La derogabilità del principio del consenso traslativo

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LA DEROGABILITÀ DEL PRINCIPIO DEL CONSENSO TRASLATIVO

di Pietro Piccioni Studio Legale Galeota

I.1 – Introduzione.......................................................................................................................1 I.2 – Dal formalismo romano al principio del consenso traslativo............................................2 I.3 – Gli argomenti a sostegno dell'inderogabilità del principio del consenso traslativo........10 I.4 – Le compravendite di cosa generica, di cosa altrui, di cosa futura ed alternativa............14 I.5 – La derogabilità del principio del consenso traslativo......................................................15 I.5.1 – Il problema dell'astrattezza dei negozi traslativi atipici.................................................15 I.5.2 – Il principio del consenso traslativo e l'esigenza di tutela dell'affidamento del terzo.....17 I.6 – Conclusioni.....................................................................................................................20

I.1 - Introduzione Il principio del consenso traslativo, recepito dall’articolo 1376 c.c., che permette l'ingresso nel nostro ordinamento alla concezione di contratto ad effetti reali (o traslativo), comporta che l’effetto reale del trasferimento della proprietà (o il trasferimento o la costituzione di altro diritto reale) si produca nel momento stesso in cui le parti del contratto raggiungono l’accordo, non rilevando, invece, a tal fine (cioè al fine della produzione dell’effetto traslativo) la consegna della cosa oggetto del contratto, configurandosi quest'ultima come un mero effetto obbligatorio (che si pone sul piano dell’esecuzione del contratto e non su quello della sua efficacia) scaturente da un contratto già perfetto ed efficace, che ha già prodotto il suo effetto traslativo inter partes. Ciò detto, ove si consideri tale norma (l'art. 1376 c.c.) imperativa, essa costituirebbe inevitabilmente un ostacolo insuperabile alla configurabilità nel nostro ordinamento di meccanismi traslativi differenti rispetto a quello prescritto dall’art. 1376 c.c. e, di conseguenza, non sarebbe possibile per i privati derogarvi dando vita ad una scissione tra il titulus adquirendi ed il modus adquirendi, dovendo ogni negozio traslativo 1

necessariamente produrre il suo effetto reale in modo automatico nel momento stesso del raggiungimento dell’accordo perfezionativo1. In questo elaborato affronterò la questione della derogabilità o meno del principio del consenso traslativo, e, di conseguenza, cercherò di comprendere se il meccanismo traslativo previsto dall'art. 1376 c.c. sia l'unico possibile nell'ordinamento italiano, oppure se le parti possano, facendo uso dell'autonomia negoziale di cui all'art. 1322 c.c., dar vita alla scissione tra titulus e modus adquirendi. In primo luogo, ricostruirò il processo storico che ha portato all'affermazione nel nostro ordinamento di tale principio, nonché le scelte operate dall'ordinamento francese e da quelli germanici. In un secondo momento, esporrò i principali argomenti posti da parte della dottrina a sostegno della tesi dell'inderogabilità del principio del consenso traslativo, per poi passare, in un successivo paragrafo, alla critica degli stessi ed alla corrispondente esposizione delle ragioni che mi fanno protendere per la tesi della derogabilità dell'art. 1376 c.c. Infine, in un paragrafo conclusivo, analizzerò le conseguenze sul piano dell'ordinamento giuridico della tesi proposta, in particolar modo, facendo riferimento ai riflessi sulla questione dell'ammissibilità della figura del pagamento traslativo, nonché sui profili connessi al costituendo diritto europeo dei contratti. I.2 – Dal formalismo romano al principio del consenso traslativo Nel diritto romano il principio del consenso traslativo non esisteva, di conseguenza, il consenso da solo non era mai sufficiente a trasferire la proprietà, essendo sempre necessario un ulteriore atto formale, la consegna della cosa. In tale ordinamento, infatti, si affermava la distinzione, sul piano giuridico, tra il titulus adquirendi (la fonte dell'obbligo di consegnare la cosa) ed il modus adquirendi (la consegna della cosa, la traditio, o, in epoca più remota, la mancipatio e la iure cessio2), (1) LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 9. (2)Si trattava di una serie di formalità solenni atte a rendere palese in termini reali la (già intervenuta) volontà di dismettere e di acquistare la proprietà. La mancipatio consisteva in una immaginaria venditio. Essa si rivolgeva innanzi a cinque testimoni ed ad un sesto cittadino che teneva una bilancia. L'acquirente affermata la proprietà della cosa pronunciava una formula di rito e poi doveva percuotere la bilancia con un pezzo di bronzo non coniato, consegnandolo successivamente all'alienante. La iure cessio era, invece, una lis immaginaria, cioè un'azione di rivendica iniziata dall'acquirente contro il venditore. L'acquirente compiva dunque la vindicatio, il venditore cedeva in iure non opponendosi e il

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entrambi parimenti necessari per il trasferimento della proprietà. Il diritto romano, perciò, si caratterizzava per un rigoroso formalismo che si mantenne anche nella successiva esperienza del diritto comune, ma che ben presto dovette confrontarsi con le esigenze dei traffici commerciali3. Proprio sotto la spinta di tali nuove esigenze venne affermandosi, in luogo della contestuale cosegna della cosa, la pratica di concordare una clausola di spossessamento4, che consentiva il trasferimento della proprietà senza che fosse necessario procedere alla contestuale consegna, trasformando l'alienante da legittimo proprietario e possessore della cosa in un detentore gravato dall'obbligo di consegnarla all'acquirente (c.d. costituto possessorio). Il fatto che tale clausola consentisse di trasferire la cosa di cui non era ancora stato acquistato il possesso, la rese particolarmente adatta alle esigenze dei traffici commerciali, la frequenza e la diffusione con cui venne utilizzata ben presto determinarono la sua trasformazione in mera clausola di stile, al punto che essa si riteneva tacitamente concordata tra le parti in essenza di una dichiarazione in senso opposto. Cominciò così ad insinuarsi l'idea che il consenso, da solo, fosse sufficiente a determinare l'effetto del trasferimento della proprietà e, ben presto, “tale suggestione giudice pronunciava l'addictio. Con il tempo queste due forme più complesse di esecuzione dell'accordo cedettero il passo alla traditio che rimase l'unico modus adquirendi insieme all'usucapio a seconda che l'acquisto fosse a titolo derivativo o a titolo originario. La traditio consisteva nella consegna materiale del bene, cioè nella trasmissione del possesso in funzione di solutio rispetto all'esistenza di una precedente obbligazione. In assenza di un precedente vincolo obbligatorio, la traditio presupponeva una iusta causa traditionis, cioè un rapporto giuridico nato contestualmente ad essa ed atto a giustificarla secondo il moderno principio di causalità non essendo ammissibile un trasferimento astratto della proprietà. Così GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in Commentario del codice civile diretto da Schlesinger, artt. 2643, 2645-bis, Tomo I, Milano, 1998, pag. 10. (3) In verità già nel diritto romano le modalità della consegna, che inizialmente erano a carattere reale, finirono per sfumare sempre più verso forme spiritualizzate. Così la traditio poteva essere brevi manu, se l'acquirente già possedeva il bene, o longa manu, se il bene non era presente al momento della consegna, ma era individuato a distanza dall'alienante, o symbolica, se oggetto della traditio non era la cosa alienata, ma altra cosa che la rappresentava, come nel caso di consegna della chiave del magazzino lontano ove sono racchiuse le merci vendute. La spiritualizzazione della traditio portò i giuristi medievali ad elaborare la traditio per chartam con cui si sostituiva la consegna del bene con la consegna del documento rappresentativo sul piano probatorio dell'intervenuto accordo traslativo. Così GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in commentario del codice civile diretto da Schlesinger, artt. 2643, 2645-bis, Tomo I, Milano, 1998, pag. 11. (4) Già il diritto romano faceva rientrare nella consegna il costituto possessorio, in tale fase, però, la presenza della cosa era elemento necessario del costituto, solo con il tempo tale regola perdette di rigore e si iniziò ad ammettere il costituto anche nei casi di assenza della cosa. Come osserva SACCO (in Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro italiano, I, 1966, pagine 1384 e seguenti) “il passaggio dal regime della consegna al regime del consenso è tutt'uno con l'evoluzione del regime del costituto”.

