Ludovico Balbi \'magister musicae\' nel Veneto del secondo Cinquecento

July 4, 2017 | Autor: Stefano Lorenzetti | Categoría: Church Music, Musicology, Renaissance Studies, Renaissance music
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Balbi e il suo tempo

Balbi e il suo tempo € 15,00

LIM

A cura di Alberto Da Ros e Stefano Lorenzetti Libreria Musicale Italiana

© 2011 Libreria Musicale Italiana srl, via di Arsina 296/f, 55100 Lucca [email protected] www.lim.it Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodotta, archiviata in sistemi di ricerca e trasmessa in qualunque forma elettronica, meccanica, fotocopiata, registrata o altro senza il permesso dell’editore, dell’autore e del curatore. ISBN 978-88-7096-650-3

BALBI A TTI

DEL

E IL SUO TEMPO

C ONVEGNO I NTERNAZIONALE F ELTRE , 4 GIUGNO 2005

A CURA DI

A LBERTO D A R OS E

S TEFANO L ORENZETTI

Libreria Musicale Italiana

DI

S TUDI

SOMMARIO

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Giulio Cattin Introduzione BALBI E IL SUO TEMPO

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Paolo Da Col Ai confini della Serenissima Stefano Lorenzetti Ludovico Balbi ‘magister musicae’ nel Veneto del secondo Cinquecento Vittorio Bolcato L’eredità musicale di Costanzo Porta nelle composizioni di Ludovico Balbi Piervito Malusà Il manoscritto di Feltre

STEFANO LORENZETTI

LUDOVICO BALBI ‘MAGISTER MUSICAE’ NEL VENETO DEL SECONDO CINQUECENTO

Exordium Se non fosse per il libro di salmi – offerti in dono al capitolo della cattedrale quale segno di ringraziamento per aver acconsentito alla sua prematura partenza – che lo lega ab aeterno alla città, il rapporto tra Lodovico Balbi e Feltre sarebbe stato assai evanescente, durato appena lo spazio di un anno. Eppure, almeno a dar credito alle parole che accompagnano il manoscritto, il legame – interrotto bruscamente per la salute precaria del maestro, ‘offesa’ dal clima inclemente – dovette essere assai forte e sentito: pur attraverso il filtro dell’eloquio retoricamente orientato della dedicatoria, traspare, per quella fuga obbligata, un umanissimo rimpianto che non ha eguali nella sua vicenda esistenziale.1 Del resto, potremmo chiederci se evanescenza e precarietà, instabilità e provvisorietà siano caratteristiche unicamente legate a questa storia, o se, forse, possano assumere, sperimentalmente, i contorni di categorie esplicative che proiettino una qualche luce sul ‘sistema’ delle cappelle musicali venete, sistema assai vivo e fecondo, ma anche fortemente discontinuo, economicamente assai fragile, politicamente in acrobatico equilibrio tra le istanze della giurisdizione ecclesiastica e quelle del potere civico.

1.

Sul ms. si veda il saggio di Piervito Malusà in questo stesso volume.

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Gli anni veneziani (1570-1582) La carriera del magister feltrensis era iniziata molti anni prima, nell’amata Venezia che, probabilmente, gli aveva dato i natali. In mancanza del rinvenimento dell’atto di battesimo, soccorre una lettera di Costanzo Porta, del 1579, che lo definisce «uomo d’anni circa trentaquattro»: dunque, la sua nascita sarebbe da collocarsi intorno al 1545.2 Da allora, il primo significativo segno dell’esistenza professionale di Ludovico Balbi è la stampa della raccolta di madrigali a quattro voci edita da Gardano nel 1570. Dal frontespizio si evince che, a quell’epoca, egli era cantore in San Marco.3 L’opera è dedicata a Vito De Dorimbergo, un personaggio di spicco della Venezia del tempo: ambasciatore imperiale nella città lagunare, comandante tra il 1570 e il 1594 del Castello di S. Giusto a Trieste, procaccia musicisti per conto dell’arciduca Carlo d’Austria, fratello dell’imperatore Massimiliano. Il caso di Giulio Bonagionta che si rifugia da Ottavio Farnese, rifiutandosi di ottemperare all’impegno di prendere servizio presso l’arciduca, è paradigmatico tanto del ‘sottofondo clientelare’ su cui si svolgeva la carriera di musicista, quanto del ruolo di mediazione diplomatica svolta da questi gentiluomini per conto della grande aristocrazia.4 2. 3.

4.

La lettera in questione è riportata in ANTONIO GARBELOTTO, Il padre Costanzo Porta da Cremona O.F.M., grande polifonista del ‘500, in «Miscellanea francescana», LV (1955), pp. 88-266: 129-130. Dalla dedicatoria delle Ecclesiasticarum Cantionum Quatuor vocum (Venezia 1578), consacrate all’arcipresbitero e ai canonici della cattedrale di Verona, si desume un passato veronese che, probabilmente, è antecedente all’esperienza di cantore in San Marco: «Magnificis et Reverendis D. D. Archipresbytero, et Canonicis, ac Capitulo Ecclesiae Cathedralis Veronae Ludovicus Balbi servus deditissimis S.P.D. Cum primum a vobis discesserim, Venetia suè appulerim, nihil mihi erat antiquius, quam vobis (uti debeo) salutem plurimam mittere». Due lettere del 25 settembre (ASPR-CFE Venezia, 512) e del 19 ottobre del 1568 (ASN-AF, fascio 26, fascicolo 4) ci consentono di ricostruire, almeno parzialmente, la dinamica della vicenda. Il Bonagionta aveva già ricevuto, per l’impegno preso, una considerevole provvigione e il Dorimbergo, profondamente seccato per l’inaspettato voltafaccia del suo pupillo, che, nello stesso anno, gli aveva dedicato i suoi Amorosi concenti, pretende che, almeno, i

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Tre anni dopo, da una lettera scritta da Ravenna dal cardinale Giulio Feltrio Della Rovere ai padri del convento dei Frari di Venezia per perorare le sorti di Lodovico, «degno di essere accettato nel numero de’ padri del convento», si evince che egli era divenuto membro dei minori conventuali.5 Non essendo certo usuale che un cardinale intervenisse personalmente per raccomandare un novello frate, la lettera potrebbe interpretarsi come la prima, indiretta testimonianza del ruolo svolto dal suo maestro, Costanzo Porta, nelle vicende del Nostro. Il Porta, infatti, era in stretti rapporti con il cardinale fin da gli anni ’60, quando ricopriva la carica di maestro di cappella alla cattedrale di Osimo. In seguito, sarà il Della Rovere stesso a volerlo prima (dal 1567) alla cattedrale di Ravenna, e quindi (dal 1574) a capo della famosa cappella lauretana. Come un fiume carsico che, attraversando intere regioni senza dare segno di sé, improvvisamente raggiunge la superficie, allo stesso modo la figura di Costanzo Porta appare allo storico come il motore sotterraneo che promuove la carriera di Balbi, il porto sicuro cui approdare in caso di tempesta, il protettore eccellente cui, fin da subito, si legano i destini della recezione dell’opera dell’allievo prediletto. Come ‘specchio’ del maestro, Ludovico è accolto nello splendido in folio delle Historiarum Seraphicae Religionis, scritto da Pietro Ridolfi, vescovo di Senigallia: F. Costantius Porta Cremonensis Musicus hoc tempore insignis Magister Capellae Lauretanae modulationes quasdam laude dignas composuit anno 1578. Reliquia post se insignis discipulos, inter caeteros floret sub hoc tempore Paduae Lodovicus Balbus Venetus eius aemulator, qui suis modulationibus ubique acceptus est.6

5.

