L\'AMBIENTE E L\'AFRICA

July 18, 2017 | Autor: Giulia Verticchio | Categoría: African Studies, Global Governance, Environmental Sustainability
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AFRICA SUBSAHARIANA DEGRADO AMBIENTALE Dopo l’indipendenza il debole sviluppo africano è stato accompagnato da un impoverimento del patrimonio naturale; a tutt’oggi è andato distrutto il 54% delle foreste e oltre il 60% delle mangrovie. Nel corso degli anni ’80 le devastazioni più gravi degli habitat sono state in Africa occidentale,mentre le meno rilevanti in Africa australe. Concause di questo degrado sono la pressione sulle terre causata dall’esplosione demografica, dall’espansione delle colture di piantagione, dall’allevamento commerciale e dal disboscamento forsennato, oltre alla povertà delle aree rurali che genera bracconaggio (la frequenza di guerre civili o fra tribù o gruppi etnici fa si che in Africa ci siano molte armi da guerra usate per la caccia di frodo),occupazione abusiva delle terre, raccolta di prodotti nelle aree protette ecc.. per la sussistenza. Sia il Rapporto Brundtland del 1987, sia l’Agenda 21 del summit di Rio de Janeiro del 1992, sia il summit di Johannesburg del 2002 hanno messo in luce il legame fra povertà rurale e degrado ambientale, rilevando che nei Paesi sviluppati all’aumentare del reddito pro-capite la qualità ambientale in un primo momento peggiora, ma poi migliora, essendoci le risorse finanziarie, tecniche e umane per il recupero, mentre questo non accade nei Paesi sottosviluppati dove la mancanza cronica di queste risorse alimenta in modo autopoietico il pericoloso circuito fra povertà-insicurezza alimentare-malattie infettive (tubercolosi, malaria, Aids..)-competizione per l’accesso alle risorse-degrado ambientale. Deforestazione Non esistono inventari forestali redatti prima degli anni ’70,quindi dati certi si hanno solo da questo decennio in poi; la FAO stima che nel corso degli anni ’80 è andato distrutto ogni anno l’1,7% delle foreste africane. Il caso più grave è la Costa d’Avorio dove il tasso annuo di deforestazione è stato più del 5%.. tutto spazio sostituito con piantagioni commerciali che hanno progressivamente sterilizzato il terreno. In questo Paese il Tai National Park si è dimezzato, essendo stato occupato per metà da insediamenti di profughi provenienti da zone limitrofe dalle quali sono stati cacciati. I Paesi che negli anni ’80 hanno subito una maggiore percentuale di deforestazione, oltre alla Costa d’Avorio sono Burkina Faso , Gambia, Ghana, Madagascar. In quest’ultimo Stato insulare rimane solo 1/6 della foresta originaria, di cui solo il 2% è tutelato. L’illegalità dei tagli in Camerun raggiunge il 50% del traffico; solo alcune delle tante essenze presenti hanno valore commerciale, ma per tagliare anche solo queste le compagnie del legno si aprono delle piste, e da queste i contadini locali accedono a punti della foresta altrimenti inaccessibili, dissodano intorno e trasformano lo spazio in coltivazioni di sussistenza, impedendo alla foresta di richiudersi spontaneamente. Le compagnie europee ed italiane abbattono solo pochi alberi per ettaro, ma questo “taglio selettivo” porta ad uno sfruttamento intensivo di poche specie che non hanno tempo e modo di rigenerarsi e rischiano di sparire; e una volta aperte o costruite queste strade la foresta diventa facilmente accessibile per successivi sfruttamenti. Le principali compagnie del legno europee operanti in Africa sono il gruppo Rougier (Francia), Danzer (Germania-Olanda), Vastolegno e Intellegno (Italia). Francia, Italia, Spagna e Portogallo sono i principali esportatori di legno africano. L’Italia è il primo importatore mondiale di legname dal Camerun, conseguentemente alla crescita del settore industriale del mobile degli anni ’70. L’Italia importa soprattutto tronchi di Ayous (per mobili,compensati, truciolati,pavimenti,scale, infissi; gestisce il 60% dell’export di questa essenza dal bacino del Congo), Bubinga e Moabi, quest’ultima a particolare rischio di estinzione, poichè necessiterebbe di tempi di rigenerazione molto lunghi. Altre specie minacciate dall’estinzione sono la Mansonia e l’Afrormosia,che spesso viene tagliata al di sotto del diametro consentito; oltretutto spesso vengono abbattuti gli alberi piu sani, quelli che generano semi migliori, e il taglio dei migliori esemplari porta a lungo termine all’erosione genetica 1

