Logos. Un percorso terminologico

July 17, 2017 | Autor: Florio Scifo | Categoría: Philosophy, Philosophy Of Religion, Theology, Ancient Philosophy, Ancient Greek Philosophy, Logos
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Premio dialoghi di filosofia 2010-2011

IL LOGOS UN PERCORSO TERMINOLOGICO

Lavoro di:

FLORIO SCIFO

__________________

Terzo anno Liceo Classico Istituto Salesiano di Cagliari

Professore:

Dott. Mocci Giuseppe



Probabilmente la testimonianza più antica della parola "logos" si
trova in Omero.

E'usata dal poeta nell'Odissea ove si dice malacoisi kai aimulioisi
lògoisin 1: indicando le molli e seducenti parole con cui la ninfa
Calipso tiene prigioniero Ulisse nell'isola di Ogigia.

Ma non solo, Omero usa il termine anche nell'Iliade quando Patroclo,
mentre i Troiani fanno strage dei greci perché Achille si è ritirato
dalla guerra offeso da Agamennone, si reca nella tenda di Euripilo
ferito e quest'ultimo καὶ τὸν ἔτερπε λόγοις,2 lo confortava con le
parole.

Come si vede il termine viene utilizzato da Omero sempre al plurale,
ad indicare la potenza degli effetti suadenti delle parole connessi
specificamente al loro suono più che al loro significato
contenutistico.

Non una parola dunque, ma varie, molte parole il cui suono trasporta
un contenuto oppure è in sé e, di per sé, idoneo a produrre degli
effetti.

Da ciò si può partire per analizzare lo sviluppo dell'utilizzo di
questo termine.

Come è noto, i poemi omerici sono stati composti per essere
recitati, quindi si collocano in un contesto in cui la parola e
soprattutto il suono persuasivo del racconto, fatto di molte parole
e gesti, è lo strumento predominante: è la veste dei fatti che,
attraverso il racconto orale, vengono esposti agli interlocutori, al
pubblico.

Quindi, nella tradizione orale, è solo attraverso l'uso della parola
che vengono raccontati i fatti.

Così si può spiegare perché il termine "logos" sia inteso da Omero e
da lui utilizzato per indicare lo strumento principe per mostrare un
mito, le parole, che diventano discorso e poi racconto, via via che
si allunga progressivamente ciò che si deve mostrare.

Infatti una parola basta per indicare una cosa o un singolo fatto,
un discorso si avrà quando sarà necessaria la combinazione di più
parole, perché ciò che si deve raccontare riunisce più oggetti o
fatti collegati tra loro, fino ad arrivare alla complessità di un
racconto, in cui non solo si rappresentano oggetti e fatti, ma un
vero organismo logico viene rappresentato nella sua vita e azione.

Quando alla parola, all'oralità, si sostituisce la scrittura come
strumento di trasmissione dei fatti, degli atti e del pensiero,
anche il significato del termine "logos" cambierà, evolvendosi verso
il senso di parola scritta, supporto scritto, testimonianza
riportata graficamente su qualche supporto (papiro, pietra, carta).
Nell'ambito della filosofia, il primo ad occuparsi del logos è
Eraclito che, nell'esordio del suo poema, di cui ci sono giunti 126
frammenti, afferma: "Questo logo che pure è sempiterno, non lo
intendono gli uomini, e prima che n'odano e tosto che udito ne
abbiano; e pur tutto avvenendo secondo tal logo, inesperti ne
sembrano, se anche abbiano esperienza di discorsi e d'opere, quali
io spiego, ciascuna cosa secondo sua natura distinguendo ed
esponendo come sta. Agli altri uomini invece sfugge ciò che dopo
destati compiono, al pari che non sanno quanto compiano dormienti" 3
. Eraclito definisce il logos come la ragione intesa non solo come
un qualcosa legato all'uomo, ma come legge che governa tutte le cose
e sostanza della realtà. Quindi, secondo questa teoria vi è una
sostanza eterna che forma il modello, ovvero lo stampo, sul quale
si basa la realtà sensibile. Perciò, come l'attore segue un copione,
ovvero una sceneggiatura, così la realtà segue il logos.

Ma sarà con i sofisti, come Gorgia che ci parla dell'inesprimibilità
dell'essere, che si raggiungerà l'assoluta autonomia dell'uso della
parola da ciò che si racconta, i sofisti scindono cioè la parola, il
racconto, da ciò che raccontano: come lo scritto le parole hanno una
loro propria autonomia.

D'altronde secondo Gorgia l'essere non può essere espresso, perciò
la parola non comunica la realtà, ma è in sé stessa compiuta.

Se le parole non devono rappresentare nulla allora esse stesse sono
logos, non rappresentano il logos: il logos non è più guida
razionale ma semplice artificio retorico 4.