6.

soldi versati gli vengano restituiti. Ovviamente, sia le reali ragioni del comportamento del musicista, sia il possibile ruolo assunto da Ottavio Farnese nella vicenda sono del tutto sottaciuti. Lettera del 5 novembre 1573 (ASV, S. Maria dei Frari, b. 94, n. 34). Un breve sunto del contenuto può leggersi in ANTONIO SARTORI, Documenti per la storia della musica al Santo e nel Veneto, a cura di Elisa Grossato, con un saggio di Giulio Cattin,Vicenza, Neri Pozza editore, 1977, p. 5. PIETRO RIDOLFI, Historiarum Seraphicae Religionis libri tres seriem temporum continentes, quibus breui explicantur fundamenta, uniuersique ordinis amplificatio, gradus, et instituta; nec non uiri scientia, uirtutibus, et fama praeclari,Venezia, Fran-

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«Eius emulator»: l’appellativo, senza possedere alcuno dei significati riduttivi che una moderna sensibilità sarebbe incline a proiettare su di esso, rivendica una paternità eccellente che è chiave della pubblica legittimazione delle opere del discepolo, esplicito segno di un legame ‘cortigiano’, che possiamo eleggere a paradigma, simbolico ed operativo assieme, della rete di relazioni tipica di una società di Antico Regime, per cui il sistema gerarchicamente sovraordinato dei rapporti interpersonali è elemento essenziale della politica di promozione sociale dell’artista. Rapporti, in questo caso, nutriti, oltre che da un affetto filiale, da una sincera stima professionale, e dalla medesima appartenenza all’ordine francescano. In tal senso, non è da sottovalutare la scelta di Balbi di prendere i voti: oltre alle insondabili prerogative della vocazione personale, essa deriva, per lui come per la stragrande maggioranza dei musici del suo tempo, dalla constatazione che il ‘sistema chiesa’ offriva opportunità infinitamente maggiori di quelle offerte dal ‘sistema corte’:7 oltre alle rendite ecclesiastiche di cui solo una parte dei chierici poteva beneficiare,8 la sistematica disseminazione sul territorio delle chiese, costituisce un formidale contesto potenziale per le opportunità di lavoro di compositori, cantori e strumentisti fra Cinque e Seicento.9

7.

8.

9.

ciscum de Franciscis Senensem, 1586, lib. III, p. 312. Privilegiando le espressioni ‘sistema chiesa’ e ‘sistema corte’ si è scelto di enfatizzare una differenza di contesti e di funzioni, anziché contrapporre rigidamente potere religioso e potere laico, consapevoli che la non sempre armoniosa compartecipazione dei due poteri era largamente praticata, soprattutto nelle gestione delle grandi chiese metropolitane. Cfr. al proposito la vicenda esemplare di Nicola Vicentino, ben ricostruita da Davide Daolmi (Don Nicola Vicentino Arcimusico in Milano. Il beneficio ecclesiastico quale risorsa economica prima e dopo il Concilio di Trento. Un caso emblematico, Lucca, LIM, 1999). Sul potere di ‘attrazione’ esercitato dagli ambienti ecclesiastici sui musicisti, cfr. in part. CHRISTOPHER REYNOLDS, Musical Careers, Ecclesiastical Benefices and the Example of Johannes Brunet, in «Journal of the American Musicological Society», XXXVII (1984), pp. 49-97, che ricostruisce il sistema beneficiario della corte avignonese.

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Dal frontespizio del suo secondo libro di madrigali, edito nel 1576 e dedicato al «molto magnifico signor Georgio Luche, englese»,10 si evince che il Nostro, a quella data, era già «maestro di capella d’i fra minori della cha grande»:11 evidentemente lo status di religioso recemente acquisito, assieme alle influenti protezioni di cui godeva, avevano già prodotti i primi frutti. Pochi anni dopo, sempre grazie ai buoni uffici del suo maestro, si presenta un’importante opportunità professionale, che avrebbe potuto cambiare completamente il corso dell’esistenza di Ludovico: Carlo Borromeo chiede a Costanzo Porta di assumere l’incarico di maestro di cappella del duomo di Milano. Il musicista cremonese, forse per lealtà nei confronti del Della Rovere, rifiuta l’incarico e propone, in sua vece, la candidatura dell’allievo prediletto. Il carteggio col cardinale dura tre anni, e rivela quanto delicata e complessa fosse l’opera di promozione del Balbi nell’entourage milanese.12 Alla fine, con zelo, abilità, ed insistenza discreta, 10. Non si sono potute rintracciare notizie sul gentiluomo cui è dedicata la raccolta. Dalla dedica, tutta costruita sulla convenzionale metafora del nocchiero-protettore, si desume semplicemente che egli si dilettava di musica: «A guisa de Provido Nochiero […] più felice stella e scorta elleger non poteva, ch’al bramato porto questa mia seconda fatica delli Madrigali à quattro voci condur potesse, quanto ch’el patrocinio di quello ch’ogni altro fulgentissimo, celeste segno, in grandezza, lume, e perfettione prevale, e di gran lunga vince e signoreggia, con questa opra dall’intimi secreti dell’arte Musicale con somma diligentia cavata, volendo dimostrar l’oservanza non mediocre che tengo seco, e per liberarla dall’inundationi del mare, ch’amara con le loro detrationi apresso alcuni render la potrebono: ho determinato à S.S. come à quella che de tal honorata professione si dilleta è gode, dedicarla, donarla, e consacrarla: Quella donque, come mio affettionatissimo Mecenate, non risguardando al dono, ma à chi lo dona con fronte allegro, l’accetti, si come da me di cuore gli vien donato, che di tal favore, certo mai sarò scordevole. La conservi poi nella gratia sua quello che gl’ha donato, & hora conferma ogni sua servitù e potere. Di Venetia lì 10 Decembre. Di S.S. affetionatissimo Servitor Ludovico Balbi»). 11. La notizia è confermata da una lettera del provinciale di Padova del 30 dicembre 1577 in cui Ludovico Balbi viene detto «già maestro di cappella dei Frari» (ASV, S. Maria dei Frari, b. 94, n. 42). Un breve sunto del contenuto può leggersi in ANTONIO SARTORI, Documenti… cit., p. 5. 12. Il carteggio è riprodotto in ANTONIO GARBELOTTO, Il padre Costanzo Porta… cit., pp. 128 e 134-138.