dei suoli. Nessuna di queste compagnie rispetta i requisiti minimi di estrazione sostenibile, cioè la capacità di mantenere inalterata nel tempo la capacità produttiva della foresta; l’approccio è,al contrario,di carattere “minerario”; abbattuti tutti gli alberi ad alto valore commerciale le compagnie abbandonano il luogo per spostarsi verso nuove foreste incontaminate. Infatti, di conseguenza all’esaurimento delle foreste dell’Africa occidentale, le compagnie si sono spostate in Africa centrale; l’attività si concentra ora su Camerun e Gabon, e tende ad espandersi verso la Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), e in generale verso est, cioè verso l’interno. Il Kenya è l’unico Paese momentaneamente al riparo dai disboscamenti forsennati, ha anzi recentemente beneficiato di un progetto ambientale di riforestazione, Tree is life-Albero è vita, promosso dalla Provincia Autonoma di Trento; 700.000 alberi sono stati piantati solo nel 2005. Ma il Kenya rappresenta per l’appunto un’eccezione, avendo saputo organizzare una buona valorizzazione turistica degli ambienti naturali che lo fornisce di sensibilità verso la questione e di risorse finanziarie. Il resto della regione è anzi messo in pericolo dall’arrivo recente (a partire dagli anni ’90) delle compagnie asiatiche; thilandesi, malaysiane, cinesi e giapponesi, che di conseguenza all’esaurimento delle loro foreste locali e all’applicazione nei loro Paesi di moratorie sul taglio e aumenti dei prezzi del legname, si sono spostate nelle foreste africane, sfruttabili a basso costo. Rispetto al mercato europeo quello asiatico è meno selettivo, accetta piu essenze, anche di qualità inferiore, quindi queste compagnie abbattono molti piu alberi per ettaro e dopo una sfruttamento cosi intensivo le foreste perdono il loro valore economico e cresce la probabilità che vengano trasformate in piantagioni. Oltretutto le compagnie asiatiche portano con se i loro dipendenti, ancora piu a basso costo di quanto non lo possano essere quelli africani, quindi la popolazione locale non trova neanche occupazione da questa attività. Le pressioni dei Paesi creditori spingono i governi africani a concedere a buon mercato lo sfruttamento delle loro foreste per ottenere subito valuta estera, rinunciando ad una politica forestale di lungo periodo. La Liberia per esempio è stata immune fino al 1992, da dopo questa data in poi, cioè dalla fine della guerra, ha dovuto svendere concessioni. Cosi anche il Gabon,uno dei Paesi attualmente piu ricchi di foresta, che ha però di recente assegnato i ¾ delle sue foreste vergini a compagnie di taglio, soprattutto per il commercio di Okoume (usato per falegnameria esterna perchè resistente all’acqua). Lo sviluppo di una gestione sostenibile delle foreste in Gabon è compromessa da una legislazione forestale incompleta e scarsamente applicata, e da una cronica insufficienza di risorse umane ed economiche, per cui la tutela degli spazi e le concessioni di taglio sostenibile vengono affidate a personale locale poco qualificato e ancora meno remunerato che per “arrotondare” cede in “subaffitto” queste concessioni alle compagnie europee ed asiatiche, che se non erano riuscite ad ottenerle direttamente dal governo riescono comunque in questo modo ad accedere alle foreste; questa dinamica del subaffitto rende indeterminabili le responsabilità, ed è assecondata da una contraddittorietà legislativa; in