\"La cornice boccacciana en las adaptaciones de las novelle en la literatura áurea castellana\", Levia Gravia, XV-XVI (2013-2014), pp. 477-486

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Descripción

LEVIA GRAVIA Anno XV-XVI Quaderno annuale DIREZIONE E REDAZIONE

Mariarosa MASOERO Clara ALLASIA, Davide DALMAS, Stefano GIOVANNUZZI, Beatrice MANETTI, Laura NAY, Gabriella OLIVERO, Patrizia PELLIZZARI, Simona RE FIORENTIN, Giuseppe ZACCARIA COMITATO SCIENTIFICO

Gabriella ALBANESE (Pisa), Giancarlo ALFANO (Napoli), Alberto BENISCELLI (Genova), Smaranda ELIAN SBARATU (Bucarest), Jane EVERSON (Londra), Silvia FABRIZIO COSTA (Caen), Denis FERRARIS (Parigi), Jean-Louis FOURNEL (Parigi e Lione), Monica LANZILLOTTA (Cosenza), Giulio LUGHI (Torino), Salvatore Silvano NIGRO (Milano), Éanna Ó CEALLACHÁIN (Glasgow), Lino PERTILE (Villa I Tatti - Firenze), Mark PIETRALUNGA (Tallahassee, Florida), Paolo PROCACCIOLI (Tuscia), Vittorio RODA (Bologna), Hanna SERKOWSKA (Varsavia), Emmanuela TANDELLO (Oxford) «Levia Gravia» is an International Peer-reviewed Journal. Il quaderno è redatto dalle Università di Torino e del Piemonte Orientale Dipartimento di Studi Umanistici (via Sant’Ottavio, 20 - 10124 Torino) E-mail: [email protected] http://leviagravia.unito.it/default.aspx Registrato presso il Tribunale di Alessandria al nr. 652 (10 novembre 2010) Direttore Responsabile: Lorenzo Massobrio Condizioni di abbonamento Abbonamento annuo: € 27,00 (più spese di spedizione variabili, per l’estero, da Paese a Paese) Abbonamento a due annate: € 54,00 (più spese di spedizione variabili, per l’estero, da Paese a Paese) Il pagamento può essere effettuato tramite: - versamento sul conto corrente postale n . 10096154 intestato alle Edizioni dell’Orso S.r.l. - bonifico bancario (IBAN IT22J0306910400100000015892) - carta di credito (circuito Paypal) attraverso il link http://www.ediorso.it/cc/index.html - assegno bancario (non trasferibile) intestato alla Casa editrice

Levia Gravia Quaderno annuale di letteratura italiana

XV-XVI (2013-2014)

«Umana cosa è aver compassione degli afflitti…» Raccontare, consolare, curare nella narrativa europea da Boccaccio al Seicento

Edizioni dell’Orso Alessandria

Questo volume è pubblicato nell’ambito del Progetto di Ricerca Italian Novellieri and Their Influence on Renaissance and Baroque European Literature: Editions, Translations, Adaptations dei Dipartimenti di Studi Umanistici e di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Torino, finanziato dalla Compagnia di San Paolo attraverso l’accordo con l’Ateneo per il potenziamento della ricerca scientifica.

© Copyright by Edizioni dell’Orso S.r.l. 15121 Alessandria, via Rattazzi 47 Tel. 0131.252349 – Fax 0131.257567 E-mail: [email protected] http://www.ediorso.it Cura redazionale: Patrizia Pellizzari e Simona Re Fiorentin Realizzazione editoriale a cura di Arun Maltese ([email protected])

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941 ISSN 1591-7630 ISBN 978-88-6274-607-6