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Porta riesce nel suo intento, ma, inaspettatemente, sarà l’allievo a negarsi: Ho scritto un’altra mia a V.S. [il cardinale Borromeo] narrandole il mancamento fattomi da Frate Lodovico Balbi, et della confusion mia che sento appo’ lei per colpa sua, poi che fonda la ragion sua, che ogni volta vivesse fuori del convento, mai gli parrebbe d’esser sicuro in coscienza… Di Ravenna li XV d’Ottobre del 1582. Di V.S. Illustrissima e Reverendissima humilissimo servitor fra Costanzo Porta.

Purtroppo, la lettera che avrebbe dovuto spiegare dettagliatamente i motivi del «mancamento» del Balbi, manca dall’epistolario, ma fin dal momento in cui quest’ultimo prende atto dell’intenzione di Porta di candidarlo al posto di maestro di cappella del Duomo di Milano, velatamente manifesta una scarsa disponibilità a lasciare Venezia, solo debolmente occultata dal rispetto e dalla affettuosa riconoscenza per l’insegnante ed amico: Intorno poi la cosa de Milano, so per far tutto quello che piacerà a voi, e so tal che mi so accomodar al tempo, Dio gratia, le dico bene che so in una città come in una delle prime del mondo, in casa mia, con ogni comodità, camera che posso dir buona. Le spese del Convento come sapete per il compagno et anco fra certi e in certi guadagno cento e cinquanta ducati […]. So che mi amate, e mi desiderate commodo e honor e io mi prometto far perpetuamente quello ho fatto per il passato, da buon figlio discepolo e servitore aspettavo non di meno le dico che anderò quando così mi comandate, perché sò per far tutto quello mi sarà commesso da voi, si starò mal patirete voi perché venirò a star con voi a Loretto. L’opera sarà finitta per Natalle e io non mancarò di rivederla ciò siate servito secondo el vostro desiderio; avvertite che il Signor Illustrissimo Cardinale non mi volesse mandar per Nattal a Millano, per rispetto del opera nuova, subito finita l’opera e che io ve l’habbi mandata farò quanto mi sarà commesso restandomi con obligo perpetuo della nuova cortesia, et amorevolezza alla qual mi ofro e raccomando. Di Venetia Adì 31 Ottobre 1579. Vostro figliolo S. Frà F. Lodovico Balbi.

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Sebbene, dal tenore della missiva, ci appaia assai soddisfatto della sua condizione socio-economica, Balbi accetta di concorrere, appena l’anno seguente, al posto vacante di maestro di cappella della cattedrale di Padova. Nuovamente, Costanzo Porta, ancora impegnato nella mediazione milanese, intercede in suo favore, ma, questa volta, la sua lettera di raccomandazione non sortisce effetto, ed è Giovanni Battista Mosto ad essere nominato il 7 novembre.13 All’inizio di quello stesso 1580 esce la prima raccolta di musica sacra del Balbi, le Missae quatuor quinque vocum, dedicate ai presidenti dell’Arca del Santo che ringraziano l’autore con una elargizione di venti scudi.14 Letta in rapporto al futuro destino professionale del frate, la dedicatoria rivela tutta la sua valenza strategica: costruire un rapporto con l’ambiente della basilica padovana che possa consentirgli, qualora si verifichi l’opportunità, di concorrere con speranza di successo, alla carica di maestro di cappella. Tale opportunità si verificherà solo cinque anni dopo con la morte, nel febbraio 1585, di Bonifacio Pasquali. Il periodo padovano (1585-1591) Tra l’ottobre 1582 e l’aprile 1585 le fonti tacciono, ma possiamo ipotizzare che Balbi sia rimasto ai Frari sino alla sua elezione a maestro di cappella del Santo, avvenuta il 18 maggio.15 I sei anni di permanenza a Padova furono assai tribolati, sebbene le difficoltà 13. Al concorso parteciparono Giovanni Battista Mosto (12 voti), Oliviero De Ballis (4 voti), Marco Antonio Pordenon (2 voti), Filippo De Duch (7 voti), Vittorio Raimondo (0 voti), Leonardo Meldert (3 voti), Ludovico Balbi (9 voti), Bartolomeo Spontone (8 voti), Domenico Micheli (10 voti). Cfr. RENATO CASIMIRI, Musica e musicisti nella cattedrale di Padova, in «Note d’archivio», XVIII (1941), 1941, pp. 112-113. 14. «Havendo il r. p. Lodovico Balbo maestro di cappella nella chiesa dei frati minori in Venetia questa matina dedicato alli rr. Et magnifici presidenti della ven. arca del glorioso S. Antonio Confessor una sua composizione di messe a cinque voci stampata l’anno presente, et essendo conveniente mostrar gratitudine d’animo verso detto r. padre […] ditta gratitudine si faccia con denaro di detto ven. arca […]. Et a detto r. p. fra Lodovico siino dati per recognitione scudi vinti d’oro» (17 febbraio 1580, ASP, Notarile, t. 2501, c. 497). Cit. in ANTONIO SARTORI, Documenti… cit., p. 5.

