L\'OFFERTORIO

June 8, 2017 | Autor: Aurelio Porfiri | Categoría: Liturgical Studies, Eucharist, Liturgia, Liturgia catolica
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formazione «Sui fiumi di Babilonia…»

Aurelio Porfiri M.o Compositore e Direttore di Coro

L’

L’offertorio

offertorio e la sua relativa antifona hanno costituito uno degli argomenti forti del dibattito scatenatosi con la riforma liturgica. L’OGMR, al numero 74, afferma: «Il can to all’offertorio (Cf. n. 37, b) accompagna la proces sione con la quale si por tano i doni; esso si pro trae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull’altare. Le norme che

regolano questo canto so no le stesse previste per il canto d’ingresso (Cf. n. 48). È sempre possibile accompagnare con il can to i riti offertoriali, anche se non si svolge la proces sione con i doni.» Quindi, questo è un canto processionale, nel senso che accompagna questo movimento di coloro che sono incaricati di recare le offerte all’altare ma può anche essere cantato quando la

«presentazione dei doni» (come viene chiamato questo momento con più proprietà di linguaggio liturgico) non si svolge con la processione. Anche in questo caso si può cantare un’antifona da parte dell’assemblea o della Schola (vedi avanti). Sul momento dell’offertorio abbiamo una significativa testimonianza di Giustino (sec.II): «Terminate le preghiere,

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formazione ci abbracciamo con scam bievole bacio. Quindi vie ne recato al presidente dai fratelli un pane, una cop pa d’acqua e una coppa di vino temperato. (…) Cessate le preghiere, si re ca come si è detto pane, vi no e acqua, e il presiden te della comunità nello stesso modo eleva preghie re e ringraziamenti con tutte le sue forze, e il popo lo acclama dicendo: Amen!» (Apologia c. 6567).

È

probabile l’introduzione di questo canto fin dal secolo V I I . Probabilmente all’origine esso era un salmo antifonico, la forma più popolare di canto all’epoca. A ll’inizio esso era semplice e popolare, ma ai tempi di Gregorio Magno esso fu sviluppato dai maestri della Schola romana, divenendo un canto responsoriale. L’antifona, divenuta ritornello, si sviluppò in tutto il suo virtuosismo, divenendo appannaggio esclusivo degli esperti cantori. Con il tempo quindi solo l’antifona rimase, a svantaggio dei versetti del salmo. Chiunque si avvicina ancora oggi agli off e r t o r i gregoriani può constatarne

la bellezza ma anche la difficoltà, probabilmente seconda solo a quella dei graduali (per i canti della messa). Essi spesso richiedono ai cantori una estensione vocale molto grande ed una abilità virtuosistica non indifferente. Forse è anche per questo che, con l’avvento della polifonia, al momento dell’off e r t orio viene tralasciato il canto (ed il testo) corrispondente ed eseguito un mottetto. Questo anche se in epoca rinascimentale alcuni autori musicheranno comunque i testi corrispondenti dell’offertorio, basta pensare a Palestrina e al suo bellissimo libro degli “Offertori”. Come detto, comunque, con il tempo questo momento della messa verrà spesso riempito o con un mottetto dal testo generico o anche con un brano strumentale. Ricordiamo che ancora oggi, il momento dell’offertorio viene visto come il classico momento del virtuosismo, dell’esibizione del solista. Basta pensare ai matrimoni, in cui questo momento è il classico punto dell’Ave Maria, con contorno di lacrime e fazzoletti (ma questo tema meriterebbe una trattazione autonoma)…

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Insomma, era divenuto un tempo da riempire con qualcosa piuttosto che svolgersi nel suo stabilito progetto rituale-sonoro. 1

