La mente letteraria secondo Mark Turner

June 1, 2017 | Autor: Nemola Zecca | Categoría: Cognitive Neuroscience
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Descripción



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Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.1 "Bedtime with Shahrazad"
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, Preface
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.1 "Bedtime with Shahrazad"
Clifford Geertz, "After the fact: two countries, four decades, one anthropologist", 1995, Harward University Press, Cambridge
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.2 "Human Meaning"
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.2 "Human meaning"- pag. 16
William H. Calvin, "The cerebral symphony: seashore reflections on the structure of consciousness", 1989, Bantam, Washington
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.2 "Human meaning"- pag. 20

Definizione tratta da http.//www.treccani.it/enciclopedia/cervelletto/.
Un' ulteriore prova a sostegno del fatto che il cervelletto sia l' organo anatomico maggiormente implicato nell' apprendimento (in particolare, quello di natura linguistica) è dato dalla seguente notizia, pubblicata il 10 settembre 2014 sulla rivista di fama internazionale "Neuopsychologia". Eccone un estratto:
"Nel cervello c'è un bottone che permette a chi parla due lingue di switchare automaticamente da un idioma all' altro nel bel mezzo di un discorso. A scoprire l' interruttore del bilinguismo è stato un gruppo di scienziati italiani dell' IRCCS Medea- Associazione La nostra famiglia di Bosisio Parini (Lecco), in collaborazione con l' ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine. Il team ha localizzato sulla corteccia temporale superiore cerebrale una sorta di pulsante che, stimolato elettricamente, fa cambiare lingua involontariamente alla persona che sta parlando".
(http.//www.lescienze.it/lanci/2014/09/10/news/irccs_medea_localizzata_unarea_del_cervello_implicata_nel_bilinguismo_22826551/.)
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.2 "Human Meaning"
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.3 "Body action"- pag. 28
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.4 "Figured tales"- pag. 41
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.4 "Figured tales"
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.4 "Figured tales"- pag. 46
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.4 "Figured tales"- pag. 47
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.4 "Figured tales"- pag. 48
Dante Alighieri, "La Commedia"- Inf. Canto XXVIII, vv. 139-142, Ed. Mondadori, Milano, 1966
William Shakespeare, "King John"- Scena II, v.252, Bantam Book Edition, New York, 1980
Wayne C.Booth, "The rhetoric of fiction", University of Chicago Press, Chicago, 1983
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.6 "Many spaces"- pag. 87
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.6 "Many spaces"- pag. 94-95
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.6 "Many spaces"- pag. 104
"The visual perception (…) occur in a fragmentary fashion throughout the brain and are not assembled in any one place", Mark Turner "The literary mind"

Antonio Damasio, "The brain binds entities and events by multiregional activation from convergence zones", articolo tratto da: Neural Computation, MIT Press, 1989
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.7 "Single lives"- pag. 119
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.7 "Single lives"- pag. 118
"Un personaggio, signore, può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre "qualcuno". Mentre un uomo - non dico lei, adesso - un uomo così in genere, può non essere "nessuno".

"Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda – si crede 'uno', ma non è vero: è 'tanti', signore, 'tanti', secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: 'uno' con questo, 'uno' con quello – diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'essere 'uno per tutti', e sempre 'questo uno' che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! Non è vero! Ce ne accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per me un caso sciaguratissimo, restiamo all' improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell' atto e che dunque un' atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi, alla gogna, per un' intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell' atto!"

Da: Luigi Pirandello, "Sei personaggi in cerca di autore", Ed. Einaudi, Torino, 2005

Cfr. nota ^ 20
Fonte dell' intervista: http.//www.emsf.rai.it/articoli/articoli.asp?a=40.
Grooming: in etologia, il comportamento di cura delle superfici del corpo: può essere effettuato da un animale sul proprio corpo (autogrooming) o su quello di un altro individuo della stessa specie (allogrooming). Nel primo caso, il g. segna il passaggio tra stato di attività e di quiescenza; in alcuni animali, per es. nei Roditori, passare della saliva sulla pelliccia ha un ruolo nella termoregolazione. Nel secondo caso, il g. rafforza i legami sociali e contribuisce a mantenere nei vari membri del gruppo l'odore caratteristico che permette di stabilirne l'appartenenza.

Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/grooming/
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.8 "Language"- pag. 141
Tale esempio è riportato da Mark Turner in "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.8 "Language"- pag. 148
Mark Turner, "The literary mind", 1998, Oxford University Press Inc, New York, cap.8 "Language"- pag. 168
CAPITOLO PRIMO:
la mente letteraria secondo Mark Turner