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che lo angustiarono e che possiamo parzialmente ricostruire grazie ad una documentazione più generosa del solito, non fossero poi così peculiari di quel contesto. Esse ci parlano di tensioni tipiche di quegli anni e tipiche di quelle istituzioni: continue richieste di anumento di salario, problemi di disciplina con i cantori che porteranno alla chiusura, subito revocata, della cappella nel 1586,16 allargamento degli organici, insofferenza alle clausole contrattuali e alla limitazione della libertà personale che ne derivava. La parabola del suo soggiorno padovano è stata ricostruita da Jessie Ann Owens,17 e qui non resta che sottolinearne alcuni aspetti sottaciuti, come pure tentare una valutazione complessiva di quell’esperienza. Nonostante la dialettica vivace instauratasi con i presidenti dell’Arca, si ha l’impressione, da un lato, che quest’ultimi abbiano mantenuto una condotta sostanzialmente corretta nei confronti del loro maestro, e, dall’altro, che Balbi abbia svolto un lavoro prezioso, unanimemente apprezzato. La stima dei superiori nei confronti del suo operato si evince, oltre che dai tentativi di trattenerlo ad ogni costo, dalla disponibilità a finanziare la sua produzione a stampa con anticipi sul salario, e dalle regalie elargite per edizioni dedicate ai presidenti per composizioni manoscritte offerte in dono.18 In un caso l’attaccamento dei presidenti dell’Arca nei confronti del loro maestro è partico15. «Ritrovandosi la capella di questo honoratissimo tempio senza maestro per la morte del r. p. Bonifacio da Bologna, seguita nel mese di febbraio passato […], per anni cinque prossimi che comincerano il primo di zugno prossimo sii condotto il r. p. fra Lodovico Balbi da Venetia per maestro di capella, con sallario de ducati ottanta, con li capitoli con li quali fu già condotto il r. p. Bonifacio, et più siino dati al convento ogn’anno ducati dodeci per pane et vino che quotidianamente darà al suo compagno fin che durerà detta condotta sicome fin’hora è sta’ osservato» (18 maggio 1585, ASP, Notarile, t. 2501, c. 685v). Cit. in ibidem. 16. Cfr. GIOVANNA BORRELLI, Ludovico Balbi e gli «Ecclesiastici concentus», in «Il Santo», IV (1964), pp. 103-109: 105. 17. Cfr. JESSIE ANN OWENS, Il Cinquecento, in Storia della Musica al Santo di Padova, a cura di Sergio Durante e Pierluigi Petrobelli, Vicenza, Neri Pozza editore, 1990, pp. 27-92: 57-78. Sulla storia della cappella si veda, inoltre, ANTONIO GARBELOTTO, La Cappella musicale di S. Antonio in Padova. Profilo storico-documentario dagli inizi a tutto il ‘500, in «Il Santo» V (1965), pp. 3-43; VI (1966), pp. 3-62; IX (1969), pp. 425-440; X (1970), pp. 375-379.

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larmente significativo: nel maggio 1589, il frate chiede di potersi ritirare a Venezia a causa dei suoi impegni all’interno dell’ordine. Due nomine importanti, infatti, gli erano state attribuite: Hauto in governo dal conseglio delli rr. pp. di Venetia il luogo di San Giacomo de Pallude, luogo fu molta mia sodisfation et utilità et ultimamente dalla congregatione capitolare creato custode della custodia di Venezia, officio di dignità et utilità insieme, et essendomi fatta istantia dì dal conseglio de pp. di Venetia in rispetto del luogo come da superiori in rispetto del officio, per non perder il luogo e l’officio, ambidoi a me utili per la servitù della cappella col salario della quale non posso tratenermi, supplico et prego humilmente le ss. Vv. m. rr. et magnifiche a darmi bona licentia, sicuro che non mancheranno sogetti degni di questa honoratissima chiesa.19

La carriera interna all’ordine lo portava a doversi occupare del convento di San Giacomo della Palude, eretto dalle monache cistercensi intorno al 1238 e, a quel tempo, in carico ai confratelli di Santa Maria dei Frari, e della Custodia di Venezia, di cui il capitolo generale lo nomina custode.20 Balbi, per l’officio e i conseguenti benefici ecclesistici connessi che, di norma, per essere elargiti richiedevano la residenza in loco, chiede dispensa, ma la presidenza

18. Il 4 aprile 1587 chiede un anticipo di quaranta ducati sul salario per la pubblicazione di due sue opere (cfr. ANTONIO SARTORI, Documenti… cit., p. 6). Si tratta, evidentemente delle due stampe che uscirono quell’anno: la sua revisione del Graduale et Antiphonarium omnium dierum festorum ordinis minorum e l’Officium et Missa SS. Trinitatis che verrà dedicato ai presidenti dell’Arca. Per quella dedica l’autore riceverà un donativo di 30 scudi da spendere per il suo vestiario (cfr. ANTONIO SARTORI, Documenti… cit., p. 7, come si evince chiaramente dalla documentazione pervenutaci, si tratta di quest’ultima raccolta e non del Graduale, come ritenuto erroneamente dalla Owens). Il 29 gennaio 1588 gli viene elargito un donativo di 30 scudi per l’offerta ai deputati di un’opera «scritta à penna» contenente 32 mottetti; il 30 dicembre 1590, Balbi ricevette un’altra ricompensa di «libre cento de piccoli» per «una Messa à sette voci scritta à penna» (cfr. OWENS, Il Cinquecento cit., p. 74). 19. ANTONIO SARTORI, Documenti… cit., p. 7. 20. Le «custodie» erano una sorta di circoscrizioni in cui si suddividevano le «provincie».

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dell’Arca, pur di trattenerlo, riesce ad ottenere dal cardinale Della Rovere la deroga dall’obbligo di residenza.21 Balbi, dal canto suo, si impegnò in una profonda opera di riforma della cappella iniziatasi con la formulazione di nuovi capitoli nell’agosto dell’86 e perseguita mediante un costante arricchimento degli organici: a lui, ad esempio, si deve l’introduzione del violino che, assieme ad un trombone ed a «li quattro dalli concerti», costituiva l’ensemble strumentale.22 L’impiego degli strumenti si riferiva a due prassi diverse, seppur parallele:23 violino e trombone erano impiegati durante la polifonia ordinaria «a cappella» senza organo, per raddoppiare o sostituire le voci estreme, soprano e bas-

21. «Molto magnifici signori come fratelli: conforme al desiderio mio di fare cosa grata a vv. ss. mi vengo a contentare, come pur anco fa mons. generale, che il p. Lodovico Balbi, eletto custode della custodia di Venetia, possi seguitare nel officio di maestro di capella costì, mentre però per questa prima volta egli faccia la visita personalmente. Et per fine alle ss. vv. offerendomi a’ suoi piaceri me le ricordo di tutto cuore et prego Dio le conservi. Di Roma alla V di agosto 1589. Di vv. ss. molto magnifiche, come fratello Hier. Card. Dela Rovere». Ivi, p. 8. 22. Cfr. JESSIE ANN OWENS, La cappella musicale della Basilica del Santo: alcune frome di mecenatismo, in La Cappella musicale nell'Italia della Controriforma, Atti del Convegno internazionale di studi (Cento, 13-15 ottobre 1989), a cura di Oscar Mischiati e Paolo Russo, Firenze, Olschki, 1993, pp. 251-263: 254 e 259. 23. La coesistenza delle due consuetudini esecutive è attestata a partire dalla seconda metà del Cinquecento in diverse aree geografiche. Cfr. al proposito ARNALDO MORELLI, The Role of the Organ in the Performance Practises of Italian Sacred Polyphony During the Cinquecento, in «Musica disciplina», L (1996), pp. 239-270, che ben ricostruisce la pratica dei concerti con una plurità di esempi che spaziano dal nord al centro Italia (Udine,Venezia, Padova, Lucca, Roma). Per ulteriori esemplificazioni di tale prassi si vedano anche: ANTONIO ADDAMIANO - ARNALDO MORELLI, L’archivio della cappella musicale di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova) a Roma nella prima metà del Seicento. Una ricostruzione, in «Fonti musicali italiane», II (1997), pp. 37-67: 43-48; RODOLFO BARONCINI, «In choro et in organo»: strumenti e pratiche strumentali in alcune cappelle dell’area padana nel XVI secolo, in «Studi musicali», XXVII (1998), pp. 1951; LUCA DALLA LIBERA, Repertori ed organici vocali-strumentali nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma: 1557-1624, in «Studi musicali», XXIX (2000), pp. 3-57.

