Levissos (?): un caso di topografia urbana in Licia

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Descripción

ISBN 978-88-209-9209-5

€ 35,00

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9 788820 992095

Storia Religiosa Euro-Mediterranea 1

Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam

Costantinopoli al Caucaso

SREM 1

da

Portata a termine la Storia religiosa dei popoli europei, avviata fin dal 1979, la Fondazione Ambrosiana Paolo VI è venuta focalizzando la propria attenzione sullo spazio mediterraneo, considerandolo nelle sue sedimentazioni storiche, nelle sue molteplici evoluzioni lungo i secoli, nelle sue variegate tradizioni religiose, la cui irradiazione ha talvolta assunto dimensioni amplissime. Al fine di evidenziare, in una prospettiva di lunga durata, gli aspetti di omogeneità presenti nel «continente liquido», nonché le specificità delle sue singole componenti, l’analisi è stata condotta con riferimento agli ambiti territoriali dalla tarda antichità facenti capo ai grandi patriarcati: Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme, Alessandria, ai quali è stata accostata l’Africa latina, a sua volta legata alla sede primaziale di Cartagine. Questo itinerario di ricerca si è sviluppato a partire da Costantinopoli: Nuova Roma, prima sede patriarcale e vertice ecclesiastico della pars Orientis dell’Impero, madre nella fede per una molteplicità di popoli. Alla sua irradiazione in Europa erano stati dedicati diversi tomi della precedente Collana di storia religiosa europea. Il presente volume viene concentrando la propria attenzione anzitutto sulla stessa Costantinopoli, di cui si esaminano gli aspetti istituzionali, la connotazione religiosa, la spiritualità, le forme cultuali. Tale indagine fa da premessa allo studio dell’irradiazione della tradizione costantinopolitana in Anatolia, terra di straordinario significato per la storia cristiana, nonché nel Caucaso e segnatamente in Georgia, dove sul fondamento della fede cristiana e della dottrina calcedonese ha preso vita una realtà religiosa e culturale specifica, in grado di conservarsi lungo i secoli, passando attraverso le esperienze di sottomissione alla Sublime Porta, di inserimento nell’Impero russo, fino al recente – e non facile – recupero di indipendenza. La conquista di Mehmet II, il 29 maggio 1453, aprì una nuova fase nella storia della città di Costantino, che ne confermava la centralità, ma quale vertice istituzionale della «Casa dell’Islam» e luogo in cui trovava eco la vita religiosa musulmana nella sua variegata fenomenologia. A conclusione del volume, una ricognizione della situazione contemporanea permette di calare i dati precedentemente esposti nella concretezza del vissuto quotidiano.

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Costantinopoli al Caucaso

Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

Fondazione Ambrosiana Paolo VI

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Storia Religiosa Euro-Mediterranea 1

Collana promossa dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI

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Da Costantinopoli al Caucaso Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam Sotto la direzione di

Cesare Alzati A cura di

Luciano Vaccaro

Fondazione Ambrosiana Paolo VI

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Si ringraziano la Regione Lombardia, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Fondazione Comunitaria del Varesotto Onlus per il sostegno dato alla realizzazione della XXXII Settimana europea / SREM 1 di cui questo volume è frutto.

I contributi di Ernst Christoph Suttner, Paschalis Kitromilides e Otmar Oehring sono statti tradotti da Daria Rescaldani. I contributi di Konstantinos G. Pitsakis, Christian Hannick e Silvia Serrano sono statti tradotti da Enrica Merlo. Il contributo di Raymond Kévorkian è stato tradotto da Sandro Chierici. Il contributo di Mariam Nanobashvili è stato tradotto da Ilaria Katerinov.

Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy Finito di stampare nel mese di gennaio 2014 da Arti Grafiche Tibiletti s.n.c. - Azzate (Varese) Copyright © 2014 - Libreria Editrice Vaticana 00120 Città del Vaticano www.libreriaeditricevaticana.com - [email protected] Copyright © 2014 - Fondazione Ambrosiana Paolo VI Villa Cagnola - 21045 Gazzada (Varese) - Italy Tel. 0039.0332.46.21.04 - Fax 0039.0332.46.34.63 [email protected] Foto di copertina: Santa Sofia (Istanbul). La Fondazione Ambrosiana Paolo VI resta a disposizione di tutti gli eventuali detentori di diritti d’immagine non individuati o che non sia stato possibile raggiungere per l’assolvimento degli obblighi di legge. ISBN 978-88-209-9209-5

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INDICE

Presentazione di Luigi Mistò ........................................................ 9 Milano porta dell’Oriente Messaggio dell’Arcivescovo di Milano Card. Dionigi Tettamanzi (7 settembre 2010)......................................................................... 13 Cesare Alzati, Una storia religiosa dello spazio mediterraneo .... 17 Antonio Carile, Costantinopoli: da Nuova Roma a Nuova Gerusalemme .................................................................. 23 Enrico Morini, L’imperatore, l’ecumene, la Chiesa: i Concili e la definizione dell’ortodossia ...................................... 49 Alba Maria Orselli, L’imperatore e lo stilita. Il monachesimo nella storia di Costantinopoli e del suo Impero ............................ 79 Stefano Parenti, Da Gerusalemme a Costantinopoli passando per Stoudios e Mar Saba: una liturgia modello per l’Ortodossia

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Giorgio Fedalto, La Costantinopoli latina .................................... 121 Ernst Christoph Suttner, Latini e greci in cerca dell’unità: il cammino verso l’Unione di Firenze ........................................... 145 Konstantinos G. Pitsakis, Fine dell’Impero dei Romani, continuità del Patriarcato dei Romani .......................................... 159 Alberto Fabio Ambrosio, OP, Costantinopoli al vertice della «Casa dell’Islam». Fenomenologia dell’islam nell’Impero ......... 213 Bernard Heyberger, I cristiani orientali e l’Occidente ................. 233

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Samir Khalil Samir, SJ, La Siria cristiana e il pre-Rinascimento arabo nel contesto ottomano ......................................................... 249 Vincenzo Ruggieri, L’architettura cristiana in Anatolia fra Greci, Armeni e Siri ................................................................. 275 Raymond H. Kévorkian, I nazionalismi e la fine dell’Impero ottomano. Il genocidio degli Armeni e dei Siriaci e la sorte dei Greci ........................................................................ 311 Paschalis M. Kitromilides, La fine dell’Impero, la catastrofe greca nell’Asia Minore e il Patriarcato Ecumenico ..................... 335 Christian Hannick, Lingue e alfabeti nel Caucaso cristiano ........ 349 Gaga Shurgaia, L’irradiazione della fede di Costantinopoli nel Caucaso. La Georgia ortodossa ............................................. 371 Mariam Nanobashvili, L’espansione dell’islam nel Caucaso e la Georgia ortodossa .................................................................. 405 Silvia Serrano, La Georgia e la sua Chiesa: dall’integrazione nell’Impero alle ambiguità della rinascita contemporanea ......... 433 Otmar Oehring, La Chiesa cattolica e le altre presenze cristiane nella Turchia contemporanea ....................................................... 453 Giuseppe Pasotto, Le presenze cattoliche nel Caucaso ................ 463

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Hanno collaborato al presente volume: Mons. Luigi Mistò Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica S.Em. Card. Dionigi Tettamanzi Arcivescovo emerito di Milano Cesare Alzati già Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Antonio Carile Alma Mater Studiorum, Università di Bologna Enrico Morini Alma Mater Studiorum, Università di Bologna Alba Maria Orselli Alma Mater Studiorum, Università di Bologna Stefano Parenti Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma Giorgio Fedalto Università degli Studi di Padova Ernst Christoph Suttner Universität Wien Konstantinos G. Pitsakis (†) Dēmokríteio Panepistḗmio Thrákēs, Komotēnḗ Alberto Fabio Ambrosio, OP Dominican Studies Institute Istanbul Bernard Heyberger École des Hautes Études en Sciences Sociales, Paris

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Samir Khalil Samir, SJ Université Saint Joseph, Beyrouth Vincenzo Ruggieri Pontificio Istituto Orientale, Roma Raymond H. Kévorkian Université Paris VIII Vincennes-Saint-Denis Paschalis M. Kitromilides Ethnikό kai Kapodistriakό Panepistḗmio Athēnṓn Christian Hannick Julius-Maximilians-Universität Würzburg Gaga Shurgaia Università Ca’ Foscari Venezia Mariam Nanobashvili Ivane Javakhishvili Tbilisi State University Silvia Serrano Université d’Auvergne, Clermont Ferrand Otmar Oehring Missio - Internationale Katholische Missionswerk, Aachen S.E. Mons. Giuseppe Pasotto Amministratore apostolico per i Latini del Caucaso, Tbilisi Luciano Vaccaro Fondazione Ambrosiana Paolo VI, Gazzada

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Vincenzo Ruggieri L’ARCHITETTURA CRISTIANA IN ANATOLIA FRA GRECI, ARMENI E SIRI1

Credo tutti sappiano che la Chiesa orientale – almeno fino alla caduta finale di Costantinopoli – abbia dato regole, direttive circa la modalità e la tipologia della pittura; non solo scrittori ecclesiastici, ma anche adunanze conciliari si sono pronunciate su questo tema; per l’architettura religiosa – meglio dire chiesastica – al contrario, non v’è stato nessun canone2. È ancora ben conosciuta la prassi, molto antica, di illustrare simbolicamente – la nota «mistagogia» – molte parti dell’edificio religioso, come anche singoli elementi dell’arredo architettonico, ma questa procedura, che in seguito toccheremo, non prevede una canonica planimetria. A questi assunti di base si collega un’altra fondamentale questione, certamente molto dibattuta e contrastante: quale metodologia bisogna La bibliografia offerta nel corso del presente lavoro è intenzionalmente selettiva. Si è cercato, tuttavia, di offrire le opere più recenti, ove possibile, sicché il lettore possa in esse trovare la bibliografia precedente. In abbreviato si usano le seguenti opere: Cod. Theod. XVI = Les lois religieuses des empereurs romains de Constantin à Théodose II (312-438), I: Code Théodosien Livre XVI, teste latin par Th. Mommsen, trad. par J. Rougé, intr. et notes par R. Delmair avec la coll. de F. Richard, Paris 2005; Cod. Iust. = Codex Iustinianus, in Corpus Iuris Civilis, ed. P. Krüger, vol. II, Berolini 1929. 2 Così chiudeva C. Mango, Architettura bizantina, Milano 1977 (rist. 2002), p. 194. 1