L

a riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II ha anche puntualizzato teologicamente questa sezione. Ci facciamo aiutare da questa riflessione di T h e o d o r Schnitzler: «L’Offertorio, inizialmente semplice pre parazione del pane e del vino, impro p r i a m e n t e chiamati doni, subì dopo i primi secoli una trasfor mazione in senso contrat tuale, con pericolo di con taminazioni pagane. I do ni non erano più i doni di Dio per i quali si benedi ceva il Padre nel segno della morte e risurrezio ne di Gesù Cristo, ma di ventavano doni dell’uomo per impetrare che Dio si facesse presente sull’alta re. La condivisione dei be ni che, secondo Giustino, avveniva come frutto con creto della part e c i p a z i o ne al Corpo e Sangue di Cristo, era spostata a que sto punto della Messa e diventava offertorio a Dio dei beni della terra per impetrare i beni del cielo. La riforma liturgica ha mutato opportunamente la

formazione preghiera di “offertorio” in benedizione e ringra ziamento, come preludio alla grande benedizione della preghiera eucaristi c a » . 2 Testimonia anche Crispino Valenziano: «In effetti, le diverse preghie re inserite per accompa gnarne la gestualità ne avevano fatto una part e della messa a sé stante, quasi un’anafora raccor ciata e anticipata, come se la messa avesse due momenti di offerta sacrifi cale: una, la nostra, al mo mento dell’offertorio, l’al tra, di Cristo, nella pre ghiera eucaristica. Spiegare l’offertorio ci è stato difficile e imbaraz zante. Perché una distin zione dell’offerta in quei

due momenti equivale a dichiarare che il secondo momento, il momento del Cristo, ha l’efficacia tota le mentre il primo momen to, questo dell’assemblea, non significa nulla; condu cendo di fatto a una con cezione dissolutiva dell’as semblea, quasi che di di ritto non esistesse nel suo corpo un’azione congiun ta con il suo capo Cristo.»3 La tematica teologica dietro questo momento rituale, come vediamo, è abbastanza ampia e degna di essere attentamente ponderata. Il canto dell’off e rtorio, a mio avviso, deve tenere conto di alcuni dati fondamentali. Il primo riguarda cosa deve fare chi canta. In questo caso, a

differenza che nel rito di introito (in piedi) e del rito di comunione (in processione), l’assemblea si trova seduta. Quindi può accompagnare questo momento anche con un bel canto di carattere innico, non avendo difficoltà a tenere un libretto per leggerne le strofe. Laddove ci fosse la Schola, è sempre bello alternare una forma responsoriale con un bel ritornello affidato a tutta l’assemblea e la polifonia delle strofe affidata alla Schola. Viene suggerito che si potrebbe anche trasformare in dialogo cantato il testo recitato altrimenti dal sacerdote con la risposta corale del popolo “Benedetto nei secoli il Signore!”. Io conosco qualche tentativo anglosassone ma da noi non mi risultano tentativi che si sono affermati nelle comunità cristiane. Il secondo è che questo solitamente è un momento ad estensione temporale variabile, che dipende dal numero dei ministri, dal fatto che si fa o no l’incensazione, dal fatto che si fa o no la processione off e r t o r i a l e … quindi i canti dovrebbero consentire una certa flessibilità.

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formazione Il senso di lode e ringraziamento dovrebbe permeare i testi. Personalmente non credo che questo momento dovrebbe essere quello riservato al mottetto della Schola ma, proprio per la sua natura intrinseca, testimoniare anche nel canto il «popolo di Dio» ordinato secondo i suoi carismi ( Schola, cantore, presidente…).

Insomma, un inno di benedizione che si eleva dalle voci di ognuno per riecheggiare nei cuori in unione di tutti.

_____________ Per questa introduzione storica e altre informazioni vedi: Ildefonso Schuster, «Liber Sacramenctorum», parte III, Marietti 1967, pagg.84-86. 1

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Theodor Schniztler, «Il significato della messa», Città Nuova, Roma 1986, pag. 121124. 2 Theodor Schniztler, op. cit., pag. 122. 3 Crispino Va l e n z i a n o , « L’anello della sposa», Edizioni Qiqajon, pagg. 119120.

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