Introduzione: gli elementi della mente letteraria

"L

a mia attività di studioso è centrata sulla natura di mente, linguaggio e letteratura, con enfasi particolare su meccanismi della creatività e della fantasia, sistemi concettuali e linguistici, proiezione e integrazione concettuale, immagine e narrativa nel pensiero e nel linguaggio, teoria evolutiva del significato, poetica, stile e mente letteraria ".
Ecco come si presenta Mark Turner, linguista specializzato nella ricerca delle scienze cognitive. Egli è stato uno dei primi studiosi, assieme a George Lakoff, a parlare di "Mente letteraria":
"The literary mind is not a separate kind of mind (…),but the fundamental mind"
Per penetrare a fondo tal concetto (oltre quanto ad esso connesso) è necessario partire dall'analisi dei tre perni, definiti dallo stesso Turner come "the central issues for cognitive science": storia (story), proiezione (projection), parabola (parable).
La storia è il concetto base da cui parte la mente letteraria. È, in poche parole, il mezzo concettuale di base con cui viene organizzata la realtà. Una storia può poi essere proiettata su un'altra ed instaurare con essa un legame. Nella Proiezione si muove da ciò che è già noto per comprendere il non noto. Quindi, si ha una storia di partenza nota da proiettare su quella non nota per dare, a quest'ultima, forma e significato (ecco come esemplificato il passaggio da una source story ad una target story). Questo meccanismo di proiezione si definisce parabola e rappresenta il mezzo attraverso cui ognuno dà interpretazione e significazione alle varie esperienze quotidiane.
"Parable, defined by the Oxford English Dictionary as the expression of one story through another, has seemed to literary critics to belong not merely to expression and not exclusively to literature, but rather, as C.S. Lewis observed in 1936, to mind in general; if we want to study everyday mind, we can begin by turning to the literary mind exactly because the everyday mind is essentially literary".
Lavorare con story, projection e parable mette il neuro scienziato di fronte ad un doppio lavoro. Infatti, la mente letteraria, muovendo da tali concetti base, non può non essere caratterizzata da un "entertainment side", ma rappresentare al contempo un complesso lavoro cerebrale, in moto– come si vedrà- dalla prima apparizione della specie "homo". Il fatto che sia un' attività inconscia, costante e spontanea ne limita lo studio in prospettiva scientifica; ulteriore ostacolo è costituito dal significato che si è soliti attribuire al termine "storia", inteso come un qualcosa di inusuale e interessante. Nell'ambito in questione, invece, si allude ad un'attività che tira in ballo l'immaginazione, ma che –nel contempo- è non opzionale e soprattutto biologicamente necessaria. Ma procediamo con ordine, partendo dal livello più elementare di "story", ossia le "small spatial story". L' antropologo statunitense Clifford Geertz le definisce così:
"What we can construct, if we keep notes and survive, are hindsight accounts of the connectedness of things that seem to have happened: pieced-together patternings , after the fact".
Questo implica che solo categorizzando e combinando queste "basic stories" si è in grado di comporre delle "general stories", attraverso proiezioni parabolicamente realizzate. Tutto sta nell' indagare tali meccanismi d' azione.

1.2 I meccanismi d'azione della parabola: gli image schemas
Ma quali sono i mattoni di cui ci si serve per giungere a tale traguardo? Gli esperti di scienze cognitive sono soliti parlare di "Image schemas":
"Image schemas are skeletal patterns that recur in our sensory and motor experience . (...) Simple image schemas can combine to form complex image schemas."
Per comprendere meglio, si tenga conto del seguente esempio: il termine "goal" è un genere di "complex image schemas", cui si riconducono i concetti minimi di "interno", "contenitore", "dentro", "fuori", "attraverso" e così via; il tutto, ovviamente, è possibile grazie alla nostra umana e quotidiana esperienza di vita. Non è un caso, infatti, che "perception " e "interaction" (proprietà dell' universale cognitivo della specie umana) costituiscano i punti di partenza del passo successivo: la proiezione degli schemi rappresentativi ("projecting image schemas"). Si tratta di un meccanismo di alignment (o line-up), che attraverso la creazione successiva di immagini metaforiche spiega la realtà.
Esempi frequenti: dare forma geometrica al tempo, parlare di lingua madre e termini da essa "derivati" ecc.
A mettere in ordine tutto ciò ci pensa quella che William H.Calvin chiama "the cerebral symphony", ossia la capacità del nostro cervello di ordinare il tutto in sequenze categoricamente composte, riconoscerle ("recognizing"), immaginarle ("imagining") ed eseguire atti di risposta ad esse ("executing"). Questo perché la nostra mente è in possesso delle seguenti proprietà: prediction, evaluation, planning, explanation . Si pensi, per esempio, al momento in cui si presenta davanti a noi un uomo in procinto di lanciarci contro un sasso. L'atto di risposta del nostro corpo a tale evento è un esempio concreto di "narrative imagining", una delle forme fondamentali di "prediction". Si noti, poi, che molte delle "storie" (risultato finale della explanation) sono popolate da esseri dotati di "animacy" e "agency" (basti pensare ai miti antichi); si è, ancora una volta, di fronte a meccanismi d'azione propri di una parabola. Sorge spontanea una domanda: se gli attori muovono gli oggetti, chi muove gli attori? La risposta non può che essere unica: l' anima, quello strano motore presente sin dall'epoca di Aristotele e che non dà cenno di scomparsa alcuno.

1.3 Mente letteraria e aree cerebrali
Lasciamo da parte i dibattiti filosofici e torniamo ad adottare una prospettiva scientifica: quali aree cerebrali sono deputate all' organizzazione degli "Image schemas" e delle proprietà ad essi connesse? La ricerca, da qualche anno a questa parte, sta indagando proprio in merito a tale ambito. La zona nervosa più indagata resta il cervelletto, responsabile del controllo dell'attività motoria in tutti i suoi aspetti, dai movimenti volontari (di cui regola ampiezza, precisione e coordinamento) all' equilibrio e all' attività riflessa. C'è chi ha parlato di "convergence zones", partendo dallo studio delle "orientation tuning columns", espressione che designa la proprietà che le cellule cerebrali hanno di sintonizzare la loro attività neuronale in base al tipo di esperienza. Per esempio, i neuroni propri della corteccia visiva primaria (nota come zona Brodmann 17) sono connessi con altri gruppi di cellule della zona V2, che- ricevendo costantemente uno stesso stimolo- elaborano un medesimo "image schemas". Partendo da tali elementi, Gerald Edelman (biologo statunitense, Nobel per la medicina nel 1972) ha elaborato una teoria così sintetizzata :
"A sensory sheet (like the retina) projects to various regions of the nervous systems (called maps) . For any particular map, repeated encounter with a stimulus results in changes in synaptic strengths between neurons in the map, thus forming up ("selecting") certain neuronal group patterns in the map, that become active whenever the stimulus is encountered".
Non è ancora molto chiaro come lo studio degli "image schemas" possa connettersi con l'attività cerebrale; un fatto è certo: si tratta in entrambi i casi di una complessa interazione di sistemi (neuronali e non), ma tutti perfettamente coordinati tra loro. A rendere ulteriormente interessante l'oggetto di tal relazione è il notare che questa proprietà accomuna tutti gli esseri umani, ed è frutto, oltre che di un'influenza genetica, della quotidiana esperienza, e per questo è nata con l'uomo e probabilmente morirà con lui .