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utilizzare per avvicinarsi e studiare l’architettura religiosa della chiesa orientale. Nel corso del XX secolo si sono individuate quattro metodologie nello studio dell’architettura bizantina: tipologica, simbolica, funzionale e socio-economica3. Non v’è tempo per valutare queste metodologie, ma si terrà conto delle ultime due nel contesto storico dei primi secoli del cristianesimo; quanto aggiungerò a queste due riguarda una sfaccettatura teologica applicata all’edificio. Credo, infatti, che il connotato teologico applicato all’edificio religioso fa sì che si possa parlare di chiesa cristiana pur in contesti storici estremamente differenti. È doveroso aver presente qualche considerazione preliminare. Affidare all’architettura il compito di tracciare il profilo della storia religiosa d’una estesa geografia è un’avventura estremamente ardua. La difficoltà consiste sia nella ambigua geografia anatolica – Greci, Armeni e Siri – come nella oggettiva lunghezza d’una civilizzazione, che voglia dirsi cristiana, creatasi all’interno di questa geografia. Ben sapendo che questa geografia parlava almeno tre lingue (il greco, l’armeno e il siriaco), s’aggiunga ancora che essa aveva una differente relazione culturale con la romanizzazione dell’Impero, senza considerare i diversi gradi di ellenizzazione presenti nella sola penisola anatolica. Il punto di partenza, dunque, che è doveroso sottolineare, deve necessariamente partire o sostenersi su un pilastro fondamentale, condiviso dalle diverse culture qui nominate. Nel mio argomentare mi affiderò spesso all’epigrafia, che ritengo una fonte abbastanza attendibile, quando la si legge con dovuto criticismo. Vorrei estrarre un paio di linee da una iscrizione della seconda metà del VI secolo: quella affissa nel monastero di S. Gregorio sul Clivus Scauri, relativa alla biblioteca di codici fatta costruire da papa Agapito. Le due ultime linee dicono quanto segue: «La grazia è uguale per ognuno e il lavoro santo per tutti identico. Le parole possono pur essere diverse, ma la fede è una sola»4. Pur vero che l’iscrizione è del tardo VI secolo, essa sembra che stigmatizzi una situazione avvenuta negli anni ’20 del IV secolo. Le molteplici forme di religiosità presenti nell’Impero romano convergono, C. Mango, Approaches to Byzantine Architecture, in «Muqarnas», 8 (1991), pp. 4044; Mango, Architettura bizantina, pp. 5-7. 4 Inscriptiones Christianae urbis Romae, septimo saeculo antiquiores, ed. I.B. De Rossi, Romae 1888, II/1, n. 55 (p. 28). 3

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almeno formalmente, in una nuova – del tutto nuova – sfaccettatura dell’ideologia imperiale: il cristianesimo, già vivo ed operante, diventa la religione che l’imperatore dei Romani fa sua. Qui parlo, va da sé, di Costantino in Grande. Non si attribuisca, tuttavia, a Costantino quanto invece un lungo percorso legislativo ha maturato per l’arco di circa due secoli. Vedremo l’intervento di Costantino, ma quanto vorrei succintamente ricordare è l’assunzione della lex divina all’interno di quello che era lo spessore autoritativo dello ius principale. Era il 28 febbraio del 380 quando da Tessalonica Teodosio I emette il suo decreto Cunctos populos col quale egli riconosce la fede professata da Damaso di Roma e Pietro d’Alessandria5. Il 3 agosto del 435 Teodosio II riconosce ed impone i decreti del coetus antistitum Ephesi come paradigma di fede6. Nel 449, inoltre l’exemplum sacrae legis dello stesso imperatore sancisce «eiusdem sanctae synodi decreta laudamus atque firmamus, hanc orthodoxam fidem putantes atque nominantes quae a CCCX et VIII exposita est et firmata in sanctis conciliis quae Ephesi congregata sunt»7. In modo chiaro Teodosio II si stacca dalla procedura di Teodosio I e richiama i sinodi (anche il Latrocinium Ephesinum) come referenti legali per il simbolo di fede. Qualche anno dopo, il 13 marzo del 452 Marciano emana un editto «a conferma degli atti del sinodo di Calcedonia e [a difesa] del loro rispetto»8. Resta la chiusura di questa parabola con la Novella 131. 1 di Giustiniano, dell’anno 545: «Praedictarum enim quattuor synodum dogmata [vale a dire di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia] sicut sanctas scripturas accipimus et regulas sicut leges servamus». Cod. Theod. XVI, 1. 2; un’altra lista di vescovi (Cod. Theod. XVI, 1. 3), che incarna la dottrina ortodossa, resta un altro punto di riferimento. Si veda l’osservazione sulla formulazione di fede teodosiana in L. de Giovanni, Chiesa e Stato nel Codice Teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli 1980, pp. 33-35. 6 Cod. Theod. XVI, s. 66. 7 E. Dovere, «Ius Principale» e «Catholica Lex» dal Teodosiano agli editti di Calcedonia, Napoli 1995, p. 226. 8 E. Dovere, «Acta Conciliorum» e «repetita praelectio» giustinianea: la διάταξις di Marciano del marzo 452, in «Annuarium Historiae Conciliorum», 38 (2006), pp. 246-247. Cfr. anche Facundus d’Hermiane, Défense des Trois Chapitres (à Justinien), teste critique par J.-P. Clément o.s.b. et R. Vander Plaeste, intr. trad. et notes par A. Fraïsse-Bétoulières, Paris 2006 (Sources Chrétiennes, 499), XII, II, pp. 20-24. 5

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A questo schizzo sull’evoluzione dello ius principale, considerando la natura del nostro soggetto, vale la pena additare un’altra fondamentale novità che si crea a cavallo fra il IV e il V secolo. Il canone 3 del Concilio di Costantinopoli (381) aveva dichiarato che la capitale d’Oriente «avrà il primato di onore dopo il vescovo di Roma, perché tale città è la Nuova Roma». Un avallo singolare relativo a questa prerogativa si rinviene nella legge del 4 luglio 421 che sottrae a Roma il diritto di intervenire ecclesiasticamente nelle provincie dell’Illirico e lo concede a Costantinopoli «quae Romae veteris praerogativa laetatur»9. Chiude questo processo di assestamento giuridico-ecclesiastico il can. 28 di Calcedonia che, ribadendo il privilegio della Nuova Roma, allarga smisuratamente la sfera giuridica del vescovo di Costantinopoli (consacrazione dei metropoliti del Ponto, dell’Asia, della Traccia «e inoltre i vescovi delle parti di queste diocesi poste in territorio barbaro»). La lettera trasmessa da Eusebio, quella scritta dall’imperatore Costantino a Macario, vescovo di Gerusalemme e relativa alla costruzione del Santo Sepolcro, richiama la fede cristiana, espressa dall’incipit: «È così tanta la grazia del Nostro Salvatore [i.e. Gesù Cristo] che sembra non vi siano parole sufficienti per spiegare il presente miracolo»10. Pur se da prendere con cautela, Eusebio presenta questa impresa costruttiva dell’imperatore in un ottica prettamente cristiana11; magnificando così l’inizio di una nuova era, l’elogio dello Storico s’allinea perfettamente sulla scia di quell’encomio della majestas imperii che si manifesta nel prestigio degli edifici pubblici. Ed il Santo Sepolcro è il nuovo edificio pubblico della nuova era e come tale presentato dal primo storico cristiano. Posto di fronte all’antico tempio di Gerusalemme12 ed inaugurando una nuova topografia sacra, questa impresa architettonica diventa l’espressione manifesta della nuova fede dell’Impero. Ritornando all’epilogo dello Storico, qual era stato il miracolo tanto Cod. Theod. XVI, 2, 45 (legge ripresa anche nel Cod. Iust. I, 2, 6 e XI, 21, 1). Eusebius, Vita Costantini, III, 30, ed. F. Winkelmann, Berlin 1991 (GCS), p. 17; P. Silli, Testi Costantiniani nelle fonti letterarie, Milano 1987, p. 115. 11 V’è sempre dietro, credo, l’idea di Vitruvio, De Architectura, I, praef. 2. 12 Le implicanze ideologiche di questa scelta le ho accennate in Annotazioni in margine alla trasformazione del tempio in chiesa in ambito rurale: il caso di Lagina in Caria, in «Bizantinistica», 9 (2007), pp. 74-75. 9

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eclatante? Un tempio (forse di Afrodite?) aveva occultato per anni la tomba del Salvatore che, grazie al piano di Dio, era venuta alla luce13. V’è, tuttavia, già un carattere strano che appare in un’epoca così alta a proposito di questo evento architettonico, così come trasmesso da Eusebio. L’emblema dell’architettura cristiana schiaccia – e si prenda il verbo in tutto il suo tenore polemico – un luogo sacro pagano. Se Eusebio si inoltra nella discussione di questo sconvolgimento, a noi preme notare l’apparizione di un fenomeno che si rinviene non solo a Gerusalemme, ma in tutto l’Impero: l’umiliazione dell’edificio pubblico pagano (il tempio) e, al tempo stesso, il fenomeno esorcistico su una topografia sacra antica (fig. 1). Un’omelia siriaca di Giacomo di Sarûg illustra in extenso, a proposito del battesimo di Costantino, le valenze ideologiche di un processo di questo genere14.

1. Didyma, il tempio di Apollo. 13 Eusebius, Life of Constantine, ed. by A. Cameron, S.G. Hall, Oxford 1999, pp. 274 ss. con discussione e bibliografia. 14 A.L. Frothingam jr., L’omelia di Giacomo di Sarûg sul battesimo di Costantino, in «Reale Accademia dei Lincei, Memorie della classe di scienze morali, storiche e filologiche», 8 (1882), p. 51 (dal Vat. syr. 117); più interessante è la versione del Brit. Mus. 803 Add. 14 588, ibidem, nota 1.

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Quando si leggono le fonti storiche, a parte quelle legislative registrate nel Codex Theodosianus XVI, scevri da pregiudizi e con un critico senso di realismo, si resta sorpresi dell’invettiva cristiana verso i templi pagani in ambito urbano (dei santuari rurali si dirà in seguito). Girolamo, che come storico è affidabile, si esalta nel constatare come il Serapium di Alessandria e il famoso Marneion di Gaza «in ecclesias Domino surrexerunt»15. Questi eventi sono precedenti al 407 (nel 391 o 392 accade l’evento del Serapium e quello a Gaza nel 402), ed attorno a questa data le fonti ci hanno trasmesso per esteso la grande avventura della piccola comunità cristiana a Gaza guidata dal vescovo Porfirio. Grazie all’avallo e all’ausilio dell’autorità imperiale, Porfirio riesce a costruire la grande basilica Eudossiana (dal nome dell’imperatrice Eudossia) sul sito sacro una volta occupato dal Marneion16. Già nella lettera di Costantino a Macario il vescovo assume una forte responsabilità nel processo di costruzione del Santo Sepolcro – anche se il materiale resta ad appannaggio dell’imperatore; qui, nella vita di Porfirio abbiamo già gli stessi elementi – l’imperatrice invia la planimetria e le colonne – ma con più ricchezza di dettagli. La partecipazione della comunità cristiana è sorprendente, attiva; discute col vescovo i vari processi costruttivi e prende parte all’opera edilizia. Quest’ultima considerazione ci porta a fermarci su un altro soggetto estremamente importante nel processo dell’architettura cristiana: il popolo, la gente comune, gli operai, i commercianti, tutta una variegata moltitudine che le iscrizioni ricordano, o, per meglio dire: «i cui nomi il Signore conosce». Questa formula di anonimato nella partecipazione alla costruzione, all’abbellimento o al tappezzare un solo registro di mosaico all’interno dell’edificio (fig. 2) è un carattere che accomuna tutta la cristianità orientale. «† Ciò dice il Signore onnipotente: “Grande sarà la gloria di questa casa, e in questo luogo io darò pace per la salvezza ad ognuno che lavora ad edificare questo tempio”. Amen †»17. Comment. in Isaiam proph. 7, 17 (PL, 25, 241 D). Marc le Diacre, Vie de Porphyre évêque de Gaza, éd. par H. Grégoire et M.-A. Kugener, Paris 1930, spec. capp. 75-92, ove si citano anche le fonti tratte dal Cod. Theod XVI; cfr. anche F.R. Trombley, Hellenic Religion and Christianization (370-529), Leiden-New York-Köln 1993, I, pp. 246-282. 17 Monumenta Asiae Minoris Antiqua, III: Denkmäler aus dem Rauhen Kilikien, 15

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2. Gemile, Church III, il mosaico.