Si nota allora il passaggio da Omero, dove il logos è il mito
l'argomento principe, manifestato attraverso le parole e Gorgia, in
cui le parole non devono raccontare un mito o un argomento divino,
ma sono compiute in loro stesse, senza riferirsi a nulla di esterno.

Platone invece, ricollegandosi alla pratica socratica di ragionare
per concetti universali e poi di idee, riporta le parole al loro
significato strumentale, connesso a ciò che raccontano: si sposta
così nuovamente il significato della parola logos verso il mondo
delle idee e dei concetti universali: logos allora assumerà il senso
di "proposizione" "principio"5 poi, Aristotele ci parlerà del logos
come "definizione".

Certo in Aristotele il termine logos è comunque usato in senso
diverso dal solo significato religioso sopra indicato ed è connesso
alla descrizione di favole, miti, poesie, di vicende, svincolate dai
fatti propri della vita di tutti i giorni e connesse ad un mondo
astratto ideale, universale.

Tornando a Platone, le parole che rappresentano il mondo delle idee,
ovvero i principi universali, i concetti, l'essere, sono il logos:
"Chi si mette a sentire i discorsi di Socrate troverà che essi soli
hanno una mente, e poi che sono i più divini e pieni di ogni
immagine di virtù" 6 .

Ma "logos" diventa così anche un termine impregnato di quello che
vuole rappresentare, di per sé non solo significato, ma anche
significante.

Si intravede così il cammino del logos e del suo significato
terminologico attraverso le varie impostazioni filosofiche di Omero,
Gorgia, Platone e poi, nei Vangeli.

Nel Vangelo di Giovanni, il termine assume questo senso pregnante,
da ultimo sopra descritto, infatti si usa tradurlo con "il
Verbo","la Parola" 7 ma, in questo caso, non è inteso come semplice
strumento, ma anche come quella essenza che viene raccontata:
oggetto e soggetto insieme.

Si pone perciò il problema se il logos religioso o filosofico
racconti una cosa, un fatto, una realtà a lui preesistente o
racconti semplicemente sé stesso.

Nel Vangelo di Giovanni: logos come rappresentante e rappresentato
insieme.

Un esempio può spiegare meglio il concetto ed è quello del
compositore che mentre scrive le note nello spartito,
contemporaneamente sente ed ha già nella sua mente nella sua testa
la musica da comporre: lo spartito ha la sua autonomia, ma proietta
in un mondo astratto, virtuale ovvero, non reale.

Plotino infatti chiarirà il significato del logos nel senso di
"idea" "ragione divina" ed infine, il termine logos assumerà, in
ambito religioso, il senso definitivo di "rivelazione divina" 8.

La concezione di Logos come elemento legato al divino è espressa,
quindi, nel Vangelo di Giovanni, che identifica Cristo come Logos
incarnato.

Ma se torniamo indietro a Pitagora, secondo cui la matematica, il
mondo delle idee, il pensiero intorno al non sensibile sono il
collegamento tra l'uomo e Dio (il Logos) allora vediamo un tratto di
fondo, una linea comune che percorre, sempre sul filo di questa
parola, tutta la storia della filosofia.

Da una tale concezione di materialità - immaterialità del logos può
senz'altro aprirsi la strada a compiere anche un esercizio puramente
teologico.

Assumiamo che: la morte di Cristo sia stata necessaria per liberarlo
dalla sua natura umana.

Seguendo questa affermazione è sottinteso uno sviluppo
dell'argomentazione in una parabola di ritorno dal materiale
all'immateriale, ovvero dal fisico al metafisico. Poiché si deve
partire da una definizione, ora ci interessa andare a ritroso nel
cammino che abbiamo testè percorso.

Si assottiglia così il senso del termine togliendogli la materialità
che ha faticosamente assunto nello sviluppo del pensiero filosofico.

Dalla materialità della carne, della parola che si è fatta carne, si
ritorna alla virtualità delle parole del racconto di quanto è
avvenuto, ovvero delle parti divine della vicenda terrena di Gesù,
ma anche alle sacre scritture: a quella autonomia dello scritto sul
rappresentato di cui parlavano i sofisti.

Secondo Bertrand Russel 9 l'intera concezione di un mondo eterno
rivelato all'intelletto ma non ai sensi deriva da Pitagora.

Due anime del termine logos, dunque, una che riguarda l'involucro
dei concetti, l'altra la forma dell'essere, ovvero come l'essere si
manifesta.

























I PRESOCRATICI

Ciò premesso, non può che partirsi dai presocratici ed, in
particolare, Parmenide di Elea.

In quest'ultimo l'eco di Omero ritorna, con l'uso del termine logos
al plurale nel suo poema didascalico, al verso 15 10, si dice ancora
"malakoisi logoisin" indicando le languide parole con cui le figlie
del Sole vergini sagge persuadono la Giustizia a dischiudere le
sbarre alla porte che divide le tenebre dalla luce.