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so, le più delicate e difficili da reperire,24 mentre l’impiego del quartetto, composto da un cornetto e tre tromboni, si riferisce alla pratica dei «concerti», solitamente costituita da mottetti eseguiti sull’organo in occasioni particolarmente solenni e festose rigidamente regolamentate fin dal 1582, anno in cui, per la prima volta, compare nelle liste tale quartetto.25 Sebbene fortemente assorbito dal lavoro in cappella e dalla gestione dei conflitti con i superiori che portarono alla prematura recissione del rapporto nel 1591, dopo tormentate trattative di rinnovo della condotta,26 Balbi ebbe modo di pubblicare anche due raccolte profane: si tratta dei Capricci a sei voci, stampati da Angelo Gardano nel 1586, e del Musicale essercitio a cinque voci edito pressa la medesima stamperia tre anni dopo. La dedicatoria della prima raccolta, indirizzata al nobile Bartolomeo Marrucini, rappresenta esemplarmente il grado di collaborazione tra musico e gentiluomo nella costruzione del repertorio: questi miei «Capricci cadutimi in diverse fiate nella mente, et avendoli con sodisfattione, e dolcezza voi stessi cantati, ascoltati e d’alcuni formatone le parole…». Con fine intuito retorico, Balbi, o chi per esso ha redatto la dedica, nel sottolineare gli illustri natali della propria opera, ne costruisce l’eccellenza come distillato di un’esperienza eccellente: che il nobile conceda di prestare alle 24. Nei documenti si precisa l’impiego di un trombonista ordinario, «condotto per musica di trombone alla parte del basso» (cfr. OWENS, Il Cinquecento cit., pp. 67-68). Il ruolo del violino appare invece più ambiguo in quanto quest’ultimo, in teoria, poteva venir impiegato anche nei concerti. 25. «Oblighi ch’hanno avere quelli che si hanno da condurre per far concerti di tromboni et altri instrumenti nella capella del Santo di Padova» (cit. in ANTONIO SARTORI, Documenti… cit., p. 201). In pratica i concerti venivano allestiti per tutte le festività liturgiche più importanti dell’anno e «per ogni occasione che potesse occorer per venuta de prencipi, prelati et altri personaggi d’importanza». Seguono i nomi dei musicisti che costiuiscono il quartetto «dalli concerti»: «Messer Battista Remoletta [trombone], Messer Antonio Borghesan [cornetto / trombone], Messer Giulio Borghesan [cornetto / trombone], Messer Giovanne de Sorte [trombone]». Nei capitoli dell’86 approntati da Balbi, le «obbligationi da osservarsi da’ sonatori» rimangono pressoché le stesse dell’82 (ivi, p. 203). 26. Per la ricostruzione particolareggiata di tali vicende cfr. JESSIE ANN OWENS, Il Cinquecento cit., pp. 58-60.

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composizioni musicali mente, voce e corpo è operazione di alto significato simbolico, che l’autore, ben addentro ai meccanismi ‘cortigiani’, utilizza consapevolmente per legittimare la propria produzione attraverso la proiezione del ricordo privato in pubblico vanto, tentativo estremo di esorcizzare il ‘silenzio’ che inesorabilmente può avvolgere ogni oggetto musicale privo di consenso sociale.27 L’unicità del dono si lega funzionalmente al contenuto della silloge che esplora territori di affascinante singolarità come, ad esempio, il capriccio sui versi IV-XII del quinto canto dell’Inferno (Stavvi Minos orrendamente e ringhia) per tre soprani e tre bassi. Francesco Degrada, pur lodando la composizione «per la perizia con la quale l’autore supera le difficoltà rappresentate dall’ingrato organico vocale prescelto e per un senso squisito dei valori timbrici», osserva che le «sei voci […] vanno sommandosi in una neutra lievitazione di accordi perfetti (interrotti raramente da qualche sesta e da qualche ritardo) su gradi monotonamente ricorrenti. Si è di fronte senza dubbio a una spiritosa stravaganza stilistica, il cui witz sta nella deliberata violazione delle regole che presiedono alla messa in musica “espressiva del testo”».28 Ipostatizzando un’idea della traduzione musicale del testo poetico che discende da nostre moderne consuetudini e dalle suggestioni debitamente introiettate di uno sperimentalismo linguistico da «seconda prattica del contrappunto», il musicologo pare ignorare che nella teoria e nella sensibilità cinquecentesca il valore espressivo degli intervalli e degli accordi segue altre coordinate: una serie di accordi perfetti, che per noi suona tranquillizzante e pacifica, risultava, per loro, perfettamente atta ad esprimere gli affetti più crudi ed angoscianti, come dimostra, tra l’altro, un brano di Vincenzo Galilei appositamente composto per mostrare «il duro & l’aspro» (Cosi nel mio cantar voglio esser aspro29), che contiene solo accordi di terza e quinta, oppu27. Sulle dedicatorie di musica profana cfr. in part. STEFANO LORENZETTI, Musica e identità nobiliare nell’Italia del Rinascimento. Educazione, mentalià, immaginario, Firenze, Olschki, 2003, pp. 190-198. 28. FRANCESCO DEGRADA, Dante e la musica del Cinquecento, in «Chigiana», n.s., 2, XXII (1965), pp. 257-275: 271. 29. Si tratta della nota canzone ‘petrosa’ di Dante.

