant. Je ne crois pas qu’un poème doive sacrifier sa beauté à un enseignement moral, mais si, tout en ne perdant rien de ce qui l’orne au-dedans comme au dehors, il nous mène à des vérités aussi admissibles mais plus encourageantes que la vérité qui ne mène à rien, il aura l’avantage d’accomplir un double devoir incertain. Chantons durant des siècles la vanité de vivre et la force invincible du néant et de la mort, nous ferons passer sous nos yeux des tristesses qui deviendront plus monotones à mesure qu’elles se rapprocheront davantage de la dernière vérité. Essayons au contraire de varier l’apparence de l’inconnu qui nous entoure et d’y découvrir une raison nouvelle de vivre et de persévérer, nous y gagnerons au moins d’alterner nos tristesses en les mêlant d’espoirs qui s’éteignent et se rallument.» (c. n). 376. K.E. von Baer, Reden, gehalten in wissenschaftlichen Versammlungen, und kleinere Aufsätze vermischten Inhalts, Petersbourg, 1864, vol. I, pp. 237-284. Citato da H. Blumenberg, Tempo della vita…, cit., pp. 300-301.

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Maeterlinck di Le tragique quotidien, il quale ci presenta la figura del vecchio semiaddormentato sotto la lampada nel raccoglimento solenne delle ore tranquille della vita che è in grado di percepire «la petite voix de la lumière»377 e l’estrema sottigliezza delle sensazioni che è in grado di percepire il vecchio nonno cieco del dramma L’Intruse, come il suono delle mani delle nipoti che si giungono in preghiera. Maeterlinck è alla ricerca di una soglia fisiologicamente molto bassa, di un tempo puntiforme attraverso il quale sottolineare la finitezza e la brevità del tempo concesso all’uomo, che era anche la particolare ossessione del fisiologo ed entomologo Karl Ernst von Baer.378 Per questo troviamo in Maeterlinck punti brillanti ma fievoli e intermittenti che corrispondono a un movimento continuo e sempre più precipitoso delle anime in presenza della finitezza e della morte: «efforts insaisissables et incessants des âmes vers leur beauté et leur vérité»;379 poiché il raccoglimento, il silenzio e il riposo hanno per effetto di accelerare il cammino del tempo: «Est-ce que le bonheur ou un simple instant de repos ne découvre pas des choses plus sérieuses et plus stables que l’agitation des passions? N’est-ce pas alors que la marche du temps et bien d’autres marches plus secrètes deviennent enfin visibles et que les heures se précipitent?»380 Il presente cambia di statuto con lo sviluppo che Maeterlinck imprime alla sua drammaturgia e si caratterizza come narrativo. È il presente del ciclico ritornare di un momento topico come la luce del mezzogiorno, nel quadro di un’osservabilità su scala umana degli astri. Ci troviamo di fronte evidentemente ad un ingrandimento di scala cui corrisponde una progressiva umanizzazione delle marionette. È il presente vissuto non più secondo i parametri fisiologici della biologia, ma secondo i parametri interiori della fenomenologia. Le ricerche di Husserl e di William Stern pongono l’accento sul fatto che Istante sensoriale e presente vissuto non possono essere identici, se deve essere possibile l’esperienza all’interno di un mondo: il riferimento al tempo del mondo nel contesto del tempo della vita. Il «momento» di questa coscienza non può essere soltanto un ritmo della ricezione governato dal sistema nervoso centrale. Il presente nel quale viene attuata l’apprensione di una melodia, di una superficie dipinta o di una frase linguistica, deve dipendere per lo meno in parte dal loro contenuto.381

377. M. Maeterlinck, Le tragique quotidien, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., p. 168. 378. H. Blumenberg, Tempo della vita…, cit, p. 301: «la teoria del momento specifico si trasforma nell’apologia della brevità della vita individuale in tutto il mondo organico, una brevità che altrimenti apparirebbe opera del demonio». 379. M. Maeterlinck, Le tragique quotidien, cit., p. 174. Maeterlinck farà esplicito riferimento a questo genere di scoperte della fisiologia nel saggio La Mort, cit. 380. Ivi, pp. 163-164. 381. H. Blumenberg, Tempo della vita…, cit., p. 317.

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Si deve a Stern l’idea del «presente psichico segmentale» che anticipa l’intuizione husserliana del presente come atto di coscienza, afferramento di oggetti in un atto comprensivo unitario, che possono anche non essere simultanei. Modellata su una teoria del maestro di Husserl, Brentano, questa intuizione spiana la strada al tentativo husserliano di «allargamento del presente come unica sfera di autoevidenza assoluta».382 La dimensione del presente così definita dalla fenomenologia si distingue nettamente da quella del ricordo. Il presente vi si caratterizza come un assoluto. Può darsi che, in prossimità dei margini del tempo di presenza, si verifichi una distorsione prospettica, come nella visione di corpi nello spazio: una modificazione dell’unità di misura delle distanze, grazie alla quale diventa possibile una visione globale di una molteplicità che cresce assieme all’intervallo spaziale e temporale – determinante è sempre il fatto che la continuità non sia interrotta, che non venga raggiunta la dimensione del ricordo.383

È in questo assoluto che si colloca il farsi luce alla coscienza dell’amore che lega Pelléas a Mélisande. Assistiamo pertanto a un passaggio da ‘tempo della vita’ a ‘tempo del mondo’. A questo si aggiunge, verso il 1900, un nuovo cambiamento gnoseologico che va sempre nella direzione di un allungamento del tempo concesso all’uomo. Intorno a quell’anno Maeterlinck apprende che «les progrès de la science, concrétisés par la découverte des lois de l’hérédité, viennent enfin montrer que la matière est douée d’une insoupçonnable possibilité de prolongement dans le temps. A partir de là, une révolution épistemologique pourrait avoir lieu: des études dans ce sens pourraient un jour parvenir à révéler le caractère trompeur de la mort matérielle».384 La condizione del drammaturgo si lega perciò strettamente alla condizione del filosofo. Se il poeta lirico può glissare su certi argomenti che hanno rapporto con Dio, con l’infinito e le potenze sovrumane, il poeta drammatico deve illustrare a quali condizioni, sotto quali leggi, esse agiscono sull’uomo.385 Egli avrebbe bisogno di una quantità d’incertezze in cui far muovere i personaggi per dar loro uno sfondo teologico, ma queste incertezze gli sono rese impraticabili appunto dalla modernità.386 Tuttavia, non è impossibile far entrare l’ignoto anche nelle opere moderne, come hanno fatto Tolstoï e Ibsen. Maeterlinck conclude la sua introduzione affermando che questa mancanza, questo trono vuoto da cui anche la morte deve essere spodestata è più significativo e importante di qualsiasi pre382. Ivi, p. 318. 383. Ivi, p. 319. 384. A. Laserra, Lois de la matière et lois de l’hérédité dans l’œuvre de Maurice Maeterlinck, in Présence/Absence de Maurice Maeterlinck, cit., p. 255. 385. M. Maeterlinck, Préface, cit., p. 500. 386. Ivi, p. 499.

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stito anacronistico su concezioni teologiche ormai superate.387 Nel passaggio dal primo al secondo teatro l’interrogazione da localizzata (attesa della morte) si fa generalizzata, infinita nell’accezione di Blanchot. Pelléas et Mélisande rappresenta il primo tentativo di Maeterlinck nella direzione su accennata. Esso era preparato dai primi due drammi, che segnavano rispettivamente la scoperta della dimensione della reminiscenza (sole ritrovato) e della ciclicità notturna nell’alternanza veglia-sonno. Sappiamo da Deleuze che l’unione di ascensionalità e ciclicità segna il divenire della seconda sintesi. Inoltre, è questo l’aspetto più importante, il paradigma metonimico prevale su quello semplicemente metaforico (luce-ricordo). Pelléas è associato alla figura archetipica del fratello che vuole far uscire alla luce l’anima-sorella; Golaud è il padre che preferisce tenerla all’ombra (tema della gelosia). Il dramma si svolge sull’asse Est-Ovest: comincia a Est con l’apertura della porta sul sol levante e si conclude a Ovest con la morte di Mélisande, che vede il sole tramontare nell’Oceano. Esso si svolge quindi sull’asse dell’immanenza. È chiaro il simbolismo vita-morte direttamente collegato a questi due punti cardinali. L’asse della profondità è rappresentato dal pozzo e dai sotterranei, dalla torre; mentre l’asse Nord-Sud è già incluso nel ricordo, è collegato alla scena invernale del ritrovamento di Mélisande nei pressi di una fontana. L’asse Est-Ovest è anche quello del viaggio di Pelléas, progettato e sempre rimandato. L’asse che prevale tuttavia è quello profondità–altezza. La maggior parte delle scene si svolgono a livelli diversi che si situano nell’alto e nel basso (terrazza, sentiero di guardia, sotterranei, grotta al livello del mare, pozzo), in un seguito di ascese e di discese. L’asse ascensionale è incluso all’interno dell’asse Est-Ovest che fa da cornice, il diurno dentro il notturno. L’asse Est-Ovest è il tempo ciclico, che torna a prevalere nel finale sul marcato carattere ascensionale del dramma.388 Mélisande muore all’ombra (ombra e torre, ultima parola del dramma, tour, sono associate), mentre Pelléas muore nel pozzo (chiaro esempio di eufemizzazione della caduta in discesa, poiché nella discesa egli ha trovato il regno dell’anima). Questo è anche il senso della canzone che canta Mélisande dove al movimento ascensionale si contrappone il finale spegnimento delle luci, simbolo di morte, ma anche di sublimazione. L’eufemizzazione della morte, prima forma (mistica) del regime notturno, conosce la fase iniziale dell’erotizzazione (l’Amore prende il posto della Morte come personaggio invisibile). Pelléas e Mélisande rappresenta il primo stadio di eufemizzazione della morte attraverso il tema erotico, ovvero segna la prima tappa. L’ombra non è più la morte, ma l’amore. È un punto di equilibrio perfetto. I tre drammi per marionette successivi segnano un nuovo regresso verso la prima Spaltung. Questo dramma segna un primo cambiamento di modo in Maeterlinck, 387. Ivi, pp. 502-503. 388. Traiamo gli elementi di quest’analisi basata sui punti cardinali dal cit. Dictionnaire des symboles.

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perché Maeterlinck abbandona il tema della camera vetrata, e apre la luce asfittica dei primi drammi a una luce aerata, atmosferica. Ciò è particolarmente evidente nella scena dell’uscita dal sotterraneo, dove prevale ancora il paradigma (metonimico) del soffio e dell’Atemwende: «Ah! Je respire enfin!». In una prospettiva di studio delle strutture mitologiche che presiedono alla creazione proustiana,389 possiamo riconoscere una struttura fondamentale dell’immaginario proustiano che Proust può aver ritrovato in questa scena del Pelléas: il mito della risalita alla luce, che secondo Marie Miguet-Ollagnier condensa diverse strutture mitiche: il mito del Lete, il mito di Orfeo ed Euridice e infine il mito della caverna platonica.390 Si tratta, secondo lo studio della mitologa, del più fondamentale e decisivo dei miti di salvezza che costellano la Recherche. Ad esso si riallaccia il movimento di risalita che compie il ricordo nella memoria involontaria. Possiamo dunque stabilire questo punto fermo: Proust riconosce nella scena dell’ascensione dal sotterraneo immaginata da Maeterlinck una delle strutture profonde che presiedono al suo immaginario, avente in filigrana, fra gli altri miti cui s’è accennato, l’immaginazione platonica della caverna. Nella nostra successiva esplorazione delle tracce maeterlinckiane nella Recherche, vedremo ancora disegnarsi questa struttura e questo immaginario mitico. La salita nell’alto di Pelléas si svolge all’ora del mezzogiorno, ora topica delle ascensioni, che divide perfettamente gli oggetti in luce da quelli in ombra e segna il momento di una ripetibilità ciclica degli eventi e anche, come si evince da altri passaggi di Pelléas, di un’anticipazione intramondana dell’extramondano. Nella scena della fontana (II, 1), Mélisande perde l’anello donatole da Golaud lasciandolo cadere in una fontana le cui acque avevano il valore curativo di aprire gli occhi ai ciechi. La perdita dell’anello – che per Maeterlinck simboleggia il legame con una realtà superiore da cui proviene il destino – segna il primo momento del palesarsi dell’amore che lega i due personaggi. Quando Mélisande perde l’anello, si sente suonare la campana del mezzogiorno. Come apprendia389. Preconizzata in primo luogo da P. Albouy, Quelques images et structures mythiques dans la Recherche du temps perdu, «Revue d’histoire littéraire de la France», 1971, n. 5-6, pp. 971-986. 390. M. Miguet-Ollagnier, La mythologie de Marcel Proust, Paris, Les Belles Lettres, 1982. Cfr. in particolare il capitolo terzo della terza parte, Les mythes de la remontée à la lumière. Questi miti sono suddivisi dall’autrice in due serie che strutturano l’immaginario proustiano della salvezza attraverso la memoria e l’arte : «Ce thème se subdivise selon nous en deux séries d’images ascensionnelles: l’une va du souterrain, de la profondeur marine, du cachot, à l’air respirable; une réalité enfouie, comprimée, emprisonnée, accède à la liberté. L’autre obéit à un mouvement ascensionnel plus miraculeux : il s’agit d’échapper totalement à l’attraction terrestre pour gagner l’ "éther", les sphères supérieures, le soleil, la patrie perdue. Dans chaque série d’images s’observe une synthèse de plusieurs mythes que Proust plie aux lois propres de son imaginaire» (ivi, p. 267). Cfr. anche, sul tema della mitologia proustiana, gli articoli di P. Albouy, Quelques images et structures mythiques dans La Recherche du temps perdu, cit., pp. 971-986; P. Renauld, Psychologie proustienne et conscience mythique, « Bulletin de la Société des amis de Marcel Proust et des amis de Combray», n. 22, 1972, pp. 1398-1405.

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mo nella scena successiva, allo scoccare del dodicesimo rintocco, il cavallo di Golaud, che frattanto era a caccia, s’imbizzarrisce e lo sbalza di sella. La perdita dell’anello, il compiersi di un destino, sono avvertiti subitamente dall’animale. Il momento topico è sottolineato dal fatto che tutto si svolge alla luce del sole: il cielo si era aperto per la prima volta dopo mesi di grigio la mattina dell’incidente. L’aprirsi del cielo e la luce che illumina violentemente l’anello («Je l’ai jetée trop haut, du côté du soleil…»391 afferma Mélisande, unendo in questa battuta movimento ascensionale e ciclicità) significano, come si desume dai contemporanei testi saggistici di Maeterlinck, la seconda nascita (simbolismo platonico presente già nel tema della doppia vista).392 Pelléas et Mélisande è costruito sulla struttura dell’intermittenza: a ogni fase della progressiva rivelazione dell’amore alla coscienza dei due protagonisti si presenta il carattere topico dell’aprirsi del cielo e dell’ora che implica una sospensione della ciclicità (mezzogiorno o mezzanotte). Questa struttura per folgorazioni contrasta con la saggezza impersonata da Arkël, il quale vorrebbe che non si attendesse la coincidenza felice del caso per dialogare con se stessi. Gli echi di questa saggezza sono presenti nel saggio La vie profonde. In questo saggio, Maeterlinck propone una morale volontaristica della saggezza: ciascuno deve scolpire una grande personalità morale di se stesso, cogliendo volontariamente tutte le occasioni di arricchimento spirituale. Per questo egli si colloca a metà strada tra Emerson (importanza degli eventi umili della vita quotidiana) e Carlyle (eroismo). La dialettica del saggio è articolata sulla contrapposizione fra le scoperte casuali, che derivano da una coincidenza fortunata, dall’azione catastrofica e rivelante della sofferenza, o dalla sospensione dell’abitudine, e all’opposto una saggezza che s’istituisce essa stessa come abitudine, fondata sull’attenzione e il raccoglimento. La differenza con Proust è capitale, malgrado il comune sottofondo di platonismo (i ricordi divini risvegliati dalla sofferenza), perché per il narratore della Recherche non può esistere un sistema di vita che diventi abitudine alla saggezza, l’incontro con la ri391. M. Maeterlinck, Pelléas et Mélisande, cit., p. 390. 392. M. Maeterlinck, La vie profonde, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., p. 228: «Nous pouvons naître ainsi plus d’une fois; et à chacune de ces naissances nous nous rapprochons un peu de notre Dieu. Mais presque tous nous nous contentons d’attendre qu’un événement plein d’une lumière irrésistible pénètre violemment dans nos ténèbres et nous éclaire malgré nous. Nous attendons je ne sais quelle coïncidence heureuse, où les yeux de notre âme sont ouverts par hasard dans le moment où quelque chose d’extraordinaire nous arrive. Mais il y a de la lumière dans tout ce qui arrive; et les plus grands des hommes n’ont été grands que parce qu’ils avaient l’habitude d’ouvrir les yeux à toutes les lumières ». Questo tipo di saggezza è riecheggiato in Pelléas et Mélisande dalle parole che Arkël rivolge a Pelléas per convincerlo a rimandare la sua progettata partenza: «Vous êtes las, dites-vous, de votre vie inactive; mais si l’activité et le devoir se trouvent sur les routes, on les reconnaît rarement dans la hâte du voyage. Il vaut mieux les attendre sur le seuil et les faire entrer au moment où ils passent; et ils passent tous les jours. Vous ne les avez jamais vus? Je n’y vois presque plus moi-même, mais je vous apprendrai à voir; et vous les montrerai le jour où vous voudrez leur faire signe» (Id., Pelléas et Mélisande, cit., p. 399).

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velazione trae il suo valore precisamente dal carattere fortuito.393 Ma qui, in Pelléas, proprio questa saggezza è destinata a essere sconfitta, di pari passo con altre convinzioni: come il carattere messianico attribuito da Arkël e Pelléas all’arrivo di Mélisande, novella sposa di Golaud, quale si evince dalla scena iniziale del dramma, l’apertura della porta del castello all’arrivo dei due sposi. La scena dell’uscita dalla grotta di Pelléas assume il valore di un’intermittenza centrale per la sua posizione nel testo. Sulla saggezza – impersonata da Arkël – prevalgono le grandi forze sconosciute del personaggio invisibile. La temporalità del dramma lo colloca nella zona intermedia fra prima e terza sintesi: l’arrivo di Mélisande costituisce una prima rottura di Habitus – i lunghi anni della reclusione nel castello da parte dei suoi abitanti. Essa inaugura una prospettiva messianica: «Il y aura des grands événements!»394 – dice una delle serve, facendo propria la convinzione che eventi festosi avranno finalmente luogo nel castello e che sarà inaugurata una nuova era di prosperità. Il termine finale verso il quale corre tutto il dramma è la guarigione del padre di Pelléas, gravemente malato. A questa guarigione è sospesa la possibilità per Pelléas di partire per andare nel mondo e in particolare per trovare ancora vivo l’amico Marcellus. Quando la guarigione desiderata si realizza, Arkël conferma la sua visione circa la portata messianica dell’arrivo di Mélisande e profetizza il compiersi di una nuova era: «Mais à present tout cela 393. Cfr. S. Beckett, Marcel Proust, London, Chatto & Windus, 1931, ora in Id., The Collected Works of Samuel Beckett, New York, Grove Press, 1970, trad. it. di C. Gallone, prefazione di S. Moravia, Milano, Sugarco, 1978, pp. 32-33. Beckett afferma l’importanza dei momenti di transizione da un’abitudine all’altra in cui l’io è allo scoperto: «rappresentano le zone pericolose nella vita dell’individuo, e sono precari, dolorosi, infidi, misteriosi e fecondi, quando per un attimo la noia del vivere è sostituita dalla sofferenza dell’essere. (A questo punto, e col cuore gonfio di tristezza e per la soddisfazione e la delusione di tutti gli gidiani, integrali e no, mi sento ispirato a concedere una breve parentesi a tutti gli analogivori che siano capaci di interpretare il “Vivi pericolosamente”, questo vittorioso singhiozzo nel deserto, come l’inno nazionale del vero io esiliato dall’Abitudine. Gli gidiani perorano una certa Abitudine di vita – e cercano un aggettivo. È un discorso ambiguo e privo di senso. Essi fanno riferimento a una gerarchia di abitudini, come se fosse valido parlare di abitudini buone e di abitudini cattive. Un adattamento automatico dell’organismo umano alle condizioni della sua esistenza ha un significato morale non maggiore del togliersi una maglia ai primi tepori della primavera, e l’esortazione a coltivare un’Abitudine non ha più senso dell’esortazione a coltivare un raffreddore). La sofferenza dell’essere: ecco il libero gioco di ogni facoltà». Tuttavia questo punto di vista va corretto con quello di Stefano Poggi, il quale afferma che l’eroe della Recherche non va soltanto alla scoperta del proprio passato, ma anche della propria vera soggettività, e che quest’ultima scoperta – inseparabile dalla decisione finale di scrivere – non può che essere volontaria: «L’autoriconoscimento cui, come artista, perviene l’eroe della Recherche è anticipato, è prefigurato dai “momenti felici” sperimentati nel corso dei riconoscimenti suggeriti dalla memoria involontaria. Anche se solo per un istante (e tramite segni e metafore), già allora è stato possibile intravedere le “essenze” (e le loro leggi) oggetto dell’arte. Ma l’autoriconoscimento è un atto profondamente diverso da quello che si compie al momento del riconoscimento involontario. Esso è infatti l’atto decisivo – e decisivo perché volontario – con cui l’eroe del romanzo sceglie di consacrarsi all’arte andando al di là delle “annotazioni” » (S. Poggi, Gli istanti del ricordo. Memoria e afasia in Proust e Bergson, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 35). Tenendo conto di questo fondamentale elemento, la vicinanza di Proust a Maeterlinck si fa ancora più evidente. 394. M. Maeterlinck, Pelléas et Mélisande, cit., p. 373.

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va changer. À mon âge, j’ai acquis je ne sais quelle foi à la fidélité des événements, et j’ai toujours vu que tout être jeune et beau, créait autour de lui des événements jeunes, beaux et heureux… Et c’est toi, maintenant, qui va ouvrir la porte à l’ère nouvelle que j’entrevois».395 La previsione di Arkël è subito crudelmente smentita dall’esplosione di gelosia violenta di Golaud nella stessa scena. Il dramma quindi si svolge tra questi due termini: tra Habitus e Thanatos assistiamo alla scoperta di Eros-Mnemosune, in un dispiegarsi di folgorazioni e risvegli. La stessa decisione di Pelléas di condurre Mélisande alla fontana dove questa perde l’anello si situa in una latenza del tempo mitico, dato che – secondo quanto afferma lo stesso Pelléas – nessuno crede più alle virtù curative della fontana da quando il re è anche lui diventato quasi cieco. Pelléas progetta forse inconsapevolmente di rimitizzare il regno del fratellastro Golaud (il quale, associato nella seconda scena del primo atto alla caccia al cinghiale e al gigantismo per la sua taglia, rappresenta la sostituzione del potere temporale a uno spirituale e le potenze ctonie più cieche ai richiami dell’anima, preoccupate unicamente della realtà materiale). L’amore di Pelléas per Mélisande rinnova quindi lo schema favolistico dell’amore del principe per la figlia del re: il principe rappresenta dal punto di vista archetipico la coscienza, egli aiuta a risvegliare l’inconscio individuale che è rappresentato dalla figlia del re e questa in cambio gli porta un frammento della memoria del mondo, rappresentato dal re. Solo che in questo caso Mélisande è un’orfana che nella prima scena in cui appare ha perduto la sua corona e l’amore che la lega a Pelléas è adulterino: lo schema tradizionale è sconvolto dal situarsi appunto nella moderna sostituzione del potere temporale a quello spirituale, nel tempo di latenza del mito, dove gli unici risvegli sono destinati a rimanere individuali. Il finale del dramma è un banale assassinio per gelosia. Ma le morti dei due amanti rappresentano comunque il raggiungimento della terza sintesi, dove secondo Deleuze al movimento del terrore si affianca il movimento della selezione e della libertà. Il corpo di Pelléas è ritrovato nel fondo della fontana dei ciechi (che prima era stata definita senza fondo).396 La scena finale della morte di Mélisande suggella il ritrovamento del regno dell’anima con l’allontanamento di Golaud, il quale insiste davanti alla moribonda con futili domande dettate dalla gelosia: «Ne la troublez pas… Ne lui parlez plus… Vous ne savez pas ce que c’est que l’âme…»397 Tutto questo mostra profonde analogie con Proust. L’uscita dalla caverna di Pelléas non è presentata come un possesso definitivo, ma solo come un’illumina395. Ivi, p. 424. 396. Cfr. M. Postic, Maeterlinck et le symbolisme, Paris, Nizet, 1970; P. Gorceix, Maurice Maeterlinck. Le symbolisme de la différence, Mont-de-Marsan, Éditions Interuniversitaires-SPEC, 1997. 397. Ivi, p. 450.

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zione intermedia derivante dalla coincidenza casuale del destarsi di forze sconosciute della natura e dell’anima che preludono a una finale immersione (nel senso letterale) nelle profondità della fontana dei ciechi, dove muore Pelléas. Per riprendere una definizione di Blumenberg, all’uscita dalla caverna deve seguire una ‘contro-occupazione’ della caverna. Nella seconda fase della sua produzione, inaugurata da La Sagesse et la Destinée (1898), vedremo Maeterlinck aderire pienamente all’ideale di saggezza rappresentato da Arkël, e credere che l’uscita dalla caverna sia un processo perpetuamente rinnovantesi secondo la disciplina volontaria della saggezza. Con questo Maeterlinck abbandona in parte il territorio dell’involontario. E la sua prosa si rafforza potentemente con nervature logiche e ornamenti retorici. Scompaiono le ripetizioni. A queste invece fa ancora riferimento Proust in un passaggio de La Prisonnière, dove paragona le frasi cantate dei venditori ambulanti che il narratore ascolta dalla sua stanza alla declamazione lirica dei personaggi di Maeterlinck musicati da Debussy.398 La musica che circonda parole chiare di un alone vago e misterioso equivale all’azione della credenza, che trenta pagine dopo questo passaggio Proust paragona a un mezzo translucido.399 Una verità frequentemente ribadita nella Recherche riguarda il ruolo delle croyances, tanto che in Le Temps retrouvé Proust afferma: «C’est toujours une invisible croyance qui soutient l’édifice de notre monde sensitif, et privé de quoi il chancelle».400 Questo vacillamento delle credenze che sostengono il nostro edificio sensitivo sarà il primo effetto delle illuminazioni analogiche finali: «Et si le lieu actuel n’avait pas été aussitôt vainqueur, je crois que j’aurais perdu connaissance».401 La croyance si genera col desiderio: «Le désir est bien fort, il engendre la croyance»402 e permette alla mente del narratore di baloccarsi con le ipotesi più sgradevoli che la sua intelligenza gli propone a proposito di Albertine, munito 398. LP, RTP, III, pp. 624-625: « Il m’a toujours été difficile de comprendre pourquoi ces mots fort clairs étaient soupirés sur un ton si peu approprié, mystérieux, comme le secret qui fait que tout le monde a l’air triste dans le vieux palais où Mélisande n’a pas réussi à apporter la joie, et profond comme une pensée du vieillard Arkel qui cherche à proférer dans des mots très simples toute la sagesse et la destinée. Les notes mêmes sur lesquelles s’élève avec une douceur grandissante la voix du vieux roi d’Allemonde ou de Golaud, pour dire: “On ne sait pas ce qu’il y a ici. Cela peut paraître étrange. Il n’y a peut-être pas d’événements inutiles”, ou bien: “Il ne faut pas s’effrayer… C’était un pauvre petit être mystérieux, comme tout le monde”, étaient celles qui servaient au marchand d’escargots pour reprendre, en une cantilène indéfinie: “On les vend six sous la douzaine… ”». 399. Ivi, p. 655: «[…] ce milieu que nous ne voyons pas, mais par l’intermédiaire translucide et changeant duquel nous voyions, moi ses actions, elle l’importance de sa propre vie, c’est-à-dire ces croyances que nous ne percevons pas mais qui ne sont pas assimilables à un pur vide que n’est l’air qui nous entoure; composant autour de nous une atmosphère variable, parfois excellente, souvent irrespirable, elles mériteraient d’être relevées et notées avec autant de soin que la température, la pression barométrique, la saison, car nos jours ont leur originalité physique et morale». 400. AD, RTP, IV, p. 29. 401. TR, RTP, IV, p. 453. 402. AD, RTP, IV, p. 93.

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della «croyance préservatrice» che ella fosse virtuosa.403 A causa dell’azione del desiderio, che genera le croyances, noi non riusciamo ad assistere alla loro progressiva scomparsa, poiché essa coincide con la nostra morte.404 Analogamente Maeterlinck parla di certezze morali che vivono in noi e determinano tutte le nostre azioni a nostra insaputa: «Il y a ainsi mille et mille certitudes qui sont les reines voilées qui nous guident à travers l’existence et dont nous ne parvenons pas à parler».405 Anche se per Proust le croyances sono illusorie e si contrappongono alle certitudes di Maeterlinck, il loro ruolo e la loro collocazione nella costituzione dell’io sono analoghi: esse appartengono all’io profondo e sono ciò che ci consente di vivere a nostra stessa insaputa. Per Maeterlinck, esiste un io ben più profondo dell’io superficiale: «Nous possédons un moi plus profond et plus inépuisable que le moi des passions ou de la raison pure».406 Le leggi profonde dell’esistenza non si trovano al livello dell’io superficiale: Ce n’est pas sur le seuil des passions que se trouvent les lois pures de notre être. Il arrive un moment où les phénomènes de la conscience habituelle, qu’on pourrait appeler la conscience passionnelle ou la conscience des relations du premier degré, ne nous profitent plus et n’atteignent plus notre vie. J’accorde que cette conscience soit souvent intéressante par quelque côté, et qu’il soit nécessaire d’en connaître les plis. Mais c’est une plante de la surface, et ses racines ont peur du grand feu central de notre être.407

Nella stratificazione della coscienza che ammette Maeterlinck, le croyances sarebbero probabilmente paragonate a fenomeni passionali di superficie, ancora soggettivi: «La vie intérieure elle-même paraît une petite chose auprès de ces profondeurs invariables».408 Ma il loro ruolo quali mobili dei personaggi è identico. Maeterlinck afferma: «Il est vrai que nous agissons déjà comme des dieux, et toute notre vie se passe au milieu de certitudes et d’infaillibilités infinies».409 Queste certezze coincidono con una zona di silenzio e di luce, fondamentalmente statica, e con l’avvertimento delle leggi che segnano «la marche du temps».410 Accanto alla vita superficiale, esiste una zona profonda di calma e di luce, segnata dal cammino lentissimo delle leggi del tempo. Apparirebbe quindi arbitrario il nostro accostamento fra il carattere soggettivo delle croyances proustiane e il carattere oggettivo delle certitudes maeterlinckiane. Tuttavia, a questa osservazio403. Ivi, p. 96. 404. Ivi, p. 189. 405. M. Maeterlinck, La morale mystique, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., p. 61. 406. M. Maeterlinck, Novalis, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., p. 148. 407. Ivi, pp. 149-150. 408. M. Maeterlinck, La morale mystique, cit., p. 68. 409. M. Maeterlinck, Novalis, cit., p. 122. 410. M. Maeterlinck, Le tragique quotidien, cit., p. 164.

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ne possiamo contrapporre il fatto che si registra un’oscillazione fra carattere soggettivo e oggettivo di queste verità in entrambi gli autori.411 In Maeterlinck, le certitudes sono paragonate ai tesori di una grotta sottomarina di cui ci è consentito scorgere solo gli indistinti bagliori, ma che ci lasciano a mani vuote o solo qualche falso gioiello quando risaliamo in superficie.412 Riflesso della loro indicibilità? O anche carattere inevitabilmente soggettivo di tali certezze? Probabilmente si tratta di tutte e due le cose. In Alladine et Palomides (1894), nella scena dell’uscita dal sotterraneo, dove sono rinchiusi i due amanti e che a loro sembra paragonabile ai vestiboli del cielo, la grotta si rivela un luogo squallido e sinistro quando, all’irruzione della luce del sole, le stelle si tramutano in macchie sulle pareti. La luce esterna annienta le illusioni notturne della grotta, e riduce a cumulo di detriti e di macerie le rose ardenti che il riflesso dell’acqua aveva creato sulle pareti della grotta. I due protagonisti, rinchiusi da un tiranno ostile al loro amore in una caverna che sconfina in acque sotterranee, riescono a liberarsi delle bende agli occhi, e quello che li attende all’interno del sotterraneo è una visione ammaliante; illuminate dai riflessi liquidi delle acque sottostanti, le pareti della grotta si riempiono di riflessi preziosi e di fiori ardenti: «Regarde autour de nous tout ce qui s’illumine … La lumière n’ose plus hésiter et nous nous embrassons dans les vestibules du ciel… Vois-tu les pierreries des voûtes ivres de vie qui semblent nous sourire; et les milliers et les milliers d’ardentes roses bleues qui montent le long des piliers?»413 Ma questa visione è di breve durata: l’irruzione della luce solare dall’alto della grotta, dovuta al tentativo di salvare i prigionieri liberandoli dalla caverna, scopre loro un aspetto molto più inquietante del sotterraneo e determina lo spavento di Alladine e Palomides, che cadono nell’abisso acquatico dal quale non possono essere salvati (la loro morte per annegamento liquida le illusioni mistiche). L’effetto drammatico affidato alla luce è inseparabile dalla caratterizzazione che questa luce assume nella didascalia.414 Il mondo della caverna di Alladine e Palo411. Questo elemento soggettivo della visione – che si affermerà con maggiore forza con il tema, tanto importante per Proust, delle deformazioni prospettiche della verità trattato da Maeterlinck ne La vie des abeilles (cfr. infra, p. 266 e sgg.) – può costituire un elemento importante che sfuma i contorni dell’assolutizzazione positivistica e spiritualistica del progresso in Maeterlinck, efficacemente sostenuta da Poggi (art. cit.). 412. M. Maeterlinck, La morale mystique, cit., pp. 61-62: «Nous croyons avoir plongé jusqu’au fond des abîmes et quand nous remontons à la surface, la goutte d’eau qui scintille au bout de nos doigts pâles ne ressemble plus à la mer d’où elle sort. Nous croyons avoir découvert une grotte aux trésors merveilleux; et quand nous revenons au jour, nous n’avons emporté que des pierreries fausses et des morceaux de verre; et cependant le trésor brille invariablement dans les ténèbres». 413. M. Maeterlinck, Alladine et Palomides, in Œuvres II. Théâtre 1, cit., p. 490 . 414. Ivi, p. 491 : «Immobiles et anxieux, ils regardent d’autres pierres se détacher lentement dans une insoutenable clarté, et tomber une à une, tandis que la lumière entrant à flots de plus en plus irrésistibles leur révèle peu à peu la tristesse du souterrain qu’ils ont cru merveilleux; le lac miraculeux devient terne et sinistre; les pierreries s’éteignent autour d’eux et les roses ardentes apparaissent les souillures et les débris décomposés qu’elles étaient. Enfin, tout un pan de rocher s’abat brusquement dans la grotte. Le soleil entre, éblouissant. On entend des appels et des chants au dehors.

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mides è il mondo dell’illusione mistica – quello esterno della luce solare è la realtà che li investe con una potenza mostruosa e terrificante, condannandoli a morire. Questo è un punto di grande pessimismo in Maeterlinck, dove sono riprese alcune delle intuizioni più estreme dei drammi dell’esordio. Come avevamo visto precedentemente, queste intuizioni sono in gran parte superate dal Pelléas, sebbene esso sia cronologicamente anteriore di due anni. Qui si abbozza una prima alleanza fra l’immagine della liberazione dei prigionieri interiori e il cammino della saggezza. In questo processo, la rielaborazione del mito della caverna si rivela ancora una volta fondamentale: Une vérité cachée est ce qui nous fait vivre. Nous sommes ses esclaves inconscients et muets, et nous nous trouvons enchaînés tant qu’elle n’a point paru. Mais si l’un de ces êtres extraordinaires, qui sont les antennes de l’âme humaine innombrablement une, la soupçonne un instant, en tâtonnant dans les ténèbres, les derniers d’entre nous, par je ne sais quel contre-coup subit et inexplicable, se sentent libérés de quelque chose; une vérité nouvelle plus haute, plus pure et plus mystérieuse prend la place de celle qui s’est vue découverte et qui fuit sans retour, et l’âme de tous, sans que rien le trahisse au dehors, inaugure une ère plus sereine et célèbre de profondes fêtes où nous ne prenons qu’une part tardive et très lointaine. Et je crois que c’est de la sorte qu’elle monte et s’en va vers un but qu’elle est seule à connaître.415

Queste verità liberate, che lasciano in eredità ai prigionieri della caverna più luce, equivalgono alla scoperta di una parte del nostro io trascendentale e di quell’incoscienza che è sul punto di diventare divina.416 Ma questo carattere di certezza che Maeterlinck attribuisce loro non ne contesta il carattere soggettivo. Un’immagine ricorrente in Maeterlinck, e che funge da complemento alla rielaborazione dell’immaginario della caverna, è quella del saggio che, dopo aver liberato i prigionieri interiori, esce all’aria libera e insegue il cammino della libertà. In questa immagine si riassume il dramma di Ariane et Barbe-Bleue ou la Délivrance inutile (1901). Ogni pensatore o mistico, una volta liberato, percorre un sentiero che è proprio e unico, per cui Maeterlinck nel saggio su Novalis riprende l’immagine dei disegni tracciati sulla superficie della terra dal cammino di ciascun uomo. Ripercorrendo i tre autori mistici ai quali ha dedicato i suoi saggi, Maeterlinck ridisegna per ognuno un diverso paesaggio interiore: «J’ai vu miroiter à l’horizon des œuvres de Ruysbroeck les pics les plus bleuâtres de l’âme, tandis qu’en celles d’Emerson les sommets les plus humbles du cœur humain s’arrondissaient irregulièrement. Ici, nous nous trouvons sur les crêtes Alladine et Palomides reculent». 415. M. Maeterlinck, Novalis, cit., pp. 142-143. 416. Ivi, p. 144.

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aigües et souvent dangereuses du cerveau».417 Le opere dei mistici vanno sempre in direzione dell’altezza, basta confrontare questo passaggio con quello del testo precedente dove si parla del cambiamento del punto di vista necessario per comprendere il vero valore e il vero significato di quanto avviene a valle: bisogna guardarlo dall’alto della montagna. Nous errons au hasard dans la vallée, sans nous douter que tous nos gestes sont reproduits et acquièrent leur signification sur le sommet de la montagne, et il faut par moments que quelqu’un vienne nous dire: Levez les yeux, voyez ce que vous êtes, voyez ce que vous faites; ce n’est pas ici que nous vivons; c’est là-haut que nous sommes. Ce regard échangé dans l’ombre; ces paroles qui n’avaient pas de sens au pied de la montagne, voyez ce qu’ils deviennent et ce qu’ils signifient par delà la neige des cimes; et comme nos mains, que nous croyions si faibles et si petites, atteignent Dieu à chaque instant, sans le savoir.418

Le anime che si muovono verso l’inaccessibile seguono ciascuna un suo percorso, che va in direzione divergente da quelli delle altre. Tutte queste anime, che sono espressione dell’unità fondamentale dell’anima umana, hanno incontrato verità differenti: e ciascuna di queste verità, per quanto esoteriche possano sembrare, ha avuto una ripercussione sulla coscienza comune, poiché quando qualche mistico, dall’alto delle sue cime, la scopriva, l’anima umana si è sentita liberata da un peso. Maeterlinck ribadisce l’unità fondamentale dell’anima e della coscienza umane, servendosi dell’immagine delle antenne affine alla similitudine vegetale che si trova altrove. Questa liberazione di prigionieri interiori assume il carattere del ricordo. L’immagine ricorrente in Maeterlinck è quella dell’uomo divenuto cieco che ricorda le immagini intraviste agli albori della sua vita.419 Questo tema è fondamentale nel dramma Les Aveugles (1890). Il carattere differenziale della saggezza è ribadito in La Sagesse et la Destinée. Tra il 1896, anno della pubblicazione in volume dei saggi di Le Trésor des Humbles, e il 1898 appare un cambiamento radicale nella considerazione della saggezza. Maeterlinck intende fare un posto alla saggezza e assegnarle un ruolo nella lotta contro il destino. Se prima la verità era depositata negli scritti dei mistici, Maeterlinck rivoluziona radicalmente il nostro modo di rapportarci a essi. Per il 417. Ivi, p. 141. 418. M. Maeterlinck, Emerson, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., p. 129. 419. Ivi, pp. 130-131: «Ne sommes-nous pas semblables à un homme qui a perdu les yeux dans les premières années de son enfance? Il a vu le spectacle innombrable des êtres. Il a vu le soleil, la mer et la forêt. Maintenant, ces merveilles se trouvent à jamais dans sa substance; et si vous en parlez, que pourrez-vous lui dire, et que seront vos pauvres mots à côté de la clairière, de la tempête et de l’aurore qui vivent encore au fond de son esprit et de sa chair? Il vous écoutera, cependant, avec une joie ardente et étonnée, et bien qu’il sache tout, et que vos paroles représentent ce qu’il sait plus imparfaitement qu’un verre d’eau ne représente un grand fleuve, les petites phrases impuissantes qui tombent de la bouche des hommes illumineront un instant l’océan, la lumière, et les sombres feuillages qui dormaient au milieu des ténèbres sous ses paupières mortes».

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pensatore del 1891, quando pubblica la sua prima versione dell’introduzione alle opere di Ruysbroeck, gli scritti dei mistici restano inaccessibili anche al lettore più avvertito, perché nell’anima dei moderni è venuta meno la ‘spontaneità centrale’, ovvero il punto di vista che permette di accedere alla comunione con Dio. Malheureusement, il nous est à peu près impossible de nous mettre dans la position de l’âme qui, sans effort, a conçu cette science; nous ne pouvons l’apercevoir ab intra et la reproduire en nous-mêmes. Il nous manque ce qu’Emerson appellerait la même “spontanéité centrale”. Nous ne pouvons plus transformer ces idées en notre propre substance; et, tout au plus, il nous est possible d’en approuver, du dehors, les prodigieuses expériences, qui ne sont à la portée que d’un très petit nombre d’âmes dans la durée d’un système planétaire.420

Il punto di vista centrale, che garantirebbe l’armonia e la solidarietà di tutti i punti di vista come identità dell’uomo con Dio, è scomparso: questo significa che anche il segno dell’arte (l’opera mistica) si dà solo a punti di vista parziali, scentrati, ai quali manca la spontaneità creatrice. Sono monadi in cui il rapporto con Dio che ha dato loro origine è occultato in modo irrimediabile, e che si danno come alterità asimmetrica rispetto a un principio di centralità e di simmetria che è venuto meno. La monadologia di Maeterlinck si caratterizza per questa impenetrabilità, per questa eclissi nel cuore stesso dell’universo. Manca la centralità, è assente Dio, e tutto si dà come relazione infruttuosa con un interno (la centralità della coscienza divina) cui è possibile accedere solo dall’esterno. In questo testo si può cogliere un’analogia fra lo scultore e il drammaturgo da una parte, il romanziere e il pittore dall’altra: lo scultore manca di un punto di vista centrale e deve fornire sempre punti di vista laterali, tutti i possibili. Il drammaturgo consegna un’opera che a causa dei limiti della parola è già morta e deve essere riattivata dalla rappresentazione. Il mondo è diventato delle differenze, dove soli regnano i punti di vista individuali. La possibilità di riattivare questa comunicazione con la coscienza di Ruysbroeck non passa né per il ragionamento né per l’immaginazione, le due grandi strade dell’oggettività e della soggettività, ma per quello che Deleuze definisce il ‘pensiero puro’. In analogia con quanto Deleuze affermerà in Différence et répétition, Maeterlinck definisce questa facoltà di contemplazione come l’estremo limite cui è possibile accedere attraverso la creazione di un proprio punto di vista sulle cose, paragonato all’ascensione di una montagna. Questo pensiero puro passa attraverso le percezioni duplici, come l’occhio che ha bisogno delle tenebre per vedere la luce.421 Tuttavia il libro di Ruysbroeck resta un ‘mistero morto’. Secondo il 420. M. Maeterlinck, Ruysbroeck l’Admirable, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., pp. 99-100. 421. Nel finale del saggio di Maeterlinck dedicato a Ruysbroeck l’Admirable, ivi, p. 116, Maeterlinck cita la Sesta Enneade del Primo Libro, dedicata alla contemplazione della bellezza intelligibile, in particolare il passaggio dove si afferma la necessità per il guardante di farsi simile al guardato (cfr. Plotino,

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primo Maeterlinck, la parola non possiede quella facoltà di riattivare il pensiero puro attraverso le percezioni duplici, cioè esattamente quanto Deleuze affermerà che sia possibile all’opera proustiana in quanto ‘macchina’ per produrre degli effetti.422 Si configura pertanto già a quest’altezza l’inanità della letteratura, anche mistica, e la via d’uscita è rappresentata dal ritorno alle sorgenti pagane della saggezza, indicate in Plotino. Al di là del soggettivo (auto-contemplazione o contemplazione dell’idea di Dio che l’anima si è formata) e dell’oggettivo (contemplazione degli oggetti illuminati dall’Uno) resta il segno dell’arte come Essenza, cioè a sua volta oggetto di contemplazione che avvolge un senso irriducibile (l’Uno, che è addirittura superiore all’esistenza, o Differenza secondo Deleuze). In questo consiste precisamente l’oscillazione fra il soggettivo e l’oggettivo. Ma anche l’esperienza dell’arte è preclusa al mondo moderno. Questo significa anche che: resta l’ombra e restano gli oggetti illuminati che proiettano ombre. La conoscenza, come nella caverna platonica, si dà solo delle ombre, perché se nella concezione neoplatonica fatta propria da Deleuze l’attenzione deve distogliersi dagli oggetti prima contemplati per rivolgersi su se stessa, qui l’attenzione deve restare ancorata agli oggetti. Perciò essa può darsi solo di ombre e di riflessi. Inoltre, se il punto di vista centrale è precluso, i punti di vista soggettivi possono captare la sua luce solo indirettamente, come riflesso di una luce di cui non si vede la sorgente o come ombra proiettata in assenza della visibilità diretta della sorgente.423 Ciò è perfettamente Enneadi, cit., l. I, VI, § 9, pp. 199-203). 422. Cfr. G. Deleuze, Proust et les signes, cit. 423. Cfr. Plotino, Enneadi, cit., l. I, 1. §12, pp. 94-95, dove Plotino paragona la discesa dell’anima nel corpo al processo di illuminazione di un oggetto corporeo, che produce ombre; l’anima è come un fascio di luce che genera l’ombra dal suo proiettarsi sulla materia: «Del resto, noi abbiamo già spiegato come si verifica la generazione, e cioè attraverso la discesa dell’Anima, quando, nel suo inclinare, un’altra realtà da lei derivata inizia a discendere. Non è che con questo depone la sua immagine? E la sua inclinazione come può non essere un errore? Se intendiamo l’inclinazione come un irraggiamento rivolto verso il basso, non è un errore come non lo è l’ombra; semmai la responsabilità sarebbe dell’oggetto illuminato, perché se esso non esistesse neppure l’Anima avrebbe un luogo su cui riversare la sua luce. Pertanto, la discesa dell’Anima e la sua inclinazione stanno a significare che l’oggetto da lei illuminato condivide la sua stessa vita. L’Anima allora, se non trova qualcosa lì vicino pronto ad accoglierla, abbandona la sua immagine, non nel senso che se ne separa, ma nel senso che l’immagine smette di esistere. E ciò avviene quando l’Anima nella sua interezza contempla il mondo di lassù. Parrebbe che il poeta si riferisse proprio a questa separazione quando situava nell’Ade l’immagine di Eracle e invece collocava il vero Eracle fra gli dei, in tal modo seguendo ambedue le versioni del mito: l’una che lo voleva assunto fra gli dei e l’altra nell’Ade». Diverso è il discorso per quanto riguarda gli oggetti interiori di contemplazione intelligibile che l’Anima reca con sé, ma al proprio interno, un po’ più in ombra, e che per essere letti vanno accostati alla fonte di luce. Anche qui il rimando al mitema della caverna è evidente: ivi, l. I, 2, § 4, pp. 107-108: «Dobbiamo allora sostenere che l’Anima ha la forma del bene? Sì, nel senso che non ha il potere di restare nel vero bene, ma per sua natura partecipa tanto di esso quanto del male. Pertanto, il suo bene consiste nel congiungersi a ciò che le è affine, mentre il suo male sta nel congiungersi alle realtà contrarie. Però, una tale unificazione “col Bene” implica una purificazione e di conseguenza una conversione. Forse che questa segue a quella? No, perché a purificazione avvenuta c’è già conversione. Allora la sua virtù si riduce alla conversione? No, ma agli effetti della conversione. E quali sono? Sono la visione e l’impronta dell’oggetto con-

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leibniziano: anche in Leibniz la finitezza della creatura si traduce nel fondo oscuro, che è il resto carbonizzato dell’éclair divino da cui è scaturita la monade, il suo corpo o il fondo impenetrabile di materialità delle sue percezioni oscure (il resto carbonizzato dell’incendio da cui scaturisce l’età moderna per Maeterlinck, dove i riflessi sono morti). La luce che resta all’interno della monade è una luce ‘sigillata’. Con una differenza rispetto a Leibniz: per Maeterlinck questa luce è puramente riflessa, ovverosia è un oggetto illuminato (fissazione agli oggetti). Per Leibniz invece il principio del fuoco divino o éclair resta attivo nella monade, che è miroir vivant, e permette di risalire in una certa misura al chiarimento delle percezioni oscure e alla conoscenza di Dio. Solo in una certa misura, però, perché il centro restando occultato (kenosis divina che ha dato luogo alla monade) i punti di vista restano singolari, e proprio perché materiali, con un fondo oscuro ineliminabile. Quest’ultimo aspetto però si ritrova in La Sagesse et la Destinée: la saggezza è questo principio ancora attivo. Maeterlinck passa da una concezione per cui, nel medioevo cristiano, la coscienza divina risorge dai ghiacci, con l’immagine dell’isola infiammata che esprime metaforicamente l’opera di Ruysbroeck (cfr. storia della terra secondo Leibniz: prima sole, poi resto carbonizzato della terra, poi acqua e ghiacci), momento mitico fondativo (acqua e fuoco), poi all’età moderna che si sposta in clima temperato: terra e acqua. Lo specchio è oggetto parziale cui resta ancorata la visione moderna. In questa seconda fase il principio del fuoco divino è ancora attivo, o meglio può essere riattivato non più attraverso il misticismo cristiano (momento fondativo irraggiungibile) ma attraverso l’immersione nella saggezza antica, dove questo principio può essere ancora conciliato con la razionalità moderna. Ai riflessi si affiancano le intermittenze della luce solare, cioè naturale. La saggezza è definita un punto di vista sulle cose e il suo carattere soggettivo risulta cambiato radicalmente di segno: da principio di esclusione diventa fattore positivo. «Il arrivera que ce qui vous attriste me réconfortera, que ce qui vous console m’affligera peut-être, peu importe; ce qu’il y a de beau dans votre vision consolante entrera dans mon affliction, et ce qu’il y a de grand dans votre tristesse passera dans ma joie, si ma joie est digne de votre tristesse».424 templato, che si situano nell’interiorità e quivi agiscono come fa la vista nei confronti del suo oggetto. E dunque non aveva i suoi oggetti e non ne serbava il ricordo? Sì, li aveva, ma non in atto, bensì ritirati in una zona oscura: ecco dunque che per portarli alla luce e sapere di possederli doveva accostarsi alla fonte di luce. A dire il vero, però, l’Anima non possedeva proprio tali intelligibili, ma solo le loro impronte, sicché è costretta a conformare l’impronta ai vari oggetti che le hanno impresse». Cfr. questa concezione con l’immagine di Maeterlinck degli oggetti racchiusi nell’ombra della caverna, “originali” di un mondo superiore, che l’uomo cerca faticosamente di comprendere e adattare alle condizioni dell’ombra, mentre è privato del confronto col mondo superiore della luce. Per il valore simbolico, filosofico-psicoanalitico degli oggetti cfr. l’Introduzione e i saggi raccolti in Proust e gli oggetti, a cura di G. Girimonti Greco, S. Martina e M. Piazza, Firenze, Le Cáriti, 2012. 424. M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., p. 17.

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Occorre preparare nell’anima uno spazio adatto ad accogliere questa idea: «Ce qu’il faut, avant tout, c’est préparer à la surface de notre âme une certaine hauteur pour y recevoir cette idée, comme les prêtres d’anciennes religions dénudaient et débarassaient de ses épines et de ses ronces le sommet d’une montagne pour y recevoir le feu du ciel».425 In questa idea della cima di montagna che accoglie il fuoco dal cielo si può cogliere una costante che si può definire anch’essa leibniziana del rapporto di Maeterlinck con la luce: il contatto fra luce ed elevazione. La luce indica una direzione ascensionale, un luogo alto, esattamente come la parte chiara della monade si colloca più in alto, come più in rilievo rispetto alla sua parte oscura. La luce occupa il fuoco centrale dell’occhio-monade, dello spazio interiore dell’anima, per Leibniz come per Maeterlinck. La rivelazione coincide curiosamente con l’immagine del fuoco del cielo, che in Proust ha la valenza opposta, di punizione apocalittica per i peccati della mondanità, della condotta sessuale, del tempo perduto. La rivelazione attesa da Maeterlinck sarà tanto più efficace quanto più la nostra anima sarà stata preparata ad accoglierla: è il lavoro compiuto nell’ombra (sbarazzarsi dei pregiudizi) che rende possibile l’azione della luce. L’uomo segue la sua linea di sviluppo organica, quindi in ultima analisi anche una rivelazione esteriore ha valore solo in quanto è accolta interiormente. Fatto sconcertante però, quest’attesa (terra e fuoco) proiettata in un futuro incerto, è attesa di un rinnovamento ancora una volta portato da un principio esterno, quindi, in ultima analisi, storico. In Proust la questione si ripresenta quasi negli stessi termini invertiti di segno: i paesaggi polari sono il luogo immemoriale dell’origine, terra e acqua sono i due côtés di Combray, il fuoco dal cielo preannuncia l’apocalisse di Sodoma sotto le bombe, con una singolare inversione della prospettiva storica dall’ottimismo al pessimismo. Lo stile è estrazione della scintilla da un sasso, più ancora che riflesso in uno specchio (che rimanda all’effetto ottico della memoria involontaria): per Proust la salvezza è tutta individuale. Maeterlinck invece vede in ultima analisi prevalere un momento oggettivo e storico, secondo uno schema hegeliano. Se con Maeterlinck assistiamo allo sviluppo di un pensiero in qualche modo utopistico, in Proust l’oscillazione fra soggettività e oggettività della croyance si ripropone con una diversa dialettica. Maeterlinck cerca di conciliare due elementi estranei, la luce intermittente delle verità soggettive scoperte nell’inconscio e la luce del fuoco celeste, segno preannunciatore di una catastrofe redentiva dell’umanità, nella luce naturale proiettata sull’oggetto. In Proust le verità soggettive diventano oggettive a forza di approfondirsi e di raggiungere quella matrice unica che contrassegna l’umano in quanto tale. È quanto si desume da al425. Ibid.

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cune affermazioni contenute nella corrispondenza, come la dichiarazione che a forza di essere personali si raggiunge una verità che non è solo propria,426 che le impressioni personali contenute nell’opera d’arte voluta da Proust figurano lì solo per rappresentare la parte di contingente che c’è nell’eterno, quindi mirano ad approfondire una conoscenza oggettiva.427 L’uscita dalla caverna equivale alla momentanea sospensione dalla credenza, alla liberazione dei prigionieri interiori, come nella scena di Sodome et Gomorrhe in cui il narratore “libera” Mme de Cambremer-Legrandin dalle sue credenze critiche fossilizzate.428 Nella scena di Sodome et Gomorrhe in cui evoca Pelléas, Proust fa riferimento alla nullità della conversazione mondana, al suo carattere obliquo e mediato che costituisce una sorta di bozzolo (l’intercapedine-linguaggio) e che colloca sin dall’inizio l’evocazione di Maeterlinck sotto il segno del pastiche: il narratore dice che, rivolgendosi a Mme de Cambremer-Legrandin imitava il linguaggio di suo fratello, mentre quest’ultima, vittima di un’illusione analoga e del demone della conversazione, nel rivolgersi a lui che sapeva amico di Robert de Saint-Loup imitava il linguaggio di quest’ultimo. Compare in questo passaggio la parola latina “medium” fra virgolette,429 «che in francese appartiene sia al vocabolario musicale che al lessico spiritico»430 e evoca il dominio semantico della possessione. Noi siamo posseduti dalle nostre credenze fittizie, che nel caso particolare di Mme de Cambremer-Legrandin vertono sul mondo dell’arte, della letteratura musica pittura, e anche della filosofia. Mme de Cambremer giovane è convinta di una concezione della temporalità progressiva, di ascendenza positivistica e darwiniana, in cui le opere sono concepite come altrettanti progressi rispetto a quelle che le hanno precedute, su una linea retta uniforme che figura una marcia in avanti: così Debussy, il musicista di Pelléas, è da lei concepito come una specie di super-Wagner ancora più avanti di Wagner, mentre Chopin, che il narratore le rivela come un musicista prediletto da Debussy, solo perché ormai appartenente al passato è svalutato a livello di musicista dozzinale. La stessa concezione che spinge lei, aristocratica di provincia di nascita borghese, che vive lontana da Parigi in un ambiente nazionalista antidreyfusista e clericale, a farsi portavoce nel suo piccolo mondo delle opere d’avanguardia (tra cui anche il Pelléas) e nel dirsi mai abbastanza a sini426. M. Proust, Corr, t. X: 1910-1911, pp. 275-276. 427. M. Proust, Corr, t. XI: 1912, pp. 235-236. 428. Cfr. A. Compagnon, Proust entre deux siècles, Paris, Seuil, 1989, trad. it. di F. Malvani con la collaborazione di P. Misenti, Proust tra due secoli. Miti e clichés del decadentismo nella Recherche, Torino, Einaudi, 1992, in particolare il capitolo IX: Mme de Cambremer, nata Legrandin, o l’avanguardia a ritroso. 429. SG, RTP, III, p. 203: «À cause du niveau de simple “médium” où nous abaisse la conversation mondaine, et aussi notre désir de plaire non à l’aide de nos qualités ignores de nous-mêmes, mais de ce que nous croyons devoir être prisé par ceux qui sont avec nous, je me mis istinctivement à parler à Mme de Cambremer, née Legrandin, de la façon qu’eût pu faire son frère». 430. A. Compagnon, Proust tra due secoli, cit., p. 273.

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stra, ma solo in arte, fa sì che non tolleri nella pittura o nei romanzi la rappresentazione del mondo borghese-aristocratico, e sia altrettanto snob nel preferire la pittura di soggetti di un livello sociale bassissimo (come i contadini di Tolstoj) quanto lo è in senso inverso nella vita, dove cerca di frequentare solo quanti la possano avvicinare al favoleggiato mondo dei Guermantes, dal quale è esclusa. Il narratore, col suo linguaggio mediato e da medium, compie su di lei una sorta di azione di disincantamento: rivelandole l’ascendenza chopiniana di Debussy e quella poussiniana di Monet fa interagire sulla sua concezione semplificata della temporalità una temporalità diversa, quella che Compagnon definisce «critica», che lascia la povera provinciale sconcertata. Si tratta sempre d’intermittenze, come vuole Compagnon: affiancando il carattere mediumnimico della conversazione di Marcel alla teoria della determinazione del sesso dell’invertito tramite reincarnazione dell’anima di una parente di sesso femminile, voce del sangue e della razza,431 Compagnon giunge a definire la crisi di desiderio o d’inversione come «non degenerazione o determinismo ereditario, ma resurrezione del passato nel presente, memoria dell’origine, intermittenza indeterminata».432 Si tratta di una concezione della temporalità critica, fondamentalmente non determinista, che rimanda all’intermittenza come sua struttura fondamentale. A questo punto acquistano valore gli insistiti richiami di Marcel alla scena topica di Pelléas dell’uscita dalla grotta: il momento dell’emersione dalla crisi e della temporalità intermittente, che, come sostiene Carbone sulla scorta di Merleau-Ponty, rimanda a una temporalità non lineare, ciclica e mitica, dove i segni del passato acquistano un valore ominale. È sempre la riemersione di un’”aria” del passato, di una reminiscenza anticipata di cui Compagnon sottolinea l’analogia con la concezione benjaminiana dell’immagine dialettica.433 Le citazioni che il narratore fa di Pelléas si riferiscono all’uscita topica dalla caverna e colgono il rapporto di filiazione Chopin-Debussy, che costituisce per l’anziana Mme de Cambremer (pianista cresciuta nel culto di Chopin e per questa ragione disprezzata dalla nuora) una consimile liberazione, un respirare l’aria che vivifica.434 La strategia critica autentica messa in pratica dal narratore consiste quindi nel sollevare la campana di vetro della conversazione figée. La reclusione in un linguaggio e in una dottrina precostituiti è rappresentata dalla giovane Mme de Cambremer, che non ricorda la scena di Pelléas in questione e per la 431. Per questo aspetto cfr. J. Hassine, Ésotérisme et écriture dans l’œuvre de Proust, Minard, Paris, 1990. 432. Ivi, p. 282. 433. Ivi, pp. 300-301. 434. SG, RTP, III, p. 212: «Aussi mes paroles qui venaient de sonner l’heure de la délivrance pour la douairière, mirent-elles dans sa figure une expression de gratitude pour moi, et surtout de joie. Ses yeux brillèrent comme ceux de Latude dans la pièce appelée Latude ou trente-cinq ans de captivité et sa poitrine huma l’air de la mer avec cette dilatation que Beethoven a si bien marquée dans Fidelio, quand ses prisonniers respirent enfin “cet air qui vivifie”».

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quale gli appelli della campana dell’angelus di Pelléas restano senza significato435: anche acusticamente resta isolata come sotto una campana di vetro. Uscire dalla caverna è anche riconoscersi un’ascendenza nella forma dell’anticipazione retrospettiva: come Debussy riconosce Chopin come suo antesignano, Proust fa lo stesso con Maeterlinck. Tuttavia, per fare ciò Marcel deve prima entrare nella caverna del linguaggio, delle apparenze e degli agoni (con la pratica esorcizzante del pastiche). Lo scopo della vera critica letteraria è quindi uscire dalla caverna, dare aria nuova a ciò che era rinchiuso, liberare i prigionieri interiori. III. 3. L’intelligenza e il cuore. Ciò vale anche per il campo della filosofia. In un passaggio correlato a questo, appare significativo il ricorso di Proust all’unica citazione diretta di Leibniz nella Recherche, sempre nell’ambito di una ricerca degli antenati, questa volta filosofici. Nell’episodio della prima visita del narratore ai Verdurin alla Raspelière presso Balbec, questi incontra per la seconda volta Mme de Cambremer-Legrandin, accompagnata dal marito. L’attenzione del narratore si sofferma su un’altra forma presa in lei dallo snobismo: l’attrazione per taluni filosofi contemporanei dei quali, come per i pittori e i musicisti, ignora le lontane origini. Car si elle était fort cultivée, de même que certaines personnes prédisposées à l’obesité mangent à peine et marchent touter la journée sans cesser d’engraisser à vue d’œil, de même Mme de Cambremer avait beau approfondir, surtout à Féterne, une philosophie de plus en plus ésotérique, une musique de plus en plus savante, elle ne sortait de ces études que pour machiner des intrigues qui lui permissent de «couper» les amitiés bourgeoises de sa jeunesse et de nouer des relations qu’elle avait cru d’abord faire partie de la société de sa belle-famille et qu’elle s’était aperçue ensuite être situées beaucoup plus haut et beaucoup plus loin. Un philosophe qui n’était pas assez moderne pour elle, Leibniz, a dit que le trajet est long de l’intelligence au cœur. Ne quittant la lecture de Stuart Mill que pour celle de Lachelier, au fur et à mesure qu’elle croyait moins à la réalité du monde extérieur, elle mettait plus d’acharnement à chercher à s’y faire, avant de mourir, une bonne position.436

Il passaggio di Leibniz riecheggiato da Proust si trova negli Essais de Théodicée, III, § 311: Et quant au parallèle entre le rapport de l’entendement au vrai et de la volonté au bien, il faut savoir qu’une perception claire et distincte d’une vérité contient en elle actuellement l’affirmation de cette vérité: ainsi l’entendement est nécessité par là. 435. Ivi, p. 217. 436. Ivi, p. 315, c. n.

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Mais quelque perception qu’on ait du bien, l’effort d’agir d’après le jugement, qui fait à mon avis l’essence de la volonté, en est distingué: ainsi, comme il faut du temps pour porter cet effort à son comble, il peut être suspendu et même changé par une nouvelle perception ou inclination qui vient à la traverse, qui en détourne l’esprit, et qui lui fait même faire quelquefois un jugement contraire. C’est ce qui fait que notre âme a tant de moyens de résister à la vérité qu’elle connaît, et qu’il y a un si grand trajet de l’esprit au cœur, surtout lorsque l’entendement ne procède en bonne parti que par des pensées sourdes, peu capables de toucher, comme je l’ai expliquée ailleurs.437

Il passaggio di Leibniz esprime un aspetto veramente interessante della sua teoria della conoscenza e della volontà: l’inadeguatezza delle rappresentazioni dell’idea del bene, che procedono, quasi sempre, attraverso ‘pensieri sordi’, ovverosia incapaci di toccare il cuore perché non si avvalgono delle immagini, e la potenza delle immagini per così dire trasversali, che toccano il cuore con ben diversa intensità e che sono capaci di indurlo a rinunciare alla sua inclinazione al bene, intervenendo come ostacoli che si frappongono fra l’atto della volizione di fare il bene e la sua pratica attuazione. La volontà per attuare i suoi propositi ha bisogno di tempo, che secondo Leibniz è un fattore in qualche modo irriducibile alla ragione e relativamente incontrollabile da questa.438 La citazione qui quasi letterale di un passo della Théodicée ristabilisce una genealogia: il rapporto fra i moderni prediletti da Mme de Cambremer-Legrandin, Lachelier e Stuart Mill, si precisa se si pensa che nell’introduzione alla sua edizione dell’Avant-propos e del primo libro dei Nouveaux essais sur l’entendement humain di Leibniz, Lachelier aveva scritto che la teoria della libertà di Stuart Mill è una riformulazione di quella di Leibniz.439 Dietro i moderni letti da Mme de Cambremer-Legrandin si cela un riferimento antico che Proust doveva avere ben presente, poiché in Jean Santeuil passi di Lachelier sono riecheggiati accanto a riferimenti a Leibniz.440 437. G.W. Leibniz, Essais de Théodicée, cit., III, § 311, p. 302 (c. n.). 438. Sulla concezione del tempo in Leibniz cfr. H. Blumenberg, Tempo della vita…, cit., p. 243: «Leibniz aveva perso la testa sul problema della realtà del tempo, perché al tempo non si poteva applicare il principio di ragion sufficiente. Ciò costituì, nella controversia con Samuel Clarke, l’espressione più pura dell’antinomia tra temporalità assoluta e razionalità assoluta». 439. G.W. Leibniz, Nouveaux essais sur l’entendement humain (avant-propos et livre premier), publiés, avec une introduction, des notes et un appendice, par H. Lachelier, Paris, Hachette, 1886, p. 40 : «Il semble, en effet, que la théorie de la liberté de Stuart Mill ne soit qu’une forme moderne de celle de Leibniz». 440. In Jean Santeuil, un passo importante in cui è formulata l’idea del’isolamento dei luoghi e del sentimento dell’individualità connesso ai luoghi riprende l’idea di Lachelier dei pensieri della natura incarnati nelle cose: « Après sont d’autres lieux, aussi séparés de tout, de tout ce que leur arbres ne verront jamais au-delà de leur horizon, où la nuit ne tombe pas sur les mêmes choses, mais sur d’autres qu’une pensées de la nature semble avoir arrêtées là dans l’ignorance de toutes les autres, ayant comme une sorte de figure, une figure à [eux] à laquelle certain s’habitueront jusqu’à avoir pour elle une amitié comme une figure humaine en inspire » (M. Proust, JS, p. 323). Sulla presenza di Lachelier in Proust cfr. A. Contini, La Biblioteca di Proust, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1988.

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Il passo citato in Sodome et Gomorrhe è la prova della lettura proustiana della Théodicée. Se è vero che un dialogo con Saint-Loup offre una ragione decisiva per pensare a una lettura diretta di testi di Leibniz da parte di Proust, visto che Saint-Loup vi si riferisce a un libro letto in comune da lui e dal narratore a Balbec, nel quale si trattava della ricchezza del mondo dei possibili contrapposta all’unicità del mondo reale,441 ci sono altresì ragioni per identificare il libro letto da lui e dal narratore a Balbec con l’edizione della Monadologie di Boutroux del 1881.442 E se l’introduzione di Boutroux cita il passaggio della Théodicée ripreso qui da Proust, si osserva anche che nel testo della Théodicée poche pagine precedono il passaggio citato in Sodome et Gomorrhe da altre che contengono altri riferimenti ugualmente presenti nei testi di Proust, come le osservazioni sull’influenza benefica sull’artista di un’altra personalità e sulla confutazione della libertà d’indifferenza che riecheggiano alcuni passaggi della Théodicée di poco anteriori a quello presentato in Sodome et Gomorrhe.443 441. CG, RTP, II, p. 413: «Tu te rappelles ce livre de philosophie que nous lisions ensemble à Balbec, la richesse du monde des possibles par rapport au monde réel». 442. Nel corso della discussione di strategia con il protagonista in cui Saint-Loup fa riferimento al libro di filosofia letto insieme a Balbec per esemplificare la ricchezza dei possibili, quest’ultimo afferma: « Ulm est un meilleur type de bataille d’enveloppement que l’avenir verra se reproduire parce qu’il n’est pas seulement un exemple classique dont les généraux s’inspireront mais une forme en quelque sorte nécessaire (nécessaire entre d’autres, ce qui laisse le choix, la variété) comme un type de cristallisation. Mais tout cela ne fait rien parce que ces cadres sont malgré tout factices. J’en reviens à notre livre de philosophie, c’est comme les principes rationnels, ou les lois scientifiques, la réalité se conforme à cela, à peu près, mais rappelle-toi le grand mathématicien Poincaré, il n’est pas sûr que les mathématiques soient rigoureusement exactes» (CG, RTP, II, p. 414). Saint-Loup attribuisce abbastanza confusamente a Poincaré – che aveva scritto una Note sur les principes de la mécanique dans Descartes et dans Leibnitz pubblicata dopo i testi di Leibniz nell’edizione della Monadologie di Boutroux – un tipo di ragionamento sulla necessità matematica che si ritrova nella Notice sur la vie et la philosophie de Leibnitz di Boutroux anteposta a quell’edizione: «Spinoza paraît avoir enseigné expressément une nécessité aveugle […]. Leibnitz réfute cette doctrine par sa définition du possible et du nécessaire. Est possible, ditil, tout ce qui n’implique pas contradiction; est géométriquement nécessaire, ce dont le contraire n’est pas possible. Ceci posé, on ne saurait assimiler, à la proposition 2+2=4, cette autre proposition : Spinoza est mort à la Haye. La proposition 2+2=4 est géométriquement nécessaire, parce que le contraire, par exemple 2+2=6, implique contradiction. Mais le contraire de la proposition : “Spinoza est mort à la Haye”, par exemple : “Spinoza est mort à Amsterdam”, n’implique nullement contradiction. Il était donc possible que Spinoza ne mourût pas à la Haye. Par conséquent tout n’est pas géométriquement nécessaire dans la création» (G.W. Leibniz, La Monadologie, édition annotée, et précédée d’une exposition du système de Leibnitz par É. Boutroux, cit., pp. 86-87). Nella stessa edizione fra gli estratti antologizzati dai Nouveaux essais si può leggere : « C’est comme les Mathématiques en usent quand ils parlent des lignes parfaites, qu’ils nous proposent, des mouvements uniformes et d’autres effets réglés, quoique la matière (c’est-à-dire le mélange des effets de l’infini qui nous environne) fasse toujours quelque exception » (ivi, p. 216). 443. G. W. Leibniz, Essais de théodicée, cit., p. 294 : «quand Dieu produit lui-même nos volitions, [… ] alors nous agissons plus librement; et [… ] plus l’action de Dieu est efficace et puissante sur nous, plus sommes-nous les maîtres de nos actions. […]. La grâce ne fait que donner des impressions qui contribuent à faire vouloir par des motifs convenables, tels que serait une attention, un Dic cur hic, un plaisir prévenant»; ivi, p. 299 : « il y aura toujours quelque impression, quoique imperceptible, qui nous détermine».

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Accanto alla diretta influenza del testo di Leibniz, esiste però anche la possibile interferenza di un passaggio di La Sagesse et la Destinée, dove Maeterlinck riecheggia la stessa frase della Théodicée: il riferimento proustiano è raddoppiato da quest’occorrenza di Leibniz in Maeterlinck. Scopriamo ancora una volta delle analogie di comportamento nelle strategie intertestuali dei due autori: nelle letture comuni (che fanno parte di un patrimonio di cultura certamente datato) sembra che siano gli stessi punti a trattenere la loro attenzione. Il y a un long chemin, bordé des seules joies qui ne redoutent pas l’hiver, d’une intelligence satisfaite à un cœur satisfait. Le bonheur est une plante de la vie morale bien plus qu’une plante de la vie intellectuelle. Ce n’est pas dans l’intelligence que la conscience en général, et surtout la conscience du bonheur, cache ce qu’elle a de plus précieux. Même, on dirait parfois que les parties les plus hautes et les plus consolantes de l’intelligence ne se transforment pas en conscience si elles n’ont point passé par un acte de vertu. Il ne suffit pas de découvrir une vérité nouvelle dans le monde des idées ou des faits. Une vérité n’est vivante pour nous qu’à partir du moment où elle a modifié, purifié, adouci quelque chose dans notre âme. Ce qui constitue véritablement la conscience, ce qui est son acte essentiel, c’est la conscience d’une amélioration morale.444

L’analogia fra il testo di Maeterlinck e quello proustiano è tanto più flagrante in quanto subito dopo Maeterlinck afferma che sono soprattutto le donne intellettuali a soffrire di questo scompenso, di questa incapacità di riferire al cuore le verità che la loro intelligenza scopre e nel trasformarle in atti di virtù. E Mme de Cambremer-Legrandin è proprio l’esempio di questo intellettualismo. Tuttavia l’analogia non si ferma qui. Le argomentazioni di Maeterlinck potevano colpire Proust più direttamente. È rimasta traccia della lettura proustiana di La Sagesse et la Destinée in una lettera acquisita dalla Fondation Maeterlinck. Proust vi fa riferimento a un altro passaggio del libro, dove Maeterlinck discuteva le tesi di una biografa di Emily Brontë, Mary Robinson.445 La Robinson mostrava nella sua biografia che la potenza dell’immaginazione aveva sostituito in tutto la capacità di vivere della grande scrittrice, mettendola in condizioni di immaginare storie e sentimenti dei quali nella sua vita appartata di vergine chiusa in un presbiterio non aveva avuto alcuna esperienza diretta. Proust fu molto colpito da queste affermazioni che muovevano nella direzione di una netta distinzione fra l’io superficiale da un lato e l’io profondo dall’altro. Tuttavia, come scrisse al suo sconosciuto destinatario, l’impressione che il libro della Robinson gli aveva lasciata era di un’assoluta cattiveria:

444. M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., pp. 98-99, c. n. 445. M. Robinson, Un amant, Paris, Charpentier, 1902.