un articolo di legge di Stato il subaffitto è esplicitamente vietato, quindi soggetto a pena, e in un’altro articolo della stessa legge risulta un’attività soggetta a tassazione! Il Camerun è in questi anni uno dei Paesi più attaccati; i suoi 17 milioni di ettari di foresta nell’ultimo decennio hanno subito un ritmo di taglio che la esaurirà, cosi continuando, entro i prossimi 15 anni. Sono rimaste intatte per ora poche foreste di frontiera. Per esempio la Riserva di Dja, sull’omonimo fiume, a sud del Paese, è un sito naturale catalogato come Patrimonio Universale dell’Umanità UNESCO; nonostante ciò, l’Unione Europea ha qui finanziato lavori di miglioramento stradale e infrastrutturale per facilitare l’attività commerciale europea del legno e i relativi insediamenti, e non sono stati adeguatamente valutati gli impatti, perchè queste strade, larghe, lunghe, asfaltate, che si inoltrano nel cuore della foresta facilitano le irruzioni dei bracconieri che cacciano i gorilla e gli scimpanzè. La svalutazione del Franco Centrafricano ha reso il legno del Camerun molto competitivo sul mercato mondiale favorendo profitti crescenti alle compagnie che gestiscono le esportazioni. Pochissimo del legno che viene abbattuto viene lavorato in patria; oltretutto il sistema di lavoro delle segherie in Camerun è molto scadente; la maggior parte del legno, anche il 70%, viene gettato via durante la lavorazione come scarto e segatura.. questo 2

vuol dire che non c’è la capacità di ottimizzare lo sfruttamento della materia prima e qui è evidente il legame fra ignoranza - arretratezza tecnologica - povertà - degrado ambientale. Biodiversità e specie animali I gorilla e gli scimpanzè sono le specie animali che nelle foreste soggette a taglio rischiano maggiormente l’estinzione; infatti i camminamenti aperti dalle compagnie del legno rendono facilmente accessibili aree forestali inoltrate altrimenti inaccessibili che permettono ai bracconieri e ai cacciatori di frodo di sterminare questi primati per il traffico locale di selvaggina, che fra l’altro per trasportare questa selvaggina in città possono usare i veicoli delle compagnie del legno che glieli mettono a disposizione. Le compagnie purtroppo permettono queste forme di integrazione economica per poter mantenere bassi i salari dei dipendenti, visto che la caccia di frodo porta questi ultimi un incremento di reddito del 40%. In Gabon e altri Paesi dell’Africa occidentale e centrale cono a rischio di estinzione l’antilope, la mangusta liberiana, l’ippopotamo pigmeo o ippopotamo nano. In Camerun si trova un’ampia biodiversità; 16 tipi di scimmia,scimpanzè, gorilla, elefante di foresta, leopardo, pangolino,antilope di foresta, porcospino africano, pappagallo grigio africano, diverse varità di martin pescatore, uccelli, rettili, anfibi, e oltre 1000 specie di farfalle. Il progressivo ridursi, impoverirsi, e mutare delle foreste soggette a forte pressione di taglio mette a repentaglio la capacità riproduttiva nel tempo di tutte questi animali. Alcune estinzioni sono legate anche a ragioni economico-commerciali di altro tipo come ad esempio per le mucche Ankole (molto alte e asciutte, longilinee, tendenzialmente marroni, e con grandi e lunghe corna) anticamente legate al popolo ugandese dei Bahima. L’ Uganda ha un tasso di natalità altissimo, dagli anni ’80 ad oggi la popolazione è raddoppiata, e oltretutto afflitta da aids e malnutrizione cronica; quindi per soddisfare i fabbisogni alimentari si è cercato di aumentare la produzione locale di latte, che ha un valore nutritivo importantissimo; per fare questo gli americani hanno importato le mucche Holstein (la tipica mucca svizzero-austriaca, tozza, tendenzialmente pezzata di bianco e nero e con corna piccole), che producono molto più latte; un buon esemplare di Holstein può produrre da 20 a 30 volte piu latte di un Ankole. Così le multinazionali americane del bestiame