È interessante vedere come questa epigrafe, del IV-V secolo, inserita in una tabula ansata, fosse incisa sull’architrave di ingresso di una piccola chiesa in Cilicia, nella valle del Lamos. Il fenomeno dell’affissione d’una scritta pubblica – siamo fuori, non dentro la chiesa – apre hrsg. von J. Keil, A. Wilhelm, Manchester 1931, n. 112 (p. 99); M. Guarducci, Epigrafia Greca, IV: Epigrafi sacre pagane e cristiane, Roma 1978, p. 424. Il testo è una citazione di Aggeo 2, 9.

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la domanda su chi e quanti fossero in grado di leggere. Non potendoci fermare su questa domanda, che apre da sola un’ampia tematica, vorrei far notare la duplicità semantica di «colui che lavora per edificare questo tempio». Si tratta ovviamente dei partecipanti alla effettiva costruzione della chiesa, ma, e sopratutto, di coloro che fanno crescere ed irrobustiscono la fede dell’assemblea, della comunità. Un’iscrizione più tarda (del 752-755) e proveniente dalla Mesopotamia, dalla regione di Tūr ʼAbdīn (dal monastero di Mar Jacob il Recluso), è più immediata e semplice: «Possa essere il Signore il Dispensatore di buoni premi a chiunque ha avuto parte e ha dato un dono benedetto in questa casa e in modo particolare a quelli di questo villaggio, i cui nomi sono scritti su questa tabella [seguono i 27 nomi di coloro che hanno offerto di più (n.d.A.)] e vi sono alcuni che hanno dato un solo [“zuzo”, (n.d.A.)] ciascuno; e possa Dio benedire ciascuno che ha contribuito a questo»18. Necessita a questo punto introdurre anche il termine orientale anatolico: l’Armenia. In prossimità dell’editto costantiniano del 313, l’Armenia entra nell’orbita cristiana grazie alla personalità di san Gregorio l’Illuminatore e del re Trtag (forse nel 314). Senza entrare in una lunga esposizione del fenomeno, si osservi come tre diversi nuclei geografici – l’Armenia, la Siria mesopotamica e l’Asia Minore – si volgono al cristianesimo grazie a tre sovrani (Trtag, Abgaros, Costantino); per loro tramite si ha la conversione del popolo19. La storiografia armena, sappiamo, raggiunge la maturità con Mosê di Chorene (sec. VIII); il modello ideologico regale (Trdat) viene in modo definitivo foggiato su quello di Costantino (nella versione degli Actus 18 A. Palmer, A Corpus of Inscriptions from Tūr ʼAbdīn and Environs, in «Oriens Christianus», 71 (1987), pp. 98-102; per il monastero, cfr. G. Bell, The Churches and Monasteries of the Tūr ʼAbdīn, with an introd. and notes by M. Mundell Mango, London 1982, pp. 39-44. 19 La letteratura è estesa a riguardo. Si veda: L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, I, Paris 1886, pp. CXVII-CXIX. Si veda anche l’influenza di Edessa sull’Armenia nella storia epica «Buzarandan», scritta dopo il 460: R. Thomson, L’historiographie arménienne, in L’historiographie syriaque, éd. par M. Debié, Paris 2009 (Études Syriaques, 6), pp. 199200 (quest’opera è più autentica della ben nota Storia di Agathangelos). Per la presenza di Abgar in Asia Minore, cfr. V. Ruggieri, La Caria bizantina: topografia, archeologia ed arte (Mylasa, Stratonikeia, Myndus, Halicarnassus), Soveria Manelli 2005, pp. 187-188.

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Sylvestri del tardo IV-inizio V secolo). La storiografia armena si trova, dunque, sia nell’opera di Agathangelos come in quella più matura di Mosê di Chorene, a legare l’origine della Chiesa armena a Costantino (per Agathangelos) e ad Abgaros (per Mosê). Per il mondo architettonico si ha una medesima procedura: i primi atti ufficiali di san Gregorio l’Illuminatore furono indirizzati alla demolizione dei più famosi santuari pagani armeni (in numero di otto). Al di là di questa informazione, certamente la fase arcaica dell’architettura armena ha visto edifici religiosi quali chiese a sala longitudinale absidata, basiliche a navata unica e altri «includenti martyria, luoghi di culto annessi a cappelle memoriali o a mausolei […], e anche di raccolta delle comunità ecclesiali, nei diversi centri abitati»20. Chiudo questo accenno sull’Armenia e sulla sua architettura sottolineando una considerevole svolta avutasi dalla metà del VI e pieno VII secolo in relazione a quanto accadeva nell’Impero bizantino. I Concili di Dvin (525 e 552) staccano la Chiesa armena da quella bizantina, mentre il Katholicato assume autorità assieme al potere reale (ambigua resta la posizione politica delle grandi famiglie feudali); a Bisanzio inizia uno stallo politico dopo Giustiniano e, a parte il forte impulso militare di Eraclio, s’entra dalla metà del VII secolo nella crisi dell’Impero causata soprattutto dalle invasioni arabe. Il califfato non rompe l’unità dell’Armenia, e lo stesso dicasi per la Siria, ma, ricevendo da questi due paesi i dovuti tributi, ne riconosce la libertà religiosa e il diritto di costruire edifici di culto. Quando esplode l’epoca classica dell’architettura armena – si pensi a Narsēs III detto il Costruttore (katholikos dal 641 al 661) – e in Siria si continua a costruire – e ci si rammenti della Giordania e del Negev – Bisanzio entra in uno stato di pausa costruttiva chiamato dagli storici «i secoli bui». La fede cristiana era stata il propellente d’una esplosione costruttiva ed ideologica le cui radici, l’abbiamo visto, sono innestate sul potere imperiale. A questo innesto bisogna aggiungere la figura e funzione episcopale che aveva il dovere di umanizzare e santificare uno spazio ove il nuovo culto, approvato e voluto dal sovrano, potesse 20 P. Cuneo, Profilo storico dell’architettura armena, in P. Cuneo, L’architettura armena dal quarto al diciannovesimo secolo, con testi e contributi di T. Breccia Fratadocchi, M. Hasrat‘yan, M.A. Lala Comneno, A. Zarian, Roma 1988, I, p. 24.

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manifestarsi. L’impegno episcopale, tuttavia, non si estendeva solo nei centri urbani, ma – connotazione più problematica e stringente – anche nelle estese e remote aree rurali. La lotta per la fede, soprattutto nei centri urbani – ed in Anatolia e nella Siria occidentale si ricordi v’era il grande sottofondo ellenico e autoctono – ha dovuto lottare e confrontarsi con la cultura pagana che s’era espressa con la magnificenza degli edifici pubblici. E l’edificio della chiesa non fu da meno, grazie alla figura episcopale che, sostenuta dalle normative imperiali, divenne il fulcro della nuova città cristiana. V’è il committente privato, usualmente aristocratico e molto ricco che interviene nella costruzione d’una sua propria chiesa, ma è soprattutto il vescovo a gestire questa attività per tutto l’Impero; grazie alle definitive leggi e novelle giustinianee, l’edilizia ecclesiastica resta sotto l’autorità episcopale21. V’è, tuttavia, fin dall’inizio dell’architettura cristiana, una corrente di esegesi architettonica che, non prevalente inizialmente, diventa in seguito costante fino a divenire essenziale: è l’esegesi mistagogica, una costante nella letteratura bizantina, sira ed armena. In termini più immediati, si tratta di una relazione fra archetipo e tipo, celeste e terrestre, peribile e duraturo, una scansione binaria di matrice platonica sì, ma più esattamente neo-platonica. Ritorno così ancora ad Eusebio di Cesarea22, al panegirico ch’egli fa a Paolino per la basilica a Tiro (317-319). Gesù Cristo operava secondo l’agire del Padre, similmente Paolino procedeva secondo l’operare di Cristo; Paolino esegue utilizzando le azioni di Cristo come modelli e archetipi, riproducendone le immagini e mettendovi tutta la rassomiglianza possibile… Egli non è inferiore a Beseleel che ha costruito il tempio secondo i simboli dei tipi celesti (Eusebio ricorda la partecipazione dei fedeli con le loro offerte in Le fonti a riguardo, sia documentarie, che epigrafiche ed archeologiche sono moltissime. Un’ottima documentazione si rinviene negli Actes di XIe Congrès International d’Archéologie Chrétienne, I-III, Città del Vaticano 1989; per le implicanze politiche ed ideologiche, cfr. R. Lizzi, Il potere episcopale nell’Oriente Romano. Rappresentazione ideologica e realtà politica (IV-V sec. d.C.), Roma 1987. 22 La letteratura è estesa: basti qui É. des Places, Eusèbe de Césarée commentateur. Platonisme et Écriture Sainte, Paris 1982, e l’introduzione di G. Farrelle a Eusèbe de Césarée, La préparation évangélique, l. XI, Paris 1982 (Sources Chrétiennes, 292). Va da sé che la basilica di Tiro è stata costruita sotto Licinio e non sotto Costantino. 21

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questa impresa)… Quest’uomo (cioè Paolino) «s’è così messo a costruire questo magnifico tempio di Dio Altissimo, simile per la sua natura al modello del tempio perfetto nella misura ove il visibile può essere simile all’invisibile»23. Quanto il testo panegirico di Eusebio afferma, con toni e parole essenziali sul rapporto di terrestre/celeste, sarà espletato in lunghi trattati per la esegesi (theoria) architettonica della chiesa. In aggiunta a questa singolare connotazione, ritengo che inizi già da ora quell’atteggiamento autocelebrativo da parte del vescovo (per natura sua propria lo era dell’imperatore, come accennato precedentemente) che si autodefinisce costruttore, architetto della chiesa che egli costruisce, erige24. L’esempio di Marco Giulio Eugenios, vescovo di Laodicea in Licaonia, così come trasmessoci da un’iscrizione da lui stessa scritta e databile attorno al 340, schizza un profilo realistico e meno retorico del testo eusebiano. Questo il testo dell’iscrizione: «Marco Giulio Eugenios, figlio di Kyrillos Celere da Kuessos senatore, avendo servito nell’officium del governatore di Pisidia e avendo sposato una figlia di Gaio Nestoriano (di rango) senatorio, Flavia Giulia Flaviana, e con onore avendo servito; e nel frattempo essendo giunta sotto Massimino l’ordinanza che i Cristiani sacrificassero e non uscissero dal servizio, moltissime e tanto grandi tribolazioni avendo sofferto sotto il governatore Diogenes, ed essendomi studiato di ritirarmi dal servizio conservando la fede dei Cristiani, e avendo trascorso breve tempo nella città dei Laodicei e per volere dell’onnipotente Iddio essendo stato fatto vescovo, ed avendo per venticinque interi anni esercitato l’episcopato con molto onore, ed avendo costruito tutta la chiesa (di Laodicea) dalle fondamenta, e avendo eseguito tutta la decorazione propria ad essa, cioè i portici e i quadriportici e le pitture e i mosaici e la fontana e il propylon e tutte le decorazioni marmoree e, in una parola, ogni cosa, e in attesa di abbandonare la vita degli uomini, feci a me stesso un 23 Eusèbe de Césarée, Histoire Ecclésiastique. Livres VIII-X et les Martyrs en Palestine, X, IV, 25-26, éd. par G. Bardy, Paris 1958 (Sources Chrétiennes, 55), pp. 88-90. Si noti che Beseleel (e a maggior ragione Paolino) è chiamato «demiurgo» da Eusebio, un termine con forti connotati filosofici. 24 N. Schibille, The Profession of the Architect in Late Antique Byzantium, in «Byzantion», 79 (2009), pp. 360-379.