Il gruppo di ricerca La diffusione della novellistica italiana nella cultura europea del XVI e XVII secolo (Italian Novellieri and Their Influence in Renaissance and Baroque European Culture: Editions, Translations, Adaptations) dell’Università di Torino ha voluto celebrare il settimo centenario dalla nascita di Boccaccio con un Convegno Internazionale di Studi1 incentrato sul suo straordinario contributo all’invenzione narrativa e alla codificazione della novella. Dei molti aspetti e problemi relativi al genere di cui il certaldese ha delineato una “forma” imitata, ricreata, discussa nei secoli e nelle diverse letterature, se ne sono privilegiati due per la loro importanza e per le molte implicazioni ancora inesplorate o poco esplorate. Muovendo dalla proposta, enunciata nel Proemio del Decameron, della narrazione come pharmakon, in particolare rivolto alle donne, si è voluto studiare come tale intento “terapeutico” sia stato accolto dai molti imitatori ed epigoni di Boccaccio, in Italia e in Europa. Gli interventi che sono stati proposti guardano in realtà non solo agli epigoni, ma anche alle fonti e alle modalità con cui Boccaccio ha sviluppato l’intento annunciato all’avvio della sua opera. Il secondo aspetto che si è proposto riguarda il ruolo che le donne rivestono nel Decameron. Innanzitutto, sono le principali destinatarie delle novelle, il pubblico elettivo sul quale, in specie, si dovrebbero riversare i benefici effetti della lettura, ma sono anche narratrici, “legislatrici”, personaggi. La novellistica successiva, italiana ed europea, ha talora seguito e rispettato, talora rifiutato, il modello, ricreando organizzazioni narrative diverse, variate, che rispondono ai contesti da cui emergono. Non sempre le donne hanno in queste raccolte successive un ruolo così importante come quello assegnato loro da Boccaccio.

1 «Umana cosa è aver compassione degli afflitti...». Raccontare, consolare, curare nella narrativa europea da Boccaccio al Seicento, Torino, 12-14 dicembre 2013. Il Comitato scientifico del Convegno era composto da Guillermo Carrascón, Davide Dalmas, Patrizia Pellizzari e da chi scrive.

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Il Convegno è stato annunciato con un Call for Papers presso le Associazioni di studi letterari, di Italianistica e non. La risposta è stata numerosa e variata. Il Comitato scientifico ha operato una scelta fra gli abstracts ricevuti, optando per le proposte che sembravano più innovative e che meglio promettevano di indagare il genere novella. È risultato subito evidente che un terzo filone di indagine si profilava, oltre ai due suggeriti, riguardante la fortuna italiana ed europea del Decameron, di alcune novelle o di alcuni personaggi, in contesti novellistici, ma anche con trasmigrazioni di genere, nel teatro, nel romanzo, in poesia. Questo filone, in perfetta conformità con gli intenti del progetto, ha costituito una parte importante del Convegno. L’evento ha avuto tra i sostenitori l’Università degli Studi di Torino e la Compagnia di San Paolo, come enti finanziatori del progetto, il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture moderne, il Corso di laurea magistrale in Scienze della formazione primaria. Hanno patrocinato l’iniziativa l’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio, il Dipartimento di Studi Umanistici, la Città di Torino, l’ADI-Scuola. Il presente volume intende dare conto delle acquisizioni che risultano dai lavori del Convegno non come meccanica raccolta degli atti, ma come prodotto dell’attiva trasformazione del progetto iniziale attraverso la discussione, il confronto e un raddoppiato processo di valutazione. Lo testimonia anche l’organizzazione interna dei contributi, diversamente articolata rispetto a quella del Convegno. Erminia Ardissino

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MARCIAL RUBIO ÁRQUEZ LA CORNICE BOCCACCIANA EN LAS ADAPTACIONES DE LAS NOVELLE EN LA LITERATURA ÁUREA CASTELLANA Cuando en 1624 Tirso de Molina publica Los cigarrales de Toledo manifiesta lo que, al menos en parte, era, como veremos, la doctrina más extendida entre los novelistas que, por aquellos años – los años Veinte del siglo XVI – publicaban novelas a un ritmo vertiginoso y nunca visto hasta entonces en la literatura española (Montero Reguera 2006; Pacheco-Ransanz 1986). El mercedario, por un lado, manifestaba sin ambages que el modelo de novela española desde 1613 era, sin duda, el establecido por Cervantes, al que denomina, entronizándolo en dicho estatus, «nuestro español Boccaccio» (Tirso de Molina 1996, p. 236), confirmando así la veracidad del alcalaíno cuando en el prólogo de su colección de novelas manifestaba ser «el primero que ha novelado en lengua castellana» (Cervantes 2013, p. 19). Pero incluso mostrándose entusiasta con el contenido, no parecía serlo tanto con la presentación de las Novelas ejemplares, pues así debemos entender la defensa de la estructura de su texto con un marco general y no – en clara alusión a la recolección cervantina y quizás a otras – «Ni ensartadas unas tras otras como procesión de disciplinantes, sino con su argumento que lo comprehenda todo» (Tirso de Molina 1996, p. 108). El mercedario ponía el dedo en la llaga, pues es en ese decenio cuando la cuestión del marco adquiere su mayor importancia. El problema, claro, venía de antiguo, desde las primeras traducciones de las colecciones de novelas italianas, también ellas sometidas al binomio marco / no marco (Blanco Valdés 2000). Sabemos que desde las primeras traducciones del Decameron, la cuestión de respetar y traducir el marco boccaccesco o, por el contrario, reducirlo o eliminarlo era una de las opciones a las que los traductores, tanto castellanos como catalanes, debían enfrentarse.1 Y sabemos también que, en casi la totalidad de los casos, se optaba bien por suprimirlo o bien por alterarlo tanto que su originaria función venía, en efecto, absolutamente trastornada. Esto supone que todavía en 1550, fecha de la quinta y última edición del texto, los lectores estaban acostumbrados a leer las novelas