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C’est très beau, mais le livre m’avait laissé, autant que je me rappelle, une impression plus particulière de méchanceté. C’est du reste cela qui me le rendait assez incompréhénsible. Mais il me semble que cette méchanceté s’évapore un peu sur les sommets, point du tout orageux, de Maeterlinck. De plus, ces réfléxions si hautes, si vraies pourraient s’appliquer à bien d’autres et mieux. Car s’il est au contraire une œuvre qui suppose soit dans le cœur de l’auteur, soit dans les exemples voisins, un modèle original et ininventable de méchanceté, c’est bien ce livre-là. Tout cela n’empêche pas ce que dit Maeterlinck d’être admirable, consolant et juste. Et ce que je dis, moi, d’être impertinent et ridicule, comme si ce n’était pas assez que Maeterlinck nous dise ce qu’il faut penser d’Emily Brontë et qu’il faille que moi je vous dise, à vous qui savez tout, ce qu’il faut penser de Maeterlinck.446

Per Maeterlinck questa spartizione fra vita e opera segnava il limite che aveva impedito alla grande anima della Brontë di trasformarsi in forza e felicità realmente vissute. A tale riguardo, Maeterlinck fa l’esempio di una «conscience intellectuelle, éternellement assise, éternellement couchée sur un trône immobile»,447 propria di quegli esseri «en qui le retour sur soi ne profite qu’à leur intelligence».448 Per Maeterlinck il tragitto dall’intelligenza al cuore dev’essere anzitutto passaggio dall’intelligenza che crea le opere alla coscienza morale che illumina e rende felice la vita, al punto che è l’opera ad apparirgli sacrificabile: «mieux vaut une œuvre inachevée qu’une vie incomplète».449 Le immaginazioni che non diventano realtà devono essere sacrificate. È facile a questo punto individuare nel discorso dei due autori e nelle loro molto prossime strategie intertestuali un punto di contatto: si tratta sempre del passaggio dalla profondità alla superficie di quelle che Leibniz chiamava «petites perceptions» e Proust «impressions obscures».450 Esse sono caratterizzate in senso duplice, sia morale che estetico. S’inseriscono come «pensées de traverse» fra l’intelligenza e la volontà, bloccando l’attuazione delle intenzioni della coscienza chiara. Per questo, secondo Leibniz, è meglio respingerle, ricacciarle indietro anche ricorrendo all’aiuto di confessori e consiglieri spirituali. Meglio vale affidarsi a un ragionamento sordo, cioè privo di quella colorazione e di quell’evidenza sensibili così bene incarnati dalle piccole percezioni, per procedere diritti allo scopo. L’esempio di questo ‘pensiero sordo’, che procede privo del sostegno di evidenze materiali, è il ragionamento matematico. Maeterlinck adotta lo stesso esempio a proposito delle geometrie non-euclidee, precluse all’immaginazione sempre influenzata dal sedimento d’immagini reali e invece aperte 446. M. Proust, Lettre, inedito conservato presso la Fondation Maurice Maeterlinck di Gand. Citato da C. Bronne, Proust et Maeterlinck. Un pastiche inédit, «Bulletin de l’Académie Royale de Langue et de Littérature Françaises», t. XLV, n. 3, 1967, p. 193, e da M. Benoit-Jannin, Le retour de la vie intérieure, introduzione a M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., p. 5. 447. M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., p. 206. 448. Ibid. 449. Ivi, p. 204. 450. TR, RTP, I, p. 457.

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alle libere possibilità di concezione della mente matematica: «Concevoir, qui est le frère aveugle de comprendre, ne voit pas les images et peut donc s’en passer».451 Come si comprende da quest’esempio, la svolta di Maeterlinck non è soltanto da una dominante prevalentemente estetica a una prevalentemente morale; investe anche il ruolo dell’immaginazione, facoltà creatrice principale che si ritrova detronizzata in questa seconda fase. Come abbiamo visto per gli esempi a proposito della nékyia di Ulisse, per Maeterlinck anche qui bisogna mettere in atto una vera e propria strategia di rimozione del dolore. Se è necessario, lo scrittore deve rinunciare alla sua opera a favore di una vita pienamente vissuta. Il contrasto con Proust non potrebbe essere più stridente, ma la nozione di fondo di un’impraticabilità parallela delle due vie della vita e dell’opera è la stessa: «À tout moment il faut choisir entre la santé, la sagesse d’une part, et de l’autre les plaisirs spirituels. J’ai toujours eu la lâcheté de choisir la première part».452 Però colpisce il fatto che siano le stesse frasi, gli stessi riferimenti culturali ad attivare l’interesse di entrambi gli autori. Proust attuerà nella sua lettura di Maeterlinck una vera e propria psicoanalisi del suo famoso modello, spiegandoci che se sugli stessi punti di capitale importanza i loro pensieri divergono è perché Maeterlinck attua una rimozione della sua natura più autentica. La storia di questa interpretazione critica si può leggere anzitutto nella Correspondance e negli sparsi frammenti di articoli e saggi che precedono la Recherche. III. 4. L’ottica degli spiriti. Risale al febbraio 1904 la lettura proustiana di La vie des abeilles (1901), che Proust chiede in prestito in una lettera all’amico Reynaldo Hahn.453 In una lettera a Maurice Barrès, dello stesso anno, Proust dichiara di avere l’intenzione di scrivere un articolo su Maeterlinck, che definisce «très grand penseur».454 L’articolo che 451. M. Maeterlinck, L’ombre des ailes, Paris, Charpentier, 1936, p. 80. 452. LP, RTP, III, p. 632. Le analogie fra il testo e i pensieri contenuti in La Sagesse et la Destinée e il testo proustiano non si limitano solo ai passaggi sin qui evocati. In particolare, il sentimento proustiano di culpabilité e di rimorso per la morte dei suoi genitori può aver ricevuto un rafforzamento dalle numerose riflessioni morali dedicate in questo libro al tema del lutto per la morte delle persone care. 453. M. Proust, Corr, t. IV: 1904, pp. 58-59. 454. Ivi, p. 93. Lettera a Maurice Barrès del 13, 14 o 15 marzo 1904 : «Je ne connais pas M. Maeterlink, par conséquent je ne lui envoie pas mon livre, par conséquent il ne le connaîtra pas, je ne sais donc pas s’il sera fâché ou content d’être comparé à Racine. Mais ce que je sais c’est qu’est une comparaison que je n’ai pas faite. J’ai dit que la vie de Racine, de Pascal, de Tolstoï, de Maeterlink étaient en deux parties. C’est une idée qui me plaît. Et dès qu’un journal me prendra des articles si ce jour doit jamais venir, je ferai un article que j’appellerai : “Qu’une vie est belle qui commence par l’art et qui finit par la morale” et qui sera sur Maeterlink et j’y parlerai de Racine, de Pascal, de Tolstoï et j’espère en trouver d’autres d’ici là. Mais ce phénomène peut se produire chez des gens même médiocres et je n’ai jamais prétendu les mettre sur le même plan. J’ajoute que si j’avais un

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Proust è intenzionato a scrivere e che non avrebbe mai scritto avrebbe dovuto intitolarsi: «Qu’une vie est belle qui commence par l’art et qui finit par la morale». Proust scrive a Barrès che vorrebbe paragonare – per la partizione della vita – Maeterlinck a Racine, Pascal, Tolstoï e anche a Virgilio. Questo è importante perché dimostra che Proust accoglie la divisione in due parti della vita di Maeterlinck, formulata immediatamente in quegli anni dalla critica, e che è affascinato dagli autori che hanno un doppio interesse, estetico e morale.455 È evidente come Proust faccia propria l’esitazione fra letteratura e filosofia che vede dominare in loro. Barrès nella lettera alla quale Proust qui risponde si era lamentato che Proust paragonasse in modo così disinvolto un autore moderno come Maeterlinck a mostri sacri come Racine, ecc., nella prefazione alla traduzione di La Bible d’Amiens. Proust gli risponde dichiarando che il paragone concerneva solo la vita, e non l’opera degli autori citati, e che rinnovare come fa il suo corrispondente la querelle degli antichi e dei moderni è inutile e contrasta con la sua percezione idealista dell’opera d’arte, sottratta alle contingenze del tempo. Il passaggio cui faceva riferimento Barrès appartiene al post-scriptum dell’introduzione alla traduzione della Bible d’Amiens di Ruskin (1903),456 e in particolare all’articolo John Ruskin, apparso la prima volta il 27 gennaio 1900 su «La Chronique des arts et de la curiosité». Il tema di questo articolo concerne la prima presa di distanza che Proust compie rispetto al venerato Ruskin, affermando che la bellezza e la verità contenute nei suoi scritti sono viziate e in qualche modo rese meno pure da un partito preso estetizzante che Proust riconosce come una forma d’idolatria. Il carattere particolare di questa idolatria in Ruskin sta proprio nel lasciar cadere le preoccupazioni prettamente estetiche in nome di un’ideologia della verità che afferma concezioni religiose e morali. Ma queste ultime sono state scelte – osserva acutamente Proust – in ragione del loro valore estetico, quindi si verificherebbe in Ruskin una commistione fra i due ambiti che col pretesto di esaltare i valori della morale e della religione li asservirebbe in realtà a un ideale di bellezza che proprio a causa di questo compromesso sarebbe meno puro. Fra gli autori evocati da Proust che presentano – come Ruskin – una doppia partizione della vita in estetica e morale, è citato anche Maeterlinck, senza tuttavia che il rimprovero che è fatto a Ruskin trovi spazio di applicazione anche article à faire sur Maeterlink, je le comparerais aussi à Virgile. Et au point de vue du talent (auquel je n’avais jamais pensé) sans doute je ne trouve pas qu’il ressemble du tout à Racine. Mais je le trouve tout de même un très grand penseur, et je le lis plus souvent». 455. Sul tema molto importante in Proust della partizione della vita in due fasi attira molto acutamente l’attenzione M. R. Finn, Proust, Maeterlinck, les arbres et les clochers, cit., pp. 130-131. 456. La collocazione nel post-scriptum di questo passaggio, pubblicato in seguito in Pastiches et Mélanges (1919) e raccolto nell’edizione del Contre Sainte-Beuve cui facciamo riferimento, si desume dall’edizione italiana del testo ruskiniano: J. Ruskin, La Bibbia d’Amiens, commento e note di M. Proust, traduzione di S. Quasimodo, Milano, SE, 1999.

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per lui.457 Il tema che Proust esplicita a proposito di Ruskin nel concetto d’idolatria riguarda ancora una volta l’immaginazione e le immagini. Dominante in Ruskin è la preoccupazione di superare l’attaccamento alle immagini in nome di una fedeltà evangelica allo Spirito che può anche mortificare o contravvenire alla Lettera. Ruskin definisce «idolatria» «le fait de servir avec le meilleur de nos cœurs et de nos esprits quelque chère ou triste image que nous nous sommes créée, pendant que nous désobéissons à l’appel présent du Maître, qui n’est pas mort».458 Questa iconoclastia è presente anche in Maeterlinck agli albori della sua produzione (e non solo). Nella novella Les Visions typhoïdes (1888) Maeterlinck attribuisce al monologo del suo personaggio la seguente battuta: «Je sais que les images s’élèvent de l’enfer, car elles sont la souillure de la pensée et du rêve, venus de Dieu, absolus» .459 In Proust invece non si tratta di scrupoli religiosi ma di distinguere esattamente le due sfere dell’estetica e della morale nella consapevolezza che per l’artista il vero sforzo estetico nella scelta e nell’espressione delle sue frasi corrisponde anche all’unico autentico sforzo morale che gli si può chiedere. Proust è paradossalmente a favore di una distinzione netta fra le due sfere proprio perché non svaluta preliminarmente l’estetico in favore del morale e non condanna il piacere estetico: «car le plaisir esthétique est précisément celui qui accompagne la découverte d’une vérité».460 Ciò che Proust condanna è il feticismo delle immagini cui gli artisti attribuiscono un valore fisso, perché sono già state consacrate dalla visione di un grande artista. In questo senso, anche gli errori di lettura e d’interpretazione delle opere d’arte possono essere fecondi. Riferendosi a una statua della cattedrale di Amiens, Ruskin scrive pagine dettate dal più grande entusiasmo esaltandone il valore estetico, giudizio non condiviso da Huysmans che probabilmente coglie maggiormente nel segno quando afferma che l’Apollo di Amiens ha una faccia ovina.461 Ciò che conta per Proust è la 457. M. Proust, PM, pp. 129-130: «À chaque ligne de ses œuvres comme à tous les moments de sa vie, on sent ce besoin de sincérité qui lutte contre l’idolâtrie, qui proclame sa vanité, qui humilie la beauté devant le devoir, fût-il inesthétique. Je n’en prendrai pas d’exemples dans sa vie (qui n’est pas comme la vie d’un Racine, d’un Tolstoï, d’un Maeterlinck, esthétique d’abord et morale ensuite, mais où la morale fit valoir ses droits dès le début au sein même de l’esthétique – sans peut-être s’en libérer jamais aussi complètement que dans la vie des Maîtres que je viens de citer)». 458. J. Ruskin, Lectures on Art, cit. da Proust in John Ruskin, PM, p. 129. 459. M. Maeterlinck, Les Visions Typhoïdes, in Œuvres I, cit., p. 119. 460. M. Proust, PM, p. 132. 461. Ivi, p. 128: « Que Le Beau Dieu d’Amiens soit ou non ce qu’a cru Ruskin est sans importance pour nous. Comme Buffon a dit que “toutes les beautés intellectuelles qui s’y trouvent (dans un beau style), tous les rapports dont il est composé, sont autant de vérités aussi utiles et peut-être plus précieuses pour l’esprit public que celles qui peuvent faire le fond du sujet”, les vérités dont se compose la beauté des pages de La Bible sur Le Beau Dieu d’Amiens ont une valeur indépendante de la beauté de cette statue et Ruskin ne le aurait pas trouvées s’il en avait parlé avec dédain, car l’enthousiasme seul pouvait lui donner la puissance de les découvrir».

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soggettività della visione, che prescinde dall’oggetto, principio che è qui affermato e sarà ribadito nel corso della Recherche a più riprese. Qui Proust biasima l’atteggiamento degli intellettuali e degli artisti (fra i quali Robert de Montesquiou) che ammirano maggiormente la toilette di una donna se riproduce quella portata da un’eroina di Balzac, o un fiore se è stato dipinto da Leonardo, poiché «il n’est pas dans la nature de forme particulière, si belle soit-elle, qui vaille autrement que par la part de beauté infinie qui a pu s’y incarner: pas même la fleur du pommier, pas même la fleur de l’épine rose».462 In particolare Proust prende di mira l’atteggiamento tipico dei collezionisti, i quali si appropriano egoisticamente di un’immagine invece di lasciarla respirare. Riferendosi al suo amore per un fiore umile, come il biancospino, Proust scrive: […] je me garderai toujours d’un culte exclusif qui s’attacherait en elles à autre chose qu’à la joie qu’elles nous donnent, un culte au nom de qui, par un retour égoïste sur nous-mêmes, nous en ferions «nos» fleurs, et prendrions soin de les honorer en ornant notre chambre des œuvres d’art où elles sont figurées. Non, je ne trouverai pas un tableau plus beau parce que l’artiste aura peint au premier plan une aubépine, bien que je ne connaisse rien de plus beau que l’aubépine, car je veux rester sincère et que je sais que la beauté d’un tableau ne dépend pas des choses qui y sont représentées. Je ne collectionnerai pas les images de l'aubépine, je vais la voir et la respirer.463

III. 5. «Fleurs démodées» e fiori di lusso. Risuona in questo passaggio dedicato ai biancospini e ai fiori umili l’eco di un articolo di Maeterlinck comparso nello stesso anno di pubblicazione de La Bible d’Amiens, nella raccolta Le Double Jardin (1904).464 Fleurs démodées, questo è il titolo del saggio, mostra l’interesse di Maeterlinck per i fiori meno conosciuti che popolano i campi in modo discreto, fuori dal lusso stereotipo delle aiuole dove crescono solo begonie e gerani, e arricchiscono la lingua con i loro bellissimi nomi, che portano anche in tre o quattro per ciascuno, come ex-voto attribuiti loro dalla fantasia e dalla gratitudine popolari. Questi fiori umili sono un sedimento della memoria degli antenati: C’est pourquoi j’aime surtout les plus simples, les plus vulgaires, les plus anciennes et les plus démodées: celles qui ont derrière eux un long passé humain, une longue suite de bonnes actions consolantes, celles qui nous accompagnent depuis des centaines

462. Ivi, p. 136. 463. Ivi, p. 137, c. n. 464. Questa filiazione è sostenuta da A. Simon nell’articolo citato (Proust lecteur de Maeterlinck, cit., p. 157).

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d’années et qui font partie de nous-mêmes, puisqu’elles mirent quelque chose de leur grâce et de leur joie de vivre dans l’âme de nos aïeux.465

Nella caratterizzazione dei fiori di Maeterlinck intervengono diversi elementi che potevano colpire l’immaginazione di Proust. In un altro saggio della stessa raccolta, Fleurs des champs, compare in apertura lo stesso paradigma metonimico del soffio che troviamo nel passaggio di Proust sul biancospino precedentemente citato; a differenza dei fiori di serra rinchiusi in una teca, i fiori dei campi palpitano, respirano, vivono, sono pensieri incarnati della natura e primi respiri della luce che esce dalla terra, il loro spuntare è paragonato all’uscita di prigionieri sotterranei: Alors sortent de terre, efforts encore informes d’une mémoire endormie, de vagues fantômes, de pâles fleurs, à peine fleurs: le Saxifrage-à-trois-doigts ou Perce-pierre, la Bourse-à-pasteur, presque invisible; la Scille à deux feuilles, l’Hellébore fétide ou Rose de serpent, le Tussillage-pas-d’âne, la Lauréole empoisonnée et sombre, le Pétasite, qu’on nomme encore lugubrement herbe à teigneux, herbe à la peste, tous et toutes de santé chétive et suspecte, tentatives bleuâtres, rosâtres, indécises, première fièvre de vie où la nature expulse ses malignes humeurs, captives anémiées que relâche l’hiver, convalescentes des prisons souterraines, essais timides et inhabiles de la lumière encore ensevelie. Mais bientôt celle-ci s’aventure dans l’espace; les pensées nuptiales de la terre s’éclairent et se purifient; les ébauches disparaissent, les demi-rêves de la nuit s’évanouissent comme un brouillard emporté par l’aurore; et tout autour des villes où l’homme les ignore, les bonnes fleurs rustiques commencent dans l’espace leur fête sans témoins.466

Sempre compare l’insistenza sul carattere di pensiero incarnato, di ricordo ancestrale dell’umanità che prende vita nei fiori: On leur a réservé les sons les plus aimables, les plus purs, les plus clairs et toute l’allégresse musicale de la langue. On dirait les Dramatis Personæ, les coryphées et les figurantes d’une immense féerie, plus belle, plus imprévue et plus surnaturelle que celles qui se déroulent dans l’île de Prospéro, à la cour de Thésée ou dans la forêt des Ardennes. Et les jolies actrices de la comédie muette et infinie: déesses, anges, démones, princesses et sorcières, vierges et courtisanes, reines et pastourelles, portent aux plis de leurs noms le magique reflet d’innombrables aurores, d’innombrables printemps contemplés par des hommes oubliés, comme elles y portent aussi le souvenir de milliers d’émotions profondes ou légères qu’éprouvèrent devant elles des générations disparues sans laisser d’autre trace.467

465. M. Maeterlinck, Fleurs des champs, in Id., Le Double Jardin, Paris, Charpentier, 1904, p. 209. 466. Ivi, pp. 177-178. 467. Ivi, pp. 184-185.

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Anche le altre metafore utilizzate nei due saggi sono di evidente pertinenza proustiana: fanciulle di pensionato, collegiali, dame di carità, maliarde, ragazzine che giocano. Le metafore di Maeterlinck giocano sul piano della sociologia e della cronologia mensile, connettendo taluni fiori al mese di Maria, altri ai giardini dei curati, altri alle tisane e alle virtù curative dei semplici, tutto un repertorio e un mondo d’immagini che Proust aveva ben presente. Altre immagini attingono da campi metaforici ben frequentati anche da Proust: il rapporto fra i fiori dei campi e i semplici da una parte e gli abbaglianti fiori di lusso che popolano serre e giardini d’inverno dall’altra è assimilato al rapporto madri-figlie: madri misconosciute dalle figlie lanciate verso la carriera mondana (di madri e padri misconosciuti e figlie arriviste è piena anche la Recherche, ad esempio Gilberte Swann o la figlia della Berma). Le madri misconosciute confinate nelle vecchie farmacie rappresentano il radicamento originario al suolo: Elles ont peuplé nos corbeilles de filles magnifiques et dénaturées: mais elles, les mères pauvres, sont demeurées pareilles à ce qu’elles étaient il y a cent mille ans. Elles n’ont pas ajouté un pli à leurs pétales, déformé un pistil, altéré une nuance, innové un parfum. Elles gardent le secret d’une mission tenace. Elles sont les primitives et les indélébiles. Le sol leur appartient depuis son origine. Elles représentent, en somme, une pensée invariable, un désir obstiné, un sourire essentiel de la Terre.468

Altro campo metaforico che poteva presentare interesse agli occhi di Proust è quello della persecuzione: i fiori semplici ed essenziali che non rientrano nel sistema d’interessi della floricoltura moderna si rifugiano nei luoghi più umili, scacciati dai giardini ricompaiono vicino alle rimesse, nei cimiteri, sul ciglio degli stradoni, e anche lì sono perseguitati dalla vanga e dal rastrello, come nemici implacabili. Ma nonostante questa persecuzione di cui sono oggetto da parte dell’uomo, questi fiori continuano a pullulare (un’immagine di cui potrebbe essersi ricordato Proust quando mostrerà che nessuna persecuzione né religiosa né sociale riesce ad estirpare l’anomalia dell’inversione intesa quale fatto congenito, quale reincarnazione nell’individuo della memoria della razza): «Malgré tout, les voilà: permanentes, assurées, pullulantes, tranquilles, et pas une ne manque à l’appel du soleil. Elles suivent les saisons sans dévier d’une heure. Elles ignorent l’homme qui s’épuise à les vaincre, et dès qu’il se repose elles poussent dans ses pas. Elles subsistent, audacieuses, immortelles, intraitables».469 Intrecciato col tema dell’ascesa e decadenza mondana dei fiori è il tema dell’immigrazione e dell’esilio: i fiori più famosi portati dalle dame del suo tempo sono degli immi-

468. Ivi, pp. 186-187. 469. Ivi, p. 186.

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grati delle Indie, del Giappone, di altri paesi, non hanno niente in comune con gli antichi e semplici fiori dei campi: Il y a quelques cent ans, avant que leurs parentes éclatantes et frileuses fussent venues des Iles, des Indes, du Japon, ou avant que leurs propres filles, ingrates et méconnaissables, eussent usurpé leur place, elles seules égayaient les regards affligés, elles seules éclaraient la porte des chaumières, le parvis du château et suivaient dans les bois les pas des amoureux. Mais ces temps ne sont plus; elles sont détrônées.470

Stessa affermazione sul tema dell’esilio dei fiori ritroviamo in Fleurs démodées: «Elles sont chassées des plates-bandes et des corbeilles orgueilleuses par d’arrogantes inconnues arrivées du Pérou, du Cap, de la Chine, du Japon».471 E ancora il tema della persecuzione, in cui le serre sono evocate a fare da contrasto fra il loro nordico e gelido lusso con la spontaneità dei fiori che crescono all’aria libera: Elles ont fui vers les fermes, les cimetières, dans les jardinets des curés, des vieilles filles, des couvents de province; et maintenant, ce n’est plus guère que dans l’oubli des plus anciens villages, autour de branlantes demeures, loin des chemins de fer et des serres impérieuses de l’horticulteur, qu’on les retrouve encore avec leur sourire naturel: non plus l’air pourchassé, haletant et traqué, mais tranquilles, arrivées, reposées, abondantes, insouciantes, chez elles.472

Questa sociologia dei fiori scacciati e divenuti importuni attinge a tutto un repertorio d’immagini familiari e domestiche che sfiorano il melodramma. I fiori rifiutati dall’uomo in favore di splendori estranei e usurpatori sono paragonati a serve ormai anziane che nessuno cura più e che continuano ad essere ospitate per carità, negli angoli più dismessi della casa, a vecchie mendicanti (si pensi che a un repertorio consimile d’immagini attingerà Proust quando vorrà rappresentare la nonna che gli appare nei sogni dopo la sua morte come una vecchia serva scacciata): On en a relégué quelques-unes au fond du potager, dans le coin négligé, et d’ailleurs délicieux, des plantes médicinales ou simplement aromatiques: le Sauge, l’Estragon, le Fenouil et le Thym, vieilles servantes elles aussi congédiées et qu’on ne nourrit plus que par une sorte de pitié ou de tradition machinale. D’autres se sont réfugiées du côté des remises et des écuries, près de la porte basse de la cuisine ou de la cave, s’y tassant humblement comme des mendiantes importunes, cachant leurs robes claires parmi les

470. Ivi, p. 179. 471. M. Maeterlinck, Fleurs démodées, p. 210. 472. Ivi, p. 212.

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mauvaises herbes, retenant de leur mieux leurs parfums intimidés, afin de ne pas éveiller l’attention.473

Tuttavia, anche i fiori importati hanno i loro drammi e la loro storia. Essi si sono perfettamente acclimatati, e rappresentano una vittoria dell’umanità, poiché hanno portato nuova luce, nuove forme, nuovi colori.474 Il valore conoscitivo dei fiori per la psiche umana, la loro importanza nell’aprire agli esseri umani spazi di contemplazione disinteressata, tutto il mondo dei colori e dei profumi, è ribadito in apertura di saggio: «Une des cimes bénies de notre âme serait presque muette si les fleurs, depuis des siècles, n’avaient alimenté de leur beauté la langue que nous parlons et les pensées qui tentent de fixer les heures les plus précieuses de la vie».475 Come si vede Maeterlinck è qui agli antipodi da quell’iconoclastia che abbiamo visto caratteristica della sua formazione cattolica: egli è alla ricerca di quelle immagini che possono rendere consolante e dolce il passaggio dell’uomo nel mondo. Il fatto che non esistano più fiori sconosciuti è annoverato fra i progressi dell’umanità.476 Ritroviamo qui un punto di contatto importante con Proust: la convinzione, sempre ribadita da Maeterlinck fin dai primissimi tempi delle annotazioni fissate sul Cahier Bleu, che il poeta debba essere un cercatore di leggi,477 e che le leggi della natura si rivelino nei momenti di espansione feconda, di bellezza, di calore, di luce. I fiori rappresentano il culmine di quest’espansione. Maeterlinck si serve di un personaggio intermediario, il floricultore che gli ha insegnato a riconoscere la bellezza dei fiori, per mostrare come lo sforzo di questo personaggio consista nell’essere un cercatore di leggi: Il ne jouissait pas seulement de leur éclatante présence, il espérait encore, probablement à tort, tant ce mystère est confus et profond, il espérait encore, à force de les interroger, surprendre, grâce à elles, je ne sais quelle loi ou quelle idée secrète de la nature, je ne sais quelle pensée intime de l’univers qui se trahit peut-être en ces moments ardents où il s’efforce de plaire à d’autres êtres, de séduire d’autres vies et de créer de la beauté…478 473. Ivi, pp. 211-212. 474. Ivi, p. 227. 475. Ivi, p. 208. 476. Ivi, p. 230 : «Après tout, nous tenons là un fait bien réel: à savoir que nous vivons dans un monde où les fleurs sont plus belles et plus nombreuses qu’autrefois; et peut-être avons-nous le droit d’ajouter que les pensées des hommes y sont plus justes et plus avides de vérité. La moindre joie conquise et la moindre douleur abolie doivent être marquées au livre de l’humanité. Il convient de ne négliger aucune des preuves qui confirment que nous nous emparons des puissances anonymes, que nous commençons à manier quelques-unes des lois qui gouvernent les êtres, que nous nous acclimatons sur notre planète, que nous ornons notre séjour et que nous augmentons peu à peu la surface du bonheur et de la beauté de la vie». 477. Cfr. il saggio di A. Laserra, Lois de la matière…, cit., pp. 250-263. 478. M. Maeterlinck, Fleurs démodées, cit., pp. 222-223.

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Ritroviamo un’intuizione comune a Proust: l’idea che un essere si tradisca e tradisca il proprio segreto quando si rivela nella gioia e nella bellezza, che in Proust è rappresentata dal sorriso e dal dischiudersi del volto. Nella sociologia maeterlinckiana dei fiori un posto di riguardo è occupato anche dai fiori lussuosamente coltivati e oggetto delle sperimentazioni dei floricultori. I crisantemi erano di moda negli anni ’90 e come ad oggetti di moda Maeterlinck s’indirizza loro, mostrandone la connessione necessaria con quelle serre-giardini d’inverno delle dame che Proust illustrerà nella Recherche con l’esempio dell’appartamento di Mme Swann, che sembrava una serra dove Marcel si sentiva chiamato a godere i piaceri dell’inverno.479 La stessa costella479. Nel finale di Swann, il narratore discute la sua incapacità a credere alle mode del presente come a un tutto dotato di unità e di vita e riferisce il suo attaccamento alle mode del passato, sintetizzate dall’abbigliamento e dall’arredamento della casa di Mme Swann. Colpisce in questo passaggio l’idea, presente anche nel testo di Maeterlinck, di una connessione necessaria fra i fenomeni della moda e gli avvenimenti naturali: la moda ne risulta naturalizzata ma anche al rovescio la natura ne risulta mondanizzata. Esattamente questo concetto esprime anche Maeterlinck a proposito dei crisantemi. Anche nell’appartamento di Mme Swann i crisantemi luccicano come in una serra, punto d’intersezione fra natura e moda: «Aurais-je même pu leur faire comprendre l’émotion que j’éprouvais par les matins d’hiver à rencontrer Mme Swann à pied, en paletot de loutre, coiffée d’un simple béret que dépassaient deux couteaux de plumes de perdrix, mais autour de laquelle la tiédeur factice de son apartement était évoquée, rien que par le bouquet de violettes qui s’écrasait à son corsage et dont le fleurissement vivant et bleu en face du ciel gris, de l’air glacé, des arbres aux branches nues, avait le même charme de ne prendre la saison et le temps que comme un cadre, et de vivre dans une atmosphère humaine, dans l’atmosphère de cette femme, qu’avaient dans les vases et les jardinières de son salon, près du feu allumé, devant le canapé de soie, les fleurs qui regardaient par la fenêtre close la neige tomber? D’ailleurs il ne m’eût pas suffi que les toilettes fussent les mêmes qu’en ces années-là. A cause de la solidarité qu’ont entre elles les différentes parties d’un souvenir et que notre mémoire maintient équilibrées dans un assemblage où il ne nous est pas permis de rien distraire, ni refuser, j’aurais voulu pouvoir aller finir la journée chez une de ces femmes, devant une tasse de thé, dans un apartement aux murs peints de couleurs sombres, comme était encore celui de Mme Swann (l’année d’après celle où se termine la première partie de ce récit) et où luiraient les feux orangés, la rouge combustion, la flamme rose et blanche des chrysanthèmes dans le crépuscule de novembre pendant des instants pareils à ceux où (comme on le verra plus tard) je n’avais pas su découvrir les plaisirs que je désirais» (CS, RTP, I, pp. 418-419). Cfr. anche, sul carattere di serra dell’appartamento di Odette, «le goût moitié serre, moitié atelier qui était celui de l’apartement où il avait connu Odette» (JF, RTP, I, p. 530); anche in questa pagina è espressa in stretta contiguità col passo citato la concezione della credenza nell’unità di un insieme, generata dalla nostra fede che è un prodotto del desiderio : «car nous seuls pouvons, par la croyance qu’elles ont une existence à elles, donner à certaines choses que nous voyons une âme qu’elles gardent ensuite et qu’elles développent en nous» (Ibid.). Si potrebbe trarre da questa contiguità l’idea che per Proust la serra materializza l’unità della croyance, è un contenitore di un’anima destinata diversamente a perdere la sua individualità, la quale è prodotta esclusivamente dall’isolamento che il ricordo le impone – una concezione affine a quella dell’oggetto fenomenologico, colto nell’unità di una coscienza e animato da protensioni e ritenzioni, ovvero da credenze. Questa concezione è molto vicina a quella della serra come luogo dell’unità di una croyance di tipo mistico che abbiamo precedentemente illustrato in Maeterlinck. A conforto di questa tesi, un altro passaggio evoca l’immagine della serra attribuendole un collegamento metaforico con la nozione di giorno isolato dalla notte e di mondo. La serra è uno dei «cadeaux du jour de l’an» (ivi, p. 582) che in Jean Santeuil erano evocati in collegamento con l’idea che ciascun giorno è un mondo che la notte isola come tra muraglie gigantesche (Id., JS, pp. 123125). È sempre il tema della croyance, che il bambino inietta in ciascun giorno per farne un che di concluso, ma

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zione floreale-mondano-letteraria si trova nelle pagine di Maeterlinck del saggio Chrysanthèmes.480 III. 6. Le intermittenze del passato storico. Sempre nel 1904 troviamo un altro testo di Proust dove compare la citazione di un altro dei saggi contenuti in Le Double Jardin. Nel settembre di quell’anno, la rivista Les Arts de la vie pone ad alcuni autori, fra i quali Proust, le seguenti domande: «Êtes-vous partisan du dogmatisme académique? Acceptez-vous la tyrannie séculaire de Rome sur notre art populaire et national? Croyez-vous que l’État ait le droit d’asservir les tempéraments et d’imposer aux individus une foi artistique quelconque?»481 La risposta di Proust è significativa della fase di maturazione che sta attraversando: solo l’obbedienza ad un dogma, la fedeltà ad una poetica, l’imitazione rende veramente liberi i temperamenti, i quali nel cercare di rendere chiaro a sé stessi ciò che un altro ha voluto dire possono portare alla luce anche il loro proprio temperamento. Proust in questa fase evidentemente non pensa ancora a porre in discussione i suoi maestri, fra i quali troviamo anche Maeterlinck. La citazione di quest’ultimo interviene a proposito della seconda domanda, sulla tirannia secolare di Roma sul gusto e le arti. Proust riprende il saggio di Maeterlinck intitolato Vue de Rome: «Bien que je ne pense pas que certains lieux de la terre aient le privilège exclusif de la beauté, Rome, à en croire les pages toutes récentes che è destinata ad essere infranta dallo scorrere del tempo e dal sostituirsi del domani all’oggi. Inoltre nella Recherche tra questi doni di Capodanno compare anche un romanzo per bambini, dove è raffigurata una piccola serra donata alla protagonista: ci troviamo in presenza di una caratteristica procedura di inscatolamentoraddoppiamento che investe tutti i contenitori della croyance, dell’essenza e dell’anima proustiani, e anche, come abbiamo mostrato in un nostro saggio (S. Martina, La monadologia proustiana…, cit.), l’immagine ad essi solidale della casa d’infanzia, che è testualmente ricollegabile ai riferimenti alla monade. La serra è una delle altre immagini con cui Proust metaforizza la solidarietà che lega la monade-anima (casa d’infanzia) al suo mondo, e il movimento centripeto della croyance che li genera entrambi. Per l’episodio dei doni di Capodanno e i libri di Mlle Lili cfr. I. Nières-Chevrel, Proust et la petite serre de Mlle Lili, «Bulletin d’Informations Proustiennes», n. 41, 2011, pp. 139-142. 480. M. Maeterlinck, Chrysanthèmes, pp. 189-190 : «Ce sont les fleurs les plus universelles, les plus diverses, certes, mais dont les diversités et les surprises sont, pour ainsi dire, concertées, comme celle de la mode, en je ne sais quel paradis. Au même moment, comme pour les soies, les dentelles, les joyaux et les chevelures, le mot d’ordre est donné, dans le temps et l’espace, par une bouche faite de ciel et de lumière; et, aussi dociles que les plus belles femmes, simultanément, en tous pays, sous toutes les latitudes, elles obéissent à l’injonction sacrée. Il suffit donc d’entrer à l’aventure dans un de ces musées de verre où s’étalent, sous le voile harmonieux des journées de novembre, leurs richesses un peu funéraires. On saisit tout de suite quelle est, dans ce monde spécial, étrange et privilégié, même parmi le monde si étrange et si privilégié des fleurs, l’idée dominante, la beauté imposée, l’effort consciencieux de l’année. Et l’on se demande si cette idée nouvelle est une idée profonde et vraiment nécessaire du soleil, de la terre, de la vie, de l’automne ou de l’homme». 481. M. Proust, EA, p. 914, n. 3.

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de M. Maeterlinck par exemple, Rome semble tout de même devoir être un de ceux qui peuvent exercer sur l’imagination d’un artiste l’action la plus stimulante et la plus durable».482 Il saggio di Maeterlinck si apriva infatti con la seguente constatazione: «Rome est probablement le lieu du monde où s’est accumulé durant vingt siècles et où subsiste encore le plus de beauté».483 Roma è agli occhi di Maeterlinck la più perfetta incarnazione del genius loci. Il sito privilegiato di Roma ha assimilato tutto quanto i secoli e le migrazioni dei popoli hanno potuto riversarvi, facendo sempre in modo che le nuove acquisizioni si conformassero allo spirito della sua estetica. La sua forza pervasiva, infatti, è tale che ha saputo permeare di sé anche il paesaggio, nel quale gli alberi hanno un carattere augusto e solenne e sono inseparabili dai resti di mura, di terme, di acquedotti. L’elemento che sfidando il tempo rappresenta meglio l’eternità del genio romano è l’acqua: la configurazione idrogeologica attuale di Roma è la stessa che gli antichi romani le vollero imporre per mezzo dei loro magnifici acquedotti. Lo spirito di Roma, il genius loci di Roma, è paragonato a un braciere purificatore che elimina tutte le scorie per conservare solo la bellezza che gli si addice. È questa una metafora ricorrente in Maeterlinck per descrivere l’azione purificatrice della coscienza e della saggezza attiva. Il concetto fondamentale di questo saggio non poteva non interessare Proust: l’idea che la vita estetica dei popoli sia intermittente e che lo spirito di un luogo possa manifestarsi a distanza anche di secoli, dopo periodi di latenze, guerre, migrazioni, spopolamenti, lunghi silenzi della storia. Come Roma antica si fece bella delle spoglie di un’arte non sua e fu «une Athènes intermittente et incomplète»,484 così il Rinascimento, che è il periodo dell’arte in cui la bellezza getta i suoi ultimi fuochi, prima della decadenza moderna (dovuta secondo Maeterlinck alla perdita di un canone di bellezza su scala umana fondato sulla nudità) ha espresso meglio della Roma dei Cesari il genio del luogo e ne ha interpretato, a distanza di secoli, il genio ancora latente e inespresso: gli artisti del Rinascimento «n’avaient pas à créer, mais seulement à choisir et à fixer les formes qui affluant de toutes parts, irrévélées mais impérieuses, ne demandaient qu’à naître. Ils ne pouvaient se tromper; ils ne peignaient pas, au sens propre du mot; ils découvraient simplement les images voilées qui hantaient les salles et les arcades du palais».485 Il pensiero emanato dai luoghi e dalla loro grandiosità così opposta al carattere delicato e minuto dell’arte greca è così dominante, permea e sottomette talmente tutti i suoi elementi, che le opere d’arte romane trasportate fuori dalle chiese e dalle piazze di Roma ed esiliate nei musei stranieri diventano incompren482. Ivi, pp. 497-498. 483. M. Maeterlinck, Vue de Rome, p. 157. 484. Ivi, p. 175. 485. Ivi, p. 162.

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sibili all’occhio del visitatore, come gli affreschi dell’Incendio di Borgo di Raffaello per i palazzi vaticani, che a Taine sembravano contrari alle norme del buon gusto perché l’incendio vi occupa solo una piccola parte e i personaggi raffigurati sembrano per lo più preoccupati soltanto di assumere pose plastiche. La bellezza romana trapiantata fuori dal suo luogo diventa incomprensibile e ridicola, mentre conosciuta nel suo contesto è ammirevole. Il luogo spiega tutto, perché è il suolo l’incarnazione del genio di un popolo. Gli artisti del Rinascimento, quasi dei medium, hanno resuscitato l’ideale che non era pervenuto ancora ad espressione: On se laisse aller à ce songe que l’harmonieux peintre d’Urbin et le vieux Buonarroti, à travers toutes les catastrophes, à travers toutes les morts apparentes et les longs silences de Rome, ont ressaisi une tradition latente et ininterrompue qui n’avait cessé d’évoluer souterrainement pour aboutir à leur œuvre, et dire enfin au monde ce que l’Empire n’avait pas su lui dire. Ils sont plus proprement Romains, ils représentent mieux, semble-t-il, le désir inconscient et secret de cette terre latine que ne le fit la Rome des Césars.486

Questi due concetti, il valore dei luoghi e l’intermittenza nella storia, la capacità degli artisti di riafferrare i lacerti e i segni di una tradizione segreta, sono fondamentali in Proust e ritorneranno ancora associati a Maeterlinck. III. 7. La fortuna. I riferimenti a Maeterlinck si moltiplicano nella corrispondenza proustiana del 1904. Una lettera contiene un’osservazione critica a proposito di Pelléas et Mélisande: il Pélleas di Maeterlinck è l’ultimogenito dei personaggi di Anatole France. Sempre nel 1904, troviamo una lettera all’amico poeta e critico letterario Fernand Gregh, in occasione dell’uscita del libro di quest’ultimo Études sur Victor Hugo, dove Gregh espone l’idea condivisa da Proust che la vera critica non guarda il poeta dall’alto in basso, è la divinazione di un poeta che ne legge un altro: «la seule critique où le critique n’ait pas l’air de regarder le poète “d’en bas”; voilà la seule vraie critique, la seule digne du poète que tu nous lis et soulignes, la seule digne du poète que tu es».487 Proust contrappone il poeta-critico suo amico al manierismo dei critici che fanno versi (tra questi cita Sainte-Beuve) e apprezza come esempio di «finesse littéraire exquise» le osservazioni di Gregh sull’influsso stilistico esercitato da Sainte-Beuve su Hugo a un momento dato. Il libro di Gregh conteneva anche uno studio su Maeterlinck, su Le Temple enseveli – Proust coglie l’occasione per annunciare di nuovo un suo articolo – 486. Ivi, p. 165. 487. M. Proust, Corr, t. IV: 1904, p. 356.

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mai ritrovato – su Maeterlinck in cui avrebbe svolto un’argomentazione diversa da quella di Gregh a proposito del caso: Où je ne suis pas d’accord avec toi c’est sur Maeterlinck. Certes je les connais les gens qui ont besoin de parler du miracle et du mystère. Déjà dans la Préface de la Bible d’Amiens j’ai tâché de crever un peu des vessies un peu différentes. Et j’ai fait une étude qui n’est pas achevée sur Maeterlinck où je dis des choses de ce genre, mais pas pour lui reprocher cela. Enfin tu verras. Mais ce qui nous divise c’est ce que tu dis sur la chance; au moins ta dialectique ne me convaincq pas. 1° dis-tu cette explication n’explique rien car au lieu que ce soit Paul ou Jean, c’est le moi de Paul ou Jean qui a de la chance. – Pas du tout, le moi de Paul ou Jean n’a pas de la chance, il a une divination de l’avenir ce qui n’est pas du tout la même chose. D’ailleurs tu le dis toimême dans ton 2° qui fait tomber ton 1°. S’il est en nous en moi de cette sorte son flair [,] sa divination ne seraient plus des faits de hasard mais des actes d’une raison secrète. Et alors il reste ta seconde objection que cette explication supprime le problème. Evidemment mais c’est la seule manière dont se résolvent jamais ces genres de problème. On ne pouvait faire entrer la chance dans une conception rationnelle de l’univers qu’en la rendant raisonnable. – Et cela ne veut pas dire que je croie à la chance. Seulement je crois à beaucoup de choses qui ne sont pas moins extraordinaires et qui sont du même ordre. Et puis il me semble que cela fait partie d’une sorte de système chez Maeterlinck sans qu’il se soit laissé séduire par la beauté des mots mystère etc. Mais je tâcherai de dire cela mieux dans mon article, si je le fais jamais complètement.488

Il saggio al quale sia Proust che Gregh fanno qui riferimento s’intitola La chance e fa parte della raccolta Le Temple enseveli (1902). Maeterlinck sostiene che bisogna spogliare l’apparenza della fortuna dall’immagine fatale che ce ne siamo fatta e ricondurre il nostro destino alla vita interiore del nostro essere: un punto di vista fondamentalmente razionalista, che impronta anche tutti gli altri argomenti trattati nella raccolta. Maeterlinck svolge la sua argomentazione partendo dall’affermazione che chi è riuscito a dominare la propria incoscienza e la propria vita interiore si è costruito un palazzo dall’alto del quale può evitare gli accidenti futili e pericolosi della strada, un’isola sicura contro le tempeste e i casi della navigazione.489 Il rifugio costituito dai pensieri che creano la felicità puramente interiore si limita a un ruolo apparentemente secondario: esso non può deviare o distogliere 488. Ivi, p. 357. 489. M. Maeterlinck, La chance, in Id., Le Temple enseveli, Paris, Charpentier, 1902, pp. 232-23 : «Nous avons nos pensées qui nous façonnent un bonheur ou un malheur intimes, sur lequel les incidents du dehors ont plus ou moins d’influence. Il en est chez qui ces pensées sont devenues si puissantes, si vigilantes, que rien ne peut plus, sans leur agrément, pénétrer dans l’édifice de cristal et d’airain qu’elles ont su élever sur une colline qui domine la route habituelle des aventures. Nous avons notre volonté qui, nourrie de nos pensées et soutenue par elles, parvient à écarter un grand nombre d’événements inutiles ou nuisibles. Cependant, autour de ces îlots plus ou moins sûrs, plus ou moins inexpugnables, s’étend une région aussi insoumise, aussi vaste que l’océan, où il semble que le hasard règne seul, comme le vent sur les flots».

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gli eventi dal loro corso; ma in realtà il ruolo di questi pensieri non va sottovalutato, perché è dalla coltivazione delle nostre propensioni d’animo che nasce l’atteggiamento fondamentale verso la vita e la nostra capacità di accoglierla: Nulle pensée, nulle volonté ne peuvent empêcher un de ces flots d’inopinément surgir, de nous surprendre, de nous étourdir, de nous blesser. Leur bienfaisante action ne recommence qu’après que la vague s’est retirée. Alors elles nous relèvent, nous pansent, nous raniment, et veillent à ce que le mal que le choc nous a fait ne pénètre pas jusqu’aux sources profondes de la vie. A cela se borne leur rôle. En apparence il est très humble. En réalité, à moins que le hasard ne prenne la forme irrésistible d’une maladie cruelle ou de la mort, il rend ce hasard presque impuissant, et suffit à maintenir ce qu’il y a de meilleur et de plus propre à l’homme dans le bonheur humain.490

Tuttavia, l’apparenza di un destino appostato sulla nostra strada e d’incredibili sperequazioni nella distribuzione della fortuna fra gli uomini non è annientata da questo caposaldo. Maeterlinck evoca con efficacia l’immagine del destino che colma di beni l’uno e di disgrazie l’altro senza un perché.491 Dopo aver messo a confronto questi due dati di fatto contraddittori (la felicità interiore e il caso esteriore) Maeterlinck cerca di arrivare a una mediazione tra gli estremi. Le argomentazioni in favore del caso e della fortuna sono numerosissime: sono tratte innanzitutto dall’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, che spesso constatiamo come siano sempre le stesse persone ad andare incontro alle stesse sventure o anche semplicemente agli stessi contrattempi, mentre d’altro canto esistono persone che riescono agevolmente in tutto; dalla storia, che rappresenta un teatro su scala ingrandita di quanto è visibile nella vita quotidiana, nel quale è possibile osservare e citare numerosi casi illustri di personaggi e di intere famiglie perseguitati da serie incredibili di sventure; e che dire dei casi del gioco d’azzardo, dei duelli, delle battaglie, delle tempeste, dei naufragi, degli incendi, dei fulmini? Tutti questi casi sembrano governati da una «injustice inintelligente, mais qui paraît presque consciente, systématique».492 Ma bisogna prima di tutto – specialmente nel caso di esempi clamorosi di sfortuna riferiti dagli storici – tenere conto delle cause fisiche e morali, delle particolarità che contraddistinguono il nostro atteggiamento verso gli avvenimenti. Tuttavia l’evidenza della serialità, anche tenendo conto di tutte le possibili cause razionalmente osservabili, è tale da indurre l’uomo a parlare di fortuna; qui, «en ces coïncidences opiniâtrement répétées, en ces séries indissolubles de bonne chance ou d’infortune (il y a longtemps que l’on a remarqué que le bonheur ou le malheur procède presque toujours par séries ininterrompues)»493 si coglie il 490. Ivi, p. 233. 491. Ivi, pp. 233-234. 492. Ivi, p. 242. 493. Ivi, p. 246.

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carattere di sistematicità nella riflessione di Maeterlinck, che sembra ispirata dalle teorie seriali che alimentano il gioco. Maeterlinck introduce un’altra argomentazione: anche per gli animali domestici si può parlare di destino o di fortuna, ma non per questo invochiamo gli dei o la fatalità. Eppure spesso il semplice caso determina per loro una vita felice o stentata. Forse si dà nell’uomo una maggiore complessità, per cui è giusto pensare all’azione di potenze invisibili? Maeterlinck fa il caso di un suo amico costantemente sfortunato che tuttavia aveva saputo difendere così bene la sua felicità interiore – a causa della sua grande coscienza e personalità morale – che nel suo caso le sventure esteriori non fecero altro che circoscrivere e rendere più netta e più pura la felicità che regnava in lui. Maeterlinck ricorre all’esempio del corso originario di un fiume (quello che egli chiama il canale centrale dell’anima) che non può venire definitivamente intorbidato dagli affluenti del caso esterno: «Le destin n’est pas invincible; c’est-à-dire que la voie centrale de l’existence, le grand canal intérieur, se laisse détourner vers le bonheur ou le malheur, bien que ses ramifications qui s’étendent sur les jours, et les mille affluents qui viennent y verser les hasards du dehors, échappent à notre volonté».494 Il paragone si amplia e si colora con la contrapposizione fra il corso centrale del fiume e i suoi affluenti (per questa metafora liquida della coscienza il riferimento principale è Bergson, il quale si nutre di tutti i succhi dello spiritualismo francese, da Ravaisson in poi).495 Tuttavia, la sfortuna materiale dell’amico nelle più semplici circostanze della vita era un fatto innegabile, anche se tale sfortuna era paragonabile a un tratto di penna che sottolineasse la sua felicità segreta: la sventura e i contrattempi non facevano altro che «le rapprocher davantage de son bonheur secret, à concentrer celui-ci, à le circonscrire d’un trait plus sombre, pour le faire paraître plus précieux, plus ardent et plus sûr».496 Poi nella vita di questo personaggio si generò un improvviso rivolgimento. Un amore felice e pienamente ricambiato e rispondente ai voti della sua personalità fece letteralmente girare la fortuna: «À partir de cette heure, comme sous la bienfaisante influence d’une étoile nouvelle qui mêlait ses rayons à la sienne, il sentit peu à peu les événements fâcheux s’espacer, s’alentir, s’éloigner, et prendre une autre route. On eût dit qu’ils quittaient à 494. Ivi, p. 251. 495. Ivi, pp. 251-252: « C’est ainsi qu’un beau fleuve, descendu des hauteurs, et tout resplendissant de la noblesse des glaciers, traverse enfin les plaines et les villes, où il ne reçoit plus qu’une eau empoisonnée. Il se trouble un instant; et nous croyons qu’il perd, pour ne plus la reprendre, l’image du ciel pur qu’il avait empruntée aux bassins des fontaines, et qui semblait son âme et l’expression profonde et limpide de sa force. Pourtant, rejoignez-le, là-bas, sous ces grands arbres; il y oublie déjà les souillures des ruisseaux. Il ressaisit l’azur dans ses flots transparents et le porte à la mer, aussi clair qu’il était quand il riait encore aux sources des montagnes». 496. Ivi, p. 252.

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regret l’habitude de le suivre. Il vit réellement tourner la chance».497 Ma Maeterlinck non si arrende a questa spiegazione irrazionale e introduce la sua tesi principale: l’apparente fatalità che governa la nostra vita dipende dalla più o meno buona capacità della nostra intelligenza e della nostra volontà (l’io superficiale) di entrare in contatto con il nostro io profondo. È sempre il tema della porta, della fessura, dell’infiltrazione, del chiarimento delle percezioni oscure, della strada che va da ciò che si vede a ciò che non si vede. L’io profondo, immemoriale, inconscio, è sottratto alla linearità dello scorrere del tempo. Potenzialmente, ci conosciamo nel passato e nell’avvenire, secondo le stesse argomentazioni esposte nel saggio già analizzato L’Avenir, sul quale pure si era soffermata l’attenzione di Proust. Il problema della fortuna non si risolve secondo Maeterlinck evocando divinità o potenze misteriose: questo problema va demitizzato. Si risolve cercando in noi stessi le vere cause, e queste non possono altro che risiedere nell’io profondo. In questo movimento di progressiva demitizzazione si risolve il chiarimento delle impressioni oscure: cancellando le metafore. I simboli di cui l’uomo si serve appaiono come un’esteriorizzazione nello spazio e nel tempo di quell’indicibile racchiuso nell’inconscio, esteriorizzazioni in grado di parlare all’immaginazione ma non alla ragione: «Les dieux rentrent alors en nous d’où ils étaient sortis; et c’est là qu’aujourd’hui nous les interrogeons».498 Appare chiaro che l’‘irrazionalismo’ di Maeterlinck corrisponde in realtà a un bisogno profondo di sistematizzare razionalmente la realtà, come è stato ben colto da Proust nella sua lettera a Gregh. Maeterlinck passa quindi a caratterizzare l’io profondo come sottratto all’ordine del tempo e dello spazio, e simboleggia le barriere spazio-temporali con l’immagine del muro (appare interessante alla luce dell’importanza che ha la fessura praticata all’interno del muro). L’io inconscio gli appare come il nostro vero io. Laddove Bergson oppone un’immagine spazializzata del tempo alla durata pura, Maeterlinck oppone il tempo e lo spazio all’atemporalità dell’inconscio: Je crois donc que c’est dans notre vie incosciente, – énorme, inépuisable, insondable et divine, – qu’il faut chercher l’explication de nos chances heureuses ou contraires. En nous se trouve un être qui est notre moi véritable, notre moi premier-né, immémorial, illimité, universel, et probablement immortel. Notre intelligence, qui n’est qu’une sorte de phosphorescence sur cet océan intérieur, ne le connaît encore qu’imparfaitement. Mais chaque jour elle apprend davantage que là gisent sans doute tous les secrets des phénomènes humains qu’elle n’a pas compris jusqu’ici. Cet être inconscient vit sur un autre plan et dans un autre monde que notre intelligence. Il ignore le Temps et l’Espace, ces deux murailles formidables et illusoires, entre lesquelles doit couler notre raison sous peine de se perdre. Pour lui, il n’y a ni proximité, ni 497. Ivi, p. 254. 498. Ivi, p. 256.

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éloignement, ni passé, ni avenir, ni résistance de la matière. Il sait tout et peut tout. Du reste, on a toujours admis, à des degrés divers, cette science et cette puissance, et l’on a donné à ses manifestations les noms d’instinct, d’âme, d’inconscient, de subconscient, de mouvements réflexes, d’intuition, de pressentiment, etc.499

Questo inconscio intrattiene diversi tipi di rapporti con la parte cosciente e in alcuni uomini comunica più facilmente e riesce a far pervenire le proprie intuizioni, mentre in altri sembra assorto in un sonno profondo e pare occuparsi soltanto della parte vegetativa. L’inconscio è definito come fluido e come raggio: «le fluide essentiel, le rayon ultra-violet de la vie universelle».500 È questo probabilmente il tempio sepolto del titolo, dato che Maeterlinck parla in questi casi di un inconscio profondamente enseveli.501 Maeterlinck espone la sua teoria dell’avvenimento: un evento funesto è presente nel futuro, ma ad un livello esclusivamente potenziale. Si tratta per esempio di un naufragio. Questo evento è già presente nel futuro, ma solo in potenza, e non è presente per noi, ma solo per se stesso. Siamo noi che ci accostiamo a lui. «Il attend, invisible, aveugle, indifférent, parfait, inaltérable, mais encore en puissance».502 A questo punto, nel tempo che precede il verificarsi dell’avvenimento, avviene una selezione fra quanti partiranno o no. Quanti saranno avvertiti dal loro inconscio si vedranno, per una ragione o per l’altra, impediti alla partenza; quanti viceversa si troveranno a far parte degli sventurati il cui inconscio non comunica altrettanto agevolmente con la propria intelligenza, partiranno. L’inconscio vede chiaramente quanto deve accadere prima del suo svolgersi: «Il connaît, il doit connaître, il doit voir la catastrophe, puisque pour lui il n’y a ni temps ni espace, et qu’elle a lieu en ce moment sous ses yeux, comme elle a lieu sous les yeux des forces éternelles».503 Appare evidente che il destino, che attende quanti partono, non è inevitabile, non esprime un accanimento dell’universo nei loro confronti, ma piuttosto, si direbbe, il realizzarsi di una potenzialità che giace in loro. «L’univers ne leur est point hostile. Les calamités ne les poursuivent pas; ils vont à elles. Les choses du dehors ne leur veulent pas de mal; ils se donnent aux maux».504 Maeterlinck giunge a paragonare gli eventi a merci che attendono in un negozio di essere acquistate. Maeterlinck si domanda infine come mai coloro che saliranno sulla nave non siano stati avvertiti dal loro inconscio: «Rien ne les persécute; mais leur âme incosciente ne fait pas son devoir. Est-elle plus 499. Ivi, pp. 257-258, c. n. 500. Ivi, p. 258. 501. Ivi, pp. 258-259. 502. Ivi, p. 260. 503. Ivi, p. 263. 504. Ivi, p. 265.

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maladroite ou moins attentive? Dort-elle sans espoir au fond d’une prison mieux close que les autres; et nulle volonté ne peut-elle la tirer d’un sommeil si funeste, ni ébranler les redoutables portes qui mènent de la vie qui sait tout sans conscience, à celle qui ignore avec intelligence?»505 È notevole il collegamento che Maeterlinck stabilisce fra l’intelligenza privata del soccorso delle altre facoltà e la sfortuna. L’intelligenza pura è incapace di cogliere le occasioni di felicità; essa rimane, secondo una metafora consueta in Maeterlinck che rimanda ancora una volta all’immaginario della caverna, «ai piedi della montagna», dove tutto avviene nell’ombra, mentre è dalla cima che si svolgono e si scorgono le cose illuminate.506 L’autore introduce il personaggio di un amico il quale, davanti alle sue interrogazioni e alle sue teorie, esprime la sua domanda: è possibile che, dovendo prendere un’iniziativa in nome di un’altra persona che è piuttosto sfortunata, la cattiva stella di quest’ultima, ovvero il suo inconscio disattento o profondamente addormentato, conducano l’iniziativa al fallimento, influenzando così anche la buona fortuna di chi si assume l’incarico dell’iniziativa? L’esperienza dell’amico comporta il fallimento dell’iniziativa. Accanto a questa domanda evidentemente complessa, un’altra è posta direttamente da Maeterlinck, e riguarda il comportamento da tenere nei confronti delle persone sfortunate o, se si preferisce, non favorite dal loro inconscio. Maeterlinck afferma che se la loro sfortuna dipende da difetti del carattere o dell’animo, vanno evitate, ma che se la loro sfortuna dipende da un difetto di funzionamento del loro inconscio, non vanno evitate e vanno frequentate, perché resta sempre, al di sopra dell’inconscio, la sfera più alta e nobile della coscienza della quale forse un giorno l’inconscio stesso giungerà a tenere conto.507 Maeterlinck pone la domanda se l’inconscio si possa modificare, approfittando dell’esempio di quanti vedono girare la fortuna, realizzando cioè un cambiamento nelle abitudini e nelle manie della fortuna, le quali sembrano di solito volgersi in una sola direzione. La serie d’immagini per le quali si esprime questo brusco revirement dell’inconscio ripropone il raggio di luce che si fa strada nella fessura praticata all’interno di una prigione: Ou bien, s’il n’a jamais ignoré ce qui se passait au-dessus de sa prison, après de vains et pénibles efforts, parvient-il, au moment de l’urgence, à pratiquer une sorte de fissure dans l’énorme couche de siècles et d’indifférence qui le sépare de ses sœurs incon505. Ivi, pp. 265-266. 506. Ivi, p. 264 :«Au rebours, s’il s’agit de bonheur, lorsque accourent les autres, attirés par la voix profonde des forces bienveillantes, ils passent sans l’entendre, et jamais prévenus, livrés aux seuls conseils de leur intelligence, le vieux guide, très sage mais à peu près aveugle, qui ne connaît que les petits sentiers au pied de la montagne, ils s’égarent dans un monde que la raison humaine n’a pas encore compris». 507. Ivi, p. 273.

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nues, la volonté et l’intelligence, et réussit-il ainsi à prendre part à la vie éphémère dont dépend une partie de sa vie?508

Certamente la fortuna manifesta, al di là dell’azione del nostro inconscio, il suo triplo volto negativo all’ingresso della vita di ciascuno: è infatti prima della nascita che si viene colpiti dalle tre maggiori sfortune, vale a dire la povertà assoluta, la malattia e l’inferiorità intellettuale. Maeterlinck nega però che queste tre grandi cause di sfortuna possano essere attribuite a un’influenza fatale. Il loro campo d’azione è esclusivamente umano: esso dipende, per quanto riguarda la povertà, da ingiustizie nella ripartizione delle ricchezze che non hanno nulla a che fare con l’intervento di qualche potenza sovrumana; e le altre due principali cause di sventura, cioè la malattia e l’inferiorità intellettuale, possono essere fatte risalire all’influsso ereditario, cioè alle colpe dei genitori che non hanno niente di fatale. Per quanto riguarda invece la fortuna della vita di tutti i giorni, appare utile agli occhi di Maeterlinck identificare questa fortuna con l’inconscio, in quanto la avvicina a noi e la circoscrive in noi stessi, escludendo influssi numinosi e potenze fatali. Forse cambiare la natura del nostro inconscio è altrettanto difficile che cambiare l’influsso di Marte o di Venere, tuttavia l’avvicinamento che avviene tra le potenze della fortuna e il nostro essere non cessa di essere utile, in quanto ci scoraggia meno: e quand’anche l’inconscio fosse veramente immodificabile e la fortuna ineluttabile, ci sarebbe non so quale soddisfazione, secondo Maeterlinck, nel ricondurre ogni evento alla propria interiorità in quanto descrizione di una forma necessaria della nostra personalità. Questo aspetto evoca un’interiorizzazione degli avvenimenti, che verrebbero a costituire una legge di sviluppo interna, non priva di analogie con ciò che avviene alla monade di Leibniz: Peut-être est-il aussi difficile de changer le caractère de notre inconscient que de modifier le cours de Mars ou de Vénus; mais cela semble moins lointain et moins chimérique; et dès que nous avons à choisir entre deux probabilités, il est de notre devoir le plus strict d’adopter celle qui entrave le moins notre espoir. Au surplus, si le malheur était réellement inéluctable, il y aurait je ne sais quelle consolation fière à se dire qu’il n’émane que de nous, que nous ne sommes pas les victimes d’une volonté méchante ou les jouets d’un hasard inutile; mais qu’en subissant plus de maux que nos frères, nous ne faisons peut-être que décrire dans le temps et l’espace la forme nécessaire de notre personnalité. Et tant que le malheur n’attaque pas la fierté intime de l’homme, celui-ci conserve la force de continuer la lutte et d’accomplir sa mission essentielle, qui est de vivre avec toute l’ardeur dont il est capable, comme si sa vie était plus importante que toute autre aux destins de l’humanité.509

508. Ivi, p. 276. 509. Ivi, pp. 279-280, c.n.

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Inoltre questa identificazione della fortuna con l’inconscio corrisponde alla tendenza, che si è già delineata in altri saggi di questo libro, a interiorizzare le divinità in potenze che fanno parte di ciascuno di noi. Questa tendenza ci richiama al fuoco del nostro essere, laddove s’intersecano tutte quelle potenze delle quali ci crediamo erroneamente oggetto. La comprensione dell’inconscio, lo studio approfondito delle sue abilità, delle sue preferenze, delle sue antipatie, delle sue goffaggini misteriose, servirebbe a smussare l’offensività del destino che portiamo dentro di noi: Parcourons donc, sans nous lasser, tous les chemins qui mènent de notre conscience à notre inconscience. Nous arriverons ainsi à tracer une sorte de sentier dans les grandes routes encore impraticables «qui vont de ce qu’on voit à ce qu’on ne voit pas», de l’homme à Dieu et de l’individu à l’univers. Au bout de ces routes se cache le secret général de la vie. En attendant, adoptons l’hypothèse qui encourage notre vie dans cette vie universelle qui a besoin de nous pour percer ses propres énigmes, car nous sommes ceux en qui ses secrets achèvent de se cristalliser le plus rapidement, le plus limpidement.510

Cosa voleva dire Proust nell’articolo mai ritrovato su Maeterlinck che annuncia a Gregh nel 1904? Dalle annotazioni contenute in questa lettera si può desumere che Proust intendesse sostenere che l’irrazionalismo di Maeterlinck, la sua insistenza su facoltà sopra- o sub-razionali come l’inconscio è solo apparentemente un atto di rinuncia alla ragione; nasce invece dall’esigenza di conciliare la ragione con il mistero riconducendo quest’ultimo il più possibile all’interno della sfera umana. Una volta ammesso che l’inconscio conosce l’avvenire e che l’io cosciente può averne la divinazione, non si può più propriamente parlare di mistero ma bisogna parlare di «actes d’une raison secrète». Proust aveva inoltre colto il carattere sistematico di quest’operazione in Maeterlinck, poiché essa si ripete in tutti i saggi della raccolta Le Temple enseveli. Due sono le osservazioni che s’impongono alla nostra attenzione. La prima è che il carattere sistematico di questa riconduzione di entità metafisiche e misteriose all’umano sfocia nella concezione di una legge di sviluppo interna di ciascun essere: il destino è una parola che va depotenziata della sua carica allusiva e simbolica perché ciascuno di noi, esattamente come la monade di Leibniz, possiede una curva di sviluppo organica e interna. Ora, questo principio varrà, per ammissione dello stesso Proust, nella creazione dei personaggi della Recherche, che è anche, in senso strettamente compositivo, un’opera sistematica. La seconda osservazione riguarda quell’‘immagine del pensiero’ che è stata portata in luce da Deleuze in Différence et répétition e in Proust et les signes: con lui si afferma un diverso modello di armonia delle facoltà che, contrariamente al modello di Descartes, prevede non l’uso moderato di ciascuna ma una specie di con510. Ivi, pp. 281-282.

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cordia discors, basata sull’uso ‘smodato’ (nel senso di Rimbaud) di ciascuna di esse, la quale accende una comunicazione fra loro basandosi sulla forza dell’involontario, come una miccia accende una scia successiva di fuochi.511 Non è fuori luogo pensare che quest’immagine del pensiero che tanto deve alla riflessione sull’opera di Proust debba qualche cosa anche a Maeterlinck – senza per questo pensare a una filiazione diretta: ma è possibile ricostruire una linea che da Maeterlinck giunge a Deleuze passando per Artaud, debitore a Maeterlinck di alcune formulazioni. Il consiglio e la dottrina di saggezza di Maeterlinck si possono riassumere in questo: spingere la ragione alle sue estreme conseguenze, comportandosi come se il destino non esistesse e pur nella consapevolezza che la ragione può essere continuamente smentita e superata da forze che le sono superiori. Non si tratta di un uso “smodato” della ragione, quasi di un’automobile lanciata a tutta velocità, incurante dei pericoli della strada, in un universo dove il posto della ragione non è più garantito all’interno di un sistema armonioso e stabile di concordia delle facoltà con una priorità assegnatale come regina nell’architettonica di questo mondo? Maeterlinck, che nel suo cauto procedere argomentativo sembrerebbe volto a smussare i conflitti, vuole in realtà al contrario esasperarli, convinto che dall’uso smodato della ragione possa scaturire un’energia nuova, ovverosia l’accensione di altre facoltà sopra o sub-razionali, esattamente secondo il modello proposto settant’anni dopo da Deleuze. Ma se Proust e Deleuze potrebbero (è d’obbligo il condizionale) aver apprezzato questi elementi della ‘filosofia’ di Maeterlinck, resta il dubbio sulla valutazione di fondo che Proust ne trasse. Dagli appunti della lettera rimastaci si desume che questo fondo filosofico gli appare contestabile, ma non perché Maeterlinck si sia lasciato sedurre dalla bellezza di parole come miracolo, mistero ecc. (accusa, questa d’irrazionalismo, dalla quale Proust assolve Maeterlinck cogliendone l’originalità di pensatore) e quindi per eccesso di fiducia nelle facoltà pre-logiche, bensì al contrario per un eccesso di razionalismo. Si direbbe quasi che la sua sia la razionalità spinta al paradosso – altra definizione che accomunerebbe Maeterlinck a Leibniz. Quest’aspetto del pensiero di Maeterlinck può essergli sembrato riduttivo del mistero, del destino, incapace di risolvere filosoficamente i problemi come agirebbe invece emotivamente sulle angosce esistenziali. Proust successivamente rimprovererà a Maeterlinck di non prendere abbastanza sul serio il mistero della morte. Lo stesso ragionamento potrebbe applicarsi qui anche al caso e al destino: è proprio sicuro Maeterlinck di quello che dice? Come fa a parlare del mistero con tanta leggerezza? Inoltre la contraddizione in cui cade Maeterlinck, difensore dell’incon511. Cfr. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., in particolare il cap. III: L’immagine del pensiero, e per l’immagine della miccia e della scia di fuochi la pag. 230. Cfr. anche art. cit. di P. Gambazzi, dove questi concetti sono evocati.

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scio per eccesso di razionalismo, non è analoga alla posizione di Ruskin, difensore dei diritti della morale per un partito preso estetico, come Proust aveva già sottolineato? Il sospetto di estetismo contagia anche Maeterlinck. Come si è già osservato in precedenza a proposito della prefazione a La Bible d’Amiens, Maeterlinck vi è citato ma senza che Proust lo accomuni a Ruskin nell’accusa d’idolatria. Ora sembra che nel progettato articolo sulla fortuna Proust faccia un passo avanti in questa direzione. Ma se il fondo filosofico del ragionamento di Maeterlinck non è del tutto condiviso da Proust, Proust tuttavia ammette di credere a cose irrazionali quanto la fortuna, alla possibilità di avere divinazioni. Egli impiega questo termine come un riferimento privilegiato del suo lessico estetico e critico. Alla fine della lettera, si stabilisce una correlazione fra il tema della divinazione e le doti del criticopoeta Gregh: anche la sua critica, che è la sola vera critica, perché egli è un poeta che legge altri poeti, è una forma di «divinazione» che tuttavia produce in Proust solo una sensazione di «sterile fierezza» (cfr. questo passo a Temps Retrouvé dove si parla dell’inanità della fatica anche del critico e del lettore perfetto, ridotto a essere uno sterile specchio, la piena coscienza di un altro, l’esempio di lucidità impotente e suprema della visione512): «Il y a des poésies de Hugo où il me semble que ce ne sont pas toujours les vers que tu soulignes que je préfère. Mais j’ai un si grand respect pour ta divination que je suis certain dans ces cas là que je me trompe. Mais presque toujours ce sont ceux que je préfère que tu cites et cela me donne une stérile fierté».513 III. 8. Journées de lecture. Anche nel 1905 non mancano testimonianze epistolari che mostrano Proust affascinato da Maeterlinck. Ad una sua amica in convalescenza, Mme Straus, scrive: «Vous allez vous sentir comme une enfant de Maeterlinck avec des sensations d’une fraîcheur exquise pour toutes les choses naturelles si bonnes».514 In una lettera del marzo 1905, contemporanea di quella ora citata, Proust chiede in prestito a Georges de Lauris due libri di Maeterlinck: La Vie des Abeilles, La Sagesse et la Destinée.515 I due libri di Maeterlinck gli servono, come spiega nella lettera successiva allo stesso Lauris, per controllare alcune citazioni.516 512. TR, RTP, IV, p. 473. 513. M. Proust, Corr, t. IV: 1904, pp. 357-358. 514. M. Proust, Corr, t. V: 1905, p. 89. 515. Ivi, p. 91. 516. Ivi, p. 93: «j’ai retrouvé dans ma tête la phrase de la Vie des Abeilles, et elle ne pourra entrer dans ma note, ce que je croyais de la Sagesse et la Destinée, doit être du Temple enseveli, que j’ai».

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Nella redazione di Journées de lecture e delle note alla traduzione di Sésame Maeterlinck occupa una parte di rilievo. Nella prefazione al secondo lavoro ruskiniano i riferimenti a Maeterlinck servono a illustrare due concetti importanti per le tesi che Proust vi discute: la soggettività dell’impressione data dai paesaggi di un artista è un’emanazione della sua personalità; l’erudizione può talvolta alimentare il fuoco del genio invece di spegnerlo.517 Sono due tesi in correlazione fra loro, se si pensa che in questo momento Proust è impegnato in un lavoro di erudito e di critico: Proust illustrerà con l’esempio di una pagina di Schopenhauer il carattere strettamente personale e l’originalità che il genio dispiega anche nella compilazione erudita, facendo proprie le citazioni di cui si serve.518 La prima tesi che cita tra i suoi esempi Maeterlinck in queste pagine riguarda la stretta correlazione fra l’opera d’arte e il paesaggio: ogni artista consegna la propria immagine a quella di un paesaggio nel quale dà al lettore il desiderio di penetrare. Dans chaque tableau qu’ils nous montrent, ils ne semblent nous donner qu’un léger aperçu d’un site merveilleux, différent du reste du monde, et au cœur duquel nous voudrions qu’ils nous fissent pénétrer. «Menez-nous», voudrions-nous pouvoir dire à M. Maeterlinck, à Mme de Noailles, “dans le jardin de Zélande où croissent les fleurs démodées", sur la route parfumée "de trèfle et d’armoise” et dans tous les endroits de la terre dont vous ne nous avez pas parlé dans vos livres, mais que vous jugez aussi beaux que ceux-là.» Nous voudrions aller voir ce champ que Millet (car les peintres nous enseignent à la façon des poètes) nous montre dans son Printemps, nous voudrions que M. Claude Monet nous conduisît à Giverny, au bord de la Seine, à ce coude de la rivière qu’il nous laisse à peine distinguer à travers la brume du matin.519

Per quanto riguarda Maeterlinck, il riferimento è a un luogo ricorrente che costituisce in lui un tema: la casa del saggio, apicultore o floricultore, nel mezzo di un giardino in Zelanda.

517. M. Proust, Journées de lecture, PM, p. 184 : «Maeterlinck, qui est pour nous le contraire du lettré, dont l’esprit est perpétuellement ouvert aux mille émotions anonymes communiquées par la ruche, le parterre ou l’herbage, nous rassure grandement sur les dangers de l’érudition, presque de la bibliophilie, quand il nous décrit en amateur les gravures qui ornent une vieille édition de Jacob Cats ou de l’abbé Sanderus». Proust fa riferimento a questo passaggio di Fleurs démodées (M. Maeterlinck, Fleurs démodées, cit., pp. 220-221) : «Elles [les fleurs démodées] s’offraient aux regards en plates-bandes, en corbeilles, en bordures symétriques, ellipses, parallélogrammes, quinconces et losanges, entourés de buis, de briques rouges, de carreaux de faïence, comme des matières précieuses contenues dans des réservoirs réguliers pareils à ceux qu’on trouve aux gravures jaunies qui illustrent les œuvres du vieux poète hollandais Jacob Cats; ou du bon abbé Sanderus qui décrivit et dessina, vers le milieu du XVIIe siècle, en sa Flandria Illustrata, tous les châteaux de Flandre, et eut soin, en témoignage de gratitude, de surmonter d’un magnifique panache de fumée, les cheminées des gros manoirs où l’hospitalité lui parut plantureuse et la chère excellente». 518. Si tratta, secondo A. Pecchioli Temperani (op. cit.), di un altro esempio di “reminiscenza anticipata”. 519. Ivi, p. 177.

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De ses douze fenêtres arrondies, aux vitres éclatantes, aux rideaux de mousseline, aux larges volets verts, la longue maison peinte à l’huile, rose et luisante comme un coquillage, les regardait s’éveiller dès l’aube et secouer les diamants rapides de la rosée; puis se fermer le soir sous les ténèbres bleues qui tombent des étoiles. On sentait qu’elle jouissait avec intelligence de la douce féerie quotidienne, solidement assise entre deux fossés clairs qui se perdaient au loin dans l’immense pâturage peuplé de vaches immobiles, cependant qu’au bord de la route, un superbe moulin, penché comme un prédicateur, de ses ailes paternelles faisait aux passants du village des signes familiers.520

La tesi di Proust mostra che il lettore deve distaccarsi dall’adorazione feticistica degli oggetti e dei luoghi. I luoghi che il grande artista propone come oggetti alla sua contemplazione sono stati scelti probabilmente a caso, e ciò che consiste di loro nella memoria del lettore e ne fa il fascino unico non è altro che la soggettività dell’impressione personale che li ha resi. Probabilmente sono state le relazioni di amicizia e di parentela che hanno determinato Maeterlinck e Monet a recarsi in quel luogo piuttosto che in un altro, e l’impressione unica che essi ci fanno si deve a quel «je ne sais quoi» che essi avrebbero portato con sé e aggiunto come elemento rivelatore a qualsiasi altro oggetto, a qualsiasi altro paesaggio: Ce qui nous les fait paraître autres et plus beaux que le reste du monde, c’est qu’ils portent sur eux comme un reflet insaisissable l’impression qu’ils ont donnée au génie, et que nous verrions errer aussi singulière et aussi despotique sur la face indifférente et soumise de tous les pays qu’il aurait peints. Cette apparence avec laquelle ils nous charment et nous déçoivent et au-delà de laquelle nous voudrions aller, c’est l’essence même de cette chose en quelque sorte sans épaisseur – mirage arrêté sur une toile – qu’est une vision. Et cette brume que nos yeux avides voudraient percer, c’est le dernier mot de l’art du peintre.521

Questa concezione dello stile come visione ha molti punti di contatto con le formulazioni di poetica di Maeterlinck. Partendo dalla comune concezione dell’autore come Monade, portatore di un punto di vista unico e originale sull’universo che può essere scorto solo come visione di scorcio (Leibniz a tal proposito parla di «tout l’univers en raccourci»), nell’immagine di un sito particolare che costituisce il dipartimento della monade (quella zona di oggetti con i quali è a contatto il suo corpo e che beneficia di una visione chiara), Maeterlinck ci parla delle opere dei più grandi autori (come Shakespeare e Ruysbroeck) sempre nella tensione della loro visione verso un al di là dall’opera che esse ci permettono di scorgere e che, per un artificio della visione, noi valutiamo superiore all’opera stessa che ce lo trasmette. L’opera è visione, ma è sempre in tensione con un “al di là” della visione che essa ci trasmette, appunto per scorci e attraverso siti particolari e privilegiati, 520. M. Maeterlinck, Fleurs démodées, cit., pp. 221-222. 521. M. Proust, Journées de lecture, PM, pp. 177-178.