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oltrepassò i confini della mera pratica commerciale per affermarsi tra i principi informatori dell'ordinamento”5. Il principio del consenso traslativo fa la sua prima apparizione con l'entrata in vigore del Code Napoléon (1804), il quale se da un lato recepiva la concezione di contratto come esclusivamente obbligatorio6, dall'altro enunciava proprio il principio consensualistico7, ma l'effetto traslativo immediato dei contratti diretti al trasferimento della proprietà di cosa certa e determinata, che tale principio comportava (la cui introduzione si deve all'influenza delle correnti Giusnaturalistiche8), fu inteso dai redattori del codice francese in modo differente da come siamo solito considerarlo oggi nel nostro ordinamento. Nel Code, infatti, quell'effetto viene esclusivamente ricollegato all'obbligazione di donare ed a quella di trasferire la cosa, “esso passa quindi attraverso il filtro dell'obbligazione”9. Con tale espressione, autorevole autore ha voluto porre in luce come il principio consensualistico, così come affermatosi in quel contesto, configurasse il contratto traslativo “come un contratto che genera una obbligazione e al tempo stesso ne assicura l'esecuzione”10. Alla luce di quanto appena detto, appare evidente come il principio del consenso traslativo “penetrò nel diritto francese per la porta di servizio (attraverso la presunzione di una traditio finta)”11, ciò nonostante, esso provocò una svolta fondamentale rispetto (5) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, pagine 869-870 e La trascrizione immobiliare, in Commentario del codice civile diretto da Schlesinger, artt.2643, 2645bis, I, Milano, 1998, pag. 11. (6) Non anche quella di contratto traslativo, cioè di quel contratto che non obbliga a trasferire la proprietà, ma la trasferisce immediatamente esso stesso. (7) Art. 711, Code Napoléon – “La proprietà dei beni si acquista e si trasmette per effetto di obbligazione”. Art. 1138, Code Napoléon – “In conseguenza dell'obbligazione il creditore è proprietario a prescindere della consegna della cosa”. Art. 1583, Code Napoléon – “La vendita è perfetta con l'accordo a prescindere dalla consegna della cosa e dal pagamento del prezzo”. Art. 939, Code Napoléon – “La donazione è perfetta per il solo consenso delle parti e la proprietà delle cose donate si trasferisce al donatario senza che vi sia bisogno di altra consegna”. (8) Tali correnti vedevano il principio consensualistico come la diretta manifestazione in campo contrattuale del dogma della sovranità della volontà (alla luce di un nuovo sistema giuridico che aveva quale suo centro l'uomo, l'individuo e che si contrapponeva al sistema feudale che costringeva l'individuo e la sua libertà entro schemi angusti e ne denegava la volontà), infatti, sempre secondo queste correnti filosofiche, se ogni individuo è sovrano nella sfera dei diritti che gli competono, la sua volontà dev’essere decisiva per disporre dei diritti soggettivi che gli appartengono. Perciò la volontà degli individui interessati deve essere sufficiente non solo per far nascere obbligazioni, ma anche per determinare vicende di rapporti giuridici assoluti. (9) Così GIORGIANNI, in Enciclopedia del diritto, voce “Causa”, VI, Milano, 1960, pag. 548. (10)Così GIORGIANNI, in Enciclopedia del diritto, voce “Causa”, VI, Milano, 1960, pag. 549. (11) A tal riguardo SACCO (Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro italiano, I, 1966, pagine 1384 e seguenti) mette in luce come la parola “altra” che precede la parola “consegna” nell’art. 938 del Code (“la donazione debitamente accettata sarà perfetta per il solo consenso delle parti; e la proprietà degli oggetti donati sarà trasferita al donatario, senza che vi sia bisogno di altra consegna”) disveli come i redattori del Code Napoléon fossero assuefatti all’idea che la donazione contenesse in sé una tradizione, ovviamente una

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al sistema contrattuale tradizionale e ciò, non tanto perché affermava che la proprietà si trasferisce senza la necessità della consegna della cosa, quanto perché esso realizzava quell'intima compenetrazione dell'atto traslativo e del contratto consensuale, che produsse quale conseguenza quella di rendere l'atto traslativo partecipe dei vizi del contratto consensuale (il che ebbe importanti risvolti pratici, basti pensare che nel frattempo la causa diveniva requisito necessario per la validità del contratto, sia nel codice francese (art. 1108), sia nel codice civile italiano del 1865 (art. 1104)). La conseguenza fu che, mentre in precedenza si riteneva che l'effetto traslativo potesse prodursi anche in presenza di un titulus adquirendi invalido o putativo (ma non inesistente, in quanto la nuda traditio non poteva trasferire la proprietà), una volta realizzatasi tale compenetrazione, ed aver perciò ricondotto l'effetto traslativo al contratto obbligatorio, dovette affermarsi il principio della nullità del trasferimento della proprietà per mancanza della causa del contratto obbligatorio, quale diretta conseguenza dell'elevazione della causa obligandi a requisito indispensabile per la produzione dell'effetto traslativo. L'impatto che il principio del consenso traslativo ebbe sulla disciplina contrattualistica è maggiormente visibile ove ci si soffermi sui mutamenti che seguirono in materia di rimedi posti dall'ordinamento ai vizi del contratto, nonché le relative ripercussioni sulla tutela dell'affidamento del terzo e della certezza dei traffici commerciali12. Nel sistema precedente all'entrata in vigore del Code, la mancanza o il vizio della causa del contratto non comportavano l'inefficacia del trasferimento della proprietà della cosa e di conseguenza la possibilità di esperire, quale rimedio, l'azione di rivendica, bensì l'ordinamento predisponeva in favore del dante causa, che avesse trasferito la cosa con un contratto privo di causa, soltanto un'azione personale per la restituzione (la condictio indebiti o sine causa), mentre nei confronti dei terzi che avessero acquistato il bene dall'avente causa, il dante causa aveva a disposizione i soli rimedi previsti dall'ordinamento per i vizi del consenso. tradizione finta, riducibile allo schema del costituto possessorio. Risulta inoltre di particolare interesse l’ulteriore osservazione del suddetto autore, il quale continua: ”l’errore dei redattori del Code fu quello di aver identificato le piccole regole sulla tradizione finta come elemento naturale della vendita e della donazione con la grande regola giusnaturalistica che lega il passaggio di proprietà al consenso: e di aver poi enunciato cumulativamente l’una e le altre regole senza scegliere fra di esse con consapevole chiarezza.” (12) Sul punto è stato correttamente osservato che “in tal modo, ad un'affermazione di principio anche importante sul piano politico e della rivendicazione dei diritti dei singoli individui, si accompagnò il più palese disinteresse per le esigenze della circolazione giuridica dei beni e per la tutela dell'affidamento nei confronti di alienazioni occulte”, GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in commentario del codice civile diretto da Schlesinger, artt. 2643, 2645-bis, Tomo I, Milano, 1998, pag. 11.