1 Se vea sobre este particular Hernández (1987, 2001b y 2007), Profeti (2003), Ruffinatto (2006).

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tanto sin una narración-marco que, de una u otra forma, englobara y diera su justificación a todas, como con marco, siguiendo el modelo instaurado por la literatura italiana. Un año después, en 1551, aparece La Zucca del Doni, estampada contemporáneamente en italiano y español, donde no aparece, en ninguna de las dos ediciones, ninguna cornice. Es verdad, sin embargo, que un libro que venía definido por el propio autor como registro delle chiachiere, frappe, chimere, gofferie, argutie, filastroccole, castelli in aria, saviezze, aggiramenti, & lambicamenti di cervello; fanfalucole, sentenze, bugie, girelle, ghiribizzi, pappolate, capricci, frascherie, anfanamenti, viluppi, grilli, novelle, cicalerie, parabole, baie, proverbi, tresche, motti, humori et altre girandole et storie2

difícilmente podía sentir la necesidad de construir ningún tipo de estructura narrativa que sirviera de marco a tan prolija, variada y heterogénea tipología de relatos. Incluso podría hipotizarse, justamente por el énfasis descriptivo de cada una de las tipologías enumeradas, que el deseo del Doni era justamente el contrario: reducir al absurdo la propuesta boccacciana mediante una mescolanza de tipologías textuales – muchas de ellas insertadas también en el Decameron –presentadas sin ningún tipo de marco, precisamente porque las mismas, por sus peculiares características, no tienen necesidad del mismo. Le piacevoli notti de Straparola, publicadas en italiano en 1550 (Primera parte) y 1553 (Segunda parte) y traducidas al castellano, respectivamente, en 1578 y 1591 con el título de Honesto y agradable entretenimiento de damas y galanes (Straparola [i.c.s.] = en prensa), respetan, tanto en el original italiano como en su versión castellana, la cornice de tipo boccacciano. Es verdad que, como ha estudiado Coppola [i.c.s.], la traducción castellana presenta a su vez una estructura más alejada del modelo, pero esto es debido más a motivos relacionados con la traducción que al deseo de innovación por parte de Truchado, su traductor andaluz. La primera parte de Le novelle de Bandello, publicadas en 1554, traducidas al francés en 1567 y al castellano en 1584 (Arredondo 1989a) no tienen, en nin-

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Doni 1551a, f. A. El traductor español intenta reproducir también esta algarabía terminológica en la presentación de su texto cuando dice que esta «calabaça»: «está llena de muchas y provechosas sentencias, de muy buenos exemplos, de sabrosos danaires, de apacibles chistes, de ingeniosas agudezas, de gustosas boberías, de graciosos descuidos, de bien entendidos motes, de dichos y prestezas bien diganas de ser sabidas»; vid. Doni 1551b, p. 6.

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guna de sus ediciones, marco narrativo o, para ser más exactos, ningún tipo de encuadramiento general de las novelas de tipo boccacciano. En efecto, en la edición original este falta por cuanto resulta inútil: cada una de las novelas tiene una pequeña introducción que sirve justamente para enmarcarla en una circunstancia bien precisa. Se podría decir, por tanto, que Bandello cambia el marco global del modelo del Decameron por otro individualizado para cada una de sus novelle. Cuando después pasamos a la traducción francesa, dicho marco desaparece por completo y viene sustituido por un sommaire que no funciona textualmente como el original italiano, sino que sirve como presentación de historia, sí, pero sobre todo como anticipada moraleja que el lector deberá extraer al final de la lectura. A esa finalidad moral apunta el cambio del título: del abstracto y boccacciano novelle al más preciso y edificante Histoires tragiques. Todavía más rotundamente preocupada por el contenido ético de lo narrado se nos presenta la traducción castellana, que fiel al título de la traducción francesa que le sirve como base para la traducción, lo amplía y precisa: Historias trágicas exemplares. Se suprime el marco italiano original que presentaba las circunstancias de cada una de las novelas y también la presentación francesa que, como acabamos de ver, sugería su interpretación moral y se deja, tan solo, un pequeño resumen del argumento al inicio de cada novela. El motivo de dicha simplificación creo que debe buscarse en el deseo de hacer pasar las novelas bandelianas como verdaderas historias, esto es, como acontecimientos verdaderamente ocurridos. Se pasa, pues, de la ficción a la realidad y dicho cambio conlleva, evidentemente, la eliminación de cualquier elemento narratológico, en este caso el marco, que haga referencia al origen literario de lo que se cuenta. Se explica muy bien en la dedicatoria Al lector: El Bandello veronés escriuió muchas Historias tragicas succedidas en su tiempo o poco antes, para con ellas apartar a los que las leyessen de vicios y peligros a que está sujeta la vida humana. Y es de presuponer una cosa que él mismo refiere, que no dize cosa que no la haya visto, informadose, o tenido relación cierta de persona fidedigna, y escrituras authénticas.3

