L\'errore interno al metodo: uno scenario fenomenologico

August 28, 2017 | Autor: Sara Fumagalli | Categoría: Phenomenology, Edmund Husserl, Eugen Fink, Jan Patocka, Ludwig Landgrebe
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Descripción

7 Colloquium on Perception and Experience Director: Tonino Griffero – Coordinator: Michele Di Monte – Executive Secretary: Silvia Pedone e Marco Tedeschini Advisory Board: Alessandro Alfieri, Brunella Antomarini, Emanuele Antonelli, Stefano Bevacqua, Richard Bösel, Luca Bortolotti, Alessandra Campo, Lazzaro Rino Caputo, Lucia Casellato, Dario Cecchi, Alessia Cervini, Gianluca Consoli, Barbara Continenza, Gianni Dessì, Maria Giuseppina Di Monte, Nicoletta Domma, Francesca Dragotto, Alessandro Ferrara, Alessandro Fiengo, Riccardo Finocchi, Saverio Forestiero, Elio Franzini, Elena Gagliasso, Gloria Galloni, Claudia Hassan, Giovanni Iorio Giannoli, Cristina Lardo, Micaela Latini, Giovanni Matteucci, Tiziana Migliore, Carmela Morabito, Giuseppe Novelli, Isabella Pezzini, Giovanna Pinna, Giuseppe Novelli, Christoph Riedweg, Massimo Rosati, Manrica Rotili, Franciscu Sedda, Antonio Somaini, Francesco Sorce, Marco Tedeschini, Claudia Terribile, Massimo Venturi Ferriolo, Pietro Vereni. Per informazioni: www.sensibilia.it – [email protected]

ERRORE A cura di Silvia Pedone e Marco Tedeschini

MIMESIS

Traduzioni di: Silvia Pedone (J. Miller) e Marco Tedeschini (M. Seel).

MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Isbn: 9788857528045 © 2015 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383 Fax: +39 02 89403935

INDICE

INTRODUZIONE. L’ERRORE COME PROBLEMA di Silvia Pedone e Marco Tedeschini

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PER UN’ESTETICA DELL’ERRORE: LA GLITCH ART di Alessandro Alfieri

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L’ERRORE, O DEL CARATTERE FANTASTICO DEL MONDO di Brunella Antomarini

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ERRARE NEL LABIRINTO DELL’ERRORE di Stefano Bevacqua

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MACHIAVELLI: L’ERRORE E LA VIRTÙ di Giovanni Dessì

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L’OCCHIO AMMAESTRATO. SULLO STATUTO CONOSCITIVO DELLA STORIA DELL’ARTE (VISIVA) di Michele Di Monte DISTRUGGERE, DISSE. AUTORITRATTO DEL FILOSOFO DA ARCHITETTO di Filippo Fimiani IMMAGINI ERRATE O ERRORI IMMAGINATI? di Riccardo Finocchi

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L’ERRORE E L’EVOLUZIONE di Saverio Forestiero

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L’ERRORE DELL’IMMAGINAZIONE di Elio Franzini

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L’ERRORE INTERNO AL METODO: UNO SCENARIO FENOMENOLOGICO di Sara Fumagalli

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PSICOLOGISMO, RIDUZIONISMO, INTROIETTIVISMO. LA NUOVA FENOMENOLOGIA E GLI ERRORI DELLA STORIA DELLO SPIRITO

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di Tonino Griffero CRONOTOPI “SCONVENIENTI”. L’ERRORE E IL LOCUS AMOENUS NELL’ORLANDO FURIOSO DI LUDOVICO ARIOSTO di Cristiana Lardo ERRORI DI VALUTAZIONE di Jerry Miller LA STORIA DELLE SCIENZE DALL’ERRORE ALL’OSTACOLO EPISTEMOLOGICO di Mattia Della Rocca - Gloria Galloni - Carmela Morabito LA QUESTIONE DELL’«ERRORE» IN LUDWIG KLAGES di Giampiero Moretti

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MA COME TI VESTI? ERRORI E TRASFORMAZIONI NELLA TELEVISIONE CONTEMPORANEA

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di Marta Perrotta L’ARATRO E LA STELLA: TUTTO È IEROFANIA, BASTA SAPER GUARDARE. LA SECOLARIZZAZIONE COME ERRORE di Massimo Rosati

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IL FILM COME IMMAGINAZIONE di Martin Seel A NATURAL DISASTER. L’ERRORE DUALISTICO ALLA LUCE DEL POST-UMANO di Davide Sisto

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L’INDICE DELL’ERRORE. LA FENOMENOLOGIA TRASCENDENTALE E IL PROBLEMA DELLA CREDENZA VERA GIUSTIFICATA

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di Marco Tedeschini GLI AUTORI