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dando modo alla nostra immaginazione di fantasticare su tutti gli altri siti che compongono quell’universo e che sono preclusi alla nostra visione, a causa appunto del suo carattere intrinsecamente limitato e scorciato (cosa che rende bene, anche spazialmente, l’unicità del punto di vista colta da Proust). La differenza di Maeterlinck rispetto a Proust è che per il primo questo al di là della visione coincide con una verità ultraterrena, e quindi da ciò discende il primato attribuito alle opere mistiche, definite «les plus purs diamants du prodigieux trésor de l’humanité».522 Ma al di fuori di questa particolare formulazione religiosa di Maeterlinck, le frasi che traducono la sua poetica nel saggio dedicato a Ruysbroeck l’Admirable hanno tutte dei punti di contatto con analoghe formulazioni proustiane. A proposito del grande mistico brabantino, Maeterlinck scrive: Il faut tenir compte aussi de ce monde inconnu que ses phrases devaient éclairer à travers les doubles et pauvres vitres de corne des mots et des pensées. Les mots, ainsi que l’on a fait remarquer, ont été inventés pour les usages ordinaires de la vie, et ils sont malheureux, inquiets et étonnés comme des vagabonds autour d’un trône, lorsque, de temps en temps, quelque âme royale le mène ailleurs. Et, d’un autre côté, la pensée est-elle jamais l’image exacte du je ne sais quoi qui l’a fait naître, et n’est-ce pas toujours l’ombre d’une lutte que nous voyons en elle, semblable à celle de Jacob avec l’ange, et confuse en proportion de la taille de l’âme et de l’ange? Malheur à nous, dit Carlyle, si nous n’avons en nous que ce que nous pouvons exprimer et faire voir! Je sais qu’il y a, sur ces pages, l’ombre portée d’objets que nous ne nous rappelons pas avoir vus, dont le moine ne s’arrête pas à élucider l’usage, et que nous ne reconnaîtrons que lorsque nous verrons les objets eux-mêmes de l’autre côté de la vie; mais, en attendant, cela nous a fait regarder au loin, et c’est beaucoup.523

Appare fondamentale il tema dei due côtés, che sono da un lato la spontaneità centrale ovvero la coincidenza dell’uomo con Dio (il raggio centrale in cui ci muoviamo), dall’altro la differenza propria a ogni creatura, che può cogliere di questo raggio solo i riflessi provenienti dal suo fondo oscuro (percezioni insensibili), e attraverso la visione delle ombre, che se pure non ci danno gli oggetti, ci costringono a guardare lontano, cioè a spingere il nostro sguardo all’orizzonte.524 In quanto creature finite e mortali siamo nell’ombra delle nostre differenze individuali (resti carbonizzati) e giriamo intorno al raggio centrale che ci ha generati e poi abbandonati, che è una luce dove si custodiscono i segreti del nostro essere: segreto della nostra identità più profonda, delle leggi che ci governano in amore e nella vita morale. La differenza fra i due autori consiste nel fatto che se per Proust i due côtés sono intramondani, per Maeterlinck la differenza della visione individuale si ancora alla finitezza della creatura, recludendola in un punto 522. M. Maeterlinck, Ruysbroeck l’Admirable, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., p. 111. 523. Ivi, pp. 113-114, c. n. 524. Per i concetti di lontano e orizzonte cfr. Merleau-Ponty.

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di vista limitato e scorciato, e la morte invece ci restituirà, in analogia con le riformulazioni del mito della caverna compilate nel medioevo, la spontaneità centrale, ovvero il punto di vista assoluto che è quello divino. Ma nella vita terrena, noi siamo ancorati agli oggetti di cui scorgiamo solo le ombre e che non ricordiamo e dei quali solo la morte ci darà la visione diretta e l’esatta reminiscenza: il compito dell’opera d’arte e dell’opera mistica è di spingerci a guardare più lontano. Il lontano è l’equivalente di ciò che in Proust abbiamo definito al di là della visione.525 Il compito dell’opera è pertanto lo stesso che attribuisce Proust alla lettura, quello di un incitamento ad imparare a guardare: Le suprême effort de l’écrivain comme de l’artiste n’aboutit qu’à soulever partiellement pour nous le voile de laideur et d’insignifiance qui nous laisse incurieux devant l’univers. Alors, il nous dit: «Regarde, regarde, Parfumés de trèfle et d’armoise, Serrant leurs vifs ruisseaux étroits Les pays de l’Aisne et de l’Oise. «Regarde la maison de Zélande, rose et luisante comme un coquillage. Regarde! Apprends à voir!» Et à ce moment il disparaît. Tel est le prix de la lecture et telle est aussi son insuffisance.526

È notevole la coincidenza d’immagini che si attua fra Proust e Maeterlinck nell’immagine della bruma, che costituirebbe per Proust l’essenza della visione, il «je ne sais quoi» che fluttua nell’occhio mentale dell’artista e che renderebbe palese nell’opera il carattere soggettivo della sua visione, per Maeterlinck la materia di cui sono fatte le immagini di Ruysbroeck: Je sais encore que maintes de ses phrases flottent à peu près comme de transparents glaçons sur l’incolore mer du silence, mais elles existent; elles ont été séparées des eaux, et c’est assez. Je sais enfin que les étranges plantes qu’il a cultivées sur les cimes de l’esprit sont entourées de nuages spéciaux, mais ces nuages n’offensent que ceux qui regardent d’en bas, et si l’on a eu le courage de monter, on s’aperçoit qu’ils sont l’atmosphère même de ces plantes, et la seule où elles pussent éclore à l’abri de l’inexistence. Car c’est une végétation si subtile qu’elle se distingue à peine du silence où elle a puisé ses sucs et où elle semble incline à se dissoudre. Toute cette œuvre, d’ailleurs, est comme un verre grossissant, appliqué sur la ténèbre et le silence; parfois on ne discerne pas immédiatement l’extrémité des idées qui y trempent encore.527

525. Per il tema del lontano cfr. A. Prete, Trattato della lontananza, Torino, Bollati Boringhieri, 2008. 526. M. Proust, Journées de lecture, PM, p. 178. 527. M. Maeterlinck, Ruysbroeck l’Admirable, cit., pp. 114-115, c. n.

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Colpisce in questo passaggio e nel precedente la sintonia con Proust nella concezione della letteratura come traduzione,528 nella funzione rivelativa attribuita alla nebbia, nel paragone delle parole con vetri (nella prefazione a La Bible d’Amiens di Proust come nel Cahier Bleu di Maeterlinck compare tale similitudine fra la traduzione e un contenitore vitreo, un acquario, degli occhiali, dei vetri multicolori ecc.), fino a giungere a questa straordinaria coincidenza nella formulazione dell’opera d’arte come strumento ottico: «L’ouvrage de l’écrivain n’est qu’une espèce d’instrument d’optique qu’il offre au lecteur afin de lui permettre de discerner ce que sans ce livre il n’eût peut-être pas vu en soi-même».529 Il tema della lontananza ricorre in un altro passaggio del saggio dedicato a Emerson, nel quale Maeterlinck paragona suggestivamente l’opera dei mistici, dei poeti e dei pensatori allo sforzo di pittori che vogliano cogliere una rassomiglianza nelle tenebre: Ils étaient comme des peintres s’efforçant de saisir une ressemblance dans les tènébres. Les uns tracèrent des images abstraites, très grandes, mais presque indistinctes. Les autres parvinrent à fixer une attitude ou un geste habituel de la vie supérieure. Plusieurs imaginèrent des êtres étranges. Il n’existe pas un grand nombre de ces images. Elles ne se ressemblent jamais. Quelques-unes sont très belles, et ceux qui ne les ont pas vues sont pareils toute leur vie à des hommes qui ne seraient jamais sortis vers le milieu du jour. Il en est dont les lignes sont plus pures que les lignes du ciel; et alors, ces figures nous paraissent si lointaines que nous ignorons si elles vivent ou si elles furent transcrites selon nous-mêmes.530

Analoga costellazione d’immagini troviamo in un passaggio di Le Temps retrouvé: L’esprit a ses paysages dont la contemplation ne lui est laissée qu’un temps. J’avais vécu comme un peintre montant un chemin qui surplombe un lac dont un rideau de rochers et d’arbres lui cache la vue. Par une brèche il l’aperçoit, il l’a tout entier devant lui, il prend ses pinceaux. Mais déjà vient la nuit où l’on ne peut plus peindre, et sur laquelle le jour ne se relèvera pas.531

In tutti i passaggi che abbiamo citato da Maeterlinck è possibile scorgere una correlazione fra l’immagine della caverna e la cima di montagna. La caverna è immaginata nel fianco di una montagna, e l’ascesa sulle cime segue naturalmente l’uscita. Secondo Blumenberg, è un tratto tipico dell’immaginario romantico 528. TR, RTP, IV, p. 469. 529. Ivi, pp. 489-490; cfr. anche ivi, p. 610: «mon livre n’étant qu’une sorte de ces verres grossissants comme ceux que tendait à un acheteur l’opticien de Combray ». 530. M. Maeterlinck, Emerson, cit., p. 120. 531. TR, RTP, IV, p. 612.

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della caverna. Maeterlinck ci propone un itinerario di elevazione che non è esente nemmeno dalle pagine di Proust. L’ascesa verso le cime equivale al chiarimento delle percezioni, perché secondo Maeterlinck, tutte le nostre azioni e ogni nostro gesto si producono due volte: una volta nell’ombra della caverna e un’altra sulla cima della montagna dove sono riprodotte ingrandite ed assumono il loro vero valore e significato. Il chiarimento equivale alla messa in campo di una specie di epoché, nell’assunzione dell’atteggiamento del saggio che è quello dello spettatore disinteressato. Incrociamo un altro tema fondamentale nella prefazione Journées de lecture: il silenzio. Abbiamo visto come Maeterlinck affidasse in modo esclusivo al silenzio il ruolo di rivelatore, di elemento chiarificatore delle impressioni oscure. Nel testo di Proust, la connessione col tema del Sesamo è evidente. La lettura, incitatrice a ridiscendere in noi stessi, è il sesamo che ci apre le porte di dimore chiuse: in un senso, essa ci fa entrare nella caverna (la favola di Alì Babà assume il ruolo di contro-occupazione della caverna in Proust, per riprendere la terminologia di Blumenberg): «la lecture est pour nous l’incitatrice dont les clefs magiques nous ouvrent au fond de nous-même la porte des demeures où nous n’aurions pas su pénétrer».532 Ma in altro senso, se si sfugge alla tentazione erudita di ritenere la verità depositata nei foglietti di un documento raro come il miele negli alveoli dell’alveare (altra ricorrenza maeterlinckiana), in un modo puramente materiale, essa ci trasporta anche fuori dalla caverna, che è il regno della concorrenza e degli agoni, delle voci e delle grida e dei suoni inarticolati, per restituire il senso di una solitudine (e dell’amicizia pura per i morti che è solitudine) dove il silenzio assume il valore di rivelatore stratigrafico delle profondità dell’essere e l’atmosfera ne reca la traccia: L’atmosphère de cette pure amitié est le silence, plus pur que la parole. Car nous parlons pour les autres, mais nous nous taisons pour nous-mêmes. Aussi le silence ne porte pas, comme la parole, la trace de nos défauts, de nos grimaces. Il est pur, il est vraiment une atmosphère. Entre la pensée de l’auteur et la nôtre il n’interpose pas ces éléments irréductibles, réfractaires à la pensée, de nos égoïsmes différents.533

Ci soccorre, a proposito delle smorfie e delle impurità di cui è tramata la conversazione, un’altra occorrenza di Maeterlinck: le parole «ne parviennent pas à traverser la zone révélatrice, la grande zone de la lumière ferme et fidèle. Nous ne pouvons nous faire une idée exacte de celui qui ne s’est jamais tu. On dirait que son âme n’a pas eu de visage».534 Le smorfie della conversazione deformano sempre l’immagine dell’amata in Proust, il volto di Albertine si presenta sempre co532. M. Proust, Journées de lecture, PM, p. 180. 533. Ivi, p. 187. 534. M. Maeterlinck, Le Silence, cit., p. 18, c. n.

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me una fotografia mossa e l’unica zona rivelatrice di luce è quando il suo volto è chiuso nel sonno.535 In questo passaggio è possibile anche riconoscere l’elemento dei pensieri trasversali: da impurità nella grana delle visioni esse sono state convertite in equivalenti intellettuali. Il silenzio, che segna anche, nell’immagine da noi ricostruita in sottotraccia della caverna, il raggiungimento della cima di montagna e della sua atmosfera, è «le repos dans la lumière». Quest’espressione che fu ripresa da Charles Du Bos per definire l’essenza della letteratura536 ricorre sia in Maeterlinck che in Proust. A proposito del tema della giustizia e del destino del saggio, Maeterlinck parla di «zone éclairée de sa conscience acquise».537 Anche qui Maeterlinck sembra seguire un’immagine ascensionale – in un passaggio precedente si dice che l’uomo segue una linea di sviluppo organica, come l’albero, come una fiamma – e l’esortazione ad andare sempre au plus haut e che egli desideri arrivare al punto in cui luce differenziale e luce naturale coincidono: la luce si purifica a mano a mano che sale, e viene a coincidere con quella proveniente dalla natura, questo punto è quello in cui il mondo per me diventa il mondo oggettivo, una specie di armonia prestabilita.538 La zona illuminata è la parte che la saggezza si riserva, e costituisce un asilo inviolabile alle forze cieche del destino e del535. Cfr. F. Pich, Intorno a Miss Sacripant (II). L’angelo e l’icona, in Proust e gli oggetti, cit., pp. 247-254. 536. C. Du Bos, Marcel Proust, in Id., Approximations, pp. 93-94; Id., La notion de littérature et beauté du langage, ivi, p. 1427. 537. M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., p. 33. 538. Cfr. le affermazioni di Maeterlinck ivi, pp. 62-63: «Or, du nombre, de la qualité et de la puissance de nos idées claires, dépendent le nombre, la qualité et la puissance de nos idées obscures; et il est extrêmement probable que la plupart des vérités définitives que nous cherchons avec tant d’ardeur, attendent patiemment leur heure au milieu de la foule de nos idées obscures. Il importe d’abréger leur attente. Une belle idée claire que nous éveillons en nous, ne manquera jamais d’aller éveiller à son tour une belle idée obscure, et quand l’idée obscure sera devenue claire en vieillissant – car la clarté parfaite n’est-elle pas d’ordinaire le signe de la lassitude des idées? – elle ira, elle aussi, tirer de son sommeil une autre idée obscure, plus belle et plus haute qu’elle n’était elle-même en son ombre, et peut-être qu’en tâtonnant ainsi, successivement, sans se décourager, le long des lignes endormies, l’une d’elles posera quelque jour, par hasard, sa petite main presque invisible encore sur l’épaule d’une grande vérité». Qui appare fondamentale il ruolo delle idee oscure in un processo di chiarimento continuo dove lo stadio della clarté segna la stanchezza e un principio di degenerescenza. Un’ispirazione analoga si trova nelle fondamentali frasi dedicate da Charles du Bos al tema del chiarimento delle idee confuse in Proust: «Les idées qu’engendre l’exaltation sont bien en effet des “idées confuses”, et du point de vue de la verité future, leur valeur réside en partie dans cette confusion première. Partir de la clarté d’une part, – déboucher dans la lumière dans l’autre, – il n’est pas de mouvements de l’esprit plus opposés et plus inconciliables : qui veut au terme la lumière doit redouter la clarté au départ; si cette denière apparaît vite à l’usage comme frappée de stérilité, c’est qu’elle est toujours quelque chose d’anonyme, – le résidu d’une lointaine élaboration collective, sur quoi l’effort individuel, toujours créateur par essence, ne trouve où imprimer sa marque. Or, si la plupart des idées stériles sont des idées qui ont perdu leur titre, qui sont retournées à l’anonymat, il n’y a d’idées fécondes – dans le plan de la connaissance, sinon dans le plan de l’action – que celles que sécrète le travail incessant d’une tête pensante; et parmi ces idées, les plus précieuses, les plus capables d’avenir, sont celles qui partent de tout à fait par derrière, et qui font songer à ces longues racines qui viennent avec la motte de terre que l’on arrache d’un geste avide» (C. Du Bos, Marcel Proust, in Approximations, cit., pp. 93-94).

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l’istinto: «C’est pourquoi le poète tragique ne saurait nous montrer qu’une beauté plus ou moins enchaînée, car dès que ses héros s’élèvent aussi haut que de véritables héros doivent monter, ils laissent tomber leurs armes, et le drame n’est plus que le repos dans la lumière».539 Si riconosce anche qui sottotraccia il mitema della caverna: la pacificazione dei conflitti equivale alla liberazione delle bellezze «incatenate». Questo tema sarà ripreso più ampiamente da Maeterlinck in un saggio della raccolta Le Double Jardin, dedicato a Le drame moderne. In Du côté de chez Swann, troviamo la stessa espressione esplicitamente ricollegata al tema del chiarimento delle idee confuse. Il narratore nei suoi vagabondaggi vicino alla palude di Montjouvain si esalta nell’entusiasmo di una serie d’impressioni ricevute dalla pioggia e dal paesaggio ed esprime la sua gioia in modo disordinato e infantile, come si conviene alla sua età: Les murs des maisons, la haie de Tansonville, les arbres du bois de Roussainville, les buissons auxquels s’adosse Montjouvain, recevaient des coups de parapluie ou de canne, entendaient des cris joyeux, qui n’étaient, les uns et les autres, que des idées confuses qui m’exaltaient et qui n’ont pas atteint le repos dans la lumière, pour avoir préféré à un lent et difficile éclaircissement, le plaisir d’une dérivation plus aisée vers une issue immédiate.540

Possiamo dunque riconoscere nell’immagine dell’ascesa sulla cima di una montagna, che segue l’uscita da una caverna a valle o nel fianco di una montagna, un’immagine fondante per Maeterlinck, tanto più onnipresente in quanto è leggibile sottotraccia in diversi passaggi della sua opera (una raccolta di saggi del 1916 s’intitola del resto Les Sentiers de la montagne). La stessa immagine è rintracciabile nel testo proustiano del Temps retrouvé quando si parla di chiarimento delle impressioni oscure come ascesa dalla penombra dell’inconscio alla luce della coscienza, segnata come da un altimetro: […] les vrais livres doivent être les enfants non du grand jour et de la causerie mais de l’obscurité et du silence. Et comme l’art recompose exactement la vie, autour des vérités qu’on a atteintes en soi-même flottera toujours une atmosphère de poésie, la douceur d’un mystère qui n’est que le vestige de la pénombre que nous avons dû traverser, l’indication, marquée exactement comme par un altimètre, de la profondeur d’une œuvre.541

Il tema del silenzio si arricchisce di un’altra immagine che abbiamo visto già ricorrere in Proust: la rosa nell’ipogeo. Nell’articolo dedicato ai Mémoires di Mme de Boigne e intitolato anch’esso Journées de lecture avevamo sottolineato l’immagine del roseto nella caverna per esprimere la conservazione integrale del passato e 539. M. Maeterlinck, La Sagesse et la Destinée, cit., p. 34, c. n. 540. CS, RTP, I, pp. 152-153, c. n. 541. TR, RTP, IV, p. 476.

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la résurrection du passé affidata al lavoro degli storici. Quest’immagine è preceduta da un’altra simile nella prefazione del 1905: il dischiudersi del profumo della rosa è paragonato al dischiudersi del silenzio secolare conservato nelle pause della lettura di un testo antico. «Entre les phrases – et je pense à des livres très antiques qui furent d’abord recités, – dans l’intervalle qui les sépare se tient encore aujourd’hui comme dans un hypogée inviolé, remplissant les interstices, un silence bien des fois séculaire».542 Nell’ascolto di questo testo recitato dai fedeli, la pausa di silenzio evoca il profumo di una rosa: Ce silence remplissait encore la pause de la phrase qui, s’étant scindée pour l’enclore, en avait gardé la forme; et plus d’une fois, tandis que je lisais, il m’apporta le parfum d’une rose que la brise entrant par la fenêtre ouverte avait répandu dans la salle haute où se tenait l’Assemblée et qui ne s’était pas évaporé depuis près de deux mille ans.543

Si osserva la stessa costellazione d’immagini che abbiamo ritrovato nell’evocazione del passaggio di Pelléas: uscita da una caverna, ascesa sulla cima di un poggio, brezza, profumo delle rose. Questa costellazione è stata colta da Proust come un tema ricorrente in Maeterlinck e fatta propria. Questo passaggio inoltre è importante perché attraverso di esso risulta evidente la solidarietà tra l’immagine della grotta e quella dello stampo e del vaso contenitore di profumi. In Journées de lecture troviamo inoltre formulata la legge che permette l’interazione tra gli spiriti – quindi il dialogo intertestuale. Anche il fondamento di questa immagine è monadologico: ciascuno spirito è identificato, come abbiamo già visto, con la vista su un sito particolare. Il compito dello scrittore è ricevere questa vista attraverso il dialogo in solitudine della lettura e svilupparne le potenzialità inespresse: Nous sentons très bien que notre sagesse commence où celle de l’auteur finit, et nous voudrions qu’il nous donnât des réponses, quand tout ce qu’il peut faire est de nous donner des désirs. Et ces désirs, il ne peut les éveiller en nous qu’en nous faisant contempler la beauté suprême à laquelle le dernier effort de son art lui a permis d’atteindre. Mais par une loi singulière et d’ailleurs providentielle de l’optique des esprits (loi qui signifie peut-être que nous ne pouvons recevoir la vérité de personne, et que nous devons la créer nousmême), ce qui est le terme de leur sagesse ne nous apparaît que comme le commencement de la nôtre, de la sorte que c’est au moment où ils nous ont dit tout ce qu’ils pouvaient nous dire qu’ils font naître en nous le sentiment qu’ils ne nous ont encore rien dit.544

542. M. Proust, Journées de lecture, PM, p. 193. 543. Ivi, p. 194. 544. Ivi, pp. 176-177.

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Questo rapporto con gli altri testi come sviluppo delle loro potenzialità inespresse – un’altra forma di chiarimento delle percezioni oscure – è esplicitamente tematizzato da Maeterlinck nel saggio-manifesto del suo primo teatro, Le tragique quotidien. Nell’esporre cosa il nuovo teatro dovrebbe mostrare, Maeterlinck afferma che bisognerebbe invertire l’ordine prospettico degli antichi capolavori tragici per rendere presente e visibile in primo piano ciò che in essi resta sullo sfondo. Il compito del poeta moderno è affine a quello del critico secondo Proust: bisognerebbe mostrare quelle bellezze che sono rimaste per così dire inespresse, all’orizzonte dei capolavori di quelli che lo hanno preceduto. È chiaramente un ingrandimento d’immagini e suoni che si trovano all’orizzonte del sito che essi ci presentano – anche qui l’opera d’arte è concepita come una vista prospettica che dà su un luogo particolare: Il s’agirait encore de nous montrer et de nous faire entendre mille choses analogues que les poètes tragiques nous ont fait entrevoir en passant. Mais voici le point essentiel: ce qu’ils nous ont fait entrevoir en passant ne pourrait-on pas tenter de le montrer avant le reste? Ce qu’on entend sous le roi Lear, sous Macbeth, sous Hamlet, par exemple, le chant mystérieux de l’infini, le silence menaçant des âmes ou des Dieux, l’éternité qui gronde à l’horizon, la destinée ou la fatalité qu’on aperçoit intérieurement sans que l’on puisse dire à quels signes on la reconnaît, ne pourrait-on, par je ne sais quelle inteversion des rôles, les rapprocher de nous tandis qu’on éloignerait les acteurs?545

Il mezzo per effettuare questo travaso o ingrandimento di piccole percezioni non può che essere la metafora. È fondamentale per quest’idea dell’ingrandimento (che Proust pensa in conformità ad un ingrandimento fotografico dei dettagli) il paradigma aereo: Bachelard ha affermato la stretta connessione fra l’immaginario aereo e l’immaginario ingrandente. L’elemento aria fungerebbe da lente d’ingrandimento. A proposito della poesia aerea di Shelley, Bachelard scrive: «il manque quelque chose à la psychologie du rêve si l’on arrête ce grossissement et cette enflure. Un rêve qui ne change pas les dimensions du monde est-il vraiment un rêve? Un rêve qui n’agrandit pas le monde est-il le rêve d’un poète? Le poète aérien agrandit le monde au-delà de toute limite».546 Altro elemento sottolineato da Bachelard è l’importanza del riposo ottico e verbale nell’esperienza aerea per eccellenza che è il sogno di volo.547 Il terzo elemento che abbiamo già evidenziato nel545. M. Maeterlinck, Le tragique quotidien, cit., pp. 162-163, c. n. 546. G. Bachelard, L’air et les songes…, cit., p. 56. 547. Ivi, p. 35: «[…] le rêve, sous sa forme pure, nous livre totalement à l’imagination matérielle et à l’imagination dynamique, et […] en contre-partie, le rêve, sous sa forme pure, nous détache de l’imagination formelle. Le rêve le plus profond est essentiellement un phénomène du repos optique et du repos verbal. Il y a deux grandes espèces d’insomnie: l’insomnie optique et l’insomnie verbale. La nuit et le silence sont les deux gardiens du sommeil; pour dormir il faut ne plus parler et ne plus voir. Il faut se livrer à la vie élémentaire, à l’imagination de l’élément qui nous est particulier. Cette vie élémentaire échappe à ce

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l’immaginario aereo è il predominio della metonimia. Tutti questi elementi sono presenti nella costellazione aerea che Proust attinge in conformità con la propria visione da Maeterlinck e che abbiamo cercato finora di documentare, sintetizzati dalla scena topica del Pelléas dell’uscita dalla caverna. Il problema posto da Proust a Maeterlinck – nel senso di dialogo intertestuale come relazione tra visioni – è lo stesso posto da Blumenberg a Platone: la legittimità del mito. Come avviene in Platone, Maeterlinck giunge ad espungere il mito anche se lo utilizza. Il mito è un processo d’ingrandimento: come per Platone la storia ideale dello stato rappresentato nella Repubblica è un ingrandimento del tema della giustizia. Il mito consente di leggere con caratteri più grandi i segni dell’anima. In questo senso, il mito è una produzione fantasmagorica di ombre (cfr. altra immagine topica del Pelléas: le ombre che si allungano a dismisura), paragonabile agli spettacoli che hanno luogo dentro la caverna (e nel cinema). Il chiarimento delle percezioni oscure in cui consiste la metafora proustiana è un analogo processo d’ingrandimento pressoché fotografico, ma anche uno spostamento di prospettiva che permette di far riemergere in primo piano ciò che era sullo sfondo: consiste nel riattribuire all’oggetto una densità mitica. In questo senso, se l’apporto propriamente metaforico segna un carattere dogmatico suscettibile di diventare idolatrico (l’immagine fotografica come puro feticcio),548 la densità mitica è ritrasmessa dal carattere esatto, cioè metonimico, dell’immagine.549 III. 9. Da Journées de lecture a Sodome et Gomorrhe. Dobbiamo ora aggiungere un ultimo tassello alla nostra ricostruzione dei riferimenti che Proust dedica a Maeterlinck in Journées de lecture. Grazie a quest’ultimo tassello, scopriremo che la prefazione alla traduzione ruskiniana di Sésame è parte di una filiera testuale che conduce direttamente al cuore (a uno dei cuori) della Recherche, a quel primo capitolo di Sodome et Gomorrhe dove si registra la più aperta e quantitativamente numerosa presenza di riferimenti a Maeterlinck, in particolare a L’Intelligence des fleurs. Come è stato mostrato da Antoine Compatroc d’impressions pittoresques qu’est le langage. Sans doute, le silence et la nuit sont deux absolus qui ne nous sont pas donnés dans leur plénitude, même par le sommeil plus profond. Du moins, nous devons sentir que la vie onirique est d’autant plus pure qu’elle nous libère davantage de l’oppression des formes, et qu’elle nous rend à la substance et à la vie de notre élément propre». 548. Cfr. G. Girimonti Greco, Note sulla «Recherche» in «camera obscura». Proust, Brassaï e gli «enjeux romanesques» dell’immagine fotografica, cit.; Id., La Nonna étrangère: per-turbamenti ottici ed epistemo-affettivi in Proust, cit.; F. Pich, Intorno a Miss Sacripant (I). «Plus tard une photographie m’expliqua pourquoi», in Proust e gli oggetti, cit., pp. 223-229. 549. Sul carattere metonimico delle metafore proustiane cfr. B. Maj, Il volto e l’allegoria della storia…, cit.

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gnon nella sua notizia introduttiva a questo capitolo550 nell’ultima edizione Pléiade della Recherche, l’elaborazione di questa parte intervenne assai tardivamente, nel 1912, e corrispose all’esigenza di fornire un raccordo fondamentale fra le due parti del temps perdu attraverso l’introduzione di uno dei maggiori temi dell’opera: la rappresentazione del desiderio omosessuale, che di lì in poi contagerà in cerchi sempre più larghi moltissimi personaggi dei quali il narratore indovinerà scoprirà o sospetterà l’omosessualità. Esempio e prototipo di questa scoperta è l’incontro fortuito tra l’aristocratico Charlus e il sarto Jupien, nel cortile del palazzo dove abita anche il narratore, in uno degli appartamenti dati in affitto dalla duchessa di Guermantes. Qui ha luogo una delle metafore filate più coerenti e protratte in lunghezza di tutta l’opera: l’incontro omosessuale puramente fortuito tra i due personaggi è paragonato al caso “provvidenziale” che garantisce la fecondazione di una piantina di orchidea appartenente alla duchessa, esposta nel cortile in attesa dell’insetto fecondatore. Il tema era già preparato alla fine di Le côté de Guermantes, durante la soirée della duchessa che segna il primo esordio del narratore in quella ristretta consorteria aristocratica: la duchessa insiste sulla difficoltà che una simile pianta possa incontrare un tale insetto. A differenza di molte altre piante, che presentano nella stessa corolla tanto l’elemento maschile (gli stami) che quello femminile (i pistilli), le orchidee sono sessuate: i loro fiori possono essere tutti maschili o tutti femminili in una stessa pianta. Pertanto, come spiega la duchessa ai suoi invitati, la sua pianta – che è femminile – per essere fecondata avrebbe bisogno che un insetto fosse prima entrato in una pianta della stessa specie di sesso maschile, per caricarsi del prezioso polline a lei necessario. Un caso molto difficile a verificarsi, perché bisognerebbe che a Parigi un insetto visitasse prima la pianta dai fiori maschio e poi la pianta dai fiori femmina.551 Già in questa digressione botanica emerge un doppio riferimento, a Maeterlinck e a Darwin: la pianta della duchessa è di una bellezza fantastica, ma sprigiona un odore nauseabondo,552 e Maeterlinck, nella sua opera dedicata a L’Intelligence des fleurs (1907), aveva descritto un tipo di orchidea assai comune in Francia che sviluppa una puzza di caprone,553 mentre ai misteri della fecondazione incrociata delle orchidee sono dedicati

550. A. Compagnon, Notice, in SG, RTP, III, pp. 1185-1261. 551. CG, RTP, II, p. 805. La duchessa semplifica notevolmente per esigenze “didascaliche” il meccanismo di fecondazione incrociata, che è molto più complesso: in realtà, le orchidee sono dotate tanto dell’apparato maschile quanto di quello femminile, ma essi sono congegnati in modo tale che l’autofecondazione della pianta sia impossibile e hanno tempi di maturazione e posizioni completamente diverse nello spazio e nel tempo. 552. Ibid. 553. La pianta è il Loroglossum hircinum, descritto da Maeterlinck ma non da Darwin: cfr. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 66-68.

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alcuni lunghi paragrafi dello stesso saggio,554 ispirati alle opere di Darwin che avevano descritto la fecondazione incrociata nelle orchidee inglesi.555 Nel capitolo di apertura di Sodome et Gomorrhe, troviamo il narratore che si apposta nella tromba delle scale del cortile del suo palazzo per sorprendere la venuta dell’insetto fecondatore e verificare se il caso tanto difficile a prodursi possa poi accadere effettivamente.556 Questa è la cornice del racconto557: vi è fondamentale l’elemento botanico. Il narratore, riflettendo sui misteri della fecondazione incrociata e dell’autofecondazione mentre aspetta la venuta dell’insetto, è giunto a dedurre dall’astuzia apparente dei fiori «une conséquence sur toute une partie inconsciente de l’œuvre littéraire»558: né qui, né altrove in tutta l’opera, ci sarà mai rivelato in che consista la teoria botanico-letteraria abbozzata dal narratore; perché egli sarà poi distratto dal prodursi di un altro avvenimento: l’arrivo di Charlus in un’ora per lui insolita (giustificato dalla necessità di chiedere notizie sulla salute della zia Mme de Villeparisis) scatenerà l’incontro fortuito col sarto Jupien, che proprio in quel momento, come faceva tutti i giorni, chiudeva la sua bottega nel cortile, e determinerà la rivelazione del desiderio omosessuale dell’uno per l’altro. Mentre si producono le vicissitudini del primo incontro, un calabrone entra nel 554. Ivi, pp. 59-84. 555. Le opere di Darwin che Proust ha utilizzato (e che citiamo nelle loro traduzioni francesi del tempo di Proust) sono: C. Darwin, De la fécondation des orchidées par les insectes et des bons résultats du croisement, trad. di L. Rérolle, Paris, C. Reinwald, 1870; Id., Des effets de la fécondation croisée et de la fécondation directe dans le règne végétal, trad. di Éd. Heckel, Paris, C. Reinwald, 1877; Id., Des différentes formes des fleurs dans les plantes de la même espèce, préf. di A. Coutance, trad. di Éd. Heckel, Paris, C. Reinwald, 1878. In particolare Proust sembra aver tratto le sue nozioni di botanica dalla prefazione del professor Coutance, anteposta all’ultimo saggio citato. 556. SG, RTP, vol. III, pp. 3-4: «Puis me rendant compte que personne pouvait me voir, je résolus de ne plus me déranger de peur de manquer, si le miracle devait se produire, l’arrivée presque impossible à espérer (à travers tant d’obstacles, de distance, de risques contraires, de dangers) de l’insecte envoyé de si loin en ambassadeur à la vierge qui depuis longtemps prolongeait son attente. Je savais que cette attente n’était pas plus passive que chez la fleur mâle, dont les étamines s’étaient spontanément tournées pour que l’insecte pût plus facilement la recevoir; de même la fleur femelle qui était ici, si l’insecte venait, arquerait coquettement ses "styles" et pour être mieux pénétrée par lui ferait imperceptiblement, comme une jouvencelle hypocrite mais ardente, la moitié du chemin. Les lois du monde végétal sont gouvernées elles-mêmes par des lois de plus en plus hautes. Si la visite d’un insecte, c’est-à-dire l’apport de la semence d’une autre fleur, est habituellement nécessaire pour féconder une fleur, c’est que l’auto-fécondation, la fécondation de la fleur par elle-même, comme les mariages répétés dans une même famille, amènerait la dégénérescence et la stérilité, tandis que le croisement opéré par les insectes donne aux générations suivantes de la même espèce une vigueur inconnue de leurs aînées. Cependant cet essor peut être excessif, l’espèce se développer démesurément; alors comme une antitoxine défend contre la maladie, comme le corps thyroïde règle notre embonpoint, comme la défaite vient punir l’orgueil, la fatigue le plaisir, et comme le sommeil repose à son tour de la fatigue, ainsi un acte exceptionnel d’autofécondation vient à point nommé donner son tour de vis, son coup de frein, fait rentrer dans la norme la fleur qui en était exagérément sortie». 557. Ivi, pp. 4-5. 558. Ivi, p. 5.

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cortile, ma il narratore sarà ormai impegnato a seguire lo sviluppo dell’incontro Charlus-Jupien, giungendo ad appostarsi in una bottega sfitta separata da quella di Jupien solo da un sottile tramezzo, dietro il quale potrà udire tutto quello che accade nella bottega di Jupien. Tuttavia, il carattere fortuito e insieme selezionato dell’incontro di un giovane e di un maturo omosessuale danno al narratore la conferma che il calabrone frattanto giunto nel cortile potrebbe essere quello giusto, che quello che poco prima gli appariva come un miracolo abbia veramente delle chances di prodursi. L’accostamento metonimico e metaforico fra i due eventi (fecondazione dell’orchidea da parte del calabrone – incontro di Charlus e Jupien) determina tutta una serie di paragoni botanici e la tonalità scientifica semiseria in cui verrà sviluppato il racconto, per la lunghezza di una trentina di pagine: J’avais perdu de vue le bourdon, je ne savais pas s’il était l’insecte qu’il fallait à l’orchidée, mais je ne doutais plus, pour un insecte très rare et une fleur captive, de la possibilité miraculeuse de se conjoindre, alors que M. de Charlus (simple comparaison pour les providentiels hasards, quels qu’ils soient, et sans la moindre prétention scientifique de rapprocher certaines lois de la botanique et ce qu’on appelle parfois fort mal l’homosexualité), qui, depuis des années, ne venait dans cette maison qu’aux heures où Jupien n’y était pas, par le hasard d’une indisposition de Mme de Villeparisis, avait rencontré le giletier et avec lui la bonne fortune réservée aux hommes du genre du baron par un de ces êtres qui peuvent même être, on le verra, infiniment plus jeunes que Jupien et plus beaux, l’homme prédestiné pour que ceux-ci aient leur part de volupté sur cette terre: l’homme qui n’aime que les vieux messieurs.559

Le ragioni dello stupore e della meraviglia del narratore davanti a quella che a lui appare come una straordinaria concomitanza dei due eventi sono ulteriormente spiegate nel prosieguo del racconto.560 A questo punto le metafore floreali pullulano e occupano le due pagine e mezzo seguenti.561 A chiudere la 559. Ivi, p. 9. 560. SG, RTP, III, pp. 28-29: « M. de Charlus était de ces hommes qui peuvent être appelés exceptionnels, parce que, si nombreux soient-ils, la satisfaction, si facile chez d’autres, de leurs besoins sexuels, dépend de la coïncidence de trop de conditions, et trop difficiles à rencontrer. Pour des hommes comme M. de Charlus […] l’amour mutuel, en dehors de difficultés si grandes, parfois insurmontables, qu’il rencontre chez le commun des êtres, leur en ajoute de si spéciales, que ce qui est toujours très rare pour tout le monde devient à leur égard à peu près impossible, et que si se produit pour eux une rencontre vraiment heureuse ou que la nature leur fait paraître telle, leur bonheur, bien plus encore que celui de l’amoureux normal, a quelque chose d’extraordinaire, de sélectionné, de profondément nécessaire. […] Ce Roméo et cette Juliette peuvent croire à bon droit que leur amour n’est pas le caprice d’un instant, mais une véritable prédestination préparée par les harmonies de leur tempérament, non pas seulement par leur tempérament propre, mais par celui de leurs ascendants, par leur plus lointaine hérédité, si bien que l’être qui se conjoint à eux leur appartient avant la naissance, les a attirés par une force comparable à celle qui dirige les mondes où nous avons passé nos vies antérieures». 561. Ivi, pp. 29-31. Cfr. R. Fraser, Proust and the Victorians: The Lamp Of Memory, London, Macmillan, 1994, cap. 9: The Lamp of Artifice: Proust, Darwin and Wilde, reperibile anche in The Oscholars Library,

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severa architettura di queste trenta pagine, il riferimento della frase finale va ancora alla fecondazione del fiore da parte del calabrone.562 I critici proustiani hanno ricostruito la trama incrociata dei riferimenti che sottendono questo testo assai complesso e sono risaliti, attraverso l’intermediazione di Maeterlinck, a un testo di Schopenhauer, De la volonté dans la nature, mirante a mostrare che esiste un’intelligenza nelle piante. Questo testo tuttavia non fu direttamente conosciuto da Proust, a differenza dell’opera principale del filosofo.563 Resta il fatto che, se Schopenhauer fa della pianta – nelle pagine direttamente conosciute da Proust – principalmente una manifestazione della volontà della natura, Maeterlinck ne fa una manifestazione di intelligenza. L’autorevole opinione di Compagnon è che Proust discuta delle tesi schopenhaueriane attraverso lo schermo di Maeterlinck.564 Nostro scopo sarà invece mettere in risalto l’autonomia letteraria e filosofica dell’opera di Maeterlinck sulle piante e la sua importanza nella genesi di questo capitolo della Recherche. Su alcuni punti tuttavia occorre dare senz’altro ragione a Compagnon: come si evince dai riferimenti piuttosto numerosi alle piante e alla vita vegetale, presenti nel Mondo come volontà e rappresentazione, la pianta è la manifestazione più nuda e priva d’infingimenti della volontà e del desiderio della natura, tanto che la sua caratteristica fondamentale è l’ingenuità.565 La pianta s’identifica con un luogo e con la sua specie, tanto da essere la manifestazione più pura ed esatta del desiderio, secondo la definizione che ne dà lo stesso http://www.oscholars.com/TO/Appendix/Library/proust.htm [consultato il 20 luglio 2011] 562. Ivi, p. 33. 563. Proust lesse di Schopenhauer la traduzione francese di Die Welt als Wille und Vorstellung [1819] di A. Burdeau: A. Schopenhauer, Le Monde comme Volonté et Représentation, Paris, Alcan, 1888-1890, 3 voll. 564. Cfr. SG, RTP, vol. III, n. 2, p. 1289. 565. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà…, cit., l. II, § 28, p. 195: «Vorrei qui di sfuggita mettere in risalto l’ingenuità con cui la pianta, mediante la semplice forma, manifesta ed esprime il suo carattere, la sua natura o la sua volontà; perciò le fisionomie delle piante destano un vivo interesse. L’animale invece, per essere conosciuto nella sua essenza, esige uno studio dei suoi atti e dei suoi costumi; l’uomo, infine, va studiato ben a fondo e deve esser messo alla prova, perché la ragione lo rende quanto mai capace di fingere. L’animale è più ingenuo dell’uomo nella stessa misura in cui la pianta è più ingenua dell’animale. Nell’animale vediamo però la volontà di vivere in certo qual modo più a nudo che non nell’uomo, dove essa è mascherata da tante sovrastrutture conoscitive e velata così bene dalla capacità di fingere, che la sua vera essenza non può che trasparire se non a caso ed in particolarissimi momenti. Nelle piante, la volontà si rivela completamente, ma in maniera assai meno intensa, e come pura e cieca tendenza a vivere, senza un fine, senza un disegno. La pianta infatti esibisce tutto il suo essere a prima vista: la sua innocenza non soffre in nulla del fatto che gli organi della riproduzione riposti presso gli animali nelle parti più nascoste, fan libera mostra di sé alla cima. Questo candore della pianta è dovuto al suo esser priva di conoscenza; non già nel volere, ma nel volere cosciente è il peccato. Ogni pianta parla immediatamente della sua patria, del suo clima e della natura del terreno da cui essa è scaturita; sicché, il più inesperto riconosce facilmente se la tal pianta esotica appartenga alla zona tropicale o alla temperata, se cresca nell’acqua o nella palude, nel monte o nella landa. La pianta esprime inoltre la volontà particolare della sua specie, raccontando qualche cosa che nessun’altra lingua saprebbe esprimere».

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Schopenhauer.566 La pianta è in qualche modo l’impersonalità del desiderio, il carattere trans-soggettivo della volontà inconscia. E proprio queste sono le caratteristiche che Deleuze riconosce nel desiderio proustiano. Da un lato, la volontà di rendere innocente il desiderio imparentandolo con i fenomeni della vita vegetale; dall’altro, la caratteristica principale del desiderio proustiano è di essere espressione di una legge, di travalicare il suo semplice oggetto per raggiungere dei Terzi, dei Temi.567 In questo Proust è schopenhaueriano. Il primo paratesto da prendere in esame per l’analisi del capitolo introduttivo di Sodome et Gomorrhe è Journées de lecture. Il testo da noi finora preso in esame sarebbe incompleto se non prendessimo in considerazione anche una sequenza del finale, relativamente lunga, che appariva nell’edizione del 1906 e che fu successivamente tagliata da Proust in vista della sua pubblicazione in volume come parte di Pastiches et mélanges (1919). La versione tagliata si arresta all’immagine delle colonne della Piazzetta di Venezia che, straniere slanciate venute dall’Oriente, continuano ad attardare i loro passi del dodicesimo secolo in mezzo a quelli della folla distratta dei viaggiatori, portando in mezzo a loro la vivente presenza e persistenza di un passato che essi non comprendono. La versione del 1905 dedicava un più lungo sviluppo a queste colonne, descrivendole come «revenant du temps enseveli»568 che isolano e rendono tangibile e visibile il posto del passato rispetto al presente; la versione manoscritta di questo passaggio, riportata dagli editori del Contre Sainte-Beuve, conferma il carattere unheimlich in senso freudiano di tale sopravvivenza del passato. La metafora fondamentale di questo testo è la florealizzazione delle colonne, viventi testimonianze di giorni lontani, che non riescono ad essere fecondate dalle api del presente. Esse restano pertanto una testimonianza sterile e, come è detto apertamente nella versione manoscritta, «effrayante», ‘inquietante’, di questa sopravvivenza del passato in mezzo all’indifferenza del presente: [les jours actuels] se pressent autour des colonnes, mais en elles ils n’entrent pas, ne peuvent pénétrer dans le passé, dans le passé intercalé entre eux et présent tout autour comme des abeilles repoussés. Les colonnes roses les écartent et de leur mince épaisseur, réservent au milieu même des jours présents qui se pressent et bourdonnent la place du passé, du passé qui, chose assez effrayante, est là, visible, familièrement apparu au milieu du présent, violant […] sans façon les lois de la mort, tout au plus un peu singulier d’aspect, dans son élan immortel et charmant, d’une couleur s’adressant d’abord un peu trop directement à l’esprit, l’exaltant comme cela est explicable du revenant [d’] un temps depuis si longtemps enseveli, pourtant là, au milieu de nous, approché, coudoyé, touché, ne bougeant pas, au soleil.569 566. Ivi, pp. 341-342. 567. G. Deleuze, Proust et les signes, cit. 568. M. Proust, PM, p. 812, n. 3 di p. 194. 569. Ivi, pp. 812-813, n. 3 (c. n).

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Nella versione definitiva la sottolineatura del carattere inquietante di tale sopravvivenza è cancellata, ma in contempo è rafforzata l’ambiguità dell’immagine del “revenant” che può essere tanto il ‘fantasma’ quanto, come qui, il participio presente del verbo revenir, in una formula più stringata quale: […] du passé familièrement surgi au milieu du présent, avec cette couleur un peu irréelle des choses qu’une sorte d’illusion nous fait voir à quelques pas, et qui sont en réalité situés à bien des siècles; s’adressant dans tout son aspect un peu trop directement à l’esprit, l’exaltant un peu comme on ne saurait s’en étonner de la part du revenant d’un temps enseveli; pourtant là, au milieu de nous, approché, coudoyé, palpé, immobile, au soleil.570

In questo passaggio sono da ritenere i seguenti elementi: il peculiare gioco d’illusione ottica per cui ciò che è situato nella prospettiva del tempo molto lontano (‘a secoli di distanza’) ci appare vicinissimo nello spazio (‘a pochi passi’); il colore irreale assunto dalle visioni che sono attinte da questo speciale effetto ottico di vicinanza nella lontananza, colore che sembra fare a meno dell’intermediazione degli occhi per indirizzarsi direttamente alla mente, colore che si avvicina, per il suo carattere ‘di irrealtà’, agli effetti cromatici dei quadri dell’immaginazione, tutti dipinti uniformemente, secondo Proust, di un solo ‘tono’ dominante; l’ambiguità del gioco su “revenant”, che sottolinea il carattere fantastico, fantasmatico e apertamente soprannaturale di tale sopravvivenza del passato (del resto nel manoscritto si leggeva: «violant sans façon les lois de la mort»). Ma vi è un quarto elemento che balza agli occhi: la quasi omofonia “temps enseveli”/”temple enseveli”.571 Per questa via, e grazie al carattere marcatamente floreale assunto in questo contesto dalle colonne, e per la presenza della metafora della fecondazione attraverso le api, ritroviamo ancora una volta Maeterlinck che si affaccia nel testo di Journées de lecture. Occorre soffermarsi su questa metafora: Tout autour, les jours actuels, les jours que nous vivons circulent, se pressent en bourdonnant autour des colonnes, mais là brusquement s’arrêtent, fuient comme des abeilles repoussées; car elles ne sont pas dans le présent, ces hautes et fines enclaves du passé, mais dans un autre temps où il est interdit au présent de pénétrer. Autour des colonnes roses, jaillies vers leurs larges chapiteaux, les jours actuels se pressent et 570. Ivi, p. 812. 571. Cfr. L. Finas, Le toucher du rayon…, cit., p. 3 : «Journées de lecture se voue au soleil. Présenté comme obstacle au début du texte, “rayon de soleil gênant(s) qui nous forçai(en)t à lever les yeux de la page ou à changer de place”, le soleil en irradie la fin. Il est le réceptacle d’un passé résurgi, le “revenant d’un temple enseveli”». Ancora una volta Finas insiste sul raggio, che qui promana dall’interiorità di un «tempo/tempio sepolto». Tale omofonia è stata segnalata anche da A. Simon, Proust lecteur de Maeterlinck…, cit. La Finas tuttavia non cita mai esplicitamente Maeterlinck.

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bourdonnent. Mais, interposées entre eux, elles les écartent, réservant de toute leur mince épaisseur la place inviolable du passé […].572

In questa versione è ancora più evidente l’omologia fusto di colonna-fiore.573 La sintonia con Maeterlinck appare confermata dall’immagine dei giorni presenti – esplicitamente paragonati alle api – che si accalcano ronzando intorno alle colonne, per loro inviolabili, del passato. Per questa via tutta l’immagine rimanda al mito della caverna, in particolare all’immaginario romantico della “cavernatempio” esplorato da Blumenberg: le colonne riservano al loro interno il posto del passato, per accedere ad esso bisogna penetrare nella grotta dei tesori sepolti (che rimanda al tema del Sesamo). Esse sono quanto sussiste del «temps»/«temple enseveli», del “tempo/tempio” sepolto della memoria. Ruderi di un tempio, ma anche ruderi di una tomba. Il fatto che qui colpisce è che il presente è sterile, non può più fecondare i giorni del passato. Quest’immagine rimanda a sua volta alla situazione conclusiva del saggio introduttivo alla traduzione de La Bible d’Amiens.574 La prima versione di questo testo, poi confluita a costituire la chiusa della prefazione, risale all’articolo John Ruskin che apparve su «La Chronique des arts et de la curiosité» il 27 gennaio 1900. Proust si trova in una situazione di stallo, per l’incapacità in cui si trova la sua «mémoire glacée» di accedere a una vera resurrezione del passato. Siamo nel cuore di quel travaglio interiore che sfocerà nel 1907 nella riscoperta di Edipo e infine nella Recherche. La cronologia interna di questo lavoro – che coincide anche con il lavoro del lutto per la morte dei suoi genitori – è stata ammirevolmente ricostruita da Mario Lavagetto. In sintonia con il cambiamento epocale dei gusti e degli interessi, dal 1900 al 1907 vedremo Edipo sostituirsi ad Antigone.575 Per ora comunque Proust si trova in una situazione di stallo, e si consola con l’idea che fare la scienza della propria memoria congelata possa costituire una soluzione. Si profila un rapporto con la scienza letteraria come sostitutivo della creazione letteraria autonoma. Il testo del 1905 non apporta una vera soluzione a questa situazione. Ci troviamo evidentemente di fronte a un paratesto della grande scena di apertura di Sodome et Gomorrhe I, ma invertito di segno: le api (il presente) non riescono a fecondare i fiori (il passato). Le api e i fiori ricompaiono in 572. M. Proust, PM, p. 812. 573. Segnalata da M. Miguet-Ollagnier, op. cit. 574. M. Proust, PM, p. 141: «À défaut d’une résurrection dont nous n’avons plus le pouvoir, avec la mémoire glacée que nous avons gardée de ces choses, – la mémoire des faits qui nous dit : "tu étais tel" sans nous permettre de le redevenir, qui nous affirme la réalité d’un paradis perdu au lieu de nous le rendre dans le souvenir, nous voulons du moins la décrire et en constituer la science. C’est quand Ruskin est bien loin de nous que nous traduisons ses livres et tâchons de fixer dans une image ressemblante les traits de sa pensée. Aussi ne connaîtrez-vous pas les accents de notre foi ou de notre amour, et c’est notre piété seule que vous apercevrez çà et là, occupée, comme la Vierge Thébaine, à restaurer un tombeau». 575. Cfr. M. Lavagetto, Quel Marcel!…, cit.

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un testo del 1907, da noi già citato, dove si registra un passo avanti. Nelle Journées de lecture (significativamente lo stesso titolo) che costituiscono la recensione proustiana ai Mémoires di Mme de Boigne troviamo l’immagine delle api del presente che si impadroniscono del favo di miele e delle rose conservate miracolosamente intatte, e ancora viventi, nella grotta ipogea che gli scienziati storici hanno esplorato.576 Si profila un diverso ruolo della scienza, da sostituto imperfetto della creazione letteraria autonoma a incubatrice della memoria. Questo passaggio è stato già posto da noi esplicitamente in relazione con un passaggio di Maeterlinck de L’Intelligence des fleurs dove si parla del mito della caverna. Quindi la costellazione immaginaria della caverna è esplicitamente leggibile sottotraccia in questi paratesti dell’inizio di Sodome et Gomorrhe (degno di nota appare anche il fatto che si tratti di due parti entrambe tagliate, come se Proust avesse voluto far perdere le tracce del lungo lavoro che ha portato all’elaborazione definitiva della metafora della fecondazione dell’orchidea). Cosa ci dice il confronto fra il testo del 1905 e il testo del 1907? Che la situazione di stallo si è parzialmente sbloccata e che adesso, mercé la conservazione integrale del passato nelle forme viventi degli insetti e dei fiori, le api del presente potrebbero sbagliarsi e tentare di fecondare i fiori del passato. Siamo a un passo dalla metafora definitiva. Il concetto di conservazione integrale del passato (il fiore) in una forma chiusa che ricorda la valva, lo stampo, l’ipogeo, era del resto già presente in un passaggio del testo del 1905 sul quale ci siamo soffermati: il silenzio secolare della rosa nell’ipogeo. Qui il passato risale dal tempo/tempio sepolto. In Sodome et Gomorrhe, in cui tale fecondazione ha luogo, al momento del primo contatto visivo fra Charlus e Jupien, nei loro occhi si leva «le ciel non pas de Zurich, mais de quelque cité orientale dont je n’avais pas encore deviné le nom»:577 ancora un raggio del tempio sepolto? Si può pertanto mostrare la funzione di cerniera e di incubatore della Recherche di questo testo, dove si oppongono i paradigmi sterilità/fecondità del contatto presente/passato. Il taglio operato da Proust in vista della pubblicazione del 1919, lasciando sussistere solo l’immagine della rosa nell’ipogeo, indicava nella fecondità la direzione pregna di futuro. Nel rileggere quindi la straordinaria ouverture di Sodome et Gomorrhe, dovremo tenere presenti questi due fattori ricavati dai paratesti: 1) la presenza del mito della caverna; 2) la metafora della fecondazione floreale esprime il fatto straordinario della resurrezione del passato, del contatto fecondo fra presente e passato. Entrambi questi elementi sono stati occultati da Proust nella redazione definitiva; ma è possibile scorgerne traccia in alcuni segnali che affiorano sia nel testo vero e proprio che nei paratesti. 576. M. Proust, EA, p. 926, n. 2; cfr. supra, p. 103. 577. SG, RTP, III, pp. 7-8.

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L’archetipo della scena evocata da Maeterlinck nel Pelléas dell’uscita dalla caverna si trovava nella versione del quaderno manoscritto e nella prima dattilografia dell’inizio di Sodome et Gomorrhe, riportata dall’edizione Pléiade. Nel recarsi a trovare la duchessa per apprendere da lei la verità circa il suo invito alla soirée Guermantes, il narratore evoca alcune impressioni luminose che si riallacciano in modo esplicito alla costellazione della resurrezione memoriale di Le Temps retrouvé: in particolare il cielo azzurro simile al colore degli occhi di pavone: À l’extrémité torride de la rue, le souvenir de Balbec avait attaché une aile immense, rafraîchissante et couleur bleu paon, qui était la mer. Je l’avais tout le temps sous les yeux et le dessin que comme une mélodie hésitante traçait en moi mon incertitude relativement à la soirée Guermantes était accompagnée en sourdine par une brise de mer continue qui balançait des roses.578

La brezza marina e le rose ci riportano all’ascolto dell’aria del Pelléas musicato da Debussy. Un altro elemento maeterlinckiano, le api che scorrono sulla brezza marina, insieme con l’apparizione intermittente di un raggio di sole, compare nella scena in cui il narratore ha per la prima volta l’intuizione della vera insospettabile natura di Charlus osservando, in un momento di rilassamento del volto di M. de Charlus, un’espressione di bontà che lo faceva assomigliare ad una donna. Questa rivelazione nel Cahier 49 aveva luogo nel corso di una serata all’opera in cui si eseguiva Wagner: Cette expression de douceur qui était difficile à saisir dans son visage cruel que par éclairs car il y superposait une brutalité postiche m’apparut plus encore au moment où, le soleil ayant reparu dans l’atmosphère wagnérienne on n’entendit plus qu’un céleste essaim de violons vibrer au-dessus de flots souriants comme une rumeur d’océanides ou d’abeilles, le vicomte s’éveilla.579

Anche qui compare il tema del raggio e dell’intermittenza. È la luce del tempio sepolto, che trasforma in armonia gli accordi fino allora dissonanti e i violenti contrasti nella voce e nei comportamenti che aveva fino allora fornito M. de Charlus, come si evince da quest’altro abbozzo: «Il [M. de Gurcy] n’avait pas bougé mais tout d’un coup il s’éclairait d’une lumière intérieure où tout ce qui m’avait chez lui choqué, troublé, semblé contradictoire, se résolvait en harmonie […]».580 È da notare anche la presenza dell’espressione “tout d’un coup” che segnala in modo quasi tecnico, afferma Lavagetto, la presenza di una rivelazione e non manca mai quando Proust evoca una resurrezione memoriale. Un altro riferimento che può illu578. SG, RTP, III, p. 1266. 579. SG, RTP, III, Esquisse IV [M. de Gurcy à l’opéra], pp. 944-945. 580. SG, RTP, III, Esquisse I [La race des tantes], p. 924.

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minare sulla presenza, leggibile sottotraccia, della costellazione mitica della caverna è presente nel testo di Sodome et Gomorrhe I a proposito della discussa teoria scientifica accettata da Proust sull’omosessualità come presenza in un corpo maschile di un’anima femminile. L’anima femminile dell’invertito è paragonata ad una prigioniera che approfitta di tutti gli spiragli e di tutti i sotterfugi per evadere dalla sua prigione e manifestarsi, anche materialmente, nel corpo dell’invertito: Quelques-uns, si on les surprend le matin, encore couchés, montrent une admirable tête de femme, tant l’expression est générale et symbolise tout le sexe; les cheveux eux-mêmes l’affirment; leur inflexion est si féminine, déroulés, ils tombent naturellement en tresses sur la joue, qu’on s’émerveille que la jeune femme, Galatée qui s’éveille à peine dans l’inconscient de ce corps d’homme où elle est enfermée, ait su si ingénieusement, de soi-même, sans l’avoir appris de personne, trouver ce qui était nécessaire à sa vie.581

Ci troviamo in una costellazione floreale che si conferma nella pagina successiva, dove la pervicacia e l’ostinazione dell’anima femminile ad evadere dal corpo che la tiene prigioniera è paragonata allo sforzo di una pianta rampicante: Du reste, même à son exigeante maîtresse, il a beau ne pas avouer […]: «Je suis une femme», pourtant en lui, avec quelles ruses, quelle agilité, quelle obstination de plante grimpante, la femme inconsciente et visible cherche-t-elle l’organe masculin! […] Sa maîtresse peut le châtier, l’enfermer, le lendemain l’homme-femme aura trouvé le moyen de s’attacher à un homme, comme le volubilis jette ses vrilles là où se trouve une pioche ou un râteau.582

L’ultimo paragone del periodo citato riprende testualmente un brano de L’Intelligence des fleurs, come segnala anche la nota dei curatori della Pléiade: «Du reste, ceux d’entre nous qui ont quelque peu vécu à la campagne ont eu maintes fois l’occasion d’admirer l’instinct, la sorte de vision qui dirige les vrilles de la Vigne vierge ou du Volubilis, vers le manche d’un râteau ou d’une bêche posé contre un mur. Déplacez le râteau, et le lendemain la vrille se sera complètement retournée et l’aura retrouvé».583 Maeterlinck pone in esplicito rapporto queste ed altre osservazioni sulle piante rampicanti con analoghe osservazioni di Schopenhauer, che vede in queste piante una delle più decise manifestazioni della volontà della natura. Tuttavia, la sostituzione che Maeterlinck attua del termine ‘intelligenza’ al termine ‘volontà’ è decisiva perché implica una concezione non solo dinamica dell’azione della volontà nella natura. Le piante rampicanti capaci di piegare gli oggetti alle loro necessità assomigliano molto da 581. SG, RTP, III, p. 22. 582. SG, RTP, III, p. 23. 583. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 26-27.

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vicino a quei prigionieri della caverna platonica evocati da Maeterlinck nello stesso testo, i quali potrebbero scoprire una volta usciti «la nature et la déstination véritables d’outils et d’appareils qu’ils auraient de leur mieux appropriés aux incertitudes de l’ombre».584 Questa costellazione della pianta prigioniera rinchiusa nella caverna la ritroviamo in una poesia del 1901, da noi già citata, che mette in scena la fuga e l’evasione vegetale dei capelli di una prigioniera rinchiusa in una grotta e che colano fuori come una «source d’or». È una costante della poesia di Maeterlinck fin dai tempi di Serres chaudes e delle sue prime prove drammaturgiche illustrare l’evasione della pianta della serra, che sporge la “testa” fuori dai vetri, in attesa di un evento che muti la natura della sua prigionia, o forse solo nel tentativo fallimentare di sfuggire al suo destino. E sempre la parte emersa è caratterizzata da un’illuminazione particolare. Nei drammi, il posto delle piante è preso dai personaggi femminili come Mélisande, che, nella scena seconda dell’atto terzo, pettina i capelli sciolti lungo la finestra della torre, riprendendo un antico tema favolistico. All’arrivo di Pelléas, questi le chiede di sporgersi dalla torre e i suoi capelli si rovesciano su di lui e, comportandosi esattamente come una pianta rampicante, si attaccano ad un ramo di salice che pende lì vicino e da cui sarà difficile sbrogliarli. Secondo il Dizionario dei Simboli, i capelli esprimono la natura inconscia della femminilità ed è proprio questa l’accezione che esprimono anche le parole di Pelléas: «Ils me fuient, ils me fuient jusqu’aux branches du saule… Ils s’échappent de toutes parts… Ils tressaillent, ils s’agitent, ils palpitent dans mes mains comme des oiseaux d’or; et ils m’aiment, ils m’aiment mille fois mieux que toi!…».585 I capelli palpitano, sono una creatura vivente e vegetale, raddoppiati dall’isomorfia con il salice, che fa pendere le sue chiome dall’alto verso il basso. E sono caratterizzati da una particolare luminosità aurea, che evoca la costellazione della prigionia nelle frasi successive di Pelléas: «Tu ne t’en iras plus… Je t’embrasse tout entière en baisant tes cheveux, et je ne souffre plus au milieu de leurs flammes… Entends-tu mes baisers?… Ils s’élèvent le long de mille mailles d’or…».586 Questo carattere aereo, aureo e fiammeggiante dei capelli e della testa che si sporge – che equivale alla cima del fiore – trova un riscontro nella fiamma che caratterizza le orchidee in L’intelligence des fleurs: «En ces fleurs tourmentées et bizarres, le génie de la plan584. Ivi, p. 101. 585. M. Maeterlinck, Pelléas et Mélisande, in Œuvres II, cit., p. 407, c. n. Sulla Vallisneria e il salice cfr. l’etimologia riportata da Jung in Simboli della trasformazione…, cit., pp. 244-245 : il radicale indoeuropeo *vélu-, che significa ‘circondare, rinchiudere, avvolgere, avviluppare, girare, volgere voltare’ sarebbe all’origine del sanscrito valli ‘pianta rampicante’, e della famiglia di parole latine legate a volvo, volutus, volumen, ecc. Questo mitologema dell’avvolgimento o avviticchiamento da parte di una pianta (cui si ricollega il mito della fanciulla-salice, qui ripreso da Maeterlinck) è in stretta connessione con quello dell’ingoiamento e con la perdita/ritrovamento del “tesoro prezioso”. 586. Ivi, p. 408.

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te atteint ses points extrêmes et vient percer, d’une flamme insolite la paroi qui sépare les régnes».587 La fiamma ha quindi la funzione di esprimere al suo massimo lo sforzo della pianta di superare la distinzione fra vegetale e animale, di evadere dalla nicchia biologica che le è assegnata, mutando con ciò il proprio destino. L’isomorfia tra funzioni vegetali e animali è stata ugualmente recepita da Proust, che accosta in un solo paragone medusa e orchidea. Anche il carattere aureo dei fiori-capelli che si sporgono, dei pollini che si riversano nell’atto fecondante, sono presenti nella prima dattilografia di Sodome et Gomorrhe e sembrano presi di peso da Maeterlinck, in un testo cui rimandiamo in nota.588 Questo carattere aureo, che evoca il mito di Semele (confuso da Proust con quello di Danae), come pure l’insistenza sulle piante anemofile, è presente in molti passaggi de L’Intelligence des fleurs dai quali trascriviamo in nota quello sulle ginestre di Spagna («genêts d’Espagne»), poco sopra ricordate da Proust.589 Assistiamo quasi a una gara di virtuosismo fra Proust e il suo modello. Ma laddove Proust evoca direttamente il mito della pioggia d’oro di Danae confuso col mito di Semele, il discorso di Maeterlinck mantiene il suo carattere scientifico più sobrio, malgrado la palese antropomorfizzazione dei personaggi floreali di cui Proust si 587. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., p. 58, c. n. 588. SG, RTP, III, pp. 1267-1268: «Mais je savais que le pollen est souvent plus abondant chez les plantes qui le font transporter par des agents physiques comme le vent, car alors une grande quantité de grains risque d’être perdue, ou qui le lancent par propulsion mécanique. Pour tout dire par cette chaude journée, ce que j’étais altéré de voir plus que des fleurs, plus que le ciel avec ses nuées, c’était ces autres nuages colorées qui presque à ras du sol voyagent de fleurs ; pareilles à ces gerbes prismatiques d’eau que lancent les tuyaux d’arrosage pour rafraîchir les jardins; peut-être dans celui de Mme de Guermantes pourrais-je voir de vrais fusées de pollen projetées par les fleurs anémophiles; la pluie de soufre qu’égouttent, abondante, fine et serrée, les fleurs du pin, les nuages d’or qui voyagent entre les genêts d’Espagne, tout ce monde aussi inconnu de moi, presque aussi invisible pour mon œil qui n’avait jamais su le remarquer que les ondes éléctriques qui nous entourent, et dont j’aurais tant voulu qu’un Elstir, de son regard subtil et révélateur qui avait bien su percer le crépuscule et capter les vapeurs, eût fixé pour m’apprendre à les reconnaître, champ encore inexploré de la peinture, les brumes errantes et colorées, les averses intermittentes, attendues, istantanées et voulues comme un geste décisif, providentielles et fécondes comme la pluie d’or de Sémélé (?)» (c. n.). 589. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 56-57 : «Le Genêt d’Espagne (Spartium Junceum) a non seulement des cosses, mais des fleurs à ressort. Peut-être avez-vous remarqué l’admirable plante. C’est le plus superbe représentant de cette puissante famille des Genêts, âpre à la vie, sobre, robuste, que ne rebute aucune terre, aucune épreuve. Il forme le long des sentiers et dans les montagnes du Midi, d’énormes boules touffues, parfois hautes de trois mètres, qui de mai à juin, se couvrent d’une magnifique floraison d’or pur, dont les parfums mêlés à ceux de son habituel voisin, la Chèvrefeuille, étalent sous la fureur d’un soleil calcaire, des délices qu’on ne peut définir qu’en évoquant des rosées célestes, des sources elyséennes, des fraîcheurs et des transparences d’étoiles au creux de grottes bleues… La fleur de ce Genêt, comme celle de toutes les Légumineuses papilionacées, ressemble à la fleur des pois de nos jardins; et ses pétales inférieurs soudés en éperon de galère enferment hermétiquement les étamines et le pistil. Tant qu’elle n’est pas mûre, l’abeille qui l’explore la trouve impénétrable. Mais dès qu’arrive pour les fiancés captifs l’heure de la puberté, sous le poids de l’insecte qui se pose, l’éperon s’abaisse, la chambre d’or éclate voluptueusement, projetant au loin, avec force, sur le visiteur, sur les fleurs prochaines, un nuage de poudre lumineuse, qu’un large pétale disposé en auvent, rabat, par surcroît de précautions, sur le stigmate qu’il s’agit d’imprégner» (c. n.).

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approprierà (ad esempio quando si parla di «fiancés captifs»). Un altro aspetto da sottolineare di questo passaggio, che è stato chiaramente ripreso da Proust, è che i fiori sono immaginati, oltre che come rugiade celesti, anche come stelle nella cavità di una grotta sottomarina: altra metafora dominante in Maeterlinck che abbiamo già visto qua e là riaffiorare. Questa presenza – sia pure secondaria – della grotta nelle evocazioni floreali cui Proust palesemente si ispira – rafforzata dalla “variazione” sul mito della caverna che chiude il saggio L’Intelligence des fleurs – ci riporta a un fatto sottolineato da Hassine e Fraser590: cioè che le grandi metafore botaniche del primo capitolo di Sodome et Gomorrhe sono concepite dal narratore come un succedaneo della contemplazione del geologo: «À défaut de la contemplation du géologue, j’avais du moins celle du botaniste»591 – ci avverte il narratore, dopo aver descritto la visione delle «pentes accidentées par où l’on monte jusqu’à l’hôtel de Bréquigny»592 e la «lente ascension de la côte abrupte»593 dei minuscoli personaggi da quadro che diventavano a distanza i domestici di quei palazzi. Il narratore ci avverte in apertura di libro che egli ha lasciato un sito d’osservazione elevato, da cui poteva scorgere i personaggi dei domestici avventurarsi nei «sentiers de la montagne» per un punto di osservazione più basso: benché il cortile sia parzialmente all’aperto, questo ci riporta all’immaginario della caverna che è un incubatore di spettacoli, anche inquietanti, come la proiezione delle ombre. Certamente paradigma geologico e botanico sono qui strettamente intrecciati. Bisogna allora pensare, con Hassine, che «le discours botanique serait un discours insuffisant par rapport au discours géologique» ?594 Al contrario, lo studio dei paratesti ci ha fin qui condotto a considerare i due paradigmi (botanico/geologico) strettamente congiunti nella genesi del testo di Sodome, come lo sono nei testi di Maeterlinck cui Proust si è ispirato. La tesi di Hassine è che il fenomeno dell’inversione rimanda alla tradizione zoharica della presenza dell’anima di una parente di sesso femminile nel corpo maschile dell’invertito (l’inverso vale per gli invertiti donne), che è trasmigrata in lui allo scopo di riscattarlo dal rischio e dal peccato della sterilità spirituale. Tale fenomeno – qui starebbe l’ironia proustiana – non è assolutamente spiegabile a 590. Cfr. J. Hassine, Ésotérisme et écriture…, cit., p. 96 : «La dimension ironique impliquée dans cette comparaison quand il s’agit de la conjonction Jupien-Charlus est susceptible de passer inaperçue si le lecteur ne rebrousse pas chemin vers la première page de l’Ouverture. Il s’avérera alors que le point de vue du botaniste fut adopté à défaut d’une autre solution. Le narrateur aurait préféré la contemplation du géologue qui est concerné tout le temps par le phénomène de cataclysmes et de création d’un nouveau monde et non par la perpétuation de ce monde-ci. C’est pour cela que Proust aime à parler en termes de géologie dans les chapitres sur la révélation esthétique». 591. SG, RTP, III, p. 3. 592. Ibid. 593. Ibid. 594. Cfr. J. Hassine, Ésotérisme et écriture…, cit., p. 96.

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partire da fatti naturali, ma solo «à travers un “croisement” opéré dans l’ordre des âmes».595 La condizione omosessuale sarebbe allora un segno di elezione che potrebbe trovare il proprio riscatto solo nell’ordine della creazione letteraria.596 Il paradigma botanico delle leggi naturali e il paradigma geologico della trasmigrazione delle anime dei defunti apparterebbero a due ordini completamente diversi e sarebbero in contraddizione assoluta, perché le piante giungerebbero, in fin dei conti, a soddisfare il loro desiderio di fecondazione per quanto mal collocato e bisognoso di servirsi di «ruses», mentre il desiderio omosessuale sarebbe radicalmente votato allo scacco nell’ordine naturale delle cose. Ora, è proprio quanto la lettura incrociata del testo di Proust e del testo di Maeterlinck che ne è la base non consente di affermare con sicurezza. Maeterlinck – giova qui ricordarlo – passa da una formazione tutta indirizzata in senso mistico (dove sono certamente presenti anche i testi dello Zohar e di Plotino su cui si basa Hassine) ad una seconda fase “naturalistica” la quale non recide affatto i legami con quella primitiva formazione culturale. La grande novità dello scritto di Maeterlinck sta nel presentare la natura non come un’entità misteriosa e perfetta retta da leggi fatali di predestinazione “scientifica”, ma, conformemente all’interpretazione che Maeterlinck dà del darwinismo, come il luogo degli errori, dello scacco, dei tentativi falliti, delle astuzie improvvisate, della volontà incosciente di vivere delle piante a dispetto di tutte le difficoltà e gli sbagli che commette la natura stessa.597 Pertanto il mondo della natura è già un incamminarsi verso il mondo dello spirito: «Les lois du monde végétal sont gouvernées elles-mêmes par des lois de plus en plus hautes».598 Quindi si deve pensare che il livello botanico del discorso metaforizzi adeguatamente un livello superiore, e che la discesa del narratore da un punto di osservazione più elevato a un punto di osservazione più basso non implichi un’alternativa radicale, ma sia piuttosto lo scenario – dislocato su due livelli diversi – di uno stesso mito, il mito della caverna reinterpretato naturalisticamente da Maeterlinck, dove il piano botanico si collocherebbe al livello 595. Ivi, p. 73. 596. Ibid.: «Au dire du narrateur, les invertis ne seraient pas des êtres contradictoires mais plutôt des êtres supérieurs et extraordinaires qui risqueraient de finir comme Charlus dans la dégradation totale s’ils n’assumaient pas leurs qualités d’exception dans une réalisation artistique». 597. Cfr. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., p. 11 : «Il semble donc que nous assistions au passionnant spectacle d’une espèce en travail d’invention, aux essais d’une famille qui n’a pas encore fixé sa destinée et cherche la meilleure façon d’assurer l’avenir»; ivi, p. 33 : «Mais la disposition, la forme, les habitudes de ces organes varient de fleur en fleur, comme si la nature avait une pensée qui ne peut encore se fixer, ou une imagination qui se fait son point d’honneur de ne jamais se répéter». Cfr. ancora ivi, p. 104 : «Si la nature savait tout, si elle ne se trompait jamais, elle se montrerait d’emblée parfaite et infaillible, si elle révélait en toutes choses une intelligence incommensurablement supérieure à la nôtre, c’est alors qu’il y aurait lieu de craindre et de perdre courage». 598. SG, RTP, III, p. 5.