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Tale sistema caratterizzato dall'astrattezza del trasferimento, favoriva soprattutto i terzi acquirenti dall'avente causa, i quali facevano salvo l'acquisto anche nel caso in cui quest'ultimo avesse acquistato la proprietà della cosa con un contratto privo di causa, e corrispondentemente sfavoriva il dante causa che non aveva rimedi che gli permettessero di recuperare la cosa13. Tutto cambiò nel momento in cui si affermò il principio del consenso traslativo, il quale fondendo modus e titulus adquirendi rendeva inevitabile l'applicazione anche al contratto traslativo del principio di nullità per mancanza di causa, che invece era sorto ed aveva operato fino a quel momento esclusivamente nel campo del contratto obbligatorio. Con la nullità del contratto traslativo il dante causa non perdeva la proprietà della cosa, sicché il rimedio posto dall'ordinamento a servizio dell'interessato non era un'azione personale restitutoria, ma l'azione reale di rivendicazione, esperibile anche nei confronti del terzo acquirente dall'alienante. Gli effetti di tale innovazione sulla certezza dei traffici commerciali furono gravi e notevoli, infatti di colpo i terzi subacquirenti non poterono più beneficiare dei vantaggi di un acquisto della proprietà (tendenzialmente) “pura”, ovverosia svincolata (almeno in parte) dalle sorti del titolo del dante causa14. Tale problema riguardava soltanto i beni immobili, in quanto in materia di beni mobili non registrati continuarono ad operare quei principi e quelle regole, di cui parlerò in seguito, che sono stati visti da gran parte della dottrina come un'eccezione, se non addirittura una contraddizione, al principio del consenso traslativo15. Se questa fu la scelta che il legislatore italiano e quello francese fecero con le codificazioni ottocentesche, diversamente andò negli ordinamenti germanici16, nei quali (13) Sul tema GIORGIANNI (Enciclopedia del diritto, voce “causa”, VI, Milano, 1960, pag. 550): “Ovviamente codesta natura astratta del trasferimento riversava i suoi effetti soprattutto a favore dei terzi acquirenti dell'accipiens. E tanto più evidente era codesta difesa dei terzi, quanto più ampia fosse stata la rilevanza della mancanza di causa nei rapporti tra tradens e accipiens. Si pensi ad es. alla importanza che codesta salvaguardia degli interessi dei terzi rivestiva, in un momento in cui la rilevanza della causa giungeva per avventura fino a comprendere il successivo venir meno della controprestazione dell'accipiens, ovverosia (per adoperare una terminologia moderna) l'inadempimento dell'altra parte o l'impossibilità sopravvenuta”. (14) Proprio la volontà di ridurre tali ripercussioni negative sui traffici e sulla circolazione dei beni derivanti dalla nullità del trasferimento per mancanza di causa, ha spinto la dottrina verso un lungo processo di erosione del concetto di causa volto a ridurre l'ambito di rilevanza della mancanza di tale elemento essenziale del contratto. (15) GIORGIANNI, Enciclopedia del diritto, voce “Causa”, VI, Milano, 1960, pag. 550. (16) “sia in Germania che in Austria l'accordo iniziale produce solo effetti obbligatori tra le parti, ma a questa eguaglianza di base della funzione del titulus corrispondono però nette diversità per quanto attiene alla successiva fase del modus adquirendi” GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in commentario del

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si preferì non discostarsi dal formalismo romano, legato alla consegna della cosa, e perciò di non concedere ingresso al principio del consenso traslativo. In tali ordinamenti, di conseguenza, quella compenetrazione tra titulus e modus adquirendi non si verificò, anzi questi rimasero ben separati, il titulus adquirendi veniva (e viene) identificato in un contratto causale (es. vendita, donazione, ecc.) avente esclusivamente l'effetto di dar vita ad un'obbligazione di dare in senso tecnico, mentre il modus adquirendi veniva (e viene) identificato in un negozio traslativo astratto (un negozio di attribuzione patrimoniale) avente quale effetto quello di trasferire la proprietà o altro diritto17. Al riguardo, si è giustamente osservato che in tali ordinamenti “il contratto obbligatorio prepara l’atto di disposizione, il quale viene compiuto in esecuzione del primo”18, ma al contrario di quanto accadeva (e accade) per l'atto di adempimento configurato nell'ordinamento francese ed in quello italiano, la funzione solutoria che questi atti assolvono, consistente nell'adempimento di un'obbligazione di dare, non penetra nella struttura dell'atto, rimanendo invece esterna. In ragione di quanto appena detto, l'atto di disposizione rimane tendenzialmente immune dai vizi del contratto obbligatorio e non si verificano quei pregiudizi alla certezza dei traffici commerciali che, invece, affliggevano (e affliggono tutt'ora) il sistema francese e quello italiano, ed è questa la ragione per cui in quegli ordinamenti non si è assistito a quel processo di erosione dell'ambito operativo della causa che, codice civile diretto da Schlesinger, artt. 2643, 2645-bis, Tomo I, Milano, 1998, pag. 20. Il sistema tedesco è molto articolato per quanto riguarda i trasferimenti immobiliari, in particolare quando si tratta di trasferire il diritto di proprietà. In tal caso le parti concludono il contratto di compravendita, che ha valore esclusivamente obbligatorio, vincolando le parti ad addivenire al successivo contratto di trasferimento. Tale successivo contratto (denominato Auflassung) è a carattere reale e astratto, infatti esso non è legato al precedente contratto causale (compravendita) e non risente quindi dei vizi che possono colpire quest'ultimo. Conclusa la Auflassung (che pretende una forma solenne dovendo avvenire di fronte al giudice dei Libri Fondiari), l'alienante deve dare il proprio consenso all'iscrizione nei libri stessi, in tal modo ponendo in essere un atto unilaterale di disposizione che attesta dell'effettiva volontà di trasferire la proprietà, volontà già contenuta nel contratto reale, cosicché si tratta in una buona sostanza di un atto diretto all'ufficio al fine di procedere all'ultima formalità che è quella dell'iscrizione del contratto reale nei libri fondiari, la quale presuppone un accertamento da parte degli uffici in ordine alla regolarità del procedimento seguito. L'iscrizione dunque ha un valore costitutivo anche tra le parti ed è quindi coelemento della fattispecie acquisitiva con efficacia inter partes ed erga omnes, chiudendo la sequenza traslativa.Anche nel sistema tavolare austriaco si assiste ad una duplice fase: formazione del titolo e sua intavolazione nei libri fondiari. Peraltro la diversità rispetto al sistema tedesco è netta se si considera che nel sistema austriaco l'intavolazione riguarda il contratto obbligatorio causale e non quello astratto reale, che non esiste. Pertanto presupposto per un'efficace intavolazione è che il titolo sia valido, con la conseguenza che i vizi di questo reagiranno sull'intervenuto trasferimento legittimando un'azione volta alla cancellazione dell'intavolazione. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in commentario del codice civile diretto da Schlesinger, artt. 2643, 2645-bis, Tomo I, Milano, 1998, pagine 20 e seguenti. (17) MARICONDA, Il pagamento traslativo, in Contratto e Impresa, 1988, pagine 739 e 740. (18) MENGONI-REALMONTE, Enciclopedia del diritto, voce “disposizione (atti di)”, XIII, pag. 190.

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invece, interessò gli ordinamenti che avevano recepito il principio consensualistico19. Per queste ragioni, la dottrina francese, all'alba dell'entrata in vigore del Code Napoléon, concordava sul fatto che l'obbligazione di dare, intesa nel senso di obbligazione di porre in essere un atto autonomo idoneo a trasferire la proprietà, potesse ormai configurarsi soltanto negli ordinamenti germanici, in quanto il principio consensualistico l'aveva fatta venir meno in tutti quei sistemi giuridici che lo avevano accolto20. Dato che il codice civile italiano del 1865 derivava dal Code Napoléon, anch’esso recepii quella concezione del contratto come esclusivamente obbligatorio (di cui ho parlato in precedenza), ma allo stesso tempo la disciplina contrattuale posta dal codice italiano registrava un'importante differenza, infatti mentre il legislatore francese nell'affermare il principio consensualistico (introdotto per semplificare i trasferimenti immobiliari) ricorse ad un artificio, e cioè che le parti raggiungendo l’accordo per il trasferimento della proprietà si obbligano a trasferire, ma questo obbligo si realizza immediatamente con il perfezionamento del contratto 21, nel codice del 1865 tale principio fu inteso in maniera parzialmente diversa. Infatti, l'articolo 112522 di quel codice civile disponeva che l'effetto del trasferimento del diritto di proprietà si produce automaticamente con il perfezionamento dell'accordo delle parti, in tal modo il legislatore italiano decise perciò, a differenza di quello francese, di non ricondurre l'effetto traslativo all'obbligazione, bensì al consenso legittimamente manifestato23. A parte tale differenza, anche nel quadro normativo delineato dal codice del 1865 l’atto traslativo risente dei vizi che inficiano l’atto consensuale, e la nullità, l’annullamento o comunque la risoluzione di questo viene a privare il nuovo acquirente della proprietà del bene (salvi gli effetti della trascrizione e del possesso di buona fede), sicché il rimedio posto a servizio dell’interessato non sarà un' azione personale restitutoria, ma l'azione di rivendicazione24.