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L’ERRORE INTERNO AL METODO: UNO SCENARIO FENOMENOLOGICO di Sara Fumagalli

1. Premessa: lo scenario fenomenologico Per prima cosa, val la pena di chiarire meglio il titolo volutamente provocatorio: L’errore interno al metodo: uno scenario fenomenologico. La fenomenologia è infatti una galassia molto ampia e vasta. Il suo fondatore, il filosofo Edmund Husserl, ha gettato le basi programmatiche e metodologiche “pure” di tale scienza rigorosa. Riassumerò brevemente i punti cardine intorno ai quali ruota la fenomenologia per poter poi soffermarmi sugli errori interni al metodo che emergono dal dialogo tra Eugen Fink, Jan Patočka e Ludwig Landgrebe, prevalentemente negli anni Trenta. Il primo principio, che apre alla possibilità stessa del metodo fenomenologico, precede temporalmente Husserl. Bisogna, infatti, tornare indietro nel tempo sino al 1806 per trovare la prima formalizzazione del principio cardine della fenomenologia. È precisamente nella sua Metafisica che Herbart afferma che ciò che appare contiene altrettante indicazioni all’essere: «[…] wie viel Schein, so viel Hindeutung aufs Seyn» (Herbart 1806: 187). “Tanto apparire, quanto essere” è una premessa metodologica fondamentale per il percorso che il fenomenologo si accinge a fare. Il mondodella-vita, la Lebenswelt, acquista il suo senso a partire dalla quotidianità: il solus-ipse epochizzato che conosce rigorosamente il suo corpo e il mondo circostante concretamente, liberato dai pregiudizi, è garantito nella sua conoscenza dall’essere, per come leggiamo nel principio herbartiano. Ci si trova quindi di fronte all’apertura delle cose del mondo, di fronte all’apparire. Il passo ulteriore, compiuto dal secondo principio è anche quello che porta al cuore della fenomenologia husserliana. Sarà soprattutto questo a essere al centro dell’esposizione quale motivo di discussione, in particolar modo per Eugen Fink.

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Ogni scienza che voglia definirsi rigorosa si basa su un metodo che, a sua volta, per delinearsi con i caratteri della certezza si fonda su dei principi a priori – per usare il linguaggio kantiano – o assiomi – per usare il linguaggio matematico. Husserl individua tale principio di tutti i principi, come egli stesso lo definisce, nel primo volume delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica: Nessuna teoria concepibile può indurci in errore se ci atteniamo al principio di tutti i principî: cioè che ogni intuizione originalmente offerente è una sorgente legittima di conoscenza, che tutto ciò che si dà originalmente nell’«intuizione» [Intuition] (per così dire in carne ed ossa) è da assumere come esso di dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà. (Husserl 1913: 52-53)

Al principio di tutti i principi, segue logicamente il più famoso e critico motto della fenomenologia: Wir wollen auf die «Sachen selbst» zurückgehen. Il famoso motto husserliano è contenuto nel primo volume delle Ricerche logiche all’interno della sezione dedicata alle Ricerche sulla fenomenologia e sulla teoria della conoscenza. Ancor prima di iniziare la vera e propria tematizzazione delle Ricerche logiche, Husserl precisa ancora una volta il compito dell’analisi fenomenologica che corrisponde, nelle sue intenzioni, a una teoria oggettiva della conoscenza, riprendendo quello che era l’obiettivo di Kant nella sua Critica della ragion pura. Il principium enunciato precedentemente ha esplicitato l’oggetto di una tale metodologia, ovvero i vissuti afferrabili e analizzabili nell’intuizione, ma è proprio nelle Ricerche logiche che il filosofo esprime con chiarezza l’obiettivo di una fenomenologia pura dei vissuti del pensiero e della conoscenza: «proprio questa sfera deve essere oggetto di indagine approfondita al fine di una chiarificazione e di una elaborazione critico-conoscitiva preliminare della logica pura; e all’interno di questa sfera si muoveranno perciò le nostre ricerche» (Husserl 1900: 268). Husserl sembra quindi alla ricerca della radice di quella clara et distincta perceptio di cui parlava Descartes nelle sue Meditationes de Prima Philosophia. Dove e come trovarla? Tramite l’analisi fenomenologica, che lungi dall’accontentarsi di una comprensione simbolica delle parole o di intuizioni lontane, confuse o indirette, vuole tornare alle cose stesse. Queste non sono altro che le intuizioni originariamente offerenti introdotte dal

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principium e che nel contesto delle Ricerche logiche Husserl sviluppa e inserisce propriamente all’interno della coscienza e conoscenza umana: Vogliamo rendere evidente, sulla base di intuizioni pienamente sviluppate che proprio ciò che è dato nell’astrazione attualmente effettuata è veramente e realmente corrispondente al significato delle parole nell’espressione della legge; e, dal punto di vista della praxis della conoscenza, vogliamo suscitare in noi la capacità di mantenere i significati nella loro irremovibile identità, mediante una verifica, sufficientemente ripetuta, sulla base dell’intuizione riproducibile (oppure dell’effettuazione intuitiva dell’astrazione) (ivi: 271-272).