portano in Uganda i semi dei loro esemplari migliori per l’inseminazione artificiale che porta ad una progressiva ibridazione della razza che alla 3° generazione di questi incroci avrà trasformato le Ankole in Holstein.. Molti Paesi poveri stanno eliminando delle razze autoctone per sostituirle con alcune piu produttive, ma cosi si rischia un tracollo delle diversità genetiche; è qui evidente il tipico conflitto fra conservazione delle razze e diritto al benessere umano. Gia estinti sono per esempio il leone del capo,il quagga (una zebra della steppa, zebrata solo nella parte anteriore del corpo), e il dodo. Quest’ultimo era un uccello molto grande dell’isola Maurizio, sterminato gia nel XVII sec. Dai marinai europei e dagli animali domestici da essi introdotti; all’estinzione del dodo consegue quella di un albero, i cui frutti e semi molto grossi potevano essere trasportati e dispersi solo da questo grande uccello. Questo è un esempio di “estinzione secondaria”, cioè conseguente ad una anormale abbondanza o assenza di altre specie, gia direttamente estinte o artificialmente introdotte. Per esempio l’introduzione della perca del Nilo nel Lago Vittoria ha causato la perdita di 200 specie su 300 di pesci cicladi; l’introduzione della sardina del Lago Tanganika nel Lago di Kariba ha modificato lo zooplancton cambiando l’ecosistema acquatico. Un altro curioso esempio di estinzione collegato alle trasformazioni che l’uomo opera sugli ambienti riguarda proprio il lago di Kariba; quando questo tratto del fiume Zambesi venne trasformato in lago dallo sbarramento artificiale era ovviamente abitato solo da pesci di fiume che abitano le superfici dell’acqua, quindi le profondità erano inutilizzate; per sfruttarle dal punto di vista ittico-commerciale sono state introdotte le sardine, che però hanno avuto una capacità riproduttiva che è sfuggita al controllo e sono stai necessari degli interventi sulle altre specie sia animali che vegetali; oltretutto quando la diga di Kariba si è andata riempendo, mano mano che il livello dell’acqua saliva inondava le tane dei grilli sulle rive.. i Tigerfish, dei Pirañha che abitavano queste acque si sono ritrovati un’eccessiva disponibilità di grilli che li portava a morire di indigestione! Comportando un pericolo di estinzione sia per i grilli che per i Tigerfish. Altre specie sono tradizionalmente afflitte dalla 3

caccia e dal traffico illegale di animali protetti (che è una delle attività illegali più lucrative del mondo dopo quella della droga) sono gli elefanti,cacciati per l’avorio, e oggi attentamente protetti soprattutto in Africa australe; Kenya e Uganda per esempio hanno perso l’85% dei loro elefanti nel ventennio degli anni ’70-’80; il rinoceronte nero e il rinoceronte bianco, cacciati per il corno, molto domandato dai mercati del Sud-est Asiatico. Prosciugamento, desertificazione, degrado dei terreni La recente transizione demografica e la crescita esplosa della popolazione nelle campagne ha comportato un aumento della pressione sulle risorse, per cui molti contadini che praticano agricoltura di sussistenza sono costretti a spostarsi su terre marginali, e mettere a coltura intensiva anche spazi che poco si prestano, anche perchè le terre migliori sono generalmente occupate dalle piantagioni monocolturali per il commercio d’esportazione. L’aumentata pressione sulle terre comporta anche l’accorciamento dei tempi di maggese, cioè di riposo, che nei sistemi agricoli africani erano tradizionalmente molto lunghi e assicuravano la rigenerazione della fertilità dei suoli in modo naturale; così la fertilità dei terreni non ha il tempo di ricostituirsi e i suoli si induriscono e impoveriscono; anche il sovrasfruttamento dei pascoli degrada il terreno , e queste pratiche portano a lungo termine alla “desertificazione”, non tanto inteso come l’avanzare del deserto, quanto per l’impoverimento del terreno, e non tanto per