(19) Si rimanda alla nota n. 13. (20) MARICONDA, Il pagamento traslativo, in Contratto e Impresa, 1988, pagina 740. (21) GIORGIANNI (in Enciclopedia del diritto, voce “causa”, VI, Milano, 1960, pag. 549): “[...]continua quindi ad intendere il contratto traslativo nient'altro che come quello che genera un'obbligazione di dare e insieme ne assicura l'esecuzione”. (22) L'art. 1125 c.c. it. del 1865, disponeva che: “la proprietà si trasmette e si acquista per effetto del consenso legittimamente manifestato”. A ciò si aggiunga anche l'art. 1448 c.c. it. del 1865 che prevedeva : “la vendita è perfetta tra le parti, e la proprietà si acquista di diritto dal compratore riguardo al venditore, al momento che si è convenuto sulla cosa e sul prezzo”. (23) GIORGIANNI, Enciclopedia del diritto, voce “causa”, VI, Milano, 1960, pagine 548 e 549. (24) MACCARONE, Obbligazioni di dare e adempimento traslativo, in Rivista del notariato, 1994, pag. 1319-1320.

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Ciò nonostante, parte della dottrina italiana di quel periodo (precedente all’entrata in vigore del codice del 1942), a differenza di quella francese, riconosceva l’ammissibilità dell’obbligazione di dare e del pagamento traslativo in tutti quelle fattispecie in cui non sussistevano i presupposti d'operatività del principio consensualistico25, ovverosia il carattere certo e determinato della cosa oggetto del contratto e la titolarità del diritto trasferito in capo all’alienante26. In caso di mancanza di tali presupposti, e perciò nei casi in cui il contratto non produce l'effetto traslativo immediatamente (nel momento in cui le parti perfezionano l'accordo), ma successivamente, al verificarsi di un dato fatto o atto giuridico, la citata dottrina ricostruiva tale l’atto intermedio (necessario ai fini del trasferimento del diritto) come un pagamento traslativo posto in essere in adempimento di un'obbligazione di dare in senso tecnico27. “Si riteneva in definitiva che il trasferimento fosse collegato alla traditio che si costruiva come atto di disposizione di un diritto solvendi causa”28. Il codice civile del 1942 abbandona l'impostazione del codice napoleonico, prevedendo sia la concezione di contratto ad effetti obbligatori (che ha quale effetto la nascita di un obbligo, cioè pone a carico delle parti l’obbligo di eseguire una data prestazione (articoli 1173 e 1321 c.c.)) sia quella di contratto ad effetti reali (che ha quale effetto il trasferimento della proprietà (in via immediata (se la cosa oggetto del trasferimento è determinata) o in via differita e subordinatamente all’adempimento di un’obbligazione strumentale (se la cosa è indeterminata o non è ancora venuta ad esistenza o appartiene ad altri)) la costituzione o il trasferimento di un diritto reale o il trasferimento di altro diritto (art. 1376 c.c.))29. (25) Tale dottrina, per giungere ad un tale risultato, utilizzò la teoria, elaborata in Germania, del negozio di attribuzione patrimoniale, la quale, in estrema sintesi, consentiva di configurare come negozi obbligatori, dai quali sorgeva un'obbligazione di dare, tutti quei negozi che non danno luogo immediatamente all'effetto traslativo, essendo, per l'appunto, l'immediatezza dell'effetto traslativo ciò che caratterizza la categoria del negozio di attribuzione. (26) Alcuni Autori hanno mantenuto tale opinione anche successivamente all’entrata in vigore del codice del 1942, tra gli altri si segnalano in particolare: DI MAJO (voce “Pagamento”, Enciclopedia Del diritto, vol. XXXI, Milano, 1981, pagine 550 e seguenti). Peraltro osserva correttamente MACCARONE ( Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e Impresa, 1998, pag. 634) che in tutte le ipotesi in cui l’effetto traslativo non è immediato, questo è in ogni caso pur sempre prodotto dall’originario contratto di vendita e non già dall’atto esecutivo dell’obbligo di fare che è a carico dell’alienante (art. 1476, n. 2, c.c.). (27) Anche ove si accogliesse la posizione di questa dottrina, che ritiene che tali contratti producano effetti obbligatori (e non effetti traslativi differiti), resta in ogni caso difficile da accettare la qualificazione di tali obblighi in termini di obbligazioni di dare in senso tecnico, sembrerebbe, invece, preferibile la dottrina che li qualifica come obblighi di fare acquistare il diritto all'acquirente (art 1476, n.2, c.c.). (28) MARICONDA, il pagamento traslativo, in Contratto e Impresa, 1988, pag. 740. (29) MIRABELLI (Dei contratti in generale, in commentario codice civile, Torino, 1980) propone una diversa distinzione in luogo di quella tradizionale tra contratti traslativi-contratti obbligatori, e cioè quella

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Perciò, anche il codice del 1942 accoglie il principio del consenso traslativo (all'art. 1376 c.c.), anche se (come già anticipato) parte della dottrina 30 ritiene che esso non operi integralmente nell’attuale quadro giuridico. In particolare, secondo tale parte della dottrina, esso non opererebbe quando si tratta di opponibilità ai terzi del trasferimento di diritti reali a titolo derivativo, infatti in materia di conflitto tra più aventi causa dallo stesso dante causa, la regola prior in tempore potior in iure non opera, ma trova applicazione la regola della priorità del possesso di buona fede del bene (art. 1155 c.c.) se si tratta di bene mobile, e della priorità della trascrizione del titolo, in caso di trasferimenti immobiliari (art. 2644 c.c.)31. Analoghe tracce di formalismo si rinvengono nell'acquisto a titolo originario di cosa mobile in forza del principio possesso vale titolo (art. 1153 c.c.), nonché nelle varie figure di contratti reali previste nell’ordinamento, le quali non si perfezionano con il semplice accordo delle parti, ma richiedono necessariamente anche la consegna della cosa oggetto del contratto, la quale diverrebbe così, sempre secondo queste dottrine, elemento strutturale del negozio contrattuale. I.3 – Gli argomenti a sostegno dell'inderogabilità del principio del consenso traslativo Sono varie le ragioni che hanno spinto alcuni Autori a sostenere l'inderogabilità del principio del consenso traslativo, in questo paragrafo esporrò i principali argomenti posti alla basa di tale tesi.

fra contratti ad effetti traslativi immediati o differiti e contratti con effetti obbligatori. Con i primi viene compiuto il trasferimento di un diritto reale o di credito, o la costituzione di un diritto reale limitato con effetti immediati o differiti, a seconda delle caratteristiche del bene trasferito e della volontà delle parti. Con i secondi viene costituito un diritto di credito il cui contenuto è dato dalla prestazione, dal comportamento che un soggetto si impegna a compiere. (30) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, pagine 868 e seguenti. (31) GAZZONI, Manuale di diritto privato, pagine 868 e seguenti, il quale osserva come in tali casi e a tali limitati fini (cioè ai soli fini dell'opponibilità ai terzi del trasferimento) potrebbe sostenersi l’esistenza della distinzione tra titulus e modus adquirendi. GAZZONI aggiunge che di tale separazione può parlarsi anche in riferimento alla figura del pagamento traslativo di un obbligo di dare, in tali casi il titulus adquirendi è costituito dal titolo dal quale nasce l’obbligo di dare ed il modus adquirendi è costituito dal negozio di attribuzione concluso solvendi causa, ovviamente in tali casi al modus adquirendi si ricollega l’efficacia traslativa inter partes e non già l’opponibilità ai terzi. CARNELUTTI ( Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, pagine 86 e seguenti), afferma che in tali casi il semplice consenso, senza l’intervento della trascrizione, non produce effetti reali; BARASSI (in Diritti reali e possesso, I, Milano, 1952, pagine 447 e seguenti), afferma, invece, che in virtù del consenso ritualmente manifestato, ma senza la trascrizione, si trasferisce solo un diritto reale in formazione.