Il Poema è quello dove Parmenide ha espresso la sua dottrina e
chiaramente l'uso del termine logos è connesso al senso di
persuasione, strumento di persuasione verso la scoperta del senso
delle cose, della verità dell'essere.

L'uso della poesia per esprimere l'essenza delle cose, la verità,
prosegue quindi la strada aperta da Omero.

Eraclito ci dice 11 ev to sofon epistasthai gnomen otee kuberna
panta dia panton "una cosa sola è la sapienza, conoscere il pensiero
che tutto governa attraverso tutto". Perciò, vera sapienza è la
conoscenza del logos, del pensiero che tutto governa, che è anche
d'altra parte l'organo della conoscenza umana. Pensiero è conoscenza
del logos, ma anche logos esso stesso, discorso ragione del
pensatore che si immedesima nel logos come struttura del cosmo 12.

Con i Sofisti la situazione muta: non è più importante il contenuto,
l'essenza di ciò che si dice, ma come lo si dice: il logos diventa
l'arte di parlare nel modo più convincente.

Gorgia, nell'"Encomio di Elena" (8-19), usa molte volte il termine
logos, logos dunastes megas estin, la parola è un gran dominatore:
il termine acquista ora totale autonomia da qualsiasi cosa
rappresenti, la parola diventa essa stessa l'essenza, il principio
primo. Sono parole infatti che calmano la paura, eliminano il
dolore, suscitano la gioia, aumentano la pietà.

Le parole diventano incantesimo, fascinazione e magia, persuadono,
fanno apparire agli occhi della mente l'incredibile e
l'inconcepibile.

In Gorgia il termine logos diventa quasi un feticcio che viene
utilizzato in una quantità enormemente maggiore rispetto a tutti gli
altri filosofi, quasi che il solo suono vocale di questo termine sia
di per sé idoneo a rendere chiaro lo scuro, a gettar luce sulle
tenebre dei contenuti. Dunque logos come retorica, eloquenza, causa
che persuade Elena a compiere ciò che ha fatto. A questo punto il
termine è emancipato dalla religione.





















SOCRATE

L'arrivo di Socrate segna un'inversione di tendenza ed il dialogo
diventa semplice strumento per l'elaborazione del concetto, del
principio generale che governa le singole vicende umane. La
maieutica usa il dialogo per tirare fuori dall'interlocutore il
logos, ovvero l'essenza concettuale della conoscenza che preesiste
alla realtà sensibile.

Ma la particolarità è che Socrate ci dice che il logos "la coscienza
di se" o la "conoscenza" è dentro l'uomo e deve essere estratto
dalla coscienza attraverso la maieutica.

Invece in una posizione diversa si porrà la "Metafisica delle idee"
che costituirà l'oggetto della ricerca di Platone: se Socrate non
indagherà sull'essenza del concetto ma solo sul come estrarre la
virtù, Platone invece farà della ricerca dell'essenza esterna
all'uomo ed al mondo sensibile l'oggetto della sua filosofia.

Crizia, zio di Platone, fu scolaro di Socrate e fu più uomo d'azione
che filosofo sofista, fu infatti a capo della giunta oligarchica dei
Trenta. Nel "Sisifo"13, in cui il protagonista enuncia una teoria
sull'origine degli dei razionalistica e atea, la parola logos
riappare connessa sia all'uso della parola e del discorso
persuasivo, quindi come strumento, sia connesso al contenuto della
dottrina che vuole divulgare come verità o essenza delle cose.

Platone riporta l'uso del termine logos nell'ambito della sua
metafisica delle idee, come sistema di cui la realtà è solo il
pallido riflesso, ma il logos diventa il trade union tra i due
mondi, la connessione tra quella apparenza che si vede e l'essenza
che si deve raggiungere con il ragionamento: eccoci allora al
significato di logos come ragionamento verso la divinità e la
verità.

Tuttavia, l'esclusione della poesia, intesa come logos d'ispirazione
divina, dal regno ideale che deliberatamente Platone compie ci
introduce il discorso su Aristotele.

Aristotele nella Poetica utilizza il termine logos in una pluralità
di sensi quasi a formulare un sunto ed un compendio di tutti gli usi
che la filosofia ha compiuto di questo termine prima di lui.

"Odusseias ou makròs o logos estin"(1455b,17) logos diventa
l'argomento generale, l'epopea, il racconto che riceve la sua
estensione dall'abbondanza dei singoli episodi: il tutto quindi.