Si noti in questo passo la presenza di alcuni attributi fondamentali dell’intuizione che delineano i caratteri della cosa stessa fenomenologica: la sua corrispondenza teorica e la sua ripetitività e riproducibilità pratica. Due caratteristiche irrinunciabili per una vera e propria teoria oggettiva della conoscenza. Ma lo stesso Husserl era consapevole delle difficoltà intrinseche al suo proposito fenomenologico e si poneva già gli interrogativi che fanno da sottofondo costante al suo motto. Sempre nelle Ricerche logiche, infatti, si legge (quanto segue): […] in che modo dobbiamo intendere il fatto che l’«in sé» dell’obbiettività giunge a “rappresentazione”, anzi ad “apprensione” nella conoscenza, ridiventando così soggettivo; che cosa significa che l’oggetto sia “dato in sé” e nella conoscenza; come può l’idealità del generale, in quanto concetto o legge, presentarsi nel flusso dei vissuti psichici reali e diventare possesso conoscitivo del soggetto pensante; che cosa significa, in rapporto alla conoscenza, l’adaequatio rei ac intellectus, nei casi diversi, quando l’apprendere conoscitivo concerne qualcosa di individuale oppure di generale, un fatto o una legge, ecc. (ivi: 273-274).

Zu den Sachen selbst! Che questo enunciato non rievochi alla mente la bi-centenaria questione aperta da Kant e dibattuta poi da tutta la filosofia occidentale della cosa in sé è difficile da immaginare. Occorre un grande sforzo per credere ancora all’esistenza di una cosa in sé da noi percepita; precisamente la cosa stessa husserliana. Ma è questo il punto debole che tutti i filosofi da Hegel in poi hanno tentato di superare: il dualismo kantiano. Sembra che l’uomo complichi le cose che stesse lo sono tranquillamente ed unicamente in sé stesse, verrebbe da dire con un gioco di parole. Per quanto sembri logicamente indiscutibile, sul piano dell’atteggiamento conoscitivo umano fenomenologicamente atteggiato, pervenire alla cosa stessa, il semplice enunciato: «Wir wollen auf die “Sachen selbst” zurückgehen» più che una contraddizione o, come si direbbe in questo contesto,

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un errore contiene un’incongruenza terminologica dovuta alla commistione di mondi estranei tra loro: l’uomo con i suoi correlati percettivi e cognitivi, e l’oggetto che si vuole esperire. E così Husserl incappa nell’irrisolta dicotomia soggetto-oggetto denunciandone le problematiche, così come le abbiamo individuate nei passi citati delle Ricerche logiche, e proponendo con la sua fenomenologia trascendentale una metodologia di risoluzione dell’antinomia. Non è intenzione del presente saggio porre al vaglio critico il metodo fenomenologico per saggiarne il grado di validità. Quel che tento di delineare, seguendo il filo rosso della discussione teoretica e vitale sulla fenomenologia che hanno condotto Eugen Fink, Jan Patočka e Ludwig Landgrebe, è piuttosto mostrare come il senso di tale metodologia possa sopravvivere negli anni Trenta e oltre. Scopriremo che sotto l’errore, inteso come limite da superare, contraddizione da incarnare e aporia vitale, si cela tale possibilità. 2. Il contesto: l’errore storico/umano È prima di tutto la storia che mostra come da idee contrastanti e dalle contraddizioni possa scaturire qualcosa di nuovo che rappresenta sempre uno stimolo. Alla crisi, della quale Husserl parlava nel suo famoso scritto del 1936, faceva eco la grande depressione economica mondiale. La disoccupazione dilagante, l‘iperinflazione in Germania spingevano strati sempre più vasti della popolazione verso soluzioni estreme e ritenute catartiche. Fascismo e nazismo da una parte, comunismo dall’altra sembravano più vitali e vincenti delle deboli democrazie continentali, affascinavano piccolo-borghesi e intellettuali. Si combattevano sanguinosamente nella guerra civile spagnola, che anticipava, con il bombardamento di Guernica per esempio, gli orrori della seconda guerra mondiale. La Krisis di Husserl fornisce un utile strumento di psicanalisi della storia, non a caso è stato il suo scritto più contestato a posteriori e ancora oggi. L’importanza di quest’opera sta già solo nell’aver fatto sospettare uno “sdoppiamento” del filosofo Husserl, rimettendo in discussione, sempre e di nuovo, la fenomenologia. Si può andare oltre, e rendere un merito maggiore a questa grande metodologia universale di conoscenza analizzando tutte le sue componenti senza focalizzarsi solo su una di queste. Certo, il compito sembra molto arduo man mano che si aggiungono livelli inclusivi fino a comprendere l’umanità tutta. Ma questa difficoltà non rende meno desiderabile l’intento più nobile della fenomenologia: percorrere il cammi-