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A) La regola della tipicità delle cause negoziali traslative e l'astrattezza dei negozi traslativi atipici. In primo luogo, parte della dottrina tradizionale32 osservava che se si fosse ammessa la derogabilità del principio del consenso traslativo si sarebbe conseguentemente dovuta anche ammettere la configurabilità nell'ordinamento giuridico italiano di un atto di disposizione patrimoniale astratto, in quanto privo di una ragione economico-giuridica (causa) tipica, quale conseguenza della duplicità dei negozi (quello fondamentale che origina l'obbligazione di dare e quello di disposizione che produce l'effetto traslativo) che verrebbe a crearsi derogando l'art. 1376 c.c. Perciò, in sintesi, tale principio veniva considerato inderogabile, in quanto ove le parti di un contratto avessero inteso escluderne l'applicabilità, ne sarebbe risultato un negozio (astratto) che realizzando uno spostamento patrimoniale senza giusta causa (sempre identificando la causa con il tipo) si sarebbe inevitabilmente posto in contrasto con la norma imperativa dell'art. 1325, n. 2, c.c.33. Ricapitolando quanto poc'anzi detto, alcuni autori34, coerentemente con la dottrina che identificava la causa con il tipo, individuavano quale ostacolo alla derogabilità dell'art. 1376 c.c. il fatto che “non conoscendo il nostro ordinamento un negozio traslativo astratto, non sarebbero configurabili prestazioni traslative isolate, ossia separate da un contratto avente una funzione tipica”35. Ovviamente alla base di tale modo di argomentare vi era l'idea dominante in quel periodo, che dovessero considerarsi astratti tutti quei negozi non dotati di una causa (tipo) tipicamente prevista dal legislatore. La dottrina tradizionale sosteneva che dal principio del numerus clausus dei diritti reali deriverebbe necessariamente anche la regola della tipicità delle cause negoziali traslative, la quale non consentirebbe l’utilizzo di schemi contrattuali ad effetti reali (32) PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile (saggi), Milano, 1951, pag.

268. (33) MACCARONE, Considerazioni d'ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in

Contratto ed Impresa, 1998, pag. 676; PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Rivista delle società, 1970, pag. 933. (34) Solo per citarne alcuni, PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto Civile, Milano, 1951, pag. 268, e La rappresentanza indiretta e la morte del rappresentante, in Foro Padano, III, 1951; SCHLESINGER, il pagamento al terzo, Milano, 1961, pagine 24 e seguenti; ALLARA, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957, pagine 157 e seguenti; MENGONI, esclusivamente l'opinione espressa nell'Enciclopedia del diritto, voce “Disposizione (atti di), XIII, Milano, 1960; FERRARA, Azioni sociali e negozio fiduciario, in Giurisprudenza italiana, 1937, I, 1, pagine 665 e seguenti; GAZZARA, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, pag. 141. (35) PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Rivista delle società, 1970, pag. 933.

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diversi da quelli tipicamente previsti dal legislatore, nonché, che tale principio (del numerus clausus dei diritti reali) giustificherebbe anche la diversità della disciplina dei contratti ad effetti reali rispetto a quella dei contratti ad effetti obbligatori, che, in particolare, si concretizzerebbe nel fatto che l'art. 1322 c.c. sarebbe applicabile esclusivamente ai secondi e non anche ai primi. In sostanza, si negava la configurabilità nel nostro ordinamento giuridico, affermandone l'astrattezza, della figura del negozio traslativo atipico, cioè di un negozio ad effetti reali il cui schema non sia specificamente previsto e disciplinato dal legislatore, ma sia una esclusiva creazione della volontà negoziale dei privati. A sostegno di tale conclusione (cioè della necessaria tipicità dei contratti ad effetti reali e conseguente astrattezza di ogni schema negoziale traslativo atipico) tale dottrina richiamava sia l’articolo 42, comma 2°, della Costituzione, il quale afferma che i modi d'acquisto, di godimento ed i limiti della proprietà privata debbono essere determinati dalla legge, sia l’articolo 922 c.c. con il quale il legislatore, in esecuzione del succitato articolo costituzionale, individua nell'occupazione, nell'invenzione, nell'accessione, nella specificazione, nell'unione o commissione, nell'usucapione,

nell'effetto di

contratti, nella successione a causa di morte e negli “altri modi stabiliti dalla legge” i modi di acquisto della proprietà. Di conseguenza, si sosteneva che il legislatore predisponendo l’art. 922 c.c. aveva inteso senza alcun dubbio escludere che i modi d’acquisto della proprietà possano essere il frutto della creazione della volontà privata, volendo invece stabilire che i privati possono acquistare la proprietà soltanto utilizzando uno dei modi indicati espressamente e tassativamente dalla legge36. Quale conseguenza di quanto appena detto, si riteneva che gli unici negozi che potessero produrre effetti reali fossero quelli tipici, aventi causa venditionis o causa donationis, solo a tale numerus clausus di modelli negoziali tipici (vendita, permuta, donazione, ecc.) l’ordinamento avrebbe inteso attribuire la capacità di produrre effetti traslativi di diritti reali37. Si tratta, a ben vedere, di modelli negoziali (tipici) tutti caratterizzati dalla contestualità tra il consenso delle parti e l’effetto reale, da ciò la dottrina tradizionale traeva quale conseguenza che una qualsiasi figura negoziale caratterizzata dalla scissione tra il modus adquirendi ed il titulus adquirendi non potesse che esser qualificata come

(36) MACCARONE, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in

Contratto e Impresa, 1998, pag. 651 e seguenti. (37) CARRESI, Corso di diritto civile sul contratto, Bologna, 1961, pag. 18.

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negozio atipico. Tale atipicità, derivante dalla non riconducibilità di tale negozio a nessuno degli schemi previsti nel nostro ordinamento per il trasferimento dei diritti reali (non avendo né una causa venditionis (mancando in queste fattispecie lo scambio delle prestazioni) né una causa donationis (mancando un animus donandi, ed anzi sussistendo al contrario un animus solvendi)), assunto come esistente ed inderogabile il principio del numerus clausus dei negozi traslativi, comportava inevitabilmente, sempre secondo tale dottrina, la qualificazione di tale negozio come astratto, in quanto sprovvisto di una giustificazione causale idonea al trasferimento dei diritti reali, e perciò, in ultima analisi, nullo per mancanza di causa38. Tale dottrina, identificando il limite della causalità con quello della tipicità 39 (cioè stabilendo un collegamento necessario tra atti traslativi tipici ed atti causali), in ragione della convinzione che un negozio ad effetti reali non dotato di una funzione causale tipica (non riconducibile a nessuno dei tipi contrattuali traslativi espressamente previsti dal legislatore) non possa che che essere considerato astratto, finì col negare la derogabilità del principio del consenso traslativo. B) Il principio del consenso traslativo e l'esigenza di tutela dell'affidamento dei terzi. Altra corrente di pensiero, invece, ha rinvenuto la ragione dell'inderogabilità dell'art. 1376 c.c. nei principi di fondo del codice civile del 1942 ed, in particolare, nell'esigenza di tutela dell'affidamento dei terzi, la quale esige che questi siano messi nelle condizioni di poter conoscere e valutare le conseguenze degli atti compiuti dagli altri consociati. Secondo questo orientamento, per i terzi non avrebbero rilievo soltanto le eventuali attività pregiudizievoli, ma anche le vicende costitutive, modificative o estintive alle quali i diritti soggettivi possono andare incontro per il tramite delle attività negoziali delle parti, infatti sussisterebbe in capo agli stessi l'interesse alla determinazione sia della concreta inerenza dei diritti stessi rispetto all'uno o all'altro soggetto, sia del momento esatto in cui l'effetto reale si produce. Di conseguenza, la derogabilità dell'art. 1376 c.c., e la conseguente possibilità di dar vita a contratti non immediatamente traslativi, ma che producono un'obbligazione di dare in senso tecnico, darebbe vita, secondo questo orientamento, a gravi incertezze in ordine alla circolazione dei beni40.