Aristotele, nel mettere i "dialoghi socratici" Socraticous logous
(1447b,11), alla pari con i mimi, di Sofrone e di Senarco, ha una
sottile ironia verso Platone, il quale aveva cacciato i poeti, in
quanto mimetai, dallo Stato ideale, e poi era mimetes lui stesso
nella concezione artistica dei dialoghi 14. Ricordiamo che, secondo
Aristotele, epopea, tragedia, commedia, tutte insieme considerate,
le predette arti adoperano, come mezzi, ritmo, armonia, parola; ma
l'una adopera questo, l'altra quello separatamente, oppure qualcuna
li adopera combinati. L'essenza della poetica è la mimesi che il
logos ci manifesta: ton logon, dialogo come parte principale del
dramma, en to logo, retorica ovvero strumento per tirare fuori il
contenuto (1456b,5). Logos e onoma: Aristotele con questi termini
introduce una distinzione tra contenente e contenuto, proposizione e
parola.

Giovanni Evangelista nel suo prologo utilizza ampiamente il termine
logos, ev archè en o logos, kai o logos en pros tov teon, kai teos
en o logos, tradizionalmente tradotto con "In principio era il
Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" ma,
contrariamente a quello che è l'interpretazione corrente, logos e
teos non sono sinonimi. Infatti la lingua greca è molto precisa
nell'utilizzazione dei termini e delle parole e se Giovanni avesse
voluto indicare logos come Dio lo avrebbe definito in un solo modo e
non con due parole diverse.

Deve perciò esservi una differenza di significato che induce
l'evangelista ad utilizzare due parole invece che una.

E' questa differenza si può capire leggendo il successivo passo kai
o logos sarx egeneto kai eskenosen en emin "e il Verbo si fece carne
e dimorò tra noi" i due termini Dio e Logos non vengono utilizzati
indifferenziatamente, ma in modo ben preciso: Dio esiste sempre ed a
prescindere dal Logos è "a priori" il presupposto, mentre il Logos è
la forma sensibile di questa essenza primigenia.

Infatti, basta fare una semplice similitudine con il suono vocale
che una volta sprigionato dalla bocca acquista una sua autonomia nel
mondo sensibile, ma prima di sprigionarsi rimane nel mondo autonomo
del pensiero di chi lo pensa, così il Logos, il Verbo, fa parte
della coscienza divina fino a quando viene emesso e assume la veste
vocale e poi fisica nella persona di Gesù.

Il passaggio perciò è questo idea cosciente, pensiero divino, poi
suono, parola, discorso, carne.

Nel saggio "Il platonismo nella filosofia patristica" di Ilaria
Ramelli 15 il logos Giovanneo viene definito "concepito come
immutabile sede della conoscenza e della verità".

La stessa autrice collega questa dottrina al neoplatonismo e ci
scrive anche di una teologia del logos come ermeneutica allegorica,
o filosofia del simbolismo, citando Clemente Alessandrino16:" Ti
mostrerò il Logos e i misteri del Logos, descrivendoteli in immagini
a te familiari."

Da questo punto di vista deve ricordarsi la dimensione vocale dei
riti e delle preghiere concepita da molte correnti filosofiche come
essenziale per ottenere l'esperienza dell'adesione a Dio attraverso
la parola17.

In questi misteri può individuarsi la continuità tra mondo classico
e cristiano in quella concezione che vede l'illuminazione filosofica
attingere alla medesima fonte di quella teologica, ovvero il
medesimo logos.















Bibliografia Generale

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1983

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diretta da G. De Sanctis e A. Rostagni, Chiantore, 1945, Torino

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2 Iliade 15, 393

3 R. Walzer in Scrittori di Grecia di GiuseppeRosati, vol. II,
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4 Sesto Empirico II e III sec. D. C. che riporta Gorgia "sul non
essere o sulla natura" in Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, I
nuovi Protagonisti e testi della Filosofia, vol.1a, Paravia
Mondadori, 2006, Milano, pag.158)

5 Platone Theaet.201,202

6 Platone Simposio

7 N.T. Giovanni 1,14

8 Plutarco Moralia 376, 381,568

9 Storia della Filosofia Occidentale, Longanesi & C., Milano,
1983, pag. 56

0 10 fr. *I D.K.

1 1 fr. 41 D.K.

2 12 R. Walzer in Scrittori di Grecia di Giuseppe Rosati, vol. II,
Sansoni, 1977, cit.

3 13 fr.25 D.K.

4 14 Rostagni Augusto, Aristotele, Poetica, biblioteca di filologia
classica, diretta da G.Desanctis e A.Rostagni, Chiatore, Torino,
1945, pag 7

5 15 Gregorio di Nissa, "Sull'KVcÔ


' ( < = Q s t Ò Ó "~

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¾
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45Ž?" ?žAnima e la Resurrezione", Bompiani, 2007, Milano, pag 1002

6 16 Protrepticus XII,119,1

7 17 Moshe Idel, Qabbalah, Adelphi, 2010, Milano
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