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basamento e un sarcofago, sul quale volli far incidere le cose predette, per ornamento e della chiesa e della mia famiglia»25. L’iscrizione, a parte la sua interessante incorniciatura storica, è preziosa per l’illustrazione che offre sull’operato di Eugenios. Non ci sorprende la presenza del quadriportico – da leggersi come atrio – e del propylon che immetteva con gradini al quadriportico da una quota più bassa (dalla strada?); i portici probabilmente sono i passaggi coperti che girano nell’atrio (è interessante che non si accenna a colonne!). Il centro dell’atrio aveva la sua fontana, elemento costante negli impianti ecclesiastici tardo-antichi. La decorazione si affida alle lastre marmoree che coprivano i registri bassi dei muri, mentre quelli alti erano coperti da affreschi e mosaici. Un estratto del miracolo 17 relativo al santuario di S. Tecla (un complesso enorme con tre basiliche, bagno, cisterne costruito per magnificare all’esterno l’umile antro sotterraneo della Santa – sito nei pressi dell’odierna Silifke, antica Seleucia) ci fa conoscere un noto mosaicista del V secolo, Leonzio, ben conosciuto ad Antiochia di Siria. Costui lavorava sulle impalcature alte per i rivestimenti marmorei, sia nella navata come nel santuario; a lui, inoltre, va attribuito «la bellezza del pavimento il cui disegno a poco a poco convergeva al centro con grande varietà di forme»26. Il vescovo colto – ve n’erano molti in epoca alta, basti pensare ai Padri Cappadoci – riteneva importante magnificare l’architettura della sua chiesa fresca di costruzione attraverso le epigrafi: seguiva la prassi antica nel ricordarsi attraverso la magnificenza della chiesa. Epiodoro, vescovo di Kanatha nella Decapoli sira, nella seconda metà del IV-prima metà del V secolo, fa incidere la sua iscrizione metrica ove egli presenta la sua chiesa in una cornice teologica. Questo è un brano della sua epigrafe: «Ora anzitutto prega e finito di pregare, gioisci nuovamente del piacere degli occhi vedendo le opere lavorate con arte Il testo italiano è di E. Guarducci, Epigrafia greca, IV, pp. 395-396. Mi discosto dalla traduzione della Guarducci un paio di volte a proposito di: «propria ad essa» invece di «intorno ad essa» (in effetti Eugenios parla di tutta, «sympanta», la decorazione della chiesa, dell’interno come dell’esterno); invece di «ricostruire», leggo «costruire», avendo il verbo ἀνοικοδομέω anche il significato di «costruire». Dai lavori fatti, dalle fondamenta alla decorazione, si tratta del primo intervento architettonico e decorativo. 26 G. Dagron, Vie et Miracles de Sainte Thècle, Bruxelles 1978 (Subsidia Hagiographica, 62), p. 334, ll. 4-6. 25

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(che ornano) la sontuosa chiesa di cui, per l’interesse incessante, Kassio Epiodoro, il vescovo pieno di saggezza, avendo accettato l’incarico ha condotto la costruzione a buon fine con zelo e rapidità, per (la gloria) di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo insieme. Che ornamento tecnicamente destro si dispiega partendo dal suolo! Si manifesta in tutta la lunghezza con splendida pavimentazione, con colonne armoniosamente disposte su ambo le parti. E qui che tutti coloro che confessano Cristo gli rendono gloria […]» (ci sono ancora due torri gemelle dietro la chiesa con decorazioni in rilievo)27. Epiodoro, dunque, viene da noi anche ricordato per questa sua iscrizione, ma lo scritto è da una parte un atto di fede nell’intera Trinità, unico Dio, e, dall’altra, un esplicito riconoscimento dell’edificio ove tutti i credenti – quelli che confessano Gesù Cristo – rendono gloria. Entusiasmante è il racconto di Zaccaria di Mitylene a proposito della chiesa della Risurrezione a Beirut, costruita dall’arcivescovo Eustazio attorno al 449. L’armonia delle proporzioni e lo splendore delle historiae (si tratta di rappresentazioni figurate; in questo contesto probabilmente di mosaici parietali) s’intonano perfettamente alla doppia fila di colonne in numero di cinque; le colonne, ci tiene il nostro autore a sottolineare, sono nuove, dello stesso marmo e approntate appositamente per la chiesa28. Se ritorniamo ad Est, l’Armenia, che rimase in mano sassanide dal 430 al 634 (per poi vedersela con gli Arabi), offre soprattutto nel VII secolo una miriade di costruzioni ecclesiastiche. Ancora una volta ritroviamo in questo diverso contesto geografico e culturale, la stessa motivazione di fede, di profondo legame alla figura di san Gregorio l’Illuminatore, tale che tutti i soggetti (re, signori locali, katholikoi e popolo) si sentono investiti d’una «responsabilità costruttiva»29. R. Donceel, L’évêque Épiodore et les basiliques de Kanatha d’après une inscription grecque inédite, in «Le Muséon», 100 (1987), pp. 71-75. 28 Zaccharia Mytilenses, Disputatio de mundi opificio, in PG, 85, cc. 1023 B-1025 B; P. Collinet, Histoire de l’École de droit de Beyrouth, Paris 1925, ove si ipotizza la presenza degli auditoria per la scuola di diritto legati all’area della basilica. 29 Si veda l’ottima selezione epigrafica relativa alle costruzioni ecclesiastiche in T. Greenwood, A Corpus of Early Medieval Armenian Inscriptions, in «Dumbarton Oaks Papers», 58 (2004), pp. 79-91. 27

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Sebeos, storico armeno che scrive verso la fine del VII secolo, così ci racconta della costruzione della cattedrale a Dvin: «Quindi Smbat chiese al re l’autorizzazione a ricostruire la chiesa di san Grigor, che era nella città di Duin. E poiché era morto il pio kat’ołikos Movsēs e non v’era vardapet [= maestro, monaco] in quel luogo, ancora si affrettò a richiedere al re l’ordine. Giunto l’ordine nella sua terra, fece richiesta alla grande sede che vi proponessero un sovrintendente, il quale provvedesse alla chiesa e dirigesse il restauro di essa; nominarono Abraham Rštuni, quale vescovo nella sede patriarcale; poi cominciarono a porre le fondamenta della chiesa: riunirono i maestri lapicidi, vi preposero dei fedeli sovrintendenti e diedero ordine di portare l’opera a veloce compimento. Scrissero allora un messaggio di protesta il signore del castello e il marzpan al re, dicendo: “È troppo vicina al castello e ne viene pericolo da parte del nemico”. Il re inviò il comando seguente: “Il castello sarà abbattuto, ma la chiesa sarà edificata nel medesimo luogo”. Amen»30. La chiesa, fra le più grandi in Armenia, fu originariamente costruita attorno al 450 e dedicata a S. Gregorio l’Illuminatore; Smbat Bagratumi si impegna in una radicale trasformazione nella prima metà del VII secolo. Il testo ripropone la costante dell’impegno tecnico e di manodopera nella creazione di questa chiesa a tre navate con cupola e tre absidi31. Vorrei, però, far notare l’enfasi che Sebēos versa sul carattere sacro dell’edificio, così come il re lo intende: la priorità vien data alla chiesa, piuttosto che al castello, pur se la valutazione è logisticamente errata. Parlando di architettura armena di VII secolo non si può dimenticare la splendida chiesa delle Forze Vigilanti (= degli Angeli, Zvart’noc’) costruita dal katholikos Nersēs fra il 642 e 662: una grande struttura tetraconca inscritta in una pianta circolare32. Ancora una volta lascio parlare il testo di Sebēos: «In quel tempo il kat’ołikos degli Armeni, Nersēs, progettò di costruirsi una residenza presso le sante chiese che si trovavano nella città di Vałaršapat, sulla strada per la quale, si dice, il re Trdat si è fatto incontro a san Grigor. Vi costruì pure una chiesa dedicata Sebēos, Storia, trad., intr. e note di C. Gugerotti, Verona 1990, p. 77. Cuneo, L’architettura armena, p. 114. 32 Ibidem, pp. 102-104. 30 31

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agli angeli celesti, i quali erano apparsi in visione a san Grigor, come una moltitudine di schiere celesti. Strutturò la chiesa in alti edifici e con meraviglie strabilianti, degne dell’onore di Dio, per cui fu edificata; vi condusse l’acqua, vi portò il fiume e rese coltivabili tutti i luoghi erti; vi piantò vigneti ed alberi e circondò la residenza con una muraglia di splendida fattura ed elevata per la gloria di Dio»33. Dalle strutture lasciate sul terreno, la chiesa doveva essere di straordinaria bellezza ed arditezza progettuale. Ho citato questo edificio, tuttavia, non solo a causa del katholikos Nersēs, detto appunto il Costruttore per la sua intensa attività edilizia, quanto piuttosto per segnalare come l’erezione di un edificio ecclesiastico porti ad una umanizzazione dello spazio circostante in precedenza amorfo. Questo fenomeno di aggregazione – in città si tratterebbe di un’insula o quartiere – è un fenomeno a mio avviso altamente importante per la stabilità di una comunità cristiana. Non tanto in città, quanto nell’ambiente rurale, come accennerò in seguito, la costruzione della chiesa diveniva non solo un polo di aggregazione ma anche, e soprattutto, un fondamento di speranza e di aiuto dall’alto per la gente semplice e povera. Avevo in precedenza accennato alla presenza del tempio pagano sotto la chiesa dell’Anastasis a Gerusalemme; solo un breve ritorno per focalizzare una caratteristica che spesso viene sorvolata a proposito di architettura cristiana. Anche qui lasciamo che parlino i testi scritti. Fra le tante una prima iscrizione da Ezraa in Siria di VI secolo inizia in questo modo: «Ed ora, contemplando la potenza del Salvatore Signore Dio, glorifica il santo Signore che ha distrutto le opere degli idoli. Questa dimora che in passato era stata costruita [per essere quella] dei demoni scolpiti, costruita con cattive pietre che la parola di Cristo ha sconnesso e (da questa parola) ha suscitato, [fatta] di pietre ben pulite, la dimora del suo servitore e buon cavaliere Sergio [… ]»34. A questa si lega un’altra iscrizione del 515 di Zoara, località araba al sud del Mar Morto; qui il tempio di Theandrite è cambiato nella chiesa di S. Giorgio: «Dio ha la sua dimora là ove era la dimora dei demoni, Sebēos, Storia, p. 113. Cl. Mondésert, Inscriptions et objects chrétiens de Syrie et Palestine, in «Syria», 37 (1960), pp. 125-126. 33 34