(38) PUGLIATTI , Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile, Milano, 1951, pagina 268;

SCHLESINGER, Il pagamento al terzo, Milano, 1961, pagine 24 e seguenti. (39) LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, pagine 4 e 5. (40) Questa mi sembra essere l'opinione di PALERMO, Contratto preliminare, Padova, 1991, pagine 31 e seguenti.

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I.4 – Le compravendite di cosa generica, di cosa altrui, di cosa futura e di vendita alternativa Alcuni autori41 hanno sostenuto che il principio del consenso traslativo non operasse sempre e comunque, ed in particolare, come fossero rinvenibili nell'ordinamento dei particolari casi nei quali pur essendo stato concluso un contratto volto a trasferire la proprietà (o a trasferire o costituire altro diritto reale), questo non può produrre tale effetto immediatamente quale conseguenza diretta del solo consenso, poiché si frappongono degli ostacoli42. Si tratta dei casi di vendita di cosa generica43 o di cosa altrui44 o di cosa futura45 o di vendita alternativa46, in questi casi si parlava (e si parla ancora oggi) di contratto ad effetti obbligatori (e non ad effetti reali), in quanto l’effetto prodotto non sarebbe il trasferimento della proprietà o il trasferimento o la costituzione di altro diritto reale, bensì quello di far sorgere un'obbligazione di dare (art. 1476, n. 2, c.c.), che sarà poi adempiuta ponendo in essere un negozio distinto e successivo, avente causa solvendi, idoneo di per sé alla produzione dell’effetto traslativo. Peraltro, oltre al fatto che in questi casi si ha un'obbligazione di fare acquistare il diritto all'acquirente e non di dare, anche in queste ipotesi si è in realtà in presenza di un contratto ad effetti reali, e non di un contratto obbligatorio, perché l’obbligo dell’alienante di far acquistare la proprietà della cosa non è un obbligo primario scaturente dal contratto, bensì un mero obbligo secondario, strumentale cioè alla produzione dell’effetto traslativo. Il differimento dell’effetto traslativo, infatti, concerne soltanto il profilo dell’efficacia del contratto e non quello del suo perfezionamento, che, invece, attiene esclusivamente al raggiungimento di un consenso legittimamente manifestato47. Anche in questi casi, perciò, il contratto produrrà effetti reali, con la sola

(41) GRECO-COTTINO, Della vendita (artt. 1470 – 1547), in Commentario codice civile, a cura di Scajola-Branca, Bologna, Roma, 1981, pag. 134; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1972, pag. 53; tali autori fecero uso della teoria tedesca del negozio di attribuzione patrimoniale. (42) In questi casi, tali autori rinvenivano la configurabilità di obbligazioni di dare in senso tecnico. (43) La vendita di genere (art 1378 c.c.) - ”nella quale la proprietà si trasmette con l’individuazione fatta d’accordo tra le parti o nei modi da esse stabiliti”. (44) La vendita di cosa altrui (art. 1478 c.c) - “nella quale il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare della cosa”. (45) La vendita di cosa futura (art.1472 c.c.) - “nella quale l’acquisto della proprietà si verifica nel momento in cui la cosa viene ad esistenza”. (46) La vendita alternativa (art.1286 c.c.) - “in cui l’oggetto del contratto non può dirsi determinato fino alla dichiarazione di scelta operata da una delle parti”. (47) MACCARONE, Obbligazioni di dare e adempimento traslativo, in Rivista del notariato, 1994, II, pag.1321, e in Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e Impresa, 1998, pag.634.

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differenza che essi non si produrranno immediatamente, ma solo in un secondo momento, mentre in ogni caso essi si produrranno automaticamente, a seguito dell’adempimento dell’obbligazione. Può pertanto parlarsi, più che di vendita obbligatoria48, di vendita ad effetti traslativi mediati o differiti, perché gli effetti reali, pur scaturendo direttamente da tale contratto, e non da un successivo negozio solvendi causa, si producono in un momento successivo alla conclusione dello stesso, cioè nell'istante in cui viene ad esistenza il fatto ulteriore da cui dipende il perfezionamento dell'unica fattispecie traslativa49. Alla luce di quanto detto, non può dirsi che in tali fattispecie non trovi applicazione il principio del consenso traslativo. I.5 – La derogabilità del principio del consenso traslativo Le ragioni che, secondo parte della dottrina, impedirebbero la derogabilità del principio del consenso traslativo, in realtà, non sembrano convincenti, e nel presente paragrafo mostrerò come tali argomenti possono essere agevolmente superati. In estrema sintesi, gli argomenti sostenuti dalla dottrina tradizionale a sostegno della tesi dell'inderogabilità del principio del consenso traslativo erano (e sono) sostanzialmente: a) che derogando tale principio le parti avrebbero dato vita ad un atto astratto in quanto non rientrante in nessun tipo previsto dal legislatore; b) che tale principio risponderebbe all'esigenza superiore di tutela dell'affidamento del terzo. I.5.1 – Il problema dell'astrattezza dei negozi traslativi atipici Per quanto riguarda il primo punto, parte della dottrina50 sostiene che dal principio del numerus clausus dei diritti reali deriverebbe necessariamente anche la regola della

(48) Potrebbe invece parlarsi di vendita obbligatoria, almeno secondo GAZZONI, in riferimento al

contratto preliminare di compravendita (art 1351c.c.). (49) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, pag.1088. (50)PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto Civile, Milano, 1951, pag. 268, e La rappresentanza indiretta e la morte del rappresentante, in Foro Padano, III, 1951; P. SCHLESINGER, il pagamento al terzo, Milano, 1961, pagine 24 e seguenti; FERRARA, Azioni sociali e negozio fiduciario, in Giurisprudenza italiana, 1937, I, 1, pagine 665 e seguenti; GAZZARA, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, pag. 141; GABRIELLI, il contratto preliminare, Milano, 1970, pagine 96 e seguenti.

