L\'analisi storica in Borges (Los Teologos, El Muerto)

Share Embed


Descripción

L'analisi storica in Borges

Si parla spesso di quanto gli elementi fantastici e romanzeschi vengano forzatamente interpolati all’interno di opere storiche (biografie e cinema principalmente, ma anche alcuni saggi e documentari) al fine di rendere il prodotto più digeribile al pubblico o di aumentarne le vendite. Ho scelto di prendere in esame alcuni testi di Borges per dimostrare che anche il contrario è possibile. Dico Borges per dire un Borges, e perché nelle mie recenti letture, necessarie alla stesura di queste righe, mi è sembrato che l’argentino abbia condotto indagini storiche accurate in più di un’occasione. Molti tra i racconti dell’Aleph sono ambientati nei primi secoli dopo Cristo. Gli studi storici devono aver portato Borges ad appassionarsi tanto a quel periodo da scegliere di usarlo come base per le radici di molti dei suoi racconti. Deve essergli sembrato un terreno fertile, così ricco di leggende, miti, eresie, storie di coraggio e di vigliaccheria. L’impero romano e la sua caduta. Tutti temi che sono diventati poi tipici del poeta bonaerense. Il più famoso dei due testi in esame è sicuramente I Teologi1. Aureliano e Giovanni di Pannonia sono i protagonisti di un aspro dibattito intellettuale circa l’ortodossia e le nuove eresie. Borges scrive dal punto di vista di Aureliano, il quale inconfessatamente odia il suo antagonista e fa di tutto per “non coincidere” con lui2. Il rapporto che lega i due sconosciuti (non si sono mai incontrati e solo uno, alla fine, vedrà il volto dell’altro) è un rapporto particolare (c’è chi cerca l’amore di una donna per dimenticarsi di lei, per non pensare più a lei; Aureliano, allo stesso modo, voleva superare Giovanni di Pannonia per guarire dal rancore che questi gli infondeva, non per nuocergli): il tipico sentimento misto di rancore e stima che si prova per un rivale che ci sembra degno. I due teologi dibattono aspramente su più di un argomento, provano falsa più di un’eresia per conto loro e poi si affrontano apertamente sul tema degli anulares. Questi scismatici, che avevano come simbolo la ruota, affermavano che “la storia è un circolo e che nulla esiste che non sia già stato e che non sarà nuovamente”. Aureliano si mette subito all’opera per anticipare Giovanni; lavora intensamente, giorno e notte, rapito dal lavoro, dalla costruzione di sillogismi, “dai nego, gli autem e i nequaquam”, tesse periodi folti di incisi e poi inizia a paragonare gli anulari a Issione, al fegato di Prometeo, a Sisifo, a quel re di Tebe che vide due soli e alla balbuzie. Lavora così per nove giorni; il decimo, gli viene consegnata una copia dell’opera di Giovanni di Pannonia. Questa è di una semplicità spaventosa, sembra scritto “da qualunque uomo o forse da tutti gli uomini”. Aureliano spedisce, “con vendicativa probità” il proprio lavoro a Roma senza mutarvi una virgola. “Quando si riunì il concilio di Pergamo”, il Teologo incaricato di combattere gli eretici fu Giovanni di Pannonia. Anni dopo, disgraziatamente, ci dice Borges, venne a formarsi un nuovo gruppo di eretici i cui simboli erano lo specchio e l’obolo. Queste persone, che erano conosciute sotto molti nomi (speculari, abissali, cainiti) tra cui quello di Istriones, “immaginarono che ogni uomo è due uomini e che quello vero è l’altro, che sta nel cielo. Ugualmente immaginarono che i nostri atti proiettano un riflesso invertito, così che se noi vegliamo, l’altro dorme; se fornichiamo, l’altro è casto; se rubiamo, l’altro è generoso. Una volta morti, ci uniremo a lui e saremo lui”. Aureliano impugna quest’eresia e vi lavora diligentemente per molto tempo. Mentre cercava con scarso successo i termini giusti per descriverla, compone un periodo di venti parole che gli sembra perfetto: questo racchiude e sintetizza impeccabilmente l’eterodossia speculare. Immediatamente Aureliano dubita che quel periodo sia il suo, gli sembra che appartenga a qualcun altro, ma l’intuizione non trova conferme 1 2