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re passi analogamente composti su testi affettivamente analoghi, dell’Edipo tiranno di Andrea Gabrieli, eseguiti a Vicenza nel 1585 in un contesto umanistico sicuramente sensibile alla resa espressiva del testo.30 Parimenti eterodosso, per molti versi, è pure il Musicale essercizio. Si tratta di una raccolta di 27 madrigali dei più noti autori del tempo di cui viene conservato intatto il cantus, mentre le altre quattro voci sono di nuova redazione.31 L’autore appronta una sorta di artificioso itinerario musicale, che ha un’indubbia valenza didascalico-esemplificativa, forse espressamente pensato per le esigenze dei dedicatari, Giovanni Khisel e i suoi figli, nobili tedeschi legati all’ambiente universitario padovano.32 La dedica ai figli di un gentiluomo, tanto comune nella letteratura pedagogica cinquecentesca, farebbe pensare, in primo luogo, ad una utilizzazione didattica della raccolta connessa con avanzate pratiche musicali domestiche.33 30. Cfr. DANIEL P. WALKER, The Expressive Value of Intervals, in Studies in Musical Science in the Late Renaissance, London, The Warburg Institute, E.J. Brill, 1978, pp. 63-80: 76-78. 31. Ad un diverso livello di complessità e con finalità dichiaratamente rivolte all’apprendimento del ‘cantare a libro’ e dei rudimenti del contrappunto, una tecnica consimile verrà impiegata da Adriano Banchieri nel Principiante fanciullo (Bologna 1625): «Le composizioni contenute nella raccolta sono per la maggior parte madrigali a quattro o a cinque voci, adattati dall’autore in una versione a due voci destinata all’esecuzione congiunta di allievo (canto) e maestro (tenore). Il procedimento di elaborazione adottato prevede la riutilizzazione, sostanzialmente invariata, della parte del cantus (o, talora dell’altus) dell’originale, contrappuntata da una parte di tenore composta parafrasando liberamente il tessuto musicale del brano di volta in volta prescelto». NICOLETTA ANDREUCCETTI, “Del modo di insegnare al principiante”. Teoria e prassi della letteratura didattica tra Cinque e Seicento, Sassari, Gallizzi, 1997, p. 145. 32. Cfr. ROBERTO SPANÒ, Il Musicale esercitio di Lodovico Balbi. Un singolare accostamento di scritture diverse nella polifonia profana della fine del secolo XVI, in «Rassegna Veneta di Studi Musicali», IX-X (1993-94), pp. 107-129. 33. Si coglie l’occasione per smentire un dato biografico riportato unanimente dalla letteratura scientifica. L’attribuzione a Lodovico Balbi, e al nipote Luigi, del possesso di una collezione di strumenti musicali in Venezia, con la conseguente organizzazione di consessi musicali di stampo accademico, è priva di ogni fondamento documentario. Le testimonianze addotte, dalla dedica dei Mottetti di Ippolito Baccusi del 1579 alla menzione del Sansovino

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L’operazione compiuta dal Balbi è perfettamente lebbigile attraverso il codice del classicismo, forma storica della cultura europea di Antico regime: la creazione come ricreazione, come riscrittura dell’esistente, non è tanto da leggersi quale retaggio di un arcaico ‘fiamminghismo’ artificialmente recuperato dal frate, quanto quale condiviso strumento di costruzione di cultura, qui magari insolitamente dichiarato, che articola un affascinante gioco di specchi, di rifrazioni incrociate in cui anomalia ed analogia si intersecano inestricabilmente, in cui riconoscibilità e irriconoscibilità si aggrumano, in un percorso percettivo volutamente sincretico che unisce all’intangibilità di un elemento la completa deformazione prospettica dell’insieme. L’ultimo periodo di attività (1592-1604) Contrariamente a quanto si legge nelle poche cose a lui dedicate, Ludovico Balbi approderà a Feltre solo nel luglio del 1593. Tra la sua partenza da Padova e il suo arrivo nella citta feltrina ci sono due anni di quasi completa latitanza delle fonti. L’oblio della memoria è solo debolmente rischiarato dalla sua partecipazione a due differenti iniziative editoriali: nel 1591 esce il Graduale romanum iuxta missalis novi et decreto sacrosanti Concilli iTridentini restituti, promosso da Angelo Gardano con la finalità di sottoporre a revisione il corpus melodico del repertorio tradizionale del cantus planus,34 e l’anno dopo un suo brano compare nella miscellanea di nella sua Venezia città nobilissima et singolare descritta in libri XIII del 1581, si riferiscono ad un Aloysio Balbi, probabilmente un esponente del ramo veneziano della nobile famiglia Balbi, che non ha nulla a che fare con il nostro frate. Cfr. al proposito PIERLUIGI FERRARI, Una collezione di strumenti musicali verso la fine del Cinquecento. Lo studio di musica di Luigi Balbi, in «Liuteria musica e cultura», 1993, pp. 15-21. 34. L’operazione affidata, oltre al Nostro, ad Andrea Gabrieli ed Orazio Vecchi «non ebbe il successo sperato e non corrispose affatto agli sforzi, peraltro considerevoli, compiuti per la sua realizzazione dall’editore, che non pubblicò in seguito altri libri liturgici». ANNARITA INDINO, Il Graduale stampato da Angelo Gardano (1591), in Il canto piano nell’era della stampa. Atti del Convegno internazionale di studi sul canto liturgico nei secoli XV-XVII. Trento, Castello del Buonconsigilio; Venezia Fondazione Ugo e Olga Levi, 9-11 ot-

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madrigali, Il trionfo di Dori, partorita dalla mente del nobile Leonardo Sanudo. A lui «devesi […] questa raccolta di madrigali, poichè egli ne fece comporre appositamente la poesia, e poscia sovr’essa la musica, donando il tutto al tipografo Gardano, che altro merito non ebbe che quello di farne l’edizione qui citata».35 A quest’impresa parteciparono i maggiori ingegni del tempo, e la presenza del Nostro in questo illustre consesso è segno sicuro di una fortunata recezione della sua opera, almeno nel contesto veneziano. Ma, nonostante non manchino attestazioni di stima di diversa natura, si ha l’impressione che la parabola finale dell’esistenza del Balbi sia stata una parabola discendente, anche se tale sensazione può essere gravata da una sostanziale frammentarietà delle fonti, che ci restituiscono sparsi sprazzi di vita, tessere di un mosaico difficile da assemblare. È certo, comunque, che passare da Padova a Feltre, attraverso un probabile breve ritorno a Venezia, non costituì certo un avanzamento di carriera. Eppure il breve soggiorno in quella cittadina periferica, ma ricca di tradizioni, sembra essere stato il porto sicuro cui egli aspirava dopo le tensioni padovane: negli archivi della cattedrale non c’è traccia di conflitto con il capitolo, ma solo apprezzamento e stima reciproca.36 tobre 1988, a cura di Giulio Cattin, Danilo Curti e Marco Gozzi, Trento, Provincia autonoma di Trento, 199; pp. 207-222: 207. 35. Il Trionfo di Dori, descritto da diversi, et posto in Musica, à Sei Voci, da altretanti Autori, Venetia, Angelo Gardano, 1592. Tra gli autori della raccolta figurano musicisti quali Ippolito Baccusi, Orazio Vecchi, Giovanni Gabrieli, Luca Marenzio, Orazio Colombani, Giovanni Cavaccio, Giovanni Matteo Asola, Filippo De Monte, Giovanni Croce, Alessandro Striggio, Felice Anerio, Giovanni Pierluigi da Palestrina e Costanzo Porta. 36. Balbi viene nominato prima insegnante di musica del seminario (ACCF, Acta capituli, 14, c. 52r, 11-7-1593), e quindi maestro di cappella della cattedrale (ACCF, Sedute e deliberazioni, 3, c. 35r-v, 19-7-1593). Il suo salario complessivo era di 90 ducati annui (40 pagati direttamente dal vescovo per l’insegnamento nel seminario, 30 ducati offerti dalla confraternita di Santa Maria del Prato «pro cellebrando ultimam missam in ecclesia cathedrali», e i rimanenti 20 direttamente donati dal capitolo). Si ricorda che, quando il Nostro lasciò Padova, la sua provvisione annua era di 120 ducati.