1.4 Dagli image schemas all' elaborazione delle basic stories
Gli "image-schemas" restano, dunque, l'inevitabile punto di partenza per uno studio approfondito delle "parabolic-projections". Di solito, una "spatial action story" (così definita perché comporta un cambio di locazione passando dalla source alla target story) viene proiettata su una "spatial event story". All'interno di quest'ultima, non è raro trovare dei "metaphorical actors", cui vengono consuetudinariamente attribuite capacità di azione, proprio grazie all'utilizzo degli "image-schemas". Si presti attenzione al seguente esempio:
"A duplicating machine chewed up a document"
Si badi, tuttavia, a non commettere l'errore di creare delle "parabolic projections" arbitrarie; infatti, la proiezione è guidata da un principio, detto "the invariance principle", che impedisce la contraddittorietà di un "image-schematic clash". La costante che non bisogna mai perdere di vista è solo una: la logica della consequenzialità. Tenendo presente queste poche regole, tuttavia essenziali, l'uomo può dar vita, servendosi anche del suo fitto immaginario, a delle target story più complesse e ricercate, nonché dal gusto squisitamente letterario. In tal caso, risulta inevitabilmente più difficile cogliere il meccanismo di proiezione parabolica in tutta la sua completezza, ma gli strumenti mentali attraverso cui esso si realizza restano gli stessi.

1.5 Generi di Parabolic Projections
Tra le "parabolic projections" più comuni è bene ricordare lo schema "Events are actions" (si ricordi l'esempio "A duplicating machine chewed up a document"), da cui derivano le seguenti mappe logiche:
Actors are movers
"She is a mover in the entertainment industry"
Actors are manipulators
"He has got his fingers into everything"
Ci si soffermi un attimo sull'ultimo schema passato in esame; esso è stato oggetto di analisi da parte del linguista Michael Reddy, secondo il quale la "comunicazione" è una forma di proiezione dello schema "Actors are manipulators" .Egli afferma:

"The speaker puts a physical object (the meaning) into a container (the language) and sends it to another person (the hearer), who opens the container, in order to abstract the meaning and know it".
Può anche accadere, talvolta, che gli attori siano, nel contempo, agenti e manipolatori (actors are movers and manipulators) . Esempio:
"Going for the football"
In questo caso, si"proietta" su uno stesso soggetto (nel nostro caso non espresso) sia un "self-powered mover" sia un manipolatore di oggetto fisico (una palla da gioco). Tale schema linguistico, di non diretta comprensione, è proprio dell'uso letterario; basti pensare alla "Commedia" Dantesca o all'opera di Marcel Proust, intitolata "A' la recherche du temps perdu", dove l'autore chiede esplicitamente al lettore di proiettare la storia di un "mover nello spazio" nella storia di un "thinker". Ecco come gli stati mentali divengono locazioni fisiche; e il mutamento di uno stato mentale in un altro corrisponde al cambiamento di una locazione fisica.
Fino ad ora, l'unico oggetto di analisi sono state proiezioni aventi come protagonisti degli "actors"; ad essi, tuttavia, possono sostituirsi degli "events", con i seguenti ruoli:
Body actors
"The recession' s coming at me"
Movers
"Time marches on"
Manipulators
"The recession is spinning us around"
Movers and manipulators
"The recession crept up on us and then put a chokehold on the business"
Agli esempi sopra citati se ne potrebbero far seguire molti altri di cara memoria letteraria. Si pensi ai seguenti:
"Jealousy becomes a green-eyed monster to be confronted"
"The sailor can fight a murderous sea that tries to steal his life and his livelihood"
Anche la morte e il tempo, proprio come la gelosia e la metaforica rappresentazione del mare, possono talvolta avere il ruolo di "Movers" e "Manipulators". Ma andiamo oltre.
Finora, ci si è soffermati sui meccanismi parabolici derivati da "Events are actions". È necessario, tuttavia, notare che molte tipologie di proiezioni possono avere come target story finale eventi di natura prettamente mentale, all'interno dei quali è assente ogni forma di "Animate actors"; è quello che ha notato lo studioso Leonard Talmy, che ha parlato – a tal proposito- di "Projecting spatial stories". Esempio:
"The building has fallen into disrepair"
A queste vanno, poi, ad aggiungersi anche delle "projecting nonspatial stories". Esempio:
"They are aligned"
"They vote as a block"