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più basso, ma senza soluzione di continuità con il livello più alto. Questo perché la pianta stessa è animata da un’energia e da una volontà che la spinge a evadere dalla nicchia biologica che le è assegnata, cioè fuori dalle sue stesse leggi naturali.599 Basterebbe quest’ultima citazione a mostrare che il Maeterlinck 599. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., p. 4 : «Elle se tend toute entière dans un même dessein: échapper par le haut à la fatalité du bas; éluder, transgresser la lourde et sombre loi, se délivrer, briser l’étroite sphère, inventer ou invoquer des ailes, s’évader le plus loin possible, vaincre l’espace où le destin l’enferme, se rapprocher d’un autre règne, pénétrer dans un monde mouvant et animé… Qu’elle y parvienne, n’est-ce pas aussi surprenant que si nous réussissions à vivre hors du temps qu’un autre destin nous assigne, où à nous introduire dans un univers libéré des lois les plus pesantes de la matière?» (c. n.). Un’idea analoga si trova nelle opere di un maestro della filosofia universitaria della Sorbona negli anni ’90, considerato da Proust per lungo tempo un punto di riferimento intellettuale e morale: cfr. É. Boutroux, De la contingence des lois de la nature, Paris, Alcan, 19137; Id., De l’idée de loi naturelle dans la science et la philosophie contemporaines, Paris, Alcan, 1895. La filosofia di Boutroux parte dalla constatazione che in campo qualitativo (estetico, morale…) le cause non sono sempre proporzionate agli effetti. È possibile bandire dalla considerazione dell’essere ogni idea qualitativa? La quantità può avere un valore assoluto? Non è più logico considerare la quantità il limite di qualcos’altro, cioè di una qualità, di una sostanza? Sappiamo con precisione dove comincia e dove finisce esattamente un fenomeno, per racchiuderlo tutto precisamente nella sua condizione antecedente o determinante? Tutte queste domande che Boutroux pone giungono alla constatazione che le leggi della scienza appaiono sì inflessibili, ma sulla corta distanza. L’atteggiamento proprio di questa filosofia è molto antico: il “ritorno dell’anima a se stessa” di Plotino, il “noli foras ire” di Sant’Agostino, il Cogito di Cartesio, l“’autocoscienza” o “la coscienza” dei romantici, la “riflessione o l’esperienza interna” di empiristi e psicologisti sono tutti concetti che si riferiscono all’atteggiamento per cui l’uomo prende ad oggetto di indagine la sua stessa “interiorità”. Questa filosofia fa tesoro di alcuni aspetti del romanticismo, come la considerazione della coscienza quale luogo privilegiato di manifestazione del divino, ma del romanticismo rifiuta l’identificazione dell’Infinito col finito e la partecipazione della coscienza umana all’Assoluto. La realtà divina, per lo spiritualismo francese, resta trascendente. In campo gnoseologico, questa filosofia conserva il presupposto kantiano che i fatti esistono solo nella coscienza e per la coscienza. La difficoltà maggiore che questa filosofia incontra è costituita da quei fatti messi in luce dalla scienza che sono più impervi alla coscienza, come la materia, il meccanismo e la necessità causale. Boutroux si occupa fondamentalmente di critica della scienza: egli parte dal dato di fatto dell’esistenza delle leggi naturali, scoperte dalle scienze positive sulla base del principio delle relazioni costanti o delle identità di genere che si riscontrano nei fenomeni della natura. La sua preoccupazione è di sviluppare un discorso metafisico – che significa per lui innanzitutto epistemologico – e chiarire i limiti dei principi teorici e dell’applicabilità pratica delle leggi scoperte dalle scienze positive. Egli dimostra che, teoricamente almeno, le leggi naturali non possono definirsi necessarie. «Les lois sont le lit où passe le torrent des faits: ils l’ont creusé, bien qu’ils le suivent» (Id., De la contingence…, cit., p. 39). Ciò si esprime anche dicendo che «les rapport logiques objectives ne précèdent pas les choses : ils en dérivent» (ibid.). Egli contesta non l’attività dello scopritore di leggi, ma l’atteggiamento filosofico dello scienziato persuaso che le leggi siano la rivelazione dell’essenza delle cose, dei loro rapporti reali e immutabili. Nel vocabolario proustiano restano parole importanti di Boutroux: marche, che in Boutroux indica il progresso insensibile delle cose, couche, che indica il carattere mobile e stratificato dell’essere. Per Boutroux, il mondo è governato da un principio di libertà e di spontaneità creatrice che non può avere limiti assegnabili. Il cambiamento e la permanenza sono inestricabilmente intrecciati nel corso delle cose, anche i rapporti più stabili riposano su un fondo di movimento creatore. L’essere è impaziente di immobilità assoluta, pure negli strati più profondi: «ses couches les plus profondes » (ivi, p. 34). Le leggi si spiegano come un momento di quiescenza della sorgente creatrice, in tutto analoga al processo che presiede alla formazione delle abitudini nella vita umana. Dunque quello che lo scienziato talvolta scambia per il fondo ultimo della realtà espresso nelle leggi di permanenza di certi rapporti quantitativi, non ne è altro che l’aspetto superficiale e concomitante al movimento insensibile che anima le cose. Le riflessioni di Boutroux sulla scienza sono chiaroveggenti: egli osserva che la stabilità che le leggi di permanenza pretendono di assegnare al corso delle cose si scambia per unica legge inflessibile perché per misurare l’indeterminazione radicale che è la musica di sottofondo dell’universo, occorrerebbe

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“naturalista” è rimasto mistico. Nella natura Maeterlinck scorge l’inizio, se vogliamo, di quel processo di autoliberazione ed espressione che Hassine vede culminare nel progetto proustiano di creazione letteraria. L’eros delle piante è già un incamminarsi verso la creazione artistica. Non ci pare permisurare le cose su distanze spaziali e temporali assai maggiori, disporre di una vista più lunga e di mezzi di valutazione meno grossolani. L’occhio della scienza guarda le cose per un attimo soltanto ed è forse per la brevità del suo sguardo che il mondo gli appare perfettamente determinato. Boutroux indaga l’origine logica e la formazione storica della necessità. Su cosa si fonda la credenza scientifica al determinismo? L’unico rapporto necessario, il tipo perfetto ma unico della necessità primordiale è il rapporto di causalità, definito da Kant come necessità inerente alle leggi dell’intelletto ma non per questo meno cogente. «Le principe de la liaison nécessaire des choses, la pierre magnétique dont la valeur se transmet à tous les anneaux, ne peut être que la synthèse causale à priori» (ivi, p. 13). La scienza moderna non impiega il principio causale nella ricerca di una causa prima generatrice. Per la scienza, la causa di un fenomeno risiede in un altro fenomeno: non è una causa metafisica quanto una condizione antecedente. Il senso preciso dell’applicazione del principio di causa al mondo dato è il seguente: ogni cambiamento che sopravviene nelle cose è legato invariabilmente ad un altro cambiamento, come ad una condizione, e non ad un cambiamento qualsiasi, ma a un cambiamento determinato, tale che non ci sia mai più nel condizionato che nella condizione. In questi termini il principio causale attinge i suoi termini dall’esperienza. Boutroux non nega la validità generale del principio, ma cerca di sollevare delle questioni relative ai limiti della sua applicazione. In uno spazio breve, tutto appare inflessibilmente determinato. In una considerazione più ampia dei fenomeni, non si può negare la presenza della contingenza. Alcune osservazioni di Boutroux preannunciano il principio di indeterminazione di Heisenberg: « nous ne voyons en quelque sorte que les contenants des choses, non les choses elles-mêmes. Nous ne savons pas si les choses occupent, dans leurs contenants, une place assignable. A supposer que les phénomènes fussent indéterminés, mais dans une certaine mesure seulement, laquelle pourrait dépasser invinciblement la portée de nos grossiers moyens d’évaluation, les apparences n’en seraient pas moins exactement telles que nous les voyons» (ivi, p. 24). La legge di causalità, che afferma la conservazione dell’essere, non si applica perfettamente ai dati dell’esperienza: « elle trahit l’intervention originale de l’entendement, qui, au lieu de se borner à observer la réalité, lui prête une forme adaptée à ses propres tendances. La loi de causalité, sous sa forme abstraite et absolue, peut donc être à bon droit la maxime pratique de la science, dont l’objet est de suivre un à un les fils de la trame infinie; mais elle n’apparaît plus que comme une vérité incomplète et relative, lorsque l’on essaye de se représenter l’entrelacement universel, la pénétration réciproque du changement et de la permanence, qui constitue la vie et l’existence réelle. Le monde, considéré dans l’unité de son existence réelle, présente une indétermination radicale trop faible sans doute pour être apparente, si l’on n’observe les choses que pendant une très petite partie de leur cours, mais parfois visible, lorsque l’on compare des faits séparés les uns des autres par une longue série d’intermédiaires. Il n’y a pas d’équivalence, rapport de causalité pure et simple, entre un homme et les éléments qui lui ont donné naissance, entre l’être développé et l’être en voie de formation» (ivi, pp. 27-28). Un ragionamento analogo sembra riproporsi in un passaggio di Sodome et Gomorrhe : «Les êtres ne cessent pas de changer de place par rapport à nous. Dans la marche insensible mais éternelle du monde, nous les considérons comme immobiles dans un instant de vision, trop court pour que le mouvement qui les entraîne soit perçu. Mais nous n’avons qu’à choisir dans notre mémoire deux images prises d’eux à des moments différents, assez rapprochés cependant pour qu’ils n’aient pas changé en eux-mêmes, du moins sensiblement, et la différence des deux images mesure le déplacement qu’ils ont opéré par rapport à nous» (SG, RTP, III, pp. 409-410). L’idea di una trasformazione che agisce in modo sotterraneo, senza rivelarsi al primo sguardo gettato sulle cose, è un aspetto fondamentale della dottrina della contingenza: essa riaffiora in Proust quando scrive « marche insensible mais éternelle du monde ». « Mais si la contingences [sic] des lois générales n’amène que de faibles variations pour des masses immenses et des périodes de temps considérables, comment les éléments de ces variations apparaîtraient-ils à l’expérimentateur qui opère pendant quelques instants sur quelques parcelles de matière?» (É. Boutroux, De la contingence…, cit., p. 75). Per Boutroux, i ricordi si trasformano in quadri, in moules, ed è un’utile metamorfosi, senza la quale non esisterebbe schema per orientarsi nel mondo. Esiste un’analogia fra la forma schematica del ricordo e la nozione di legge.

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tanto di poter sottoscrivere il taglio netto fra geologico e botanico che la lettura di Hassine sembra avallare, tanto più che i testi mostrano la stretta unità della loro genesi congiunta. Anche perché, se non sembra esserci trasmigrazione delle anime dalle piante all’uomo nello scritto di Maeterlinck, c’è sicuramente la trasmissione di un fluido comune, l’intelligenza, che appartiene a un fondo immemoriale.600 Con un paragone che dà credito alle intuizioni di Barilli, per il quale il simbolismo è legato a filo doppio alla scoperta dell’energia elettrica, Maeterlinck paragona l’intelligenza universale a un fluido simile all’elettricità di cui i diversi corpi e lo stesso cervello umano sarebbero più o meno buoni conduttori.601 Con un’intuizione analoga, Proust in Jean Santeuil aveva paragonato il funzionamento della memoria all’elettricità e alla macchina a vapore.602 Un aspetto di comunanza fra Proust e Maeterlinck a questo riguardo è in un certo “macchinismo” delle similitudini usate per contrassegnare il funzionamento della memoria e del pensiero universali, fluidi sottili ma bisognosi di montare delle macchine sempre più complicate per poter agire. Maeterlinck paragona a più riprese i meccanismi complessi montati dalle orchidee ai perfezionamenti dell’automobile e dell’aeroplano.603 Altro elemento da sottolineare è la piega e la tortuosità del modo di procedere dell’intelligenza universale, che sembra muoversi in un cosmo dove la lotta contro la materialità inerte costringe gli esseri viventi a continui soprassalti e deviazioni nel modo di procedere.604 Il Genio della Terra agisce come un’intelligenza umana, al modo di un artigiano.605 Non è 600. Cfr. ivi, p. 21. 601. Ivi, pp. 105-106. 602. M. Proust, JS, pp. 116-117. 603. Cfr. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 72-73, 84, 86. 604. Ivi, pp. 72-73 : «N’est-ce pas exactement ainsi, par des riens, par des reprises, par des retouches successives que progressent les inventions humaines? Nous avons tous suivi, dans la plus récente de nos industries mécaniques, les perfectionnements minimes mais incessantes de l’allumage, de la carburation, du débrayage, du changement de vitesse. On dirait vraiment que les idées viennent aux fleurs de la même façon qu’elles nous viennent. Elles tâtonnent dans la même nuit, elles rencontrent les mêmes obstacles, la même mauvaise volonté, dans le même inconnu. Elles connaissent les mêmes lois, les mêmes déceptions, les mêmes triomphes lents et difficiles. Il semble qu’elles ont notre patience, notre persévérance, notre amour-propre; la même intelligence nuancée et diverse, presque le même espoir et le même idéal. Elles luttent comme nous, contre une grande force indifférente qui finit par les aider. Leur imagination inventive suit non seulement les mêmes méthodes prudentes et minutieuses, les mêmes petits sentiers fatigants, étroits et contournés, elle a aussi des bouts inattendus qui mettent tout à coup au point définitif, une trouvaille incertaine» (c. n.). 605. Ivi, pp. 98-99, c. n.: «Il use des mêmes méthodes, de la même logique. Il atteint au but par les moyens que nous emploierions, il tâtonne, il hésite, il s’y reprend à plusieurs fois, il ajoute, il élimine, il reconnaît et redresse ses erreurs comme nous le ferions à sa place. Il s’évertue, il invente péniblement et petit à petit, à la façon des ouvriers et des ingénieurs de nos ateliers. Il lutte, ainsi que nous, contre la masse pesante, énorme et obscure de son être. Il ne sait pas plus que nous où il va; il se cherche, se découvre peu à peu. Il a un idéal souvent confus, mais où l’on distingue néanmoins une foule de grandes lignes qui s’élèvent vers une vie plus

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arbitrario pensare che la descrizione di questo cammino tortuoso, che si riprende più volte, di questa lotta della pianta contro la massa oscura del proprio essere per giungere alla chiarificazione di un’impressione confusa possa costituire una delle fonti del celebre episodio della madeleine: «Grave incertitude, toutes les fois que l’esprit se sent depassé par lui-même; quand lui, le chercheur, est tout ensemble le pays obscur où il doit chercher et où tout son bagage ne lui sera de rien».606 Oltre all’oscurità di questa massa che grava sullo spirito e contro la quale lo spirito deve lottare, in tutto il celebre passaggio Proust non manca di sottolineare le incertezze e i ripensamenti del protagonista di quest’avventura intellettuale: «Dix fois il me faut recommencer, me pencher vers lui».607 La presenza dell’elemento della piega si può considerare un elemento stilistico costante in Maeterlinck. Secondo Deleuze, la casa barocca si svolge su due piani, dove il primo rappresenta la materia ed è in parte poroso e permeabile, il secondo rappresenta lo spirito. Il principio del raddoppiamento interno fa della piega che separa un piano dall’altro una doppia piega, una piega fra pieghe: nel caso di Maeterlinck, si pensa alle pieghe minerali della grotta che abitano il piano di sotto, alle pieghe vegetali del fogliame che rivestono e tappezzano la serra, che è al piano di sopra. E questa piega doppia che separa i due piani è, secondo la celebre tesi di Deleuze, proprio la caratteristica che contraddistingue l’universo di Leibniz.608 Il principio della piega predomina nella contestura della materia, che non si divide in punti indivisibili o minimi, ma sempre in nuove pieghe.609 Questo principio testimonia dell’affinità della materia con la vita: D’altro lato, la formazione dell’organismo resterebbe un mistero improbabile o un miracolo se la materia si dividesse anche all’infinito in punti indipendenti, ma diventa sempre più probabile e naturale quando ci si propone un’infinità di stati intermediari (già ripiegati) di cui ciascuno comporta una coesione, al suo livello, un poco come risulta improbabile di comporre a caso una parola con lettere separate, ma diventa molto più probabile con sillabe o desinenze.610

Infine, ultima caratteristica, «la materia-piega è una materia-tempo».611 Possiamo affermare che queste caratteristiche individuate da Deleuze a proposito del pensiero di Leibniz siano presenti anche in Maeterlinck. In quest’ultimo riardente, plus complexe, plus nerveuse, plus spirituelle ». 606. CS, RTP, I, p. 45, c. n. 607. Ivi, p. 46. 608. G. Deleuze, La piega, cit., p. 8. 609. Ivi, p. 9. 610. Ivi, p. 10. 611. Ivi, p. 11.

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troviamo l’elemento della piega in una significativa connessione con il tema della giustizia divina. Le potenze invisibili e fatali che animano i primi drammi esercitano una forma di giustizia sorniona, sotterranea, «tortuosa», dove l’elemento della piega assume un valore di decreto del destino.612 In seguito a quella rivoluzione interiore che si attua dopo il 1896, Maeterlinck vede il problema della giustizia in una forma completamente diversa, come mostra il saggio intitolato appunto La Justice in Le Temple enseveli. Ogni concezione di derivazione metafisica è qui abbandonata: la giustizia non è più l’emanazione dello sguardo soprannaturale e infinitamente attento e arcigno di un Giudice supremo, ma una creazione esclusivamente umana che non solo non trova riscontri metafisici, ma non è neppure minimamente confermata dall’andamento delle cose della natura. Non esiste assolutamente una giustizia fisica che costituirebbe agli occhi dell’uomo inesperto la sanzione da parte dei fatti delle proprie buone e cattive azioni. La giustizia è un prodotto esclusivo della coscienza umana che sembra nella maggior parte dei casi contraddire la natura, e forse non è altro che una particella dell’immensa forza che la natura dispiega nell’evoluzione della vita che è stata deviata dall’uomo per fini sconosciuti alla natura stessa. Anche qui compare l’elemento della piega e della tortuosità – il segno di una deviazione – che contraddistingueva la giustizia anche nella sua concezione precedente e oggettiva. Tutto il saggio si articola sul grande interrogativo se regni anche una giustizia nella natura, nelle cose materialmente visibili, e la risposta è complessa e articolata: in generale l’uomo non può scorgere alcun principio di giustizia nel modo di procedere della natura, e in questo senso l’ideale di giustizia che egli porta con sé è una creazione esclusivamente umana che lo separa nettamente dal resto della natura; ma in realtà non è possibile sapere se la natura non contenga un principio di riparazione dei mali ingiusti e totalmente fortuiti che sembra commettere, atteso che ha a disposizione un tempo e uno spazio infiniti per realizzare una propria eventuale trasfigurazione e redenzione. In L’Intelligence des fleurs, Maeterlinck approda a una concezione della legge naturale come divenire in una prospettiva di continuo autosuperamento. Se la legge divina era «tortuosa», la legge naturale è “complicata”, e l’intelligenza degli esseri viventi – in primo luogo l’uomo, ma anche le piante e gli animali – si muove nelle pieghe della sua complicazione nel continuo tentativo di trascenderla e di autotrascendersi. Possiamo evidenziare in questa evoluzione spirituale tutti gli elementi messi in rilievo da Deleuze: la presenza di una piega doppia nei due piani dello spirito e della materia, e di una «piega fra pieghe» che garantisce la permeabilità e la comunicazione attraverso i due piani; il carattere biologico dei ripiegamenti; la presenza del fattore-tempo, necessario allo sviluppo delle pieghe e alla trasfigu612. M. Maeterlinck, L’Évolution du mystère, in Id., Le Temple enseveli, cit., pp. 112-113.

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razione e redenzione della natura. Che Maeterlinck si muova in una prospettiva leibniziana – che illumina e rafforza le componenti schopenhaueriane del saggio L’Intelligence des fleurs messe in risalto dai commentatori – appare confermato anche dalla sua conclusione, dove è evocato un concetto squisitamente leibniziano, il Meglio.613 Possiamo quindi tirare le fila del nostro discorso affermando che Proust elabora l’ouverture di Sodome et Gomorrhe come una vasta rappresentazione metaforica del processo della resurrezione memoriale, sintetizzato dai miti di redenzione sottesi all’uscita dalla caverna, che hanno per protagonisti le piante, secondo le interpretazioni maeterlinckiane del mito su cui ci siamo più volte soffermati. Come mostra Compagnon, l’ouverture di Sodome costituisce il punto centrale della Recherche rispetto al quale si ordina la simmetria fra temps perdu e temps retrouvé. In questo “secondo ingresso” della Recherche, viene sottolineata l’importanza del ruolo dello scrittore come scopritore e formulatore di leggi: «Mes réflexions avaient suivi une pente que je décrirai plus tard et j’avais déjà tiré de la ruse apparente des fleurs une conséquence sur toute une partie inconsciente de l’œuvre littéraire»614 – confessa il narratore impegnato a spiare l’arrivo dell’insetto provvidenziale, senza però più rivelarci gli sviluppi teorici delle sue riflessioni. Ma una spia che queste riflessioni dovevano gravitare intorno ai concetti di inconscio e di chiarimento delle leggi che presiedono alla creazione ci viene da un più ampio sviluppo manoscritto cui rimandiamo in nota.615 613. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 106-107. 614. SG, RTP, III, p. 5. 615. RTP, III, pp. 1270-1271 : « Quoi qu’il en soit j’en arrivais à me demander si, si inconsciente que soit, sous le gouvernement de ses belles lois aveugles, les plus merveilleuses parties de nous-mêmes, nous ne pourrions pas arriver, peut-être à cause de leur proximité plus grande de la pensée, à en avoir une connaissance autre que celle que nous aurions du dehors, autre que rationnelle et scientifique, si nous ne pourrions pas arriver à les connaître directement, c’est-à-dire à ce qu’elles se connaissent elles-mêmes, à ce que pour une petite part, sur certains points, elles se doublent de conscience, elles deviennent réfléchissantes, comme s’est faite au-dessous du front notre chair là où elle est devenue des yeux. add. paperole] Quand à Combray dans la voiture du docteur [Du Boulbon biffé] [Percepied corr.] j’étais resté si longtemps immobile et l’esprit tendu après avoir vu les clochers de Martinville, je n’avais certes rien cherché à inventer ni à pauvrement composer selon ma chétive fantaisie d’imbécile; non l’effort désespéré que j’avais fait alors, et depuis renouvelé quelquefois, bien rarement, dans ma vie, n’avait-ce pas été de tâcher d’arriver à rendre conscient en moi un petit fragment de ces lois – mais pas celles du monde physique, plus hautes encore – de ces lois inconscientes qui convergeaient en moi à mon insu, aussi nombreuses, aussi incessantes, aussi inconnues à elles-mêmes, que celles qui existent dans nos organes, dans les animaux, dans les plantes. De sorte [que le seul biffé] [qu’un corr.] livre qui serait la peine d’être écrit si jamais la volonté de travailler me venait serait un livre où lever seulement le voile de l’inconscience sur les lois qui dirigeant l’imagination, mais dirigeant aussi l’amour-propre, sont divines chez les poètes mais aussi chez les sots. Au premier abord rendre conscient, faire se formuler à nous ce qui d’abord est inconscient, n’est pour nous exactement rien, cela semble impossible. L’effort est long, semble devoir rester toujours inutile. Et pourtant n’arrive-t-il dans notre esprit qu’il y a des choses que nous voyons tout d’un coup sortir tout entières de rien, créées ex nihilo, dans la réminiscence par exemple. Sans doute quelquefois cherchant à nous rappeler quelque chose nous avons frôlé un indice, nous saisissons parfois une antenne du souvenir qui se

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Questo lungo sviluppo colma la lacuna che resta nel testo definitivo: sono – ci pare di poter affermare – le riflessioni che il narratore trae dall’astuzia incosciente delle piante a proposito dell’opera letteraria. Innanzitutto il chiarimento delle leggi inconscie, che si fa non per mezzo della ragione o dell’intelligenza, ma per un processo quasi osmotico: quello che Proust formulerà più avanti nella poetica della metafora. Poi, l’esempio, la reminiscenza. Nello sforzo per ricordarsi un nome, Proust distingue due fasi che possono essere alternative l’una all’altra oppure successive: 1) lo sforzo paziente e lento 2) la creazione dal nulla di un nome da parte dello spirito. Quest’ultima fase è contrassegnata dall’espressione che ricompare sempre nelle resurrezioni involontarie: «tout d’un coup». Maeterlinck ugualmente aveva distinto queste due fasi nell’intelligenza delle piante: «Leur imagination inventive suit non seulement les mêmes méthodes prudentes et minutieuses, les mêmes petits sentiers fatigants, étroits et contournés, elle a aussi des bouts inattendus qui mettent tout à coup au point définitif, une trouvaille incertaine».616 Anche qui troviamo lo stesso avverbio, tout d’un coup. Questa coincidenza può aver colpito Proust, che interpreta lo sforzo della pianta per autotrascendersi, per passare da un inconscio inferiore a uno superiore attraverso un processo osmotico, che la porta a creare o a dotarsi di organi (cfr. l’esempio dell’occhio), alla luce della sua teoria della reminiscenza. Nell’uomo la reminiscenza equivale a quel processo di autotrascendimento che Maeterlinck mette in risalto nelle operazioni della natura. D’altronde le pagine di Maeterlinck sembrano autorizzare questa interpretazione, atteso che le scoperte umane sono reminiscenze di un fluido immemoriale sparso nella natura. E questo processo ha due fasi, come abbiamo visto, alle quali potremmo applicare i termini con cui Proust designa l’evoluzione dei suoi personaggi: appesantimento e deviazione. L’energia concentrata in numerosi sforzi pazienti viene deviata «tout d’un coup» a contrassegnare insieme un trascendimento della natura e dello spirito da parte di se stessi. Secondo Maeterlinck, lo spirito è una particella deviata della natura.

dérobe, nous pouvons prendre un point d’appui sur telle ou telle notion concernant le souvenir, et après chaque échec nous nous disons courage, encore un dernier effort. Mais il n’en est pas toujours ainsi. À Balbec quand j’avais vu le nom de Mlle Simonet dont Gilberte m’avait parlé ne m’étais-je pas dit qu’elle avait autrefois prononcé ce nom devant moi. Mais rien ne m’en restait, j’ignorais si ce prénom était long ou court, formé d’un seul mot ou de deux, courant ou rare, sonore ou sourd, finissant par un e muet ou par une voyelle, éclatant ou terne, français ou étranger, se rapprochant de tel ou tel autre. Pendant des heures j’avais fait effort, si tel est qu’on puisse appeler effort une peine prise dans le vide, qui ne s’appuie sur rien, qui ne s’aide de rien. Dans mon esprit la page où j’aurais voulu peu à peu recomposer ce prénom était restée blanche. Et puis tout d’un coup, d’un seul coup, sur cette page j’avais vu tracé au complet par une main invisible et divine, et qu’il me semblait n’avoir pu guider : Albertine» (c. n.). 616. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., p. 73.

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III. 10. L’abolizione delle metafore. Alla metafora è dedicata la lunga nota di Proust al testo della sua traduzione di Sésame et les Lys nella quale Proust parla nuovamente di Maeterlinck accostandolo a Ruskin. Proust coglie un punto di contatto fra quanto Ruskin afferma a proposito della vanità delle metafore, che ci spingono all’ammirazione per oggetti di cui sappiamo lo scarso valore, e quanto afferma Maeterlinck nel saggio L’Évolution du mystère, contenuto nella raccolta Le Temple enseveli (1902). Proust mette in luce come il rifiuto teorico delle metafore che caratterizza Maeterlinck in questa fase non sia sostenuto dalla pratica del suo stile, che ne contiene di splendide, e conclude da ciò che la bellezza dello stile è irrazionale, e che ciò che c’è di più efficace nelle opere di Maeterlinck è qualche immagine che fa quadro, a dispetto dell’evoluzione del pensatore che segue una via separata da quella dello scrittore. Proust mette dunque Maeterlinck in contraddizione con se stesso, per affermare l’insostituibilità della metafora, e la superiorità della letteratura sulla filosofia. Sono due capisaldi che già all’altezza del 1905 sembrano preludere alla Recherche. Un punto è ancora più fondamentale: Proust in questo testo dedicato a Maeterlinck mette in relazione esplicitamente la metafora e il chiarimento delle percezioni oscure affermando che solo la metafora consente, letterariamente parlando, tale chiarimento. Il tema che abbiamo visto predominare l’incontro fra Maeterlinck e Proust nelle diverse occorrenze testuali da noi esaminate fin qui si ripropone in questa decisiva formulazione di poetica. Il testo della nota di Proust commenta la dottrina ruskiniana della lettura come conversazione con personaggi importanti, laddove Ruskin afferma che preferire il volgare chiacchiericcio quotidiano ai piaceri della lettura è come preferire la conversazione di un garzone di scuderia a quella di un re. Lo riportiamo di seguito in nota.617 Ecco che Proust mette Maeterlinck in contraddizione con 617. J. Ruskin, M. Proust, Sésame et les Lys Précédé de Sur la lecture, introduction d’A. Compagnon, Complexe, Bruxelles, 1987, pp. 125-127, n. 18: «Pascal dit: “Quelle vanité que la peinture qui attire l’admiration par la ressemblance des choses dont on n’admire pas les originaux!” Ne pourrait-on pas dire ici […] : “Quelle vanité que la métaphore quand elle attire l’admiration par la ressemblance des choses dont on n’admire pas les originaux.” “Quelle vanité que la métaphore quand elle donne de la dignité à l’idée précisément à l’aide des fausses grandeurs dont nous nions la dignité.” Ruskin dit: “Voulez-vous aller bavarder avec votre femme de chambre ou votre garçon d’écurie quand vous pouvez vous entretenir avec des rois et des reines.” Mais en réalité, et si cela n’était pas une métaphore, Ruskin ne trouverait pas du tout qu’il vaut mieux causer avec un roi qu’avec une servante […]. Ainsi les mots rois, noblesse, pour ne citer que ceux qui se rapportent exactement au passage en question, sont employés, par des écrivains qui savent le néant de ces choses, pour donner à une idée plus de grandeur (grandeur que ces choses ne peuvent pourtant pas donner puisqu’elles ne la possèdent pas en réalité). Je trouve dans Maeterlinck (l’Évolution du Mystère, dans le Temple Enseveli) une remarque du même genre que la mienne (avec la profondeur et la beauté en plus, cela va sans dire): “Demandons-nous, ditil, si l’heure n’est pas venue de faire une révision sérieuse des beautés, des images, des symboles, des sentiments, dont nous usons encore pour amplifier le spectacle du monde. Il est certain que la plupart d’entre eux

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se stesso. Il testo di Maeterlinck citato da Proust in questa nota è un estratto di un lungo saggio della raccolta Le Temple enseveli che continua la riflessione contenuta nella Préface al teatro del 1901. Qui Maeterlinck afferma che l’evoluzione della scienza sembra prossima a dimostrare che le grandi forze che agiscono tutt’intorno e dentro l’uomo sono cieche, anonime ed impersonali, alla stessa stregua di elementi materiali, e non configurano in nessun modo l’esistenza di una volontà cosciente che mira a intralciare e rendere drammatiche le vicende degli uomini. Ma per il drammaturgo il confronto con una volontà o con un principio astratto, concepiti antropomorficamente, cioè con l’idea di una volontà cosciente che soppesa le azioni degli uomini e interviene attivamente e razionalmente nelle loro vicende, con l’idea di un Giudice supremo, è necessario se si vuole avere un alone d’infinito intorno alla rappresentazione delle nostre azioni, ovverosia proprio ciò che fa il pregio della poesia drammatica. Invocando il dovere della sincerità, Maeterlinck giunge a espungere dalla sua concezione qualunque forma di trascendenza. Bisogna scegliere la verità che ci aggrada in base a quello che ci detta la ragione e non in base a preferenze estetiche, e l’atteggiamento religioso di fronte al mistero va pertanto rifiutato pur essendo esteticamente più bello. Maeterlinck richiama il tema dell’aggiornamento e del ricambio delle idee, affermando che il compito del poeta è di restare in accordo con l’idea che rispecchia meglio il presente.618 Questa verità aggiornata al presente è utile e attiva, anche se è destinata a restare una verità senza nome, anche se non ci sono parole e immagini attuali a tradurla, anche se la sua funzione resta quella puramente negativa di scalzare dal loro trono le verità più antiche e di lasciarvi al loro posto uno spazio vuoto.619 Maeterlinck riprende testualmente le formulazioni della Préface del 1901 per illustrare la vecchia concezione che aveva presieduto alla creazione dei suoi primi drammi. Essi sono l’illustrazione più evidente di uno spirito che si abbandona al mistero. La concezione teologica e filosofica che ne risulta è per Maeterlinck lo sbocco inevitabile di questo atteggiamento che si lascia sopraffare dal fascino del mistero.620 Accanto ad una forn’ont plus que des rapports précaires avec les pensées de notre existence réelle, et s’ils nous retiennent encore c’est plutôt à titre de souvenirs innocents et gracieux d’un passé plus crédule et plus proche de l’enfance de l’homme. (Or) il n’est pas indifférent de vivre au milieu d’images fausses, alors même que nous savons qu’elles sont fausses. Les images trompeuses finissent par prendre la place des idées justes qu’elles représentent, etc.” A merveille, mais maintenant ouvrons au hasard n’importe lequel des derniers volumes de Maeterlinck (je dis des derniers, car pour la première partie de son œuvre il reconnaît volontiers qu’il y a sacrifié à un idéal de beauté périmé) et nous avançons au milieu de “Reines irrités, de Princesses endormies” (je cite de mémoire et peut-être inexactement), de “Nymphes captives”, de “Rois déchus”, de “seul Prince authentique dont la noblesse remonte à celle des Dieux mêmes”». 618. M. Maeterlinck, L’Évolution du Mystère, cit., p. 105. 619. Ivi, pp. 110-111. 620. Ivi, pp. 112-113.

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ma di giustizia negativa e sorniona, l’altro grande caposaldo che vi si riscontra è la presenza «infinie, ténébreuse, sournoisement active»621 della morte, che riempiva tutti gli interstizi delle sue opere. Maeterlinck riprende testualmente il passaggio della Préface da noi già citato sulla morte, dove è notevole l’immagine delle lacrime sparse che cadono nell’abisso del mistero e hanno valore solo in quanto il rumore che producono è confuso e sordo, e fa pensare che lo spazio nel quale cadono sia vasto e profondo: chiaro esempio della creazione di quel retroscena d’infinito che è secondo lui la principale risorsa drammatica. Maeterlinck insiste sul ruolo di tali credenze teologiche per ottenere secondo una ricetta sicura quel fremito e quello spavento religioso davanti al mistero che di norma la tragedia produceva. Cita tre esempi di tali credenze: il dovere eroico (Corneille), il Dio personale (Calderòn), la Giustizia immanente (Sofocle).622 Queste credenze nella modernità sono ormai usurate. Maeterlinck si sofferma in particolare sull’insostenibilità del principio di una Giustizia immanente.623 Qui Maeterlinck tocca uno dei punti fondamentali della sua argomentazione. Accanto a questa concezione insostenibile agli occhi dei moderni, l’indagine psicologica scopre un altro tipo di giustizia puramente umana, che Maeterlinck chiama giustizia psicologica. Ma quest’ultima, se appare conforme ai principi della verosimiglianza e della realtà sopra evocati, e se è ricca d’interesse dal punto di vista della ricerca etica, appare sprovvista proprio dello sfondo d’infinito richiesto alle principali creazioni drammatiche. Maeterlinck a questo punto si domanda se sia lecito al poeta moderno creare tale sfondo d’infinito, e conclude con una risposta negativa.624 Lo sbocco della drammaturgia moderna è dunque il dramma psicologico. Maeterlinck inverte i termini del problema posto al tempo di Le tragique quotidien (1896): se allora il compito del drammaturgo consisteva principalmente nella creazione di effetti d’ingrandimento che mirassero a rendere palpabile lo sfondo e l’orizzonte dell’opera drammatica antica, ora tale sfondo è giudicato inservibile o comunque irrealizzabile ai fini della poesia moderna. I drammaturghi contemporanei come Ibsen non hanno però rinunciato all’aspirazione di ringiovanire le antiche credenze per introdurre un principio di fatalità nelle loro opere. Tale principio risponde ad una delle più segrete e profonde aspirazioni umane: c’è nell’uomo una forma di vanità sentimentale che lo spinge a provare compiacimento davanti all’idea di essere l’oggetto dell’attenzione appassionata di forze cosmiche coscienti e volontarie, anche se tale attenzione ha di solito lo scopo di 621. Ivi, p. 113. 622. Ivi, pp. 120-121. 623. Ivi, p. 123. 624. Ivi, p. 124.

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condurlo alla miseria ed all’infelicità. Così i drammaturghi contemporanei hanno cercato di utilizzare i ruderi dell’antica statua della fatalità cara ai greci per modellare una nuova statua, più adatta alle esigenze umane. Ma in fin dei conti tutto continua a reggersi sempre su interventi soprannaturali. Ciò è in assoluto contrasto con la ragione e il buonsenso dell’uomo contemporaneo, che vede mobili psicologici al posto d’interventi oscuri di forze cosmiche e metafisiche.625 Ed ecco la conclusione: il poeta deve rinunciare al simbolo in favore di una verità negativa e sempre provvisoria. La svolta di Maeterlinck rispetto ai suoi esordi non potrebbe essere più radicale. Le devoir du poète serait, tout au contraire, de lui proposer une explication plus haute, plus claire, plus largement et plus profondément humaine que celle que lui-même peut trouver. Sinon, il ne verra dans l’enfer, dans la colère du dieu, dans les décrets d’airain, qu’une ostentation de symboles qui ne le satisfont plus. Il est temps que les poètes le reconnaissent: le symbole suffit à représenter provisoirement une vérité admise ou une vérité qu’on ne peut ou qu’on ne veut pas encore regarder; mais quand vient le moment où l’on veut voir la vérité même, il est bon que le symbole disparaisse. Il faut d’ailleurs, pour qu’un symbole soit digne d’une poésie réellement vivante, qu’il soit au moins aussi grand, aussi beau que la vérité qu’il représente; il faut aussi qu’il précède une vérité et non pas qu’il la suive.626

Il principio dell’autoevidenza immediata della verità al di fuori dei veli sensibili, che abbiamo visto già operante, giunge qui all’estrema conseguenza dell’espunzione del simbolo dall’opera d’arte. Ma cosa ne prenderà il posto? Il cammino di Maeterlinck sembra orientarsi in direzione della filosofia e anche di una concezione moderna della storiografia. Il razionalismo che contrassegna questa fase della sua produzione tende a porre in risalto assoluto i mobili psicologici e umani delle azioni e a respingere completamente il mistero: catalizzatrice di questa svolta è sempre la riflessione sull’origine del male.627 In conclusione, «notre malheur moral dépend, au fond, de notre esprit et de notre caractère, et nos malheurs physiques du jeu de certaines forces souvent mal connues, de relations de cause à effet souvent mal définies, mais qui pourtant ne sont pas totalment étrangères à ce que nous pouvons espérer de pénétrer un jour dans la nature».628 Tuttavia, nelle ore di turbamento causate da qualche sventura, l’uomo è assalito dalla mancanza di lucidità che lo porta a credere all’esistenza di una volontà tesa al male e maldisposta proprio contro di lui. Per rendere più solenne il dolore dell’uomo, non di rado l’interprete della vita – ovverosia il poeta drammatico – si pone nel punto di vista dell’uomo turbato e poco lucido. Ne ri625. Ivi, p. 130. 626. Ivi, pp. 130-131, c. n. 627. Ivi, pp. 139-140. 628. Ivi, p. 141.

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sulta una visione di scorcio dove certi particolari sono ingranditi a dismisura: «En général, l’interprète de la vie, quel qu’il soit, prend les heures troublées. Il se met et nous met dans l’état d’âme des victimes. Il nous représente les malheurs d’autrui en raccourci, si brusquement, si massivement, que nous avons un instant l’illusion d’un malheur personnel».629 Assumendo il punto di vista di una coscienza turbata e poco lucida il poeta ottiene una rappresentazione fortemente deformata della realtà, dove l’elemento che spicca – assieme all’ingrandimento e alla visione di scorcio – è la costitutiva mancanza di tempo: Si nous avions vécu de longues années avec le personnage principal du drame qui nous bouleverse, si ce personnage avait été notre frère, notre ami, nous aurions probablement dénombré, reconnu au passage toutes les causes de son infortune, qui nous étonnerait bien moins, et, bien souvent, nous paraîtrait au contraire très naturelle et presque humainement inéluctable. Mais l’interprète de la vie n’a ni le temps ni le pouvoir de nous parler de toutes les causes véritables. Elles sont d’ordinaire insignifiantes, infiniment petites, multiples, et extrêmement lentes. Il est donc porté à substituer aux causes humaines et réelles qu’il ne peut nous montrer, qu’il lui est impossible d’étudier et d’énumérer, une cause générale et assez vaste pour envelopper le drame tout entier.630

Il soprannaturale è il prodotto di una deformazione illusionistica delle cause reali, che sono degli infinitamente piccoli e camminano molto lentamente. Il loro ingrandimento smisurato ha come conseguenza anche quella di far mancare il tempo ai personaggi. In un altro passaggio, Maeterlinck aveva scritto che la morte che dominava i suoi primi drammi era «indifférente et inexorable, aveugle, tâtonnant au hasard, emportant de préférence les plus jeunes et les moins malheureux, simplement parce qu’ils se tenaient moins immobiles que les autres et que tout mouvement trop brusque dans la nuit attirait son attention».631 Una costellazione d’immagini analoga si trova nella Recherche, laddove il narratore riflette sulla vicenda del suo amore per Albertine culminato nella morte di lei per incidente: «Tout cela qui n’était pour moi que souvenir avait été pour elle action, action précipitée, comme celle d’une tragédie, vers une mort rapide».632 Anche Proust s’interroga sulle relazioni fra la causalità lenta, che è compito del romanzo psicologico chiarire e sbrogliare, e la causalità rapida che nel romanzo d’azione porta i personaggi verso una fine immediata: Si bien que cette longue plainte de l’âme qui croit vivre enfermée en elle-même n’est un monologue qu’en apparence, puisque les échos de la réalité la font dévier, et que telle vie 629. Ivi, p. 144, c. n. 630. Ivi, pp. 144-145, c. n. 631. Ivi, p. 114. 632. AD, RTP, IV, p. 81.

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est comme un essai de psychologie subjective spontanément poursuivi, mais qui fournit à quelque distance son «action» au roman purement réaliste, d’une autre réalité, d’une autre existence, et duquel à leur tour les péripéties viennent infléchir la courbe et changer la direction de l’essai psychologique.633

A differenza di Maeterlinck, Proust concepisce il rapporto fra queste due serie di causalità come interazione tra due sfere: da una parte, «il lungo lamento dell’anima che crede di vivere rinchiusa in se stessa» enumera le cause infinitesimali e sfocia in un saggio di psicologia soggettiva; d’altra parte, tale soliloquio ha come effetto a distanza una vicenda tragica che coinvolge la vita di un altro essere. La differenza maggiore è che Proust inserisce queste due serie di causalità all’interno di una struttura narrativa, e pertanto le fa interagire riconoscendo a ciascuna di esse un valore autonomo e un potere di mascheramento (come le due serie risonanti che interagiscono nella ripetizione di Deleuze); la verità non è data nell’originale da una delle due prospettive di cui l’altra sarebbe la mera contraffazione, le verità sono entrambe deformazioni ma di un originale che si dà solo attraverso di esse e che è possibile cogliere attraverso lo specifico atto di messa in relazione che avviene nell’ingranaggio narrativo. Proust pertanto lascia un posto al mistero,634 posto che Maeterlinck, dopo essersi compiaciuto del mistero nella prima parte della sua produzione e avere ammesso tale autocompiacimento estetizzante, tende a cancellare ora un po’ troppo risolutamente. Sul piano formale, la posizione di Maeterlinck si caratterizza per il rifiuto della forma-romanzo, oscillando tra il saggio (causalità lente, infinitamente piccoli) storico o filosofico da una parte, e la tragedia (causalità rapide e secondo lui deformanti), generi puri agli antipodi di quel genere spurio che è il romanzo, il cui ruolo e il cui valore specifico consiste nella messa in relazione di temporalità e ritmi di causalità differenti, in nome di una temporalità critica che li congiunge sopravanzandoli. Ciò non toglie naturalmente che la prospettiva di Maeterlinck appaia interessante agli occhi di Proust e per molte ragioni: per il rifiuto netto di ogni forma di trascendenza e di teodicea;635 per il programma del «saggio di psicologia soggettiva» che Maeterlinck traccia in queste pagine e che potrebbe essere ampiamente sottoscritto da Proust: Avons-nous le droit de profiter d’un moment d’angoisse pour substituer aux petites mais respectables certitudes que l’homme a péniblement acquises par l’observation des habitudes du cœur et de l’esprit humains, des coutumes de la matière, des lois de l’existence, des caprices du hasard et de l’indifférence maternelle de la nature, avons633. Ivi, p. 82. 634. Ciò è confermato dalla presenza cospicua nella Recherche del tema dei presentimenti, su cui anche Bertini (op. cit.) attira l’attenzione. 635. Cfr. M. Maeterlinck, L’Évolution du mystère, cit., p. 147.

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nous le droit de profiter de cette angoisse pour substituer à ces certitudes une fatalité que tous nos actes nient […]?636

Il programma di Maeterlinck si potrebbe pertanto descrivere come una lotta alla retorica, a quegli ornamenti formali tipici della creazione letteraria che a lui appaiono come lenti d’ingrandimento deformanti, sempre congiunti alle teologie del passato.637 Arriviamo quindi al passaggio citato da Proust: Demandons-nous si l’heure n’est pas venue de faire une révision sérieuse des beautés, des images, des symboles, des sentiments dont nous usons encore pour amplifier en nous le spectacle du monde. Il est certain que la plupart d’entre eux n’ont plus que des rapports précaires avec les phénomènes, les pensées, les rêves mêmes de notre existence réelle; et s’ils nous retiennent encore, c’est plutôt à titre de souvenirs innocents et harmonieux d’un passé plus crédule et plus proche de l’enfance de l’homme. Ne serait-il pas souhaitable que ceux qui ont mission de nous rendre attentifs aux beautés et aux harmonies du monde où nous vivons, fissent un pas de plus vers la vérité actuelle de ce monde? Ne serait-il pas désirable que, sans enlever un seul ornement à leur conception de l’univers, ils allassent moins souvent chercher ces ornements parmi des souvenirs gracieux ou terribles, et plus fréquemment dans le fonds véritable des pensées sur lesquelles ils bâtissent et organisent effectivement leur existence spirituelle et sentimentale? Il n’est pas indifférent de vivre au milieu d’images fausses, alors même que nous savons qu’elles sont fausses. Les images trompeuses finissent par prendre la place des idées justes qu’elles représentent. Et employer d’autres images, avoir recours à des conceptions plus réelles, ce ne serait pas réduire la part de l’infini et du mystère.638

Il problema posto da Maeterlinck è risolto da Proust grazie ai termini stessi con cui Maeterlinck lo imposta: le metafore sono “ricordi innocenti ed armoniosi di un passato più credulo e più vicino all’infanzia dell’uomo”. Mentre Maeterlinck, fedele a una concezione fondamentalmente moderna ed evolutiva del tempo, indicizza l’azione dello scrittore sul tempo presente, per cui l’attualità diventa la sua preoccupazione fondamentale anche nella ricerca delle immagini e dei miti, in Proust la concezione critica della temporalità che abbiamo messo in luce sulla scorta di Compagnon ci porta a ritenere che le metafore abbiano proprio la funzione di armonici che riportano al passato dell’umanità, di ornamenti che contrassegnano l’ubiquità temporale dello stile proustiano. Inoltre, come Proust sottolinea, Maeterlinck entra in contraddizione con sé stesso in quanto il suo stile è ricco di splendide metafore che attingono a tale passato immemoriale: 636. Ivi, pp. 147-148. 637. Cfr. ivi, p. 150. 638. Ivi, pp. 150-151.

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En réalité pourtant Maeterlinck ne mérite pas en cela les mêmes reproches que Ruskin. Car ces métaphores cherchent plutôt à caractériser une beauté qu’à lui fournir des titres qui imposent à notre imagination. Quand Ruskin dit du Lys que c’est «la fleur même de l’Annonciation» il n’a rien dit qui nous fasse mieux sentir la beauté du Lys, il veut seulement nous le faire révérer. Quand Maeterlinck dit: «Cependant, dans une touffe de rayons, le grand Lys blanc, vieux seigneur des jardins, le seul prince autenthique parmi toute la roture sortie du potager … calice invariable aux six pétales d’argent, dont la noblesse remonte à celle des Dieux mêmes, le Lys immémorial dresse son sceptre antique, inviolé, auguste, qui crée autour de lui une zone de chasteté, de silence, de lumière», il consacre au lys les phrases les plus splendides sans doute que depuis l’Evangile il ait inspirées, les plus réellement belles, empreintes de la réalité la plus vivante, la plus observée, la plus approfondie. Toutes les beautés les plus singulières du Lys sont ici à jamais dégagées du plaisir confus que donne sa vue. Sans doute la noblesse du Lys y figure (comme dans notre esprit d’ailleurs quand nous le voyons, historique, mystique, héraldique, au milieu du potager), mais «dans une touffe de rayons», en pleine réalité. Et les images les plus nobles, celle du sceptre, par exemple, sont tirées de ce qu’il y a de plus caractéristique dans sa forme.639

Questo passaggio è fondamentale perché qui Proust teorizza esplicitamente la funzione della metafora come mezzo di chiarimento delle percezioni oscure.640 Da un punto di vista fenomenologico, è possibile stabilire un raffronto con Husserl laddove quest’ultimo parla di gradi di riempimento di un’intenzione intuitiva raffigurante un oggetto, che formano la «pienezza» di una rappresentazione. Proust probabilmente coglie nello stile di Maeterlinck una rappresentazione chiara in senso fenomenologico, dotata di pienezza: La completa pienezza come ideale è quindi la pienezza dell’oggetto stesso come sistema delle determinazioni che lo compongono. La pienezza della rappresentazione è tuttavia il sistema di quelle determinazioni ad essa relative, per mezzo delle quali essa rende presente il suo oggetto mediante l’analogia o lo coglie come dato in se stesso. […] Quanto più una rappresentazione è «chiara», quanto maggiore è la sua «vivacità», tanto più alto è il grado di raffiguratività che essa raggiunge: tanto più essa è ricca di pienezza. L’ideale della pienezza verrebbe quindi raggiunto in una rappresentazione che includa nel proprio contenuto fenomenologico il proprio oggetto nella sua totalità e completezza. Se consideriamo come appartenenti alla pienezza dell’oggetto anche le sue determinazioni indivi639. J. Ruskin, M. Proust, Sésame et les Lys Précédé de Sur la lecture, cit., pp. 127-128, n. 18, c. n. La citazione di Maeterlinck contenuta in questo passaggio si riferisce a : M. Maeterlinck, Fleurs démodées, cit., pp. 219-220. 640. Da un altro punto di vista, il valore cognitivo della metafora e la sua importanza persino a livello neurobiologico sono stati riconosciuti di recente: cfr. M. Black, Models and Metaphors, Ithaca-London, Cornell University Press, 1962, trad. it. di A. Almansi e E. Paradisi, Modelli Archetipi Metafore, Parma, Pratiche Editrice, 1983; G. Lakoff, M. Johnson, Metaphors We Live By, Chicago-London, The University of Chicago Press, 1980, trad. it. di P. Violi, Metafora e vita quotidiana, Milano, Editori Europei Associati, 1982, «Espresso Strumenti»; su tutta la questione cfr. la bibliografia contenuta in S. Calabrese, La metafora e i neuroni: stato dell’arte, «Enthymema», VII, 2012, pp. 1-14, reperibile su http://riviste.unimi.it/index.php/enthymema, consultato il 23 aprile 2013.

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dualizzanti, ciò non può essere conseguito da alcuna immaginazione, ma solo dalla percezione. Tuttavia, se prescindiamo da queste determinazioni, si è così delineato in forma determinata un ideale anche in rapporto all’immaginazione.641

Questa rappresentazione consta di due elementi: analogico e signitivo. Husserl insiste sul ruolo dell’immaginazione. Alcune pagine prima, la semplice rappresentazione signitiva (non completata dall’analogia) è paragonata allo schizzo che ha bisogno del colore per diventare un dipinto; essa è in sé vuota, un mero rimando all’oggetto. La pienezza si fa per analogia: «essa rende presente il suo oggetto mediante l’analogia».642 Husserl delinea un ideale di pienezza della rappresentazione che vale in primo luogo per l’immaginazione: anche nell’immaginazione si danno intuizioni dirette (corrispondenti a quelle parti o momenti dell’oggetto in cui esso si dà in sé stesso) e parti e aspetti co-intenzionati: «quanto maggiore è il numero di questi attributi che sono partecipi della rappresentanza analogica, e, in rapporto ad ognuno di essi, quanto maggiore è la somiglianza con la quale la rappresentazione “rappresenta” nel suo contenuto proprio un certo attributo, tanto maggiore è la pienezza della rappresentazione».643 Accanto al momento analogico Husserl ammette anche un’ostensione o presentazione diretta. La pienezza è il risultato della fusione fra questi due momenti: Indubbiamente in certo modo, come in ogni rappresentazione, anche in quella immaginativa viene co-intenzionato ogni attributo del suo oggetto; ma non ogni attributo è «rappresentato» analogicamente, non ad ognuno spetta, nel contenuto fenomenologico della rappresentazione, un momento autonomo che, per così dire, lo assimila analogicamente (lo traduce in immagine). Il sistema di questi momenti, strettamente fusi tra loro, concepiti come fondamenti delle apprensioni puramente intuitive (in questo caso, puramente immaginative), che conferiscono ad esse il carattere di rappresentanti di momenti oggettuali corrispondenti, costituisce la pienezza della rappresentazione immaginativa.644

Husserl distingue fra «ripresentazioni» immaginative (Repräsentation) e presentazioni percettive (Präsentation). È evidente il diverso rapporto col tempo delle due modalità di ostensione: la prima ha bisogno del passato, la seconda si indicizza direttamente sul presente. Sono i due lati dello stile, che Proust fonde nelle estasi metacroniche, dove una ripresentazione immaginativa si affianca a una presentazione percettiva. La pienezza della rappresentazione si caratterizza per Husserl come catena di riempimenti mediati, ovvero rappresentazioni che partono dall’oggetto «così com’è» per passare poi alla rappre641. E. Husserl, Ricerche logiche, cit., II, pp. 376-377. 642. Ibid. 643. Ivi, p. 377. 644. Ibid.

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sentazione mediante immagini di immagini. Tale struttura è paragonata a una struttura a terrazzamenti, perché tali immagini o rappresentazioni si costruiscono le une sulle altre: […] si tratta di rappresentazioni che non rappresentano il loro oggetto in modo semplice, ma per mezzo di rappresentazioni di ordine inferiore e superiore, costruite le une sulle altre; o, per esprimerci in termini più precisi, si tratta di rappresentazioni che rappresentano i loro oggetti in quanto oggetti di altre rappresentazioni o in quanto si trovano in relazione con oggetti di altre rappresentazioni.645

Quest’immagine della struttura a terrazzamenti torna in Proust quando deve esprimere l’idea della coesione strutturale di un’opera che consta di più romanzi, a proposito di Thomas Hardy: «tous ces romans superposables les uns aux autres, comme les maisons verticalement entassées en hauteur sur le sol pierreux de l’île».646 La struttura a terrazzamenti che in Proust individua i Leitmotive richiede del tempo per raggiungere il grado di chiarezza richiesto. Essa è l’immagine del procedimento per cui lo scrittore nella metafora «prendra deux objets différents, posera leur rapport, analogue dans le monde de l’art à celui qu’est le rapport unique de la loi causale dans le monde de la science, et les enfermera dans les anneaux nécessaires d’un beau style».647 Anche Leibniz nei Nouveaux essais parla di strutture logiche complesse, catene dimostrative di sillogismi, che denomina «tissus», e afferma che per svilupparsi e accedere alla pienezza della coerenza dimostrativa questi tessuti logici hanno bisogno di tempo. E questo immaginario dell’intreccio ritorna in Husserl quando questi vuole mostrare come tali strutture dell’immaginazione (l’immaginazione richiede tempo) accedano alla pienezza intuitiva: La caratterizzazione di un oggetto come oggetto di una rappresentazione rappresentata (o come un oggetto che si trova in una certa relazione con gli oggetti così definiti) presuppone nel riempimento il riempimento delle rappresentazioni di rappresentazioni, e solo questi riempimenti intuitivi nel loro intreccio danno anzitutto all’identificazione complessiva il carattere di un riempimento. L’incremento graduale di «pienezza» non consiste in null’altro che in questo: a poco a poco tutte le rappresentazioni di rappresentazioni, sia quelle già intessute fin dall’inizio in un intreccio, sia quelle che emergono nel riempimento, vengono riempite per mezzo della «costruzione» realizzante delle rappresentazioni di volta in volta rappresentate e dell’intuizione di queste rappresentazioni realizzate, in modo tale che infine l’intenzione complessiva dominante con le sue intenzioni giustapposte e compenetrate appare identificata con un’intuizione immediata.648 645. Ivi, p. 370. 646. LP, RTP, III, p. 879. 647. TR, RTP, IV, p. 468. 648. E. Husserl, Ricerche logiche, cit., II, p. 373.

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Tuttavia, l’incremento di pienezza così ottenuto lo è in modo improprio: l’incremento proprio di pienezza si concentra esclusivamente sull’oggetto attraverso la «presentificazione» attuale di determinazioni che spettano all’oggetto stesso. Il primo sistema, quello delle catene enunciative e dei tessuti, si svolge nel tempo; il secondo presentifica immediatamente. Ora, poiché «ogni riempimento improprio implica dei riempimenti propri»,649 ritroviamo nell’idea husserliana di pienezza della rappresentazione la costellazione proustiana dello stile che si fonda sugli «anelli necessari» della metafora (ripresentazione) e sulle estasi metacroniche (presentazione). Proust trova evidentemente in Maeterlinck degli esempi di tessuto connettivo metaforico che si svolgono nel tempo, dato che, giusta la definizione fornita dallo stesso Maeterlinck, la metafora è essa stessa un ricordo, serve a far interagire tra loro diverse serie temporali. Come Proust trovava nello stile di Francis Jammes la cellula dello «choc estetico-patico»,650 ovvero la presentificazione diretta, data nella e alla percezione, così trova nel Maeterlinck prosatore la cellula della struttura romanzesca come rappresentazione chiara e piena dell’oggetto fondata su catene di riempimenti mediati «come sistema delle determinazioni che lo costituiscono». I due aspetti sono del resto interdipendenti, in quanto la purezza fenomenologica nella resa delle sensazioni immediate è riconosciuta qui da Proust come una caratteristica anche dello stile di Maeterlinck. Ci troviamo, come per il modello ruskiniano, davanti al paradosso di una scrittura saggistica che si fa cellula romanzesca. Proust trova in Maeterlinck uno dei principali modelli di chiarimento delle percezioni oscure, come dimostra anche la scelta dell’esempio del giglio, che rimanda alle costellazioni della luce, del silenzio, della purificazione del desiderio.

649. Ivi, p. 374. 650. M. Carbone, Una deformazione…, cit.

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Capitolo IV Rientrare

IV. 1. Ancora la nota a Sésame. La legge della prospettiva in Maeterlinck. Tra i riferimenti a Maeterlinck occultati da Proust nei paratesti del primo capitolo di Sodome et Gomorrhe, e poi non ritenuti nel testo definitivo, troviamo anche la citazione della Vallisneria, una delle piante “favolose” che più avevano trattenuto l’attenzione di Maeterlinck nel saggio L’Intelligence des fleurs. La Vallisneria mette in atto un procedimento sofisticato e insieme letale per permettere ai suoi fiori maschio di raggiungere i fiori femmina. Come si evince dalle citazioni già da noi riportate nel II capitolo, la Vallisneria è una pianta acquatica caratterizzata da un dislivello nella lunghezza dei peduncoli dei fiori maschio e dei fiori femmina. Quando arriva il momento della fecondazione, i fiori femmina – che giacciono sul pelo dell’acqua – devono essere raggiunti dai fiori maschio, che restano interamente subacquei. Questi ultimi allora cominciano a svolgere il loro peduncolo per affiorare alla superficie dell’acqua, ma nella maggioranza dei casi tale peduncolo è troppo corto. Allora, servendosi di una bolla d’aria immagazzinata al loro interno, i fiori maschio si staccano dal corpo della pianta e risalgono, come palombari, alla superficie. In questo modo si rende possibile la fecondazione ma i fiori maschio distaccati muoiono subito dopo. Questo è uno dei casi in cui la natura, come nella fecondazione dell’ape regina, mette insieme amore e morte dell’elemento fecondatore. Scrive Proust nel dattiloscritto di Sodome et Gomorrhe: «Les animaux sont si souvent mal construits pour l’amour qu’ils ne peuvent le goûter – comme les baleines par exemple – qu’au prix de grandes souffrances, et certaines plantes comme la vallisnère dont parle Maeterlinck qu’en se blessant à mort».651 Possiamo pertanto osservare che, in controluce rispetto ai miti aerei di fioritura e di elevazione proposti dalle orchidee nell’ouverture di Sodome et Gomorrhe, Proust ha tenuto conto anche di questo secondo elemento che ne è come il ribaltamento, la risalita asfittica e letale. Sono due facce contrapposte che Maeterlinck ci presenta e che appaiono rappresentate, nella Recherche, dalla presenza di due drammi: il già citato Pelléas e un dramma del 1891, Les Sept Princesses. L’episodio in cui si presenta la citazione di 651. SG, p. 1279.

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quest’ultimo dramma si trova in Le côté des Guermantes: è il resoconto semiserio del recital di una giovane attrice, Rachel, l’amante invisa ai parenti di Robert de Saint-Loup, che Mme de Guermantes aveva ospitato nel suo salotto per darle modo di mettere in luce il suo talento davanti agli esponenti dell’alta società. Il risultato di questo debutto, almeno secondo il giudizio di Mme de Guermantes e dei suoi aristocratici amici, è stato grottesco: lo stile di recitazione all’avanguardia di Rachel e le oscurità del testo messo in scena hanno suscitato l’ilarità degli spettatori e Mme de Guermantes racconta divertita questo insuccesso.652 Il testo portato in scena nel salotto della duchessa di Guermantes era Les Sept Princesses di Maeterlinck, allora stella del nascente teatro simbolista ma ancora sconosciuto al pubblico aristocratico. Il paradigma su cui s’incentra questo lavoro di Maeterlinck è la mancanza d’aria: nessuna evasione è possibile al di fuori della camera vetrata, dove dormono sette principesse, distese su sette gradini di una scala di marmo, fra gigli e rami d’alloro. All’esterno, attraverso i vetri, osservano il sonno delle principesse chiuse a chiave il nonno e la nonna e un principe, Marcellus, finalmente ritornato in patria dopo un lungo viaggio. Quando il principe decide di raggiungere Ursule, quella che ama, non gli resta che scendere nei sotterranei della camera vetrata, e attraversare la cripta popolata dalle ossa dei morti per risalire all’interno attraverso una botola. Tutto il suo tragitto si svolge dall’interno. Ma quando finalmente giunge a svegliare le principesse, Ursule è già morta per aver troppo atteso. Colpisce come questo sia un dramma non dell’evasione dalla caverna ma del rientro: e il rientro nella cripta sormontata dalla camera vetrata è caratterizzato dall’incontro con i morti. Nessuna uscita nell’”aria che vivifica”. Nondimeno ritroviamo il paradigma appesantimentodeviazione che caratterizza i miti redentivi di uscita dalla caverna: anche qui c’è un movimento di elevazione rappresentato dalla scena finale, nella quale le sei principesse svegliate da Marcellus prendono il cadavere di Ursule e lo trasportano sulle loro teste in cima alla scala: solo che qui il movimento di deviazione è rappresentato dalla morte.653 L’appesantimento è rappresentato dal percorso della scala, che porta verso l’alto ma concentra nel corpo il peso della fatica, secondo il principio eracliteo che via verso l’alto e via verso il basso sono la stessa identica cosa. La morte idealizzata di Ursule è il suo modo di deviare, di sfuggire per sempre alle prese della contingenza. Da un punto di vista storico, colpisce il fatto che Maeterlinck abbia escluso questo dramma dall’edizione completa del suo teatro che fu pubblicata a Bruxelles nel 1901: segno che esso indicava una di652. Per la ricostruzione di questo episodio in relazione con le poetiche teatrali del tempo rimandiamo al nostro articolo: S. Martina, Due esempi di poetiche attoriali nella Recherche: Berma e Rachel, «Mantichora. Periodico del centro Interdipartimentale di studi sulle Arti Performative», I.1, 2011, www.mantichora.it. 653. Per un’illustrazione dei concetti di “appesantimento” e “deviazione” cfr. il nostro saggio: S. Martina, La monadologia proustiana…, cit.

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rezione oramai ritenuta diametralmente contraria a quella che stava percorrendo. Proust, ospitando nello spazio testuale della Recherche sia il Pelléas che Les Sept Princesses, sembra scoprire e riabilitare questa direzione: come l’inverso e il rovescio di quei miti redentivi dell’evasione nella luce e nell’aria verso i quali Maeterlinck era ormai decisamente orientato – ma animato dallo stesso, inafferrabile movimento.654 Questo movimento è il procedere della morte. Come è noto infatti, il lento cammino della morte e il suo avvicinarsi ai protagonisti dominano i primi drammi di Maeterlinck: «la présence infinie, ténébreuse, hypocritement active de la mort remplit tous les interstices du poème», aveva scritto Maeterlinck nella prefazione del 1901. Poiché tale prefazione segna un punto di svolta e inaugura un cammino diverso, si può pensare che l’esclusione de Les Sept Princesses segnasse l’abbandono di questa prima direzione, della quale questo dramma si faceva portavoce esemplare. Di qui in avanti il vitalismo maeterlinckiano avrà il sopravvento, almeno fino allo scoppio della Grande Guerra. Quello che ci preme mettere in luce è che Proust scopre operante nei due mitemi – quello vitalista e quello mortifero – la stessa struttura narrativa, condensata nella doppia formula di appesantimento e deviazione. Possiamo dopo questo preambolo ritornare sui nostri passi e cercare nella nota proustiana al testo di Sésame et les Lys ulteriori tracce che confermino questa ipotesi. Il testo da noi già parzialmente citato di questa nota, che ha come argomento Ruskin e Maeterlinck, procede in un lungo sviluppo, cui rimandiamo a piè di pagina .655 Possiamo dividere questa lunga citazione in tre parti, basandoci 654. Anne Simon segnala, nell’articolo più volte citato, una lettera di Proust del 1918 a Mme Straus nella quale Proust afferma di avere avuto la sensazione di penetrare nello spazio mitico de Les Sept Princesses entrando nella dimora della sua ospite, e così conclude: «Les motifs centraux, chez les deux auteurs, de la vie intérieure, de l’accès au moi profond ou au subconscient, des révélations propres au rêve, de l’imbrication de la mort et du sommeil, comme la rhétorique de l’analogie et du silence qui gouverne les œuvres poétiques et théâtrales de l’un, de grands pans du roman de l’autre, sont le signe d’une relation profonde et durable» (A. Simon, Proust lecteur de Maeterlinck…, cit., p. 150). 655. J. Ruskin-M. Proust, Sésame et les Lys…, cit., pp. 128-130, n. 18, c. n.: «Pourtant (car on pourrait à l’infini suivre ces deux esprits dans leurs coïncidences, leurs diversions, leurs entrecroisements) le nom de Maeterlinck venait nécessairement ici et c’est en somme sur son nom que devrait être prêché le sermon que ces pages de Ruskin inspirent. Si, dans le passage de Fleurs démodées que j’ai cité sur le Lys, il s’écarte de Ruskin après l’avoir rencontré (page sur le Lys de The Queen of the air que j’ai cité page 285 de la Bible d’Amiens), voilà qu’à dix lignes de distance je les retrouve assez près l’un de l’autre pour qu’on sente le perpétuel côtoiement (ignoré de Maeterlinck est-il besoin de le dire, et sans que son originalité absolue en doive éprouver la plus légère diminution). Quelques pages plus haut, dans les Fleurs démodées : “Considérez aussi tout ce qui manquerait à la voix de la félicité humaine… si depuis des siècles les fleurs n’avaient alimenté la langue que nous parlons… Tout le vocabulaire, toutes les impressions de l’amour sont imprégnées de leur haleine, etc.” Dans un sentiment d’ailleurs tout différent (et à mon avis bien moins rare et bien moins pur), Ruskin dit, dans la même phrase que celle à laquelle je faisais allusion : “Considérez ce que chacune de ces fleurs (les Drosidæ) a été pour l’esprit de l’homme, d’abord dans leur noblesse, etc., etc., si bien qu’il est impossible de mesurer leur influence pour le bien, au moyen-âge, etc.”. Mais puisque nous voici revenus à Ruskin ne le quittons plus, ou

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sui riferimenti all’opera di Maeterlinck che contiene: 1) le analogie con Ruskin e il valore dei fiori – tema sul quale ci siamo già soffermati –; 2) la frase citata ad esempio di bellezza irrazionale dello stile di Maeterlinck, senza significato spirituale interessante ma caratteristica come un quadro fiammingo; 3) i riferimenti analoghi alle bellezze più preziose contenute in La vie des Abeilles, Le Temple enseveli. Possiamo cominciare dal secondo esempio, perché contiene le implicazioni più interessanti. 2) Proust cita a memoria una frase di Le Temple enseveli, contenuta nel saggio L’Évolution du mystère, dedicato all’illustrazione della scomparsa di quegli idoli che occupavano lo sfondo d’infinito delle antiche creazioni drammatiche. Proust continua il discorso che abbiamo spezzato per esigenze argomentative e che ha come tema principale l’abolizione della metafora. Sempre egli contrappone alla presa di posizione teorica del Maeterlinck filosofo, nemico delle metafore, l’uso particolarmente appropriato e felice che egli ne fa proprio nei suoi ultimi testi. La conclusione è che «la beauté du style est au fond irrationnelle», e che lo scrittore e il filosofo seguono cammini diversi, i cui tracciati sono destinati a non incontrarsi. Secondo Maeterlinck, è preferibile ad una metafora usurata «une vérité sans nom qui attend et qui appelle».656 Questa nozione di una verità senza nome, di una verità negativa, si può riallacciare alla messa in discussione del nome del mistero che porta Maeterlinck verso una soluzione estrema: preferire l’assenza di nome, o un nome che implichi una maggiore differenza interna. L’assenza del nome, come accade anche per la nuova concezione negativa e consolatrice che Maeterlinck ha della morte e che proprio qui si affaccia, potrebbe essere considerata come valorizzazione della differenza, di una verità fatta di differenziazione, che pullula al di sotto delle concrezioni dell’io che plutôt demandons à l’œuvre, sinon à la doctrine de M. Maeterlinck, une justification de cet irrationnel que nous relevions chez Ruskin, à propos de sa métaphore : “Vous bavardez avec votre valet d’écurie quand les rois vous attendent. ” Hé bien, quand nous avons lu les derniers livres de M. Maeterlinck, si sages, fondant uniquement la beauté sur l’intelligence et sur la sincérité, tout nourris d’une pensée si forte, si originale, si nous nous demandons ce que nous y avons trouvé de plus beau, ce sera telle phrase qui ne réflète aucune grande pensée, ne nous en découvre et ne nous en révèle aucune, telle phrase purement singulière et sans signification spirituelle intéressante. Ainsi par exemple plus que d’autres phrases habitées par une grande et neuve pensée qui ne suffira pas à les rendre belles – nous aimerons celle-ci (M. Maeterlinck veut exprimer cette idée très ordinaire qu’il y a quelquefois une justice accidentelle) : “comme il se peut qu’une flèche, lancée par un aveugle dans une foule, atteigne par hasard un parricide”. L’idée n’est pas évidemment une des plus profondes qu’ait eues M. Maeterlinck. Mais l’espèce de tableau de Thierry Bouts ou de Breughel qu’elle peint devant nos yeux est admirable, bien que d’une beauté irrationnelle. Qu’y at-il de plus beau dans La vie des Abeilles : peut-être une certaine couleur “azurée” des belles heures de l’été. Dans La vie des Abeilles encore, dans Le Temple enseveli, ce qui reste le plus précieux sont tels tableaux où apparaît le Sage qui fit aimer à l’auteur les abeilles et les fleurs démodées, ou bien l’ouvrier qui contemple le soleil du haut des remparts, et qui accentuent pour nous la parenté, avec son ancêtre Mantouan, du Virgile des Flandres. Maeterlinck a ajouté un admirable philosophe au merveilleux écrivain qu’il était. Mais et même si, comme je le crois, cet écrivain est devenu encore plus grand, son ami le philosophe n’y a été pour rien. On sent très bien que ce n’est pas parce que le penseur s’est développé que l’écrivain a grandi. Conclusion: la beauté du style est au fond irrationnelle». 656. M. Maeterlinck, L’Évolution du mystère, cit., p. 111.

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sono le parole. E questo si ricollega alla concezione bergsoniana della parola come atomismo coscienziale, come rappresentazione dell’io che non è in grado di cogliere il pullulare delle forze preindividuali e dell’individuazione, le quali giacciono nel mistero – Maeterlinck accoglierà, come del resto Proust, le correnti teorie mediche e psichiatriche sulla molteplicità degli io e le affermerà esplicitamente nel saggio La Mort (1913). Di qui, nel primo Maeterlinck la valorizzazione del silenzio, e successivamente la messa in discussione del simbolo, e una spinta verso un uso maggiormente denotativo del linguaggio, nella direzione di una chiarificazione progressiva la quale non ha mai termine (esattamente come il dinamismo coscienziale leibniziano). Si potrebbe credere che, come accade in Leibniz, Maeterlinck si serva delle luci che come bagliori differenziali promanano dall’inconscio alla stregua di porzioni chiare della verità, e attraverso la loro sostituzione progressiva – che chiama in causa una dinamica infinita – tenda a ricostituire una verità cartesianamente chiara e distinta: procedimento già in sé contraddittorio, perché, come mostra Deleuze, i bagliori differenziali rientrano in una dinamica coscienziale che è insieme chiara e confusa. La sostituzione progressiva delle idee alle idee e dei simboli ai simboli non ha mai termine, proprio perché Maeterlinck parte dalla concezione della differenza che innerva tutte le concrezioni della coscienza, dell’ego e dell’io, come nella funzione delle parole – ed approda alla morte come liberazione dalle catene della ripetizione passiva, della differenziazione e specificazione come annullamento della differenza, in nome di una ripetizione del non identico. In questo senso la funzione attribuita al pensiero e al linguaggio – di specificazione e di sostituzione progressiva di una chiarezza differenziale ad una ancora maggiore – si innesta nel discorso deleuziano sulla vera ripetizione, che non è mai dello Stesso, ma che si dà sempre del Disuguale. Con il suo programma di razionalizzazione del linguaggio, Maeterlinck sviluppa un discorso contraddittorio. Egli mira ad eliminare quella ‘confusione’ che per Proust può essere riordinata solo attraverso una poetica analogica. In base alle teorie di Maeterlinck, ogni sfondo teologico sotteso all’idea di una Giustizia immanente, riflesso di antiche credenze religiose ed in particolare del Dio biblico, verrebbe a cadere. Ma ciò è proprio quanto i drammaturghi moderni si rifiutano di eliminare. Dal punto di vista dell’impressione che arrecano su di noi, dello spavento o della commozione, le personificazioni, i grandi simboli che appartengono al passato hanno inevitabilmente un effetto maggiore, dato che noi umani siamo impressionati non dalle forze anonime e cieche che ci sembrano prevalere adesso nell’universo, ma dalla presenza di una volontà divina. Ma a questo punto il problema si sposta al compito dell’interprete della vita il quale deve pensare piuttosto a placare e ad illuminare che non a rattristare e a commuovere profondamente. In questo modo Maeterlinck rinuncia al compito della 245

tragedia. Maeterlinck osserva che i nuovi interpreti della vita (come ad esempio Ibsen) sono ricaduti, tutto sommato, nell’uso dei vecchi simboli. Essi hanno riproposto, sotto la forma dell’ereditarietà, l’idea di una giustizia divina che fa ricadere sui figli le colpe dei padri. Questa pretesa di adattare in forme nuove i vecchi simboli può essere ascritta, nel caso di Ibsen, alla nozione di giustizia accidentale. Ibsen avrebbe evocato l’azione del caso il quale avrebbe assunto i caratteri di una giustizia: «Il se peut que, dans le cas spécial mis en scène par Ibsen, il y ait une sorte de justice accidentelle, comme il se peut qu’une flèche, lancée par un aveugle dans une foule, atteigne par hasard un parricide».657 Tuttavia questa nozione solo surrettiziamente può essere adottata al punto da divenire una legge. Essa resta nel novero dei casi eccezionali.658 La conclusione di Maeterlinck è che l’interprete della vita – il drammaturgo – dev’essere molto cauto nel maneggiamento del mistero, e che le opere più grandi non sono sempre quelle che fanno riferimento all’infinito ed all’inconoscibile. L’intervento di questi elementi può essere una ricompensa della dedizione nello studio del finito, ma quando questo è scelto di primo acchito come punto di partenza di un’opera, porta al pessimismo: Maeterlinck stabilisce una netta differenza fra due punti di vista sul mistero, quello che precede e quello che segue il finito. La pensée de l’inconnaissable et de l’infini ne devient vraiment salutaire que lorsqu’elle est la récompense inattendue de l’esprit qui s’est donné loyalement et sans réserve à l’ètude du connaissable et du fini; et l’on s’aperçoit bientôt que la différence est notable, du mystère qui précède ce que nous ignorons, au mystère qui suit ce que nous avons appris. Il semble qu’il y ait beaucoup de tristesses dans le premier; c’est qu’elles s’y trouvent à l’étroit et s’accumulent toutes sur deux ou trois éminences trop proches. Il semble qu’il y en ait bien moins dans le second; c’est que sa surface est plus vaste, et qu’aux grands horizons les tristesses les plus grandes prennent la forme d’espoirs.659

La frase citata da Proust come esempio di bellezza irrazionale dello stile di Maeterlinck è ripresa, con leggere modifiche, nel pastiche che Proust trasse da Maeterlinck nel 1909: «Sans doute, il n’est pas impossible qu’une flèche, tirée de la tour d’une cathédrale par une folle à qui on a bandé les yeux, vienne, au milieu d’une assemblée de patineurs aveugles, frapper précisément un hermaphrodite».660 In questa seconda versione, Proust accentua gli elementi che possono mettere in risalto il carattere di «quadro fiammingo» di questa visione. Ma quello che ci preme soprattutto mettere in risalto è il carattere doppio di appe657. Ivi, p. 160. 658. Ibid.: «Mais faire une loi générale de cette justice accidentelle, c’est une fois de plus abuser du mystère». 659. Ivi, pp. 162-163. 660. M. Proust, PM, p. 199.