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no con tutti gli orizzonti di senso che si pongono davanti all’uomo e che lo comprendono all’interno della compagine storica e intersoggettiva nella quale si trova a vivere. Ludwig Landgrebe, Eugen Fink e Jan Patočka non si sono tirati indietro. Non hanno abbandonato la fenomenologia a se stessa, relegandola per sempre ad Edmund Husserl e al suo percorso di pensiero e di vita. Al contrario, i tre filosofi – proprio negli anni Trenta – hanno discusso sui principi della fenomenologia, i suoi punti critici e i suoi limiti per cercare di superarli. E lo hanno fatto ognuno a modo suo, con una costante che emerge particolarmente bene nelle pagine delle loro corrispondenze: portare il metodo fenomenologico nelle loro vite. Un tentativo di vivere appieno la filosofia che in particolar modo Jan Patočka incarna alla perfezione. 3. L’errore interno al metodo Il volume Briefe und Dokumente, edito dalla Karl Alber Verlag nel 1999, raccoglie tutti i documenti che i filosofi Eugen Fink e Jan Patočka si sono scambiati nell’arco di quarant’anni. La corrispondenza si è fermata solo negli anni della guerra (1940-1945), ed è ripresa subito dopo a testimonianza di un interesse filosofico costante e di una genuina amicizia tra i due pensatori. L’importanza di questo carteggio è data, però, dal motivo originario della loro corrispondenza: i problemi della fenomenologia. È infatti un interesse puramente filosofico quello che spinge Fink e Patočka a rimanere in contatto. E, quando nell’aprile del 1938 Husserl morì, i due pensatori sentirono l’esigenza, l’uno a Friburgo e l’altro a Praga di ricordare il maestro non solo per il rapporto che era riuscito a creare con i suoi allievi, ma soprattutto per le prospettive che il suo metodo aveva aperto loro. Il contesto storico ha giocato un ruolo importante anche nel pensiero dei due filosofi e quello che ha rappresentato in termini personali ed esistenziali è testimoniato dalla biografia del filosofo ceco. Certo è che, inevitabilmente, la fine della guerra porta Patočka e Fink a nuove posizioni filosofiche che in entrambi i casi non possono più essere apolitiche e scollegate dalla storia e dall’esistenza di ognuno, come prima lo era la pura ricerca fenomenologica. Sullo sfondo dei loro scambi epistolari e scritti c’era negli ultimi anni una nuova lettura di Husserl che li porta a riconoscere la storicità della filosofia. Nel tessere le trame di questo ricco intreccio filosofico è difficile distinguere quanto il pensiero di Fink, incentrato sulla concezione del mondo, e quello di Patočka, che ruota intorno alla storia e all’idea di movimento, si-

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ano generati dalla lezione filosofica husserliana o se, viceversa, da una loro esplicita presa di distanza dalla fenomenologia. Resta però che uno dei nodi problematici sul quale si confrontano gli allievi di Husserl è la riduzione fenomenologica. Secondo Fink, infatti, l’intero percorso tracciato dal maestro si può comprendere solo a partire dalla riduzione fenomenologica e da come essa viene intesa. Dalla tematizzazione che il filosofo fornisce di questo cruciale concetto nell’articolo Die phänomenologische Philosophie Edmund Husserls in der gegenwärtigen Kritik del 1933, emerge chiaramente la novità della fenomenologia come apertura verso orizzonti implicitamente presenti nel pensiero di Husserl, ma non ancora teoreticamente indagati nella loro profondità. È lo stesso fondatore della fenomenologia che scrive la premessa all’articolo del ’33 uscito sulla rivista Kant-Studien. Il saggio ha un obiettivo difensivo: negli anni Trenta erano infatti frequenti gli attacchi che, in particolar modo i criticisti, muovevano alla fenomenologia. Husserl non ha mai risposto direttamente, è rimasto in silenzio, perché, a suo parere, le obiezioni, mancavano così profondamente il motivo centrale della fenomenologia che veniva proprio a mancare la “materia del contendere”. Lascia quindi a Fink, l’allievo d’eccezione che Husserl ha seguito sin dall’inizio del suo percorso accademico, il compito di chiarire i fraintendimenti principali. Sempre nella premessa del fenomenologo si può leggere che non c’è in quell’articolo alcuna frase che lo stesso Husserl non approvi integralmente o che non rifletta il suo pensiero. Per quello che è il contenuto teoreticamente forte del saggio, la premessa riveste un ruolo ancora più significativo. In generale, si può dire che il testo vuole essere una replica al criticismo di Rickert e alla sua scuola, in particolare in riferimento a due testi: Husserls Phänomenologie und Schuppes Logik, Ein Beitrag zur Kritik des intuitionistischen Ontologismus in der Immanenzidee (1932) di Rudolf Zocher e Phänomenologie und Kritizismus (1930) di Friedrich Kreis. Il giudizio complessivo del criticismo sulla fenomenologia è che questa può avere una relativa e limitata ragione come scienza pre-filosofica delle datità immediate. È una valutazione che, secondo Fink, si basa su un pregiudizio di fondo: la fenomenologia viene considerata come filosofia dogmatica e non-scientifica, e ciò significa il rifiuto critico del metodo fenomenologico. Il pregiudizio in sintesi sta proprio nel non riconoscere la riduzione fenomenologica come metodo principale della filosofia di Husserl. La riduzione è la via che porta la conoscenza dal pensiero pre-filosofico al campo “tematico” della filosofia, fino all’ingresso alla soggettività tra-