1.6 Un esempio particolare di Parabolic Projection: la storia della nascita
Insomma, non bisogna sorprendersi se numerosi neurolinguisti non hanno esitato a parlare, in merito alle parabolic projections, di "a kind of algebra of the mind", con precisa allusione ai complessi schemi di funzionamento di una "literary mind". Eppure, al di là della sua tutt'altro che semplice struttura, essa è nata con l'uomo e fa intrinsecamente parte della sua natura. Come argomento a sostegno di tale tesi può essere addotta la storia della nascita. Ecco qui di seguito gli image-schemas da cui essa è composta:
One thing coming out of another
An object emerging from its source material
Motion along a path from a source to a goal
Link
Spatial growth
Le tappe che caratterizzano un momento così noto, nonché fortemente significativo, quale appunto è la nascita, diventano il primario esempio di una storia familiare ed autorevole, pronta ad essere proiettata in altre storie. È così che la storia della nascita arriva ad includere un set infinito di "image-schemas". Esempi:
"Italian is the eldest daughter of Latin"
"Ignorance is the mother of all damages"
Questi image-schemas hanno forma letteraria soltanto perché la nostra mente ha una natura fondamentalmente tale.
Giunti a questo punto, si sarebbe spontaneamente indotti ad estrarre, dalle precedenti osservazioni, un'unica regola generale. Ma, in questo modo, si commetterebbe il colossale errore di non tener conto di quella che Mark Turner definisce magistralmente "Archeology of mind", con netta allusione alla creatività propria di ogni essere umano. In conseguenza di ciò, è errato considerare il concetto di "significato" come un semplice contenitore di statiche definizioni; le complesse operazioni di proiezione, infatti, fanno del cervello umano un organo dinamico e perennemente attivo.

1.7 Convergenze di Image schemas: i blended spaces
Fino ad ora è stato usato un modello di proiezione (diretta ed unilaterale) da uno spazio ad un altro; questo modello ha bisogno di una "rifinitura": i "blended-spaces". Per capire in cosa consistano, si prenda come modello la legge del contrappasso dantesco, di cui –qui di seguito- viene riportato un esempio:
"Perch'io partì così giunte persone,
partito porto il meo cerebro, lasso!
Dal suo principio ch'è in questo toncone.
Così s'osserva in me lo contrapasso"
I versi sopra riportati, tratti dal XXVIII canto dell' Inferno, hanno come protagonista Betran de Born, uno dei più popolari trovatori provenzali. Dante lo colloca nell'ottavo cerchio dell' Inferno, ove i seminatori di discordia sono puniti col seguente contrappasso: come in vita separarono famiglie e fazioni politiche per il male fine a se stesso, così –nella morte- sono condannati ad avere le membra mutilate. Da un punto di vista logico, parlare con la testa separata dal resto del corpo è impossibile, poiché innaturale. Tuttavia, grazie alla creazione di una metafora convenzionale, è stato elaborato quello che Turner definisce un "abstract generic space", dove la source story (nel caso sopra citato, la divisione delle membra) viene proiettata in una target story, che –in tal modo- acquista maggior forma e significazione. Si veda un altro esempio:
"So foul a sky clears not without a storm.
Pour down thy weather."
("Un cielo così cupo non può rischiarare senza una tempesta.
Sfoga pure la tua tempesta.")
Si tratta di alcuni versi dell'opera Shakespeariana "King John"; all'interno di essi, si ha modo di esperire una delle parabole metaforiche più note: il paragone tra il nostro viso ed il cielo. Anche qui, come nel precedente esempio, il "blended-space" elaborato dà origine ad una sorta di "fabulous domain", della cui irrealizzabilità non si è consapevoli (per lo meno, in un primo momento). Eppure, è proprio grazie a queste proiezioni paraboliche che input story apparentemente distaccate e prive di senso acquistano logicità, nonché –talvolta- un gusto squisitamente letterario. Non è un caso che già George Lakoff, con i suoi studi sulla metafora (magistralmente raccolti nel saggio "Metaphors we live by"- University of Chicago Press, 1987), avesse trovato proprio nella letteratura un campo di indagine fertile; in tale ambito, infatti, l' uomo ha raggiunto risultati straordinari. Eppure un bambino a soli due anni è capace di cogliere la portata metaforica di una fiaba, nonostante la complessità che la caratterizza. Wayne Booth , un critico statunitense, nell'opera "La retorica della finzione", prova a definire il "blended-space", partendo da altri due concetti: spazio della storia narrata e spazio della narrazione. Nel primo, il narratore non esiste e, pertanto, non ha alcun potere; nel secondo, al contrario, è fortemente presente e gode di ogni potere sulla storia da lui elaborata. Nel blended-space il narratore, i lettori e i personaggi della vicenda abitano in un unico mondo,tuttavia irreale. Il linguista americano Lakoff si è impegnato poi a trovare esempi di "blended-space" nell'uso quotidiano. Le sue conclusioni hanno fornito un' ulteriore argomentazione a sostegno della tesi, secondo cui la mente umana ha una natura prettamente letteraria.


1.8 Esempio schematicamente dimostrato di Blended space
Alla luce di quanto sopra detto, si è avuto modo di capire che il termine "significato" racchiude al suo interno una complessa operazione di proiezioni paraboliche,piuttosto che un semplice concetto. I neuro-linguisti, onde facilitare lo studio scientifico del linguaggio, hanno elaborato uno schema, che raggruppa –sempre secondo una logica consequenzialità- gli input spaces, il generic-space (che indica le connessioni tra i vari input spaces) ed, infine, il blended-space, di cui si è precedentemente discusso.
Si veda un'applicazione di quanto sopra detto. Si parta dal seguente esempio:
un monaco scala una montagna in un giorno; comincia all'alba e arriva alla meta al calare del tramonto; poi torna giù dalla montagna in un giorno successivo; nuovamente inizia all'alba e giunge alle pendici al tramonto. L'indovinello consiste nel dimostrare che c'è qualche posto lungo il percorso che il monaco occupa alla stessa ora del giorno sui diversi percorsi.
Per risolvere tale indovinello è utile lo schema prima esposto.






