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santimento e deviazione che si scorge nella visione così caratterizzata: l’ascesa su un luogo alto (i gradini, principio di appesantimento tanto nell’ascesa quanto nella discesa), la deviazione: il movimento rettilineo della freccia che colpisce il matricida o l’ermafrodita. Il passaggio dall’uno all’altro di questi ultimi due elementi si spiega facilmente con il tema delle madri profanate e con il sentimento di colpevolezza che giunge fino al matricidio associato al tema di Sodome.661 Quest’immagine è dunque in patente contraddizione con il discorso consolatorio sviluppato da Maeterlinck sulla giustizia e sullo sfondo teologico dei drammi, e pare preludere a un nesso fra colpevolezza e previsione dei futuri. Oltre che luogo della lettura662 e della saggezza,663 il luogo alto – la cima di una torre – è anche il luogo dove troneggiano i giudici. Ciò si evince, per Proust, ad esempio dalla visione medievale che caratterizza una delle fantasticherie infantili sul nome dei Guermantes: «Un donjon sans épaisseur qui n’était qu’une bande de lumière orangée et du haut duquel le seigneur et sa dame décidaient de la vie et de la mort de leurs vassaux»,664 visione di lanterna magica che si apparenta a quella di Golo e Geneviève de Brabant, dove il nome del personaggio di leggenda rimanda a una costellazione del matricidio e forse anche al protagonista del Pelléas di Maeterlinck, Golaud.665 In Maeterlinck, troviamo la costellazione giudice dall’alto di una torre-morte improvvisa e violenta-previsione dei futuri in un testo della raccolta Le Trésor des Humbles, Les Avertis, dedicato al presentimento della morte prematura che sembrano portare con sé fin dall’infanzia quanti morranno giovani, e che si distinguono dal resto degli altri bambini: «Ils semblaient par moments nous regarder du haut d’une tour; et bien qu’ils fussent plus faibles que nous, nous n’osions pas les molester».666 In questo saggio il nesso morte prematura-previsione è esplicitamente affermato da Maeterlinck, come si evince da quanto segue: Il est vrai que rien n’est caché; et vous tous qui me rencontrez, vous savez ce que j’ai fait et ce que je ferai, vous savez ce que je pense et ce que j’ai pensé; vous savez exactement le jour où je dois mourir, mais vous n’avez pas encore trouvé le moyen de le dire, fût-ce à voix basse et à votre propre cœur. Nous avons l’habitude de passer sous silence tout ce que notre main n’atteint pas, et peut-être saurions-nous trop de choses si nous savions 661. Per questi temi fondamentali cfr. Lavagetto e Kristeva. 662. Cfr. M. Lavagetto, Quel Marcel!…, cit., e soprattutto M. Bongiovanni Bertini, op. cit. 663. Cfr. S. Poggi, L’istante del ricordo, cit. 664. CG, RTP, II, p. 313. 665. Cfr. la n. 1 alla p. 13 del commento all’edizione italiana della Recherche con traduzione di Giovanni Raboni (M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, edizione diretta da L. De Maria, e annotata da A. Beretta Anguissola e D. Galateria, traduzione di G. Raboni, prefazione di C. Bo, Milano, Mondadori, 1983, vol. I, pp. 1171-1172). 666. M. Maeterlinck, Les Avertis, in Le Trésor des Humbles, cit., 1904, p. 58.

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tout ce que nous savons. Nous vivons à côté de notre véritable vie et nous sentons que nos pensées les plus intimes et les plus profondes mêmes ne nous regardent pas, car nous sommes autre chose que nos pensées et nos rêves. Et ce n’est qu’à certains moments et presque par distraction que nous vivons selon nous-mêmes.667

È facile, alla luce di quanto si è detto finora, contrapporre questo Maeterlinck prima maniera, con la sua esaltazione veramente molto proustiana del fortuito e dell’involontario, e quanto lo stesso Maeterlinck afferma dopo la svolta razionalista, nel testo che segue di poco la frase citata da Proust: «Mais quelle que soit, sur ce point, notre pensée, pour qu’une hypothèse poétique demeure legitime et valable, il convient qu’elle ne soit pas ouvertement contredite par l’expérience de tous les jours, sinon elle est bien inutile, bien dangereuse, et pour peu que l’erreur ne soit pas tout à fait involontaire, elle n’est guère honnête».668 Anche Proust fa reagire Maeterlinck contro se stesso e realizza una microanalisi del suo modello, giungendo ad accettare proprio quelle immagini e quelle metafore che Maeterlinck è portato ad espungere. Qui, l’accoglimento dell’immagine di Maeterlinck in quanto immagine non deve far dimenticare che nella Recherche esiste un principio di giustizia involontaria – legato alla colpa del matricida, a sua volta connessa al sentimento di colpevolezza sessuale – che trova nell’immagine il suo mezzo di chiarimento principale e insieme il veicolo di una vendetta del destino. Quando, sul treno che lo riporta a Balbec, Marcel apprende da Albertine la sua passata intimità con Mlle Vinteuil e la sua amica, fatto che lo sconvolge perché appare come una conferma esorbitante le sue stesse ipotesi circa l’omosessualità di Albertine e da quel momento lo lega ancora di più a lei, il commento del narratore è il seguente: À ces mots prononcés comme nous entrions en gare de Parville, si loin de Combray et de Montjouvain, si longtemps après la mort de Vinteuil, une image s’agitait dans mon cœur, une image tenue en réserve pendant tant d’années que, même si j’avais pu deviner en l’emmagasinant jadis qu’elle avait un pouvoir nocif, j’eusse cru qu’à la longue elle l’avait entièrement perdu; conservée vivante au fond de moi – comme Oreste dont les dieux avaient empêché la mort pour qu’au jour désigné il revînt dans son pays punir le meurtre d’Agamemnon – pour mon supplice, pour mon châtiment peut-être, qui sait? d’avoir laissé mourir ma grand-mère; surgissant tout à coup du fond de la nuit où elle semblait à jamais ensevelie et frappant comme un Vengeur, afin d’inaugurer pour moi une vie terrible, méritée et nouvelle, peut-être aussi pour faire éclater à mes yeux les funestes conséquences que les actes mauvais engendrent indéfiniment, non pas seulement pour ceux qui les ont commis, mais pour ceux qui n’ont fait, qui n’ont cru, que contempler un spectacle curieux et divertissant, comme moi, hélas! en cette fin de journée lointaine à 667. Ivi, pp. 58-59. 668. M. Maeterlinck, L’Évolution du mystère, cit., p. 161.

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Montjouvain, caché derrière un buisson, où (comme quand j’avais complaisamment écouté le récit des amours de Swann) j’avais dangereusement laissé s'élargir en moi la voie funeste et destinée à être douloureuse du Savoir.669

In una lettera ad Alfred Vallette del 1909, per giustificare la presenza di parti oscene nel suo libro il cui disegno poteva essere compreso solo alla fine, Proust aveva scritto: «Mais d’abord la suppression des parties obscènes me gênerait extrêmement, et ensuite c’est un livre d’événements, de reflets des événements les uns sur les autres à des années d’intervalle et cela ne peut paraître que par grandes tranches».670 L‘immagine rettilinea della freccia che colpisce il matricida si situa molto bene in questa costellazione rettilinea dei riflessi, che presuppone un lettore simmetrico, capace di dominare la totalità dell’opera. È sempre l’idea della propagazione infinita dei riflessi – qui riflessi del male fatto – che collega la giustizia accidentale al tema della previsione dei futuri e della divinazione. L’universo simmetrico è un universo tragico, dove si realizza la giustizia accidentale e dove è possibile una prescienza dolorosa: alla colpa seguirà una punizione. La tragedia del lettore consiste in una vista simmetrica, in una propagazione infinita che coglie il futuro ed il passato distesi e ordinati in una stessa superficie, quella della prescienza divina ed umana che ne è il riflesso: è la crudeltà – o se si vuole giustizia – razionalistica, sulla quale Maeterlinck rifletterà nelle sue opere aforistiche degli ultimi anni. Proust accetta quella visione tragica che Maeterlinck si è impegnato ad espungere dal suo lavoro, e invece di interpretare l’immagine memoriale che si presenta a Marcel come attimo di turbamento, ne fa il contrassegno e la formulazione chiara di una realtà fino allora soltanto presentita: «Et la réalité la plus terrible donne en même temps que la souffrance la joie d’une belle découverte, parce qu’elle ne fait que donner une forme neuve et claire à ce que nous remâchions depuis longtemps sans nous en douter».671 L’immagine colpisce il matricida con la freccia del chiarimento, dando forma a ciò che prima era informe. Proust pare suggerirci che proprio le immagini estranee al discorso filosofico consolatorio di Maeterlinck ci facciano sentire l’aculeo della verità. Potremmo fornire una prova e contrario di quanto affermiamo, analizzando un altro passaggio di Maeterlinck in L’Évolution du mystère, poco distante dalla frase citata da Proust. Anche qui il lessico di Maeterlinck sembra raggiungere formule proustiane, ma per confutarle: «Il est permis aux poètes de faire des hypothèses et de devancer en quelque sorte la réalité. Mais souvent il arrive que, croyant la devancer, ils ne font que la tourner, que, croyant précéder 669. SG, RTP, III, pp. 499-500, c. n. 670. M. Proust, Corr., t. IX: 1909, p. 156, c. n. 671. SG, RTP, III, p. 500.

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une vérité nouvelle, ils retrouvent simplement la piste d’une illusion ancienne».672 Che cos’è l’estasi metacronica, di cui è stato sottolineato il carattere di «trompel’œil», se non una falsa pista, la «piste d’une illusion ancienne»? I ricordi di Swann quando questi ascolta la piccola frase sono «trompés par ce brusque rayon du temps d’amour qu’ils crurent revenu».673 Anche qui, la presa di coscienza che ne consegue è tragica. Possiamo affermare, riandando alle analisi del capitolo precedente, che da una parte nella Recherche Proust accoglie la poetica del secondo Maeterlinck degli infinitamente piccoli che si possono sviluppare solo nella lunghezza di un’opera composta e tramata di riflessi di avvenimenti gli uni sugli altri a grande distanza. Ma l’esito finale dell’analisi potenzialmente infinita di questi riflessi, demandato all’introspezione psicologica, è un’immagine. Qui interviene la poetica del primo Maeterlinck dell’ingrandimento metaforico e mitico. Rimpicciolimento e ingrandimento in Proust non sono in contrasto fra loro: per usare un paragone matematico che rimanda al calcolo infinitesimale di Leibniz, possiamo dire che le frazioni infinitamente piccole che sono utilizzate nel calcolo come pure astrazioni producono una grandezza reale. Il nesso tra rimpicciolimento e ingrandimento è tragico, consiste nella scoperta di un sentimento di colpevolezza correlato alla costellazione del matricidio. È proprio tale nesso a venire espunto da Maeterlinck, con lo spezzarsi della sua vita e della sua opera in due parti. L’analisi infinita, strumento dall’esito tragico in Proust, diventa mezzo di un (consolatorio) rimando infinito in Maeterlinck. Come è stato ben colto da Proust, si tratta evidentemente di una rimozione. Possiamo adesso passare al punto 1), per mostrare tramite alcune occorrenze testuali come il tema della previsione dei futuri contagi con intima coerenza il tema della lettura e del rapporto critico. L’argomento affrontato sono le somiglianze involontarie tra due autori, qui Maeterlinck e Ruskin. Nel 1907, Maeterlinck ritorna in una lettera, dove Proust parla del suo amico e mentore Robert de Montesquiou. Proust paragona la lettera che Montesquiou gli ha inviato ad un giardino regolare e simmetrico, ordinato secondo il modello francese – ancora la simmetria – ma dove degli squarci improvvisi producono fughe infinite sull’invisibile, «perspectives infinies».674 Nel corso della stessa 672. M. Maeterlinck, L’Évolution du mystère, cit., p. 161, c. n. 673. CS, RTP, I, p. 339. 674. M. Proust, Corr, t. VII: 1907, p. 270. L’immagine del giardino alla francese è molto suggestiva: «Votre magnifique lettre, aussi riche en son ornementation la plus délicate, que le plus vaste jardin à la française, et d’où s’élevaient autant de parfums, autant d’essors, est entre tant de choses, une de celles qui resteront le plus doucement gravées dans mon cœur à l’endroit des dettes de reconnaissance, pour tout ce que vous m’y dites d’admirable et de bon sur ma Mère. Et c’est celle aussi qui par ses échappées graves, ses avenues mouillées, vers l’invisible donne de vous l’idée la plus vaste, avec des perspectives infinies».

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lettera, Proust afferma che Montesquiou ha avuto «presagi» delle opere di Maeterlinck (ancora capacità divinatrice del lettore ecc.). Questa lettera completa dunque quanto Proust ha gia affermato in Contre Sainte-Beuve a proposito delle reminiscenze anticipate: qui Proust parla di «coïncidences» (in senso geometrico), «superpositions», «anticipations».675 Queste coincidenze riguardano la stessa frase, che Proust afferma di avere letto in Maeterlinck e sentito pronunciare da Montesquiou senza che ci fosse verosimilmente alcun rapporto diretto fra i due. Proust cita in particolare una frase sul mondo vegetale e il suo miracolo.676 Questa nozione della coincidenza astronomica fra due pensieri ricorreva anche in una lettera del 1904, cronologicamente vicina a quelle già citate su Maeterlinck. L’argomento è Ruskin e Whistler. I pensieri di Ruskin e di Whistler sono coincidenti a dispetto delle opposizioni di sistemi: «Ruskin et Wisthler se sont bien méprisés, parce que leurs systèmes étaient opposés. Mais la vérité est une et ils la percevaient tous deux».677 Qui c’è l’indicazione di un punto comune fra i due: entrambi apprezzavano l’opera di rapida esecuzione rispetto a quella studiata, perché il tempo maggiore apparentemente richiesto da quest’ultima per esistere è molto limitato rispetto a quello che richiede la prima, che impiega rapidamente uno studio e aspirazioni di un’intera vita – Proust cita a memoria due passaggi dei due autori che contengono la stessa analisi – e la stessa argomentazione è ripetuta sempre sul contrasto tra Ruskin e Whistler. «A cet endroit les deux étoiles frappent d’un rayon hostile peut’être mais identique un même point. Il y a coïncidence astronomique».678 C’è un rapporto fra questa metafora e l’argomentazione svolta da Proust nella nota di Sésame et les Lys a proposito di Maeterlinck: le immagini involontarie la dicono più lunga dei ragionamenti dedotti ordinatamente per spirito di sistema. Così la subitanea intuizione, contraria al suo stesso sistema, che esista per Maeterlinck una giustizia involontaria. 675. Ivi, p. 271: «Les coincidences (dans le sens géométrique et non point hasardeux) ces superpositions ou anticipations de pensée m’émeuvent infiniment ». 676. Ivi, pp. 270-271: «[…] je puis vous assurer qu’il n’y a pas un adjectif de complaisance dans aucune chose que j’aie écrite, au moins depuis quelques années, et s’il s’agit naturellement, d’un artiste ou d’un écrivain. Il m’arrive au contraire souvent que le hasard de la phrase ou plutôt de la circonstance de pensée, de la contingence du raisonnement m’amène à diminuer plutôt ce que j’admire le plus, comme il m’est arrivé pour Maeterlinck par exemple, mais je pense que la ferveur et le sérieux du ton valent plus qu’un compliment. À propos duquel Maeterlinck j’aurais dû noter, si je n’en avais été empêché alors par le défaut de place que tels et tels présages les plus magnifiques de ses dernières œuvres passèrent souvent dans votre augurale conversation. Ainsi du “C’est le plus touchant miracle du règne végétal que je connaisse” que je vous entendis parfois dire il y a nombre d’années». A proposito della comune sensibilità per il mondo vegetale di Maeterlinck e Montesquiou cfr. una lettera del 1908, dove le frasi di Montesquiou sono paragonate a un ramoscello d’olivo: «C’est un joli rameau d’olivier de la vie renaissante que ces lignes efflorescentes et nervurées» (Corr, t. VIII: 1908, p. 172). L’ultimo saggio della raccolta di Maeterlinck Le double jardin (1904) s’intitola Les rameaux d’olivier. 677. M. Proust, Corr, t. IV : 1904, p. 53. 678. Ibid.

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Inoltre queste coincidenze astronomiche sono da mettere in relazione con le fughe di cui Proust parlava a proposito di Montesquiou: c’è un rapporto fra i presagi e le fughe, i presagi sono fughe dalla regolarità ordinata e sterilizzante di un sistema, simile ad un giardino alla francese. Queste fughe hanno per oggetto le stelle, ma anche le radici e la terra (frase sui vegetali). Il movimento centrifugo che spinge l’occhio ad evadere dalle siepi ordinate del giardino più in alto, alla ricerca delle stelle, è una fuga tanto quanto la propagazione centripeta delle piante nella terra. Entrambi i livelli sono presenti in Proust come in Maeterlinck. In Proust, in particolare, questo sistema a tre livelli (sotto terra – livello del giardino – cielo) equivale a due forme dell’inconscio, una superiore (cielo-presagi) ed una inferiore (radici-ricordi) con un piano intermedio, l’intelligenza (il giardino), di ascendenza novalisiana, che troviamo adottato anche da Maeterlinck in Sagesse et Destinée (1898). Novalis parla di un’incoscienza inferiore che è al di sotto della ragione, e di una incoscienza superiore che è al di sopra della ragione. L’ascendenza di questo schema tripartito è in ultima analisi plotiniana (le tre ipostasi). Il presagio in Proust è un’atmosfera vuota, è uno sguardo che spazza ed è colpito da una stella: in questo ambito si può avere «coincidenza astronomica» di due pensieri, cioè di due sguardi che si fissano sulla stessa luce. Bisogna ricordarsi che il luogo della lettura è il luogo della coabitazione (spirituale) con la madre, per Proust. Lo sguardo all’ombra è lo sguardo dentro di sé, lo sguardo alla luce è il luogo della costituzione di un mondo (concentrico intorno a questa luce). In questo senso la monade è lo spazio della comunicazione letteraria prima di essere quello della creazione: specchi viventi che riflettono, ciascuno a suo modo, uno stesso astro, per scoprirvi armonie (o disarmonie), e questo astro è un universo. La loro comunicazione si basa sulla somiglianza (coincidenza) dei riflessi. La comunicazione avviene nella luce diretta perché si guarda la stessa luce (al punto da indovinare le stesse parole, la divination, la critica come pastiche). Ma nella corrispondenza proustiana troviamo riferimenti a un altro modo di comunicazione: la comunicazione dei «grands esprits» si fa sotterraneamente. Essi sono piuttosto radici che si sfiorano nell’oscurità. In questo senso ritroviamo un mitema di rientro nella caverna. Ritroviamo la costellazione giardinofinestra-fughe in una pagina di Maeterlinck, dove quest’ultimo ci mostra l’esempio di una pagina di La Bruyère sul coltivatore di prugne come «l’agréable fenêtre, que seul, entre tous les auteurs de son temps, il ouvre ainsi sur le jardins inattendus du XVIIe siècle»679: e forse è da riconoscere in questa inversione del paradigma presagi-fughe (la pagina scritta è uno squarcio inatteso, una finestra su un giardino, luogo dei presagi) un motivo ispiratore del paragone proustiano nella lettera sopra citata. Si tratta, ancora una volta, di reminiscenze anticipate. 679. M. Maeterlinck, Chrysanthèmes, in Le double jardin, cit., p. 200.

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Nella Recherche, il giardino chiuso da una griglia simboleggerà l’immutabilità della costituzione apparente dell’io,680 cui si contrappongono quelle vere e proprie fughe nell’invisibile che sono le analisi psicologiche proustiane. Ci occorre ora passare al punto 3), per illuminare gli ultimi riferimenti presenti nella citazione proustiana da cui abbiamo preso le mosse. Questi riferimenti riguardano in modo particolare La vie des abeilles (1901). Proust cita, tra le bellezze maggiori presenti in questo libro, le pagine dedicate al saggio che fece conoscere all’autore la vita delle api. La descrizione del rifugio del saggio è una vera miniatura: essa corrisponde all’idea di un mondo concentrato: la Fiandra Zelandese è uno specchio concavo dell’Olanda, ne raduna tutte le caratteristiche. L’intera descrizione sembra proporre l’idea dell’universo ridotto, concentrato, in scorcio, il desiderio di chinarsi sull’infinitamente piccolo: Je n’ai pas ancore oublié le premier rucher que je vis, où j’appris à aimer les abeilles. C’était, voilà des années, dans un gros village de cette Flandre Zélandaise, si nette et si gracieuse, qui, plus que la Zélande même, miroir concave de la Hollande, a concentré le goût des couleurs vives, et caresse des yeux, comme de jolis et graves jouets, ses pignons, ses tours et ses chariots enluminés, ses armoires et ses horloges qui reluisent au fond des corridors, ses petits arbres alignés le long des quais et des canaux, dans l’attente, semblet-il, d’une cérémonie bienfaisante et naïve, ses barques et ses coches d’eau aux poupes ouvragées; ses portes et ses fenêtres pareilles à des fleurs, ses écluses irréprochables, ses pont-levis minutieux et versicolores, ses maisonnettes vernissées comme des poteries harmonieuses et éclatantes d’où sortent des femmes en forme de sonnettes et parées d’or et d’argent pour aller traire les vaches en des prés entourés de barrières blanches, ou étendre le linge sur le tapis découpé en ovales et en losanges et méticuleusement vert, de pelouses fleuries.681

In questo scenario di felicità dove si coglie l’immaginazione miniaturizzante cara a Bachelard,682 il saggio è presentato con le parole di Virgilio e La Fontaine, 680. Cfr. CG, RTP, III, p. 367. 681. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, Paris, Charpentier, 1902, pp. 12-13. 682. Nel primo capitolo di La terre et les rêveries du repos, dedicato alle immagini d’intimità materiale, Gaston Bachelard distingue quattro tipi diversi di prospettiva legati al fenomeno della miniaturizzazione, o del guardare dentro le materie. Bachelard determina quattro « perspectives du caché », quattro tipi diversi che determinano diverse scansioni in profondità della psicologia degli immaginanti: 1) una prospettiva annullata; 2) una prospettiva dialettica; 3) una prospettiva meravigliata; 4) una prospettiva d’intensità sostanziale infinita. L’essere che sogna piani di profondità finisce per determinare in se stesso piani di profondità differenti (G. Bachelard, La terre…, cit., p. 9). Possiamo ascrivere il passaggio citato da Maeterlinck alla seconda prospettiva. La seconda prospettiva si basa su un capovolgimento dei valori che ha luogo quando ci si abbandona alla fantasia lillipuziana di andare ad abitare un oggetto minuscolo, che da quel momento ci rivela tutta la sua densità di sogno. Le fantasie veramente possessive sono le fantasie di questo genere, che ci danno tutta l’intimità di un oggetto, ed a partire dalle quali si afferma il capovolgimento: l’interno di un oggetto minuscolo è grande, le cose sognate non hanno dimensioni stabili. «On peut énoncer comme un postulat de l’imagination: les choses rêvées ne gardent jamais leurs dimensions, elles ne se stabilisent dans aucune dimension. Et les rêveries

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di cui si ricorda Proust nella sua citazione dove ripropone il paragone altre volte abbozzato fra Virgilio e Maeterlinck. Espone così un ideale di serena vita contemplativa, dedito allo studio dell’infinitamente piccolo: Une sorte de vieux sage, assez semblable au vieillard de Virgile, Homme égalant les rois, homme approchant des dieux, Et comme ces derniers satisfait et tranquille, aurait dit La Fontaine, s’était rétiré là, où la vie semblerait plus étroite qu’ailleurs, s’il était possible de rétrécir réellement la vie. Il y avait élevé son refuge, non dégoûté, – car le sage ne connaît point les grands dégoûts, – mais un peu las d’interroger les hommes qui répondent moins simplement que les animaux et les plantes aux seules questions intéressantes que l’on puisse poser à la nature et aux lois véritables.683

In questo ideale è presente l’immaginario notturno della penetrazione di un centro.684 Accanto alla rivalorizzazione dell’immaginario del ritorno, si colgono alcuni aspetti qui particolarmente evidenti: la valorizzazione dei colori, dei simboli d’intimità materiale e materna (la cucina fiamminga), della sievraiment possessives, celles qui nous donnent l’objet sont les rêveries lilliputiennes. Ce sont les rêveries qui nous donnent tous les trésors de l’intimité des choses. Ici s’offre vraiment une perspective dialectique, une perspective renversée qu’on peut exprimer dans une formule paradoxale : l’intérieur de l’objet petit est grand» (ivi, p. 13). Questa prospettiva può non andare al di là del capovolgimento ironico. Sono degne di nota le fantasie, che possono essere anche mediate dall’uso delle droghe, di rientrare nel proprio corpo. Uno degli esseri naturali a proposito dei quali compare più spesso la fantasia lillipuziana di una vita miniaturizzata è la noce: in Kafka, per una circostanza eccezionale, compare il dolore dell’essere ammaccato, stretto in uno spazio troppo piccolo. Si tratta tuttavia di una nota eccezionale, in quanto – sottolinea Bachelard – nelle fantasie miniaturizzanti prevale la felicità dell’essere concentrato. L’interno della noce porta il valore di una felicità primitiva (16). Il segreto di questa felicità è nell’essere una felicità nascosta, difesa da un pudore (bonheur caché). L’interno degli oggetti minuscoli è bene ordinato. Uno dei piaceri più frequenti dei botanisti è quello di aprire l’interno delle piante e di trovarvi un insieme bene ordinato, simile ad un armadio. Questa volontà di guardare dentro la cosa si riallaccia ad uno sguardo capace di prevedere l’avvenire (farebbe pensare allo sguardo penetrante del Diolettore di Leibniz): «Quel grand rêve de lire un avenir de vendange dans le dur et sec pépin! Le savant qui continuera ce rêve acceptera sans peine la thèse de l’emboîtement indéfini des germes» (ivi, p. 17). Le fate, gli esseri attivi nella dimensione di vita concentrata dei sogni lillipuziani, vivono un tempo accelerato: esse sono la concentrazione della volontà intelligente e paziente. Per Bachelard, si potrebbe arrivare a parlare, al loro riguardo, di un principio di Heisenberg della vita onirica: più sono piccoli gli esseri, più sono attivi e veloci. La vita concentrata porta ad un’altra immagine: la conchiglia, un’immagine di riposo e vita arrotolata, ripiegata su se stessa. Essa richiama la fantasia di mutarsi in una materia molle per trasformarsi e farsi proteggere da un guscio duro. La letteratura scientifica che riferisce le prime scoperte microscopiche esprime una grandissima meraviglia; alla sua apparizione «le microscope fut le kaléidoscope du minuscule» (ivi, p. 19). Bachelard cita un autore dove, dalla contemplazione delle meraviglie microscopiche (feccia di vino che diventa un mar Rosso, sabbia che assomiglia ad un mucchio di gioielli, muffa che diventa un campo cosparso di fiori, ecc.) trae questa morale: «l’on doit attacher un plus grand prix aux petites joies des sens qu’aux grandes» (ivi, p. 20). 683. Ivi, pp. 13-14. 684. Cfr. G. Durand, Les structures anthropologiques…, cit., p. 211 e sgg.

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sta e del riposo.685 Le api assumono il valore archetipale delle fate: esseri minuscoli e velocissimi, esse tracciano strade dorate nel cielo azzurro. La valorizzazione dell’oro e dell’azzurro può avere un doppio valore: in quanto privilegio accordato all’intensità sostanziale del colore, essa si colloca in regime notturno; in quanto principio di elevazione aerea che mira a una smaterializzazione delle immagini, si colloca tra i simboli spettacolari del regime diurno. In questa seconda accezione, il valore simbolico del dorato e dell’azzurrino è stato studiato tanto da Bachelard quanto da Durand,686 ma con una differenza: Bachelard non dimentica mai il carattere atmosferico e aereo dell’azzurro.687 È una questione importante dal nostro punto di vista, poiché Proust nella sua citazione afferma che la cosa più bella di tutta La vie des abeilles è «une certaine couleur “azurée” des belles heures de l’été».688 Forse quest’espressione fa eco alla conclusione del passaggio che abbiamo citato, dove si coglie il momento più festoso e splendente delle ore estive: En ce lieu, comme partout où on les pose, les ruches avaient donné aux fleurs, au silence, à la douceur de l’air, aux rayons du soleil, une signification nouvelle. On y touchait en quelque sorte au but en fête de l’été. On s’y reposait au carrefour étincelant où convergent et d’où rayonnent les routes aériennes que parcourent de l’aube au crépuscule, affairés et sonores, tous les parfums de la campagne. On y venait entendre l’âme heureuse et visible, la voix intelligente et musicale, le foyer d’allégresse des belles heures du jardin. On y venait apprendre, à l’école des abeilles, les préoccupations de la nature toute-puis685. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., p. 14 : «Tout son bonheur, de même que celui du philosophe scythe, consistait aux beautés d’un jardin, et parmi ces beautés la mieux aimée et la plus visitée était un rucher, composé de douze cloches de paille qu’il avait peintes, les unes de rose vif, les autres de jaune clair, la plupart d’un bleu tendre, car il avait observé, bien avant les expériences de sir John Lubbock, que le bleu est la couleur préferée des abeilles. Il avait installé ce rucher contre le mur blanchi de la maison, dans l’angle que formait une de ces savoureuses et fraîches cuisines hollandaises aux dressoirs de faïence où étincelaient les étains et les cuivres, qui, par la porte ouverte, se reflétaient dans un canal paisible. Et l’eau, chargée d’images familières, sous un rideau de peupliers, guidait les regards jusqu’au repos d’un horizon de moulins et de prés». 686. G. Durand, Les structures anthropologiques…, cit., pp. 150-153. 687. G. Bachelard, L’air et les songes…, cit., in particolare il capitolo IV, Les travaux de Robert Desoille, e il capitolo VI, Le ciel bleu. Si evince dalle esperienze di Desoille che il sogno “guidato”, proponendo immagini aeree di volo, culmina nell’immagine di una luce sostanzializzata, volumetrica, azzurra o dorata. Questa luce rappresenta il raggiungimento massimo del viaggio in altezza. «Il semble qu’un azur, parfois un couleur d’or, apparaissent sur les sommets où le rêve nous élève. Souvent, de lui-même, sans aucune suggestion, en vivant l’ascension imaginaire, le rêveur accède à un milieu lumineux où il perçoit la lumière dans un aspect substantiel. L’air lumineux, et la lumière aérienne dans un jeu de substantif à l’adjectif, trouve l’unité d’une matière. Le rêveur a l’impression de baigner dans une lumière portante. Il réalise la synthèse de la légèreté et de la clarté. Il a conscience d’être libéré à la fois du poids et de l’obscurité de la chair» (ivi, p. 137). In certi sogni è possibile classificare le ascensioni nell’aria azzurra e nell’aria dorata. L’immaginazione delle forme non giunge da sola alla visione di questa luce: essa si produce insieme a sensazioni cinestetiche. A p. 141, Bachelard cita l’opera di J. Pommier, La mystique de Marcel Proust, Genève, Droz, 1968, dove si parla di una « mystique de la tension ». 688. Cfr. supra, p. 244, n. 655.

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sante, les rapports lumineux des trois règnes, l’organisation inépuisable de la vie, la morale du travail ardent et désintéressé, et, ce qui est aussi bon que la morale du travail, les héroïques ouvrières y ensegnaient encore à goûter la saveur un peu confuse du loisir, en soulignant, pour ainsi dire, des traits de feu de leurs mille petites ailes, les délices presque insaisissables de ces journées immaculées qui tournent sur elles-mêmes dans les champs de l’espace, sans nous apporter rien qu’un globe transparent, vide de souvenirs comme un bonheur trop pur.689

Il corsivo nelle ultime parole della citazione serve a sottolineare l’immaginario maeterlinckiano del cielo, che sembra mettere in atto un processo di vetrificazione, intermedio fra la terra e il fuoco. Pur se non è esplicitamente nominato se non attraverso la metafora del «globe transparent», il cielo azzurro domina la visione elementare del giardino popolato di api indaffarate e sonore. Secondo Bachelard, che al cielo azzurro dedica una monografia, ci sono quattro modi di immaginare il cielo azzurro in conformità con la teoria della tetravalenza dei temperamenti poetici: 1) in analogia con un liquido fluido, che si anima alla minima nube; 2) come una fiamma immensa; 3) come una volta solida dipinta, compatta e dura; 4) in conformità alla sua natura propriamente aerea.690 Se il vetro di cui è fatto questo globo trasparente rimanda all’immaginario della serra, non mancano in Maeterlinck gli elementi propriamente aerei della visione del cielo azzurro, tenuto conto del fatto, sottolineato da Bachelard, che l’immaginazione di temperamento squisitamente aereo è assai più rara delle altre tre e che comunque l’immagine del cielo aereo che contiene una tendenza alla smaterializzazione ha bisogno di un principio di solidificazione per entrare nelle immagini letterarie propriamente dette.691 La dinamica che anima l’immaginazione del cielo azzurro è la smaterializzazione.692 L’immaginazione aerea tende a fondersi con un universo indifferenziato: il cielo blu è il «nirvana» della visione, perché non offre propriamente alla visione un oggetto, ma la pura contemplazione del suo esercizio. Il cielo azzurro per l’immaginazione è un fondo assoluto. «Dans une théorie de la forme montée à l’échelle cosmique, on pourrait dire que le ciel bleu est le fond absolu».693 La contemplazione del cielo offre una «immense virtualité».694 Bachelard cita un pensiero di Coleridge: la vista del cielo azzurro è di tutte le visioni quella che coincide di più con un sentimento. Il cielo azzurro è un’immagine elementare. La contemplazione del cielo azzurro è una dimensione in cui guardante e guardato si scambiano: è il cielo che guarda. L’immaginazione 689. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., pp. 14-15, c. n. 690. G. Bachelard, L’air et les songes…, cit., p. 186. 691. Ivi, p. 187. 692. Ivi, p. 188. 693. Ivi, p. 189. 694. Ivi, p. 190.

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aerea conosce la purezza come un dato immediato, vive un «absolu matinal»,695 al contrario di altre immaginazioni che hanno bisogno di ottenere la purezza in seguito a un procedimento di purificazione. Per Eluard, il cielo è «miroir sans tain»,696 specchio senza foglia di stagno. Esso è lo stato di visione pura, cioè visione senza oggetto, necessario al contemplatore per prendere coscienza della sua capacità di rappresentazione. Da qui l’autore trae alcune osservazioni metafisiche: la primitività è onirismo puro. La conoscenza poetica del mondo precede quella razionale degli oggetti. Il mondo è bello prima d’esser vero, il mondo è ammirato prima d’essere verificato. «L’être, pour prendre conscience de sa faculté de représentation, doit donc bien passer par cet état de voyant pur. Devant le miroir sans tain du ciel vide, il doit réaliser la vision pure».697 Per Bachelard, l’essere umano di fronte al mondo attraversa tre fasi: dapprima la fantasticheria (o la meraviglia che è una fantasticheria istantanea), poi la contemplazione (che associa i ricordi alla fantasticheria sull’oggetto) infine la rappresentazione, in cui interviene l’immaginazione delle forme incaricata di precisare i contorni dell’oggetto servendosi di ricordi precisi. L’immaginazione come stato primitivo dà all’essere umano una specie di finalità immediata: essa è orientata verso il futuro, è una «causalité du futur».698 La contemplazione del cielo azzurro da cui sono banditi gli oggetti fornisce a chi guarda la possibilità di un approfondimento infinito. Essa permette di cogliere allo stato nascente il soggetto e l’oggetto insieme. «Devant un ciel d’où sont bannis les objets naîtra un sujet imaginaire d’où sont bannis les souvenirs»,699 «la rêverie devant le ciel bleu – uniquement bleu – pose en quelque manière une phénoménalité sans phénomènes».700 La caratteristica della fantasia aerea è la tentazione di un «nirvana visuel»,701 di una «adhésion à la puissance sans acte, à la puissance tranquille, contente simplement de voir».702 Il cielo per la fantasia aerea è «imagination sans images»,703 dove «la “transparence” sera la plus réelle des apparences».704 Ci pare importante sottolineare questo elemento presente in Maeterlinck: l’immaginario del cielo attua una purificazione delle immagini e dei ricordi, per cui il globo trasparente è «vide de souvenirs comme un bonheur trop pur». Siamo sulla linea di una purificazione progressiva, forse anche di quella rimozione 695. Ibid. 696. Ibid. 697. Ivi, p. 193. 698. Ibid. 699. Ivi, p. 194. 700. Ibid. 701. Ivi, p. 195. 702. Ibid. 703. Ibid. 704. Ibid.

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del dolore e delle immagini del passato che lo appesantiscono, impedendosi di librarsi. Ma questa direzione in Maeterlinck non ha un carattere esclusivamente regressivo e frutto di refoulement. Essa è una direzione dinamica, quanto mai attiva e positiva, che si alimenta all’immaginario aereo. È la direzione della felicità e di quel processo di guarigione che la strategia testuale di Maeterlinck sembra mettere in atto, giusta la tesi di Delay. Pertanto, se è senz’altro lecito immaginare la contrapposizione fra immagine e pensiero messa in risalto dallo stesso Proust a proposito di Maeterlinck in base al modello psicoanalitico del «ritorno del represso»,705 tuttavia a questa lettura bisogna aggiungere l’interpretazione bachelardiana delle immagini presenti nei testi dei filosofi: «l’image littéraire a une vie propre, elle court comme un phénomène autonome au-dessus de la pensée profonde».706 In questo caso, i due livelli (immagine e pensiero) sono compresenti e di pari valore, e l’immagine corre “sul” pensiero, invece di erompere dal di sotto. Se insistiamo su questa topologia abbastanza semplificata è perché essa si riallaccia a numerose costellazioni testuali presenti e comuni a Proust e a Maeterlinck, in particolare a quella più volte citata del giardino che ha un piano inferiore (le radici) e un piano superiore (le fronde nel cielo) entrambe ugualmente corrispettive a una forma di incoscienza, che Novalis e sulla sua scorta Maeterlinck battezzano inferiore e superiore. Forse la rappresentazione migliore di questa contrapposizione assiologica si trova in un passaggio di Le côté des Guermantes, a proposito del sonno: Celles-là [le grandi stanchezze cui segue una buona notte di sonno], pour nous faire descendre dans les galeries les plus souterraines du sommeil, où aucun reflet de la veille, aucune lueur de mémoire n’éclairent plus le monologue intérieur, si tant est que luimême n’y cesse pas, retournent si bien le sol et le tuf de notre corps qu’elles nous font retrouver, là où nos muscles plongent et tordent leurs ramifications et aspirent la vie nouvelle, le jardin où nous avons été enfant. Il n’y a pas besoin de voyager pour le revoir, il faut descendre pour le retrouver. Ce qui a couvert la terre n’est plus sur elle, mais dessous, l’excursion ne suffit pas pour visiter la ville morte, les fouilles sont nécessaires. Mais on verra combien certaines impressions fugitives et fortuites ramènent bien mieux encore vers le passé, avec une précision plus fine, d’un vol plus léger, plus immatériel, plus vertigineux, plus infaillible, plus immortel, que ces dislocations organiques.707

Questa citazione indica chiaramente le due direzioni assiologiche dell’alto e del basso e il loro punto di giunzione intermedia, il giardino. Nella prima parte della citazione, troviamo termini quali: descendre, galeries souterraines, sol, tuf, ra705. Cfr. F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, Einaudi, 1973. 706. G. Bachelard, L’air et les songes…, cit., p. 164, c. n. 707. CG, RTP, II, pp. 390-391.

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mifications, ville morte, fouilles. L’immaginario della discesa ha un carattere marcatamente terrestre. Nella seconda parte, troviamo: «vol plus léger, plus immatériel, plus vertigineux, plus infaillible, plus immortel»: l’immaginario dell’ascesa è un sogno aereo di volo. Sono le due direzioni della «mémoire du corps» e delle estasi metacroniche. Quello che ci preme sottolineare è che tra questi due assi immaginari, di cui la citazione ci indica gli estremi, non mancano gradazioni intermedie, conformi al principio già citato che le immagini aeree hanno spesso bisogno di un aiuto materiale per solidificarsi, ovvero del concorso di un altro tipo di immaginazione. In Proust è tuttavia possibile indicare alcune citazioni che mostrano il carattere squisitamente aereo dell’azzurro, il suo non offrire resistenza allo sguardo nella penetrazione di una sostanza infinita. La più eloquente è certamente la descrizione del cielo negli aerodromi dove il narratore si reca con Albertine ne La Prisonnière.708 Come dimostrano anche le analisi penetranti della Simon, la démarche proustiana ha bisogno di questo spazio interiore di virtualità, di questo fondo assoluto, di questa «fenomenalità senza fenomeni» come vuoto dove adagiarsi e dal quale assistere alla nascita della propria stessa capacità e potenza rappresentativa. Idee del tutto analoghe a quelle espresse e da noi evocate di Bachelard erano del resto già state espresse da uno dei maggiori filosofi del tempo di Proust, da lui ammirato e conosciuto, il kantiano Jules Lachelier, che poneva la rappresentazione visuale e la capacità di avere rappresentazioni scalate secondo la prospettiva come il vertice dell’evoluzione ontogenetica umana. Solo fra tutti gli altri esseri viventi, l’uomo avrebbe la capacità di “vedere” ossia di concepire uno spazio suscettibile d’infinito approfondimento che lo invita a disporsi di fronte alle cose come un essere proiettato verso il futuro.709 Ne La vie des abeilles ritroviamo una rappresentazione del cielo come scenario del volo delle api dove sembrano disporsi raggi rettilinei e pieghe, sempre caratterizzate dal colore dorato. Ancora troviamo la sintesi fra altitudine-volopiega da cui siamo partiti, e la doppia connotazione congiunta dell’oro e dell’azzurro, colori mistici secondo Bachelard. Questa sintesi è presente anche in Maeterlinck. Il raggio dorato appare come l’oggetto visibile sullo sfondo trasparente dell’azzurro. Di questa associazione possiamo fornire numerosi esempi, 708. LP, RP, III, pp. 906-907 : « le ciel était tout entier fait de ce bleu radieux et un peu pâle comme le promeneur couché dans un champ le voit parfois au-dessus de sa tête, mais tellement uni, mais tellement profond, qu’on sent que le bleu dont il est fait a été employé sans aucun alliage et avec une si inépuisable richesse qu’on pourrait approfondir de plus en plus sa substance sans rencontrer un atome d’autre chose que de ce même bleu ». Cfr anche la seguente citazione, ritrovata da Anne Simon (Proust.et le réel retrouvé, cit.) sul colore azzurro zaffiro dell’onda veneziana : « une eau de saphir, rafraîchie de souffles tièdes, et d’une couleur si résistante que mes yeux fatigués pouvaient, pour se détendre et dans craindre qu’elle flechît, y appuyer leurs regards » (AD, RTP, IV, p. 203). 709. Cfr. J. Lachelier, Œuvres, Paris, Alcan, 1933, 2 voll. Cfr. anche E. Minkowski, op. cit.

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come la descrizione della sciamatura delle api fuori dell’alveare.710 Nella Recherche, ritroviamo l’oro e l’azzurro (l’oro come piega o intaccatura sull’azzurro) nel passaggio dedicato alle letture infantili nel giardino di Combray: Et à chaque heure il me semblait que c’étaient quelques instants seulement auparavant que la précédente avait sonné; la plus récente venait s’inscrire tout près de l’autre dans le ciel et je ne pouvais croire que soixante minutes eussent tenu dans ce petit arc bleu qui était compris entre leurs deux marques d’or. Quelquefois même cette heure prématurée sonnait deux coups de plus que la dernière; il y en avait donc une que je n’avais pas entendue, quelque chose qui avait eu lieu n’avait pas eu lieu pour moi; l’intérêt de la lecture, magique comme un profond sommeil, avait donné le change à mes oreilles hallucinées et effacé la cloche d’or sur la surface azurée du silence.711

Nel passaggio proustiano troviamo i segni («marques d’or»), che s’iscrivono sulla superficie del cielo azzurro. Questi segni hanno un carattere curvilineo, riferendosi metonimicamente alla campana dorata di cui si parla poco dopo, e fanno esplicito riferimento alla temporalità: si tratta di vere e proprie pieghe temporali che segnano il trascorrere delle ore. Possiamo a questo punto mettere in risalto una struttura delle immagini comune a Maeterlinck e a Proust, che oltrepassa la tonalità affettiva positiva o negativa, consolatoria o tragica, che di volta in volta assumono le singole immagini a seconda dei contesti. Questa struttura rimanda alle costellazioni mistiche evidenziate da Bachelard e Durand e ci mostra il raggio (o la piega, a seconda dei contesti) che attraversa il cielo: esso va interpretato come un segno, non importa se annunciatore di morte o di felicità (nella prospettiva deleuzeana della terza sintesi quest’ultima differenza viene ad essere annullata). Per quanto riguarda più in particolare Maeterlinck, possiamo affermare che la freccia che colpisce il matricida si apparenta immagi710. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., pp. 87-88 : «Maintenant, revenons à notre ruche qui essaime et où l’on n’a pas attendu la fin de ces réflexions pour donner le signal du départ. À l’instant que ce signal se donne, on dirait que toutes les portes de la ville s’ouvrent en même temps d’une poussée subite et insensée, et la foule noire s’en évade ou plutôt en jaillit, selon le nombre des ouvertures, en un double, triple ou quadruple jet direct, tendu, vibrant et ininterrompu qui fuse et s’évase aussitôt dans l’espace en un réseau sonore tissu de cent mille ailes exaspérées et transparentes. Pendant quelques minutes, le réseau flotte ainsi au-dessus du rucher dans un prodigieux murmure de soieries diaphanes que mille et mille doigts électrisés déchireraient et recoudraient sans cesse. Il ondule, il hésite, il palpite comme un voile d’allégresse que des mains invisibles soutiendraient dans le ciel où l’on dirait qu’elles le ploient et le déploient depuis les fleurs jusqu’à l’azur, en attendant une arrivée ou un départ auguste. Enfin, l’un des pans se rabat, un autre se relève, les quatre coins pleins de soleil du radieux manteau qui chante, se rejoignent, et, pareil à l’une de ces nappes intelligentes qui pour accomplir un souhait traversent l’horizon dans les contes de fées, il se dirige tout entier et déjà replié, afin de recouvrir la présence sacrée de l’avenir, vers le tilleul, le poirier ou le saule où la reine vient de se fixer comme un clou d’or auquel il accroche une à une ses ondes minuscules, et autour duquel il enroule son étoffe de perles tout illuminée d’ailes » (c. n). 711. CS, RTP, I, pp. 86-87.

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nativamente con i percorsi di felicità tracciati dalle api nel cielo. Le immagini tragiche che contraddicono il discorso consolatorio di Maeterlinck non sono dunque escrescenze grezze che scoppiano qua e là nel testo, ma attingono alla stessa sorgente profonda da cui Maeterlinck trae le immagini della consolazione e della felicità. Se c’è una differenza fra le due tonalità, essa può essere tutt’al più riportata alla differenza rettilineo/curvilineo su cui ci siamo già soffermati nel primo capitolo. Ma nella prospettiva deleuziana da noi adottata questa differenza risulta riassorbita nel carattere comune di segno. In una prospettiva infinita e d’infinita ripetizione, qual è dischiusa dalla morte come movimento, o dall’evoluzione infinita della natura che si serve degli individui come strumenti permutabili e passeggeri attraverso i quali realizzare una finalità più alta – è la prospettiva teorica dominante ne La vie des abeilles – i tratti rettilinei e intermittenti tracciati dalle vite dei singoli individui finiscono con l’essere riassorbiti in un più vasto movimento curvilineo, un po’ come, in un sistema di assi cartesiani, i punti singoli caratterizzati ognuno da un vettore rettilineo si uniscono per disegnare il movimento di una curva che rappresenta un’equazione: alla fine de La vie des abeilles troviamo l’immagine della spirale di bagliori («spirale de lueurs»712) che caratterizza l’evoluzione filogenetica sia delle api che della specie umana. Proust manifesta un temperamento immaginativo simile nel trattamento dell’immagine del raggio, che in base alla nostra tesi – confermata dalla Simon – si apparenta alla prospettiva deleuziana e fenomenologica della Differenza.713 L’ambivalenza affettiva che caratterizza le immagini scaturenti da questa figura (il raggio, la freccia, il lampo, la piega, il volo dell’insetto, il proiettore luminoso ecc.), piegate di volta in volta ad esprimere morte o consolazione, ci segnala che ci troviamo davanti ad un’immagine fondamentale, secondo il principio enucleato da Bachelard e Durand sull’ambivalenza delle immagini fondamentali. Non fa allora nessuna meraviglia che Proust abbia trovato nella lettura di Maeterlinck un alimento fondamentale per il proprio immaginario. Ritroviamo in Proust anche l’opposizione rettilineo/curvilineo nel trattamento del

712. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., p. 301. 713. Così Anne Simon descrive il raggio proustiano: «Le rayon proustien, comme la courbe sonore ou visuelle, n’est pas un simple signe d’une réalité différente de lui, à laquelle il mènerait sans que lui-même, figure matérielle et condensée quoiqu’intangible du lien, importe. […] Le rayon apparaît dans la Recherche comme une sorte de concrétion de l’invisible, un Mercure lumineux qui ne se contenterait pas de porter des messages, mais influerait sur leur teneur même, par la forme ou la texture de son corps, par son intensité ou sa légèreté. Il est donc une image particulièrement importante dans la Recherche, puisqu’il permet de figurer le lien entre le visible et l’invisible, entre l’explicite et l’implicite au fondement de la perception du monde autant que de l’écriture de Proust» (A. Simon, Proust ou le réel retrouvé, cit., p. 186). Cfr. più avanti : « Le rayon (ou son avatar, la rayure), individuant, apparaît donc conjointement comme une figure de la coïncidence et de la séparation qui fait émerger un sensible particulier d’un fond informe ou chaotique » (ivi, p. 189).

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raggio.714 Essa si può ricondurre, in Proust come in Maeterlinck, ad una ricerca di corrispondenze esteriori oppure interiori, in ultima analisi ad una differenza di prospettiva nell’accogliere l’Evento della morte come finitezza.715 Ci troviamo allora perfettamente d’accordo con Anne Simon quando afferma: «Le rai de lumière empêche donc la clôture totale de la monade, en venant rappeler l’existence et l’hétérogénéité du monde extérieur au dormeur, au rêveur ou au sujet qui l’oublie parce qu’il est lové dans sa vie tissée d’habitudes».716 Quando l’alveare è chiuso nel letargo invernale, il primo raggio di sole che lo penetra lo chiama al risveglio, esattamente come la felicità, secondo la definizione datane da Proust nel Carnet de 1908, è l’apparizione mattutina del primo raggio di sole nella stanza del malato: «Le bonheur n’est qu’une certaine sonorité des cordes qui vibrent à la moindre chose et qu’un rayon fait chanter. L’homme heureux est comme la statue de Memnon un rayon de soleil suffit pour le faire chanter».717 In Maeterlinck, l’alveare è una monade che vive delle intermittenze barometriche, dei segnali che lo chiamano ad aprirsi per i due grandi episodi che si svolgono all’aria aperta, la sciamatura e la fecondazione della regina. Il racconto di Maeterlinck alterna questi due episodi con due movimenti di chiusura, la fondazione del nuovo alveare e il letargo invernale, fino a che il nuovo raggio di luce avrà descritto il compiersi di un intero ciclo e richiamerà le api al risveglio: Il [il miele] tient lieu de soleil et de fleurs, jusqu’à ce que son frère aîné, le soleil véritable du grand printemps réel, glissant par la porte entr’ouverte ses premier regards attiédis où renaissent les violettes et les anémones, réveille doucement les ouvrières pour leur montrer que l’azur a repris sa place sur le monde, et que le cercle ininterrompu qui joint la mort à la vie, vient de faire un tour sur lui-même et de se ranimer.718

Nel racconto di Maeterlinck troviamo dunque tanto il momento dell’uscita 714. Cfr. ancora A. Simon, Proust et le réel…, cit., p. 190: «Le rayon se trouve porteur d’un non-être qui a toutes les caractéristiques de l’être – moins l’existence. Il se transforme dès lors en une “lame” “sinistre dont la blancheur froide, implacable et compacte entrait me donnant comme un coup de couteau” [AD, RTP, IV, p. 64], et le reflet du jour devient, “coupant comme un acier, un coup suprême que dans sa cruauté me portait encore le jour” [AD, RTP, IV, p. 63] : autant de fissures du sensible par où éclate une forme insoutenable du temps retrouvé. Ce que relie cette fois le rayon, ce n’est plus un sujet et le monde actuel sensible, mais le sujet à sa propre mémoire, elle-même pétrie de sensorialité. Le rayon devient en effet dard ou flèche qui pénètre le corps pour lui faire sentir physiquement une absence. Il est une émission du monde et de temps qui sourd autant du présent, puisqu’il y a bien un rayon de jour dans la chambre du héros, que du passé, puisque ce rayon présent semble venir moins du climat que d’une époque révolue ». 715. Cfr. AD, RTP, IV, p. 8: «Pour se représenter une situation inconnue l’imagination emprunte des éléments connus et à cause de cela ne se la représente pas. Mais la sensibilité, même la plus physique, reçoit comme le sillon de la foudre, la signature originale et longtemps indélébile de l’événement nouveau». 716. A. Simon, Proust et le réel…, cit., p. 190. 717. M. Proust, Le carnet de 1908, cit., pp. 83-84. 718. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., p. 256.

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che quello del rientro, ripetuto e alternato. Abbiamo già descritto la costellazione immaginaria legata al momento dell’uscita. All’insieme cielo azzurro-piegaraggio si conforma anche la straordinaria descrizione delle nozze della regina.719 Qui lo sfortunato amante della regina, dopo averla cercata e raggiunta «aux creux les plus cachés de l’horizon»,720 «aux replis infinis et éblouissants d’un beau ciel»,721 muore, «foudroyé par l’éclair nuptial».722 La stessa costellazione, a parti invertite, si ritrova nella descrizione dell’interno dell’alveare, anch’esso, come la monade, tappezzato di pieghe. Il capitolo intitolato Les jeunes reines ritorna a quanto accade nella città-madre dopo la partenza dello sciame, e qui scopre le api che devono ancora nascere, in una visione della città popolata di larve seppellite nelle loro cellule geometriche dove l’evocazione della piega del sudario assume il valore di virtualità della nascita e della potenza futura dell’avvenire.723 Maeterlinck ritorna a trattare della cera e introduce l’immagine della piega dei tendaggi sospesi in ghirlande che aspettano la trasudazione della cera. La cera è presentata come ciò che trasuda dalle pieghe organiche della materia vivente, e insieme come destinata a trasformarsi in luce: un altro elemento che porta a considerare che ciò che trasuda, che deborda fuori dalle pieghe, la piega organica infinita, è una materia-luce. Occorre osservare che poco sopra l’intelligenza è definita come un «état particulier de floraison ou d’incandescence»,724 facendo coincidere il dispiegamento organico con l’irradiazione luminosa. In particolare occorre notare che ciò che così nasce fra le pieghe organiche della materia è una sublimazione, un concentrato e un ricordo dell’aria e della luce. Il miele e la cera costituiscono uno spazio cristallizzato, una concentrazione del cielo nello spazio ristretto e cavernoso di un’interiorità.725 Ritroviamo pertanto il mitema della ca719. Ivi, pp. 216-219. 720. Ivi, p. 211. 721. Ivi, p. 216. 722. Ivi, p. 219. 723. Ivi, p. 166 : « Mais si le présent paraît morne, tout ce que l’œil rencontre est peuplé d’espérances. Nous sommes dans un de ces châteaux des légendes allemandes où les murs sont formés de milliers de fioles qui contiennent les âmes des hommes qui vont naître. Nous sommes dans le séjour de la vie qui précède la vie. Il y a là, de toutes parts en suspens dans les berceaux bien clos, dans la superposition infinie des merveilleux alvéoles à six pans, des myriades de nymphes, plus blanches que le lait, qui, les bras repliés et la tête inclinée sur la poitrine, attendent l’heure du réveil. À les voir dans leurs sépultures uniformes, innombrables et presque transparentes, on dirait des gnomes chenus qui méditent, ou des légions de vierges déformées par les plis du suaire, et ensevelies en des prismes hexagones multipliés jusqu’au délire par un géomètre inflexible ». 724. Ivi, p. 125. 725. Ivi, p. 128: « Reprenons donc, où nous l’avions laissée l’histoire de notre ruche, pour écarter, autant que possible, un des plis du rideau de guirlandes au milieu duquel l’essaim commence à éprouver cette étrange sueur presque aussi blanche que la neige et plus légère que le duvet d’une aile. Car la cire qui naît ne ressemble pas à celle que nous connaissons tous : elle est immaculée, impondérable, elle paraît vraiment l’âme du miel, qui est lui-même l’esprit des fleurs, évoquée dans une incantation immobile, pour devenir plus tard entre nos mains, en souvenir, sans doute, de son origine où il y a tant d’azur, de parfums, d’espace cristallisé, de rayons

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verna: se il cielo è concentrato nello spazio ristretto dell’alveare – il che rimanda ai valori cultuali della caverna – grazie alla presenza dell’essudazione della cera dal corpo delle api e al miele, d’altra parte l’uscita all’aperto è come un’irradiazione dei corpi stessi delle api sotto la volta del cielo. Assistiamo quindi a una singolare moltiplicazione labirintica del mito della caverna nel passaggio da una materia all’altra, «una caverna nella caverna»,726 come vuole Deleuze. Infatti non solo qui c’è lo scambio e la reversibilità interno-esterno, ma l’inscatolamento infinito delle materie le une nelle altre: alle pieghe del sudario delle larve all’interno dell’alveare corrispondono, all’esterno, le pieghe e i tendaggi, le cavernosità dell’orizzonte, che, nonostante sia fatto di aria, è possibile immaginare come un’altra caverna di dimensioni ingrandite, all’infinito. Ciò che consente questo passaggio e testimonia della natura leibniziana dell’universo di Maeterlinck è la legge della prospettiva. Maeterlinck immagina l’alveare come un piccolo mondo, un mondo concentrato, ridotto, in scorcio, al di fuori e all’esterno del quale, da un’altezza che è impossibile per le api cogliere, si collochi il loro osservatore, l’uomo. Ma questa legge vale anche per l’uomo stesso: il mondo nel quale egli vive ed è immerso è forse contemplato, dall’esterno e da altezze che ci sfuggono, da esseri extraterrestri di taglia e proporzione superiori alla nostra, che intervengono nella nostra vita, così come noi interveniamo in quella delle api. Questo è un tema costante che percorre tutto il libro. Il paragone fra l’uomo che osserva e talvolta interviene nella vita delle api da altezze per loro inaccessibili e l’extraterrestre che scruta il mondo umano da dimensioni abissali e per noi ignote è ribadito a più riprese. La delusione per i primi osservatori dell’interno dell’alveare e la loro difficoltà a penetrare nelle ragioni dei movimenti delle api e a riconoscere in loro un’intelligenza è paragonata all’analoga difficoltà di un osservatore extraterrestre il quale seguisse i movimenti delle folle umane, il loro percorrere le strade, ammassarsi davanti a certi edifici, entrarne ed uscirne, con analoga difficoltà a cogliere in questi movimenti un ordine e delle cause. Ma, nello stesso tempo, la possibilità che si offre all’osservatore umano di cogliere a grandi linee i movimenti e le scansioni elementari di piccole vite in un piccolo mondo dovrebbe essere la stessa per il mondo degli uomini, i cui enigmi per noi insolubili non apparirebbero più tali a chi potesse contemplarli dall’alto di un mondo più grande del nostro. Ritroviamo la legge della prospettiva in Proust – essa è una delle strutture fondamentali del romanzo – e l’immagine della valutazione in altezza di una cattedrale in una pagina del Temps retrouvé: Ce n’est pas d’en bas, dans le tumulte de la rue et la cohue des maisons avoisinantes, sublimés, de pureté et de magnificence, la lumière odorante de nos derniers autels». 726. Cfr. anche il tema del « secondo appartamento » del sonno, in J. Kristeva, op. cit.

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c’est quand on s’est éloigné que des pentes d’un coteau voisin, à une distance où toute la ville a disparu ou ne forme plus au ras de terre qu’un amas confus, qu’on peut, dans le recueillement de la solitude et du soir, évaluer, unique, persistante et pure, la hauteur d’une cathédrale.727

Questa legge prospettica è applicata da Proust al tempo. Il ricordo persistente può essere contemplato, come la cattedrale, solo da una distanza temporale adeguata. Ed è per questo che il protagonista si sente issato, alla fine della Recherche, su una massa sovrapposta di piani translucidi dai quali può contemplare paesaggi lontanissimi. Non stupisce dunque che, tra i passaggi maggiormente apprezzati da Proust ne La vie des abeilles, uno riguardi proprio questi cambiamenti di prospettiva. A un certo punto della sua esposizione, Maeterlinck rappresenta se stesso e un fisiologo della città di Caux, in Normandia, nel quale si trova, a passeggio sui pendii di un altopiano dal quale si contempla il paesaggio sottostante, e cede la parola a questo secondo personaggio il quale illustra la legge della prospettiva, una “optique des esprits” (per riprendere una definizione proustiana). La verità non è una, è prospettica e comporta tre apparenze diverse. Ci sono tre modi di accedere alla verità e di contemplarla nel proprio animo, che corrispondono a tre distanze diverse dall’oggetto: Il n’y a pas encore de vérité pour nous, me disait un jour un des grands physiologistes de ce temps, tandis que je me promenais avec lui dans la campagne, il n’y a pas encore de vérité, mais il y a partout trois bonnes apparences de vérité. Chacun fait son choix ou plutôt le subit, et ce choix qu’il subit ou qu’il fait souvent sans réfléchir et auquel il se tient, détermine la forme et la conduite de tout ce qui pénètre en lui.728

Qui ritorna il tema degli «ornamenti» retorici della verità, che percorre tutto il libro. Abbiamo già visto come l’”ornamento” caratterizzi in primo luogo la metafora, nei passaggi già citati di Le Temple enseveli (1902). Ma rispetto alla riflessione di quest’opera successiva – anche se solo di un anno – a La vie des abeilles, qui la posizione di Maeterlinck è più complessa e sfumata, e oscilla – come frequentemente accade in questo autore – fra due poli opposti. È anche più interessante, perché qui Maeterlinck connota in senso ancora più radicalmente soggettivo la verità: la verità si dà solo attraverso le sue multiformi traduzioni o apparenze – a meno di una rivelazione collocata in un incerto futuro (prospettiva utopica che tuttavia non è mai scartata radicalmente e che resta sullo sfondo a fare da contrappunto oggettivo alle credenze soggettive). Il polo razionalistico di 727. AD, RTP, IV, pp. 75-76. 728. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., p. 235.

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questa riflessione è rappresentato dall’apprezzamento della verità “nuda”, quale ci è consegnata dai nostri esperimenti scientifici. Se c’è contrasto fra l’apparenza poetica e meravigliosa di un fenomeno e le spiegazioni seducenti che esso richiama, da una parte, e la nuda verità del dato dall’altra, il nostro compito umano è seguire la direzione della nostra intelligenza e scartare le apparenze immaginative e tutti gli ornamenti fantastici.729 Tuttavia, questo modo di procedere deve essere corretto o temperato da un apprezzamento della verità fantastica o poetica, quando non sussista una patente contraddizione fra la spiegazione di un fenomeno data dalla scienza e gli abbellimenti che possono venirgli dalla nostra fantasia. Il razionalismo e lo scientismo di Maeterlinck non è cieco – questo è a nostro parere un elemento di grande attualità della sua riflessione. Maeterlinck segnala nella mentalità scientifica troppo ristretta un pericolo altrettanto grave di quello metafisico, che rischia di farci perdere una giusta nozione della verità. Il pericolo è che la mentalità scientifica si chiuda in se stessa e diventi una forma grezza di materialismo. Laddove le due spiegazioni – scientifica e fantastica – possono coesistere, se la spiegazione fantastica va nella direzione di un ingrandimento e di una nobilitazione del fenomeno, bisogna tenerne conto. La differenza in quello che egli chiama il “maneggiamento” del mistero e dell’infinito è ancora una volta di prospettiva: è sbagliato partire dalle spiegazioni fantastiche e poetiche di un fenomeno, e profondere a piene mani il mistero laddove la scienza ammette spiegazioni più limitate e circoscritte: ma è giusto aprirsi al mistero quale “ricompensa” e “consolazione” dello studio attento del finito, come punto di partenza per nuove ricerche dalla prospettiva più vasta. Commentando il proprio racconto tutto allegorico e metonimico della parata nuziale e del volo della regina, in cui Maeterlinck scorge la legge profonda della vicinanza di amore e morte, e ponendolo a confronto col nudo dato scientifico che spiega questo straordinario spettacolo della natura col semplice fatto che la piena funzionalità dell’organo sessuale fecondatore è data al maschio delle api solo in volo, Maeterlinck afferma: «Oui, à tout propos, à tout moment, en toutes choses, réjouissons-nous, non pas audessus de la vérité, ce qui est impossible puisque nous ignorons où elle se trouve, mais au-dessus des petites vérités que nous entrevoyons. Si quelque hasard, quelque souvenir, quelque illusion, quelque passion, n’importe quel motif en un mot, fait qu’un objet se montre à nous plus beau qu’il ne se montre aux autres, que d’abord ce motif nous soit cher. Peut-être n’est-il 729. Ivi, pp. 115-116: « Il convient ici comme en toute circonstance, de se tenir à ce principe: que si la vérité toute nue paraît sur le moment moins grande, moins noble ou moins intéressante que l’ornement imaginaire qu’on lui pourrait donner, la faute en est à nous qui ne savons pas encore distinguer le rapport toujours étonnant qu’elle doit avoir à notre être encore ignoré et aux lois de l’univers, et dans ce cas, ce n’est pas la vérité qui a besoin d’être agrandie et ennoblie, mais notre intelligence».

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qu’erreur: l’erreur n’empêche point que le moment où l’objet nous paraît le plus admirable est celui où nous avons le plus de chance d’apercevoir sa vérité. La beauté que nous lui prêtons dirige notre attention sur sa beauté et sa grandeur réelles, qui ne sont point faciles à découvrir, et se trouvent dans les rapports que tout objet a nécessairement avec des lois, avec des forces générales et éternelles. La faculté d’admirer que nous aurons fait naître à propos d’une illusion ne sera pas perdue pour la vérité qui viendra tôt ou tard. C’est avec des mots, avec des sentiments, c’est dans la chaleur développée par d’anciennes beautés imaginaires, que l’humanité accueille aujourd’hui des vérités qui peut-être ne seraient pas nées, et n’auraient pu trouver un milieu favorable, si ces illusions sacrifiées n’avaient d’abord habité et réchauffé le cœur et la raison où les vérités vont descendre.730

Questo peculiare rapporto con la bellezza e l’immaginazione esclude ogni estetismo. L’oggetto in cui si manifesta la bellezza è l’epifania di una possibile verità. Tocchiamo qui un punto di convergenza col pensiero proustiano. Illustrando la concezione della bellezza propria di Ruskin – del quale Proust aveva sottolineato le patenti analogie con Maeterlinck – Proust afferma che l’apparizione della bellezza non era altro per Ruskin che un mezzo col quale gli si facevano palesi alcune verità che era destinato a decifrare.731 In rapporto al caso particolare delle nozze delle api, Maeterlinck afferma che chi credesse di non vedere nient’altro che il dettaglio fisiologico dell’organo maschile, sarebbe più lontano dalla verità di chi si ostinasse nell’interpretazione tutta fantastica e poetica. Occorre prestare alla verità una grandezza, perché, per cercare la verità nella natura, bisogna presumere che essa sia grande. Chi accoglie la verità fantastica o poetica prepara un luogo ospitale da dove l’anima può aprirsi a più grandi verità.732 Questo accenno al luogo ospitale dell’anima può 730. Ivi, pp. 231-232, c. n. 731. M. Proust, PM, pp. 110-111: «[…] la Beauté ne peut pas être aimée d’une manière féconde si on l’aime seulement pour les plaisirs qu’elle donne. Et, de même que la recherche du bonheur pour lui-même n’atteint que l’ennui, et qu’il faut pour le trouver chercher autre chose que lui, de même le plaisir esthétique nous est donné par surcroît si nous aimons la Beauté pour elle-même, comme quelque chose de réel existant en dehors de nous et infiniment plus important que la joie qu’elle nous donne. Et, très loin d’avoir été un dilettante ou un esthète, Ruskin fut précisément le contraire, un de ces hommes à la Carlyle, avertis par leur génie de la vanité de tout plaisir et, en même temps, de la présence auprès d’eux d’une réalité éternelle, intuitivement perçue par l’inspiration. Le talent est leur donné comme un pouvoir de fixer cette réalité à la toute-puissance et à l’éternité de laquelle, avec enthousiasme et comme obéissant à un commandement de la conscience, ils consacrent, pour lui donner quelque valeur, leur vie éphémère. De tels hommes, attentifs et anxieux devant l’univers à déchiffrer, sont avertis des parties de la réalité sur lesquelles leurs dons spéciaux leur départissent une lumière particulière, par une sorte de démon qui les guide, de voix qu’ils entendent, l’éternelle inspiration des êtres géniaux. Le don spécial, pour Ruskin, c’était le sentiment de la Beauté, dans la nature comme dans l’art. Ce fut dans la Beauté que son tempérament le conduisit à chercher la réalité, et sa vie toute religieuse en reçut un emploi tout esthétique». 732. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., pp. 233-234 : « Mais si nous nous en contentions, si nous ne regardions plus rien par de là, si nous en induisions que toute pensée qui va trop loin ou trop haut a nécessairement tort et que la vérité se trouve toujours dans le détail matériel, si nous ne cherchions pas, n’importe où,

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essere paragonato ad un passaggio di La Sagesse et la Destinée dove si parla del carattere prospettico, ovvero soggettivo, individuale, della verità e si afferma che l’influsso di una verità altrui (che sarà sempre soggettiva) serve per preparare nell’anima un luogo ospitale e propizio alla scoperta della propria verità. La prospettiva che presuppone questa scoperta va sempre «au plus haut», in direzione dell’altezza. E in questa dimensione si muove il primo quadro preparato agli occhi del contemplatore dalla pianura di Caux, nel passaggio dal quale abbiamo preso le mosse: «Nous étions arrivés au sommet d’un plateau de ce pays de Caux, en Normandie, qui est souple comme un parc anglais, mais un parc naturel et sans limites. C’est l’un des rares points du globe où la campagne se montre complètement saine, d’un vert sans défaillance. Un peu plus au nord, l’aprêté la menace; un peu plus au sud, le soleil la fatigue et la hâle. Au bout d’une plaine qui s’étendait jusqu’à la mer, des paysans édifiaient une meule. «Regardez, me dit-il: vus d’ici, ils sont beaux. Ils construisent cette chose si simple et si importante, qui est par excellence le monument heureux et presque invariable de la vie humaine qui se fixe: une meule de blé. La distance, l’air du soir, font de leurs cris de joie une sorte de chant sans paroles qui répond au noble chant des feuilles qui parlent sur nos têtes. Au-dessus d’eux, le ciel est magnifique, comme si des esprits bienveillants, munis de palmes de feu, avaient balayé toute la lumière du côté de la meule pour éclairer plus longtemps le travail. Et la trace des palmes est restée dans l’azur. Voyez l’humble église qui les domine et les surveille, à mi-côte, parmi les tilleuls arrondis et le gazon du cimetière familier qui regarde l’océan natal. Ils élèvent harmonieusement leur monument de vie sous les monuments de leurs morts qui firent les mêmes gestes et ne sont pas absents. «Embrassez l’ensemble: aucun détail trop particulier, trop caractéristique, comme on en trouverait en Angleterre, en Provence ou en Hollande. C’est le tableau large, et assez banal pour être symbolique, d’une vie naturelle et heureuse. Voyez donc l’eurithmie de l’existence humaine dans ses mouvements utiles. Regardez l’homme qui mène les chevaux, tout le corps de celui qui tend la gerbe sur la fourche, les femmes penchées sur le blé et les enfants qui jouent… Ils n’ont pas déplacé une pierre, remuée une pelletée de terre pour embellir le paysage; ils ne font pas un pas, ne plantent pas un arbre, ne sèment pas une fleur qui ne soient nécessaires. Tout ce tableau n’est que le résultat involontaire de l’effort de l’homme pour subsister un moment dans la nature; et cependant, ceux dans des incertitudes souvent plus étendues que celles que la petite explication nous a forcé d’abandonner, par exemple dans l’étrange mystère de la fécondation croisée, dans la perpétuité de l’espèce et de la vie, dans le plan de la nature, si nous n’y cherchions pas une suite à cette explication, un prolongement de beauté et de grandeur dans l’inconnu, j’ose presque assurer que nous passerions notre existence à une plus grande distance de la vérité que ceux-là mêmes qui s’obstinent aveuglément dans l’interprétation poétique et tout imaginaire de ces noces merveilleuses. Ils se trompent évidemment sur la forme ou la nuance de la vérité, mais beaucoup mieux que ceux qui se flattent de la tenir tout entière dans la main, ils vivent sous son impression et dans son atmosphère. Ils sont préparés à la recevoir, il y a en eux un espace plus hospitalier, et s’ils ne la voient pas, ils tendent du moins les yeux vers le lieu de beauté et de grandeur où il est salutaire de croire qu’elle se trouve ».