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la luce salvifica brilla là ove l’oscurità stendeva il suo velo; là ove si facevano sacrifici agli idoli, ora danzano gli angeli»35. Questo fenomeno, comunque, è ben più profondo di quanto si possa pensare e, dato il contenuto antropologico presente in esso, faccio parlare due esimi testimoni. Teodoreto di Ciro, che guardava alla regione di Antiochia di Siria, scriveva: «I martiri hanno cancellato dalla memoria degli uomini, quegli stessi che si chiamavano dei. In effetti, i loro templi sono stati così completamente distrutti che non si può immaginare più il loro posto, e che gli uomini odierni non conoscono più la forma dei loro altari, al punto che il loro materiale [litico] è stato consacrato ai santuari dei martiri. In effetti, il nostro Maestro ha posto i suoi propri morti [i martiri] in luogo dei vostri dei»36. L’altra persona degna d’essere ascoltata è Gregorio Magno, il quale – da non dimenticare – conosceva bene l’ambiente costantinopolitano avendo vissuto e lavorato nella capitale d’Oriente. V’era un problema sul come comportarsi con gli Angli convertiti, era il luglio del 601, e Gregorio scrive ad Agostino una lettera che è degna, credo, ancora oggi d’esser riletta in ambienti ecclesiastici istituzionali. Così il testo: «[…] che non si debbano affatto distruggere i templi degli dei, ma solo le immagini degli idoli che vi si trovano dentro. Si prenda invece l’acqua benedetta, la si asperga in quei templi, vi si costruiscano altari, vi si collochino reliquie. In effetti, se quei templi sono ben costruiti, è necessario che si trasformino, passando dal culto dei demoni all’ossequio del vero Dio. Così quella gente, mentre non vede distrutti i suoi templi, scaccerà l’errore dal suo animo e accorrerà più facilmente, conoscendo e adorando il vero Dio, ai luoghi che le sono familiari. In quanto ai buoi che in gran quantità venivano uccisi in sacrificio ai demoni, bisogna anche su questo che la solennità abbia qualche modifica: nel giorno anniversario della dedica o nella festa dei santi martiri di cui lì sian state 35 W. Dittenberg, Orientis graeci inscriptiones selectae, II, Leipzig 1905, n. 610. Per questa ampia problematica, molto utili i saggi pubblicati in From Temple to Church. Destruction and Renewal of Local Cultic Topography in Late Antiquity, ed. by J.Hahn, St. Emmel, U. Gotter, Leiden-Boston 2008. 36 Théodoret de Cyr, Thérapeutique des maladies helleniques, VIII, 68-69, éd. par P. Canivet, Paris 1958 (Sources Chrétiennes, 57), p. 335; Ruggieri, Annotazioni in margine alla trasformazione, pp. 96-99 (cfr. supra nota 12).

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poste le reliquie, si facciano con rami di alberi tende intorno alle chiese che sono i loro templi trasformati e si celebrino le solennità con religiose feste conviviali; non immolino più animali al diavolo, ma uccidano pure gli animali per loro cibo, a lode di Dio, e ringrazino della loro sazietà il donatore di tutte le cose: più facilmente arriveranno a godere gioie interiori se è riservata a loro anche qualche gioia esteriore»37. Per quanto si possa dire, non ho trovato nella letteratura bizantina una pagina così realistica e serena come questa di Gregorio. Pur vero che nella epistola XI, 37 Gregorio scrivendo al re Etelberto suggeriva la prassi della distruzione, ma il ripensamento ha dato inizio ad un rispetto della identità culturale degli Angli, come giustamente Vera Paronetto annottava nel regesto delle lettera. Se, tuttavia, lasciamo la città e guardiamo alla campagna, varie indicazioni date da Gregorio appaiono qua e là. La città, ben si sa, non poteva vivere se non c’era la campagna che forniva tutto il necessario; questa relazione esisteva anche in tempo cristiano e spettava alla responsabilità giuridica e pastorale del vescovo aver cura della campagna. Il mondo rurale, tuttavia, aveva stratificazioni culturali e ritmi stagionali che non erano propri ad un ambiente urbano; il milieu cittadino era facilmente controllabile e al tempo stesso diveniva calderone culturale ove idee, modi, commerci e ribellioni avevano luogo. Se diamo fede alle fonti storiche, nella regione bizantina della Caria, elementi di culto pagano persistettero fino all’VIII secolo. Libanio, il grande retore antiocheno, amico di san Basilio e maestro di Giovanni Crisostomo, nella Oratio XXX rivolta all’imperatore Teodosio I, attorno all’anno 386 ha una felice affermazione degna d’esser riportata: «I templi, o Re, sono l’anima della campagna; essi segnano l’inizio dell’insediamento e sono stati tramandati attraverso molte generazioni agli uomini di oggi. In essi le comunità agricole pongono le loro speranze per i mariti, per le mogli, i figli, per i loro buoi e per la terra che seminano e piantano»38. Questo rapporto simbiotico della popolazione rurale con la terra e con gli animali resta indiscussa anche in periodo cristiano. Il lavoro Gregorii Magni, Registrum Epistularum, libri VIII-XIV, Appendix, ed. D. Norberg, Turnholti 1982 (Corpus Christ. Series Latina, CXL A), XI, 56 (pp. 961-962); trad. it. di V. Paronetto, Gregorio Magno, Lettere, Roma 1992, pp. 257-258. 38 Libanius, Oratio XXX, 9, ed. A.F. Norman, II, London 1977, p. 108. 37

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3. Perge, insediamento monastico.

4. Perge, una cella dell’insediamento monastico.

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archeologico corrobora questo legame ed indicibilmente numerose sono ancora le chiese o cappelle sparse nella geografia rurale, pur se da anni è iniziata, almeno in Anatolia, una campagna di demolizione di edifici cristiani e questo per varie ragioni. Certamente il vescovo era responsabile della catechesi di cristianizzazione – pur se si avvaleva dell’ausilio del chorepiscopo –; chi divenne, tuttavia, il soggetto principale attivo nelle contrade rurali fu il monachesimo, e questo – ancora una volta – su tutto l’arco geografico da noi considerato. Accanto ai monasteri bisogna anche nominare quegli altri significativi centri di culto che sono i santuari di pellegrinaggio; influenti e importanti come i monasteri, questi santuari inglobavano una molteplicità di edifici religiosi, oltre la chiesa (o le chiese), quali il battistero, il martyrion (o la cripta), l’infermeria, gli alberghi per i pellegrini, i depositi idrici. I monasteri si sparsero ovunque; pur se inizialmente ostacolati ad entrare in città, essi divennero in seguito una componente essenziale del tessuto urbano e Costantinopoli risultò un esempio campione. L’architettura religiosa deve molto al monastero ed intere aree geografiche (il Monte Olympos in Bitinia, il Latmos in Caria, il Massiccio Calcareo nella Siria settentrionale, la regione di Tur’Abdīn e le sparse aree armene; senza contare i monasteri palestinesi) furono puntellate da chiese e celle monastiche (figg. 3-4). Procopio, lo storico dell’imperatore Giustiniano, parla dell’impegno di questo imperatore per la chiesa nel monastero sinaitico sottolineando bene la posizione del monastero nell’ambiente montagnoso e selvaggio del Monte Sinai39 (figg. 5-6). L’intento dell’imperatore, continua lo Storico, era quello di offrire una chiesa ai monaci, sì che essi non avessero nulla per cui affannarsi e potessero così darsi completamente alla preghiera e alla liturgia. La chiesa è una basilica e il mosaico della Trasfigurazione resta ancora oggi una meraviglia (fig. 7). V’è tuttavia, anche al dire di Procopio, l’importanza del luogo: «[…] fu in questo posto, dicono, che Mosè ricevette la legge da Dio […]», importanza percepita dagli antichi come dai moderni, che rendeva particolare questo complesso. Da molti il monastero era ambìto perché la vicinanza 39

Procopius, Buildings V, VIII. 2-9, ed. by G. Downey, London 1971, pp. 354-356.

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5. La vallata del Monte Sinai con il monastero.

6. Il monastero di S. Caterina al Sinai.

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7. Monastero di S. Caterina al Sinai, il mosaico della Trasfigurazione (in abside).

del divino era percepibile grazie alla maestosità dello scenario e alla assoluta solitudine. Eppur v’era un’apparizione che addolorava un santo anziano, Giovanni, che viveva in Palestina, in una grotta del monastero dell’abba Eustorgio. Giovanni diceva sempre: «Voglio vivere sul Monte Sinai per dedicarmi alla preghiera». E l’apparizione, che in realtà era san Giovanni Battista, finalmente si rivela a Giovanni dicendogli: «Sono Giovanni Battista. Ti sto dicendo di non andare via perché questa piccola grotta è ben più grande del Monte Sinai. Spesso il Nostro Signore Gesù Cristo vi è entrato per farmi visita»40. La inaspettata e sconcertante stravaganza dello spirituale lascia intravedere la vera linfa vitale che sostiene un’architettura: la grotta umanizzata da Giovanni ospitava Gesù Cristo che la santificava. Un’altra stravagante presenza, questa volta non di Gesù Cristo ma di san Simeone lo Stilita spiega, anche se non del tutto, il grande e stupendo complesso architettonico a Qal’at Sim’ān, vicino ad Aleppo. Il fulcro 40

Giovanni Mosco, Il prato, ed. da R. Maisano, Napoli 1982, cap. 1, p. 66.

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assiale del complesso è la colonna dello stilita; da essa partono quattro sale basilicali a forma di croce, di cui quella orientale presenta tre absidi ad est (la sala liturgica per eccellenza). Il quadrato centrale, da cui partono le sale basilicali centrate sulla colonna, con l’espediente architettonico di esedre angolari diventa ottagono (si noti la forma ottagonale che ritorna anche nel monumentale battistero posto ad occidente della chiesa a quattro bracci). Ancora a sud-est rispetto alla colonna, sorgeva il complesso monastico costituito da una struttura a tre piani su una pianta a ferro di cavallo (figg. 8-11). Un’impresa di questo genere non è da iscriversi alla sola capacità spirituale ed economica di san Simeone; l’impiego di centinaia di operai comportava una quotidiana spesa che probabilmente fu in parte o in tutto sostenuta dall’imperatore Zenone (fine V secolo). Vicino a questo enorme complesso, ai piedi della collina, sorse un villaggio con chiesa e tre monasteri che servivano a dare alloggio ai pellegrini. Pur se arioso, imponente ed aulico, il complesso di Qal’at Sim’ān da un punto di vista progettuale faceva ricorso alla pianta cruciforme, che da quelle parti era ben conosciuta (il martyrion di S. Babyla presso Antiochia). Se volessimo, tuttavia, spiegare come funzionalmente lavorava

8. Qal’at Sim’ān, la base della colonna dello stilita.

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9. Qal’at Sim’ān, la basilica.