Facendo convergere gli elementi di "Input space I" e "Input space II" nel Blended-space, si ottiene la soluzione al quesito: il posto che il monaco percorre alla stessa ora del giorno è quello in cui egli ritrova se stesso. Gli studiosi George Lakoff e Mark Johnson hanno esteso l'applicazione di schemi analoghi a metafore consuetudinariamente usate nella vita quotidiana. Il fatto che- nella stragrande maggioranza dei casi- siano date per scontate, le rende di difficile individuazione; eppure, fanno parte nel vocabolario giornaliero. Basti pensare alle tipiche espressioni "pulizia etnica", "viaggio mentale" ecc …, in cui il nome di una source story viene unito all'aggettivo di una target story, in una continua convergenza di costruzioni linguistiche.
Un'ulteriore osservazione: nel blend non confluiscono tutti gli elementi degli input space illustrati; tuttavia, attraverso quelle che Turner definisce "backward projections", il blend può creare significati nuovi, che una mente letteraria è in grado di cogliere. Questo aumenta notevolmente l'importanza linguistica di questa categoria concettuale. Essa, inoltre, non può non risentire di un' influenza culturale e sociale.
Esempio 1: si è consuetudinariamente portati a pensare che il ricco è una persona disonesta ed il povero una sua vittima; nel blended space è difficile, pertanto, far convergere unitariamente le due figure.
Esempio 2: prima della rivoluzione fisica operata da Einstein, la massa e l'energia appartenevano a due categorie scientificamente differenti; dopo la scoperta che la massa è energia e l'energia è massa, il blended space derivato si affermato come una nuova categoria concettuale.
Altri esempi comuni di blended space sono "Fire station" (espressione inglese con cui si indica la caserma dei pompieri) e le mappe, che attraverso una connessione di simboli, permettono delle "mental space connections", atte a farci cogliere il significato di ogni elemento presente nella mappa stessa.
A far da padrone resta ,tuttavia, la competenza cognitiva dell'utente, che deve essere autonomamente in grado di individuare il generic space e costruire il blend da esso derivato.
Esempio : "Vanity (x) is the quicksand (y) of reason (z)"
X , nella target story, è la controparte di Y nella source story, e Z rappresenta la controparte di un'ipotetica W, che simbolizza il "traveller" , soggetto sottointeso della frase.

1.9 Blended spaces e aree cerebrali
A questo punto, sorge spontanea una domanda: esiste all'interno del cervello un'area deputata a cogliere "intuitivamente" ogni concetto nella sua completezza semantica?
Apparentemente, ognuno sarebbe indotto a rispondere di "si"; eppure, studi scientifici dimostrano che non esiste nell'area cerebrale un sito anatomico che racchiuda unitariamente un'immagine.
Il quando e il dove questi concetti si uniscano in una sola immagine resta ancora un mistero, noto agli esperti del settore come "The binding problem ". In merito ad esso, si è espresso il neurologo portoghese Antonio Damasio, il quale ha proposto un "modello di convergenza": in base a questo, il cervello contiene delle registrazioni frammentate, che -per effetto di particolari impulsi sensoriali e motori- si uniscono in apposite "Convergence zones", per poi dare origine al concetto unitario, categorizzato in base al suo contenuto. Questo meccanismo, alle origini di ogni forma di creatività artistica, è proprio di una mente letteraria, ed è –ancora una volta-comune a tutti gli esseri pensanti.

1.10 L' immaginazione nella mente letteraria: ruoli, identità e categorizzazioni
Ad una cosa, tuttavia, bisogna prestare attenzione: ogni uomo è dotato di un unico punto di vista, spaziale-temporale e mentale. Per comprendere meglio, si consideri la seguente "basic abstract story":
"A baby is shaking a rattle"
Scrutando l'agente protagonista dell'evento descritto, l'osservatore può focalizzarsi esclusivamente su un aspetto del fanciullo, per esempio la sua manualità, il suo sorriso, lo sguardo e così via. Si tratta, in tal caso, di "Focus changes", tutti proiettati –però- verso un'unica storia. Questo perché ogni uomo è dotato di un "single focus" e un "single viewpoint". L'apparato sensoriale, di cui le caratteristiche precedenti sono proprietà, sottopone ogni essere pensante a vincoli di natura motoria: per cambiare punto di vista ( per lo meno, spazialmente parlando) è necessario un movimento volontario del corpo. Eppure, esiste un modo che consente all'uomo di acquisire una maggiore libertà in quella che Turner definisce una "single life": la capacità immaginativa.
"Once we have the story in imagination, we are not subject to these constraints. We can mentally focus on this part or that part, and move around, perceiving it from this angle or that (...) In imagination, we can construct spaces of what we take to be someone else's focus and viewpoint".
È errato, tuttavia, ritenere che l'immaginazione entri e modifichi il "single focus" dell'uomo esclusivamente per fini artistici e ,nella fattispecie, letterari. Infatti, esistono numerose "strategie di linguaggio" (proprie dell'uso quotidiano) che permettono di proiettare uno "spatial focus" in un "temporal viewpoint". Basti pensare, per esempio, all'uso dei tempi verbali o delle particelle avverbiali.
Sta, poi, alla nostra capacità mentale coordinare i vari mental spaces attraverso i corretti "identity connectors", dando ad essi una logica significazione e consequenzialità. Adottare vari punti di vista vuol dire non soltanto muoversi tra coordinate spazio-temporali, ma anche e soprattutto intellettuali: una medesima vicenda può essere raccontata secondo una prospettiva filosofica, politica o ideologica. Questo comporta ,talvolta, anche una "manipolazione" mentale, che –se in ambito letterario- può costituire un fattore di fascino e meraviglia, diventa- se usata per finalità poco virtuose- un'arma pericolosissima (i romanzi distopici dell'ultimo Novecento ne sono prova effettiva).
Ma cosa permette la creazione di una storia se non ,primariamente, l'assegnazione di ruoli specifici ai singoli protagonisti ? Si noti, tuttavia, che non sempre è compito della nostra immaginazione conferire parti caratterizzanti ai vari personaggi; se, per esempio, ci capita tra le mani il nome di "Sherlock Holmes", risulta inevitabile non pensare ad una vicenda thriller, che rivesta il sopradetto del consuetudinario ruolo di detective. Questo è dovuto al fatto che la mente umana tende a categorizzare persone ed eventi in base all'esperienza. Ed è solo in tal modo che ogni basic abstract story acquista vita e significato. Si tratta di un principio linguistico-letterario già noto a Pirandello, il quale (in particolare, nell'opera "Sei personaggi in cerca di autore") descrive magistralmente la tragedia umana del "non essere in possesso di un'identità". L'acquisirla ,tuttavia, non comporta la realizzazione di una caratterizzazione comportamentale statica; in tal modo,infatti, la "story" di riferimento (soprattutto se con finalità letterarie) perderebbe ogni aspetto realistico. Il già citato Wayne Booth, nel saggio "The rhetoric of fiction", afferma in merito a ciò:
"Novelists often try to meet various requirements like "Novels should be realistic" and "Authors should be objective" by tossing in variation and inconstancy (...) The underlying assumption is that such inconstancies can come only from the realities of individual life ".