Los Teologos è inserito ne El Aleph (Losada - 1949)

Tutte le citazioni sono tratte da L’Aleph, Jorge Luis Borges (Adelphi - 1998) e sono espresse in corsivo.

né corrispondenze fino al giorno dopo, quando, sfogliando le pagine dell’ Adversus Anulares, trova la citazione. Il periodo è di venti parole, perfetto, di una semplicità spaventosa. Il volume è firmato da Giovanni di Pannonia. Aureliano, per giorni, non riesce a decidere se pubblicare o meno la frase che screditerebbe il suo avversario per sempre e davanti agli occhi di Roma intera. Ma in Borges nessuno è veramente artefice del proprio destino: Aureliano pubblica l’accusa e Giovanni viene condannato al rogo per Eresia. Il finale inscrive perfettamente il racconto nei canoni Borgesiani, ma quello che mi sta a cuore far notare è altro. Le dinamiche di un dibattito intellettuale dei primi secoli dopo Cristo sono descritte perfettamente, lo stile nei frammenti dei due teologi riproduce in modo estremamente preciso (si veda l’elenco di particelle latine di poco sopra, tipiche del genere) quello veramente usato nelle trattazioni teologiche dell’epoca. Quello che mi interessa è l’importanza che un letterato, scrittore di racconti fantastici dà alla ricerca storica. Forse sbaglio a volerlo mettere in evidenza da ora, l'altro racconto che analizzerò saprà farlo meglio di me. Al rogo assiste tutta Roma, anche Aureliano, (“perché il non assistervi avrebbe significato confessarsi colpevole”) che può così vedere per la prima e ultima volta il viso del suo nemico. Il volto di Giovanni gli ricorda quello di qualcuno, ma, di nuovo e come spesso capita in Borges, l’intuizione è impenetrabile. Poi le fiamme se lo portano via e “fu come se un incendio gridasse”. A differenza di Giulio Cesare con Pompeo, Aureliano non piange la morte di Giovanni, ma sente quello quel che sente un uomo guarito da una malattia incurabile, che era stata una parte della sua vita. Anni dopo, un fulmine incendia un albero vicino casa sua e Aureliano muore in un incendio. Muore alla stessa maniera di Giovanni. Borges chiude così il racconto: Forse si potrebbe dire che Aureliano conversò con Dio e che Questo si interessa tanto poco delle differenze religiose che lo prese per Giovanni di Pannonia. Questo, però, insinuerebbe il sospetto di una confusione nella mente divina. Più corretto è dire che nel paradiso, Aureliano seppe che per l’insondabile divinità lui e Giovanni di Pannonia (l’ortodosso e l’eretico, l’aborritore e l’aborrito, l’accusatore e la vittima) formavano un’unica persona.