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Sebbene il motivo costituisca un topos largamente impiegato per dispensarsi da un impiego sgradito, fu probabilmente solo per il clima inclemente che si vide costretto ad interrompere la condotta, appena un anno dopo la nomina,37 ricominciando un pellegrinaggio su cui abbiamo solo scarne, episodiche notizie. Nel ’94 un suo brano compare in una raccolta di madrigali pastorali e l’anno dopo esce una collezione di messe a cinque voci,38 che non è altro che una ristampa, con aggiunte, dell’edizione del 1580. Nel ‘97, lo ritroviamo al duomo di Treviso, ancora in qualità di maestro di cappella, ma anche questa esperienza non durerà che l’arco di dodici mesi.39 Nel frattempo, Ludovico Balbi era stato insignito del titolo di Maestro dell’ordine francescano, assieme al napoletano Girolamo Vespa e al suo mentore Costanzo Porta.40 Il nome proprio di quest’ultimo comparirà insieme a quello del Nostro, a suggellarne simbolicamente il sodalizio, nell’ultima raccolta che vide la luce quando entrambi erano ancora in vita, i Falsi bordoni omnium tono-

37. Nell’agosto dell’anno successivo chiede licenza di abbandonare l’incarico di maestro di cappella per motivi di salute (ACCF, Sedute e deliberazioni, 3, c. 50r, 3-8-1594). La licenza gli verrà accordata il giorno stesso. 38. Si tratta della miscellanea Il bon bacio, madrigali descritti da diversi et posti in musica da altri tanti autori a sei voci, Venezia, Angelo Gardano, 1594 e della silloge Missae quinque cum quinque vocibus,Venezia, Angelo Gardano, 1595. 39. Solo due ricevute autografe di pagamento, rispettivamente del 24 novembre 1597 e del 27 novembre 1598, ne attestano la permanenza a Treviso. Di suo nell’archivio del duomo si conserva unicamente la stampa delle Ecclesiasticarum cantionum, Venezia, Angelo Gardano, 1578. Cfr. GIOVANNI D’ALESSI, La cappella musicale del Duomo di Treviso (1300-1633), Vedelago, tip. Ars et religio, 1954, pp. 138-139. 40. La nomina fu conferita loro durante il Capitolo generale tenutosi a Viterbo il 10 giugno 1596. «A norma delle Costituzioni e tradizioni, venivano nominati Padri Maestri dell’Ordine, oltre i laureati in Teologia, quelli che dopo dodici anni d’insegnamento, di predicazione o di altro speciale ministero si rendevano eminenti nel proprio ufficio. A essi […] era concesso, di diritto, tra gli altri privilegi, un “padre compagno” e aiutante, oltre che, spesso anche un Fratello laico, quasi “domestico”». ANTONIO GARBELOTTO, Il padre Costanzo Porta… cit., pp. 158, n. 8.

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rum a diversis eccellentissimi auctoribus modulati, editi a Venezia nel 1601.41 Da quella data, solo omaggi postumi42 prima dell’oblio. Proprio attraverso uno di questi, una silloge di messe e mottetti pubblicata dall’allievo Gerolamo Gritti, si può desumere il termine ante quem della morte di Ludovico: alla data del 15 dicembre 1604, egli era già passato a miglior vita.43

41. Si tratta di una bella stampa in partitura, al solito pubblicata da Angelo Gardano, che contiene, oltre a numerosi brani di anonimo, quattro falsi bordoni di Costanza Porta, e un falso bordone e due antifone a quattro voci di Ludovico Balbi. 42. Si veda, ad esempio, la rubrica che compare nel Catalogo breve de gl’illustri et famosi scrittori venetiani, probabilmente parafrasata dal Ridolfi (Bologna, eredi di Giovanni Rossi, 1605, p. 55), di Giacomo Alberici: «Lodovico Balbo, Discepolo, & imitatore di Constanzo Porta Musico eccellentissimo, diede in luce diverse sue fatiche, fatte pure nella Musica, cioè; Messe, Vespri Compiete, Mottetti, Madrigali, & altre cose simili, gratissime a’ professori & intendenti. 1578». Dopo la morte, suoi brani sacri continueranno ad apparire nella serie dei Promptuarii musici, edita a Strasburgo dal Kleffer, sino al 1622. 43. «Alli molto reverendi et molto illustri signori miei colendissimi li signori pressidenti della Veneranda Arca del Glorioso Padre Santo Antonio di Padova. Lo singolare affetto di devozione; che portò sempre à cotesta Molto illustre, e Veneranda Congregatione il Padre fra Ludovico Balbi di felice memoria, ha causato che io suo Allievo dovendo dar alla stampa alcune Messe, & Motetti à Otto voci da lui composte mentre viveva, e da virtuosi molto desiderate, non habbi voluto onorarle con altro titolo, che con quello delle Vostre Molto Reverende, e Molto Illustre Signorie, e tanto più lo faccio volentieri, quanto che, & questa era l’intentione del detto Padre, & io con non minor affetto di lui osservo cotesto sacro, & benedetto luogo, ricevino pur dunque Elleno con fronte allegra, & animo sincero questo picciol dono, segno manifesto della particolar devozione dell’uno, e dell’altro; e racordevoli della onorata servitù fattagli tanto tempo dal detto Padre Defunto, non si sdegnino amare chi da lui dipende, e per fine le bacio le mani. Di Venetia il dì 15 Decembre 1604. Delle VV. Signorie Molto Reverende e Molto Illustri Devotissimo Servo, Fra Girolamo Griti da Venetia». Oltre ad esserne allievo, Gritti era stato assistente di Balbi durante la sua condotta al Santo.