CAPITOLO 2:
La mente letteraria come nuovo approccio all' origine del linguaggio umano

2.1 Introduzione
Le riflessioni finora fatte in merito allo studio della "Literary mind" sono funzionali alla formulazione di una nuova ed interessante ipotesi in merito alle origini del linguaggio. L'argomento in questione è, come si sa, oggetto di non pochi dibattiti filosofico-linguistici, che-ancora oggi- continuano ad appassionare intellettuali internazionali ,esperti in ogni campo dello scibile.
Sembra doveroso riportare, prima di addentrarsi nell'ambito sopra, un' intervista rilasciata dal filosofo e linguista Tullio De Mauro nel 1995.






Come mai, Professor De Mauro, la questione dell'origine del linguaggio ha occupato costantemente nella storia del pensiero uno spazio significativo?
Il linguaggio, dal momento in cui ogni essere umano nasce, accompagna non solo ogni istante della nostra vita di relazione con gli altri, ma anche la dimensione della nostra interiorità. Da questo punto di vista il linguaggio sembra qualche cosa di ovvio, di banale, di congenito, come il respirare. Basta però volgere lo sguardo intorno, cosa avvenuta assai per tempo nella storia della nostra tradizione culturale e dell'umanità, per accorgersi che nel linguaggio c'è qualche cosa di profondamente diverso dal respirare, dal camminare, dal nutrirsi e che questa diversità è data dall'esistenza di un grandissimo numero di lingue profondamente differenti tra di loro. E' come dire che respiriamo tutti allo stesso modo, ma che poi il respiro si realizza con nasi diversi. Oggi sappiamo bene che le lingue sono profondamente diverse perché, anche se con qualche problema, con strumenti di indagine accurati le possiamo censire una per una e oggi, nel mondo, ne contiamo di viventi oltre seimila. Ma questa proliferazione di lingue diverse era evidente anche nel passato, si tratta di una diversità singolare, perché non ha nulla a che fare con l'ambiente naturale in cui ci troviamo. Il processo di diffusione delle lingue fuori dal luogo di origine geografico, infatti, è un fenomeno noto. Nel caso delle lingue, quindi, la riduzione a cause ambientali non c'è. Ed è questo che, da epoche remote, ha colpito l'attenzione e la riflessione di chi ha osservato questa pluralità di lingue
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Il linguaggio è stato considerato da sempre come un privilegio riservato all'uomo. Come cambia quest'idea nell'evoluzione degli studi sul linguaggio?
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Dai primi lavori classici di Von Frisch, condotti sulle api, un po' alla volta è nata una disciplina nuova, la "zoosemiotica", cioè lo studio sistematico dei modi di semiosi, dei modi di comunicazione per simboli e per segni, propri di specie animali diverse dal genere umano. (…) Sembrerebbe oggi sempre di più, che non solo, come diceva Wittgenstein, un linguaggio è una forma di vita, ma che il linguaggio sia la forma della vita: là dove c'è qualcosa che vive, c'è qualcosa che comunica. E questo va detto non "en philosophe" soltanto, ma anche da freddo naturalista, se così si può dire. (…)
Ma anche un altro colpo è stato dato alla esclusiva identificazione della comunicazione con il linguaggio. Qual è?
L'altro scossone è venuto dall'allargarsi del nostro orizzonte conoscitivo per quanto riguarda le forme di comunicazione che l'essere umano gestisce e che sono diverse dal linguaggio verbale, grammaticalizzato. L'importanza di questo aspetto era stato compreso bene da Wittgenstein che aveva capito che c'era un problema di specificità tra il linguaggio fatto di parole parlate e scritte e le altre forme di interazione comunicativa. (…)Ci si è chiesti allora che rapporto c'è tra il mondo linguistico umano che ormai ci appare non più un mondo solo fatto di parole e di lingue, ma di codici di comunicazione diversi, e il mondo della comunicazione delle altre specie animali. Se le nostre unghie, i nostri capelli, il nostro sangue, il nostro scheletro, il nostro DNA, il nostro patrimonio genetico, si riportino a momenti diversi della scala evolutiva, abbiamo a che fare, diciamo, nella loro genesi, in modo ipotetico, ma ben documentato, con tappe successive della scala evolutiva. Ci si è chiesti se solo il linguaggio fosse un "unicum", una Minerva che esce tutta armata, grande e grossa, dal cervello di Giove, o se non avesse anch'esso una sua preistoria evolutiva, ricostruibile, documentabile, che potesse aiutarci a comprendere la sua struttura. E allora la discussione è ripresa. Così la discussione sull'origine del linguaggio è ripresa negli anni Cinquanta-Sessanta, un po' in sordina, fino a diventare di nuovo un tema di grande interesse scientifico.
Diventa allora possibile, a suo avviso, dare una spiegazione genetica teoricamente convincente della costituzione del linguaggio verbale in base alle componenti che ne regolano il funzionamento?