Come a dire che l’ipotesi degli Istriones su cui i due si erano sfidati era esatta: Aureliano era Giovanni. L’altro racconto di cui intendo parlare è meno famoso dei Teologi, ma il suo studio mi è risultato più affascinante. In un’intervista del 1976, Borges, dichiara di non essere un filosofo o un pensatore, ma di usare la filosofia come scopo della propria narrazione, un po’ come (e qui prende le dovute distanze prima di pronunciare questi nomi) Dante o Milton facevano con la teologia. Il Morto3 è (in parte) una delle poche eccezioni a questa regola poetica. Il racconto, storia di un traditore tradito, si presenta (come La morte e la bussola in Finzioni4) sotto le mentite spoglie della libertà individuale. Benjamin Otalora è un “un uomo del suburbio di Buenos Aires, un tristo bravaccio senz’altre doti che l’infatuazione del coraggio” a cui viene consegnata una sorta di lettera di raccomandazione per un malavitoso brasiliano, Azevedo Bandeira, che Borges definisce “una rozza divinità, una versione mulatta e selvatica dell’incomparabile Sunday di Chesterton”. Otalora, fortuitamente, in una rissa in un bar, para una coltellata diretta a Bandeira senza sapere chi questi fosse, ed entra nelle sue grazie. Otalora, che vuole che tutto sia dovuto a se stesso, strappa la lettera e decide di salire il più velocemente possibile di rango; vuole dimostrare a Bandeira di “valere più di tutti i suoi uruguaiani messi insieme”. Passano gli anni, Otalora è ormai contrabbandiere; Bandeira non si vede da molto tempo, corre voce che sia malato. Una volta al giorno qualcuno sale nelle sue camere per assisterlo, gli porta il mate, gli tiene compagnia. Quando quest’incarico viene affidato a Otalora, questi si sente vagamente umiliato ma, al contempo, soddisfatto. Lo vede sul letto, i capelli bianchi madidi di sudore, al suo fianco una donna 3

El Muerto è inserito ne El Aleph (Losada - 1949)

4

La muerte y la brújula è inserito in Ficciones - Jorge Luis Borges (Buenos Aires: SUR, 1944)

dai capelli rossi, seminuda, gli accarezza il braccio. Bandeira è debole, Otalora è furioso che a un uomo in quelle condizioni sia dato di comandare una truppa di gauchos come la sua. Decide di prenderne il comando e cospira contro di lui con la sua guardia del corpo, Ulpiano Suarez. A questo punto, Borges ci dice che “l’universo sembra cospirare con lui e precipita i fatti”, ma anche la sua prosa rapida e minimale aiuta molto, e leggiamo che una sera, durante una sparatoria, Bandeira viene portato al sicuro perché malato. Otalora dunque, in sella al cavallo del capo, dell’uomo che lui aspira a distruggere, disperde gli assalitori e conquista la vittoria. Quella sera viene osannato come un capo e giace con la donna dai capelli rossi. L’ultima scena della storia si svolge in una grande sala da mensa. Otalora, ubriaco, si gode le ovazioni dei suoi commensali che salgono vertiginose. Gli inni e le milongas sono incessanti fino a mezzanotte, quando, debolmente, “come chi ricorda un impegno”, Bandeira si alza e va a bussare alla porta della donna dai capelli rossi e le intima di andare a baciare l’argentino, visto che sono così intimi. Questa esegue e gli bacia la bocca e il petto. Suarez, a questo punto si alza con la pistola in mano. Otalora capisce di essere stato tradito sin dal principio, Suarez fa fuoco. Noi, a questo punto, capiamo che Otalora era, è sempre stato, Il morto. Lui, invece, comprende che "ha vissuto la sua vita senza avvertire (nessun uomo l’avverte) che non ne era l’artefice, che un’altra «rozza divinità» la guidava e che il sentirsene padrone faceva parte dell'inganno5". Nell'epilogo, Borges non ci dà che un'informazione sul suo testo, che però è cruciale. Egli scrive: «Il capitolo XXIX di Decline and Fall of the Roman Empire narra un destino simile a quello di Otalora, ma molto più grandioso e incredibile». Contrariamente a quanto pensassi, The History of Decline and Fall of the Roman Empire di Edward Gibbon è un libro abbastanza difficile da reperire. Dopo diversi permessi e qualche giorno di attesa, la biblioteca della facoltà di Lettere di Pisa mi ha permesso di sfogliare il volume V dell'opera di Gibbon. Il volume è rilegato in pelle, con le costole in rilievo ed è titolato in oro. I numeri romani in copertina recitano MDCCLXXXIX. La storia di Borges è, effettivamente, una ricalcatura dei fatti narrati da Gibbon. I ritmi della scalata sociale del gaucho, i suoi atteggiamenti, la sua illusione di vittoria, sono gli stessi di Rufino, "an odious favourite, who has deserved the imputation of every crime6" e che fu generale sotto Teodosio I tra la fine del trecento e i primi anni del quattrocento. La storia di Rufino combacia perfettamente con quella di Otalora, sia nei passi principali che nelle minuzie, che poi sono le cose più importanti. Rufino, scrive Gibbon, "deceived himself by the opinion that his avarice was the instrument of his ambition" e non ha conosciuto scrupoli nella sua scalata al rango di generale. Questi abbandona in tenera età un oscuro angolo della Gallia per dirigersi verso la Capitale dell'Est ed arruolarsi. Come accade a Benjamin Otalora, anche Rufino si guadagna il potere in uno scontro armato. Scrive Gibbon: «His passions were subservient only to the passions of his master (Teodosio I) and yet, in the horrid massacre of Thefallonica, the cruel Rufinus inflamed the fury without imitating the repentance of Theodosius». Il disprezzo di Rufino per il pentimento di Teodosio gli ha dato la forza di farsi valere in battaglia e ora, come il gaucho di Borges, trova debole il proprio padrone e gli sembra opportuno che i propri metodi e le proprie risorse vadano a sostituire quelli vecchi. Le storie smettono di combaciare solo per poco tempo, all'apice delle rispettive parabole. Bisogna ammettere che Rufino gode più a lungo del potere conquistato (e ha modo di compiere più di qualche efferatezza, una volta nominato prefetto), ma nel momento della fine, della decisione di Teodosio di ucciderlo, dell'esecuzione ordinata da Stilicone (che poi succederà proprio a Teodosio), le due curve si ricongiungono perfettamente. Cito ancora Gibbon: «The ambitious praefect was seduced to believe that those powerful auxiliaries might be tempted to place the diadem on his head». Rufino, come Otalora, fino alla fine ha pensato non solo di non essere in pericolo, ma di avercela fatta. Ha pensato che la sua audacia, la sua ambizione, la sua avarizia e le scelte che queste gli