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d’entre nous qui n’ont d’autre souci que d’imaginer ou de créer des spectacles de paix, de grâce ou de pensée profonde, n’ont rien trouvé de plus parfait, et viennent simplement peindre ou décrire ceci quand ils veulent nous représenter de la beauté ou du bonheur. Voilà la première apparence que quelques-uns appellent la vérité.»733

La prima verità corrisponde a un momento di mitizzazione della realtà. Il linguaggio di questo primo momento è il simbolo. Le parole tramutate dalla distanza atmosferica in una musica indistinta corrispondono al bisogno del simbolo di avvicinarsi il più possibile alla dimensione della musica. Il carattere naturale dell’oggetto simboleggiato è privo di tratti troppo peculiari, in modo da suggerire un’idea abbastanza vasta e generale che si presti ad essere riprodotta come “tableau” simbolico della vita umana. Maeterlinck ci descrive il momento in cui l’atomismo delle parole sfuma in una musica, in cui i tratti troppo caratteristici si annullano e vengono come riassorbiti in un vasto gioco di luci e di ombre.734 La seconda apparenza di verità corrisponde ad una distanza più ravvicinata e ad un movimento di demitizzazione. Osservati più da vicino, gli esseri favolosi si rivelano carichi di vizi e il quadro simbolico, una volta annullata la prospettiva della lontananza, scompare: «Approchons. Saisissez-vous le chant qui répondait si bien au feuillage des grands arbres? Il est formé de gros mots et d’injures et quand le rire éclate c’est qu’un homme, qu’une femme lance une ordure ou qu’on se moque du plus faible, du bossu qui ne peut soulever son fardeau, du boiteux qu’on renverse, de l’idiot qu’on houspille. «Je les observe depuis bien des années. Nous sommes en Normandie, la terre est grasse et facile. Il y a autour de cette meule un peu plus de bien-être que n’en suppose ailleurs une scène de ce genre. Par conséquent, la plupart des hommes sont alcooliques, beaucoup de femmes le sont aussi. Un autre poison que je n’ai pas besoin de nommer, corrode encore la race. On lui doit, ainsi qu’à l’alcool, ces enfants que vous voyez là: ce nabot, ce scrofuleux, ce cagneux, ce bec-de-lièvre et ce hydrocéfale. Tous, hommes et femmes, jeunes et vieux, ont les vices ordinaires du paysan. Ils sont brutaux, hypocrites, menteurs, rapaces, médisants, méfiants, envieux, tournés aux petits profits illicites, aux interprétations basses, à l’adulation du plus fort. La nécessité les rassemble et les contraint de s’entr’aider, mais le vœu secret de tous est de s’entre-nuire dès qu’ils peuvent le faire sans danger. Le malheur d’autrui est le seul plaisir sérieux du village. Une grande infortune y est l’objet, longuement caressé, de délectations sournoises. Ils s’épient, se jalousent, se méprisent, se détestent. Tant qu’ils sont pauvres, ils nourrissent contre la dureté et l’avarice de leurs maîtres une haine recuite et renfermée, et, s’ils ont à leur tour 733. Ivi, pp. 236-238. 734. Sulla musica nella concezione teatrale di Maeterlinck cfr. R. Gasparro, Fughe e variazioni. Forme della parola simbolica nel teatro di Maeterlinck, in Simbolismo e naturalismo fra lingua e testo, Atti del Convegno all’Università Cattolica di Milano (25-27 settembre 2003), a cura di S. Cicada e M. Verna, Milano, Vita e Pensiero, 2010, pp. 343-364.

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des valets, ils profitent de l’expérience de la servitude pour surpasser la dureté et l’avarice dont ils ont souffert. «Je pourrais vous faire le détail des mesquineries, des fourberies, des tyrannies, des injustices, des rancunes qui animent ce travail baigné d’espace et de paix. Ne croyez pas que la vue de ce ciel admirable, de la mer qui étale derrière l’église un autre ciel plus sensible qui coule sur la terre comme un grand miroir de conscience et de sagesse, ne croyez pas que cela les étende ou les élève. Ils ne l’ont jamais regardé. Rien ne remue et ne mène leurs pensées, sinon trois ou quatre craintes circonscrites: crainte de la faim, creainte de la force, de l’opinion et de la loi, et à l’heure de la mort, la terreur de l’enfer. Pour montrer ce qu’ils sont, il faudrait les prendre un à un. […] Mais pourquoi achever un tableau connu de tous ceux qui ont vécu quelques années à la campagne. Voilà la seconde apparence que la plupart appellent la vérité. C’est la vérité de la vie nécessaire. Il est certain qu’elle repose sur les faits les plus précis, sur les seuls que tout homme puisse observer et éprouver.735

Alla prospettiva d’insieme e telescopica della prima apparenza si è sostituita una prospettiva ravvicinata, microscopica, che prende in esame i soggetti nel primo piano della scena uno per uno e compie un’opera di demitizzazione dei loro vizi, delle meschinità di cui è tramata la loro vita. All’incantamento iniziale succede un disincantamento. Ciò è vero letteralmente in quanto al «chant sans paroles» della prima apparenza, che risponde così bene allo stormire delle foglie e alla propagazione atmosferica dei suoni nel campo aperto, corrisponde, in questa visione più ravvicinata, un discorso fatto di parole umane, ma sono parole che esprimono la parte più bassa e volgare dell’essere umano: bestemmie, prese in giro del più debole che si gioisce nel mettere in difficoltà. Alla musica si sostituisce l’atomismo coscienziale della parola, che, oltre ad evocare la sua intrinseca limitazione secondo la dottrina di Bergson, appare contaminata dai moventi più bassi e più incatenati alla necessità e a tre o quattro paure fondamentali. Appare abbastanza singolare che la prima apparizione della parola in questo quadro (o meglio nel secondo volet di questo quadro, che segna un avvicinamento progressivo all’oggetto) sia quella di un idioletto contaminato dai mobili più meschini e nocivi alla convivenza umana. Ciò ci ricorda che in Proust, dopo il disincantamento del valore magico dei nomi attribuito alla mondanità (e legato alla fase delle fantasticherie poetiche sui nomi infantili, cioè al primo quadro della visione presentataci da Maeterlinck), il protagonista si ritrova di fronte agli idioletti della mondanità, ciascuno caratterizzato individualmente al limite del pastiche – sull’esempio di Balzac –, ciascuno portatore e rivelatore di un vizio, di un handicap, di una stortura.736 Vi è quindi una filiazione diretta del linguaggio umano 735. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., pp. 238-241. 736. Cfr. il fondamentale saggio di G. Genette, Proust et le langage indirect, in Id., Figures II, Paris, Seuil, 1969, trad. it. di F. Madonia, Proust e il linguaggio indiretto, Figure II, Torino, Einaudi, 1972, pp. 157-224.

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dalla necessità. Un altro elemento di continuità e insieme di differenza fra la prima prospettiva telescopica e la seconda microscopica è la valorizzazione del cielo. Nel primo volet grande importanza era attribuita agli effetti di luce e ombra dell’insieme, con la splendida metafora delle palme di fuoco che accumulano la luce tutta dalla parte della macina di grano, per illuminare più a lungo il lavoro, e lasciano una traccia nel cielo. Si riconosce in questa immagine la valorizzazione ignea della volta celeste, in accordo con la distinzione stabilita da Bachelard. L’immaginazione e la fantasticheria, che producono incantamento e meraviglia davanti allo spettacolo dell’azione umana nella natura, era assimilata ad un fuoco purificatore. Nella seconda apparenza ravvicinata il cielo regredisce sullo sfondo e non è mai guardato dai protagonisti. La valorizzazione del cielo in questo secondo volet che dipinge la necessità è terrestre e acquatica: il cielo è pensato in analogia a un fluido che scorre e ha la compattezza e la solidità di uno specchio. Il terzo elemento da mettere in risalto è la differenza, leggibile sottotraccia, tra il lato involontario e quello volontario dell’agire umano: nella prima prospettiva domina «le résultat involontaire de l’effort de l’homme pour subsister un moment dans la nature»: esso produce una euritmia di movimenti che inserisce perfettamente i gesti degli uomini nel cosmo animato poeticamente dalla fantasia. Il secondo volet mette al contrario in risalto i moventi individuali e volontari di ciascuno. La prospettiva ravvicinata sembrerebbe l’ultima parola sulla verità, atteso che si fonda «sur les faits les plus précis, sur les seuls que tout homme puisse observer et éprouver». È la prospettiva della scienza positiva. Ma il dotto fisiologo normanno propone una terza apparenza di verità, che corrisponde ad una démarche di ulteriore avvicinamento: «Asseyons-nous sur ces gerbes, poursuivit-il, et regardons encore. Ne rejetons aucun des petits faits qui forment la réalité que j’ai dite. Laissons-les s’éloigner d’eux-mêmes dans l’espace. Ils encombrent le premier plan, mais il faut reconnaître qu’il y a derrière eux une grande force bien admirable qui maintient tout l’ensemble. Le maintient-elle seulement, ne l’élève-t-elle pas? Ces hommes que nous voyons ne sont plus tout à fait les animaux farouches de La Bruyère «qui avaient comme une voix articulée, et se retiraient la nuit dans des tanières, où ils vivaient de pain noir, d’eau et de racines…» «La race me direz-vous, est moins forte et moins saine, c’est possible; l’alcool et l’autre fléau sont des accidents que l’humanité doit dépasser, peut-être des épreuves dont tels de nos organes, les organes nerveux par exemple, tireront bénéfice, car régulièrement nous voyons la vie profiter des maux qu’elle surmonte. Au surplus, un rien, qu’on peut trouver demain, suffira à les rendre inoffensifs. Ce n’est donc pas cela qui nous oblige à restreindre notre regard. Ces hommes ont des pensées, des sentiments que n’avaient pas encore ceux de La Bruyère. – «J’aime mieux la bête simple et toute nue, que l’odieuse de-

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mi-bête, murmurai-je. –» «Vous parlez ainsi selon la première apparence, celle des poètes, que nous avons vue, reprit-il; ne la mêlons pas à celle que nous examinons. Ces pensées et ces sentiments sont petits et bas, si vous voulez, mais ce qui est petit et bas est déjà meilleur que ce qui n’est pas. Ils n’en usent guère que pour se nuire et persister dans la médiocrité où ils sont; mais il en va souvent ainsi dans la nature. Les dons qu’elle accorde, on ne s’en sert d’abord que pour le mal, pour empirer ce qu’elle semblait vouloir améliorer; mais, au bout du compte, de tout ce mal résulte toujours un certain bien.737

Per comprendere quest’ultima démarche occorre riferirsi ad un testo degli esordi di Maeterlinck, la poesia Verre ardent, e a quanto è stato scritto al riguardo nel nostro secondo capitolo. Il nostro esame deve naturalmente partire, anche se vi fosse una corrispondenza fra la visione del 1889 e quella del 1901, dal testo più recente. In quest’ultimo volet, la caratterizzazione del cielo diviene aerea – le immagini in primo piano si allontanano e si perdono nello spazio come sbuffi di fumo. Maeterlinck – o meglio, il suo portavoce – propone qui un’integrazione fra il primo piano e lo sfondo. Lo sguardo in ulteriore ravvicinamento sembra aver la capacità di far esplodere i contorni dei personaggi e degli oggetti in primo piano, integrandoli allo sfondo. Ne risulta una combinazione fra microscopio e telescopio. Il lettore può rifarsi a numerosi testi da noi già citati, dove si caratterizzava l’evoluzione spirituale di Maeterlinck in due fasi: dall’illusione fantastica e poetica (telescopio) ai microfatti della storia e della scienza (microscopio). Qui la visione proposta sembra integrare paradossalmente le due prospettive. Ma questa terza fase era già contenuta nella metafora dominante nel primo Maeterlinck della lentille o verre ardent che, avvicinandosi gradualmente al suo oggetto, ne precisa dapprima i contorni con un effetto inquietante, ma giunta al culmine dell’avvicinamento, li confonde e li integra in una nuova visione che potremmo definire astratta. È l’esito paradossale del chiarimento delle percezioni (in Verre ardent tale meccanismo conoscitivo era applicato proprio al funzionamento della memoria). Ricompare la prospettiva già da noi definita nel primo capitolo di un occhio non-umano, che si avvicina a quella del Dio-monade di Leibniz, capace di leggere l’interno di ogni monade-creatura. E questo procedimento di avvicinamento esplosivo dei contorni ricorda l’husserliano “esplodereverso”, già evocato a proposito di Proust. Esso apre sulla «consolation verte de l’émeraude», nel testo del 1889, sull’Enigma nel testo del 1901, che infatti si conclude così: «Encore une fois, le progrès n’est pas nécessaire pour que le spectacle nous passionne. L’énigme suffit, et cette énigme est aussi grande, a autant d’éclat mystérieux en ces paysans qu’en nous-mêmes. On la trouve partout lorsqu’on suit la vie jusqu’en son principe 737. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., pp. 242-243.

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tout puissant. Ce principe, de siècle en siècle, nous modifions son épithète. Il en a eu qui étaient précises et consolantes. On a reconnu que ces consolations et cette précision étaient illusoires. Mais que nous l’appellions Dieu, Providence, Nature, Hasard, Vie, Destin, le mystère reste le même, et tout ce que nous ont enseigné des milliers d’années d’expérience, c’est à lui donner un nom plus vaste, plus proche de nous, plus flexible, plus docile à l’attente et à l’imprévu. C’est celui qu’il porte aujourd’hui; et c’est pourquoi il ne parut jamais plus grand. Voilà l’un de nombreux aspects de la troisième apparence, et c’est la dernière vérité.»738

Rispetto al testo del 1889, è confermata la visione dell’enigma e il rilancio infinito della quête: ricompare anche la tonalità consolatoria, sottoforma di principio del Meglio. È degno di nota il fatto che l’ultima verità sia una riflessione sul linguaggio. Questa verrà poi ripresa dalle riflessioni alle quali lo stesso Proust si richiama nella nota a Sésame del 1906. Maeterlinck propone una riflessione sulla purificazione progressiva del linguaggio. Dalla musica (stadio mitico del primo volet) alla parola contaminata dei semi-bruti (stadio vichianamente prossimo agli eroi, ancora non completamente usciti dall’animalità), emerge nel terzo volet una voce umana. Il compito dell’umano è diventare sempre più umano e purificare il proprio linguaggio. Ancora sono notevoli le vicinanze con la riflessione fenomenologica da cui avevamo preso le mosse. In termini retorici, la prima fase – consolatoria – è rappresentata dal simbolo ed è chiaramente adombrata la poetica musicale del simbolismo: dissolvimento della parola. Nella seconda fase troviamo il momento della demitizzazione: linguaggio scientifico e realismo della rappresentazione. E ci eravamo fermati qui. Ma la prospettiva d’integrazione paradossale delle due visioni – telescopica e microscopica – offerte dal terzo volet ci aprono alla riabilitazione del linguaggio letterario nel suo senso più squisitamente retorico. Si apre allora uno spazio per la rivalutazione della metafora e in particolare della metonimia come strumenti conoscitivi, che è anche un’autodifesa del progetto letterario di antropomorfizzazione metonimica e allegorica della natura. Scartando le parole «consolatrici» e «precise» del passato, che rispondono alla prima e alla seconda prospettiva, la loro integrazione nella monade delle monadi (prerogativa dello sguardo divino e quindi accessibile alla monade umana solo nella prospettiva di un rilancio infinito739) produce «un nom plus vaste, plus proche de nous, plus flexible, plus docile à l’attente et à l’imprévu». Questo nome definisce la poetica della “purificazione del linguaggio” nel senso peculiare che le assegna Maeterlinck. E ci pare, conformemente alla straordinaria maturazione delle doti di scrittore di Maeterlinck, che si evidenzia in questa fase, che tale purificazione non escluda gli ornamenti retorici, 738. Ivi, pp. 245-246. 739. Sul prospettivismo proustiano e il suo rapporto con Leibniz cfr. P. Gambazzi, art. cit.

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ma consista esattamente nello sfruttare in pieno le risorse retoriche del linguaggio. Oltrepassando la poetica del dissolvimento della parola nella musica nella direzione di un tessuto linguistico più coerente, la metafora e la metonimia divengono le armi fondamentali della ricerca della verità. La purificazione del linguaggio va nella direzione di un aumento della letterarietà, è una purificazione dei mezzi intrinseci del linguaggio letterario, verso quelle che Bachelard chiama immagini letterarie pure. Tutto questo non può essere sfuggito a un lettore attento come Proust, che proprio nella sua nota del 1906 evoca il tema della purificazione del linguaggio. Per rendere conto della straordinaria e durevole vicinanza di Proust a Maeterlinck, infatti, forse non basta contrapporre le due linee parallele della filosofia e della letteratura, come fa Proust nella microanalisi del suo modello. Ci pare che Proust possa cogliere in Maeterlinck – nelle pagine da lui molto amate de La vie des abeilles – un modello euristico che permetta di integrare le due linee, il linguaggio della letteratura e quello della filosofia (o della scienza tout court). E tale strumento è offerto in particolare dalla metonimia, che, come Proust aveva osservato in un frammento del Contre Sainte-Beuve, è il motore fondamentale dell’umanizzazione dei fenomeni naturali. In un suo fondamentale saggio, Gérard Genette scrive che in Proust «la relazione metaforica non è mai percepita per prima»;740 «nella maggior parte dei casi, essa compare solo alla fine dell’esperienza, come la chiave di un mistero recitato interamente senza di lei».741 Sulla base di quest’osservazione, Genette constata l’esistenza di un procedimento stilistico tipicamente proustiano, ovvero lo slittamento dalla metafora alla metonimia.742 Prendiamo come esempio il passaggio di Maeterlinck sul giglio citato da Proust nella nota a Sésame et les Lys.743 In quest’immagine, il detonatore analogico è costituito dalla metafora giglio-principe, signore aristocratico del giardino. Ma essa si colloca nel contesto di un allargamento dei valori veicolati dalla metafora a tutta una serie di altri elementi: le altre piante del giardino-gente ordinaria, non aristocratica, il calice del giglio-corona, il gambo del giglio-scettro. 740. G. Genette, Métonymie chez Proust, in Id., Figures III, Paris, Seuil, 1972, trad. it. di L. Zecchi, Metonimia in Proust, Figure III, Torino, Einaudi, 1976, p. 58. 741. Ibid. 742. Ivi, pp. 58-59 : «Ma, qualunque sia il momento in cui si manifesta il ruolo di ciò che (poiché Proust stesso parla della "deflagrazione del ricordo") ci piacerebbe chiamare il detonatore analogico, l’essenziale è ora notare come questa prima esplosione sia sempre accompagnata, necessariamente e immediatamente, da una sorta di reazione a catena procedente non più per analogia, ma per contiguità, cioè precisamente il momento in cui il contagio metonimico (o, per usare il termine stesso di Proust, l’irradiazione) prende il posto dell’evocazione metaforica. […] Aggiungiamo che lo stesso Proust, benché dia l’impressione di limitarsi a trattenere esclusivamente il momento metaforico dell’esperienza (forse perché è il solo momento a cui sa dare un nome), insiste a varie riprese sull’importanza di questo allargamento per contiguità». 743. M. Maeterlinck, Fleurs démodées, cit., pp. 219-220.

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Commenta Proust: Toutes les beautés les plus singulières du Lys sont ici à jamais dégagées du plaisir confus que donne sa vue. Sans doute la noblesse du Lys y figure (comme dans notre esprit d’ailleurs quand nous le voyons, historique, mystique, héraldique, au milieu du potager), mais «dans une touffe de rayons», en pleine réalité. Et les images les plus nobles, celle du sceptre, par exemple, sont tirées de ce qu’il y a de plus caractéristique dans sa forme.744

Proust sta esattamente descrivendo il fenomeno rilevato da Genette del contagio metonimico dell’analogia. E poiché questo fenomeno è ritenuto caratteristico dello stile proustiano, troviamo proprio in Maeterlinck un anello fondamentale nella catena dei suoi modelli di stile. Su un altro versante, Anne Simon parla di «métaphore filée» come tratto caratteristico che unisce le divagazioni dei due autori sui fiori.745 Per Genette, «l’esempio più spettacolare» di tale contagio è costituito dal I capitolo di Sodome et Gomorrhe.746 Sappiamo già, in particolare dal commento di Compagnon a questo episodio, che uno dei modelli principalmente seguitivi da Proust è proprio Maeterlinck. Proust trova quindi in Maeterlinck un esempio illuminante di quello slittamento dalla metafora alla metonimia che costituisce uno dei principi del suo stile. Il problema messo in luce da Genette è, infatti, quello di assicurare la stretta coerenza del testo che Proust vuole insieme letterario e saggistico, naturalistico e filosofico: «l’incrocio di una trama metonimica e di una catena metaforica assicura la coerenza, la coesione “necessaria” del testo».747 Dai riferimenti che abbiamo enumerati possiamo affermare che il ruolo giocato da Maeterlinck nell’elaborazione di questo “incrocio” è fondamentale. Si comprende allora anche l’importanza e l’insistenza di Proust sul tema della partizione della vita in 744. J. Ruskin, M. Proust, Sésame et les Lys Précédé de Sur la lecture, cit., pp. 127-128. 745. Cfr. l’articolo citato di A. Simon, Proust lecteur de Maeterlinck…, cit., p. 157: «Certes, cette constante assimilation de la femme à la fleur n’est pas propre aux deux auteurs abordés; mais ce qui est du domaine de l’allusion ou du topos inconscient devient chez Proust et Maeterlinck metaphore filée». 746. G. Genette, Metonimia in Proust, cit., pp. 50-51: «quel passo di trenta pagine tutto costruito sul parallelo fra la “congiunzione Jupien-Charlus” e la fecondazione, per mezzo di un calabrone, dell’orchidea della duchessa: parallelo accuratamente preparato, condotto, mantenuto, riattivato una pagina dopo l’altra lungo tutto l’episodio (e il discorso di commento che l’episodio ispira), e la cui funzione simbolica non smette, per così dire, d’alimentarsi alla relazione di contiguità stabilitasi fra il cortile del palazzo Guermantes (unità di luogo) nel momento in cui l’insetto e il barone vi fanno il loro ingresso contemporaneamente (unità di tempo), ronzando all’unisono; non è quindi sufficiente che il miracoloso incontro (o almeno considerato tale dall’eroe) dei due omosessuali sia “come” il miracoloso incontro fra un’orchidea e un calabrone, che Charlus entri “sibilando come un grosso calabrone”, che sotto il suo sguardo Jupien s’immobilizzi e si “radichi come una pianta”, ecc.; bisogna anche che i due incontri si verifichino “nello stesso istante”, e nello stesso luogo, e in tal caso l’analogia appare solo come una specie d’effetto secondario, e forse illusorio, della concomitanza». 747. Ivi, p. 63. Questa tesi è stata ripresa da B. Maj, Il volto e l’allegoria…, cit., pp. 100-111.

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due, per alcuni autori fra i quali Maeterlinck. Finn ha mostrato come l’opposizione tra contemplazione della natura e vita mondana, già presente in Proust fin dalle prime prove letterarie in Les Plaisirs et les jours, venga riattivata dalle letture dei testi di Maeterlinck.748 A questa polarità vita nella natura-vita mondana si possono sovrapporre non meno a proposito altre polarità: istintointelligenza, letteratura-filosofia, giusta il carattere antinomico del discusso idealismo proustiano, messo in luce da Grilli.749 La posta in gioco è allora insieme stilistica e filosofica, e Maeterlinck, letterato-filosofo, si presta bene ad essere uno dei nocchieri che traghettano Proust oltre i dubbi e le incertezze sulla forma da dare alla sua opera, romanzo o saggio filosofico, consegnati al Carnet de 1908. Il carattere filosofico attribuito da Proust al procedimento stilistico che egli più ammira e imita da Maeterlinck – e che, sulla scorta di Genette, abbiamo definito contagio metonimico dell’analogia o slittamento dalla metafora alla metonimia – è palese dal momento che Proust afferma che si tratta del principale mezzo di chiarimento delle percezioni oscure, formula che deve a Leibniz, mercé l’insegnamento di filosofia ricevuto da Alphonse Darlu e rievocato in alcune pagine del Jean Santeuil. Se la nostra ipotesi di un recupero della peculiarità e del valore della letteratura e dei suoi strumenti retorici e stilistici in Maeterlinck, che precede una fase di scetticismo inclinante verso la saggistica filosofica pura, fosse esatta, ancora una volta vedremmo in questa formulazione proustiana una circolarità non casuale, e un punto di contatto importantissimo fra la pratica letteraria e il pensiero di Proust e quello di Maeterlinck. L’ipotesi di un comune sfondo filosofico costituito dalla rinascita fin-de-siècle del pensiero di Leibniz ne risulterebbe corroborata. È allora lecito investire nell’indagine del testo più filosofico de La vie des abeilles, l’apologo dello scienziato normanno sulle tre apparenze della verità, e spingere a fondo il confronto con Proust. Come è stato osservato da Genette e Simon, l’estetica proustiana è un’estetica della «surimpression», termine tecnico che così Genette puntualmente definisce: «l’elemento più caratteristico della visione proustiana è proprio, con tutta l’intensità della loro presenza materiale, questa sovrapposizione d’oggetti simultaneamente percepiti che ha fatto parlare di “surimpressionisme”».750 Il testo proustiano è allora un «palinsesto».751 Il pro748. Cfr. M.R. Finn, Proust, Maeterlinck, les arbres et les clochers, cit., p. 128 : «La lecture de L’Intelligence des fleurs, dont Proust a obtenu un exemplaire dédicacé par l’auteur en 1907, a aidé à cristalliser, ou à recristalliser, le conflit intérieur proustien primordial : c’est l’antagonisme qui oppose le poète passionné et intuitif qui prétend vivre immergé dans la nature, source de toute inspiration, et l’homme mûr, urbain et sociable, tenté de s’investir entièrement dans la vie mondaine». 749. Cfr. A. Grilli, Polarità e antinomie in À la recherche du temps perdu, in Journées Proust III, cit., pp. 159-182. 750. G. Genette, Proust palimpseste, in Id., Figures, Paris, Seuil, 1966, trad. it. di F. Madonia, Proust palinsesto, Figure I. Retorica e strutturalismo, Torino, Einaudi, 1969, p. 45. La prima definizione dello stile di Proust come

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getto proustiano si articola in tre fasi 752: 1) momento poetico (mitizzazione) 2) momento romanzesco (demitizzazione) 3) momento in cui l’opera si ripiega e ritorce su se stessa. È utile fare riferimento direttamente a Blanchot, che è la fonte di questo passaggio di Genette.753 A proposito del carattere sferico, di quello che Genette chiama il «ripiegamento» dell’opera su se stessa riportiamo in nota la citazione dalla quale egli attinge.754 La questione molto spinosa del rapporto fra l’immaginario prevalentemente spaziale di Maeterlinck e quello prevalentemente temporale di Proust nella legge delle “tre prospettive” rappresenta un interrogativo esegetico assai arduo che meriterebbe un lavoro a parte: qui ci siamo limitati a pochi accenni. Il nichilismo proustiano755 è precisato da Genette e Blanchot come un rilancio infinito della quête. Esso si caratterizza come una proiezione dell’arco noetico “surimpressionisme” è di Benjamin Crémieux, citato da A. Maurois, À la recherche de Marcel Proust, Paris, Hachette, 1949, p. 201. 751. Ivi, p. 47. 752. Ivi, p. 57: «Proust si è poco alla volta allontanato dal suo intento inziale che era di scrivere un “romanzo di momenti poetici” (i momenti privilegiati della riminiscenza): questi momenti sono scaduti in scene, le apparizioni in ritratti e descrizioni, facendo deviare l’insieme dell’opera dal poetico al romanzesco; ma mostra anche che questo romanzesco tende a sua volta verso qualche altra cosa nella misura in cui l’opera si ritorce, si ripiega su se stessa, trascinando tutti i suoi episodi in “un lento movimento incessante”, nella “densità mobile del tempo sferico”». Le citazioni fra virgolette sono di M. Blanchot, Le livre à venir, Paris, Gallimard, 1959, trad. it. di G. Ceronetti e G. Neri, Il libro a venire, Torino, Einaudi, 1969. 753. M. Blanchot, Le livre à venir, cit., pp. 32-33 : «Mais surtout: si l’on voulait en peu de mots distinguer cette ébauche de l’œuvre qui l’a suivie, on pourrait dire qu’alors que Jean Santeuil, pour nous donner le sentiment que la vie est faite d’heures séparées, s’en est tenu à une conception morcelée où le vide n’est pas figuré, mais reste vide, au contraire la Recherche, œuvre massive, ininterrompue, a réussi à ajouter aux points étoilés le vide comme plénitude et à faire, cette fois, merveilleusement scintiller les étoiles, parce que ne leur manque plus l’immensité du vide dans l’espace. De sorte que c’est par la continuité la plus dense et la plus substantielle que l’œuvre réussit à représenter ce qu’il y a de plus discontinu, l’intermittence de ces instants de lumière d’où lui vient la possibilité d’écrire». 754. Ivi, pp. 33-34: « Pourquoi cela? A quoi tient cette réussite? On peut le dire aussi en quelques mots : c’est que Proust – et telle a été, semble-t-il, sa progressive pénétration de l’expérience – a pressenti que ces instants où, pour lui, brille l’intemporel, exprimaient cependant, par l’affirmation d’un retour, les mouvements les plus intimes de la métamorphose du temps, étaient le “temps pur”. Il a alors découvert que l’espace de l’œuvre qui devait porter à la fois tous les pouvoirs de la durée, qui devait aussi n’être que le mouvement de l’œuvre vers elle-même et la recherche authentique de son origine, qui devait, enfin, être le lieu de l’imaginaire, Proust a peu à peu éprouvé que l’espace d’une telle œuvre devait se rapprocher, si l’on peut ici se contenter d’une figure, de l’essence de la sphère; et en effet tout son livre, son langage, ce style de courbes lentes, de fluide lourdeur, de densité transparente, toujours en mouvement, merveilleusement fait pour exprimer le rythme infiniment varié de la giration volumineuse, figure le mystère et l’épaisseur de la sphère, son mouvement de rotation, avec le haut et le bas, son hémisphère céleste (paradis de l’enfance, paradis des instants essentiels) et son hémisphère infernal (Sodome et Gomorrhe, le temps destructeur, la mise à nu de toutes les illusions et de toutes les fausses consolations humaines), mais double hémisphère qui, à un certain moment, se renverse, de sorte que ce qui était en haut s’abaisse et que l’enfer, et même le nihilisme du temps, peuvent à leur tour devenir bénéfiques et s’exalter en de pures fulgurations bienheureuses». 755. Sul quale si è soffermato M. Piazza, Proust, la verità e il nichilismo, in Journées Proust III, cit., pp. 45-68.

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della Recherche verso l’avvenire.756 Il rilancio infinito della quête è così caratterizzato come spazio dell’immaginario puro: Métamorphose du temps, elle métamorphose d’abord le présent où elle semble se produire, l’attirant dans la profondeur indéfinie où le «présent» recommence le «passé», mais où le passé s’ouvre à l’avenir qu’il répète, pour que ce qui vient, toujours revienne, et à nouveau, à nouveau. Certes, la révélation a lieu maintenant, ici, pour la première fois, mais l’image qui nous est présentée ici et pour la première fois, est présence d’un «déjà une autre fois», et ce qu’elle nous révèle, c’est que «maintenant» est «jadis», et ici, encore un autre lieu, un lieu toujours autre où celui qui croit pouvoir assister tranquillement du dehors à cette transformation, ne peut la transformer en pouvoir que s’il se laisse tirer par elle hors de soi et entraîner dans ce mouvement où une partie de lui-même, et d’abord cette main qui écrit, devient comme imaginaire.757

A queste formulazioni fa eco quella di Genette: «[…] l’esperienza negativa che dovrebbe essere soltanto un momento del progresso d’insieme la trascina [l’opera] tutta quanta in un movimento inverso a quello che si era proposto»,758 «il suo punto d’arrivo la trova sospinta verso un nuovo percorso, sul quale non è più in suo potere fissarsi un termine».759 Secondo Blanchot, Proust, mantenendosi in parte fedele alla struttura dell’opera come Attesa e Visitazione, non ha preso chiaramente coscienza dell’impatto del suo stesso nichilismo sull’opera, ma esso traspare nell’episodio dei tre alberi di Hudimesnil: De ce mouvement vertigineux, il n’a pourtant pas accepté de reconnaître qu’il ne souffre ni arrêt ni repos et que lorsqu’il paraît se fixer sur tel instant du passé réel en l’unissant, par un rapport d’identité scintillante, à tel instant présent, c’est, aussi bien, pour attirer le présent hors du présent, et le passé hors de sa réalité déterminée, – nous entraînant, par ce rapport ouvert, toujours plus loin, dans toutes les directions, nous livrant au lointain et nous li756. M. Blanchot, Le livre à venir, cit., p. 25 : « Proust ne dit donc pas la vérité? Mais cette vérité, il ne nous la doit pas et il serait incapable de nous la dire. Il ne pourrait l’exprimer, la rendre réelle, concrète et vraie qu’en la projetant dans le temps même dont elle est la mise en œuvre, d’où l’œuvre tient sa nécessité : ce temps du récit où, bien qu’il dise “Je”, ce n’est plus le Proust réel, ni le Proust écrivain qui ont pouvoir de parler, mais leur métamorphose en cette ombre qu’est le narrateur devenu “personnage” du livre, lequel dans le récit écrit un récit qui est l’œuvre elle-même et produit à son tour les autres métamorphoses de lui-même que sont les différents “Moi” dont il raconte les expériences. Proust est devenu insaisissable, parce qu’il est devenu inséparable de cette quadruple métamorphose qui n’est que le mouvement du livre vers l’œuvre. Et, de même, l’événement qu’il décrit est non seulement événement qui se produit dans le monde du récit, dans cette société Guermantes qui n’a de vérité que par la fiction, mais événement et avènement du récit lui-même et réalisation, dans le récit, de ce temps originel du récit dont il ne fait que cristalliser la structure fascinante, ce pouvoir qui fait coïncider, en un même point fabuleux, le présent, le passé et même, bien que Proust paraisse le négliger, l’avenir, puisqu’en ce point tout l’avenir de l’œuvre est présent, est donné avec la littérature». 757. Ivi, p. 27. 758. G. Genette, Proust palinsesto, cit., p. 61. 759. Ibid.

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vrant le lointain où tout est toujours donné, tout est retiré, incessamment. Cependant, au moins une fois, Proust s’est trouvé devant cet appel de l’inconnu, lorsque, devant les trois arbres qu’il regarde et qu’il ne réussit pas à mettre en rapport avec l’impression ou le souvenir qu’il sent prêts à s’éveiller, il accède à l’étrangeté de ce qu’il ne pourra jamais ressaisir, qui est pourtant là, en lui, autour de lui, mais qu’il n’accueille que par un mouvement infini d’ignorance. Ici, la communication reste inachevée, elle demeure ouverte, décevante et angoissante pour lui, mais peut-être est-elle alors moins trompeuse qu’aucune autre et plus proche de l’exigence de toute communication.760

Le frasi da noi evidenziate in corsivo sono una descrizione perfetta della quête di Maeterlinck, quale si sviluppa nel finale dell’apologo del dottore normanno e in generale in tutta l’interrogazione successiva, comprese le opere della vecchiaia. L’aggiornamento progressivo delle definizioni del mistero sfocia in uno spazio immaginario puro, in un rilancio nell’infinito dei tempi a venire, in un uso dello stile non più come mero ornamento ma come allusione a questo processo infinito, come spazio vuoto e mirante alle profondità lontane dello sfondo, oltre la deviazione romanzesca dei personaggi in primo piano. Tocchiamo qui il punto essenziale del paragone fra i due autori trattati. È molto probabile che il nichilismo di Maeterlinck abbia esercitato una forte influenza sullo sviluppo e la genesi dell’opera proustiana. Se pensiamo il terzo momento dell’apologo di Maeterlinck come un’estetica della “surimpression”, come rimando reciproco dei contorni in primo piano allo sfondo d’infinito che li anima e viceversa, come visione possibilizzante e totalizzante che fa eco a categorie leibniziane facilmente rinvenibili nel testo (il principio del Meglio, il principio di Ragion sufficiente),761 come aggiramento delle prospettive scalari in distanza in favore di quello che Durand caratterizza come spazio immaginario puro, ci rendiamo conto delle patenti analogie e dell’impatto che questa concezione può avere avuto su Proust e dell’importanza che vi assume in particolare il nichilismo. L’ultima verità, scrive infatti Maeterlinck, è fatta «de beaucoup plus d’ombre que de lumière, de beaucoup plus d’ignorance acquise que de science, de beaucoup plus de choses dont nous savons qu’il faut renoncer à les connaître que de choses que nous connaissons».762 Comprendiamo meglio allora l’analogia, sottolineata da Proust in Sodome et Gomorrhe, fra i détours con i quali la natura costruisce e mantiene le sue opere e i procedimenti inconsci che servono allo scrittore per produrre l’opera letteraria. 760. M. Blanchot, Le livre à venir, cit., p. 28, c. n. 761. E che non sono estranee all’argomentazione di Blanchot, il quale parla di « Chant des possibles tournant inlassablement par cercles toujours plus rapprochés autour du point central, lequel doit dépasser toute possibilité, étant l’uniquement et le souverainement réel, l’instant (mais l’instant qui est à son tour la condensation de toute sphère) » (ivi, p. 34). 762. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., p. 244.

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Fra i numerosi esempi che Maeterlinck cita di apparenti errori e contraddizioni della natura – almeno agli occhi della razionalità umana –, c’è la partenogenesi delle api, la legge che vuole che l’ape regina, qualora non sia fecondata, dia vita solo a maschi. Questo fatto appare in contraddizione con la legge che vuole che nella natura domini in modo generale l’istinto di sopravvivenza e la legge del più forte. La proliferazione indefinita dei maschi costituirebbe, infatti, un serio rischio alla sopravvivenza dell’alveare e della stessa specie, a causa della loro improduttività e del loro limitarsi a consumare le provviste messe al sicuro dalle femmine. Maeterlinck si domanda se qui non sia da riconoscere un espediente della natura che cerca di contrastare la tendenza delle api a massacrare i maschi, ma che la natura vada troppo oltre il suo stesso scopo. Egli pone il problema se ci sia possibilità d’indecisione o di errore nella natura, se la natura sappia proporzionare sempre i mezzi agli scopi, ed infine pone la domanda se la natura abbia veramente degli scopi, o tutto non sia altro che il prodotto del caso. Per mostrare come nella natura si rilevino delle contraddizioni manifeste, Maeterlinck racconta la storia di uno dei parassiti dell’ape.763 Questi parassiti di un’ape selvatica occupano il dorso dell’ape e si installano nell’alveolo dove è depositato l’uovo, del quale si nutrono. All’interno dell’alveolo incomincia la lotta per il possesso dell’uovo, lotta che si svolge quando uno dei parassiti ha già intaccato l’uovo ed è incurante di difendersi. Il vincitore resta sì padrone dell’uovo, ma questo è insufficiente a nutrirlo perché è già stato intaccato dal suo avversario, e la natura ha stabilito che solo un uovo intero basti al nutrimento del parassita. La conclusione è che, se in questo caso la legge di sopravvivenza del più forte non fosse elusa, la specie di questi parassiti non sopravvivrebbe. Maeterlinck pone quindi con maggiore insistenza il problema degli errori della natura: Il arrive donc que la grande puissance qui nous semble inconsciente, mais nécessairement sage, puisque la vie qu’elle organise et qu’elle maintient lui donne toujours raison, il arrive donc qu’elle tombe dans l’erreur? Sa raison suprême, que nous invoquons quand nous atteignons les limites de la nôtre, aurait donc des défaillances? Et si elle en a, qui les redresse?764

Il dubbio che appassiona Maeterlinck riguarda gli interventi e le intenzioni ignorate della natura, che forse vanno contro gli stessi interessi della vita e che devono essere contrastati se la vita vuole essere conservata. Nel fondo indistinto della natura (che è anche umana, giacché Maeterlinck non esclude la possibilità di simili interventi nelle parti incoscienti e persino nelle parti coscienti dell’uomo) si celano intenzioni che è meglio ignorare, che contrastano con le istanze 763. Ivi, p. 194. 764. Ivi, p. 198.

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della coscienza, e che devono restare avviluppate nel segreto.765 Tutto questo rivela profonde analogie con il modo in cui Proust concepisce il farsi dell’opera letteraria. Questo inconscio dello scrittore che costruisce il suo libro «comme une offensive»766 raggiunge l’inconscio della natura e quello delle operazioni di massa come la guerra, agisce cioè apparentemente a caso, facendo servire le contrarietà e le deviazioni che incontra allo scopo finale.767 Si delinea il comune primato dell’istinto nel modo di procedere della natura e in quello che presiede alle operazioni dello scrittore, giusta le descrizioni che abbiamo attinto da Genette e Blanchot sul farsi storico della Recherche: anche qui una deviazione inattesa e non prevista è intervenuta a inflettere e far quasi deragliare il piano dell’opera, che tuttavia, nonostante ciò, è riuscita a mantenersi nel binario che Proust le aveva originariamente assegnato. Ciò non è stato dovuto alla presenza di una strategia, ma al dono incosciente dell’istinto che è riuscito a sfruttare le deviazioni imposte dal caso. La deviazione principale, in base allo schema che avevamo proposto, è stata costituita proprio da quel processo di demitizzazione delle fantasticherie poetiche infantili che segna il vero ingresso dell’opera nell’ambito del romanzesco. Costatiamo una significativa convergenza nel percorso seguito dal pensiero di Maeterlinck con l’itinerario proustiano proposto, poiché proprio dopo le pagine citate poco sopra interviene in Maeterlinck una nuova riflessione sulla purificazione del linguaggio, con un’immagine – i vasi chiusi come contenitori dei nomi – che si ritrova anche nella Recherche.768 Si può accostare questo paragone delle parole con 765. Ivi, pp. 198-199: « La volonté ou l’esprit de la nature opérant en notre estomac, en notre cœur et dans la partie incosciente de notre cerveau, ne doit guère différer de l’esprit ou de la volonté qu’elle a mis dans les animaux les plus rudimentaires, les plantes et les minéraux mêmes. Ensuite, qui oserait affirmer que des interventions plus secrètes mais non moins dangereuses ne se produisent jamais dans la sphère consciente de l’homme? Dans le cas qui nous occupe, qui a raison, en fin de compte, de la nature ou de l’abeille? Qu’arriverait-il si celle-ci, plus docile ou plus intelligente, comprenant trop parfaitement le désir de la nature, le suivait à l’extrême, et puisqu’elle demande impérieusement des mâles, les multipliait à l’infini? Ne risquerait-elle pas de détruire son espèce? Faut-il croire qu’il y ait des intentions de la nature qu’il soit dangereux de saisir et funeste de suivre avec trop d’ardeur, et qu’un de ses désirs souhaite qu’on ne pénètre et qu’on ne suive pas tous ses désirs? Nous aussi nous sentons en nous des forces inconscientes, qui veulent tout le contraire de ce que notre intelligence réclame. Est-il bon que cette intelligence, qui pour l’ordinaire, après avoir fait le tour d’ellemême, ne sait plus où aller, est-il bon qu’elle rejoigne ces forces et y ajoute son poids inattendu?». 766. TR, RTP, IV, p. 609. 767. Ivi, p. 560 : «“Il y a un côté de la guerre qu’il commençait, je crois, à apercevoir, dis-je, c’est qu’elle est humaine, se vit comme un amour ou comme une haine, pourrait être racontée comme un roman, et que par conséquent, si tel ou tel va répétant que la stratégie est une science, cela ne l’aide en rien à comprendre la guerre, parce que la guerre n’est pas stratégique. L’ennemi ne connaît pas plus nos plans que nous ne savons le but poursuivi par la femme que nous aimons, et ces plans peut-être ne le savons-nous pas nous-mêmes […] ”». Il narratore si riferisce qui a Saint-Loup. 768. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., pp. 199-200 : « Avons-nous le droit de conclure du danger de la parthénogenèse que la nature ne sait pas toujours proportionner les moyens à la fin, que ce qu’elle entend maintenir se maintient parfois grâce à d’autres précautions qu’elle a prises contre ses précautions mêmes, et souvent aussi par des circonstances étrangères qu’elle n’a point prévues? Mais prévoit-elle, entend-elle maintenir

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dei vasi alla fantasticheria proustiana sui nomi, che tende sempre a identificare la parola con un contenitore, che si vuota progressivamente del suo contenuto. Tuttavia, i contenuti essendo sempre più familiari e vicini all’uso razionale delle parole, essi appaiono sempre meno poetici al protagonista della Recherche, come dimostra anche il processo di demistificazione scientifica contenuto nelle etimologie. È importante tuttavia osservare che, in Proust come in Maeterlinck, il processo tutto istintivo e apparentemente casuale della natura richiede una correzione da parte della razionalità umana: e questo è rappresentato appunto dal cambio di definizione o dallo svuotamento progressivo dei vasi che sono contenitori dei nomi. La razionalità appare in ultima analisi come un processo di deviazione. La morale proposta da Maeterlinck è, infatti, ben lontana dall’essere un intuizionismo o un irrazionalismo nebulosi. Sempre alla natura si applica il correttivo dell’intelligenza, che forse non è altro che una particella deviata della natura stessa, una delle sue ruses e dei suoi détours. Ciò è detto chiaramente da Maeterlinck a proposito di un altro fenomeno che balza agli occhi come una manifesta incoerenza dell’istinto o della natura: la sproporzione fra la tirchieria con cui sono trattate le api lavoratrici e la generosità e il fasto accordato ai maschi della specie. Anche qui Maeterlinck insiste sul carattere contraddittorio e labirintico delle leggi di natura, che l’uomo con la sua ragione non riesce a districare perché assumono l’aspetto dell’incoerenza, e dove si crede di scovare un principio, non si ritrovano altro che eccezioni (cfr. questo aspetto che prendono le leggi di natura e la ricerca della verità da parte dello scienziato con la ricerca della verità da parte del geloso proustiano, che si scontra con i metodi empirici e l’assenza di principi dei mentitori, i quali non obbediscono apparentemente a nessuna legge generale – anche in Maeterlinck la ricerca della verità prende il suo primo aspetto come ricerca della verità attraverso la gelosia, tema dei primi drammi).769 Il modo di procedere della natura appare contraddittorio agli occhi dell’uomo, pignolo ed insieme negligente, e sembra sfidare le nostre capacità di comprensione (cfr. ancora quelque chose? La nature, dira-t-on, c’est un mot dont nous couvrons l’inconnaissable, et peu de faits décisifs autorisent à lui attribuer un but ou une intelligence. Nous manions ici les vases hermétiquement clos qui meublent notre conception de l’univers. Pour n’y pas mettre invariablement l’inscription Inconnu qui décourage et impose le silence, nous y gravons, selon la forme et la grandeur, les mots: “Nature”, “Vie”, “Mort”, “Infini”, “Sélection”, “Génie de l’espèce”, et bien d’autres, comme ceux qui nous précédèrent y fixèrent les noms de: “Dieu”, de “Providence”, de “Destin”, de “Récompense”, etc. C’est cela si l’on veut, et rien davantage. Mais si le dedans demeure obscur, du moins y avons-nous gagné que les inscriptions étant moins menaçantes nous pouvons approcher des vases, les toucher et y appliquer l’oreille avec une curiosité salutaire ». 769. Ivi, pp. 219-220 : «Voyez-le, si vous voulez assister au spectacle noblement humiliant du génie humain aux prises avec la puissance infinie, voyez-le qui essaie de démêler les lois bizarres, incroyablement mystérieuses et incohérentes de la stérilité et de la fécondité des hybrides, ou celles de la variabilité des caractères spécifiques et génériques. A peine a-t-il formulé un principe que des exceptions sans nombre l’assaillent, et bientôt le principe accablé est heureux de trouver asile dans un coin et de garder, à titre d’exception, un reste d’existence».

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una volta il comportamento di Albertine o di Odette che sembrano voler mascherare i loro atti senza obbedire a grandi e semplici leggi). La natura è il regno dell’eccezione che ha la meglio sulla regola, e si può notare anche nel modo proustiano di rintracciare le leggi della realtà questo interesse per le eccezioni, questa attenzione minuziosa che ripercorre accanto alle grandi leggi anche i fenomeni apparentemente inspiegabili: C’est que dans l’hybridité, dans la variabilité (notamment dans les variations simultanées, appelées corrélation de croissance), dans l’instinct, dans les procédés de la concurrence vitale, dans la sélection, dans la succession géologique et dans la distribution géographique des êtres organisés, dans les affinités mutuelles, comme partout ailleurs, la pensée de la nature est tatillonne et négligente, économe et gâcheuse, prévoyante et inattentive, inconstante et inébranlable, agitée et immobile, une et innombrable, grandiose et mesquine dans le même moment et dans le même phénomène. Alors qu’elle avait devant elle le champ immense et vierge de la simplicité, elle le peuple de petites erreurs, de petites lois contradictoires, de petits problèmes difficiles qui s’égarent dans l’existence comme des troupeaux aveugles. Il est vrai que tout cela se passe dans notre œil qui ne reflète qu’une réalité appropriée à notre taille et à nos besoins, et que rien ne nous autorise à croire que la nature perde de vue ses causes et ses résultats égarés.770

La natura appare nello stesso tempo, con la sua intima contraddittorietà, superiore e inferiore all’uomo, in quanto pare recuperare con estrema forza e sottigliezza quello che perde altrove, al punto da porre, con la sua morale che è sostanzialmente amorale, un interrogativo alla morale umana più alta, un dubbio sulle ragioni d’essere della sua stessa esistenza. Anche qui si pone il parallelismo fra la morale proustiana nella sua espressione più alta e il comportamento dei suoi personaggi, che esprimono spesso il carattere amorale della vittoria della natura e dell’istinto – specialmente appare degno di nota il parallelismo nell’atteggiamento conoscitivo fra le rispettive conclusioni di Maeterlinck e di Proust, ovvero, che se anche occorre conservare la propria morale umana, essa deve dedicarsi alla conoscenza delle leggi di natura anche nei loro aspetti apparentemente immorali.771 Sembra che le scoperte che si sono fatte, e che lasciano 770. Ivi, p. 220. 771. Ivi, pp. 221-222 : «Elle nous échappe de toutes parts, elle méconnaît la plupart de nos règles, et brise toutes nos mesures. – À notre droite, elle est bien au-dessous de notre pensée, mais voilà qui à notre gauche, elle la domine brusquement comme une montagne. À tout moment, il semble qu’elle se trompe, aussi bien dans le monde de ses premières expériences que dans celui des dernières, je veux dire dans le monde de l’homme. Elle y sanctionne l’instinct de la masse obscure, l’injustice inconsciente du nombre, la défaite de l’intelligence et de la vertu, la morale sans hauteur qui guide le grand flot de l’espèce et qui est manifestement inférieure à la morale que peut concevoir et souhaiter l’esprit qui s’ajoute au petit flot plus clair qui remonte le fleuve. Pourtant, est-ce à tort que ce même esprit se demande aujourd’hui si son devoir n’est pas de chercher toute vérité, par conséquent les vérités morales aussi bien que les autres, dans ce chaos plutôt qu’en lui-même,

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supporre l’esistenza di un piano nell’azione della natura, tolgano all’uomo una parte della necessità di rifugiarsi nella morale umana che si è costruita come un solido rifugio di virtù e gli diano desiderio di chinarsi anche sulla morale della natura, come espressione di una morale diversa, forse più vicina al sentimento della massa. L’intelligenza, che secondo Proust è adatta a débrouiller e non a créer – compito devoluto all’istinto – deve chinarsi appunto sulla inconscia amoralità delle grandi leggi di natura. Ciò non comporta una rinuncia all’ideale aristocratico ed eroico della morale umana, ma un cambiamento nel suo programma d’azione, che consisterà ora principalmente nel chiarimento delle percezioni oscure.772 Occorre creare nel proprio sguardo una capacità di accoglienza, pensando che lo studio della natura debba innalzare anche quando pone dinanzi allo spettacolo di crudeli contraddizioni. Significativamente, ritorna in questa parte dell’argomentazione la metafora della discesa nell’ipogeo e della risalita: Je le répète, il ne songe pas à abandonner son idéal humain. Cela même qui d’abord dissuade de cet idéal apprend à y revenir. La nature ne saurait donner de mauvais conseils à un esprit à qui toute vérité, qui n’est pas au moins aussi haute que la vérité de son propre désir, ne paraît pas assez élevée pour être définitive et digne du grand plan qu’il s’efforce d’embrasser. Rien ne change de place dans sa vie, sinon pour monter avec lui, et longtemps encore il se dira qu’il monte quand il se rapproche de l’ancienne image du bien. Mais dans sa pensée tout se transforme avec une liberté plus grande, et il peut descendre impunément dans sa contemplation passionnée, jusqu’à chérir autant que des vertus, les contradictions les plus cruelles et les plus immorales de la vie, car il a le pressentiment qu’une foule des vallées successives conduisent au plateau qu’il espère. Cette contemplation et cet amour n’empêchent pas qu’en cherchant la certitude, et alors même que ses recherches le mènent à l’opposé de ce qu’il aime, il ne règle sa conduite sur la vérité la plus humainement belle et se tienne au provisoire le plus haut.773

Accanto a un «surimpressionisme» estetico, Maeterlinck sembra proporne uno morale. Che tutto questo sia stato accuratamente meditato da Proust è provato dal lungo brano dell’articolo del 1907 dedicato alla raccolta Les Éblouissements di Mme de Noailles, in cui Proust attinge largamente al corpus delle citazioni da où elles paraissent relativement si claires et si précises?». 772. Ivi, p. 222 : «Il ne songe pas à renier la raison et la vertu de son idéal consacré par tant de héros et de sages, mais parfois il se dit que peut-être cet idéal s’est formé trop à part de la masse énorme dont il prétend à représenter la beauté diffuse. À bon droit, il a pu craindre jusqu’ici qu’en adaptant sa morale à celle de la nature, il n’eût anéanti ce qui lui paraît être le chef-d’œuvre de cette nature même. Mais à présent qu’il connaît mieux celle-ci, et que quelques réponses encore obscures, mais d’une ampleur imprévue, lui ont fait entrevoir un plan et une intelligence plus vastes que tout ce qu’il pouvait imaginer en se renfermant en lui-même, il a moins peur, il n’a plus aussi impérieusement besoin de son refuge de vertu et de raison particulières. Il juge que ce qui est si grand ne saurait enseigner à se diminuer». 773. Ivi, p. 223, c. n.

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Maeterlinck che abbiamo esemplificato nel corso di questo studio: Mais le jardin de Maurice Maeterlinck, dominé par les images «innocentes, invariables et fraîches» d’un cyprès et d’un pin parasol, tels, dit-il, dans une des plus belles pages de la prose française depuis soixante ans, qu’il «n’imagine pas de paradis ou de vie d’outretombe, si splendide soit-elle, où ces arbres ne soient pas à leur place», ce jardin où le Virgile des Flandres, près des ruches de paille, peintes en rose, en jaune et un bleu tendre, qui, dès l’entrée, nous rappellent ses études préférées, a recueilli tant d’incomparable poésie, peut-on bien dire qu’il n’y cherche pas autre chose que la poésie? Que, – même sans avoir besoin de descendre, à l’instar de ses abeilles, jusqu’aux tilleuls en fleurs ou jusqu’à l’étang où la vallisnère attend l’heure de l’amour pour s’épanouir à la surface, – il visite seulement ses lauriers-roses, près du puits, à côté de ses sauges violettes, ou explore un coin inconnu de l’olivaie: ce sera pour étudier une espèce curieuse de labiée, une variété de chrysanthèmes ou d’orchidées, qui lui permettront de conclure des progrès de l’intelligence des fleurs ou des victoires que nous pouvons remporter sur leur inconscient, à d’autres progrès, à d’autres victoires aussi, qui ne seraient pas remportées celles-là dans le monde des fleurs, mais rapprocheraient l’humanité de la vérité et du bonheur. Car pour cet évolutionniste dans l’absolu – si l’on peut dire – science, philosophie et morale sont sur le même plan, et l’horizon de bonheur et de vérité n’est pas un mirage résultant des lois de notre optique et de la perspective intellectuelle, mais le terme d’un idéal réel, dont nous nous approchons effectivement.774

Risuona in questo passaggio del 1907 la nota del pessimismo e dell’idealismo proustiano: la legge della prospettiva spirituale domina sovrana, e con essa il nichilismo – anche se, come abbiamo visto, questi due elementi non sono affatto assenti da Maeterlinck. Come vedremo subito, queste parole di elogio hanno un primo valore di commiato. IV. 2. 1907: Impression de route en automobile. La critica proustiana ha ampiamente trattato il tema delle somiglianze intercorrenti fra Impressions de route en automobile (1907) e due articoli di Maeterlinck apparsi rispettivamente nelle già citate raccolte Le Double jardin (1904) e L’Intelligence des fleurs (1907), che trattano i temi connessi al recente uso dell’automobile, all’accelerazione spaziotemporale dovuta alla velocità, con gli effetti prospettici e i cambiamenti nell’immaginario che ne derivano, sino a riconoscere in questi testi di Maeterlinck alcune importanti fonti di un cruciale episodio della Recherche: i campanili di Martinville e la scoperta della vocazione letteraria del narratore.775 774. M. Proust, EA, pp. 537-538. 775. Cfr. gli articoli citati di M.R. Finn e L. Hodson. Cfr. anche S. Danius, The senses of modernism: technology, perception, and aesthetics, Ithaca, Cornell University Press, 2002. Alla nota 69 di pagina 211 di questo libro

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Gli articoli di Maeterlinck ai quali si fa riferimento sono: En automobile (1904) e L’accident (1907). Si tratta ancora una volta del mitema dell’uscita, che subisce un’accelerazione e un ingrandimento prospettico grazie alla moderna invenzione dell’automobile. Ma quest’uscita è tramata di paura, per i pericoli della strada che assumono l’aspetto del fantasma di una morte incombente. Il tema era già presente in Maeterlinck, ne La vie des abeilles: l’uscita dell’ape dalla sua cellula, ed il suo primo volo, che si organizza insieme alle sue coetanee per iniziarle al loro compito di bottinatrici, induce Maeterlinck a chiedersi come faccia a restare impressa nella loro memoria l’immagine del luogo dove devono fare ritorno, che spesso è difficile da scorgere e da individuare fra i diversi elementi del paesaggio. Colpisce la descrizione del timore e delle inquietudini che animano le api in questa prima uscita, perché al contrasto tra l’ombra e la luce si unisce il contrasto fra la gioia e il timore in un’interpenetrazione fra le due polarità che richiama l’immagine della tessitura: la loro gioia è “intessuta” di terrori. Si può immaginare, analogamente, una luce intessuta d’ombra? «On voit en effet qu’elles ont peur, elles qui sont filles de l’ombre étroite et de la foule, on voit qu’elles ont peur de l’abîme azuré et de la solitude infinie de la lumière, et leur joie tâtonnante est tissue de terreurs».776 Questo rapporto fra la gioia e il terrore, per cui la paura sembra essere l’emozione originaria,777 si ricollega a quello che Maeterlinck dice altrove sull’infanzia come tessuta di originari terrori: si può osservare il primo ricordo infantile che popola la Recherche è il ricordo di un’angoscia e di una paura, compare il seguente accostamento fra Proust e Maeterlinck a proposito dell’automobile: «It may well be that Proust, in writing “Impressions de route en automobile”, sought to surpass Maeterlinck’s “En automobile”. Both stories are set in the countryside in Normandy; both stress that the motorcar enables modern humans to experience as many landscapes and spectacles in a day as would formerly have demanded a whole lifetime; both attempt to represent the visual impressions along the road. A great admirer of Maeterlinck’s work, Proust repeatedly returned to the celebrated writer and playwright in his literary texts and especially in his letters. He is likely to have read Maeterlinck’s “En automobile”. The story was published in Le double jardin, which came out in 1904, and Proust refers to the volume that same year. Furthermore, as Philip Kolb has noted, in the socalled Carnet de 1908, a notebook containing notes toward Contre Sainte-Beuve, Proust alludes to Maeterlinck’s motoring piece: “Odeur des automobiles en campagne. Maeterlinck a tort” (Proust, Carnet de 1908, ed. Philip Kolb, Cahiers Marcel Proust, no. 8 [Paris: Gallimard, 1976], 70). Kolb notes, too, that Proust also alludes to the piece when, in The Captive, the smell of petrol reminds the narrator of his automobile excursions with Albertine. In addition, Proust produced a pastiche of Maeterlinck’s style; at the end, he touches upon the automobile theme and the excitement of speed (“L’Affaire Lemoine par Maeterlinck”, in CSB, 197-201). If Proust indeed sought to outdo Maeterlinck’s motoring piece, it is an impulse that befits what the Martinville episode signifies: the birth of a writer, untouched by the anxiety of influence. See also Nitsch, “Phantasmen aus Benzin”, 102-4». Cfr. anche J.-C. Valtat, L’automobile: une technologie de la réminiscence proustienne, in Proust e gli oggetti, cit., pp. 45- 51. 776. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., pp. 168-169. 777. Per questo tema fondamentale, che genera un doppio movimento di contrazione e di espansione dell’io lirico, cfr. l’opera di A. Béguin, L’âme romantique et le rêve, Paris, José Corti, 1939 (19602), trad. it. di U. Pannuti, L’anima romantica e il sogno. Saggio sul Romanticismo tedesco e la poesia francese, Milano, Il Saggiatore, 2003.

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la paura della solitudine e dell’abbandono, e che perciò anche in Proust la paura, l’angoscia davanti alla reclusione si stabilisce come sentimento primario, dal quale si evade solo successivamente ma che costituisce il sottofondo costante dell’opera. In questo senso, anche l’evocazione iniziale della camera del malato ha il valore di un prodromo che resta significativo, e sotteso a tutte le successive scoperte ed evocazioni di gioia;778 la reclusione nella camera di dolore, la luce che si spegne, la sofferenza irrimediabile che il malato accusa per il resto della notte fanno da orizzonte d’ombra, un’ombra nella quale si staglia la luce della rivelazione e del tempo ritrovato. In questo senso si può affermare che in Combray si assiste a livello di un complesso inscatolamento narrativo alla duplice manifestazione di ripiegamento e dispiegamento, di uscita e di rientro: l’oscurità, la paura davanti alla reclusione caratterizzano tanto il malato quanto il bambino mentre l’orizzonte ritrovato di Combray dopo la mediazione della reminiscenza si spalanca come un orizzonte di apertura infinita. Anche la divisione in due “parti” manifesta questo movimento di dispiegamento, in quanto imita il movimento germinativo di una pianta o di un seme che si divide in due. Se c’è un’armonia finale che viene ritrovata, essa riguarda la costituzione della vita come riunione tra le due parti, come presenza di sentieri trasversali che ricollegano e fanno di sparse direzioni isolate un tutto organico. L’armonia non si manifesta come legge generale del mondo, ma come isolamento retrospettivo e unità generale di una coscienza, e in questo senso si manifesta come parziale, soggettiva, ma anche come l’unica possibile rispetto alla minaccia della casualità del mondo che genera l’angoscia originaria. In questo senso l’itinerario disegnato da Proust coincide con l’interpretazione che di Maeterlinck dà Vivier, mostrando che il soggettivismo, nel quale si consegue un’armonia interiore, è la sua ultima parola.779 Questa unità armonica si manifesta anche come proporzionamento dell’ombra e della luce, ad esempio nel ricordo ritrovato dove si manifesta un giusto rapporto proporzionale fra la luce e l’ombra. Si può dire anzi a questo riguardo che si tratti di una luce intessuta d’ombra, di una luce “sigillata”, per riprendere un’espressione di Deleuze. Il mitema dell’uscita richiama un mitema del rientro. Anche il testo di Journées en automobile780 prelude e anticipa la Recherche. Non solo per quella descrizione dei tre campanili di Caen che migrerà nell’episodio dei campanili di Martinville, portando con sé, come è stato osservato dai critici proustiani, un sintagma tratto di peso da En automobile di Maeterlinck: «perdus 778. Cfr. CS, RTP, I, pp. 3-4. 779. Non bisogna però trascurare l’elemento oggettivo della verità in Maeterlinck. La questione è aperta e meriterebbe un ulteriore approfondimento. 780. Apparso su «Le Figaro» del 19 novembre 1907, poi raccolto in PM col titolo: Journées en automobile. Cfr. M. Proust, PM, pp. 63-69.

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en rase campagne»781 – non solo per le descrizioni dei mutamenti prospettici cui la velocità sottopone gli alberi che bordano la strada.782 Fondamentale è l’evocazione dell’automobile e della velocità come “terapia” rispetto al risvegliarsi dell’angoscia originaria della claustrazione in una stanza, che richiama direttamente l’ouverture della Recherche e l’episodio del bacio della buonanotte: Mais surtout de ce voyageur, ce que l’automobile nous a rendu de plus précieux, c’est cette admirable indépendance qui le faisait partir à l’heure qu’il voulait et s’arrêter où il lui plaisait. Tous ceux-là me comprendront que parfois le vent en passant a soudain touchés du désir irrésistible de fuir avec lui jusqu’à la mer où ils pourront voir, au lieu des inertes pavés du village vainement cinglés par la tempête, les flots soulevés lui rendre coup par coup et rumeur par rumeur; tous ceux surtout qui savent ce que peut être, certains soirs, l’appréhension de s’enfermer avec sa peine pour toute la nuit, tous ceux qui connaissent quelle allégresse c’est, après avoir lutté longtemps contre son angoisse et comme on commençait à monter vers sa chambre en étouffant les battements de son cœur, de pouvoir s’arrêter et se dire: «Eh bien! non, je ne monterai pas; qu’on selle le cheval, qu’on apprête l’automobile», et toute la nuit de fuir, laissant derrière soi les villages où notre peine nous eût étouffé, où nous la devinons sous chaque petit toit qui dort, tandis que nous passions à toute vitesse, sans être reconnu d’elle, hors de ses atteintes.783

Quest’evocazione del vento che scuote il passeggero dell’automobile come i flutti della tempesta ha un rapporto diretto con questo passaggio di En automobile: «Tout d’abord la route vient à moi d’un mouvement cadencé par la félicité, comme une fiancée qui agite des palmes. Mais bientôt elle s’anime davantage, elle bondit, elle s’affole, elle se précipite sur moi, elle roule sous le char comme un torrent furieux qui me fouette de son écume, m’inonde de ses flots, m’aveu-

781. Cfr., oltre a Finn e Hodson, anche A. Simon, art. cit. 782. M. Maeterlinck, En automobile, cit., pp. 61-62 : «À présent, le chemin tombe à pic dans l’abîme, et l’appareil magique l’y précède. Les arbres qui le bordent avec sérénité depuis tant d’années lentes redoutent un cataclysme. On croirait qu’ils accourent, rapprochent leurs têtes vertes, se massent, se concertent devant le phénomène qui surgit, pour lui barrer la voie. Puis soudain, comme il ne s’arrête pas, les voilà pris d’effroi. Ils se sauvent, se dispersent, regagnent à tâtons leur place séculaire, se penchent tumultueusement sur mon passage, et, répercutant dans leurs millions de feuilles la joie presque insensée de la force qui chante, murmurent à mes oreilles les psaumes volubiles de l’Espace qui admire et acclame son antique ennemie, toujours vaincue jusqu’à ce jour mais enfin triomphante : la Vitesse» (c. n). Sull’impressione di un ostacolo che sorge all’improvviso, e che rende apprezzabile la totalità del tempo raggiunta – ma che richiama altresì il fantasma di un possibile incidente, cfr. questo passaggio di Impressions de route en automobile: «Restés si longtemps inapprochables à l’effort de notre machine qui semblait patiner vainement sur la route, toujours à la même distance d’eux, c’est dans les dernières secondes seulement que la vitesse de tout le temps, totalisée, devenait appréciable. Et géants, surplombant de toute leur hauteur, ils se jetèrent si rudement au-devant de nous que nous eûmes tout juste le temps d’arrêter pour ne pas nous heurter contre le porche» (M. Proust, PM, p. 65). 783. M. Proust, PM, p. 68.

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gle de son souffle».784 Il saggio di Maeterlinck si conclude con l’evocazione dei due grandi nemici dell’uomo: il Tempo e lo Spazio, e sull’interrogativo se sia possibile vincere almeno il secondo. Il primo è considerato invincibile, giusta la sua natura kantiana di puro fenomeno. È notevole il fatto che il Tempo sia immaginato come una forza priva di corpo e che tuttavia lascia delle tracce. Dove depositarle, se non nel corpo? L’Espace et son frère invisible le Temps sont en somme les deux grands adversaires de l’homme. Nous serions semblables aux dieux si nous en triomphions. Le Temps semble invincible, n’ayant ni corps, ni forme, ni organe par quoi nous le puissions saisir. Il passe, il laisse des traces presque toujours douloureuses, comme l’ombre malfaisante d’un être inévitable qu’on n’aperçoit jamais. Il est d’ailleurs probable qu’il n’existe pas en soi; qu’il n’est que par rapport à nous, et que nous n’arriverons point à subjuguer ce fantôme nécessaire de notre imagination organiquement fausse.785

Qui si registra una completa divergenza fra la concezione proustiana e quella di Maeterlinck. Il tempo per Proust è sì invisibile, ma ha la proprietà di depositare le sue tracce nel corpo, e per questa via può essere in qualche modo colto attraverso i sensi e ritrovato. L’immaginazione ha qui un ruolo attivo e non passivo. Per Maeterlinck, al contrario, il tempo lascia sì delle tracce, ma è assimilato ad un’ombra. Il Tempo è un “fantasma” dell’immaginazione umana “organicamente falsa”. Cogliamo qui il punto di decisiva divergenza filosofica fra i due autori: Proust insiste – e la recente critica proustiana ha messo in evidenza questo punto – sul carattere materiale e corporeo del tempo, e sulla sua iscrizione nel corpo umano.786 Si può parlare, con Deleuze, di una “materia-tempo”. Dove invece Maeterlinck resta di stretta aderenza kantiana, il tempo non può essere materializzato – resta l’immagine attinta dalla metafora fotologica luce/ombra, che non allude ad un’interpenetrazione dei corpi. Da qui anche il rifiuto di un ruolo attivo dell’immaginazione, e la priorità accordata al ragionamento, che del resto – come Proust ha osservato – contraddice la stessa pratica letteraria di Maeterlinck, fondata sulla metafora. Sullo Spazio sembrerebbe esserci invece convergenza: lo spazio è corporeo, al contrario del Tempo, lo Spazio può essere asservito e sconfitto, tuttavia fino a questo momento le vittorie dell’uomo erano sempre rimaste incomplete. Sul mare, infatti, le navi, per quanto sia grande la loro velocità, non riescono ad aver ragione delle immensità oceaniche; e il treno allaccia alla sua vittoria lo Spazio come il prigioniero legato ai carri dei vincitori, 784. M. Maeterlinck, En automobile, cit., pp. 60-61. 785. Ivi, pp. 62-63. 786. Cfr. anche la nozione di «temps incorporé» evocata da J. Kristeva, Le temps sensible…, cit.

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ma aggioga anche noi. Il miracolo compiuto dall’automobile è di adattare la velocità a quella percezione dello spazio che la nostra anima esige: «ici, l’Espace devient vraiment humain, il se proportionne à notre œil, aux besoins de notre âme à la fois prompte et lente, étroite et colossale, insatiable et méticuleuse; il est assimilable enfin et nous offre sans cesse, en chacun de ses buts, chacune des beautés qu’il n’offrait autrefois qu’à l’arrivée pénible».787 È notevole anche la descrizione della macchina che compie questo miracoloso riavvicinamento dello spazio all’occhio dell’uomo: essa è un carro di fuoco dalle «ailes repliées»,788 un altro di quegli esseri ibridi di natura ignea che superano i confini apparenti della realtà. Con l’automobile, ogni porzione della strada diventa un arrivo e uno scopo: Maintenant, au contraire, ce n’est plus l’arrivée qui nous rouvre les yeux, anime l’attention si précieuse à la vie et invite au bonheur d’admirer; la route tout entière n’est plus qu’une arrivée sans nombre. Les joies du but se multiplient puisque tout prend la forme adorable du but; les yeux oublient enfin leur indifférente paresse, et la bonne mémoire des beautés de la terre maternelle, la plus simple des fées qui président au bonheur, en songeant en silence aux journées moins heureuses qui attendent tout homme, range dans nos souvenirs, parmi les biens acquis qu’on ne nous reprend pas, les trésors imprévus que lui versent à flots les routes déchaînées et les heures délivrées.789

Nella Recherche, sullo stesso argomento si sofferma Proust a proposito del primo viaggio in treno a Balbec, ma per opporre l’automobile al treno.790 Dove ogni arrivo è possibile, non c’è più alcun arrivo. Proust insiste sul carattere ideale di segnalazione dell’arrivo che acquista la fermata del treno.791 Questa differenza nella concezione dello spazio e dell’arrivo trova un riscontro anche nella concezione del tempo; per Proust c’è un punto di arrivo che è parziale quanto 787. Ivi, p. 64. 788. Ibid. 789. Ivi, p. 65, c. n. 790. JF, RTP, II, p. 5 : « Ce voyage, on le ferait sans doute aujourd’hui en automobile, croyant le rendre ainsi plus agréable. On verra qu’accompli de cette façon, il serait même en un sens plus vrai puisqu’on y suivrait de plus près, dans une intimité plus étroite, les diverses gradations par lesquelles change la surface de la terre. Mais enfin le plaisir spécifique du voyage n’est pas de pouvoir descendre en route et s’arrêter quand on est fatigué, c’est de rendre la différence entre le départ et l’arrivée non pas aussi insensible, mais aussi profonde qu’on peut, de la ressentir dans sa totalité, intacte, telle qu’elle était dans notre pensée quand notre imagination nous portait du lieu où nous vivions jusqu’au cœur d’un lieu désiré, en un bond qui nous semblait moins miraculeux parce qu’il franchissait une distance que parce qu’il unissait deux individualités distinctes de la terre, qu’il nous menait d’un nom à un autre nom, et que schématise (mieux qu’une promenade où, comme on débarque où l’on veut, il n’y a guère plus d’arrivée) l’opération mystérieuse qui s’accomplissait dans ces lieux spéciaux, les gares, lesquels ne font pas partie pour ainsi dire de la ville mais contiennent l’essence de sa personnalité de même que sur un écriteau signalétique elles portent son nom ». 791. Cfr. M. Sandras, Le train, in Proust e gli oggetti, cit., pp. 39-44.

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ideale, rappresentato dall’opera d’arte e da quell’atemporalità che essa veicola; per Maeterlinck lo sviluppo è continuo, quindi ogni segmento del tempo è un potenziale punto di arrivo: ma si potrebbe opporre a Maeterlinck il ragionamento di Proust in base al quale così non sussiste più nessun punto di arrivo, e tutto è travolto da un incessante ritornare della/nella differenza. Per comprendere bene questa fondamentale opposizione, bisogna ricordare la tesi di Poulet sul carattere ideale e discontinuo dello spazio proustiano.792 Ogni luogo è una monade. Maeterlinck è kantiano nella sua concezione del tempo ma leibniziano in quella dello spazio, fondata sulla metonimia, la concatenazione per contiguità. In opposizione al Tempo evocato come un fantasma, la sua evocazione rutilante dello Spazio ha un carattere metonimico: «l’Espace, son magnifique frère qui se revêt de la robe verte des plaines, du voile jaune des déserts, du manteau bleu des océans, et recouvre le tout de l’azur de l’éther et de l’or des étoiles».793 La poetica proustiana del viaggio ha invece stretto rapporto con la funzione dell’immaginazione (devalorizzata da Maeterlinck e rivalorizzata da Proust) e con la specificità della metafora, che ha un carattere di “balzo” (bond) e d’immediatezza precluse alla metonimia. Ciò è evidente nel passaggio della Recherche che segue quello citato: Mais en tout genre, notre temps a la manie de vouloir ne montrer les choses qu’avec ce qui les entoure de la réalité, et par là de supprimer l’essentiel, l’acte de l’esprit qui les isola d’elle. On «présente» un tableau au milieu de meubles, de bibelots, de tentures de la même époque, fade décor qu’excelle à composer dans les hôtels d’aujourd’hui la maîtresse de maison la plus ignorante la veille, passant maintenant ses journées dans les archives et les bibliothèques et au milieu duquel le chef-d’œuvre qu’on regarde tout en dînant ne nous donne pas la même enivrante joie qu’on ne doit lui demander que dans une salle de musée, laquelle symbolise bien mieux par sa nudité et son dépouillement de toutes particularités, les espaces intérieurs où l’artiste s’est abstrait pour créer.794

Ci occorre a questo punto riandare ad una delle nostre precedenti conclusioni. Avevamo osservato che, all’altezza del 1905-1906, prende corpo quella costellazione di riferimenti a Maeterlinck destinati a confluire molto più tardi nell’ouverture di Sodome et Gomorrhe, e che avevamo caratterizzato, sulla scorta di Genette, come intreccio o contagio metonimico della metafora. All’altezza del 1907, un’altra costellazione prende corpo: è quella legata al tema dell’automobile. E qui il fatto nuovo è che Proust prende le distanze da Maeterlinck e anche dalle conseguenze eccessive di tale contagio metonimico. Pur ribadendo il valore del viaggio in automobile dal punto di vista dell’interesse paesaggistico e geologico, 792. G. Poulet, L’espace proustien, Paris, Presses Universitaires de France, 1964. 793. M. Maeterlinck, En automobile, cit., p. 63. 794. JF, RTP, II, PP. 5-6.