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scendentale. L’obiezione dei criticisti si riferisce sia al periodo precedente alla scoperta della riduzione fenomenologica –Ricerche logiche – sia a quello posteriore, dalle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Si possono individuare due principali forme di criticismo riguardo alla fenomenologia. La prima è l’intuizionismo, ovvero uno scorretto ampliamento del concetto di “Anschauung”. Si opera, quindi, una duplice interpretazione intuizionista: una generale che riguarda la conoscenza in sé; e una particolare nei confronti della conoscenza filosofica. Qualunque sia la versione di intuizionismo scelta, la conseguenza è che la fenomenologia è interpretata come dogmatica, come un pensiero che rimane a livello dell’autodatità dell’oggetto dell’esperienza che si formalizza nell’“evidenza“, senza interrogarsi su questa autodatità, senza quindi porsi il problema dell’esperienza e, conseguentemente, dell’obiettività. La seconda è il criticismo che considera la fenomenologia come ontologica. L‘ontologismo, in questa accezione, significa l’ingiustificato restringimento della tematica della conoscenza a essente. Con questi presupposti si fraintendono i motivi principali della fenomenologia, riducendola a un mero fermarsi alla datità degli oggetti, senza analizzare le condizioni di possibilità del darsi delle cose. Per questo – filosoficamente parlando – la fenomenologia fa, secondo i criticisti, di necessità virtù con il suo motto che fornisce la soluzione programmatica: Zu den Sachen selbst! Il principio viene dai criticisti inteso come rinuncia alla comprensione filosofica. La fenomenologia non sarebbe altro, quindi, che una descrizione analitica che prende il dato come si presenta. La parte principale delle obiezioni è rivolta soprattutto alle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica che aprono la cosiddetta “seconda fase” del pensiero husserliano. Secondo Fink, è solo dalle Idee che si può comprendere l’intenzione vitale e la direzione filosofica delle Ricerche logiche. Elemento che sottolinea l‘unità del percorso concettuale husserliano e la relativa impossibilità di considerare i due testi come separati. A questo punto l’argomentazione di Fink entra nel vivo proprio rispondendo ai due diversi criticismi alla maniera che segue: la critica all’intuizionismo di Husserl non trova riscontri nelle Ricerche logiche. Non si tratta, infatti, di un primato della visione come capacità della conoscenza ma del primato dell’evidenza di ogni conoscenza, contro al mero riempimento signitivo di conoscenza. La conoscenza è ovunque, è per tutti i modi di autodatità evidente nelle sue cose che concepisce e possiede come “loro stesse”. La critica è, quindi, cieca davanti a questa assoluta novità della lezione husserliana come primo chiarimento illuminato della natura intenzionale dell’evidenza. Vi è