10. Qal’at Sim’ān, ambienti del monastero.

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11. Qal’at Sim’ān, il battistero.

liturgicamente il complesso chiesastico, si resta perplessi a causa dei presupposti che noi abbiamo circa i movimenti liturgici, spesso letti troppo accentuatamente con toni costantinopolitani. Nella vicina Cilicia, ad Alahan, s’è conservato un altro grande e maestoso complesso costituito da due chiese – progettualmente differenti –, da un battistero, da una lunga strada processionale (che legava le chiese e incontrava sul lato nord il complesso battesimale) e resti di insediamento monastico sotto e sulla parete rocciosa che sovrastava il complesso a nord (figg. 12-15). Una strada, con coperture a volta, fiancheggiata da archi aperti, certamente pubblica ma usata anche per esigenze religiose, si trova anche sull’isola di Gemile (forse la città bizantina di Levissos); essa legava due quartieri della città e partendo ad est d’una chiesa terminava nell’atrio di un’altra (fig. 16). È sconosciuto il committente di Alahan, come le dedicazioni per le chiese; dalle stupende decorazioni dei triliti e fregi ancora in situ, si potrebbe pensare ad un santuario micaelico. Lo scenario imponente e religioso delle montagne cilicie lascia pensare agli Angeli (o a san Michele),

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ma il centro non sembra aver avuto alloggi per pellegrini – e nulla è rimasto sul sito che lasci presagire una stabile struttura d’accoglienza. La prima chiesa ad ovest è una basilica a tre navate, come anche la seconda. Quest’ultima, tuttavia, conservatasi anche meglio, presentava sulla pianta basilicale una copertura, forse a forma piramidale, sostenuta da trombe organizzate sugli angoli superiori con ausilio di colonnette. Nel quadro dell’architettura religiosa non possiamo tralasciare un altro importante fenomeno che è quello del complesso religioso terapeutico. Molto numerosi sono questi centri religiosi sparsi per tutta la geografia dell’Impero (Ss. Cosma e Damiano, Ss. Ciro e Giovanni, S. Artemio, S. Michele ecc.), le cui informazioni ci vengono soprattutto dai Miracula e ben poco dall’archeologia. Già santa Tecla aveva il suo santuario creato attorno alla grotta nei pressi di Seleucia in Cilicia. Fortunatamente ispezioni archeologiche condotte nel ’900 hanno documentato quanto restava sul terreno, evidenze sostenute e rese intellegibili dai dettagliati e interessanti Miracoli della santa41. Quest’area sacra,

12. Alahan, la chiesa orientale. 41

Dagron, Vie et Miracles de Sainte Thècle.

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13. Alahan, la chiesa orientale vista da ovest.

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14. Alahan, la basilica occidentale.

15. Alahan, il fonte battesimale.

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16. Gemile, la strada voltata.

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tale bisogna chiamarla e leggerla, comprendeva: tre grandi chiese; una grotta preesistente (figg. 17-18), sottostante ad una basilica e trasformata in santuario; un muro di cinta che chiudeva il tutto. Dei guardiani stavano a vigilare e a mantenere la correttezza e l’ordine all’interno di questa piccola città. Dalla narrazione dei miracoli, inoltre, sappiamo che v’erano giardini all’interno delle mura, ricchi di vegetazione che ospitavano uccelli anche esotici (e cari a Tecla); c’erano, ancora, delle cisterne, alcune delle quali visibili ancora oggi; il complesso possedeva un bagno e una infermeria. Un tocco di estrema delicatezza femminile si rinviene nella descrizione dell’atrio della basilica antica (IV secolo): l’atrio diventa un piccolo paradiso dove le nonne e le nutrici badano ai giochi dei bimbi. Questi corrono, giocano, gridano e dormono, come dormono coloro che attendono la visita terapeutica della Santa. Questi ultimi casi da me citati vanno ben oltre l’idea d’una semplice architettura ecclesiastica: essi sono la cartina di tornasole del cuore e della mente sempre sfuggenti all’analisi storica e difficili ad essere illustrati e compresi in un contesto contemporaneo. Iniziai citando l’iscrizione relativa ad Agapito ove la diversità delle lingue – in quel contesto nei rotoli, qui ora nella diversità delle strutture architettoniche – è sostenuta dalla unicità della fede. Sulla fede vorrei alla fine fermarmi; ma non su quella manifestata nelle strutture edilizie erette da imperatori, circoli aristocratici o da monaci carismatici; vorrei soffermarmi sulla fede che la chiesa, come edificio, instillava nei fedeli. Ben si sa come con l’avvento del Medioevo v’è stato in genere una riduzione delle dimensioni dell’edifico ecclesiastico, e le motivazioni sono tante; fuori luogo affrontarle in questa sede. In genere l’architettura bizantina e sira non si affida alle decorazioni esterne, come invece avviene in Armenia. Quanto si vede ancora oggi sulla facciata esterna dei muri della chiesa della S. Croce sull’isola di Ahtamar (915-921) – Cristo, la Vergine, santi, bestiario e motivi fitomorfi in una historia ben illustrata – non esiste nel mondo bizantino (figg. 19-21). Quanto invece la tradizione bizantina, sira ed armena vivono all’unisono è la simbologia teologica dell’edificio religioso. In questo contesto scompaiono le differenze, se si vuole anche la tipologia architettonica viene rielaborata secondo una visione teologica fondata sui simboli e i loro significati. A ben ricordare, si è accennato all’inizio, a proposito della chiesa

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17. Silifke, la grotta della Santa.

18. Silifke, santuario di S. Tecla, ambiente sotterraneo.

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19. Ahtamar, la chiesa.

20. Ahtamar, la chiesa, rilievi sulla facciata esterna.

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21. Ahtamar, la chiesa, rilievi sulla facciata esterna.

della Resurrezione, quanto Eusebio già lasciava intravedere: la coesistenza di due mondi grazie all’edificio e il riflesso del celeste nel terrestre. La chiesa è la visibile rappresentazione del regno dei cieli; essa sorpassa in bellezza ed armonia lo stesso tempio di Gerusalemme. Vorrei ricordare che l’Anastasis a Gerusalemme fronteggiava il sito dell’antico tempio, e l’opera di Costantino oscurava quello che era una meraviglia di costruzione. Una fonte, pur se tarda, riporta il famoso detto di Giustiniano: «Sia benedetto Dio che si è compiaciuto di farmi condurre a termine una tale opera. Ti ho vinto, o Salomone!»42. Come si vede – e ci sarebbe molto da dire – l’esemplare da superare era la bellezza e grandiosità del Tempio di Gerusalemme e, al tempo stesso, una ripresa ideologica della sacralità del Tempio e del suo culto. Il fuoco di una visione prospettica, non rinascimentale, ma altomedievale ed intesa in orizzonte urbanistico è la chiesa. Nella città cristiana, sia di derivazione classica che medievale, la chiesa, come edificio e il mondo sacro che rappresentava, era il punto di riferimento di tutto. Se 42 Diêgêsis peri tês hagias Sophias, 27, in Scriptores Originum Constantinopolitanarum, ed. Th. Preger, Lipsiae 1901[-1907], p. 105.

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anni or sono, arrivando ad Istanbul dal mare, da sud, cioè, gli occhi erano presi dalla mole imponente di S. Sofia, a maggior ragione in un villaggio o piccolo paese l’edificio della chiesa centralizzava il ritmo di vita, anche stagionale, degli abitanti. L’architettura ha questa forza, e nei tempi che furono esprimeva questa possanza non solo a causa della sua mole architettonica (la stragrande maggioranza dei monumenti conservatosi in Anatolia sono chiese, anche perché costruite in muratura), ma grazie a quel mondo interiore che conteneva: i canti, le liturgie, i paramenti, i profumi, le luci, la decorazione figurata e scultorea, le cerimonie con processioni ecc. L’architettura è anche tutto questo, e la gente di allora la viveva in questo modo, se v’è stata un’enorme letteratura che ha cercato in molti modi di esprimerla. Il mondo orientale, dalla Siria attraverso l’Anatolia fino all’Armenia, usava il suo proprio linguaggio per esprimere, con e per l’architettura, la vicinanza, la comunione col divino. Che si chiami tenda o volta, santuario o sepolcro, calvario o ciborio, ogni singola parte era il riflesso di un ordine celeste, divino43. Era il 24 dicembre del 562, in occasione della seconda inaugurazione di S. Sofia a Costantinopoli (fig. 22), quando fu cantato un mirabile kontakion che invoca il Signore di mostrare «alla maestà del firmamento, anche la bellezza quaggiù della santa tenda della tua gloria: rendila ferma nei secoli […] Sia magnificato sopra ogni altro questo tempio ammirabile, venerando abitacolo di Dio, che anche dalle sue forme si dimostra degno di Lui, giacché sorpassa ogni umana abilità costruttrice; viene contemplato e decantato quel cielo terrestre per le (sue) immagini e adorazioni»44. 43 Si veda inizialmente per il mondo armeno: R.W. Thomson, Architectural Symbolism

in Classical Armenian Literature, in «Journal of Theological Studies», n.s., 30 (1979), pp. 102-114; per quello siro: Anonymi Auctoris Expositio officiorum Ecclesiae Georgio Arbelensi vulgo adscripta, ed. R.H. Connoly, Romae 1916 (Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Scriptores Syri 32, ser. II, t. 92); A. Palmer, The Inauguration Anthem of Haghia Sophia in Edessa: a new edition and translation with historical and architectural notes and a comparison with a contemporary Costantinopolitan Kontakion, with an appendix by L. Rodley, in «Byzantine and Modern Greek Studies», 12 (1988), pp. 117-167; per l’ekphrasis di Paolo Silenziario: M.L. Fobelli, Un tempio per Giustiniano. Santa Sofia di Costantinopoli e la descrizione di Paolo Silenziario, Roma 2005. 44 S. Gassisi, Un antichissimo «Kontakion» inedito ed un innografo anonimo del secolo VI, in «Studi Liturgici» (Grottaferrata), 1913, III, pp. 34-35; C.A.Trypanis, Fourteen Early Byzantine Cantica, Wien 1968 (Wiener Byzantinische Studien, 5), pp. 141-143.

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22. Istanbul, la chiesa di S. Sofia.

Il linguaggio del kontakion è semplice, lontano dalla retorica, cantato e comprensibile da tutti quelli presenti nella chiesa giustinianea a contemplare la meraviglia per eccellenza. Non s’è avuto modo e tempo per descrivere come si copriva l’architettura sicché i muri divenissero veramente luoghi e spazi di pura contemplazione del mirabile. Come spiegare oggi l’espressione «cielo terrestre» se non visualizziamo, come si faceva in antico, la cascata dall’alto dei doni celesti? Dal Pantocrator in cupola, si scende grazie ai Profeti e agli Apostoli; gli Evangelisti sostengono i quattro angoli che formano i pennacchi per poi scendere e leggere la storia della Salvezza nelle scene vetero e neo-testamentarie. I registri bassi, come il cancello, prodromo dell’iconostasi, mostravano santi, figure i cui volti erano ben noti a tutti, indistintamente. In questa caduta – e di contro, in questa risalita – il cielo, il divino abitava in terra e il fedele si sentiva accolto, ascoltato, conosciuto. Non più S. Sofia oggi, ma qualsiasi chiesa di rito orientale offre questa innegabile certezza, la fede, al devoto cristiano.