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tipicità delle cause negoziali traslative, la quale non consentirebbe l’utilizzo di schemi contrattuali ad effetti reali diversi da quelli tipicamente previsti dal legislatore, nonché, che tale principio (del numerus clausus dei diritti reali) giustificherebbe anche la diversità della disciplina dei contratti ad effetti reali rispetto a quella dei contratti ad effetti obbligatori, che, in particolare, si concretizzerebbe nel fatto che l'art. 1322 c.c. sarebbe applicabile esclusivamente ai secondi e non anche ai primi. In sostanza, tali autori negano la configurabilità nel nostro ordinamento giuridico, affermandone l'astrattezza, della figura del negozio traslativo atipico, cioè di un negozio ad effetti reali il cui schema non sia specificamente previsto e disciplinato dal legislatore, ma sia una esclusiva creazione della volontà negoziale dei privati. Ciò detto, il superamento di tale posizione si è avuto nel momento in cui è stato osservato in dottrina che ciò che realmente differenzia i negozi traslativi atipici da quelli tipici, non è il fatto che i primi a differenza dei secondi sarebbero astratti in quanto privi di giustificazione causale, bensì è il diverso modo attraverso cui l'esigenza causale viene soddisfatta. Infatti, come è stato argutamente osservato, la dottrina che identifica il tipo con la causa, in realtà confonde due diversi profili, quello dell'individuazione delle forme strutturali per mezzo delle quali si attua di regola il trasferimento con quello dell'identificazione delle cause idonee a giustificare il trasferimento stesso51. In particolare, si è posto in evidenza il fatto che si può parlare di atto traslativo astratto soltanto nel caso in cui un atto produca effetti reali sulla base di una semplice dichiarazione delle parti o sulla base del mero compimento di formalità, e che perciò “non può essere reputato astratto un negozio in cui venga indicato il sistema d'interessi che in concreto è destinato a realizzare l'attribuzione patrimoniale con esso prodotta”52. Di conseguenza, l'inquadramento in un tipo non può essere considerato l'unico mezzo possibile di controllo dell'idoneità del negozio a realizzare interessi meritevoli di tutela giuridica53, perché anche nel caso in cui la struttura del negozio non corrisponda ad una (51) Così CAMPAGNA, Il problema dell'interposizione di persona, Milano, 1962, pagine 142 e seguenti; PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Rivista delle società, 1970, pag. 937. (52) PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, Rivista delle società, 1970, pag. 934. (53) In dottrina si è anche parlato della necessità di distinguere tra causa in concreto e causa in astratto, attraverso tale distinzione, si è detto, sarebbe possibile recuperare la concezione soggettiva della causa tramite la valorizzazione dell'effetto concretamente voluto dalle parti. In particolare si è detto che anche nel contratto tipico (nel quale la presenza e la liceità della funzione economico-sociale è già stata valutata dal legislatore) è comunque necessario operare una verifica della sussistenza della causa in concreto, controllando non solo l'astratta corrispondenza tra il contratto concluso dalle parti e lo schema tipico

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funzione tipica, il requisito causale è egualmente soddisfatto qualora le parti abbiano provveduto ad “integrare il regolamento negoziale con l'indicazione dell'interesse alla cui realizzazione è preordinato (la c.d. expressio causae)”54. Di conseguenza, pur potendosi discutere circa l'atipicità o meno della compravendita (o permuta) obbligatoria, è, in ogni caso, da escludere l'astrattezza di tali figure, e conseguentemente il fatto che tale argomento possa costituire un ostacolo alla derogabilità del principio del consenso traslativo. I.5.2 – Il principio del consenso traslativo e l'esigenza di tutela dell'affidamento del terzo Affrontando il secondo punto, preliminarmente, è necessario osservare che il legislatore in realtà non sembra considerare il differimento dell'effetto reale come suscettibile di creare incertezza nei traffici giuridici. A conferma di tale impressione può richiamarsi, in primo luogo, la previsione nel nostro ordinamento dell'articolo 1465, comma 2°, c.c.55, che secondo parte della dottrina56 già consentirebbe ai privati di derogare l'art. 1376 c.c., ed, in secondo luogo, la disciplina del contratto preliminare (art. 1351 c.c.) 57 che permette di dar vita ad un contratto obbligatorio di trasferimento. Riguardo disciplinato dal codice, ma anche la concreta presenza di quegli elementi che permettono di ricondurre realmente il contratto nell'ambito della figura tipizzata dal codice. Un'interpretazione eccessivamente rigida della nozione oggettiva conduceva al rischio di sovrapposizione tra causa e tipo, con la conseguenza, nel caso dei contratti tipici, di ridurre la causa al mero schema negoziale di scambio tra prestazione e controprestazione così come configurato in via generale dal legislatore nel dettare la disciplina del singolo tipo. È stato invece merito della dottrina quello di evidenziare che anche il contratto formalmente corrispondente allo schema tipico presenta una sua specifica funzione che va al di là dello schema legale e che costituisce il meccanismo reale attraverso il quale l'atto negoziale mira a soddisfare gli interessi perseguiti dalle parti. Tale funzione specifica e concreta costituisce la causa del singolo contratto o negozio. Come tale essa può presentare difetti e disfunzioni riconducibili alla disciplina legale della causa. Da qui si è giunti sino ad affermare che una corretta interpretazione della nozione oggettiva di causa conduce non ad escludere in radice gli interessi delle parti dalla funzionalità del contratto, ma ad attribuire a tali interessi rilievo nei limiti in cui essi emergano dal regolamento contrattuale e si siano pertanto in esso obiettivati. Il contratto è e rimane strumento di negoziazione privata avente come scopo precipuo quello di permettere a ciascun contraente di ottenere una utilità patrimoniale dietro il corrispettivo di un sacrificio parimenti patrimoniale. La funzione del contratto è quindi primariamente quella di garantire il conseguimento di interessi da parte dei privati. Compito dell'ordinamento non è quindi quello di obliterare totalmente tali interessi imponendo una sovrastruttura astratta ed indipendente rispetto all'interesse dei contraenti, bensì quello di tutelare tale interesse nei limiti in cui questo si rilevi compatibile con la tutela dell'affidamento dei terzi e di interessi generali. così ROLFI, Contratti atipici. Sulla causa dei contratti atipici a titolo gratuito, nota a sentenza della Cassazione civ., Sez. III, del 28 gennaio 2002 n. 982, in Corriere giuridico, 2003, I, pagine 44 e seguenti. (54) Così MENGONI, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, pagine 204 e seguenti. (55) Articolo 1465, comma 2° c.c. - contratto con effetti traslativi o costitutivi - “la stessa disposizione si applica nel caso in cui l'effetto traslativo o costitutivo sia differito fino allo scadere di un termine” (56) MACCARONE, Considerazioni d'ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e Impresa, 1988, pag. 679. (57) Infatti, parte della dottrina (GAZZONI) ricostruisce il contratto preliminare di compravendita come una vendita obbligatoria.

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quest'ultimo riferimento, deve, inoltre, aggiungersi che non è un caso la circostanza che gli ordinamenti che enunciano in maniera piena e assoluta il principio consensualistico (ad es. il Code Napoléon) poi coerentemente non ammettono la figura del contratto preliminare. Peraltro, mi sembra che le argomentazioni più convincenti, circa la compatibilità dell'esigenza di tutela dell'affidamento del terzo e della certezza dei traffici commerciali con la derogabilità del principio consensualistico, siano state fornite da quella dottrina 58 che distingue, all'interno dell'unico meccanismo circolatorio, fra il concetto di trasferimento del diritto e quello di successione nello stesso. Infatti, l'acquirente di un bene immobile sarebbe, secondo questa dottrina, portatore di due distinti interessi: da un lato quello ad essere riconosciuto proprietario del bene dal suo dante causa e, dall'altro quello ad essere riconosciuto tale anche dai terzi. La prestazione del consenso al momento della conclusione del contratto è sufficiente a soddisfare il primo interesse, ma per la soddisfazione del secondo interesse il solo consenso non è sufficiente, in quanto l'ordinamento richiede il compimento di ulteriori fatti (c.d. fatti di opponibilità) attraverso i quali i terzi possano venire a conoscenza dei mutamenti che avvengono nella titolarità dei beni in conseguenza delle vicende traslative. Tale dottrina, perciò, distingue la successione (che sarebbe concetto concernente la circolazione) dal trasferimento (che sarebbe concetto riguardante l'efficacia negoziale), infatti “mentre il trasferimento trova la sua fonte nell'atto di autonomia privata ed investe normalmente chi ne è parte, per la successione, invece, è la legge che individua, in relazione a ciascuna situazione soggettiva, e tenuto conto del suo contenuto, la regola di produzione, che può non coincidere con quella posta a presidio del trasferimento”. Alla luce di quanto appena detto, appare evidente che la regola di cui all'art. 1376 c.c. riguardi esclusivamente il trasferimento e perciò investa esclusivamente le parti, che di conseguenza potrebbero ben derogarvi. Invece, solo la vicenda successoria, che si estrinseca in un ulteriore fatto giuridico (ad es. la trascrizione), diverso dall'accordo negoziale tra le parti, è materia di esclusiva competenza della legge, “dato che è solo con il compimento di questo che si completa il meccanismo circolatorio del diritto nei confronti di tutti i consociati”59. (58) LA PORTA, Assunzione del debito altrui, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano 2009, pagine 410 e seguenti. (59) CAVAZZANA-CEVASCO, Preliminare, revocatoria e consenso traslativo, in Rivista del notariato, 2010, II, pagine 144 e seguenti, i quali aggiungono che a “riconferma di ciò è necessario notare come, normalmente, la successione si accompagni al trasferimento; ciò però non avviene necessariamente,