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poi un grande fraintendimento nei riguardi delle visioni d’essenza (Wesensschau), interpretate come una sorta di atto mistico, come visione dell’immateriale o, ancora, come intuizione ricettiva. Viceversa, l’eidos è un correlato di un’operazione di pensiero, una spontaneità intellettiva. In secondo luogo, l’accezione critica che vede la lezione fenomenologica dell’eidos ricadere nell’ontologismo parte dalla differenza tra essente (Seienden) e valido (Geltenden): nelle Ricerche logiche i due concetti non sono separati e questo presta il fianco alla critica. L’ampia estensione del concetto di essente però non è indice di alcuna tesi dottrinaria che considera il reale e l’ideale come essenti omogenei, ma lascia aperta la possibilità di porre la questione ontologica di differenti modalità dell’essere e del reale. L’idealismo critico è un idealismo della costituzione che supera il dogmatismo dell’ingenuità attraverso il collegamento della realtà ad una coscienza teoretica. Questa coscienza non è in alcun caso un essente, ma una forma pura di coscienza assoluta e come tale è il presupposto di tutti gli essenti. Fink riserva, poi, una riflessione sull’esito della tesi criticista sulla fenomenologia. I criticisti ritengono che il decisivo allontanamento della fenomenologia dal criticismo, con il quale tuttavia condivide il problema e la direzione risolutiva, è da vedere nella conseguenza del suo carattere metodico intuizionistico e ontologico che non chiarisce l’essente col ritorno ai suoi presupposti trascendentali – come invece fa il criticismo –, ma chiarisce l’essente attraverso l’essente. La significativa risposta di Fink alla tesi dei criticisti merita di essere riportata direttamente: «La fenomenologia non si può affatto allontanare dal criticismo, perché non è mai stata presso di lui»1. La differenza tra fenomenologia e criticismo si basa su problemi di fondo che separano sul nascere i due pensieri, si tratta per così dire di una “differenza ontologica”. La filosofia critica pone le sue problematiche sul terreno del mondo, rivestendo quindi un carattere mondano, e la sua interpretazione rimane all’interno del mondo stesso (Weltimmanent). Invece, la domanda principale e fondativa della fenomenologia è sull’origine del mondo. La negazione della metafisica dogmatica è il primo compito della costruzione filosofica. La critica è arrivata fino a negare la possibilità di una conoscenza del mondo riguardo al fondamento trascendente dello stesso mondo.

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«Die Phänomenologie kann sich gar nicht vom Kritizismus entfernen, weil sie nie bei ihm war» (Fink 1933: 99). Traduzione italiana dell’autrice.

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Il problema della filosofia è presentato, in base a questa concezione, o dal punto di vista della conoscenza dell’essere intramondano, o nella forma ingenua positivistica del fissare un essente o, ancora, alla maniera di un ritorno ai presupposti a priori dell’essente. Ma prima del problema dell’essere nell’origine della sua costituzione stessa, della sua fatticità, resta da capire cosa è l’essere. La problematica del criticismo sta nell’interpretazione del senso dell’essere e risponde attraverso un riempimento costruttivo dei presupposti di senso trascendentali – la fondazione della sfera di senso –, ma non si pone l’origine come problema teoretico. La fenomenologia, invece, vede il suo decisivo motivo di fondo nella domanda sull’origine del mondo (Weltursprung), liberata da tutte le concezioni ingenue e pre-critiche dell’essere grazie alla riduzione. Se la metafisica dogmatica ha il suo motivo di fondo nell’origine dell’essente, la fenomenologia, al contrario, si interroga sull’origine del mondo. La fenomenologia pone la domanda di unità di essente e forma del mondo; usando la terminologia cara al critico Zocher: mette in questione l’insieme di fondato e sfera fondativa. La filosofia critica, invece, si presenta come un chiarimento dell’intramondano attraverso la forma del mondo: in questo sta la “chiusura” di tale pensiero. Quel che si nota, invece, nelle trame complesse dell’affrancamento della fenomenologia dalla critica che attua Fink, è una vera e propria apertura fenomenologica, anche attraverso il recupero integrativo della metafisica non dogmatica quando ci si interroga sull’origine del mondo. Quest’ultimo è un elemento che accomuna sia Fink che Patočka, il quale scriverà una recensione proprio a questo articolo di Fink, dichiarandosi perfettamente in linea con le sue tesi. Negli scritti che Patočka indirizza all’amico Fink sono presenti esternazioni di gratitudine personale per gli anni passati a Friburgo, ma anche e soprattutto per l’esempio di filosofo che lui rappresenta ai suoi occhi. Con le sue parole: «I filosofi che, come te, fermamente e senza guardare a destra e sinistra, fanno la propria parte senza aspettarsi nessuna forma di compenso, rimangono fedeli alla cosa stessa»2. Il rapporto tra Fink e Patočka, che ha il suo punto di incontro nel comune passato fenomenologico, si obiettiva quindi nell’orizzonte di ogni esperienza fenomenologica. 2

«Der Philosophen, die, wie Du, unentwegt und ohne nach rechts und links zu schauen, das Ihrige tun und ohne auf Lohn in welcher Gestalt auch immer zu warten, der Sache selbst treu bleiben» (Patočka 1970: 75). Traduzione italiana a cura dell’autrice.