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Proust segnala il carattere ideale e simbolico, essenzialista nel senso soggettivo del termine – che risale a Kant – del viaggio in treno, e dunque la sua superiorità. Evidenziando l’atto della mente che isola gli oggetti – cioè il carattere soggettivo di ogni impressione – Proust mette a punto la metafora come strumento privilegiato di tale concezione. Gli assi metaforico e metonimico, dopo essersi una volta congiunti, ricominciano ad opporsi. Potremmo infatti leggere le dichiarazioni di Maeterlinck a proposito del potere della Velocità anche come intenzioni di stile: «ici, l’Espace devient vraiment humain, il se proportionne à notre œil, aux besoins de notre âme à la fois prompte et lente, étroite et colossale, insatiable et méticuleuse; il est assimilable enfin et nous offre sans cesse, en chacun de ses buts, chacune des beautés qu’il n’offrait autrefois qu’à l’arrivée pénible».795 L’ideale stilistico che avevamo caratterizzato come contagio metonimico della metafora nasceva dalla sovrapposizione della prima e della seconda verità dell’apologo de La vie des abeilles: la verità simbolica dell’immaginazione pura e la verità aneddotica del realismo. Questo ideale ha permesso a Maeterlinck di creare una “macchina” stilistica in cui gli effetti non sono più subordinati allo scioglimento drammatico, come avveniva nei primi drammi, ma sono profusi in uno stile continuo – sebbene di matrice inizialmente frammentaria796 – che mima il rilancio continuo delle questioni, delle immagini, dei temi, se si vuole, l’interrogazione infinita di cui parla Blanchot. Maeterlinck non è più capace o non è più interessato a concentrarsi su un’opera singola, culminante in un finale: a maggior ragione non è più interessato al compito della tragedia, lo scioglimento drammatico. Col suo stile della velocità a proposito del quale Proust parlerà scherzosamente di una «Rolls Royce 120 Cavalli Marca Mistero»,797 Maeterlinck vuole esorcizzare la fine, rendendo possibile, come fa l’automobile, l’accumulo scatenato delle bellezze che affollano la mente di ricordi felici, «en songeant en silence aux journées moins heureuses qui attendent tout homme», prima dell’oscurità e della decadenza inevitabili. Sebbene la tematica del rilancio infinito non sia estranea a Proust, come hanno mostrato Blanchot e Deleuze, resta che l’opera concepita nel 1908, la Recherche, è pensata secondo una composizione che Proust nella corrispondenza definisce rigorosa e dogmatica. La fine è pensata e scritta insieme con l’inizio. Non stupisce affatto che nel 1907 Proust cominci a prendere le distanze dagli effetti del “contagio” metonimico e anche dal “contagio stilistico” di Maeterlinck tout court, e che lo recuperi invece – quando la difficile questione dello scioglimento drammatico 795. Ivi, p. 64. 796. Per questo aspetto cfr. l’interessante saggio di R. Bales, Proust au seuil de la Recherche: la contribution de Maeterlinck essayiste, in Présence/Absence de Maeterlinck, cit., pp. 369-380. 797. Nella corrispondenza del 1913, cfr. infra.

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della Recherche sarà già stata risolta –, come tecnica sublime di raccordo: al momento – assai tardivo, come ha mostrato Compagnon – della composizione del primo capitolo di Sodome et Gomorrhe. I temi fondamentali della morte, del corpo, e dell’iscriversi di questa in quello appaiono dunque legati alla possibilità stessa di concezione dell’opera come un tutto conchiuso e finito, che occuperà Proust di lì a poco. Già un preannuncio filosoficamente non trascurabile di questa diversa direzione che gli ideali stilistici dei due autori considerati stanno prendendo, nell’anno 1907, sta nella diversa concezione non solo dello Spazio (continuo secondo Maeterlinck, discontinuo secondo Proust) e del Tempo (fantasmatico secondo Maeterlinck, materiale secondo Proust), ma anche della velocità, che è strettamente legata al Tempo. La velocità che Maeterlinck ci descrive nell’articolo En automobile è continua, malgrado le illusioni ottiche della strada che la punteggiano, il Tempo subisce un’accelerazione su un vettore astratto. La velocità che Proust ci descrive in Impressions de route en automobile conosce un punto d’arresto – il momento del quasi scontro con i campanili – in cui la totalità del tempo percorso diviene apprezzabile. Sembra che il tempo, nell’attimo che decide lo stop, si manifesti, trovi il modo di rendersi tangibile, s’incarni nell’essenza materiale dell’ostacolo. Il corpo è il deposito delle impressioni e del tempo materialmente misurato: constatazione che si affaccerà nella Recherche anche a proposito del sonno. Nell’attimo che precede l’arresto o la morte, il tempo diviene illusoriamente visibile. Il mito di Sheherazade e con esso il destino di Proust stanno per affacciarsi. Nell’articolo di Proust compare una forma della redenzione del tempo che non è ancora quella della Recherche: è l’immagine dello chauffeur Agostinelli che proietta i fari dell’automobile sul portico della chiesa di Lisieux, «envoyant aux vieilles sculptures le salut du présent dont la lumière ne servait plus qu’à mieux lire les leçons du passé».798 Come si evince da questo breve passaggio, Proust è ancora fermo alla concezione della critica letteraria e dello studio storico dei monumenti del passato come forma di redenzione. È questo il balzo che separa l’opera del 1907 dalle decisive concezioni dell’anno successivo. Tuttavia già alcuni temi migreranno nella Recherche. Uno di questi riguarda la concezione del simbolo: sempre a proposito di Agostinelli, Proust osserva che la ruota del volante lo accompagna come quei simboli che, nelle opere d’arte medievale, indicavano lo strumento dell’arte praticata dal personaggio, ma anche, talvolta, lo strumento del supplizio del quale morì. Questa reversibilità e questa interpenetrazione tra il simbolo come annunciatore di morte e il simbolo della redenzione attraverso l’arte la ritroviamo nella Recherche, in un passaggio che è fondamentale per comprendere la concezione dell’arte simbolica in Proust. Commentando 798. M. Proust, PM, p. 66.

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le riproduzioni fotografiche dei Vizi e delle Virtù affrescati da Giotto all’Arena di Padova, donategli da Swann, Proust paragona il personaggio domestico della sguattera incinta a queste riproduzioni, trattando il suo ventre ingrossato come un simbolo: Et je me rends compte maintenant que ces Vertus et ces Vices de Padoue lui ressemblaient encore d’une autre manière. De même que l’image de cette fille était accrue par le symbole ajouté qu’elle portait devant son ventre, sans avoir l’air d’en comprendre le sens, sans que rien dans son visage en traduisît la beauté et l’esprit, comme un simple et pesant fardeau, de même c’est sans paraître s’en douter que la puissante ménagère qui est représentée à l’Arena au-dessous du nom «Caritas» et dont la reproduction était accrochée au mur de ma salle d’études, à Combray, incarne cette vertu, c’est sans qu’aucune pensée de charité semble avoir jamais pu être exprimée par son visage énergique et vulgaire. Par une belle invention du peintre elle foule aux pieds les trésors de la terre, mais absolument comme si elle piétinait des raisins pour en extraire le jus ou plutôt comme elle aurait monté sur des sacs pour se hausser; et elle tend à Dieu son cœur enflammé, disons mieux, elle le lui «passe», comme une cuisinière passe un tire-bouchon par le soupirail de son sous-sol à quelqu’un qui le lui demande à la fenêtre du rez-dechaussée.799

Questa concezione del simbolo trova naturalmente dei patenti riscontri nella prima fase della produzione di Maeterlinck, il quale nel Cahier bleu cita i Primitivi italiani tra i suoi ispiratori. Possiamo affermare che essa è il motore di tutta l’arte di Maeterlinck prima della svolta positivista e razionalista. In una novella del 1889, Onirologie, troviamo alcune osservazioni sull’estrema nudità dei paesaggi e dei contorni onirici che fa pensare proprio a quest’impiego del simbolo: Il faut observer, en effet, que le paysage du sommeil est presque toujours utile, en ce sens qu’il n’existe que pour autant qu’il fasse partie intégrante de l’action, et au fur et à mesure de cette action. Il est sobre en outre comme un décor de Shakespeare, et les personnages n’ont que le morceau de terrain strictement nécessaire à leurs évolutions, tandis que ces fragments d’entours indispensables accompagnent le drame pas à pas. […] À part ceci, il peut arriver toutefois, que le paysage serve de Leitmotiv, à quelque acteur, et que celui-ci se présente avec le milieu où il se meut à l’ordinaire, par exemple, un forgeron apparaîtra parfois avec sa forge, un malade avec son lit, un horticulteur avec sa serre, sans que ces accessoires subtils encombrent l’action ou le théâtre nocturne.800

799. CS, RTP, I, p. 80. 800. M. Maeterlinck, Onirologie, in Id., Œuvres I, cit., p. 134.

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In questo passaggio del 1889 Maeterlinck abbozza un’estetica diametralmente opposta a quella dell’articolo del 1907 En automobile. I simboli onirici sono strettamente utili allo svolgimento drammatico, e lo accompagnano passo passo senza ingombrarlo. Maeterlinck ha in mente un’arte della sobrietà, mentre nel 1907 pensa a una profusione d’immagini. Non è casuale che il “personaggio invisibile” che domina i drammi di un’arte così concepita sia la Morte. Questo nesso, che resta implicito in Maeterlinck, è luminosamente esplicitato da Proust in un passaggio di poco successivo a quello citato: Mais plus tard j’ai compris que l’étrangeté saisissante, la beauté spéciale de ces fresques tenait à la grande place que le symbole y occupait, et que le fait qu’il fût représenté non comme un symbole puisque la pensée symbolisée n’était pas exprimée, mais comme réel, comme effectivement subi ou matériellement manié, donnait à la signification de l’œuvre quelque chose de plus littéral et de plus précis, à son enseignement quelque chose de plus concret et de plus frappant. Chez la pauvre fille de cuisine, elle aussi, l’attention n’était-elle pas sans cesse ramenée à son ventre par le poids qui le tirait; et de même encore, bien souvent la pensée des agonisants est tournée vers le côté effectif, obscur, viscéral, vers cet envers de la mort qui est précisément le côté qu’elle leur présente, qu’elle leur fait rudement sentir et qui ressemble beaucoup plus à un fardeau qui les écrase, à une difficulté de respirer, à un besoin de boire, qu’à ce que nous appelons l’idée de la mort.801

Un’altra funzione che Maeterlinck attribuisce al simbolo così concepito è di essere un Leit-motiv. In Impressions de route en automobile, troviamo un interessante riferimento alla tecnica wagneriana del Leit-motiv. Proust mette a punto il germe di un’estetica musicale, basata sulla estrema semplicità e ripetitività dei suoni (corollario della sobrietà e del realismo dei simboli visuali), che migrerà nella Recherche. Alla conclusione dell’articolo del 1907, Proust descrive il suo arrivo in automobile a casa dei genitori e paragona il richiamo insistente della tromba del clacson ai Leit-motive wagneriani: Ils se lèvent, allument une bougie tout en la protégeant contre le vent de la porte qu’ils ont déjà ouverte dans leur impatience, tandis qu’au bas du parc la trompe dont ils ne peuvent plus reconnaître le son devenu joyeux, presque humain, ne cesse plus de jeter son appel uniforme comme l’idée fixe de leur joie prochaine, pressant et répété comme leur anxiété grandissante. Et je songeais que dans Tristan et Isolde (au deuxième acte d’abord quand Isolde agite son écharpe comme un signal, au troisième acte ensuite à l’arrivée de la nef) c’est, la première fois, à la redite stridente, indéfinie et de plus en plus rapide de deux notes dont la succession est quelquefois produite par le hasard dans le monde inorganisé des bruits; c’est, la deuxième fois, au chalumeau d’un pauvre pâtre, à l’intensité croissante, à l’insatiable monotonie de sa maigre chanson, que Wagner, par une apparente et géniale abdication de sa puissance créatrice, a 801. CS, RTP, I, p. 81, c. n.

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confié l’expression de la plus prodigieuse attente de félicité qui ait jamais rempli l’âme humaine.802

Questa volontaria semplicità di mezzi espressivi migrerà nei temi musicali della Recherche: il richiamo di gioia sovrumana veicolato dal clacson di Agostinelli ricorda l’«appel ineffable mais suraigu»803 del Settimino di Vinteuil. È significativo che entrambi gli appelli, il primo in forma domestica e familiare, il secondo in forma di riflessione estetica dotta, veicolino un mitema del rientro: ritorno a casa dai genitori il primo, ritorno alla «patrie perdue»804 delle anime il secondo. Altrettanto significativo che il rovescio dell’appello di gioia nel Settimino di Vinteuil sia una frase musicale dolorosa descritta con parole analoghe a quelle che Proust ha usato per descrivere il rovescio della morte, che essa presenta agli agonizzanti: «une phrase d’un caractère douloureux […] mais si profonde, si vague, si interne, presque si organique et viscérale qu’on ne savait pas, à chacune de ses reprises, si c’était celles d’un thème ou d’une névralgie».805 L’estetica del simbolo sonoro di Proust è già preannunciata nei due esempi wagneriani presenti nell’articolo del 1907: l’appello di gioia e il tema dell’attesa. Sono le due metà del simbolo musicale, che fanno riferimento alla doppia natura di qualsiasi simbolo archetipo: in questo caso ci troviamo di fronte a un mitema notturno del rientro (rientro a casa dai genitori, rientro nella patria delle anime) raddoppiato dal tema diurno dell’angoscia davanti alla morte. Sono i due lati della morte secondo Durand: l’aspetto materno e consolatorio, l’aspetto solare e distruttore. Proust mette in risalto la costitutiva ambivalenza del simbolo, e la sua divisione in due lati. La divisione della realtà in due lati o due côtés è presente anche in Maeterlinck. L’espressione «de l’autre côté» ricorre nei suoi scritti e allude a un diverso livello di significato della realtà: come quando, nella didascalia che apre il dramma Les Aveugles, troviamo la descrizione del cadavere del prete che guidava i ciechi, riverso al centro della scena, e i cui occhi «muets et fixes ne regardent plus du côté visible de l’éternité».806 È fondamentale per entrambi gli autori considerati il tema della simmetria, inizialmente connesso, in Maeterlinck, all’asse visuale che struttura la concezione spaziale dei suoi drammi, sempre molto curata. Sembrerebbe anche che in Maeterlinck, nella prima fase della sua produzione, questo tema si connetta a una concezione quasi gnostica: il contrasto fra lato visibile e lato invisibile. Vedremo che Proust valorizzerà al contrario il tema della simmetria quale esso si configura nella fase suc802. M. Proust, PM, pp. 68-69. 803. LP, RTP, III, p. 754. 804. Ivi, p. 761. 805. Ivi, p. 764. 806. M. Maeterlinck, Les Aveugles, in Id., Œuvres II, cit., p. 285.

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cessiva dell’opera di Maeterlinck, come tema della crescita vegetale organica, simbolo di vita e di felicità. Se il primo significato apparteneva pienamente all’estetica del simbolo, e si connetteva a un valore mortifero, il secondo significato della simmetria maeterlinckiana si svolge su un asse metonimico che ben si addice all’estetica della “disseminazione” delle immagini veicolata e teorizzata dalla sua scrittura saggistica. Il tema dell’appello ripetuto che troviamo quale Leit-motiv del Settimino di Vinteuil corrisponde a una sensibilità auditiva profonda in Proust. Lo ritroviamo, infatti, anche nelle resurrezioni finali de Le Temps retrouvé, come suono di una forchetta o di un cucchiaio che urtano contro un piatto, e che risvegliano il ricordo del suono dei martelli battuti dagli operai contro la ruota del treno durante una sosta del viaggio. Proust caratterizza, infatti, il Leit-motiv musicale come qualcosa di analogo alla ripetizione casuale di due suoni: «redite stridente, indéfinie et de plus en plus rapide de deux notes dont la succession est quelquefois produite par le hasard dans le monde inorganisé des bruits» – si legge nell’articolo del 1907. Lo stesso tema si connette a quello dell’intermittenza. Gli appelli ripetuti del Settimino di Vinteuil fanno pensare il narratore alle diverse fasi per le quali si era sviluppato, in modo intermittente, il suo amore per Albertine: «des appels qui réclamaient ce plus vaste amour… l’amour pour Albertine».807 Si può riconoscere il germe di questa estetica del simbolo sonoro in un’immagine che ricorre in un altro passaggio della Recherche, sempre a proposito di Albertine, l’immagine del sasso che rotola nell’abisso e che produce un suono: J’avais causé avec elle sans plus savoir où tombaient mes paroles, ce qu’elles devenaient, que si j’eusse jeté des cailloux dans un abîme sans fond. Qu’elles soient remplies en général par la personne à qui nous les adressons d’un sens qu’elle tire de sa propre substance et qui est très différent de celui que nous avions mis dans ces mêmes paroles, c’est un fait que la vie courante nous révèle perpétuellement. Mais si de plus nous nous trouvons auprès d’une personne dont l’éducation (comme pour moi celle d’Albertine) nous est inconcevable, inconnus les penchants, les lectures, les principes, nous ne savons pas si nos paroles éveillent en elle quelque chose qui y ressemble plus que chez un animal à qui pourtant on aurait à faire comprendre certaines choses. De sorte qu’essayer de me lier avec Albertine m’apparaissait comme une mise en contact avec l’inconnu sinon avec l’impossible, comme un exercice aussi malaisé que dresser un cheval, aussi reposant qu’élever des abeilles ou que cultiver des rosiers.808

Il riferimento finale all’allevamento delle api e alla coltivazione delle rose, connesso al mistero e all’impenetrabilità di ciascun essere, ci mette già sulla pista 807. LP, RTP, III, p. 757. 808. JF, RTP, II, p. 236, c. n.

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di una possibile ascendenza maeterlinckiana del passaggio. Si potrebbe obiettare che presumibilmente dei sassi scagliati in un abisso senza fondo non debbano produrre alcun suono. Troviamo però la stessa immagine in Maeterlinck, associata ai compiti del poeta e del genere umano tout court. Nel primo di questi passaggi, nella prefazione all’edizione del suo teatro del 1901, Maeterlinck usa l’immagine delle parole che rotolano come sassi nell’abisso a proposito di quegli esseri – personaggi del suo primo teatro – impenetrabili e votati, come Albertine, a una morte prematura.809 In questo passaggio, che avevamo già citato, troviamo la sottolineatura di un effetto sonoro: il «retentissement» del sasso che rotola nell’abisso, producendovi «un bruit confus et assourdi». Questo suono che veicola il senso del mistero esistenziale nei primi drammi è il correlativo auditivo di altre immagini visuali che troviamo nello stesso testo. Abbiamo già commentato il passaggio dai «précaires et fortuites lueurs»810 alle speranze «qui s’éteignent et se rallument»811 nello stesso testo, come passaggio da una luce differenziale a una luce intermittente, e ne abbiamo concluso che in questo punto di svolta si affaccia la struttura dell’intermittenza. Dal punto di vista uditivo, ad esso dovrebbe corrispondere il passaggio da una vibrazione di fondo a degli appelli ripetuti. E, infatti, troviamo quest’immagine in un altro testo del 1901, La vie des abeilles: qui il rotolare dei sassi contro l’abisso si carica di una funzione differente. Maeterlinck insiste ancora sul carattere irrimediabilmente casuale che potrebbe avere la natura, in contrapposizione alla teleologia ostinata che noi ci accaniamo a scoprire in essa, per concludere che tuttavia questo lavoro di scoperta dei fini della natura è assolutamente necessario per l’umanità. Appare l’immagine del rumore che fa una pietra rotolata nell’abisso che ne svela, a paragone del silenzio che la accompagna, la sua virtuale immensità (come il leopardiano stormire delle foglie in confronto all’immensità dell’infinito): «Attribuer ainsi une idée à la nature et croire que cela suffit, c’est jeter une pierre dans un de ces gouffres inexplorables que l’on trouve au fond de certaines grottes, et s’imaginer que le bruit qu’elle produira en y tombant répondra

809. M. Maeterlinck, Préface au Théâtre de 1901, in Id., Œuvres I, cit., pp. 496-497 : « Cet inconnu prend le plus souvent la forme de la mort. La présence infinie, ténébreuse, hypocritement active de la mort remplit tous les interstices du poème. Au problème de l’existence il n’est répondu que par l’énigme de son anéantissement. Du reste, c’est une mort indifférente et inexorable, aveugle, tâtonnant à peu près au hasard, emportant de préférence les plus jeunes et les moins malheureux, simplement parce qu’ils se tiennent moins tranquilles que les plus misérables, et que tout mouvement trop brusque dans la nuit attire son attention. Il n’y a autour d’elle que de petits êtres fragiles, grelottantes, passivement pensifs, et les paroles prononcées, les larmes répandues ne prennent d’importance que de ce qu’elles tombent dans le gouffre au bord duquel se joue le drame et y retentissent d’une certaine façon qui donne à croire que l’abîme est très vaste parce que tout ce qui s’y va perdre y fait un bruit confus et assourdi » (c. n.). 810. Ivi, p. 497. 811. Ivi, p. 498.

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à toutes nos questions et nous révélera autre chose que l’immensité de l’abîme».812 Compare qui, significativamente, l’immagine della grotta. Proseguendo nel suo ragionamento, Maeterlinck non esclude che la natura sia governata da un cieco caso, che si manifesta come esclusione di altre possibilità e di altre forme di vita rispetto a quelle che possiamo ammirare, ma nello stesso tempo fa capolino l’idea di una molteplicità di possibili fra i quali la natura oscillerebbe.813 Tuttavia il compito specificamente umano è di continuare a cercare un’interpretazione dei fini della natura, una teleologia, e a produrre quel rumore dato dall’urto dell’ignoto contro un ignoto più grande ancora che è la nostra manifestazione più elevata: Il serait téméraire d’affirmer autre chose, et tout le reste, nos réflexions, notre téléologie obstinée, nos espoirs et nos admirations, c’est au fond de l’inconnu, que nous choquons contre du moins connu encore, pour faire un petit bruit qui nous donne conscience du plus haut degré de l’existence particulière que nous puissions atteindre sur cette même surface muette et impénétrable, comme le chant du rossignol et le vol du condor leur révèlent aussi le plus haut degré d’existence propre à leur espèce. Il n’en reste pas moins, qu’un de nos devoirs les plus certains est de produire ce petit bruit chaque fois que l’occasion s’en présente, sans nous décourager parce qu’il est vraisemblablement inutile.814

La ragione umana è ricondotta ad una funzione naturale: produrre delle interpretazioni dell’ignoto, urtando la pietra contro un’altra pietra. Anche se ogni tentativo di interpretazione è inutile e votato allo scacco, questo è il compito specifico dell’essere umano che lo contraddistingue come la più elevata manifestazione della sua natura allo stesso modo che il volo contraddistingue gli uccelli. La topografia della metafora si precisa: all’asse della discesa, che richiama nuovamente la caverna, si aggiunge un asse verticalizzante, quello del volo. Il lavoro d’interpretazione che cerca di oltrepassare l’oggetto e di evadere dalla propria chiusura solipsistica è sottolineato da Merleau-Ponty, che scorge nell’amore proustiano un principio di «institution»,815 e da Chabot, che mostra la funzione fondamentale dell’Altro nell’opera di Proust, sulla scorta di Lévinas.816 È proprio Chabot a mo812. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., p. 163, c. n. 813. Ibid. : « Quand on répète: la nature veut ceci, organise cette merveille, s’attache à cette fin, cela revient à dire qu’une petite manifestation de vie réussit à se maintenir, tandis que nous nous en occupons, sur l’énorme surface de la matière qui nous semble inactive et que nous appelons, évidemment à tort, le néant ou la mort. Un concours de circonstances qui n’avait rien de nécessaire a maintenu cette manifestation entre mille autres, peut-être aussi intéressantes, aussi intelligentes, mais qui n’eurent pas la même chance et disparurent à jamais sans avoir eu l’occasion de nous émerveiller». 814. Ivi, pp. 163-164, c. n. 815. Cfr. M. Merleau-Ponty, L’institution dans l’histoire personnelle et publique. Le problème de la passivité. Le sommeil, l’inconscient, la mémoire, Notes de Cours au Collège de France (1954-1955), textes établis par D. Darmaillacq, C. Lefort et S. Ménasé, préface de C. Lefort, Paris, Belin, 2003. 816. J. Chabot, L’autre et le moi chez Proust, Paris, Champion, 1999.

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strare l’importanza dell’asse verticalizzante in Proust, affermando che il narratore pratica una «psychotérapie de l’altitude»,817 e che nella direzione alto-basso va cercata la specificità della sua concezione della metafora. Sempre Chabot sottolinea che la metafora in Proust corrisponde a un movimento di sorpresa derivante dal rapporto che essa intrattiene con l’Altro e con l’infinito, e che è l’esatto contrario di un ideale dell’arte come perfezione preconcetta.818 Vedremo fra poco come il rimprovero indirizzato da Proust a Maeterlinck sarà di avere rinunciato a tutta la potenza evocativa d’infinito dei simboli per rinchiudersi in una simile perfezione, ideale che tuttavia Proust non disdegnerà completamente, affidandogli anzi un ruolo preciso nella sua opera. Per quanto riguarda l’immagine del suono prodotto dal sasso che rotola o che è gettato contro le pareti di una grotta, è chiaro che ci troviamo di fronte ad un corrispettivo dei bagliori prodotti – nell’evocazione della caverna che figura in L’intelligence des fleurs – dagli insetti e dai fiori. L’uomo rinchiusovi senza possibilità di evasione deve cercare di indovinare il mondo oscuro che lo circonda partendo dai bagliori prodotti dagli insetti e dai fiori, e dai rumori che egli stesso produce gettando sassi contro le pareti. Il rinvio al mitema della caverna si fa sempre più patente. Esso occupa il pastiche di Maeterlinck che Proust scrive nel 1908, l’anno di concezione della Recherche. Secondo Campagnoli, che persegue un’interpretazione psicoanalitica di Serres chaudes, l’immagine delle rose nella grotta è un simbolo di morte purificatrice.819 Dovremo tenere presente questa e altre interpretazioni psicoanalitiche di Maeterlinck nell’analisi di questo pastiche, che si configura come una summa dei temi e delle immagini sinora evocati, e come una pratica «purgativa» – secondo la definizione dello stesso Proust – che prelude a una più intensa attività di critica letteraria «in azione» e insieme ad una demistificazione e liberazione dal modello. IV. 3. 1908-1909: il pastiche di Maeterlinck. Il 1908 è l’anno dei Pastiches. Una lettera del 1908 contiene un riferimento a Maeterlinck ancora come filosofo: Proust cita il suo nome insieme a quello di Francis Jammes (quest’associazione è ricorrente) e insieme a quello dei filosofi 817. Ivi, p. 65. 818. Ivi, p. 174: «Et l’invention poétique de la métaphore qui poursuit le mouvement de “désancrage” amorcé par la réminiscence est d’abord un art de nous surprendre nous-mêmes et de surprendre également les autres, qui n’attendaient pas cela de notre part : elle continue la création au lieu de la fixer dans sa perfection. L’idée préconçue de "perfection", autrement dit d’achèvement, est le pire adversaire de l’admiration parce qu’elle nous impose un modèle de beauté qui n’est plus à faire». 819. Cfr. R. Campagnoli, Les “Serres Froides” de Maeterlinck, cit., p. 91 : «“Amen” donc, car il n’y a pas de voie d’issue, si ce n’est dans la mort purifiante évoquée par les “roses blanches dans les caves”, seulement un peu plus mortifères, toutefois, que l’habituel “palais de glace”».

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ammirati in giovinezza, due dei quali erano i suoi eroi nella vita reale: Boutroux, Bergson, Darlu, l’amico Brunschwicg. Li proporrebbe tutti all’Académie.820 Ancora un riferimento alla doppia natura, letteraria e filosofica, di Maeterlinck. In un’altra lettera del 1908, Proust fa riferimento a un’interprete del ruolo di Mélisande nell’opera di Debussy.821 Un’altra lettera dello stesso anno riferisce su una lettura di Proust piuttosto importante, poiché siamo nel periodo di gestazione della Recherche: Emerson, in una traduzione dall’inglese con prefazione di Maeterlinck.822 In questa lettera compaiono ancora riferimenti agli influssi stellari, al raggio di sole nella stanza del malato (immagine capitale della Recherche).823 La corrispondenza ci informa che verso il 6 marzo del 1909 il pastiche di Maeterlinck è terminato provvisoriamente ma che Proust lo ritiene non pronto per la pubblicazione.824 E, infatti, esso non sarà incluso fra i Pastiches et Mélanges apparsi nel 1919. Il pastiche di Maeterlinck sarà ritrovato e pubblicato per la prima volta nel 1967 da Carlo Bronne.825 Esiste inoltre un secondo pastiche del Pelléas et Mélisande, risalente al 1911, sul quale non ci soffermeremo, poiché concerne più il libretto di Debussy che l’opera di Maeterlinck (Proust precisa che c’è una sfumatura fra le due cose).826 A proposito dei Pastiches in generale, Milly espone i principi stilistici che presiedono alla loro strutturazione formale: inflazione verbale e décalage rispetto al modello. Queste due cifre stilistiche si riallacciano rispettivamente all’asse metonimico e a quello metaforico. Milly distingue quattro tipi di segni rintracciabili nei pastiches di Proust: segni di semplice riconoscimento, segni d’inflazione verbale (il procedimento consiste nel concentrare in un segmento relativamente ristretto di testo più segni di riconoscimento o tropi caratteristici del modello), segni di discordanza del contenente e del contenuto (si tratta di un procedimento metaforico funzionale al distanziamento ironico proprio del genere), segni autonomi in rapporto al modello.827 Lo stesso autore sottolinea tutta820. M. Proust, Corr, t. VIII: 1908, p. 140. 821. Ivi, p. 202. 822. Emerson, Huit Essais…, cit. 823. Ivi, p. 329. 824. M. Proust, Corr, t. IX: 1909, p. 61, lettera datata poco dopo il 6 marzo a Georges de Lauris: «Je ne peux ni publier ni Chateaubriand, ni Maeterlinck parce qu’il faudrait un léger coup de pouce et je suis hors d’état de faire le plus léger effort». Nel post-scriptum della stessa lettera, Proust scrive : « J’aimerais pourtant un jour mettre à point le Maeterlinck car il y a deux ou trois petites choses qui, je crois, vous feraient rire mais tout cela "n’est pas sorcier" » (ivi, p. 62). 825. Cfr. C. Bronne, Proust et Maeterlinck. Un pastiche inédit, cit. L’anno successivo il pastiche appare in: M. Proust, Textes retrouvés, recueillis et présentés par Ph. Kolb et L.B. Price, Urbana-Chicago-London, University of Illinois Press, 1968, pp. 46-49. È poi la volta dell’edizione Clarac-Ferré del CSB, nel 1971: Id., PM, pp. 197-201. L’edizione critica di tutti i pastiches era apparsa l’anno precedente a cura di Jean Milly: cfr. Les Pastiches de Proust, édition critique et commentée par J. Milly, Paris, Colin, 1970, pp. 339-345. 826. M. Proust, Pastiche de Pelléas et Mélisande, PM, cit., pp. 206-207. 827. J. Milly, Introduction, in M. Proust, Les Pastiches de Proust, cit., p. 35.

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via l’importanza che riveste il pastiche, in quanto critica letteraria in azione, secondo la definizione che ne dà Proust, non solo per il rinvenimento delle forme dell’espressione ma anche per le forme del contenuto del modello “pasticciato”: «De plus, le terme de métalinguistique doit être pris dans une acception large, à la fois rhétorique et idéologique: car […] le pastiche permet à Proust de dégager non seulement les formes d’expression, mais tout autant les formes de contenu (thèmes, personnages, organisation esthétique) de ses modèles».828 Inoltre, al livello più alto dell’espressione, che corrisponde al quarto tipo di segni secondo lo schema di Milly, «l’invention tend à s’écarter du modèle, et à se manifester par des faits de style sui generis, de même qu’au niveau du contenu apparaissent des thèmes personnels de Proust».829 A queste osservazioni di Milly si possono aggiungere quelle di Grilli, il quale, commentando le dichiarazioni di Proust sul carattere esclusivamente formale dell’esercizio del pastiche, e sulla non-importanza del tema prescelto (l’affaire Lemoine) – che sarebbe un puro pretesto –, insiste al contrario sulla necessità di una critica tematica dei Pastiches, assimilando la dinamica forma/contenuto in tale genere alla dinamica freudiana repressione/represso, applicata da Orlando alla letteratura.830 Un’altra osservazione di Milly mette in risalto il rapporto fra la pratica del pastiche e il tema più volte da noi evocato del chiarimento delle percezioni oscure. Un inedito proustiano citato da Milly illumina questo rapporto: Quand je montre (sur le pont de Combray, mais mieux ailleurs) que pour moi la vraie réalité est quelque chose qu’on n’aperçoit pas d’abord qui est derrière ce qu’on croit voir et entendre qui est si confus, tandis qu’elle est claire (et le pastiche est au fond cette perception en littérature car là où un autre dit c’est délicieux je descends au-dessous et je prends connaissance du thème clair. Et des jugements littéraires profonds car qd d’autres parlent de la jolie langue de Renan, je descends plus bas, jusqu’aux choses qui s’enlacent [?] au fond de sa prose), il faudra ajouter (très important) que c’est à cause de cela, à cause de cette réalité immanente à nos impressions et plus durable, que tout ce qui a trait à la première couche ne m’intéresse pas.831

Quest’inedito è da porre in relazione con il passaggio di Du côté de chez Swann in cui l’eroe bambino si limita a esprimere la propria gioia per certe impressioni con esclamazioni inarticolate, laddove il narratore adulto comprende la necessità del chiarimento. In un altro passaggio dei Cahiers, i due episodi – redazione dei Pastiches e gioia del narratore bambino nei pressi di Montjouvain – sono posti in 828. Ivi, p. 29. 829. Ivi, p. 34. 830. A. Grilli, Diamanti, falsari e minatori da L’affaire Lemoine alla Recherche, in Proust e gli oggetti, cit., p. 213. 831. M. Proust, Cahier XIV, ff. 2 r., 3. Citato da J. Milly, Introduction, cit., p. 46.

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esplicita relazione: «Dans cet ordre d’idées, les pastiches qu’on a lus de moi, ne sont que la continuation de l’effort qui commence sur le pont-vieux, du côté de Méséglise, et au lieu de dire devant Renan ou Flaubert zut que c’est bon de tâcher à revivre exactement ce que nous exprimons d’une façon si inadéquate et confuse».832 Dalla corrispondenza di Proust si traggono altre osservazioni generali sui Pastiches: il pastiche non deve mai citare niente,833 può essere anche breve, purché fornisca all’immaginazione del lettore i tratti generatori dello stile del modello, da moltiplicare all’infinito.834 Da questi due ultimi caratteri si possono trarre le seguenti osservazioni: come ogni creazione letteraria – e il pastiche è tale, anche se di genere inferiore – il pastiche non deve contenere citazioni, ma difendersi dall’invasività della lingua del modello, in uno sforzo continuo di ricreazione. La lingua del pastiche preserva la propria originalità, una distanza infinitesimale la separa dal modello. Per il pastiche vale la legge della propagazione infinita, del dispiegamento, della serie. È una specie di origami critico che è compito del lettore dispiegare. Sulla base di queste premesse, procediamo all’analisi del pastiche di Maeterlinck, cui rimandiamo nelle note.835 Troviamo innanzitutto un mitema della caverna nella metafora del «palais de houille» dove dorme il Diamante, indicato con un’altra metafora, «le Roi fabuleux de la lumière». Qui l’attributo di regalità si riallaccia ad uno degli usi più caratteristici di Maeterlinck, già individuato da Proust al tempo della nota alla traduzione di Sésame. Là Proust contrapponeva il punto di vista teorico di Ruskin e di Maeterlinck, nemici delle metafore e dei riferimenti alla pompa aristocratica, con gli usi presenti negli scritti di Maeterlinck, pieni di re, regine e principesse ma solo per metafora, come ad esempio il giglio, identificato in Fleurs démodées con tutti gli attributi della più pura e aristocratica regalità. Il palazzo di carbone identifica la minie832. M. Proust, Cahier XXVI, f. 10 v. Cit. da J. Milly, Introduction, p. 47. 833. M. Proust., Corr, t. IX : 1909, p. 54. 834. Ivi, p. 63: «Il importe si peu qu’un pastiche soit prolongé s’il contient les traits générateurs qui, en permettant au lecteur de multiplier à l’infini les ressemblances, dispensent l’auteur de les additionner!» 835. M. Proust, [L’Affaire Lemoine par Maurice Maeterlinck], in Les Pastiches de Proust, cit., pp. 339-340 : « On s’est demandé plus d’une fois, au cours de ces dernières années, mais jamais d’une façon aussi pressante que pendant l’Affaire Lemoine, si la Chimie était capable de fabriquer du diamant. La réponse des savants a été à peu près celle-ci : au jour, prochain peut-être, où on pourra élever le carbone à des températures que nous n’avons pu obtenir jusqu’ici, le problème de la fabrication du diamant sera chose résolue. Sans doute il est déjà singulier de penser que la Science moderne, avec les terribles moyens de destruction qu’elle possède et auxquels ne peuvent longtemps résister, si elles n’en sont elles-mêmes munies, les places les mieux fortifiées, les armées ou les flottes plus aguerries, sans doute il est singulier qu’après un siège qui dure depuis si longtemps la science n’ait pas encore réussi à forcer les issues du palais de houille devant lequel elle a mis en rang nos plus formidables engins, et où depuis le commencement du monde dort dans l’obscurité le Roi fabuleux de la lumière, celui dont l’existence est mise à prix et si convoitée, que sur de simples promesses de capture, des escrocs réussissent à se faire attribuer d’avance une partie de la récompense ».

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ra, della quale, in un passaggio cassato, sono evocate le «galeries minées par le feu».836 Già qui Proust individua una prima isomorfia caratteristica di Maeterlinck: quella tra galleria sotterranea o grotta e palazzo, sulla quale ci siamo soffermati. La miniera di carbone compare in uno scritto di Maeterlinck del 1890, una recensione dal titolo Sur la Damnation de l’artiste d’Iwan Gilkin. Per descrivere il libro di questo suo collega della giovane letteratura belga Maeterlinck evoca l’immagine dello scavo in profondità in una miniera di carbone, oltre i limiti naturalmente concessi all’uomo.837 Un’immagine in tutto simile – quella della coscienza anormalmente oscura che può essere illuminata solo da una specie d’infrarosso – ricorre nel saggio del 1904 Le drame moderne, contenuto nella raccolta Le double jardin. In questo saggio, che ha per oggetto le recenti evoluzioni del teatro drammatico, Maeterlinck enuclea brevemente le tre caratteristiche principali del nuovo dramma: paralisi dell’azione esteriore; approfondimento di problemi morali; ricerca di una nuova poesia, più astratta dell’antica. Una volta caduti in disuso gli ornamenti esteriori e il materiale tradizionale degli aneddoti drammatici (i faits divers italiani, spagnoli e scandinavi), è caduto anche il tradizionale sfondo teologico che provvedeva a corredare i drammi di un’aura d’infinito. Il dramma moderno si svolge tutto in una stanza, fra oggetti di uso quotidiano. Il suo principale scopo è l'approfondimento di problemi morali. Poiché questi problemi si riconducono al conflitto fra un dovere e un desiderio, come ad esempio avviene nei drammi di Alexandre Dumas figlio, essi appartengono allo strato più superficiale della coscienza. Maeterlinck rileva un contrasto fra l’esigenza irrinunciabile dell’azione che impone la creazione di conflitti (anche se solo morali) e l’esigenza, fortemente avvertita dai nuovi drammaturghi, di spingere a fondo l’introspezione negli strati non superficiali della coscienza. Questo lavoro di scavo giunge ad una zona della coscienza che s’identifica con l’ideale di saggezza altre volte tratteggiato da Maeterlinck, e che esclude ogni forma di conflittualità, sia esteriore che interiore. Come era già stato prefigurato in La Sagesse et la Destinée, la coscienza del saggio è il luogo della pace e del «repos dans la lumière». Da questo luogo privilegiato i doveri e i divieti esteriori contro i quali 836. Ivi, p. 340, in apparato. Il passaggio citato corrisponde al f. 50, r. del manoscritto. 837. M. Maeterlinck, Sur la Damnation de l’artiste d’Iwan Gilkin, in Id., Œuvres I, cit., p. 464 : « Il est certain que l’œuvre de M. Iwan Gilkin est terrible entre toutes. On assiste au cours de ces pages à un drame asphyxiant au fond d’une conscience anormalement obscure, parce qu’on est descendu, immédiatement et presque à son insu, inappréciablement au-dessous des zones ordinairement explorables; et voici que l’on tâtonne aux clartés intérieurs de vers rigides et aigus, qui lèchent avec cruauté les parois de cette mine de houille, comme des flammes désespérées, opiniâtres et pleines d’intentions ». L’immagine della grotta o miniera percorsa da crepe è ricorrente in Maeterlinck. Si legge in un altro testo del 1890, Confession de poète: «Je voudrais guetter ainsi, patiemment, les flammes de l’être originel, à travers toutes les lézardes de ce ténèbreux système de tromperie et de déception au milieu duquel nous sommes condamnés à mourir» (ivi, p. 456).

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s’infrangono i desideri generatori della conflittualità drammatica appaiono non necessari e il conflitto inutile. Ritorna a questo proposito il mitema della caverna.838 Ma accanto a questa «saine et vivante lumière» identificata con il sole dell’ascesi platonica, un’altra luce può contribuire a sondare le profondità oscure della coscienza senza spegnerne, anzi forse attizzandone i conflitti. Questa luce attinge alle grandi forze drammatiche latenti nell’inconscio. In questo modo, come accade in Ibsen, si conserva la conflittualità dell’azione drammatica malgrado che essa non si collochi più alla superficie, ma dentro le profondità dell’inconscio: Aussi, voyez ce qui a lieu dans les drames d’Ibsen. On y descend parfois très avant dans la conscience humaine; mais le drame ne demeure possible que parce qu’on y descend avec une lumière singulière, une sorte de lumière rouge, sombre, capricieuse et pour ainsi dire maudite, qui n’éclaire que d’étranges fantômes. Et de fait, presque tous les devoirs qui constituent le principe actif des tragédies d’Ibsen, sont des devoirs non plus situés en de çà, mais au delà de la conscience sainement éclairée; et les devoirs que l’on croit découvrir par de là cette conscience, touchent souvent de bien près à un orgueil injuste, à une sorte de folie chagrine et maladive.839

La luce-infrarosso che domina i palazzi di carbone maeterlinckiani è quella della follia malsana, unico spettro capace di agitare ancora l’azione drammatica. Ma nel saggio del 1904 Maeterlinck opta per la luce vivente e sana, unica risorsa di un dramma «de paix et de beauté sans larmes».840 Un’altra caratteristica della luce-sonda che scava le profondità dell’inconscio è di essere «opiniâtre et pleine d’intentions».841 Troviamo un’analoga costellazione d’immagini nel saggio La mort et la couronne, appartenente sempre alla raccolta del 1904. Il saggio commenta l’agonia di re Edoardo VII, il quale si trovò sospeso per molti mesi fra la morte e il trono. Quest’associazione fra l’assedio con cui la morte cinge il corpo dell’erede al trono e la conquista del diadema regale, che evoca l’immagine del diamante, fa pensare che Proust possa aver tratto ispirazione proprio da questo saggio per comporre il primo capoverso del suo pastiche: un re-diamante che 838. M. Maeterlinck, Le drame moderne, in Le double jardin, cit., pp. 124-125 : « Mais dans une conscience qu’une saine et vivante lumière a suffisamment pénétrée, il devient très difficile d’acclimater un de ces sombres devoirs impitoyables qui poussent fatalement l’homme qui le porte, vers le malheur ou la mort. Il ne s’y trouve plus d’honneur, plus de vengeance, plus de conventions qui réclament du sang. On n’y rencontre plus de préjugés qui exigent des larmes, ou d’injustice qui veuille le malheur. Il n’y règne plus de dieux qui ordonnent des supplices, ni d’amour qui demande des cadavres. Et quand le soleil est entré dans la conscience du sage, comme il faut espérer qu’il entrera un jour dans la conscience de tous les hommes, on n’y distingue plus qu’un seul devoir, qui est de faire le moins de mal possible et d’aimer les autres comme on s’aime soimême; et de ce devoir-là ne naissent guère de drames ». 839. Ivi, p. 125, c. n. 840. Ivi, p. 127. 841. Cfr. supra, n. 837.

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dorme pacificamente in un palazzo assediato con i più terribili mezzi di distruzione di cui dispone la chimica moderna. La costellazione re-assedio-diamante è presente in questo passaggio di Maeterlinck: D’autres considérèrent ce roi pantelant sur les marches du plus splendide trône qui soit ancore debout, cette puissance presque infinie, brisée, rompue, en proie aux affreux ennemis qui assaillent la chair en détresse, la chair anéantie sous la plus éblouissante couronne que la main invisible et moqueuse du hasard ait jamais suspendue sur un amas confus de souffrance et d’angoisse…842

L’immagine dell’assedio da parte della morte alla fortezza del corpo è una delle più significative di Le Temps retrouvé: il suo eroe si trova in una situazione analoga a quella evocata nel saggio La mort et la couronne, sospeso fra la morte e il trono, poiché il pericolo di un’emorragia cerebrale minaccia gli ultimi giorni della sua vita proprio quando egli ha finalmente ricevuto la rivelazione della propria vocazione letteraria e ha trovato nella memoria della sua vita passata l’argomento dell’opera cui finalmente si accinge.843 Come è stato messo in luce da Poggi, l’ultimo atto della Recherche è sospeso tra il compimento luminoso della vocazione e l’assedio della morte per emorragia cerebrale che rischia di distruggere il prezioso «bassin minier» (ancora la miniera) dove sono custoditi i ricordi del narratore. Pertanto bisogna immaginare il tempo di scrittura della Recherche come sospeso agli ultimi istanti di vita del narratore, il cui cervello è sotto assedio: Et avoir un corps, c’est la grande menace pour l’esprit. La vie humaine et pensante, dont il faut sans doute moins dire qu’elle est un miraculeux perfectionnement de la vie animale et physique, mais plutôt qu’elle est une imperfection, encore aussi rudimentaire qu’est l’existence commune des protozoaires en polypiers, que le corps de la baleine, etc., dans l’organisation de la vie spirituelle. Le corps enferme l’esprit dans une forteresse; bientôt la forteresse est assiégée de toutes parts et il faut à la fin que l’esprit se rende.844

In questo passaggio molto maeterlinckiano troviamo condensate le metafore militari dell’assedio, presenti anche nel primo capoverso del pastiche, che per questi riferimenti militari si rifà ad un saggio contenuto nella raccolta L’Intelligence des fleurs, sui nuovi armamenti, dal titolo Les Dieux de la guerre.845 Inoltre 842. M. Maeterlinck, La mort et la couronne, in Le double jardin, cit., p. 150. 843. Cfr. ivi, p. 152: «Au centre de l’obscure nuée où s’amplifiaient, jusqu’à dépasser les confins de ce monde terrestre, les gestes de la puissance qui rapprochait et écartait, tour à tour, une mort solennelle et une prestigieuse couronne, nous distinguons un homme qui va atteindre enfin le but unique, la minute essentielle de sa vie» (c. n.). 844. TR, RTP, IV, p. 613. 845. M. Maeterlinck, Les Dieux de la guerre, in L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 213-224. Cfr. il passaggio

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l’imperfezione del corpo della balena richiama un altro passaggio proustiano precedentemente citato dove è accostata alla vallisneria. L’eroico sacrificio dei suoi fiori maschili e l’imperfezione costitutiva del sistema di fecondazione di questa pianta, che rende molte volte tale sacrificio inutile, è un’altra forma di deviazione dello spirito rispetto alla materia – la deviazione fondamentale è la morte, la resa dello spirito all’assedio del corpo. Dobbiamo ora tornare a Maeterlinck e osservare ancora che la luce-sonda che abbiamo enucleato dal corpo dei primi scritti (risalenti al 1890) e poi ritrovata nel 1904 a proposito di Ibsen si trasforma nel saggio La mort et la couronne in una forza benefica, che ha la pazienza, il rigore e l’ostinazione degli sforzi degli scienziati. Questa luce serve a sondare le profondità, ma questa volta alla ricerca di una via d’uscita dall’assedio della morte, di un mezzo per difendersi dalla sua intrusione e stornare l’assedio. Gli scienziati sono portatori di questa luce.846 La fiamma della ragione ha come caratteristica principale la precisione, essa è una facoltà microscopica che si appunta sugli infinitamente piccoli: «Elle n’éclaire que des points insignifiants et successifs dans l’immense inconnu; mais elle ne s’égare pas, elle va où la dirige l’œil aigu qui la guide, et le point qu’elle atteint est soustrait aux influences qu’on appelait surnaturelles. Humblement, elle interrompt ou dévie l’ordre préétabli par la nature».847 I progressi della scienza sono impercettibili ma sicuri: e anche il poter rimandare la morte di alcuni giorni segna una tappa in un cammino che forse scorgerà un giorno l’umanità vittoriosa. Maeterlinck pone mente al fatto che i punti che la fiamma della ragione illumina sono un’acquisizione recentissima e che soltanto pochi anni prima essa si sarebbe perduta sullo stesso sentiero apparentemente prestabilito dal destino. «Il y a deux ou trois ans à peine, elle se fût dispersée et affolée devant la même énigme. Son rayon lumineux ne s’était pas ancore fixé avec une rigidité et une dedicato agli esplosivi : «[…] personne n’a effleuré le plus superficiel de vos innombrables secrets, et le chimiste qui compose votre sommeil, aussi profondément que l’ingénieur ou l’artilleur qui vous réveille, ignore votre nature, votre origine, votre âme, les ressorts de vos élans incalculables et les lois éternelles auxquelles vous obéissez tout à coup. Êtes-vous la révolte des choses immémorialement prisonnières? la transfiguration fulgurante de la mort, l’effroyable allégresse du néant qui tressaille, l’éruption de la haine ou l’excès de la joie? Êtes-vous un éclat de l’énigme des mondes qui trouve une fissure dans les lois de silence qui l’enserrent? » (ivi, pp. 223-224). 846. M. Maeterlinck, La mort et la couronne, cit., p. 153 : « Ils sont les envoyés qualifiés de la raison de notre espèce; de la raison nue, abandonnée à elle-même et telle qu’elle erre seule dans un univers monstrueux. Volontairement, ils éloignent d’elle imagination, sentiments, tout ce qui ne lui appartient pas en propre. Ils n’usent que de la partie purement, presque animalement humaine de sa flamme; comme s’ils avaient la certitude que chaque être ne peut vaincre une force de la nature que par la force pour ainsi dire spécifique que la nature a mise en lui. Ainsi maniée, elle est peut-être étroite et frêle, cette flamme, mais précise, exclusive, invincible comme celle de la lampe à chalumeau de l’émailleur ou du chimiste. Elle est nourrie de faits, d’observations minimes mais sûres et innombrables ». 847. Ivi, pp. 153-154.

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obstination suffisantes sur ce point obscur; et nous aurions dit une fois de plus que la Fatalité est invincible».848 L’immagine della fessura ritorna ad indicare l’azione della luce, che è azione della realtà, in rapporto ad una strada percorsa dal destino – un possibile che non diverrà mai reale: Dorénavant, si Dieu, le Hasard, la Justice ou quelque nom qu’on donne à l’idée cachée de l’univers, veulent arriver à leur but, passer outre et triompher comme autrefois, ils pourront suivre d’autres routes; mais celle-ci leur demeure interdite. À l’avenir, ils devront éviter la fente imperceptible mais infranchissable où veillera toujours le petit jet de la flamme qui les a détournés.849

La consapevolezza che la scienza ha prodotto progressi tali da far deviare la strada percorsa dal destino innalza dallo scoraggiamento in cui getta comunque il potere della morte, ed invita ad avere fiducia nei destini della specie. La fiamma si contrappone a un’altra fiamma: la fiamma dell’intelligenza umana è una fiamma détourné dalla sua destinazione naturale: essa serve l’uomo conformemente agli scopi della ragione e in opposizione alla natura dalla quale proviene. Abbiamo pertanto tre immagini di luce: la luce-sonda, che illumina gli oscuri fantasmi dell’inconscio, paragonato a una miniera di carbone; il getto di fiamma preciso e ostinato degli scienziati, che respinge gli assalitori nell’assedio; il diadema. La luce di quest’ultimo, assimilata al diamante, rappresenta il punto più alto della sublimazione, la ricerca del vero bene che in un passaggio del Trésor des Humbles Maeterlinck identifica con gli scritti dei mistici: «les écrits des mystiques sont les plus purs diamants du prodigieux trésor de l’humanité».850 Ne L’Oiseau bleu del 1908, il diamante ricompare come strumento magico che apre gli occhi dell’immaginazione e fa vedere l’anima delle cose,851 anche qui un valore sommo. Come è stato mostrato da Grilli, anche per Proust il diamante è un oggetto di forte pregnanza simbolica e coincide con il ricordo ritrovato.852 Lo scavo in profondità ha come scopo l’estrazione o la fabbricazione artificiale del bene più alto che ci sia, fortemente connotato da valori di sublimazione. Quindi, abbiamo da una parte, nei testi di Maeterlinck, l’assedio posto dalla morte a una fortezza (il corpo dell’erede al trono, caratterizzato dalla quête del diadema, valore sommo) che è difesa dagli sforzi della scienza, la quale rivolge contro la natura le sue stesse armi; dall’altra, nel testo del pastiche di Proust, sono gli scienziati che cingono d’assedio la fortezza dove dorme pacificamente il re-diamante. 848. Ivi, p. 154. 849. Ivi, pp. 154-155. 850. M. Maeterlinck, Ruysbroeck l’Admirable, in Id., Le Trésor des Humbles, cit., (ed. 1904), pp. 121-122. 851. M. Maeterlinck, L’Oiseau bleu, introduction et notes par I. Petazzoni Cases, Roma, Signorelli, 1961, p. 52. 852. A. Grilli, Diamanti, falsari e minatori…, cit.

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Come si vede, questo rovesciamento mostra che Proust non ricopia ma interpreta il modello, e lo sovradetermina nel senso voluto, basandosi però strettamente sull’immaginario di quest’ultimo. La quête del diamante procede nel secondo e terzo capoverso.853 Abbiamo già incontrato nel corso di questo studio molte citazioni da Maeterlinck che potrebbero avere ispirato questi due capoversi, in particolare a proposito dell’intelligenza come fluido universale che bagna tutto l’universo e sulla comunione del desiderio e l’astuzia in tutti gli esseri. A questi riferimenti se ne possono aggiungere molti altri: l’intelligenza dei cristalli è un tema che Maeterlinck evoca ne La vie des abeilles, traendolo da Ruskin, e ancora nel saggio Portrait de femme, contenuto nella raccolta Le Double jardin, dove si legge, a proposito della morale evoluzionistica dell’adattamento: «elles anime les action des hommes agiles et éphémères aussi bien que les lents mouvements des cristaux immortels».854 La comunanza d’intelligenza e desiderio fra l’uomo e i cristalli rimanda a un’isotopia fondamentale nell’immaginario di Maeterlinck: quella che con853. M. Proust, [L’Affaire Lemoine par Maurice Maeterlinck], in Id., Les Pastiches de Proust, cit., pp. 340-342 : « Nous avons réussi à enfumer quelques pièces d’avant-garde, le premier de ces vestibules où dans chacun un dormeur étincelant a été placé pour tromper l’assaillant qui, croyant s’être emparé du diamant lui-même, renoncera au siège, heureux d’une victoire facile et qu’il ne saura pas incomplète, fier d’un trophée éblouissant et menteur. Et le serviteur, qui s’est ainsi dévoué pour protéger le sommeil et couvrir la retraite du vieux roi qui n’a rien entendu encore et dort depuis vingt mille ans au cœur même de la demeure enchantée, a si bien pris soin de revêtir son éclat et de prendre sa ressemblance que, si nous ne mettions pas à contrôler l’identité du captif plus de soin que nous n’en apportons à vérifier les réalités, infiniment plus précieuses pour nous, de la destinée et du bonheur, nous ne douterions pas un instant d’avoir capturé de nos mains le Prince authentique qui fait remonter son origine à la source même de la lumière, le frère de celui qui, imprudemment sorti de son palais dont les incendies naturels lui avaient ouvertes les portes, tombe chaque jour sans défense aux mains de l’homme dans les mines du Cap et de l’Amérique. Mais les savants qui ont réglé eux-mêmes le siège du palais magique avec une précision plus grande que n’en eurent jamais dans aucune guerre, si récente soit-elle, les hommes de guerre les plus réputés, les plus habiles ingénieurs, nous avaient avertis que ce n’est que dans le dernier embrasement de l’incendie que nous pourrions nous emparer du vieux roi réfugié sur la dernière terrasse de son palais en flammes. Et ils ont tôt fait de nous dire que le brillant captif dont nous nous faisons gloire n’est que le…, qui à vrai dire a usé pour nous tromper des mêmes artifices qu’en emploient les bijoutiers et les femmes elles-mêmes quand, n’ayant pas de diamant, elles veulent cependant nous faire croire qu’elles en portent, ce qui tendrait à prouver que l’intelligence des pierres n’est peut-être pas si essentiellement différente de celle de l’homme que l’on a toujours cru, mais plutôt qu’une seule intelligence baigne l’univers tout entier et [l’] unit dans la communion du désir et la similitude de la ruse. Et jusqu’ici les forces les plus écrasantes dont les savants disposent, celle auprès de qui les incendies de nos pères n’étaient qu’une jolie réussite de couleur à peu près aussi inoffensive que la chaleur du soleil de Juin ou que la pourpre du couchant, celles qui brisent en une seconde les dernières résistances du fer et de l’acier et les font bondir docilement comme une gouttelette d’argent dans une urne de cristal, aucune n’a pu entamer cette demeure qui a l’apparence d’une maison de charbonnier et où est caché, en sûreté en somme depuis un temps infiniment plus long que celui que l’homme a passé sur la terre, le roi dont nous avons mis l’existence à prix à des sommes si fabuleuses, que la fallacieuse promesse d’y réussir extorque l’argent des financiers et devient une base nouvelle à l’industrie des escrocs. Quand ils ont vu que l’incendie [une ligne en blanc] » 854. M. Maeterlinck, Portrait de femme, in Id., Le Double jardin, cit., p. 272.

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giunge fiore/uccello/pietra preziosa (e anche le api). Quest’isotopia è presente in maniera poco percettibile – ma significativa – in un passaggio de La vie des abeilles.855 La serie degli esempi introdotti da Maeterlinck non è casuale: l’isotopia fra tre di questi elementi dell’immaginario di Maeterlinck è stata recentemente dimostrata da uno studio genetico su L’Oiseau bleu.856 Questi tre simboli sono attraversati, secondo Uchida, da un comune Leit-motiv, quello della felicità, che li rende suscettibili di trasformazione l’uno nell’altro. Anche qui scorgiamo una connessione col mitema della caverna. Abbiamo visto come la caverna maeterlinckiana sia popolata da insetti, fiori e pietre. La pietra può assumere tanto la forma di pietra che rotola, scagliata dall’uomo, e che produce un suono significativo, tanto di pietra preziosa che si trova attaccata alle pareti della caverna, e che è suscettibile di scambio immaginario con il fiore (preferibilmente azzurro) che anima il suo interno. Un’altra isotopia, individuata da Bachelard, attraversa la caverna di Maeterlinck, quella fiore/pietra preziosa/stella. Quanto all’uccello, esso evoca la costellazione dell’evasione e del volo, anch’essa legata al mitema della caverna. Maeterlinck ci mostra le piante, come i prigionieri incatenati, mosse dal desiderio di crearsi delle ali. Quest’isotopia anima tutto il testo di Proust. Lontano dall’essere una giustapposizione casuale d’immagini eteroclite prese dal modello, come hanno pensato alcuni commentatori, il testo del pastiche proustiano si articola nel modo seguente: primi tre capoversi – caverna e pietra preziosa; quarto capoverso – fiori; quinto e ultimo capoverso – automobile, il cui succedaneo, secondo Uchida, è proprio l’uccellino azzurro. Esso ritraccia quindi perfettamente l’isotopia degli esseri immaginari che – secondo noi – rimanda al mitema della caverna, del resto già presente in modo esplicito nel testo. Ci resterà da vedere in che senso Proust sovradetermini il significato di questi esseri immaginari, simboli di felicità e di conoscenza. Questo senso – lo vedremo fra poco studiando la migrazione dei simboli nella Recherche – sarà la morte, fornendo quindi un curioso e cupo contraltare all’ottimismo maeterlinckiano e una psicoanalisi del modello. Ci sono tuttavia ancora diversi elementi da esaminare nel secondo e terzo capoverso: uno di questi è l’immagine dell’urna di cristallo dove si raccolgono i metalli liquefatti dal fuoco. Essa ricorda le frequenti comparazioni chimiche di 855. M. Maeterlinck, La vie des abeilles, cit., p. 148 : «Mais déjà je crains de m’être égaré dans bien des détails dénués d’intérêt pour un lecteur qui n’a peut-être jamais suivi des yeux un vol d’abeilles ou qui ne s’y est intéressé qu’en passant, comme nous nous intéressons tous en passant à une fleur, à un oiseau, à une pierre précieuse, sans demander autre chose qu’une distraite certitude superficielle, et sans nous dire assez que le moindre secret d’un objet que nous voyons dans la nature qui n’est pas humaine, participe peut-être plus directement à l’énigme profonde de nos fins et de nos origines, que le secret de nos passions le plus passionnantes et le plus complaisamment étudiées» (c. n.). 856. T. Uchida, L’image de l’oiseau bleu conçu par Maeterlinck. Symbole de déni du bonheur populaire né en cours de processus génétique, «Hersetec», 4, 1, 2010, pp. 79-95.

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cui si serve Maeterlinck nei suoi scritti, come ad esempio un passaggio del Portrait de femme in cui si allude all’antica morale religiosa, bersaglio polemico a lui consueto.857 Un’altra similitudine dove compare l’immagine dell’urna trasparente è presente nel saggio La mesure des heures, dedicato agli orologi e in particolare alle meridiane. Vi si dice che le ore di sole dell’estate devono essere raccolte in urne trasparenti: «Recueillons leurs éblouissantes minutes dans des urnes inaccoutumées, glorieuses, transparentes et faites de la lumière meme qu’elles doivent contenir».858 Possiamo quindi enucleare due forme dell’immaginario legate all’urna: un immaginario estatico e solare e un immaginario chimico, mercuriale e velenoso. Nella Recherche troviamo un’occorrenza dell’urna proprio all’inizio: è la «veilleuse de verre de Bohême, en forme d’urne, suspendue au plafond par des chaînettes»859 della camera di Combray. E quanto all’immaginario chimico, esso è rappresentato dall’animazione del mercurio del termometro nell’episodio della malattia della nonna. Nell’episodio della seconda recita della Berma, troviamo un riferimento ad una materia incandescente raccolta in un mezzo translucido: l’anima della Berma e dei versi che interpreta è paragonata a «des coulées de substances diverses, devenues translucides, dont la superposition ne fait que réfracter plus richement le rayon central et prisonnier qui les traverse et rendre plus étendue, plus précieuse et plus belle la matière imbibée de flamme où il est engainé».860 Queste ultime parole della citazione rimandano a diversi luoghi proustiani dove si parla di filoni di cristalli e di minerali inguainati nella roccia o nella ganga, sempre dunque all’immaginario del diamante. Nel testo del pastiche da cui siamo partiti, la materia incandescente raccolta nell’urna di cristallo metaforizza il procedimento artificiale di ottenimento del diamante. Ma vedremo che non è questa l’unica relazione che si può stabilire fra gli episodi consacrati alla Berma e i passaggi del pastiche in questione, e che tra ganga minerale e urna di cristallo il rapporto è di contrapposizione. Secondo Grilli, «un’interpretazione dei Pastiches che muova dalle valenze simboliche del diamante permette non solo di delineare un’interessante mappa 857. M. Maeterlinck, Portrait de femme, cit., pp. 173-174 : «En sorte que ce milieu intolérant et exclusif, qui devrait être notre milieu natural et normal, n’a jamais été pur, et ne le sera probablement jamais. Quoiqu’il en soit, l’état dans lequel il se trouve aujourd’hui offre un spectacle étrange et digne d’attention. Il s’agite, il bouillonne et se précipite comme un liquide dans lequel le hasard vient de laisser tomber quelques gouttes d’un réactif inconnu. Les principes pondérateurs qu’y avaient ajoutés les religions s’évaporent et s’éliminent peu à peu par le haut, tandis que dans le bas ils se coagulent en une masse épaisse et inactive. Mais à mesure qu’ils disparaissent, les antidotes purement humains, bien que profondément oxydés par l’élimination des éléments religieux, acquièrent plus de vigueur et semblent s’évertuer à maintenir le titre du mélange où l’espèce humaine est cultivée par un destin obscur» (c. n.) 858. M. Maeterlinck, La mesure des heures, in Id., L’Intelligence des fleurs, pp. 123-124. 859. CS, RTP, I, p. 6. 860. CG, RTP, II, p. 348, c. n.

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dei confini fra verità e falsità in senso logico, sociale e metafisico, ma di comprendere questa opposizione nel quadro di un’ancor più pregnante opposizione semiotico-letteraria di forma e contenuto».861 Una delle tesi di Grilli è che la quête del diamante implica un procedimento di distinzione e riconoscimento delle attrattive ingannevoli dei falsi beni, che ingannano come il diamante di Lemoine, rispetto al vero bene. Questo perché Lemoine è infatti una inquietante controfigura del letterato, e in particolare un’immagine speculare del letterato autore di pastiches. Come quest’ultimo simula la specificità di uno stile riconosciuto e apprezzato, così Lemoine illude il suo pubblico facendo credere di aver prodotto cose più preziose di quelle che è effettivamente in grado di creare. Dietro alla dicotomia prezioso/non prezioso campeggia, ben più rilevante, l’opposizione naturale/artificiale: mentre Lemoine fa credere di poter riprodurre artificialmente in laboratorio un processo naturale dovuto a condizioni estreme non replicabili né controllabili, Proust dimostra coi Pastiches che è invece del tutto possibile ricreare con un procedimento di sintesi un oggetto come lo stile, considerato comunemente come il distillato unico e irripetibile di una personalità artistica.862

Il diamante condensa e raccoglie un’anima nobile in una materia comune. Partendo dalle affermazioni di Proust sul carattere terapeutico dei Pastiches, Grilli afferma che la quête del diamante che vi è presentata sintetizza abbastanza bene quest’operazione terapeutica: produrre diamanti falsi – cioè imitazioni dello stile altrui – proprio per purgarsi dal vizio naturale dell’imitazione e dell’idolatria, e, come scrive Proust, ridiscendere a essere solo se stesso quando scrive la Recherche: […] la messa in scena della vicenda Lemoine aggiunge infatti alle cose da bruciare per propiziare l’inizio di un nuovo lavoro anche e soprattutto la tentazione, sempre presente per Proust, della letteratura da falsario, cioè di una letteratura compiacente e snobistica praticata da un vero e proprio cacciatore di diamanti. Il principale pericolo che Proust sa di dover evitare è scrivere come «un grand fumiste», come chi persegue il successo e il prestigio, parando la sua pagina di ornamenti falsi – cioè spacciati per autentici e ‘naturali’ ma frutto in realtà di simulazione derivativa. In questo senso i diamanti ‘fabbricati’ sono un chiaro simbolo di falso bene.863

Grilli mostra poi nel suo saggio che è proprio il diamante in sé che si presta nell’universo proustiano a una connotazione negativa, poiché si tratta sì di un sommo valore, ma che è ridotto a un livello basso dall’apprezzamento commerciale e dalle cupidigie snobistiche e idolatriche che scatena. Tuttavia, nel caso di 861. A. Grilli, Diamanti, falsari e minatori…, cit., p. 210. 862. Ivi, p. 215. 863. Ivi, p. 218.

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alcuni Pastiches, come quello di Michelet, il diamante si presta a metaforizzare i valori più alti per Proust: l’autenticità dello stile e il ricordo ritrovato.864 Il pastiche di Maeterlinck si presta bene ad essere analizzato alla luce di queste premesse: in particolare, nell’inizio del secondo capoverso, assistiamo alla messa in scena della quête del diamante artificiale con un’evocazione dal carattere singolarmente “teatrale” (giusta il modello prescelto) dell’incertezza in cui si trovano gli scienziati, impegnati a cingere d’assedio la ganga del carbonio portandola a temperature sempre più alte, circa i risultati dei loro esperimenti. Sembrerebbe in questa rappresentazione che gli esperimenti chimici diano luogo a una serie di risultati dubbi: cristalli che assomigliano a diamanti, ma che diamanti non sono. Solo un’analisi accurata permette agli scienziati di concludere che i cristalli ottenuti non sono ancora diamanti e di continuare nei loro esperimenti. La metafora adottata da Proust si conforma a molte celebri descrizioni maeterlinckiane: il palazzo del carbone dove, nella stanza più segreta, dorme il re della Luce; essa è preceduta da tutta una serie di vestiboli o stanze anteriori, dove si trovano dei servitori, controfigure del re, che ne hanno assunto l’apparenza luminosa per ingannare i ricercatori. Questa situazione ricorda tanto sia il sonno vegliato da guardiani delle Sept Princesses sia la descrizione fantasmagorica del sonno delle larve di api – tra cui le future principesse – nel palazzo dell’alveare, fatto di alveoli esagonali. Soprattutto occorre porre mente a questo complesso meccanismo di sostituzioni e travestimenti – i servi che imprestano lo splendore del re per coprirne la fuga o il sonno – e alla complessa architettonica del palazzo, fatto di vestiboli che precedono le camere segrete, tra le quali si trova quella dove dorme il re. La metafora del vestibolo ricorre nella corrispondenza proustiana per identificare il rapporto che i Pastiches intrattengono con l’opera maggiore: Proust li paragona a busti di autori che decorano il vestibolo, prima di entrare nella biblioteca vera e propria: «Vous voulez bien d’une ou deux caricatures dans un vestibule, avant d’entrer dans la bibliothèque. Mais il est ennuyeux de rester indéfiniment dans le vestibule».865 In base a questa metaforica, che evoca anche il campo semantico della biblioteca – e c’è da notare al riguardo che in Proust troviamo anche l’interferenza fra i rayons delle biblioteche e quelli che contengono il miele negli alveari –, i diamanti falsi corrisponderebbero ai Pastiches, mentre il diamante vero corrisponderebbe allo stile originale. Questo meccanismo teatrale di sostituzioni e travestimenti trova un riscontro nella Recherche a proposito della Berma. Durante la prima audizione della Berma da parte del narratore bambino – che è presentata come una vera e propria quête alla ricerca della somma verità dell’Arte –, questi non riesce a distinguere la Berma 864. Ivi, p. 222. 865. M. Proust, Corr, t. IX: 1909, p. 135.

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dalle attrici che la precedono e che le somigliano tutte, se non per un fattore emotivo dei più elementari: la vera Berma suscita in lui un sentimento di paura. Come non riconosce dapprima la Berma, così, al termine dell’audizione, resta deluso e non comprende l’essenza del suo talento, ingannato da un’idea falsa e astratta dell’arte teatrale. Solo durante la seconda audizione della Berma, che ha luogo alcuni anni più tardi, il narratore comprende finalmente l’essenza del suo talento che è di fare corpo col testo rendendolo attraverso l’incarnazione materiale del suono della sua voce. E a questo punto è in grado di comprendere anche la differenza di valore fra la Berma e le altre attrici.866 Questo celebre passaggio, culminante nella frase da noi già citata sul «rayon central et prisonnier» che attraversa le colate translucide di materia fattasi trasparente, mette in luce l’arte della Berma come un procedimento di cristallizzazione. Analogamente a quanto avviene nel diamante, fatto di materia grezza che è interamente riassorbita e purificata da un’anima nobile, senza nessuno scarto di materia inerte, la voce della Berma rappresenta il vero bene in contrapposizione con le voci dei coprotagonisti. L’opposizione fra vero e falsi beni si articola intorno alla dicotomia, tipicamente proustiana, volontario/involontario, e coinvolge non solo il lavoro dell’interprete teatrale, ma anche di quell’interprete di secondo grado (se non addirittura di terzo, considerando che la dizione della Berma è già interpretazione di un testo) che è il narratore-spettatore. Quest’ultimo ha proceduto, al primo ascolto della Berma, un po’ come gli scienziati del pastiche di Maeterlinck che vogliono ottenere il diamante artificiale come puro residuo e isolarlo in un’urna di cristallo. Anch’egli studiava il testo sottraendolo così all’ascolto della voce, che si presentava, in base ad un’idea astratta dell’arte teatrale, come un residuo. Una volta abbandonato quest’atteggiamento intellettualistico, questo sforzo astratto d’isolare e immobilizzare nei suoi elementi materiali la dizione della Berma, la forza del talento di quest’ultima gli s’impone in modo del tutto involontario: Et alors, ô miracle, comme ces leçons que nous nous sommes vainement épuisés à apprendre le soir et que nous retrouvons en nous, sues par cœur, après que nous avons dormi, comme aussi ces visages des morts que les efforts passionnés de notre mémoire poursuivent sans les retrouver et qui, quand nous ne pensons plus à eux, sont là devant nos yeux, avec la ressemblance de la vie, le talent de la Berma qui m’avait fui quand je cherchais si avidement à en saisir l’essence, maintenant, après ces années d’oubli, dans cette heure d’indifférence, s’imposait avec la force de l’évidence à mon admiration.867

La dicotomia volontario/involontario si raddoppia della dicotomia artificia866. CG, RTP, II, pp. 347-348. 867. Ivi, p. 347.

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le/naturale. Come non è possibile discernere le intenzioni dell’intonazione della Berma nella sua voce, che sono invece chiartamente rinvenibili nella voce degli altri attori, così alla ninfa scomparsa si è sostituita una sorgente inanimata. Non si tratta naturalmente di una “naturalezza” nel senso della spontaneità o dell’ingenuità, ma di una naturalezza ottenuta grazie a «des raisonnements d’une autre profondeur que ceux dont on apercevait la trace dans les gestes de ses camarades, mais des raisonnements ayant perdu leur origine volontaire».868 L’interpretazione del jeu della Berma porta Proust nella direzione del suo tema maggiore: il carattere involontario e fortuito della resurrezione del ricordo, che a sua volta evoca esplicitamente la Νέκυια. Cosa concludere a proposito del tema del diamante? Come mostra Grilli, per Proust il vero diamante, lo stile, la resurrezione involontaria del ricordo che ne è la base e come la prefigurazione sotto forma di un processo naturale, coincidono con il diamante naturale estratto dalle profondità, che si riallaccia alla tematica del «bassin minier»869 e della caverna, configurando l’opera dello scrittore in analogia con quella del minatore, in quello che Bachelard ha definito complesso di Novalis: il ritorno alle viscere della madreterra. Il vero diamante, lo stile originale, non può essere che frutto di «un processo naturale dovuto a condizioni estreme non replicabili né controllabili»,870 a dispetto delle astrazioni dell’intelligenza. Caricaturando l’ottimismo di Maeterlinck, Proust sembra suggerirci che la fiducia nel potere della scienza che attribuisce al suo modello – e che è presente in quasi tutti i suoi scritti di quell’epoca – adombri, da parte del modello, una pratica stilistica dubbia, una specie di «fumisterie transcendentale», per riprendere un’espressione a lui cara. Proust prenderebbe quindi per la prima volta chiaramente le distanze da Maeterlinck. Vedremo subito che la corrispondenza degli anni successivi al 1908 fornisce numerose pièces d’appui a questa che per il momento è solo un’ipotesi. Una prima controprova sembrerebbe fornita dalla dialettica alto/basso che anima i Pastiches. Mentre il vero diamante è frutto di un’estrazione, di una discesa in profondità, gli scienziati del pastiche di Maeterlinck avvertono che «ce n’est que dans le dernier embrasement de l’incendie que nous pourrions nous emparer du vieux roi réfugié sur la dernière terrasse de son palais en flammes», dunque alla cima del palazzo. Qui Proust ha colto e rielaborato una delle immagini matriciali dell’universo maeterlinckiano: la testa che sporge dall’alto,871 la fiamma che penetra e supera le frontiere fra due mondi, la pianta 868. Ivi, p. 348, c. n. 869. TR, RTP, IV, p. 614: « Je savais très bien que mon cerveau était un riche bassin minier, où il y avait une étendue immense et fort diverse de gisement précieux. Mais aurais-je le temps de les exploiter? J’étais la seule personne capable de le faire». 870. A. Grilli, Diamanti, falsari e minatori…, cit., p. 216. 871. Cfr. ad esempio nella novella Onirologie il personaggio dello zio: «son vague corps énorme en cette

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della serra che aspira a evadere dalla reclusione. Quest’immagine di surelevazione esprime la direzione in cui vanno gli sforzi della natura aiutata dalla scienza: quella dell’evasione verso un altro regno. È notevole inoltre il fatto che tale surelevazione e débordement della sostanza del diamante avvenga nell’ultimo lampeggiare dell’incendio. Commentando il tema dell’incendio quale appare in Serres chaudes, Campagnoli lo collega alla trasgressione di un esplicito interdetto e alla memoria (cfr. la poesia Verre ardent). Compare il fantasma e l’interdetto di ricordare la scena primaria: Le délire libère toutefois le feu et la chaleur, car «il y a un incendie un jour de soleil». Le lieu de cet incendie est cependant, de toute évidence, le lieu de la mémoire, où l’incendie «a été», ouvrant les portes à la blessure et à la maladie. La mémorisation symbolique nous dit aussi que l’incendie qui tout brûle, ou qui tout jette dans le chaos, prend son aspect traumatisant de la rupture d’un interdit implicite, car c’est la sœur de la charité, la "non chaude" par excellence sur le plan de la sexualité, qui attise le feu!872

Il posto della suora di carità è preso, nel secondo Maeterlinck e nel pastiche di Proust, dagli scienziati. La giustezza dell’interpretazione psicoanalitica qui fornita trova conferma in quanto Maeterlinck scrive a proposito di un’immagine omologa a quella della testa che sporge, quella dell’evasione verso l’alto delle piante, in un passaggio già citato: Elle se tend toute entière dans un même dessein: échapper par le haut à la fatalité du bas; éluder, transgresser la lourde et sombre loi, se délivrer, briser l’étroite sphère, inventer ou invoquer des ailes, s’évader le plus loin possible, vaincre l’espace où le destin l’enferme, se rapprocher d’un autre règne, pénétrer dans un monde mouvant et animé… 873

Il carattere faustiano degli scienziati che attizzano l’incendio, se si accetta questo sistema di equivalenze, trova la sua conferma proprio nel fatto che si tratti della trasgressione di un interdetto. E la fiducia che Proust attribuisce al suo modello nelle armi della chimica – sebbene non corredata da esperienze riuscite, ma solo da fallimenti e insuccessi – adombra forse la fiducia stessa di Maeterlinck nei poteri di uno stile filosofico fondato sulla sublimazione, ma strutturalmente incapace di risalire alle sorgenti mnemoniche delle esperienze traumatiche iniziali. Vi è tuttavia un altro aspetto dell’immagine di altezza che Proust attribuisce maison de bois verdi par les ans et si extrêmement, si insolitement petite, qu’il semblait la surcharger et en déborder comme un être d’autrefois » (M. Maeterlinck, Onirologie, in Id., Œuvres I, cit., p. 128). Cfr. anche una famosa scena del Pelléas: nella scena IV dell’atto II, Mélisande si sporge al balcone del proprio appartamento, lasciando cadere la massa dei capelli al di sotto. 872. R. Campagnoli, Les “Serres Froides” de Maeterlinck, cit., p. 90. 873. M. Maeterlinck, L’Intelligence des fleurs, cit., p. 4, c. n.