Credo di sì. Credo che la domanda che oggi ci poniamo, e cioè la domanda del come gli "homines" abbiano cominciato a parlare, si risolva nella domanda dell'accumulo di prerequisiti necessari al parlare. E questo, evidentemente, è connesso alla discussione teorica su ciò che è necessario e su ciò che è contingente, su ciò che è struttura dura e ciò che, invece, è struttura contingente, nell'uso di una lingua. Il dibattito, da questo punto di vista, è molto acceso. Alcuni studiosi, soprattutto Lieberman, insiste molto sui prerequisiti di tipo anatomico e neurologico. Secondo Lieberman bisogna avere una struttura pienamente eretta perché si abbassi la laringe e questo ci permetta di avere il controllo di suoni così diversificati come quelli che sono presenti effettivamente e non accidentalmente nelle lingue. Abbiamo bisogno anche di una sottile possibilità di differenziare i suoni per potere costruire decine e decine di migliaia di parole, sottilmente diverse tra di loro, ma fatte degli stessi elementi. Contemporaneamente vi è bisogno di un apparato neurologico, quello preposto al controllo della produzione e alla discriminazione acustica di questi suoni, di poco diversi tra loro. Quindi la forma della calotta cranica, ricostruibile paleontologicamente, è molto importante per capire quando queste condizioni si sono create. Lieberman ipotizza una datazione molto bassa dell'origine della capacità linguistica che lo porta a concludere che, forse, neanche gli uomini di Neanderthal, così simili a noi e già con una vita sociale molto sviluppata, parlavano una lingua analoga alla nostra, alle nostre: siamo a cinquantamila anni, l'"homo sapiens" avrebbe imparato solo a tre quarti della sua storia a parlare. Altri studiosi, come Leroi-Gourhan, ragionano in termini diversi, sostenendo che nel vedere i reperti di un milione e mezzo di anni fa ci si accorge che questi ominidi sono capaci di andare a cercare materie prime in terre lontane per formare degli strumenti che servono loro per costruire altri strumenti con i quali costruire ancora altri strumenti per ottenere cibo e per difendersi. Quando ci si accorge che c'è una struttura sociale, fondata sul lavoro e quindi sull'uso razionale delle mani, ci si trova di fronte a dei quadri culturali che ci fanno pensare che questi esseri, già in qualche modo, dovessero disporre di quella forma di vita comunicativa così complessa, che è l'uso di una lingua storico-naturale. Essi retrodatano quindi fortemente l'origine del linguaggio, da cinquantamila a un milione e mezzo di anni fa.
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Tullio De Mauro ha sinteticamente ripercorso le tappe più significative di quella che fino al 1995 era stata la ricerca sull'origine del linguaggio.

2.2 Varie teorie sull' origine del linguaggio
La questione, avendo suscitato la curiosità di molti, in particolare in seguito alla decodificazione del DNA e i successivi sviluppi della genetica, ha collezionato nuovi pareri ed idee, ciascuna con una propria serie di argomentazioni a sostegno della tesi. Ecco qui di seguito riassunte le teorie più accreditate:
Teoria della discontinuità
Il padre della teoria della discontinuità è Noam Chomsky; egli sostiene che ogni uomo è dotato di un "organo del linguaggio", biologicamente innato, responsabile di quella che lui definisce "una grammatica universale". I geni ad esso deputati sono i medesimi che determinano la struttura nervosa del cervello, comparsi ,secondo una sua opinione, in seguito ad una improvvisa mutazione. Da qui la denominazione della teoria, conosciuta anche come "ipotesi dell'evoluzione unica".
Teoria del proto linguaggio
Lo studioso Bickerton, nel tentativo di conciliare la teoria Chomskyana con l'ipotesi evoluzionistica darwiniana, ha elaborato l'idea che l'uomo sia dotato, fin dall'epoca della sua comparsa, di un "bioprogramma linguistico", inizialmente privo di una grammatica, poi evolutosi sino a divenire come oggi lo conosciamo, per effetto di una mutazione genica. La teoria è definita anche col nome di "ipotesi catastrofica", nel senso etimologico del termine.
Teoria dell'istinto del linguaggio
Secondo il linguista Pinker, il linguaggio è intrinseco alla natura umana (e, in quanto tale, universale), ma –differentemente da Chomsky- ritiene che si sia gradualmente sviluppato per adattamento evolutivo. Egli ritiene che inizialmente l' uomo consolidasse contratti sociali (quali il matrimonio, per esempio) attraverso un sistema di simboli, dai quali è poi derivato il linguaggio vero e proprio.
Teoria della continuità
Anche lo studioso Jackendoff, come Pinker, sostiene l'ipotesi evoluzionistica, ma con un'aggiunta: ritiene che il linguaggio sia costituito da una serie di sottosistemi, ognuno dei quali segue una propria linea di sviluppo. In particolare, uno di tali sottosistemi è stato originariamente adibito alla rappresentazione di simboli, che –avendo poi acquisito una loro significazione e soprattutto una propria convenzionalizzazione, sono giunti a costituire l'architettura del linguaggio odierno.
Teoria della socialità
Secondo Dumbar, il linguaggio rappresenta l'evoluzione che per selezione naturale ha subito l'attività di "Grooming" nella specie umana. Tale ipotesi, viene talvolta usata anche per spiegare la consuetudinaria abitudine del pettegolare.
Teoria motoria
Già anticipata nella seconda metà del 1700 da Etienne Condillac, in base alla teoria motoria, il linguaggio deriverebbe da un'evoluzione del sistema di comunicazione gestuale, proprio –alle origini- degli ominidi.