siccità, quanto per attività antropiche ad alto impatto. Comunque anche la siccità ha un suo rilevante posto fra i problemi del continente; nel 1994. la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Desertificazione ha discusso sugli impatti che ha avuto nei Paesi del Sahel (Senegal,Mauritania,Mali,Burkina Faso, Niger, Nigeria,Ciad) la forte siccità del 1968-73, e cioè l’erosione del suolo, che si è seccato, ha formato delle fenditure e si è a tratti frantumato; oltretutto sul Sahel arrivava il monsone africano, che apportava umidità e qualche pioggia, ma dagli anni ’60 in poi ha persistito un’alta pressione che ferma il percorso del monsone; la siccità è quindi sicuramente una concausa, ma generalmente un terreno ben gestito non ha problemi a rigenerarsi quando le piogge prima o poi arrivano o quando i terreni sono stati lasciati a riposare; la combinazione fatale è data dalla siccità e dalla sinergia che questa crea con l’abuso antropico e la gestione sbagliata delle acque. Nel 2006 il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente ha dato una Conferenza Internazionale sull’Acqua a Nairobi, in occasione della quale si è osservato che l’Africa Subsahariana si sta prosciugando; per esempio il livello dell’acqua del Lago Vittoria oggi è 1 metro sotto il livello degli anni ’90. Ma il caso piu grave ed evidente di prosciugamento lacustre è quello del Lago Ciad, compreso fra Niger,Nigeria,Camerun e Ciad, che occupa la zona piu depressa di una conca tettonica ed è il residuo di un antico mare interno, infatti in epoca pleistocenica copriva circa 300.000 Kmq; malgrado sia endoreico e non abbia emissari, ma solo immissari, questo specchio d’acqua rischi di scomparire, in quanto soggetto ad un arrestabile processo di prosciugamento iniziato dagli anni ’70 a causa di siccità,scarse precipitazioni, forte evaporazione, le infiltrazioni nel sottosuolo e poi lo sfruttamento delle acque con canali di drenaggio per l’irrigazione agricola. Le dimensioni del lago sono variabili da circa 10.000 Kmq nella stagione secca a circa 25.500 Kmq alla fine della stagione delle piogge; lo spazio differenziale soggetto a questa alternanza circonda il lago nella stagione secca con vegetazione e palude, una prateria acquitrinosa abitata da coccodrilli e ippopotami; solo che dagli anni ’70 agli anni ’90 il lago si è ridotto del 20%, e nel 2000 è arrivato a coprire solo 1500 Kmq. Grazie a degli interventi di deviazione delle acque nel 2001 l’estenzione è tornata circa al 70% di quella originaria; oltretutto il WWF ha spinto per dichiarare il Lago Ciad area umida di importanza internazionale inserita nella Convenzione di Ramsar (per esempio anche il delta dello Zambesi è un sito Ramsar). Le dighe Il fiume Zambesi nasce al confine fra Zaire e Zambia presso le montagne di Kalene Hill, attraversa un piccolo tratto orientale dell’Angola, scende rientrando in Zambia; dalle Cascate Vittoria a 4

Zumbo presso il Lago di Cabora Bassa segna il confine con lo Zimbabwe; dal Lago di Cabora Bassa in poi entra nel Mozambico, Paese in cui sfocia a delta nello Stretto del Mozambico (Oceano Indiano). Questo fiume ha una portata d’acqua molto importante che rappresenta una risorsa oltre che naturale anche economica perchè impiegabile in vari modi; infatti solo fra Zambia, Zimbabwe e Mozambico ci sono 3 grandi dighe: Kafue, Kariba e Cabora Bassa per ottenere energia idroelettrica per i locali e da vendere al Sudafrica, e per l’irrigazione e il controllo delle acque. -La diga di Kariba è stata finanziata dalla Banca Mondiale e costruita nel 1955-58 da un’impresa italiana (IMPRESIT) e ha comportato lunghi e ripetuti lavori di pulizia e sradicamento; lo riempimento del bacino si è completato nel ’63 e gli alberi rimasti o ricresciuti sulle rive piu basse sono stati sommersi, l’acqua ha ricoperto le radici privandole di ossigeno e il sole ne ha bruciato le estremità esposte indurendole.. ne