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al modello dove si manifesta una sintonia profonda con Maeterlinck. Abbiamo evidenziato come in Proust, secondo quanto è stato mostrato da Bachelard sulla scorta dell’immaginario alchemico, la dialettica alto/basso si alimenti di un rapporto di reciprocità tra i due opposti, e così pure in Maeterlinck. È celebre l’immagine de Le Temps retrouvé in cui l’opera è paragonata a un pozzo artesiano – che mostra chiaramente la dialettica e il reciproco scambio fra alto e basso: «on peut presque dire que les œuvres, comme dans les puits artésiens, montent d’autant plus haut que la souffrance a plus profondément creusé le cœur».874 L’immagine del vecchio re che può essere catturato solo sull’ultima terrazza del suo palazzo in fiamme – quando il palazzo sta ormai crollando – richiama alla mente un’immagine fondamentale de Le Temps retrouvé: quella del protagonista issato su una torre – tutto il suo tempo trascorso – che sta ormai crollando nel momento in cui egli ne prende coscienza. Secondo Poggi quest’immagine significa che l’istante proustiano ha una durata, ed è proprio la durata dell’ultimo istante, per cui bisogna immaginare l’opera alla quale il narratore si accinge come scritta nel breve iato che lo separa dalla morte, quando la coscienza si allarga a dismisura nella cosiddetta “visione panoramica” dei morenti.875 Riferendosi a un inedito pubblicato col titolo di Matinée chez la princesse de Guermantes,876 Poggi rintraccia e cita proprio l’immagine della torre crollante: Ma avere coscienza di tutto questo vuol dire – in questo abbozzo sono prefigurate con precisione le stesse immagini dell’ultima pagina della Recherche […] – gettare dalla cima della «torre del proprio pensiero» lo sguardo verso il basso ed essere colti da vertigine. La vertigine non può non farci precipitare, allorché vediamo «l’altezza dei minuti sovrapposti e esatti» (Proust 1982, p. 237) da cui siamo sostenuti, allorché nasce in noi la coscienza che il tempo che così impariamo a conoscere non è altro che quello che abbiamo vissuto. Noi cominciamo a comprendere il tempo proprio nel momento in cui «stiamo crollando» assieme alla torre su cui sedevamo. Abbiamo allora una fuggevole intuizione di tutto il tempo da noi vissuto: per un istante, ci si presenta tutta quella catena di eventi che costituisce la nostra interiorità, quello spirito che è ancorato nella memoria. Ma la catena si sta spezzando, ed il passato è perduto. Perdere il passato, perdere la memoria, perdere lo spirito vuol dire perdere la base, il fondamento della continuazione della vita: «con la perdita del passato, lo spirito è sprofondato»; «morte dello spirito o morte totale era tutta una cosa» (Proust 1982, p. 237).877

Troviamo la stessa immagine della torre crollante nel Cahier 51 del 1909, 874. TR, RTP, IV, p. 487. 875. S. Poggi, L’istante del ricordo, cit., in particolare il capitolo V: L’istante ha una durata, pp. 129-137 passim. 876. M. Proust, Matinée chez la princesse de Guermantes. Cahiers du Temps retrouvé, édition critique établie par H. Bonnet en collaboration avec B. Brun, Paris, Gallimard, 1982. 877. S. Poggi, L’istante del ricordo, cit., p. 128.

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dunque scritta a poca distanza di tempo dal pastiche.878 Se la tesi di Poggi è – come crediamo – giusta, allora già il primo indizio dell’immagine del personaggio assiso sulla torre crollante – o del re rifugiato sull’ultima terrazza del palazzo in fiamme – indirizzano la nostra lettura del pastiche, al di là dei facili scopi polemici e satirici che Proust si propone contro l’ottimismo di Maeterlinck, nella direzione di una meditazione del mistero dell’ultimo istante, che coincide con l’istante della scrittura, e verso una migrazione delle immagini nell’ipertesto de Le Temps retrouvé. Il quarto capoverso, che non citiamo interamente, contiene alcuni ricorrenti temi maeterlinckiani: la fiducia nella possibilità per l’uomo di addomesticare il destino, se impiegasse in quest’impresa tutti gli sforzi e la perseveranza che usa nell’ottenimento di nuove qualità di fiori o nella ricerca del diamante; il carattere “intelligente” del Caso moderno, che si distingue da quello che era «le ressort aveugle, irrésistible, multiple, unique et absolu des tragédies grecques»;879 la giustizia involontaria, con la frase sull’assassinio del matricida, che abbiamo già commentato; i fiori, i poteri calmanti delle tisane e dei semplici; la polemica contro i medicamenti artificiali e la medicina in generale. A proposito di quest’ultima, Proust scrive: «Son seul pouvoir réel est de métamorphoser, à l’aide des calmants, la vieille fièvre bienfaisante, qui exorcisait le mal en trois jours et le chassait sans retour, en un malaise néfaste, innombrable, incessant, inépuisable, 878. M. Proust, Esquisse LXI [Le bal des têtes], RTP, IV, p. 877 : «[…] je sentis tout d’un coup au-dessous de moi ces vingt-trois années descendant l’une au-dessous des autres en profondeur à perte de vue, et tout cela c’était toujours moi, vécu par moi, ce que j’apercevais à vingt-trois ans de distance, c’était encore moi, déjà si loin, et je sentis comme une peur de ne pas avoir la force de rester longtemps sur une telle hauteur de vie déjà découlée et qu’il me fallait maintenir au-dessous de moi, toujours liée à moi, moi ayant le sentiment de ma continuité jusque dans cette immense profondeur déjà de vingt-trois années, toute une continuité de chose vivante, de chose vécue qui descendait, s’enfonçait, se prolongeait jusque à une profondeur de vingt-trois années après que j’avais cessé d’être adolescent et tenait à moi, adhérait à moi. Je pensais à la fatigue que c’était pour moi d’avoir déjà à commander à tant de vie écoulée, à me maintenir au-dessus, en équilibre, à une pareille hauteur. Nous ne voyons que nos corps parce que ce n’est pas dans la catègorie du Temps que nous nous voyons. Sans cela nous nous verrions prolongés de tous ces jours innombrables que nous avons vécus. Nous nous verrions tous en champ, montés sur des tours plus ou moins hautes, remuantes avec nous comme des échasses inégales, les enfants presque sur le sol, d’autres déjà très haut et les vieillards sur des tours mouvantes si hautes qu’elles touchent presque le ciel et qu’à tout moment nous croyons qu’ils vont tomber. Tours qui sont sorties d’eux-mêmes, qui restent en rapport avec eux, dans la gélatine cristalline obscure et vivante desquelles ils voient tout ce qu’ils ont vécu. Mais comme en mer, comme en l’air, ils n’ont pas le sentiment de la hauteur. Ils continuent à marcher, à courir, sans se rendre compte à quelle hauteur vertigineuse la tour les porte, ce qu’ils voient au fond d’elle leur semble tout près; et si tout d’un coup on leur dit la hauteur, quel effroi, quelle vertige, quelle fatigue. Vingt-trois années, si hautes chacune de l’accumulation de leurs milliers d’heures, étaient déjà sorties de moi et faisaient au-dessous de moi une colonne oubliée de temps vivant vécu par moi. Nous n’avons d’autre temps que celui que nous avons ainsi vécu et le jour où il s’écroule, nous nous écroulons avec lui» (c. n.). 879. M. Proust, [L’Affaire Lemoine par Maurice Maeterlinck], in Les Pastiches de Proust, cit., p. 342.

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qui reparaît après chaque accalmie avec un nouveau cortège de maux […]».880 Questo tema migrerà ne La Prisonnière, nella polemica contro la medicina che è la vera causa della morte di Bergotte.881 La riflessione di Proust nel prosieguo del pastiche si orienta chiaramente sui temi della malattia e della morte e del prolungamento artificiale dell’esistenza. L’ultimo capoverso investe direttamente sul fantasma della morte improvvisa, per incidente d’auto: En ce temps où la mort peut sortir de chaque fissure de la jante, de chaque caillou de la route, sort de chaque fissure de l’essieu, et est forcée de marcher derrière nous pour embellir notre triomphe, en apprenant seulement par une clameur presque effrayante de rage notre venue au gueules de loup de la prairie, la vitesse épuise devant nous le mirage innombrable, terrible, inutile et incessante de ses tentations, cache la pierre où elle s’est blottie, fait paraître droite la route au coude de laquelle elle s’est embusquée, dérobe dans un nuage de poussière l’autre automobile, à bord de laquelle elle est montée, nous fait paraître assez grand pour y faire passer deux voitures, un chemin où une seule ne peut se déplacer d’une ligne sans tomber dans l’abîme au-dessus duquel elle est suspendue, raccourcit le temps qu’il faut à l’une pour nous rejoindre, allonge celui que nous mettons à l’éviter, elle est en réalité impuissante à arrêter sur la route où, salués au passage par les gueules de loup qui laissent échapper de leurs lèvres de safran la goutte de rosée que l’aurore leur confia comme un secret qu’elles devraient garder jusqu’à midi, nous nous avançons avec une vitesse effrayante, et paisibles […] 882

Nel saggio L’accident, Maeterlinck suggerisce a proposito degli incidenti alcune riflessioni sull’istinto o inconscio, e sul potere che ha di salvarci in situazioni disperate. Innanzitutto mostra la distanza fra l’atteggiamento dell’intelligenza e quello dell’inconscio, posti nella stessa situazione estrema, cioè nel secondo che precede lo schianto di un’automobile: Tout à coup, sans motifs, au détour du chemin, au beau milieu de la longue et large route, au début d’une descente, ici ou là, à droite ou à gauche, saisissant le frein, la roue, la direction, barrant subitement tout l’espace sous l’apparence fallacieuse et parfaitement trasparente d’un arbre, d’un mur, d’un rocher, d’un obstacle quelconque, voici face à face, surgissante, imprévue, énorme, immédiate, indubitable, inévitable, irrévocable, la Mort qui ferme d’un déclic l’horizon qu’elle laisse sans issue…883

L’atteggiamento della coscienza, dell’intelligenza e della ragione è certo dello schianto e della prossima fine: l’intelligenza non si preoccupa minimamente di 880. Ivi, p. 344. 881. LP, RTP, III, pp. 687-688. 882. M. Proust, [L’Affaire Lemoine par Maurice Maeterlinck], in Les Pastiches de Proust, cit., p. 345, c. n. 883. M. Maeterlinck, L’accident, in Id., L’Intelligence des fleurs, cit., pp. 239-240.

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reagire, anzi si attarda a pensare, a contemplare i dettagli della prossima fine, a evocare ricordi. Essa è una facoltà esclusivamente contemplativa, e la descrizione di Maeterlinck rende bene questa paralisi dell’intelligenza la quale addirittura sembra ambiguamente compiacersi della prossima fine, guardarla con curiosità: Elle juge instantanément, sainement et logiquement que tout est perdu sans ressource. Pourtant elle ne s’affole ni ne s’épouvante. Elle se représente exactement la catastrophe, ses détails et ses conséquences, et constate avec satisfaction qu’elle n’a pas peur et garde sa lucidité. Entre la chute et le choc, elle a du temps le reste, elle muse, elle se distrait, elle trouve le loisir de penser à toute autre chose, d’évoquer des souvenirs, de faire des rapprochements, des remarques minimes et précises. L’arbre qu’on voit à travers la mort est un platane, il a trois trous dans son écorce diaprée… il est moin beau que celui du jardin … le rocher sur lequel le crâne s’écrasera a des veines de mica et de marbre bien blanc … Elle sent qu’elle n’est pas responsable, qu’on n’a nul reproche à lui faire; elle est presque souriante, elle goûte je ne sais quelle volupté ambiguë et attend l’inévitable avec une résignation adoucie où se mêle une prodigieuse curiosité.884

Per fortuna entra in scena un nuovo personaggio, l’istinto, l’inconscio, il quale un attimo prima si trovava in una delle caverne del nostro corpo. È interessante quest’associazione fra la caverna e il corpo, in quanto illustra con un riferimento antropomorfico la topografia dei drammi, dove si trovano delle caverne. La civiltà ci porta a vergognarci di lui, come se fosse un parente povero, malmesso e maleducato: Où était-il? d’où sort-il? Il dormait quelque part ou s’occupait à d’obscures et ingrates besognes au fond des cavernes primitives de notre corps. Il en était naguère le roi incontesté; mais depuis quelque temps on le relègue dans les ténèbres basses, comme un parent pauvre, mal élevé, mal tenu et mal embouché, témoin gênant et souvenir désagréable de l’infortune originelle.885

Ma nei momenti delle supreme angosce, è di ritorno, perché sa di essere, in fondo, il padrone del nostro corpo. Dà uno spettacolo commovente di rapidità e di precisione, e mostra come la Vita salti al collo della Morte invincibile. Soprattutto, non teme nulla; a differenza dell’intelligenza, non dà niente per scontato e scorge con tanta certezza la salvezza che riesce a crearla, come un buco di luce attraverso un muro: «À travers un mur de granit, il n’aperçoit que le salut, pareil à un trou de lumière, et à force de le voir il le crée dans la pierre».886 La cosa più stupefacente poi non è che l’istinto ci salvi dai grandi pericoli della nostra vita, da sempre connaturati alla nostra specie: l’acqua, il fuo884. Ivi, pp. 240-241. 885. Ivi, p. 242. 886. Ivi, p. 244.

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co, l’animale. Esso diventa abile a destreggiarsi con le macchine più moderne, come dimostrano gli incidenti d’auto. Tuttavia alcuni di noi umiliano l’inconscio così profondamente che esso fa fatica a risalire alla luce. Da alcuni punti di vista, queste persone nelle quali l’intelligenza ha soffocato l’inconscio sono più sfortunate delle altre. La conclusione di Maeterlinck è incredibilmente ottimistica: negli incidenti sono gli animali a essere colpiti più dell’uomo non solo perché in loro l’intelligenza come l’istinto sono addormentati, ma anche e soprattutto perché la natura circonda il corpo umano di un senso di rispetto, ed evita di colpirlo, come se avesse paura dell’uomo. Questo saggio è chiaramente la fonte dell’ultimo capoverso del pastiche, non solo per la descrizione dell’incidente d’auto, ma anche per l’evocazione allegorica di un re misconosciuto che occupa le caverne più profonde del nostro corpo, tema che stabilisce una continuità con l’inizio del pastiche stesso. L’elemento più interessante è secondo noi proprio la descrizione di quella paralisi dell’intelligenza e della memoria che avviene l’attimo prima dello schianto. Qui Maeterlinck descrive con straordinaria efficacia l’impotenza delle facoltà più alte ma anche il loro straordinario ampliamento e la loro grande lucidità nell’attimo che precede la fine, esattamente come avviene per la “visione panoramica” dei morenti per annegamento trattata da Bergson. Si tratta esattamente di quanto avviene nel narratore proustiano, secondo Poggi, quando è colpito da afasia e aspetta la morte attendendo alla sua opera: «La tragica chiusura in sé stessi, l’impossibilità di parlare con il mondo che è causata dall’attacco cerebrale non solo accompagna, ma anzi è condizione stessa dell’allargarsi dello spirito alla riscoperta del passato ed alla comprensione del tempo».887 L’accostamento potrebbe sembrare peregrino – poiché Poggi intende qui la paralisi cerebrale causata da un attacco – se non fosse proprio lo stesso Proust a evocare il fantasma dell’incidente d’auto ne Le Temps retrouvé come una delle forme in cui gli si presenta la morte incombente, in stretta connessione col tema del giacimento minerario del proprio cervello: Je savais très bien que mon cerveau était un riche bassin minier, où il y avait une étendue immense et fort diverse de gisements précieux. Mais aurais-je le temps de les exploiter? J’étais la seule personne capable de le faire. Pour deux raisons: avec ma mort eût disparu non seulement le seul ouvrier mineur capable d’extraire ces minerais, mais encore le gisement lui-même; or, tout à l’heure quand je rentrerais chez moi, il suffirais de la rencontre de l’auto que je prendrais avec une autre pour que mon corps fût détruit et que mon esprit, d’où la vie se retirerait, fut forcé d’abandonner à tout jamais les idées nouvelles qu’en ce moment même, n’ayant pas eu le temps de les mettre plus en sûreté dans un livre, il enserrait anxieusement de sa pulpe frémissante, protectrice, mais fragile.888 887. S. Poggi, L’istante del ricordo, cit., p. 129. 888. TR, RTP, IV, p. 614.

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Abbiamo quindi rinvenuto due modelli della morte incombente nel pastiche di Proust: il modello (su asse metaforico) della torre crollante e quello (su asse metonimico) dell’incidente d’auto. Del primo s’è già detto. Esso ha rapporto con la struttura allegorica della prima parte del pastiche, che veicola un sentimento d’eternità.889 La Porter mostra che il lungo tempo minerale ha connessione con l’eternità, mentre si affaccia – attraverso il riferimento all’intelligenza dei minerali – anche una connessione col tempo ciclico; mentre l’ultimo capoverso del pastiche, con l’esibizione della velocità, ha un carattere marcatamente rettilineo: «there is a recognition of a “vitesse”, motion or durée, advancing us constantly in a linear movement toward the absolute, for us, of our own death».890 Possiamo quindi ricostruire la struttura temporale del pastiche connettendola alle già menzionate tre sintesi del tempo di Deleuze, che secondo una nostra ipotesi strutturano l’universo di Maeterlinck. Ciò comporterebbe la conclusione che in questo pastiche Proust abbia colto ed evidenziato le strutturazioni e le partizioni fondamentali dell’universo del tempo nel modello prescelto, e ciò contrariamente a quanto dice la stessa Porter, che non ravvisa una struttura temporale plausibile nello stato d’incompletezza frammentaria che il pastiche ci presenta. Ci eravamo già soffermati sulla topica successione pietra preziosa-fiore-uccello, presente in Maeterlinck. Nel pastiche di Maeterlinck secondo l’ordine dei capoversi si evidenzia la stessa successione, con la differenza che il posto dell’uccello è preso dalla velocità dell’automobile, secondo uno scambio presente nell’immaginario del modello. Ricorrendo a Deleuze, possiamo stabilire i seguenti rapporti: pietra preziosa–passato immemoriale e presente dell’abitudine; fiore–tempo ciclico delle resurrezioni della natura; automobile-tempo lineare dell’istinto di morte, apertura verso il futuro. Esso configura anche il coglimento di tre ideali stilistici diversi reperibili nel modello: pietra preziosa-allegoria; fiore-intermittenza; automobile-stile della velocità. Quest’ultimo ideale contiene il germe del ritrovamento del tempo e della morte insieme, poiché la morte, come il tempo ritrovato, è «blottie» in una pietra. Questa connessione è rafforzata dall’ultima frase del pastiche: salito a bordo dell’automobile – imbarcatosi nell’avventura della scrittura – il narratore procede a una velocità spaventosa ma è tranquillo, come ribadiscono le frasi de Le Temps retrouvé successive a quelle già citate sul giacimento minerario e l’incidente automobilistico: Or, par une bizarre coïncidence, cette crainte raisonnée du danger naissait en moi à un moment où, depuis peu, l’idée de la mort m’était devenue indifférente. La crainte de n’être plus moi m’avait fait jadis horreur, et à chaque nouvel amour que j’éprouvais 889. Cfr. lo studio di A.R. Porter, The Treatment of Time in Proust’s Pastiches, «The French Review», vol. XLVII, Special Issue, n. 6, Spring 1974, pp. 129-143. 890. Ivi, p. 141.

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(pour Gilberte, pour Albertine), parce que je ne pouvais supporter l’idée qu’un jour l’être qui les aimait n’existerait plus, ce qui serait comme une espèce de mort. Mais à force de se renouveler, cette crainte s’était naturellement changée en un calme confiant.891

IV. 4. Il saggio La Mort. Conclusioni. Con l’analisi del pastiche di Maeterlinck siamo ancora nel «vestibolo» della Recherche. Ma il rapporto Proust/Maeterlinck non finisce qui; esso comporta (almeno) un altro fondamentale episodio la cui analisi – che sarà ricostruita attraverso la corrispondenza – costituisce anche la conclusione di questo studio. È nostro intendimento comunque fermarci alle soglie della Recherche, della quale abbiamo però fornito ampi estratti nel corso del saggio. Per una ricostruzione più approfondita del rapporto fra i due autori all’interno della Recherche auspicheremmo, infatti, l’uso metodico della critica genetica, e quindi la ricognizione dei quaderni di Proust, e dei suoi metodi compositivi, secondo la prospettiva già indicata da Bales. Ci è impossibile affrontare qui questo lavoro. Il presente saggio vorrebbe porsi semplicemente come un prodromo utile ad esso. Nel 1910, Proust ascolta l’opera di Debussy Pelléas et Mélisande al teatrofono e ne dà notizia in una lettera.892 Una lettera di poco seguente contiene un pastiche del libretto dell’opera di Debussy tratta da Maeterlinck.893 Sempre in quest’anno, Proust esprime disaccordo rispetto ai pensieri di Maeterlinck che ha letto nella serie di articoli che andranno a comporre il saggio filosofico La Mort (1913, ma precedentemente pubblicato in feuilleton dal «Figaro» dall’1 al 6 agosto 1911): Je me disais tout cela l’autre jour en lisant les articles de Maeterlinck et j’essayais de deviner si à une distance que j’ignorais, vous éprouviez aussi la petite déception qu’ils m’ont donnée. Ballot m’en a paru fort enthousiaste. Peut’être a-t-il moins pensé à la mort que moi. D’une façon générale je trouve qu’il y a contradiction dans les termes à parler ainsi de l’Inconnaissable comme de son cabinet de toilette, en disant quand il y a doute: «il y a trois infinis possibles. Le second est presque certain, le troisième est encore probable. Le premier n’a presque aucune chance d’être le vrai». Je sais bien qu’il y a le pari de Pascal, mais enfin cet Infini gagnant et cet Infini placé me choquent étrangement. Et puis la beauté même du style, la lourdeur de sa carrosserie ne conviennent pas à ces explorations de l’Impalpable. Je dis carrosserie parce que je crois que c’est ainsi que parlent nos amis qui ont des automobiles et que je me souviens que je me suis permis devant vous de petites irrévérences à l’endroit de Maeterlinck – ma grande admiration du 891. TR, RTP, IV, p. 614. 892. M. Proust, Corr, t. X : 1910-1911, p. 249. 893. Ivi, p. 261.

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reste – en parlant d’Infini quarante chevaux et de grosse voiture marque Mystère. Mais ici mon objection est plus grave; et mon livre (j’ai dû renoncer à le faire par maladie sans cesse aggravée, malgré ce qu’a dit Me de Barbarin, mais j’en fais transcrire et j’en publierai une partie qui sera tout de même un tout de 800 pages!) vous montrera en quoi elle consiste. Il y avait bien longtemps que ce que j’y ai écrit sur la Mort était terminé quand ils ont paru, mais vous verrez que tout mon effort a été en sens inverse pour ne pas considérer la mort comme une négation ce qui n’a aucun sens et ce qui est (je n’ai pas de feuille entière sous la main) contraire à tout ce qu’elle nous fait éprouver. Elle se manifeste d’une façon terriblement positive. Et toute la beauté dont Maeterlinck veut l’entourer n’est qu’une manière de nous détourner de ce que nous sentons véritablement en face d’elle.894

Una lettera di poco seguente contiene ancora scherzi su Maeterlinck, che ne mettono in caricatura lo stile, ripetendo l’immagine automobilistica: Quant à Maeterlinck que vous m’avez reproché d’aimer trop il nous parle maintenant de l’Inconnaissable comme si c’était son cabinet de toilette, avec des descriptions détaillées. Sur certains points il a des doutes, mais il y a «quarante chances pour cent que» … et seulement «cinquante-cinq pour que …[»] Il a un Infini gagnant e un Infini placé! Et il roule dans l’Impalpable avec son style magnifique mais à la lourde carrosserie d’une quarante chevaux; une nouvelle voiture, marque Mystère. Cela ne m’empêche pas d’ailleurs de l’admirer encore extrêmement. 895

Dopo il 1911, l’interesse di Proust per Maeterlinck si affievolisce. Nel 1913, Proust ritorna ancora su La Mort di Maeterlinck: «le nouveau livre de Maeterlinck, – si robuste pour parler de choses si délicates, magnifique 120 chevaux, marque mystère, familiarisé avec les conceptions si l’on peut dire».896 Dopo tutto quello che s’è detto a proposito dell’immagine dell’automobile in Proust e della sua ascendenza maeterlinckiana, non ci stupisce di trovarla ancora una volta applicata allo stile di Maeterlinck. Questa valutazione che implica un riconoscimento dello stile come altissimo artigianato si rovescia in un apprezzamento fondamentalmente positivo in un passaggio de La Prisonnière, dove troviamo la stessa immagine applicata a Vinteuil e a Wagner (e sulle interrelazioni fra la tecnica del leit-motiv in Wagner e certe interferenze maeterlinckiane ci eravamo già soffermati). Proprio a proposito del passaggio in cui risuona l’aria di flauto del pastore, strettamente collegata al ritorno d’Isotta – dunque a un mitema del rientro –, la stessa aria che avevamo già incontrato nell’articolo Impressions de route en automobile paragonata al clacson dell’automobile sotto la casa dei genitori, Proust scrive: 894. Ivi, pp. 337- 338. 895. Ivi, p. 353. 896. M. Proust, Corr, t. XIII : 1913, p. 82.

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Avant le grand mouvement d’orchestre qui précède le retour d’Yseult, c’est l’œuvre ellemême qui a attiré à soi l’air de chalumeau à demi oublié, d’un pâtre. Et sans doute, autant la progression de l’orchestre à l’approche de la nef, quand il s’empare de ces notes du chalumeau, les transforme, les associe à son ivresse, brise leur rythme, éclaire leur tonalité, accélère leur mouvement, multiplie leur instrumentation, autant sans doute Wagner lui-même a eu de joie quand il découvrit dans sa mémoire l’air du pâtre, l’agrégea à son œuvre, lui donna toute sa signification. Cette joie, du reste, ne l’abandonne jamais. Chez lui, quelle que soit la tristesse du poète, elle est consolée, surpassée – c’est-àdire malheureusement un peu détruite – par l’allégresse du fabricateur. Mais alors, autant que par l’identité que j’avais remarquée tout à l’heure entre la phrase de Vinteuil et celle de Wagner, j’étais troublé par cette habileté vulcanienne. Serait-ce elle qui donnerait chez les grands artistes l’illusion d’une originalité foncière, irréductible, en apparence reflet d’une réalité plus qu’humaine, en fait produit d’un labeur industrieux? Si l’art n’est que cela, il n’est pas plus réel que la vie, et je n’avais pas tant de regrets à avoir. Je continuais à jouer Tristan. Séparé de Wagner par la cloison sonore, je l’entendais exulter, m’inviter à partager sa joie, j’entendais redoubler le rire immortellement jeune et les coups de marteau de Siegfried, en qui du reste, plus merveilleusement frappées étaient ces phrases, l’habileté technique de l’ouvrier ne servait qu’à leur faire plus librement quitter la terre, oiseaux pareils non au cygne de Lohengrin mais à cet aéroplane que j’avais vu à Balbec changer son énergie en élevation, planer au-dessus des flots, et se perdre dans le ciel. Peut-être, comme les oiseaux qui montent le plus haut, qui volent le plus vite, ont une aile plus puissante, fallait-il de ces appareils vraiment matériels pour explorer l’infini, de ces cent vingt chevaux marque Mystère, où pourtant, si haut qu’on plane, on est un peu empêché de goûter le silence des espaces par le puissant ronflement du moteur!897

Questo passaggio interviene a titolo di esempio nell’esposizione di uno dei concetti estetici fondamentali della Recherche: l’unità retrospettiva dei grandi capolavori del XIX secolo. L’aria del pastore è stata integrata retrospettivamente a un più vasto disegno mediante un sistema di Leitmotive o intermittenze. Questo sistema getta una «illumination rétrospective»,898 un «raccord»899 fra i temi isolati e sparsi di un’opera fino allora frammentaria per farne un tutto conchiuso. Ricordiamo che l’apporto principale di Maeterlinck alla Recherche – ed è una delle nostre conclusioni – consiste nella concatenazione dell’asse metaforico all’asse metonimico, che costituisce una tecnica di raccordo e in questo modo è utilizzata da Proust nell’ouverture di Sodome et Gomorrhe. Forse proprio alla pesantezza di questa tecnica si riferisce il termine “carrozzeria”. E questo spiega anche l’interferenza di automobile e areo nella stessa immagine del motore potente. Questi due vettori sono solitamente contrapposti in Proust, che oppone 897. LP, RTP, III, pp. 667-668. 898. Ivi, p. 667. 899. Ibid.

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movimento longitudinale a movimento ascensionale. Ma qui si tratta della stessa immagine applicata a Maeterlinck. Più che sulla forma, le obiezioni di Proust al saggio La Mort sono sulla sostanza filosofica. Maeterlinck resta una delle sue grandi ammirazioni, tanto che in una lettera di poco successiva, Proust si chiede se il lettore che non ha capito il suo libro capirebbe quello di Maeterlinck.900 Sempre nel 1913, Proust torna ancora una volta su La Mort: J’ai infiniment aimé ce que vous dites [de] ce Traité de la Mort (Maeterlinck) qui nous console d’une mort qui n’est pas celle que nous redoutons, d’une mort avant le Christianisme. Comme je vous comprends. J’avais écrit sur ce livre-là je m’en souviens des pages qui se seraient si bien accordées avec les vôtres; et je m’étonnais de ce langage si fort, si matériel pour parler de l’Infini, de ce style cente chevaux (marque Mystère!) et de ces précisions, de cet Inconnaissable qu’il nous donne placé à trois contre un. C’est bien la peine de ne pas vouloir du pari de Pascal. […] Il rejette, Maeterlinck, le Christianisme, pour tomber dans le spiritisme. Et il confirme ainsi un mot cruel de Pascal.901

Secondo Proust, Maeterlinck rifiuta l’idea cristiana della morte e cerca di dare consolazione attraverso un ritorno all’idea antica della morte, allo stile senecano delle Consolationes. Da qui deriva la pesantezza dello stile. Ma vale la pena di rifiutare la scommessa di Pascal, per cadere nello spiritismo? Proust fa allusione ad alcune pagine su La Mort che avrebbe scritto, mai ritrovate. Da ciò che dice si evince che esse contengano un giudizio severo, di rifiuto dello spiritismo (se dovesse scegliere una immortalità personale, tanto varrebbe per lui optare per il cristianesimo). Non ci sono indizi che permettano di identificare queste pagine su Maeterlinck con il fantomatico articolo di cui aveva parlato a Gregh alcuni anni prima, e il cui ricordo compare a più riprese quando si parla di critica letteraria. È vero però che Proust tende talvolta a presentare la critica letteraria, tanto nella sua corrispondenza come nella Recherche, come un’attività mediumnimica. Un sottile filo unisce dunque queste osservazioni sullo spiritismo al ruolo del lettore e del critico. Ancora più avanti, la critica di Proust a Maeterlinck si fa sempre più severa: Maeterlinck respinge il cristianesimo per credere ai tavolini che ballano.902 Malgrado queste ripetute critiche alle concezioni “antiche” di Maeterlinck e al suo interesse, che potrebbe far pensare anche a un adeguamento alle mode del tempo, per i temi dell’occultismo, il tema della comunicazione con l’aldilà è destinato a ritornare in Proust. (Del resto, la stessa frequenza con cui Proust dis900. M. Proust, Corr, t. XIII: 1913, p. 85. 901. Ivi, p. 280. 902. Ivi, p. 285.

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semina nelle sue lettere le critiche alle concezioni espresse da Maeterlinck in La Mort e il suo progetto di ricavarne un saggio, dimostrano che questo libro l’aveva profondamente colpito). Ma è soprattutto la Guerra a determinare un mutamento nel registro della sua sensibilità. Con l’opera che si allunga davanti a lui, con la vita personale funestata dalla tragedia di Agostinelli, e di tanti amici che ha perduto, Proust, prima molto discreto a questo riguardo, moltiplica le allusioni alla religiosità e al problema squisitamente morale del Male e della Teodicea nella sua corrispondenza. E l’idea di una comunicazione mediumnimica con i trapassati si affaccia nuovamente in una lettera del 1916. Scrivendo a Mme de Pierrebourg a proposito di un articolo di questa, la commemorazione per la morte del suo antico amante, Paul Hervieu, Proust si lascia andare a considerazioni di questo tipo: Vous ne le peignez pas seulement avec la plus poignante vérité, avec ce transport des forces du cœur à l’intelligence, le moment où la chaleur se fait lumière; on dirait qu’il se peint lui-même par vous, qu’il y a en «entrance» comme on dit en langage spirite, qu’il a conduit, crispé votre main, il y a des phrases de vous qu’ont l’air d’être de lui, qui diffèrent de vos phrases habituelles par quelque chose de strict, de singulier, qui lui était propre.903

Il tema del «trajet» – qui «transport», passaggio dal cuore all’intelligenza, gradazione interna, che si arricchisce di un riferimento alla celebre frase di Novalis sul calore che si fa luce, evoca il tema del passaggio medianico da una personalità all’altra. L’individualità raggiunge i propri confini e sfuma in un’altra, nel rapporto con un morto. Nel passaggio che precede questo citato, Mme de Pierrebourg è colta nel gesto di cancellazione di sé di chi mostra una tomba (proprio come Proust si autorappresenta, nella prefazione alla Bible d’Amiens, nel gesto pio di chi restaura una tomba). È vero che Proust limita poco dopo la portata di questa sua affermazione sulla scrittura “medianica” della corrispondente, riconducendo il misticismo delle sue frasi alla verità umana che «si assomiglia a coloro che si piangono». Il rapporto con altro dalla soggettività è circondato di cautela. Nondimeno, nella lettera seguente a Mme de Pierrebourg, Proust scrive: «Un être n’existe-t-il vraiment plus, qui excite une si brûlante douleur? Non, votre cri est la plus puissante affirmation de vie, la plus puissante protestation contre la mort».904 A questo punto, l’interesse per i temi del mistero s’intensifica. Tanto è vero che si legge, nella corrispondenza del 1917: «ce que quelqu’un de naïf (et même à cet égard Bergson et Maeterlinck sont parfois naïfs quoique

903. M. Proust, Corr, t. XVI: 1916, p. 318. 904. Ivi, p. 319.

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géniaux) appellerait un pressentiment […]».905 Questa è l’ultima menzione del nome di Maeterlinck nella corrispondenza proustiana. Al contrario di quanto accade per Jammes – la cui menzione resta costante e anzi s’intensifica negli ultimi anni –, il ricordo di Maeterlinck sembra cancellarsi dall’orizzonte proustiano. Ci occorre a questo punto dare un senso all’episodio culminante e conclusivo del rapporto Proust-Maeterlinck. Innanzitutto, occorre discutere l’affermazione proustiana che Maeterlinck tenda a negare il mistero della morte circondandola di bellezza, riassumendo brevemente le tesi esposte da Maerterlinck nel saggio La Mort. Il saggio di Maeterlinck esordisce con l’affermazione che è impossibile allontanare il pensiero della morte, perché «plus nos pensées s’évertuent à s’en écarter, plus elles se resserrent autour d’elle»,906 e quanto più si vuol fuggire questo pensiero, tanto più la morte diviene temibile: «plus nous la redoutons, plus elle est redoutable, car elle ne se nourrit que de nos craintes».907 Al contrario, occorrerebbe affrontare il pensiero della morte, il più inevitabile dei nostri pensieri, «à visage levé»,908 in modo da non farsi suggestionare dalle paure inconsce ereditate da millenni di tradizione religiosa e da ottenere un chiarimento della nostra idea della morte, e dunque una purificazione del suo contenuto. S’impone, nella forma di una disciplina interiore palesemente ispirata a modelli antichi, ancora una volta il dovere del chiarimento. L’idea della morte dovrebbe essere «la plus parfaite et la plus lumineuse de nos idées»909 e invece resta la sola idea arretrata. Questo accade perché, dopo aver rimandato tutta la vita di pensarci, essa ci viene incontro solo negli ultimi istanti, e senza una meditazione preliminare è fatta solo delle scorie delle nostre paure. Le poche idee che si affollano nella mente nel momento del trapasso cedono come canne sotto il peso degli ultimi minuti. Questo avviene perché le idee sulla morte non sono state accuratamente meditate nel corso della vita, e quando ci servirebbero non conoscono la strada per arrivare al nostro cuore. Chi al contrario ha dedicato alla morte le sue riflessioni delle ore più lucide e serene ed è giunto, se non a scoprirne l’essenza, quantomeno a liberarsi dalle più grossolane paure, porta incisa nella sua memoria «une image éprouvée contre laquelle ne prévaudraient point les dernières angoisses».910 Invece della spaventosa preghiera degli agonizzanti, che è la preghiera degli abissi, egli pronuncerebbe «sa propre prière, celle des sommets de sa vie où seraient réunies, comme des anges de paix, les pensées les 905. M. Proust, Corr, t. XVII: 1917, p. 33. 906. M. Maeterlinck, La Mort, cit., p. 3. 907. Ibid. 908. Ivi, p. 4. 909. Ibid. 910. Ivi, p. 8.

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plus nettes, les plus lucides de son existence».911 La prima falsa credenza dalla quale bisogna liberarsi è che l’ora della morte coincida con le sofferenze dell’ultima malattia. Le malattie appartengono alla vita, esse «n’ont rien de commun avec ce qui les termine».912 La medicina si fa un dovere di prolungare le ore dell’agonia. Questo dovere apparirà all’umanità illuminata di domani come barbaro e ingiusto. Il secondo timore irrazionale riguarda l’orrore della decomposizione, ingiustamente associato alla morte. Anche qui il ruolo svolto dalla religione nel perpetuare pratiche mortuarie barbare è fondamentale. Meglio dell’inumazione, la cremazione si adatta all’idea che il morto non è più il suo cadavere, ma sopravvive in quanto di più etereo e luminoso c’è nell’universo: «Purifié par le feu, le souvenir vit dans l’azur comme une belle idée; et la mort n’est plus qu’une naissance immortelle dans un berceau de flammes».913 L’unico problema che resta da risolvere è quindi l’ignoto che ci attende dopo la morte. Le soluzioni religiose tradizionali non sono sufficienti a chiarirlo. Maeterlinck pronuncia una veemente polemica anticristiana, affermando che l’unica argomentazione che il genio teologico di Pascal abbia trovato in favore della Rivelazione stia nel mistero e nell’intima contraddittorietà della natura umana. Ma affermare ciò per ricondurre il grande mistero umano ad un mistero più piccolo, limitato e barbaro, è un procedimento degno delle superstizioni primitive. Affiora in queste parole, accanto alla polemica anticristiana, anche un deciso atteggiamento antiebraico.914 L’argomentazione di Maeterlinck si sviluppa in questo modo: se il Dio della Rivelazione non ha dato sufficienti prove alla ragione dell’uomo per permettergli di credere, è perché fa appello non alle facoltà più alte che ci sono in lui, ma a quelle più basse e irrazionali. Un simile Dio, il Dio biblico, è indegno di fiducia perché non promuove lo sviluppo della parte migliore dell’uomo. La fede in lui si riduce ad una pratica superstiziosa. Pertanto, se fosse provata la verità di una simile credenza, essa si ridurrebbe ad un gioco crudele e incomprensibile voluto da un tiranno, che sarebbe comunque opportuno rifiutare. Il saggio entra quindi nel cuore del problema, ovvero l’esame razionale delle possibilità che ci attendono dopo la morte. Si delineano quattro possibilità: «[…] l’anéantissement total, la survivance avec notre conscience d’aujourd’hui, la survivance sans aucune espèce de conscience, enfin la survivance dans la conscience universelle ou avec une conscience qui ne soit pas la même que celle dont nous jouissons en ce monde».915 L’annientamento totale è escluso da Mae911. Ibid. 912. Ivi, p. 9. 913. Ivi, p. 24. 914. Ivi, pp. 28-29. 915. Ivi, p. 34.

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terlinck, perché egli, come Bergson, ritiene contraddittorio lo stesso concetto di nulla.916 Niente si perde e tutto si conserva nell’universo infinito. Persino i raggi di una stella continuano ad arrivarci molto tempo dopo che si è spenta: «La clarté d’une étoile éteinte depuis des millions d’années erre encore dans l’éther où nos yeux la rencontreront peut-être ce soir».917 Inoltre, anche negli esseri inanimati, che sono in apparenza in quiete, la materia si muove ad una velocità incommensurabile. Tutto è vita nell’universo. Resta la seconda possibilità, ovvero la sopravvivenza con la nostra coscienza attuale. Una volta esclusa la possibilità per l’uomo di avere un pensiero senza corpo, il punto centrale del nostro io attuale è trovato nella memoria: Lorsqu’on veut remonter jusqu’à sa dernière source, on ne trouve guère qu’une suite de souvenirs, une série d’idées d’ailleurs confuses et variables, se rattachant au même instinct de vivre; un ensemble d’habitudes de notre sensibilité et de réactions conscientes ou inconscientes contre les phénomènes environnants. En somme, le point le plus fixe de cette nébuleuse est notre mémoire, qui semble d’autre part une faculté assez extérieure, assez accessoire, en tout cas, une des plus fragiles de notre cerveau, une de celles qui disparaissent le plus promptement au moindre trouble de notre santé.918

Abbiamo già segnalato la straordinaria convergenza – notata da tutti gli interpreti che si sono occupati del rapporto Proust-Maeterlinck – che si registra fra i due autori su questo punto. Il punto centrale del nostro io è la memoria. Tuttavia, gli intendimenti di Maeterlinck sono ben diversi da quelli proustiani. Maeterlinck mira a scardinare la fedeltà assoluta ai nostri ricordi che ci fa credere che, senza il nostro io attuale, non si dia per noi alcuna forma di sopravvivenza. I ricordi ai quali siamo così affezionati sono da lui definiti episodi insignificanti, che ci sarebbero solo di ostacolo in una vita ulteriore, in cui si sviluppassero in noi nuove facoltà e nuove capacità di comprensione dell’universo e dei suoi mondi. Maeterlinck scorge l’umanità attuale aggrappata disperatamente al patrimonio dei suoi ricordi, anche a causa delle lusinghe del cristianesimo che ne promette la restaurazione e la conservazione integrale. È questo, il passaggio che segue, uno nei quali si manifesta più apertamente la volontà di circondare la morte di bellezza – in una prospettiva che è decisamente anti-mnemonica: Il n’importe; ce moi si incertain, si insaisissable, si fugitif et si précaire, est tellement le 916. Ivi, p. 35. 917. Ivi, p. 35. Si tratta di un’immagine proustiana. Nel celebre paragone fra gli artisti originali e i mondi che si volgono nell’infinito, Proust afferma che tali mondi, « bien des siècles après qu’est éteint le foyer dont il émanait […] nous envoient encore leur rayon spécial » (TR, RTP, IV, p. 474). Ma Proust ritiene al contrario molto probabile e positiva l’esistenza del nulla. 918. Ivi, p. 41.

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centre de notre être, nous intéresse si exclusivement, que toutes les réalités s’effacent devant ce fantôme. Il nous est indifférent que, durant l’éternité, notre corps ou sa substance connaisse tous les bonheurs et toutes les gloires, subisse les transformations les plus magnifiques et les plus délicieuses, devienne fleur, parfum, beauté, clarté, éther, étoile; – et il est certain qu’il les devient et que ce n’est point dans nos cimetières mais dans l’espace, la lumière et la vie que nous devons chercher nos morts, – il nous est pareillement indifférent que notre intelligence s’épanouisse jusqu’à se mêler à l’existence des mondes, à la comprendre et à la dominer. Nous sommes persuadés que tout cela ne nous touchera point, ne nous fera aucun plaisir, ne nous arrivera pas, à moins que cette mémoire de quelques faits, presque toujours insignifiants, ne nous accompagne et ne soit témoin de ces bonheurs inimaginables. Il m’est égal, se dit ce moi borné et buté à ne rien comprendre, il m’est égal que les parties les plus hautes, les plus libres, les plus belles de mon esprit soient éternellement vivantes et lumineuses dans les suprèmes allégresses; elles ne sont plus à moi, je ne les connais plus. La mort a tranché le réseau de nerfs ou de souvenirs qui les rattachait à je ne sais quel centre où se trouve le point que je sens être tout moi-même.919

La conclusione del passaggio stabilisce un’analogia fra la memoria e lo specchio, adoperando un’immagine frequente nella tradizione filosofica spiritualista – celebre è l’uso che ne fa Bergson fin dalle prime pagine di Matière et mémoire –, la quale risale in ultima analisi alla definizione leibniziana della monade «miroir vivant»: Déliées ainsi et flottant dans l’espace et le temps, leur sort m’est aussi étranger que celui des plus lointaines étoiles. Tout ce qui advient n’existe pour moi qu’à la condition que je le puisse ramener à cet être mystérieux, qui est je ne sais où et précisément nulle part et que je promène comme un miroir par ce monde dont les phénomènes ne prennent corps qu’autant qu’ils s’y soient reflétés.920

Che si tratti proprio di un riferimento a Leibniz ci sembra confermarlo la pagina successiva: qui ricorre l’immagine della goccia nell’oceano, per esprimere la fusione delle anime in una coscienza universale. Era l’immagine utilizzata da Spinoza e che Leibniz contestava nelle sue Considerations sur un esprit universel unique. Possiamo osservare tutta la distanza percorsa da Maeterlinck rispetto alla novella del 1893 L’Anneau de Polycrate, che abbiamo commentato nel primo capitolo. Esattamente vent’anni sono trascorsi tra la data di pubblicazione di quella novella e il saggio La Mort. Là il centro dell’io era trovato nella memoria, e i ricordi che essa recava con sé apparivano l’unica garanzia di sopravvivenza nella dissoluzione universale. Le immagini appartenenti ai primi e incancellabili episodi dell’infanzia sembravano dipendere da una memoria purificata, in grado di 919. Ivi, pp. 42-43. 920. Ivi, p. 44.

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superare la scossa che separa la vita dalla morte. Qui invece, ciò che in ultima analisi sopravvive dell’io è un’immagine ricavata dal puro pensiero, una facoltà diversa dalla memoria. In realtà il modello leibniziano non è abbandonato neanche qui completamente. Esso si riaffaccia nell’idea di un’evoluzione della coscienza, modificata rispetto alle semplici facoltà mnemoniche prevalenti nel nostro io attuale. Leibniz concepisce il destino delle creature più alte come un lavoro d’indefinito approfondimento delle percezioni oscure. Questo lavoro è però inseparabile dalla memoria. La polemica anti-mnemonica di Maeterlinck va invece nella direzione delle tradizionali concezioni filosofiche dell’Occidente, di matrice aristotelica – e non platonica –, che collocavano la memoria nel gradino più basso delle facoltà spirituali, decisamente distinta dall’intelletto. Ciò però non esclude – anche nel pensiero di Maeterlinck – che l’io liberato dal suo corpo attuale possa trovare un nuovo nucleo corporeo attorno al quale conglomerarsi e procedere sulla strada della conoscenza. Siamo sulla strada delle riformulazioni illuministiche del mito della caverna, di cui Blumenberg dà molti esempi: storie di fanciulli “selvaggi” tratti dall’abbandono di una caverna e improvvisamente restituiti alla luce e alla civiltà. Maeterlinck fa l’esempio di un malato, paralitico, cieco e sordo, da sempre rinchiuso nella sua camera. Sebbene i suoi ricordi si riducano alle più confuse ed elementari sensazioni, e tutta la sua felicità consista nell’essere momentaneamente esente da dolore, anch’egli ha timore della morte e desidera portare con sé i propri meschini ricordi. Supposons qu’un miracle anime tout à coup ses yeux et ses oreilles, lui révèle, par la fenêtre ouverte au chevet de son lit, l’aurore sur la campagne, le chant des oiseaux dans les arbres, le murmure du vent dans les feuilles et de l’eau sur les rives, l’appel transparent des voix humaines parmi les collines matinales. Supposons encore que le même miracle, achevant son œuvre, lui donne l’usage des membres. Il se lève, il tend les bras à ce prodige qui pour lui n’a pas encore de vraisemblance ni de nom: la lumière! Il ouvre la porte, chancelle parmi les éblouissements et tout son corps se fond en toutes ces merveilles. Il entre dans une vie indicible, dans un ciel qu’aucun rêve n’avait su pressentir; et, par un caprice fort admissible en ces sortes de guérisons, la santé en l’introduisant dans cette existence inconcevable et inintelligible, efface en lui tout souvenir des jours passés.921

Il problema che si pone in quest’esempio è di sapere come si farà il legame tra il suo io di ieri e il suo io di oggi, a quali ricordi si aggrapperà, e come farà il punto “egotico” della coscienza a conservarsi intatto. Secondo Maeterlinck, si tratta di una pretesa impossibile, per una serie di ragioni: la fragilità della memoria anche nella vita normale, il suo carattere intermittente, l’assenza in noi di 921. Ivi, pp. 50-51.

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ricordi di una vita anteriore alla nascita. La posizione di Maeterlinck è dunque in favore della coscienza modificata, che svilupperebbe quelle facoltà in noi innate che non dipendono dai sensi, posto che il punto “egotico” portatore di queste facoltà innate potrebbe dotarsi di un nuovo corpo e di nuovi sensi per scorgere nell’universo quello che solo l’immaginazione fa presagire: Il serait bien plus sage de nous dire qu’il eût suffi d’un rien, de quelques papilles de plus ou de moins sur notre épiderme, de quelques ramifications déplacées dans l’œil et l’oreille, pour que la température, le silence et les ténèbres de l’espace devinssent un printemps délicieux, une musique inouïe, une lumière divine. «Rien n’est trop merveilleux pour être vrai», a dit Faraday. Il serait bien plus raisonnable de nous persuader que les catastrophes que nous y croyons voir sont la vie même, la joie et l’une ou l’autre de ces immenses fêtes de la matière ou de l’esprit, auxquelles la mort, écartant enfin nos deux ennemies, l’heure et la distance, nous permettra bientôt de prendre part.922

La polemica anti-mnemonica era presente anche nel saggio L’Immortalité (1907). Anche qui abbondano le metafore fotologiche per esprimere la condizione di cecità che coincide con la coscienza mnemonica e il desiderio di evadere dalla prigione dei sensi. Il platonismo di Maeterlinck si colora qui di sfumature gnostiche. Il problema se la sopravvivenza senza coscienza equivalga all’annientamento è il problema della coscienza: in quello specchio dorme il raggio capace di illuminare tutto il resto. Maeterlinck ipotizza che occorra evadere dalla coscienza con un gesto che apparirà di follia volontaria, ma che è probabilmente un atto di salute. Ritorna l’immagine dello specchio, del raggio prigioniero, che occorre liberare dall’autoriflessività della coscienza. Que peut donc ce miroir toujours en face de lui-même, sinon se refléter indéfiniment et inutilement? Pourtant, en ce reflet impuissant à sortir de sa propre multiplication, dort le seul rayon capable d’éclairer tout le reste. Que faire? Il n’est d’autre moyen de s’évader de sa conscience que de la nier, de la considérer comme une maladie organique de l’intelligence terrestre, maladie qu’il faut essayer de guérir par un acte qui doit nous paraître un acte de folie violente ou volontaire; mais qui, de l’autre côté de nos apparences, est probablement un acte de santé.923

Però il pensiero del nostro io, legato alla nostra memoria, si presenta costantemente per impedire simili tentativi di evasione. Tuttavia Maeterlinck insiste nel presentare la nostra situazione, legata alla caverna oscura dell’io, come quella di un popolo di ciechi nati che negasse l’esistenza della luce. Ancora una volta la 922. Ivi, pp. 254-255. 923. M. Maeterlinck, L’Immortalité, in Id., L’Intelligence des fleurs, p. 305.

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luce è legata al raggiungimento di un’incoscienza superiore, alla perdita dei confini del proprio io che, impossibile in questa vita, si può configurare solo come una specie di “destino” ultraterreno. Riguardo alla nostra ossessione per l’io mnemonico, Maeterlinck gli attribuisce le credenze di una vita anteriore che prolungherebbero nel “prima” della vita l’esistenza di un io che ci pare irrinunciabile dopo la morte. Tutto questo è assurdo: […] et voilà, avant la vie comme après la mort, l’apparition du moi mnémonique, dont il convient, une fois de plus, de se demander si ce qu’il fait durant les quelques jours de son activité est vraiment assez important pour décider ainsi, à son seul égard, du problème de l’immortalité. De ce que nous jouissons de notre moi sous une forme exclusive, si spéciale, si imparfaite, si fragile, si éphémère, s’ensuit-il qu’il n’y ait nul autre mode de conscience et nul autre moyen de jouir de la vie? Un peuple d’aveugles-nés, pour revenir à la comparaison qui s’impose puisqu’elle résume le mieux notre situation parmi la nuit des mondes, un peuple d’aveugles-nés, à qui un unique voyant révèlerait les allégresses de la lumière, nierait non seulement que celle-ci soit possible, mais même imaginable.924

Per gioire compiutamente di questo nuovo tipo di coscienza, occorre un altro senso: si tratterebbe di un senso superiore alla nostra coscienza mnemonica, che si rivelerebbe talvolta nelle impressioni di felicità o di piacere estetico assolutamente disinteressate. Queste sarebbero bagliori che filtrano attraverso l’oscurità. Pour nous, n’est-il pas à peu près certain qu’il nous manque ici-bas, entre mille autres sens, un sens supérieur à celui de notre conscience mnémonique, pour jouir plus amplement et plus sûrement de notre moi? Ne pourrait-on pas dire que nous saisissons parfois des traces obscures ou des velléités de ce sens en germe ou atrophié, en tout cas opprimé et presque supprimé par le régime de notre vie terrestre qui centralise toutes les évolutions de notre existence sur le même point sensible? N’y-at-il pas certains moments confus, où, si impitoyablement, si scientifiquement que l’on fasse la part de l’égoisme recherché jusqu’en ses plus lointaines et secrètes sources, il demeure en nous quelque chose d’absolument désintéressé qui goûte le bonheur d’autrui? N’est-il pas également possible que les joies sans but de l’art, la satisfaction calme et pleine où nous plonge la contemplation d’une belle statue, d’un monument parfait, qui ne nous appartient pas, que nous ne reverrons jamais, qui n’excite aucun désir sensuel, qui ne peut nous être d’aucune utilité; n’est-il pas possible que cette satisfaction soit la pâle lueur d’une conscience différente qui filtre à travers une fissure de notre conscience mnémonique?925

A sostegno di questa ipotesi dello svilupparsi di un senso nuovo che dischiuderebbe le gioie puramente disinteressate e prive di componente sensuale dell’arte e 924. Ivi, pp. 306-307. 925. Ivi, pp. 307-308.

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della moralità, un senso alternativo a tutti i sensi che racchiudono la coscienza attuale, Maeterlinck sostiene che il mondo ci apparirebbe completamente diverso se, ad esempio, godessimo dei nostri sensi uno alla volta e anno per anno, oppure, per dimostrare che basta lo spostamento di un accidente del nostro organismo, per generare sensi nuovi che dischiudono visioni del mondo differenti, fa il caso dell’istinto sessuale, che si sviluppa solo a partire dalla pubertà e sposta completamente la nostra concezione del mondo. Occorre notare la grande differenza fra questo passaggio e la concezione proustiana, che attribuisce al bambino il germe di quello stesso sentimento di attaccamento alla madre che migrerà più tardi nell’amore. Invece in Maeterlinck lo sviluppo dei diversi sensi avviene secondo una sovrapposizione di livelli per la quale potrebbe essere utile un confronto con Lachelier, il quale pure parla di sensi destinati a svilupparsi in un futuro e che costituiscono il germe di una diversa coscienza disinteressata: Au reste, un de ces sens, le sens génésique, qui ne s’éveille qu’aux approches de la puberté, nous montre que la découverte d’un monde imprévu, le déplacement de tous les axes de notre vie, dépend d’un accident de notre organisme. Durant l’enfance, nous ne soupçonnions point l’existence de tout un univers de passions, d’ivresses et de douleurs qui agitent “les grandes personnes”. Si d’aventure, quelque écho mutilé de ces bruits arrivait à nos innocentes et curieuses oreilles, nous ne parvenions pas à comprendre quelle espèce de frénésie ou de folie s’emparait ainsi de nos aînés; et nous nous promettions, le moment venu, d’être plus raisonnables, jusqu’au jour où l’amour brusquement apparu dérangeait le centre de gravité de tous nos sentiments et de la plupart de nos idées.926

Il saggio si conclude con l’invito ad evadere dalla prigione dei sensi, con l’invito a esperimentare attraverso l’immaginazione tutte le possibili vie d’uscita da «la morne prison de nos sens»,927 a non farsi ingannare da quelle immagini che derivano solo dalla benda premuta sui nostri occhi dalla realtà sensibile, e a coltivare in noi quella coscienza più vasta che prelude ad un modo diverso di gioire della vita: Efforçons-nous donc d’écarter de nos yeux, chaque fois qu’un nouveau rêve se présente, le bandeau de notre vie terrestre. Disons-nous que parmi toutes les possibilités que nous cache encore l’univers, l’une des plus faciles à réaliser, des plus probables, des moins ambitieuses et des moins déconcertantes, est certes la possibilité d’un mode de jouir de l’être, plus haut, plus large, plus parfait, plus durable et plus sûr que celui qui nous est offert par notre conscience actuelle.928

Malgrado quello che scrive Hodson sull’affinità tra una simile concezione e 926. Ivi, pp. 308-309. 927. Ivi, p. 310. 928. Ivi, p. 312.

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la memoria involontaria proustiana, ci pare che la contrapposizione fra i due autori non possa essere più netta e frontale. Maeterlinck considera la memoria un peso ed un’infermità, paragonabile alla malattia ed alla condizione di prigionia dei forzati nella caverna. È evidente che per lui è questione di uscire, di evadere, di liberarsi, fino all’esito paradossale di cercare tale liberazione dall’io mnemonico nella morte. Se si assume il mito della caverna come iscritto profondamente nella memoria culturale dei due autori, bisognerà allora dire che Proust, scegliendo di fare della memoria il perno su cui ruota tutta la sua opera, opta per un mitema del rientro. È del resto vero anche che gli elementi forniti da queste pagine di Maeterlinck sono di grande interesse; il carattere rapsodico dei sensi, l’ipotesi sul come ci apparirebbe il mondo se disponessimo di più sensi (o di meno) rispetto a quelli che abbiamo, l’importanza delle gioie disinteressate dell’arte e della morale sono altrettanti spunti intorno ai quali Proust ha dato, nella Recherche, formulazioni importanti. Ugualmente condivisibile ci pare l’accusa di estetismo rivolta da Proust a Maeterlinck. L’accusa contro ogni idealizzazione estetizzante della morte è presente già nel primo Proust, nella novella La mort de Baldassare Silvande che apre la raccolta Les Plaisirs et les jours. Già qui è riscontrabile una prima distinzione fra la morte contemplata come spettacolo e la morte realmente vissuta, che porta con sé la valorizzazione dell’amore carnale – e la parallela svalorizzazione dell’amore platonico, legato alle contemplazioni estetizzanti. Ciò avviene perché, secondo Proust, la morte e la malattia s’incidono profondamente nel corpo. Mariolina Bongiovanni Bertini ha poi mostrato come, nell’itinerario di Proust, il passaggio dalla contemplazione estetizzante della morte a quello che lo stesso Proust definisce il suo carattere terribilmente positivo sia fondamentale. Da un punto di vista filosofico, possiamo senz’altro individuare il punto in cui avviene il definitivo distacco da Maeterlinck nella valorizzazione del corpo, che non esclude però al corpo stesso di farsi portatore di Idee. La stessa 'reminiscenza anticipata', da cui era partito il nostro discorso, si avvera in Proust come un’incisione dell’evento futuro nella carne corporale. «Or à partir d’un certain âge nos amours, nos maîtresses sont filles de notre angoisse; notre passé, et les lésions physiques où il s’est inscrit, déterminent notre avenir».929 In questo senso, il passaggio più significativo si legge nella sezione Les Intermittences du cœur dove è la morte stessa a incidere nella carne del protagonista un’impressione dolorosa, quella della coscienza della sopravvivenza della nonna nel ricordo, in contrasto con il nulla che ella è diventata, «cette contradiction si étrange de la survivance et du néant entrecroisés en moi»,930 nella forma di una folgore: 929. AD, RTP, IV, p. 86, c.n. 930. SG, RTP, III, p. 156.

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Cette impression douloureuse et actuellement incompréhensible, je savais, non certes pas si j’en dégagerais un peu de vérité un jour, mais que si ce peu de vérité je pouvais jamais l’extraire, ce ne pourrait être que d’elle, si particulière, si spontanée, qui n’avait été ni tracée par mon intelligence, ni infléchie ni atténuée par ma pusillanimité, mais que la mort elle-même, la brusque révélation de la mort, avait comme la foudre creusée en moi, selon un graphique surnaturel, inhumain, comme un double et mystérieux sillon.931

Si tratta di un doppio solco appunto perché quest’incisione manifesta la forma duplice di ogni impressione nata da un’intermittenza. Il carattere corporale è fondamentale per la resurrezione del ricordo come per la coscienza della morte. Tuttavia, occorre fare una distinzione nell’universo proustiano tra 'anticipazioni' o 'reminiscenze anticipate' e resurrezioni vere e proprie. Le prime presuppongono una fede nella verità dei presentimenti, poiché portano con sé il segno che saranno ricordate in un futuro più o meno lontano: «Il semble que les événements soient plus vastes que le moment où ils ont lieu et ne peuvent y tenir tout entiers. Certes, ils débordent sur l’avenir par la mémoire que nous en gardons, mais ils demandent une place aussi au temps qui les précède».932 La fede nei presentimenti diviene qualcosa di razionale. Tutto ciò che appartiene al mistero, e che abbiamo trovato rappresentato ampiamente nella produzione di Maeterlinck, per Proust appartiene a una capacità «divinatoria» che è un derivato o sottoprodotto dell’intelligenza, e che è più affine all’intelligenza di quell’istinto da cui nascono le più straordinarie rivelazioni memoriali. Ricordiamo la celebre distinzione fra il carattere tridimensionale del ricordo resuscitato e il carattere bidimensionale delle idee colte nella piena luce dell’intelligenza. Sembra che per Proust queste ultime siano affini al mistero dei presentimenti. Esse rivelerebbero o sarebbero la spia di un carattere intimamente razionale della realtà – in grado, fra l’altro, di garantire la comunicazione degli spiriti sotto forma di una specie di Armonia prestabilita.933 Questo è il senso delle divinazioni critiche 931. Ibid. 932. LP, RTP, III, p. 902. 933. Ciò appare confermato, a nostro parere, dall’immagine squisitamente leibniziana dello “specchio dello spirito” cui Proust ricorre quando deve esprimere il fenomeno della co-presenza degli avvertimenti organici della morte nel corpo del narratore e dei presentimenti della sua prossima morte nello spirito: «Je ne pense pas que le jour où j’étais devenu un demi-mort, c’était les accidents qui avaient caractérisé cela, l’impossibilité de descendre un escalier, de me rappeler un nom, de me lever, qui avaient causé par un raisonnement même l’idée de la mort, que j’étais déjà à peu près mort, mais plutôt que c’était venu ensemble, qu’inévitablement ce grand miroir de l’esprit réflétait une réalité nouvelle» (TR, RTP, IV, p. 620). In questa frase Proust pare escludere di netto una comunicazione fra il corpo e lo spirito, anche per l’intermediazione del ragionamento; sembra proprio riportarsi all’azione coordinata e simultanea, ma separata, di entrambi, in cui lo specchio dello spirito riflette a suo modo (e anzi quasi anticipa) le oscure intuizioni organiche del corpo : è la nozione stessa – che aveva reso celebre Leibniz – di Armonia Prestabilita fra il corpo e l’anima.

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che Proust attibuisce a Gregh, nella lettera da noi citata sul mistero della fortuna, laddove Proust parla di «actes d’une raison secrète». Questo lato insieme misterioso e razionale della realtà, ascrivibile anche alla presenza di Maeterlinck nei testi proustiani e alle sue ascendenze leibniziane, si rivela in modo privilegiato nel compito del lettore, che è quello di essere «la pleine conscience d’un autre».934 La lettura appartiene all’intelligenza, per questo il suo compito è limitato. Allo stesso modo l’intelligenza e il mistero compaiono nella funzione ancillare che Proust le assegna nella scrittura: quella di fornire le pitture dettagliate che fanno da raccordo fra i grandi pilastri della resurrezione memoriale. Anche qui si adombra una funzione che abbiamo già incontrato nel retaggio maeterlinckiano di Proust: quella di fornire il raccordo fra una parte e l’altra dell’opera già scritta per mezzo di una costruzione essenzialmente metonimica. Lo stile metonimico, lo stile della velocità, che si alimenta della contiguità spazio-temporale, equivale, per usare i termini di Deleuze, in trasformazione dell’intensità primaria dell’impressione in distanza, cioè ad un correre verso la morte. Il rettilineo del progresso – la fede positivista di Maeterlinck, «positiviste dans l’absolu» – non ha altro senso che quello della corsa incontro alla morte. Ma si tratta di una corsa sterile, a dispetto delle speranze oltremondane di cui si compiace l’ultimo saggio. Speriamo tuttavia di aver posto in luce, nel corso di questo lavoro, anche una funzione positiva dell’intelligenza: quella di stabilire legami strutturali. Maeterlinck è intimamente collegato, nella memoria culturale proustiana, alla critica e insieme alla rivalutazione dell’intelligenza, che fornisce quei nessi ovvero le “reminiscenze anticipate”: pennellate di luce che donano unità retrospettiva all’opera.

934. TR, RTP, IV, p. 473.

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« Col capo reclino dormiva, le membra abbandonate… E intanto la splendida dea ambrosia su di lei versava; con unguento di ambrosia le tergeva il bel viso, l’unguento di cui si cosparge Citerea dalla bella ghirlanda, quando va delle Cáriti all’amabile danza. » Odissea, XVIII

Stampato per Le Cáriti di Firenze nel mese di maggio 2014.

Catalogo Le Cáriti

« Mnemosine » La biblioteca delle Cáriti 1 2 3 4 5 6 7 9

Dino Campana, Il più lungo giorno Claudio Claudiano, Epitalami e fescennini Federigo Tozzi, Bestie Gerard Manley Hopkins, Poesie Christoph Martin Wieland, Pensieri sugli ideali degli antichi Charles Baudelaire, I fiori del male Tomaso Tomasi, Gli ultimi tratti d’una penna che muore Pasquale Villari, Le origini del comune di Firenze ◊

« Logos » Biblioteca di saggistica 1 2

Alessandro Parronchi, Due saggi danteschi Giovanni Capecchi, Palazzeschi e la leggerezza 3 Walter Schweidler, Il concetto di filosofia in Wittgenstein 4 Mascia Cardelli, La prospettiva estetica di Lionello Venturi 5 Floriana Calitti, Fra lirica e narrativa. Storia dell’ottava rima nel Rinascimento 6 Nicolas Faure, Philippe Lacoue-Labarthe, Jean-Luc Nancy, Ritratti / Cantieri 7 Lucette Finas, Il raggio della lettura. Proust ritocca Balzac 8 Enzo Fantin, Il suono vivente. Guida a una fenomenologia della musica 9 Alice Gonzi, Jules de Gaultier: la filosofia del bovarismo 10 Anna Di Giglio, Gli strumenti a percussione nella Grecia antica 11 Aurelio Canonici, Musica e Sofía. Problematiche filosofiche nell’opera di Richard Wagner 12 Marco Piazza, Redimere Proust. Walter Benjamin e il suo segnavia 13 Massimo Seriacopi, Pascoli esegeta di Dante. Con una raccolta di studi inediti pascoliani

14 Luigi Rossi (a cura di), Temi di storia contemporanea 15 Giovanni Capecchi (a cura di), Mezzo secolo dal “Gattopardo”. Studi e interpretazioni 16 Ilaria Natali, Demoni, fantasmi, apparizioni. Il soprannaturale negli scritti di Daniel Defoe 17 Roberto Mancini, Liturgie totalitarie. Apparati e feste per la visita di Hitler e Mussolini a Firenze (1938) 18 Viviana Agostini-Ouafi, Nel buio regno. Proust, Michelet e Debenedetti 19 Laura Corti, I luoghi del miracolo. Guarigioni alle sepolture dei santi 20 Cristiana Brunelli, La ballata romantica italiana 21 Roberto Fedi, Scritture ottocentesche. I 22 Roberto Fedi, Scritture ottocentesche. II 23 Marcello Fantoni (a cura di), I gesti del potere 24 Silvio Ramat, Citando e recitando. Dante Petrarca Foscolo Leopardi: la loro voce nei nostri contemporanei 25 Giuseppe Girimonti Greco, Sabrina Martina, Marco Piazza (a cura di), Proust e gli oggetti 26 Mascia Cardelli, Vagheggiatori delle arti belle. Su riviste e su opuscoli nel primo Risorgimento 27 Sabrina Martina, Proust e Maeterlinck. Il chiarimento delle percezioni oscure ◊ « Eufrosine » Collezione di piccoli saggi 1 2 3 4 5

Friedrich Nietzsche, Sulla musica e la parola Immanuel Kant, Il piacere di ridere Giovanni Pascoli, Due scritti inediti di esegesi dantesca Bertrando Spaventa, Giambattista Vico Federigo Tozzi, Fra d’Annunzio e Pirandello. Scritti su Carducci, d’Annunzio, Pascoli, Verga e Pirandello

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Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, Storia italica. Con inediti dal carteggio Wilamowitz – Gaetano De Sanctis Francesco D’Ovidio, Dante e la filosofia del linguaggio Girolamo Vitelli, Lettere storico-filologiche a Giorgio Pasquali ◊

« Estremo Occidente » Saggi di storia e cultura delle Americhe 1 2 3

« Aglaia » Piccola collana di recuperi letterari

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1 2 3

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Torquato Tasso, Lettere dal manicomio Immanuel Kant, Il piacere di ridere Francesco d’Assisi, Messaggio a tutti gli uomini Jonathan Swift, Elogio del rutto Giambattista Marino, La canzone dei baci Nicolas de Chamfort, Le donne, o le conosci o le ami Johann Joachim Winckelmann, Il sentimento del bello Jan Amos Comenio, Fondamenti per allungare la vita Heinrich Heine, Le donne di Shakespeare Taras Sevcenko, La fanciulla mutata in giglio Fanny Lewald, Il diavolo dell’arte Ludovico Ariosto, La novella di Fiordispina Orsatto Giustinian, Sonetti alla moglie Edmondo De Amicis, Nel giardino della follia Epicuro, Frammenti. Da Cicerone e Seneca François-René de Chateaubriand, Shakespeare e i suoi contemporanei Hagiopolites. Un trattato bizantino sulla musica ◊

« Cleta » Collana di traduzioni d’autore 1 2 3

Isocrate, Avvertimenti morali, nella versione di Giacomo Leopardi Percy Bysshe Shelley, Dodici liriche, nella versione di Adolfo De Bosis Christoph Martin Wieland, La festa delle Grazie, nella versione di Carlo Antonio Gambara ◊

Andrès Bello, Analisi ideologica dei tempi della coniugazione castigliana Roberta Giordano, Dalla decadenza della politica alla decadenza dello Stato. Il Venezuela di José Rafael Pocaterra Mariarosaria Colucciello, Libertà come speranza. Utopia e prassi politica in America latina: Gustavo Gutiérrez Giuseppe Palmisciano - Antonio Scocozza, “Fratelli di… Chávez”. Dieci anni di rivoluzione bolivariana nella pubblicistica italiana (1999-2009) Graziano Palamara, Nella morsa degli imperialismi. L’America Latina nell’arena internazionale dall’età dei libertadores agli inizi del nuovo millennio ◊

« Opera prima » Collana di studi di cultura filosofica 1 2 3 4 5 6 7

Roberto Mazzola, Metafisica Storia Erudizione. Saggi su Giambattista Vico Anna Pia Ruoppo, Vita e metodo nelle prime lezioni friburghesi di Martin Heidegger (1919-1923) Roberto Colonna, Filosofía sin más. Leopoldo Zea e i «Cuadernos Americanos» Chiara Meta, Antonio Gramsci e il pragmatismo. Confronti e intersezioni Maria Della Volpe, La vera storia dell’umanità. Benedetto Croce e la religione dei tempi nuovi Roberta Visone, Prima dell’evoluzione. Le radici politiche della filosofia di Spencer e la Social Statics del 1850 Chiara Russo Krauss, Il sistema dell’esperienza pura. Struttura e genesi dell’empiriocriticismo di Richard Avenarius ◊

« Pensamiento Latino » Collana di filosofia iberica e iberoamericana (nuova serie) 1

Stefano Santasilia, Tra Metafisica e Storia. L’idea dell’uomo in Eduardo Nicol

◊ « Talia » Piccola raccolta di scrittura contemporanea 1

Alessandro Parronchi, « Quel che resta del giorno » 2 Maurizio Pistelli, « Montalbano sono » 3 Paolo Euron, Nulla si impara dalle sconfitte troppo lente 4 Roberto Fedi, I poeti preferiscono le bionde 5 Tommaso Meozzi, La superficie del giorno 6 Lino Gambacorta, Senza finestre 7 Massimiliano Chiamenti, evvivalamorte 8 Paolo Bensi, Juana 9 Mascia Cardelli, Expertise per Wieland. Sull’Anonimo traduttore del “Socrate delirante” (1781) 10 Massimo Seriacopi, Dal male all’Amore. Appunti sul viaggio di Dante Alighieri 11 Jacqueline Spaccini, Quei corpi in cielo senza più calore. Miti e realtà del Risorgimento ◊ Con il marchio Finisterre: « Finisterre poesia » 1 2 3

Guillaume Apollinaire, Vitam impendere amori Emily Dickinson, Un tempo compiuto e perfetto Sergio Corazzini, Libro per la sera della domenica ◊

Riviste: fronesis semestrale di filosofia letteratura arte rocinante rivista di filosofia iberica e iberoamericana ◊ « Excepta » Estratti da fronesis 1 2

Jean-Luc Nancy, I due segreti del feticcio Giorgio Bàrberi Squarotti, Giuditta moder-

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na: d’Annunzio, Hebbel dopo Voltaire e Monti Giuseppe Antonio Borgese, 22 lettere inedite a Emilio Cecchi Erasmo da Rotterdam, Su Oxford e l’umanesimo inglese (tre lettere a William Mountjoy) Wilhelm Windelband, Significato e concetto della filosofia William Breazeale, Il Caravaggio, il Carracci e la cappella Cerasi Fabrizio Impellizzeri, L’opera di Pierre Klossowski dalla scrittura sensuale alla pittura sensoriale

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