2.3 Altre teorie
Da quanto si è potuto constatare, l'ipotesi più accreditata in merito all'origine del linguaggio è quella genetica. Il filosofo e linguista Francesco Ferretti, nel libro "Alle origini del linguaggio umano- Il punto di vista evolutivo" (Editori Laterza, Bari 2010), ha magistralmente riassunto le teorie precedenti, arrivando a definire il cervello "una macchina progettata dall'evoluzione per captare automaticamente il linguaggio". Si tratta, a suo parere, di un processo istintivo, proprio della natura umana, che richiede un notevole sforzo (sia da parte di chi parla sia da parte di chi ascolta). Questo adattamento "reciproco" permette agli interlocutori di "mantenere la rotta" (altrimenti si sarebbe in presenza di disturbi schizofrenici) e passare dal piano delle frasi a quello del discorso. La maggior parte degli studiosi abbraccia questa scuola di pensiero; molti altri, invece, continuano a sostenere l'idea che si sia verificata, improvvisamente, una mutazione genica (ipotesi dell'evoluzione unica).
La questione (definita tale, in quanto ancora aperta)ha da sempre appassionato intellettuali di ogni parte del mondo e ambito di ricerca. Tra questi, un orientalista statunitense, di nome Ernest Fenollosa, vissuto nel XIX secolo, il quale –preferendo il mondo delle letteratura a quello delle scienze dure- ha elaborato una teoria molto affascinante, circa l'origine del linguaggio: partendo da un'analisi approfondita delle strutture grammaticali del sanscrito antico, egli ha ipotizzato che il patrimonio linguistico crebbe inizialmente grazie alle omologie e analogie del mondo della (natura), cui l' uomo si ispirò per elaborare innumerevoli metafore. La lingua si è ,poi, formalizzata e –come afferma lo stesso Fenollosa- "solo i poeti reagiscono per quanto possono a questo raffreddamento".

2.4 La parabola all' origine del linguaggio
Molto più ottimista rispetto a Fenollosa (la cui teoria è stata sopra esposta) sembra essere proprio Mark Turner, il quale ipotizza che l'origine del linguaggio sia da ricercare nella Parabola:
"The linguistic mind is a consequence and subcategory of the literary mind (...) Parable takes structure from story and gives it to voice (...) . Parable creates structure for voice by projecting structure from story. The structure it creates is grammar. Grammar results from the projection of story structure. Sentences come from stories by way of parable".
Secondo Mark Turner, tutto parte dalle basic abstract stories, di cui si è largamente discusso in precedenza. Si prenda come esempio la seguente frase:
"Mary throws the stone"
All'interno di essa, è possibile individuare tre elementi, ciascuno dei quali appartenente ad una determinata categoria: agente (Mary), evento (throws), oggetto (stone). Tali termini, combinati simultaneamente tra loro, acquisiscono un proprio suono ("continous stream") e soprattutto una loro "conceptual structure". Essa risulta essere costituita da elementi che si è consuetudinariamente portati ad inserire in determinate categorie grammaticali, es. nomi, verbi, aggettivi ecc. Tuttavia, è bene notare che persone, posti, azioni, cose ecc … non sono prettamente "grammaticali", bensì termini funzionali alla formulazione di una "event story" all'interno di uno specifico "blended-space". È l'attività mentale conseguente a questo processo che formula la grammatical structure, e non viceversa. Questo significa che il punto di inizio del linguaggio non è la grammatica, ma la parabola! Soltanto attraverso dei meccanismi di "projection", l'uomo è in grado di ideare delle stories, che ,dall'ambito generale, vengono gradualmente sottoposte a processi di specificazione, fino a dare origine ad eventi "spaziali" e non (Il tempo Proustiano inteso come un oggetto in movimento ne è un puro esempio). Tali riflessioni non possono che condurre ad un'unica conclusione: è la storia a precedere la grammatica, o meglio la parabola. Il linguaggio altro non è che un complesso prodotto di questi meccanismi mentali.

2.5 Conclusione
Turner resta, per ora, uno dei pochi studiosi fautori di questa interessante ed affascinante teoria. Un' approfondita analisi della stessa permette non solo di rivisitare e definire meglio ambiti oggetto di precedenti studi (si pensi al figuralismo di Auerbach), ma soprattutto ribadisce l' importanza delle discipline umanistiche nella formazione di ognuno e al tempo stesso sottolinea l' esigenza di avvicinarle ad un approccio di natura scientifica.
"Parable is the root of the human mind- of thinking, knowing, acting, creating, and plausibly even of speaking".


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