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Un trattato, la Storia Ecclesiastica, attribuita al patriarca Germano di Costantinopoli, ha avuto una immensa popolarità nella tradizione bizantina45. In essa e per essa il cristiano trova il senso teologico dell’architettura dell’edificio chiesastico; la liturgia, tale la radice profonda della teologia e della fede dell’Oriente, si espande abbracciando le strutture dell’edificio. Questo il suo inizio: «La chiesa è il cielo sulla terra; in questo (cielo terrestre) abita ed opera il Dio che risiede nei cieli; prefigurando la crocifissione e sepoltura e risurrezione di Cristo, glorificata (= la chiesa) sulla tenda della testimonianza di Mosè, nella quale vi sono il propiziatorio e il “Santo dei Santi”, preannunciata dei profeti, fondata sugli apostoli ed inoltre giunta a pienezza nei martiri e abbellita del sommo sacerdozio»46. Lontana è questa lettura da quanto si diceva all’inizio, eppure si è sempre parlato di architettura religiosa. Il fenomeno architettonico ieri, come oggi, pur se in modo analogo, è polisemantico e la sua lettura spesso è condizionata da quanto noi vogliamo trovare in esso oppure da quanto desideravamo che esso dicesse. Se, tuttavia, v’erano differenze tipologiche e funzionali negli edifici di culto, sparsi per l’estesa geografia da noi considerata, resta fuori dubbio che la chiesa esprimeva un’appartenenza ed una identità, sostenute queste certamente da imperatori, re, vescovi e ricchi donatori, che la gente comunque sentiva e viveva come sostegno nella vita quotidiana. Abbiamo saltato nel corso di questa argomentazione il lungo periodo medievale, quando cioè era l’appartenenza religiosa, la fede cristiana a dare sicurezza e conforto alle comunità cristiane che – dovremmo ricordare – vivevano in un contesto sociale e religioso non più monolitico. L’islam dominava in larghissima parte questa geografia una volta cristiana, e la chiesa, l’edificio dove Dio abitava e camminava, ove il divino dimorava fra gli uomini, restava l’unica fonte di acqua fresca e di consolazione per il pesante quotidiano. A modo di conclusione vorrei avanzare un’ultima considerazione R. Bornert, Les commentaires byzantins de la divine liturgie du VIIe du XVe siècle, Paris 1966, pp. 125-180. 46 N. Borgia, Il commentario liturgico di S. Germano patriarca costantinopolitano e la versione latina di Anastasio Bibliotecario, Grottaferrata 1912, p. 10. 45

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che riguarda noi, la nostra società ancora formalmente cristiana. L’esteso patrimonio di antichi edifici cristiani in rovina, ancora presenti sul suolo anatolico in modo particolare, va scemando come l’oblio dei resti cristiani e della sacralità dei luoghi si inspessisce sempre di più. Certo, v’è una politica imperante dietro questo fenomeno, ma anche – e ne parlo per esperienza trentennale – v’è un disinteresse e formalismo da parte nostra e da parte delle autorità religiose. Questo atteggiamento è una confessione apodittica di oblio dell’identità cristiana, proclamata a parole e retoricamente sottolineata in incontri istituzionali, ma totalmente negletta, come cristiana, nelle priorità operative urgenti in contrade una volta culla della cristianità.

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La Fondazione Ambrosiana Paolo VI nel 1979 ha iniziato le Settimane europee, da cui successivamente ha preso avvio la collana «Europa ricerche», che propone ampi excursus sulla storia religiosa dei popoli del Continente, dalla prima evangelizzazione alla situazione contemporanea. L’obiettivo era, e resta, quello di contribuire in modo originale ed efficace alla formazione di una coscienza europea, nello spirito dell’ideale manifestato dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini nel discorso europeistico tenuto all’Alpe Motta nel 1958: «…ma il giorno il cui una libera circolazione di pensiero e di amicizia, di una cultura comune dovesse fondere i diversi popoli, l’unità spirituale [dell’Europa] diverrebbe realtà». Questa nuova collana di «Storia Religiosa Euro-Mediterranea», realizzata in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana, arricchisce e allarga l’orizzonte ideale di tale percorso con le vicende e le tradizioni religiose dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo. Tutti i volumi qui di seguito indicati della collana europea e della nuova collana euro-mediterranea possono essere richiesti a: Fondazione Ambrosiana Paolo VI Villa Cagnola - 21045 Gazzada (Varese) - Italy Tel. 0039.0332.46.21.04 Fax 0039.0332.46.34.63 [email protected]

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«Europa Ricerche» (prima serie) La Casa di Matriona R.C. Edizioni (I volumi sono disponibili solo presso la Fondazione Ambrosiana Paolo VI) Storia religiosa dei popoli balcanici, a cura di L. Vaccaro, Milano 1983, pp. 288 (esaurito).

Autori: L. Vaccaro, C. Colombo, W. Rubin, R. Manselli, V. Peri, M. Clinet, D. Kokša, A. Rádovic, F.V. Mareš, T. Špidlík, G. Vodopivec, A. Alpago Novello, M. Jezernik, G. Eldarov, J. Tomko.

Storia religiosa della Russia, a cura di L. Vaccaro, Milano 1984, 19882, pp. 296.

Autori: L. Vaccaro, M. Marusyn, J. Kraicar, A. Piovano, S. Senyk, E. Galbiati, P. Galignani, N. Bux, A. Asnaghi, A. Dell’Asta, L. Dal Santo, A.D. Siclari, T. Goričeva, R. Scalfi.

Storia religiosa della Polonia, a cura di L. Vaccaro, Milano 1985, pp. 288.

Autori: L. Vaccaro, L. Caprioli, W. Rubin, J. Kłoczowski, Z. Sułowski, U. Borkowska OSU, L. Grygiel, J. Tazbir, W. Müller, J.J. Kopeć, A. Witkowska OSU, S.Z. Jabłoński, R. Przybylski, J. Ziółkowski, L. Müllerowa, B. Sonik, M. Radwan, J. Woźniakowski, S. Grygiel, F. Ricci.

Storia religiosa dei cechi e degli slovacchi, a cura di L. Vaccaro, Milano 1987, pp. 416. Autori: L. Vaccaro, L. Caprioli, J. Tomko, F.G. Litva, J. Motal, J. Polc, D. Eisner, T. Špidlík, K. Skalický, K. Vrána, V. Bělohradský, M. Ďurica, J.M. Rydlo, Š. Vragaš, I. Kružliak, A. Hlinka.

Storia religiosa dei popoli baltici, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro, Milano 1987, pp. 328.

Autori: C.M. Martini, A. Bačkis, P. Rabikauskas, V. Salo, S. Kučinskis, V. Pupinis, G. Gobber, K.J. Čeginskas, S. Lozoraitis, V. Kazlauskas, O. Cavalleri, L. Tulaba.

Storia religiosa dell’Inghilterra, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro, Milano 1991, pp. 384.

Autori: A. Caprioli, L. Vaccaro, A. Borromeo, Ch. Burns, D. Fenlon, D. Pezzini, G. Garavaglia, A.D. Wright, D. Kerr, G. Cristaldi, T. Scalzotto, W. Purdy.

Storia religiosa dell’Ungheria, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro, Milano 1992, pp. 324. Autori: A. Caprioli, L. Vaccaro, L. Kada, Á. Somorjai, C. Alzati, G. Érszegi, E. Pasztor, J. Török, E. Fügedi, B. Holl, Zs. Erdélyi, L. Pasztor, K. Péter, F. Szabó SJ, P. Sárközy, L. Katus, P. Ruzicska, G. Hajnóczi, L. Dankó, G. Békés OSB, L. Lukács, A. Moretti.

L’unità multiforme. Oriente e Occidente nella riflessione di Giovanni Paolo II, a cura di C. Alzati e P. Locati, Milano 1991, pp. 294.

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«Europa Ricerche» (nuova serie) Centro Ambrosiano - ITL 1. L’Europa e l’evangelizzazione del Nuovo Mondo, a cura di L. Vaccaro, Milano 1995, pp. 376.

Autori: F. Citterio, F. Cantù, F. Morales Padrón, J. López Gay SJ, A. de la Hera, P. Castañeda Delgado, J.A. Barreda, F. Pease G.Y., J.A. de Freitas Carvalho, L. Guarnieri Calò Carducci, L. Mattos Cárdenas, M.-C. Bénassy, W. Henkel OMI, C.M. Martini, J.M. Mejía.

2. Storia religiosa dei popoli nordici, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro, Milano 1995, pp. 328. Autori: M. Giordano Lokrantz, W. Kenney, M. Klinge, C.F. Hallencreutz, J. Kristjánsson, T. Nyberg, J. Nybo Rasmussen, Chr. Krötzl, M. Schwarz Lausten, O. Garstein, P. Annala, K. de Fine Licht, A. Alpago Novello, L. Bini, T. Tscherning.

3. Storia religiosa della Svizzera, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro, Milano 1996, pp. 512. Autori: G. Bedouelle, V. Reinhardt, H. Maurer, F. Morenzoni, G. Chiesi, N. Morard, M.R. Silini, A. Moretti, R. Bodenmann, C. di Filippo Bareggi, C. Santschi, U. Fink, M. Turchetti, F. Panzera, F. Python, V. Conzemius, Ph. Chenaux, C. Cattaneo, R. Astorri, F. Beretta, P. Burri, W. Vogler, P. Braun, G. Rumi.

4. Storia religiosa dell’Austria, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro, Milano 1997, pp. 524. Autori: C. Mozzarelli, R. Härtel, W. Maleczek, J. Rainer, D. Caccamo, G. Klingenstein, C. Donati, P. Hersche, E. Brambilla, M. Verga, P. Vismara Chiappa, E. Garms Cornides, H. Karner, S. Malfèr, O. Weiss, A. Zanotti, G. Rumi.

5. Storia religiosa della Spagna, a cura di A. Borromeo, Milano 1998, pp. 520.

Autori: F. Citterio, L. Vaccaro, A. Borromeo, L. Navarra, J. Fernández Conde, A. Mur Raurell, F. Cantù, M. Marcocchi, A. Caprioli, J.I. Tellechea Idígoras, A.D. Wright, Q. Aldea, H. Kamen, J.L. González Novalín, F. Vian, V. Gérard Powell, M. Barrio Gozalo, J. Martín Tejedor, J. Andrés Gallego.

6. Storia religiosa di Belgio, Olanda e Lussemburgo, a cura di L. Vaccaro, Milano 2000, 2 voll., pp. 648.

Autori: P. Macchi, J.A. de Kok, R. Aubert, D. Misonne, J. Pycke, J. Kuys, G. de Baere, B. Ridderbos, M.-É. Henneau, J.-P. Massaut, W. Bergsma, E. Schulte, M. Lamberigts, Th. Clemens, J. Roegiers, F.R.J. Knetsch, S. de Blaauw, P. van Kessel, A. Tihon, G. Hellinghausen, H. de Valk, D. Vanysacker, J. Grootaers.