viene un paesaggio spettrale che testimonia la forzatura a cui è stata sottoposta la natura; senza contare che l’interazione fra gli elementi artificialmente introdotti e il persistere degli elementi autoctoni tenacemente sopravvissuti ha creato un eccedenza di nitrati e fosfati nelle acque che ha prolificato la Salvinia Molesta (una felce acquatica) a dismisura, diventando un problema per la pesca e la sopravvivenza delle altre specie. Negli anni di riempimento della diga molti animali rimanevano “bloccati” sulle isolette che si formavano, cioè circondato dall’acqua e lontani dalle rive; l’imponenza del problema portò all”Operazione Noè”, un piano di salvataggio per portare soprattutto antilopi ed elefanti a riva; ma non è stato facile. Gli elefanti tendono a non voler abbandonare il gruppo in ogni caso, per cui per farli diciamo “collaborare” sarebbe stato necessario caricarli tutti insieme, “per famiglie”, ma questo non era possibile data la mole dell’animale,e nel provare a prelevarli per 3-4 alla volta si inquietavano al punto da buttarsi poi giù dalle imbarcazioni per tentare di tornare dal gruppo. Mentre le antilopi al contatto fisico con l’uomo che le prendeva subivano uno stato di shock, di collasso, di innalzamento della temperatura corporea, e quindi di febbre a picchi mortali. Oggi, questa diga da pensiero per motivi di natura geologica, visto che il peso di 160 miliardi di tonnellate d’acqua sta fortemente pressando la crosta e causato un abbassamento, une depressione della zona, rendendola sismica; dal ’59 in poi si sono susseguite circa 2000 scosse. -La diga di Kafue, in Zambia, terminata nel ’74, ha eliminato le piene stagionali rendendo aride regioni una volta fertili; per cui la “gestione” del fiume andrebbe sostituita al “controllo”. -La diga di Cahora Bassa, in Mozambico, ha tolto acque e terre produttive alla popolazione del delta; la riduzione delle portate ha provocato una drastica riduzione del pescato e delle mangrovie. Inoltre, Bryan Devis, dell’Università di Città del Capo, che conduce ricerche sull’ecosistema dello Zambesi da 25 anni, è preoccupato per la tenuta strutturale di queste dighe e per l’impatto disastroso a valle di un eventuale inondazione,per cui in caso di cedimento, ma anche seguendo uno schema di rilascio guidato più di circa 180 miliardi di m³ d’acqua finirebbero ad inondare la provincia di Tete. La stretta regimentazione dell’acqua (solo 3 piene sono state “concesse” dal 1975) ha creato una pianura di insediamenti posti senza approntare misure, per cui le nuove generazioni, nate con la diga,non hanno più la naturale e tradizionale “cultura dell’inondazione”, patrimonio delle generazioni precedenti, che sapevano convivere con questi fenomeni naturali, organizzarsi per limitarne i danni e trarne qualche vantaggio. Queste paure sono supportate da avvenimenti reali, perchè una cosa del genere è successa in Mauritania, nel sud del Paese, sul fiume Senegal, le popolazioni di Kaèdi, Boguè e Rosso sono state inondate quando delle piogge torrenziali hanno causato l’apertura dell’invaso di una diga sul Befing, affluente del Senegal. In conclusione si sostiene che il problema delle piene non si risolve costringendo il fiume in un canale o sbarrandolo; l’artificializzazione del fiume e la regolamentazione forzata dei rilasci d’acqua velocizza l’erosione dei suoli a monte e la sedimentazione a valle, eliminando le naturali difese del territorio; studi recenti dimostrano infatti che le piene cicliche di portata maggiore sono rese più disastrose in presenza di uno sbarramento.

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Fonti: -“Nel cuore dell’Africa Nera” di Mauro Burzio, Editrice Velar; -“Geografia Umana. Teoria e prassi” di Adalberto Vallega, Le Monnier Università; -www; Legambiente, Greenpeace, Nigrizia, Global Geografia.

Giulia Verticchio 27/06/2008

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