5«…repiten 6

una trama / eterna y fràgil, misteriosa y clara», (articolo) di Tommaso Scarano (1998)

Tutte le citazioni sono tratte da The History of Decline and Fall of the Roman Empire, Edward Gibbon (1789, London: Basil)

avevano dettato l'avessero portato in alto e che fosse destinato a restarci; che quello fosse il suo posto nella storia. Gibbon, e poi Borges, lo ricollocano dove merita. Il Morto potrebbe, a questo punto, sembrare una banale riscrittura di una storia dell'antichità, riadattata in circostanze che sono più congeniali, più familiari a un argentino così attaccato alla patria e al Sudamerica. In realtà, il racconto è una esteriorizzazione e una messa in atto di una filosofia che Borges ha fatto sua, che ha amato e alla quale io credo lui credesse ciecamente. In più di un'occasione (mi vengono ora in mente due saggi di Altre Inquisizioni7, che sono L'usignolo di Keats e Forme di una leggenda) Borges ha citato un pensiero di Coleridge, che recita approssimativamente così: «Tutti gli uomini sono aristotelici o platonici e queste parti si ripetono senza sosta, ma con altri attori». Io credo che per Borges Otalora e Rufino (così come Azevedo Bandeira e Teodosio o Aureliano e Giovanni di Pannonia) non fossero due, ma uno solo. Io credo che un altro Borges sia esistito prima di Borges, ma con un altro nome, e spero che un altro ancora mescolerà storia e letteratura, realtà e finzione come solo Jorge Luis è stato in grado di fare finora.

Giammarco Pizzutelli Matricola n° 526493

7

Otras inquisiciones, Jorge Luis Borges (Buenos Aires: SUR, 1952)

Lihat lebih banyak...

Comentarios

Copyright © 2017 DATOSPDF Inc.