7. Storia religiosa dell’Irlanda, a cura di L. Vaccaro e C.M. Pellizzi, Milano 2001, pp. 592.

Autori: P. Macchi, D.A. Kerr SM, A. Morganti, A.P. Smyth, M.T. Flanagan, J.A. Watt, M. Sughi, B. Bradshaw SM, D.C. Downey, C. Lennon, R. Gillespie, H. Fenning OP, D. Keogh, E. Larkin, G. Moran, M.N. Harris, D.N. Doyle, K. Milne, T. Bartlett, M. Hurley SJ, J.S. Donnelly Junior, C.M. Pellizzi, F.J. MacKiernan, S.B. Brady.

8. Storia religiosa della Grecia, a cura di L. Vaccaro, Milano 2002, pp. 528.

Autori: G. Fedalto, M. Simonetti, A. Carile, E. Follieri, G. Podskalsky SI, Chr. A. Maltezou, Z.N. Tsirpanlis, G. Stathis, A. Argyriou, G. Ploumidis, I.K. Hassiotis, C. Capizzi SI, G. Galavaris, E. Morini, R. D’Antiga, Y. Spiteris OFM Cap., D. Argyros, D. Salachas, C.D. Fonseca, G. Zervòs.

9. L’Europa dei pellegrini, a cura di L. Vaccaro, Milano 2004, pp. 496.

Autori: G. Colombo, N. Bux, F. Cardini, C. Alzati, M. Loconsole, K. Elm, A. Benvenuti, Th. Szabó, G. Otranto, G. Signori, A. Fucelli, F. Grimaldi, L. Zanzi, G. Palumbo, E. Fattorini, L. Scaraffia, S.K. Samir SJ, M. Garzaniti.

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10. L’Europa e l’evangelizzazione delle Indie Orientali, a cura di L. Vaccaro, Milano 2005, pp. 552.

Autori: L. Vaccaro, J.P. Oliveira e Costa, A. Tamburello, E. Stols, H. Didier, J. López-Gay SJ, A. Zambarbieri, P. Corradini, A. Bianchi, J.A. de Freitas Carvalho, N. Tornese SI (†), J. Ruiz-de-Medina SJ (†), I. Rodríguez Rodríguez OSA, P. Carioti, P. Licini, I. Moriones OCD, B. Vadakkekara OFM Cap., M. Marcocchi, P. Tan Chee Ing SJ.

11. Storia religiosa dell’Ucraina, a cura di L. Vaccaro, Milano 2007, pp. 552.

Autori: G. Colombo, S. Graciotti, I. Ševčenko, Ch. Hannick, V. Peri, G. Podskalsky SJ, G. Pasini, E. Morini, E. Ch. Suttner, A. Joukovsky, H. Łaszkiewicz, G. Brogi Bercoff, I. Skochylyas, M. Martini, A. Krawchuk, B.A. Gudziak, O. Pachlovska, E. Rybałt, L. Quercioli Mincer.

12. Storia religiosa di Croazia e Slovenia, a cura di L. Vaccaro, Milano 2008, pp. 504. Autori: G. Colombo, S. Graciotti, G. Cuscito, J. Neralić, M. Špelič OFM, S. Kovačić, J. Bratulić, J. Faganel, M. Benedik OFM Cap., F. Šanjek OP, B. Kolar, V. Kapitanović OFM, M. Ambrožič, F.E. Hoško OFM, S. Slišković OP, T. Vukšić, R. Morozzo della Rocca, T.Z. Tenšek OFM Cap.

13. Storia religiosa di Serbia e Bulgaria, a cura di L. Vaccaro, Milano 2008, pp. 456.

Autori: L. Mistò, S. Graciotti, C. Alzati, C. Diddi, A. Džurova, G. Podskalsky SJ, V. Gjuzelev, T. Subotin-Golubović, Ch. Hannick, G. Fedalto, K. Pavlikianov, W.R. Veder, A. Naumow, J. Jerkov, R. Tolomeo, A. Pitassio, E. Sgambati, R. Morozzo della Rocca.

14. Storia religiosa dell’Islam nei Balcani, a cura di L. Vaccaro, Milano 2008, pp. 552.

Autori: L. Mistò, S. Graciotti, A. Carile, P.L. Branca, I. Ortayli, N. Clayer, J. Peev, N. Moačanin, G. Fedalto, A. Pitassio, F. Giomi, M. Dogo, S. Bono, A. Džurova, M. Polimirova, A. Popovic, D. Tanasković, L. Omari, X. Bougarel, G. Dammacco, R. Morozzo della Rocca.

15. Storia religiosa dell’Armenia, a cura di L. Vaccaro e B.L. Zekiyan, Milano 2010, pp. 496. Autori: P. Macchi (†), Garegin II, Aram I, Nerses Bedros XIX, B.L. Zekiyan, G. Dédéyan, G. Uluhogian, Y. Petrosyan, A. Manoukian, A. Granian, R. Siranian, H. Tchilingirian, M.K. Krikorian, V. Calzolai, A. Ferrari, C. Gugerotti, M.D. Findikyan, K. Barsamian, A. Manoukian (†), G. Casnati, A. Alpago Novello (†), A. Pensa, A. Kerovpyan.

16. L’Europa e la sua espansione religiosa nel continente nordamericano, a cura di L. Vaccaro, Milano 2012, pp. 704.

Autori: L. Mistò, C. Alzati, L. Codignola, B. Plongeron, O. Servais, P. Doll, P. Naso, P. Ricca, M. Rubboli, F. Morales OFM, D. Piñera Ramírez, E.Ch. Suttner, F. Laugrand, J.B. Ballong Wen Mewuda, D.N. Doyle, M. Tirabassi, G. Campese, E. Morini, G. Rigotti, B. Di Porto.

17. Storia religiosa della Francia, sotto la direzione di C. Vincent e A. Tallon, a cura di L. Vaccaro, Milano 2013, pp. 662.

Autori: A. Vauchez, F. Prévot, B. Dumézil, M. Sot, Ch. Mériaux, D. Riche, J.-H. Foulon, J.-L. Biget, F. Delivré, C. Vincent, M. Venard, B. Dompnier, D. Boisson, J.-L. Quantin, Y. Krumenacker, D. Julia, O. Poncet, A. Tallon, J.-O. Boudon, S. Milbach, G. Cuchet, Cl. Prudhomme, J.-M. Mayeur, F. Michel, D. Pelletier.

18. Storia religiosa degli Ebrei di Europa, a cura di L. Vaccaro, Milano 2013, pp. 560.

Autori: L. Mistò, Card. D. Tettamanzi, S. Graciotti, A. Foa, A. Spagnoletto, M.-R. Hayoun, G. Lacerenza, M. Silvera, D. Tanasković, G. Veltri, R. Della Rocca, D. Mantovan, C. Horel, B. Di Porto, L. Novati, M. Grusovin, G. Laras, A. Pitassio, H. Baharier, S. Facioni, L. Quercioli Mincer, M. Giuliani, P.F. Fumagalli.

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«Storia Religiosa Euro-Mediterranea» Libreria Editrice Vaticana Fondazione Ambrosiana Paolo VI 1. Da Costantinopoli al Caucaso. Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam, sotto la direzione di C. Alzati, a cura di L. Vaccaro, Città del Vaticano - Gazzada (Varese) 2014, pp. 480.

Autori: Mons. L. Mistò, S.Em. Card. D. Tettamanzi, C. Alzati, A. Carile, E. Morini, A.M. Orselli, S. Parenti, G. Fedalto, E.Ch. Suttner, K.G. Pitsakis (†), A.F. Ambrosio, OP, B. Heyberger, S. Khalil Samir, SJ, V. Ruggieri, R.H. Kévorkian, P.M. Kitromilides, Ch. Hannick, G. Shurgaia, M. Nanobashvili, S. Serrano, O. Oehring, S.E. Mons. G. Pasotto. In preparazione:

2. Dal Mediterraneo al Mar della Cina. L’irradiazione della tradizione cristiana antiochena nel continente asiatico e nel suo universo religioso 3. Una Città tra Terra e Cielo: Gerusalemme, le Religioni, le Chiese 4. Popoli, Religioni e Chiese lungo il corso del Nilo. Dal Faraone cristiano al Leone di Giuda 5. Africa / Ifrīqiya. Il Maghreb nella storia religiosa di Cristianesimo e Islam

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ISBN 978-88-209-9209-5

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Storia Religiosa Euro-Mediterranea 1

Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam

Costantinopoli al Caucaso

SREM 1

da

Portata a termine la Storia religiosa dei popoli europei, avviata fin dal 1979, la Fondazione Ambrosiana Paolo VI è venuta focalizzando la propria attenzione sullo spazio mediterraneo, considerandolo nelle sue sedimentazioni storiche, nelle sue molteplici evoluzioni lungo i secoli, nelle sue variegate tradizioni religiose, la cui irradiazione ha talvolta assunto dimensioni amplissime. Al fine di evidenziare, in una prospettiva di lunga durata, gli aspetti di omogeneità presenti nel «continente liquido», nonché le specificità delle sue singole componenti, l’analisi è stata condotta con riferimento agli ambiti territoriali dalla tarda antichità facenti capo ai grandi patriarcati: Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme, Alessandria, ai quali è stata accostata l’Africa latina, a sua volta legata alla sede primaziale di Cartagine. Questo itinerario di ricerca si è sviluppato a partire da Costantinopoli: Nuova Roma, prima sede patriarcale e vertice ecclesiastico della pars Orientis dell’Impero, madre nella fede per una molteplicità di popoli. Alla sua irradiazione in Europa erano stati dedicati diversi tomi della precedente Collana di storia religiosa europea. Il presente volume viene concentrando la propria attenzione anzitutto sulla stessa Costantinopoli, di cui si esaminano gli aspetti istituzionali, la connotazione religiosa, la spiritualità, le forme cultuali. Tale indagine fa da premessa allo studio dell’irradiazione della tradizione costantinopolitana in Anatolia, terra di straordinario significato per la storia cristiana, nonché nel Caucaso e segnatamente in Georgia, dove sul fondamento della fede cristiana e della dottrina calcedonese ha preso vita una realtà religiosa e culturale specifica, in grado di conservarsi lungo i secoli, passando attraverso le esperienze di sottomissione alla Sublime Porta, di inserimento nell’Impero russo, fino al recente – e non facile – recupero di indipendenza. La conquista di Mehmet II, il 29 maggio 1453, aprì una nuova fase nella storia della città di Costantino, che ne confermava la centralità, ma quale vertice istituzionale della «Casa dell’Islam» e luogo in cui trovava eco la vita religiosa musulmana nella sua variegata fenomenologia. A conclusione del volume, una ricognizione della situazione contemporanea permette di calare i dati precedentemente esposti nella concretezza del vissuto quotidiano.

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Costantinopoli al Caucaso

Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

Fondazione Ambrosiana Paolo VI

Fondazione Ambrosiana Paolo VI

16/12/13 17:52

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