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Per questa ragione, ritengo che l'art. 1376 c.c. non possa considerarsi norma imperativa e, quindi, le parti di un contratto ben potrebbero escluderne l'applicabilità. Ad ulteriore conferma di questa posizione, va, inoltre, ricordato che quelli poc'anzi riferiti non sono gli unici argomenti sostenuti in dottrina a sostegno della tesi della derogabilità dell'art. 1376 c.c., in particolare vi è chi60 ha rinvenuto la ragione della correttezza di tale ricostruzione nel fatto che nel codice civile italiano il principio del consenso traslativo sarebbe eccezionale rispetto alla nozione di contratto come fonte di obbligazioni, ricavabile dagli artt. 1173 e 1321 c.c. Altri autori61, invece, hanno evidenziato come la tesi della derogabilità di detto principio sia quella più coerente con il principio dell'autonomia negoziale privata, infatti alla luce dell'art. 1322 c.c. deve concludersi che il trasferimento si attua in forza del solo consenso solo in quanto le parti abbiano così programmato la vicenda dispositiva, e che, perciò l'articolo 1376 c.c. “agevola le parti, ma non le vincola contro la loro volontà” 62 . Di conseguenza, fatta salva l'unica condizione della meritevolezza dello scopo a cui il negozio giuridico è diretto, nulla impedirebbe alle parti di dar vita ad un meccanismo traslativo che deroghi il principio del consenso traslativo. Sempre sulla relazione dell'art. 1376 c.c. con l'art. 1322 c.c., non è mancato chi 63 ha messo in rilievo come “consensualismo ed autonomia negoziale convivono sulla base di una presunzione, che le parti di una compravendita, di una donazione, ecc., abbiano voluto il passaggio di proprietà, salva la prova che abbiano voluto solo l'obbligazione di dare in futuro”. Lo stesso autore osserva, inoltre, come il principio del consenso traslativo non soddisfi nessuna priorità sociale univoca ed evidente e di conseguenza sia poco probabile che esso risponda ad un ordine cogente e inderogabile. Inoltre, se tale principio è poco derogabile in Francia, perché lì la promessa di vendita è assimilata alla vendita, dove questa assimilazione non esiste (come in Italia) “l'inderogabilità della infatti le parti potrebbero pure limitarsi a stipulare un contratto di vendita per semplice scrittura privata, determinandosi quindi, ed esclusivamente, il solo effetto del trasferimento. Per tutti i casi in cui, invece, le parti intendano raggiungere l'effetto successorio pieno […] l'ordinamento stabilisce il necessario intervento del notaio, sul quale grava l'obbligo di trascrivere l'atto di vendita: tale particolare previsione è evidentemente figlia della consapevolezza del legislatore circa il fatto che, quando l'atto di trasferimento diventa anello della catena circolatoria, al fine di garantire massimamente la stabilità degli acquisti, è necessario un ulteriore controllo con il quale il pubblico ufficiale accerti la validità del negozio di trasferimento stesso”. (60) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, pag. 871. (61) LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, pag. 10; MACCARONE, Obbligazioni di dare e adempimento traslativo, in Rivista del notariato, II, 1994, pagina 1332 e seguenti. (62) CHIANALE, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, in Rivista diritto civile, XXXV, 1989, pag. 250. (63) SACCO, Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro italiano, I, 1966, pag. 1394.

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regola consensuale nasce solo dalla fantasia e dall'ostinazione dell'interprete”64. I.6 – Conclusioni Alla luce di quanto affermato nel precedente paragrafo, mi sembra di poter affermare che gli argomenti posti da parte della dottrina a sostegno della tesi dell'inderogabilità del principio del consenso traslativo, non sono convincenti, di conseguenza è da preferire la tesi che consente ai privati di poter pattiziamente prevedere un meccanismo traslatorio differente da quello previsto dall'art. 1376 c.c. Una volta affermata la derogabilità del principio del consenso traslativo, non resta che valutare le conseguenze sull'ordinamento giuridico italiano di tale risultato. Oltre che le inevitabili conseguenze di ordine sistematico, la derogabilità dell'art. 1376 c.c., e del principio che tale articolo enuncia, comporta il venir meno di un ostacolo, così come individuato da parte della dottrina, all'ammissibilità della figura del pagamento traslativo, cioè di un atto traslativo posto in essere solvendi causa, cioè in adempimento di un preesistente obbligo di dare. Il principio del consenso traslativo, recepito all’articolo 1376 c.c., che permette l'ingresso nel nostro ordinamento alla concezione di contratto ad effetti reali (o traslativo), comporta che l’effetto reale del trasferimento della proprietà (o il trasferimento o la costituzione di altro diritto reale) si produca nel momento stesso in cui le parti del contratto raggiungono l’accordo, non rilevando, invece, a tal fine (cioè al fine della produzione dell’effetto traslativo) la consegna della cosa oggetto del contratto, configurandosi quest'ultima come un mero effetto obbligatorio (che si pone sul piano dell’esecuzione del contratto e non su quello della sua efficacia) scaturente da un contratto già perfetto ed efficace, che ha già prodotto il suo effetto traslativo inter partes. Ciò detto, ove si consideri tale norma imperativa, essa costituirebbe inevitabilmente un ostacolo insuperabile alla configurabilità nel nostro ordinamento del pagamento traslativo, perché, se così fosse, l’unico meccanismo traslativo ammesso dal sistema normativo italiano sarebbe quello prescritto dall’art. 1376 c.c. e, di conseguenza, non sarebbe possibile per i privati derogarvi dando vita ad una scissione tra il titulus adquirendi ed il modus adquirendi, dovendo ogni negozio traslativo necessariamente

(64) SACCO, Consensualismo, in Digesto, 2009.

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produrre l'effetto reale in modo automatico nel momento stesso del raggiungimento dell’accordo perfezionativo65. Questa è la conclusione cui giungeva la dottrina tradizionale, la quale sosteneva che l’accoglimento nel nostro ordinamento di tale principio (del consenso traslativo) avrebbe prodotto, quale risultato, la compenetrazione dell’atto traslativo e del contratto consensuale, cioè “il modus adquirendi sarebbe confluito nel titulus adquirendi, eliminando così le obbligazioni di dare in senso tecnico” (e perciò anche il pagamento traslativo) dal nostro ordinamento66. Peraltro, tali conclusioni possono essere condivise soltanto nel caso in cui si affermi l'inderogabilità del principio del consenso traslativo, ma, come mostrato, non sembra essere questa la soluzione corretta della questione, e, di conseguenza, l'art. 1376 c.c. (ed il principio che esso enuncia) non può più considerarsi un ostacolo effettivo all'ammissibilità nel nostro ordinamento del pagamento traslativo.

(65) LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 9. (66) GIORGIANNI, Enciclopedia del diritto, voce “causa”, VI, Milano, 1960, pag. 550.

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