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Molti elementi che caratterizzano la corrispondenza tra Fink e Patočka si ritrovano anche nelle lettere che il filosofo ceco e Landgrebe si scambiano tra gli anni Quaranta e Settanta3. A cominciare dallo stretto rapporto che lega le due famiglie, testimoniato da un interscambio epistolare, minore ma presente, tra Helena Patočka e Ilse Landgrebe. La vena nostalgica di Patočka emerge già dalle prime righe che indirizza all’amico Landgrebe, ed è rivolta soprattutto al periodo friburghese che lo accompagna nei ricordi per tutta la sua vita. In aggiunta, si trova spesso nelle lettere del filosofo ceco l’esprimere apertamente e con molto trasporto la situazione critica, limitante e precaria, della sua libertà che spesse volte gli impedisce di dedicarsi alla filosofia. La sua modestia è spiazzante, molte volte chiede a Landgrebe di aiutarlo a capire perché ormai lui si sente un “dilettante della filosofia”. Sono soprattutto gli anni Settanta quelli che lo vedono maggiormente vittima del totalitarismo comunista, che gli impedisce di insegnare – attività alla quale lui teneva molto – e lo obbliga a ridurre al minimo le sue pubblicazioni. Ma è sempre la motivazione filosofica quella che spinge Patočka a confidare a Landgrebe, come aveva fatto anche nel carteggio con Fink, la sua crisi filosofica che non si può scindere da quella responsabilità storico-esistenziale che egli sente e vive profondamente. Nel 1944 scrive all’amico filosofo: Anche io ho una crisi filosofica da superare e non sono per niente pronto; anche io voglio presentare la soluzione di questo compito con la terminologia husserliana, cosa che non sono mai riuscito a fare per tali questioni, ma che è l’unico linguaggio che filosoficamente grossomodo comprendo.4

Già da queste righe emerge la necessità di tradurre in termini fenomenologici la situazione storico-esistenziale che si trova a vivere: non escluderla o isolarla, ma renderla filosofica e vitale. Si può parlare, nel caso di Patočka, di una contaminazione teoretica universale che riunisce i diversi 3

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Tale corrispondenza è consultabile all’Archivio Jan Patočka di Praga, non essendo ancora stata pubblicata. Per la mia ricerca di dottorato ho avuto modo di consultare tali manoscritti e l’autorizzazione di citarli a fini di ricerca e divulgazione scientifica. Mi sia permesso di ringraziare qui il Professor Ivan Chvatík, direttore dell’Archivio, per la gentile concessione. «Auch ich habe eine philosophische Krisis zu überwinden und bin gar nicht fertig damit; auch ich bin darauf angewiesen, die Lösung, dieser Aufgabe in der Husserlschen Terminologie durchzuführen, welche für derartige Dinge keineswegs geschaffen, aber die einzige Sprache ist, die ich philosophisch einigermaßen verstehe» (Patočka 1944). Traduzione italiana a cura dell’autrice.

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piani dell’esistenza la quale coglie a pieno il significato del vivere il destino di un’esistenza filosofica di cui parlava Husserl nella Krisis. Il filosofo ceco, sottolinea anche l’importanza per la filosofia di riferirsi alla natura e alla scienza della natura, senza la quale rimarrebbe incompleta proprio in quanto scienza assoluta. Altra costante che emerge nei due carteggi presi in esame è l’interpretazione della riduzione fenomenologica. Sempre nel 1944 Patočka ci fornisce la sua lettura in proposito: «[…] in breve, io intendo le capacità costitutive non come date nella semplice riflessione oggettiva, ma attraverso la riflessione sulla piena libertà della crescente autoconoscenza ottenuta dall’interpretazione del proprio contatto con l’essente estraneo. […] il fondamento di ogni scienza obiettiva risiede nella prova di sé dell’assoluto nel senso di libero»5. È in questo passaggio che Patočka riserva una critica all’amico Landgrebe, quando sostiene che l’autoesplicazione dell’assoluto – punto su cui Landgrebe insisterà nel suo percorso teoretico – incontra solo il livello della libertà, ma la garanzia ultima non risiede nell’assoluto stesso. Particolarmente importante è ciò che Patočka scrive all’amico filosofo nel 1976 che si può considerare come una sintesi del suo percorso teoretico come revisione della fenomenologia heideggeriana e husserliana: Il risultato dell’Epoché è anche per Husserl un’ontologia, naturalmente non sistematica e senza una chiara visione nella differenza. […] In questo principio si deve già, credo, considerare l’introduzione dei “limiti della riflessione”, in quanto la fenomenologia non è primariamente una scienza, ma un metodo dell’ontologia, quindi la fenomenologia come analitica dell’esserci non può essere una scienza della riflessione, ma ancora una “ontologia fondamentale” e procedere, quindi, ermeneuticamente.6