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Epilogo Il ruolo periferico svolto da Balbi nel grande libro della musica rinascimentale, oltre a sembrare confermato da un tormentata ‘geografia umana’ che quasi casualmente sembra giustapporre incarichi in istituzioni di differente prestigio, sarebbe da ascriversi soprattutto alla sua maniera compositiva tradizionale, apparentemente immune dalle fascinazioni estreme del testo poetico, innervatasi sul mantenimento di un solido artigianato contrappuntistico, retaggio di un passato convenzionale deprivato di qualsiasi forza euristica e perciò stesso collocato ai margini della Storia.44 Certo è che oblio della memoria e fraintendimento ‘ideologico’ Balbi li condivide con una miriade di sconosciuti e dimenticati maestri di cappella dell’Italia tutta, spesso liquidati dalla musicologia in base ad una insopprimibile vocazione assiologica, anziché inglobati, come tessere significanti di un mosaico, nel processo di comprensione storiografica. Per tentare di riformulare una consimile prospettiva, la sua figura può servire da paradigma: tra successi e cadute, contesti accademico-cortigiani e meccanismi di reclutamento azionati dal rapporto maestro-allievo, tra politica delle pubblicazioni e strategie di carriera interne all’ordine, il nostro frate-musico organizza l’intera sua vicenda esistenziale sull’ostinato istituzionale della cappella musicale, soltanto debolmente variato dalla mutatio geografica: Venezia, Padova, Feltre, Treviso e forse di nuovo Venezia a sancire una sorta di circolarità ideale. La cappella musicale è struttura pluridimensionale in cui problematica istituzionale e organizzativa, rapporti con le autorità civiche, contesti celebrativi, tipologie del repertorio e peculiarità della prassi esecutiva sono aspetti intimamente correlati, tanto illu44. Valga per tutti il giudizio del Tebaldini, il quale, in ossequio ad una poco avvertita visione evoluzionistica del linguaggio musicale, ne rimprovera la mancanza di ‘pittura sonora’. Cfr. GIOVANNI TEBALDINI, L’archivio musicale della Cappella Antoniana in Padova, Padova, Antoniana, 1895. Al lettore moderno, che compulsa repertorii e dizionarii in cerca di una prospettiva, non sarà sfuggita la stanca inerte repetitio ad infinitum di tale giudizio, più o meno abilmente parafrasato e rimesso a nuovo.

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minantesi vicendevolmente da non poter essere tenuti distinti, neppure per necessità didascalica. La verifica della forza propulsiva di tale organismo nel costruire e diffondere un linguaggio musicale ordinario è consistita nel limitarsi a sondare, assai parzialmente, in verità, le modalità di un’eventuale traduzione del dettato conciliare in genere musicale. La ricerca di uno stile tridentino, ben presto rivelatasi illusoria, ha oscurato lo studio della funzionalità rituale della polifonia cinquecentesca, impedendo di delucidarne l’efficacia comunicativa, l’adeguatezza a muovere le coscienze, in una parola, la vocazione persuasiva, la disponibilità ad alimentare l’immaginario religioso costituendosi ad instrumentum di un fine per il quale tutto è mezzo, indipendentemente dall’adozione o meno di una maniera riformata, concetto quest’ultimo tanto astratto ed artificiale quanto inutile e generico. La vaghezza delle raccomandazioni conciliari che, in estrema sintesi, auspicavano l’uso di una musica che favorisse il raccoglimento e la preghiera dei fedeli, e che non utilizzasse melodie profane né testi equivoci e licenziosi, ha permesso di continuamente riscrivere e reinterpretare le tipologie della tradizione senza rotture, né rinnegamenti. Anche un musicista esplicitamente arruolato per applicare la riforma cattolica come Costanzo Porta, nella dedica del Primus liber missarum del 1578, non mancherà di dire al suo mecenate, il cardinale Giulio Feltrio della Rovere, che tener conto della brevità ed intelligibilità del dettato musicale non significava rinnegare l’eredità degli ‘antichi maestri’, né astenersi dal produrre opere di diversa complessità ed artificio. Siamo sicuri che queste parole del musico lauretano, in cui si ribadisce la vitalità e la fecondità di una tradizione che nessuna riforma può impunemente liquidare, ma anche, al contempo, la disponibilità al compromesso e alla mediazione, parole sorprendenti per il luogo nel quale vengono profferite e per il personaggio cui vengono indirizzate, sarebbero state ampiamente sottoscritte dal suo allievo principe, e principale ‘emulatore’, Ludovico Balbi. Un’analisi sistematica dei repertorii e delle pratiche delle cappelle musicali italiane che uscisse dalle secche della storiografia locale erudita ci rivelerebbe, forse, che il tipo di musica composto dal magister feltrensis abbia goduto di una diffusione molto più capillare, an-

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che nel Seicento inoltrato, delle seducenti sperimentazioni dei grandi innovatori e dei grandi maestri della ‘pittura sonora’, così rimpianti dagli esegeti vecchi e nuovi del Nostro. A questo soggiacente tessuto produttivo, a questa rete sistematica e capillare di cappelle musicali grandi e piccole, animate sovente da musici senza nome, né memoria, è da rivendicare un ruolo significativo nel processo di civilizzazione musicale, un ruolo non secondario nella costruzione di cultura, forse ancor più decisivo di quello svolto dalle avanguardie militanti e dagli sperimentalismi, presto anch’essi trasformatisi in clichés, della «seconda prattica del contrappunto». Abbreviazioni: ASPR-CFE = Archivio di stato di Parma – Carteggio farnesiano estero ASN-AF = Archivio di stato di Napoli – Archivio farnesiano ASV = Archivio di stato di Venezia ACCF = Archivio capitolare della cattedrale di Feltre

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ABSTRACT: LUDOVICO BALBI ‘MAGISTER MUSICAE’ IN VENETO IN THE LATE 1500’S

The aim of this essay is to reconstruct Ludovico Balbi’s professional career with particular attention to the manner of his employment, the productive system that justifies and promotes musical activity and to the stylistic peculiarities of a form intentionally immune from the experimentation of the period which in any case is not to be interpreted as being less worthy, as has often been done due to a limited evolutionistic view of the of musical language which relentlessly left Ludovico Balbi at the margins of history. In this sense, he can serve as an example: between successes and failures, academic and courtly settings, employment opportunities triggered by the teacher-student relationship, between the policy of publications and career strategies within the order, the priestmusician conducts his complete existential experience on the institutional ostinato of the musical chapel, varied only slightly by the mutatio of geographical variatio: Venice, Padua, Feltre, Treviso and perhaps Venice again to symbolically confirm a sort of ideal circularity. Within this finely woven and underlying productive context, of musical chapels large and small and musicians whose names have been long forgotten, a more meaningful role must be attributed to the process of musical enlightenment. A role perhaps more decisive than the one connected to avant-guard extremists and experimentalists which all to often become clichès of “seconda prattica del contrappunto”. A role not secondary in the enrichment of culture.

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