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«[...] kurz, ich verstehe die konstitutiven Leistungen nicht als in schlichtgegenständlicher Reflexion gegebene, sondern als eine durch das in der Reduktion zur vollständigen Freiheit gesteigerte Selbstverständnis gewonnene Deutung des eigenen Kontakts mit fremden Seienden. [...] die Grundlage jeder objektiven Wissenschaft abgibt – ist sie ein Selbsterweis des Absoluten im Sinne des Freien» (ivi). Traduzione italiana a cura dell’autrice. «Das Ergebnis des Epoché ist auch bei Husserl eine Ontologie, freilich eine unsystematische, und ohne klare Einsicht in die Differenz. [...] In diesem Anfang muß man schon, glaube ich, vielleicht die Einführung der „Grenzeder Reflexion“ in Betracht ziehen, dem ist Phänomenologie nicht primär eine Wissenschaft, sondern Methode der Ontologie, dann kann Phänomenologie als Daseinsanalyse keine reine Reflexionswissenschaft sein, sondern selbst wieder aus eine “Fundamentalontologie” und daher hermeneutisch vorgehen» (Patočka 1976). Traduzione italiana a cura dell’autrice.

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Questo è un passaggio fondamentale che indica la direzione comune del progetto fenomenologico di Patočka, Landgrebe e Fink. All’interno della corrispondenza tra Patočka e Landgrebe ritorna spesso la mancanza di un genuino confronto filosofico che possa attuarsi nella loro rispettiva cerchia di contatti. Da qui l’esigenza ancora più sentita di porsi domande a vicenda sullo sviluppo della fenomenologia. Scorrendo le lettere che Landgrebe indirizza a Patočka, si nota come alcune siano delle risposte a dei quesiti sollevati dall’amico o dei veri e propri tentativi di ragionare ad alta voce su dei concetti. Lo stile dell’epistolario, del resto, ha sicuramente il vantaggio di rendere in maniera più autentica il pensiero degli autori. È forse anche per questa estrema libertà di espressione che i due filosofi non hanno remore nell’esprimere critiche al loro tempo: la filosofia rinuncia a dare qualsiasi fondamento, dimostrando debolezza e mancanza di coraggio. L’accusa diretta di Landgrebe è quella di far spesso e volentieri sfoggio della parola Lebenswelt senza una visione sistematica del luogo e dell’insieme di questo concetto. Il suo intento è quello di trovare una via per l’interpretazione del programma di Husserl come Ontologie der Lebenswelt e la correlata necessità dell’approdo nella riflessione trascendentale e fenomenologica per risolvere i “paradossi” sviluppati da Husserl, mostrandone le aporie. Il progetto landgrebiano, di cui si fa breve cenno nella corrispondenza ma che si ritrova densamente in tutti i suoi testi a cominciare dalla sua tesi di abilitazione degli anni Trenta – Der Begriff des Erlebens: Ein Beitrag zur Kritik unseres Selbstverständnisses und zum Problem der seelischen Ganzheit (1929-1932) – applica in maniera funzionale la dialettica hegeliana alla fenomenologia: è un tentativo di ermeneutica filosofica che ha l’ambizione e il coraggio quasi “sacrilego” per qualcuno, ma vitale per altri, di far progredire la fenomenologia dai suoi stessi “errori”. Questo tipo di riflessione è portata avanti anche da Claesges attraverso la duplicità che egli riscontra nel concetto di mondo della vita. La fenomenologia genetica deve quindi essere intesa come storia trascendentale dell’esperienza della coscienza e deve essere chiarito il suo rapporto con la storia empirico-fattiva. 4. Conclusione: il progresso della conoscenza fenomenologica Le vite e le sensibilità fenomenologiche di Landgrebe, Fink e Patočka si muovono, su questo solco, in un contesto storico difficile e contrastato che ha giocato un ruolo fondamentale: dover sopravvivere fenomenologica-

S. Fumagalli - L’errore interno al metodo: uno scenario fenomenologico

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mente. Sono andati oltre Husserl, ma con Husserl e lo hanno fatto autenticamente. E, chissà, forse anche loro avrebbero risposto alla domanda: «A che cosa lavora?» alla maniera del signor Keuner di Brecht: «Sto faticando: preparo il mio prossimo errore» (Brecht 1948: 14). Bibliografia HERBART J.F. 1806 Hauptpunkte der Metaphysik, in Id., Sämtliche Werke, In chronologischer Reihenfolge, K. Kehrbach (a c. di), II, Langensalza 1887. HUSSERL E. 1913 Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, trad. V. Costa, Torino 2002. 1900 Ricerche logiche, I, trad. G. Piana, Milano 2005. FINK E. - PATOČKA J. 1933-1977 Briefe und Dokumente, M. Heitz u. B. Nessler (a c. di), München 1999. PATOČKA J. - LANDGREBE L. 1940-1976 Corrispondenza non pubblicata. Manoscritti consultabili all’Archivio Jan Patočka di Praga, riportati sotto gentile concessione del direttore Prof. Ivan Chvatík. BRECHT B. 1948 Storie del Signor Keuner, trad. C. Cases - E. Ganni, Torino 2008.

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