Los Hecatommithi (1565) de Giraldi Cinthio, traducidos con el título de Las cien novelas en 1590 respetan el marco introductorio del original italiano. Añádase, además, que dicha cornice no solo tiene la misma función que la de Boccaccio, como resulta evidente, sino que también utiliza en la creación de la misma el motivo de la desgracias humanas: si en Boccaccio era la peste que

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Manejo la siguiente edición: Bandello 1589.

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asolaba Florencia, en Cinthio será el saco de Roma el que obliga a los personajes a huir de la ciudad y a buscar en la narración de novelas un indispensable reposo para su sufrimiento. No deja de ser curioso que una colección de novelas que se presenta como la respuesta contrarreformista al muy licencioso Decameron4 utilice su misma estructura narrativa. Por su parte, los Detti e fatti piacevoli e gravi de Guicciardini, publicados en castellano en 1585 con el título de Horas de recreación no tiene marco ni en italiano ni en español, como corresponde a su carácter de motes, sentencias, etc. (Rodríguez Cuadrados 1996). Puede decirse, después de este breve repaso, que por lo que respecta al influjo más directo e importante sobre la novelística castellana, esto es, la novella italiana, se mantuvo, por lo que concierne a la utilización u omisión del marco, el más absoluto respeto al original. Esto resulta importante por cuanto parece claro entonces que los lectores castellanos considerarían normal que las colecciones de novelas utilizaran una formula u otra y que, a la postre, la opción por uno u otro modelo era criterio de los autores y, en algunos casos, de los traductores, que bien podían respetar el original, cuando este presentaba cornice o bien eliminarla o adaptarla, según los casos. Así llegamos a la que viene considerándose la primera colección de novelas en español, las Noches de invierno de Antonio de Eslava, publicadas en 1609. Como ha estudiado perfectamente Barella (1985 y Eslava 2013), también esta obra se acoge al esquema boccacciano con pequeñas variantes: el marco es en forma dialogada, los interlocutores son cuatro caballeros ancianos y el motivo del narrar es intentar hacer más breves las largas y aburridas noches de invierno. Aún así, Eslava paga su tributo a la tradición cuando hace que la acción se desarrolle en Venecia y que todos los personajes sean italianos. Es cierto, como también se ha dicho ya, que hay un marco, pero no lo es menos que el mismo es absolutamente extraño al modelo boccaccesco. Las diferencias son muchas, pero quizás la más importante es que Eslava utiliza un modelo dialógico – esto es, discurso directo – en el que son los propios interlocutores los que introducen, sin ninguna marca tipográfica ni textual, la novela pertinente que, esto sí, se relaciona con la conversación que mantenían previamente. No hay, pues, un narrador extradiegético que describe la situación de los narradores, los controla e impera sobre cómo, quién y qué narra, sino que son los propios interlocutores, con sus intervenciones, los que describen estos aspectos y los que, además, precisamente por su naturaleza

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Para este y otros aspectos de la obra en España se vea Aldomá García 1996 y 1998.

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dialógica, interrumpen a veces la narración para pedir explicaciones o comentar algún aspecto. Todo parece cambiar cuando Cervantes publica en 1613 sus Novelas ejemplares sin ningún tipo de marco. Los motivos de esta ausencia podrían ser varios. Baste citar las ácidas críticas que Cervantes había recibido por la inserción de algunas novelas en la primera parte del Quijote o, tampoco lo excluyo, que justamente para marcar todavía más la novedad de la que se enorgullece en el prólogo quisiera publicarlas sin ningún marco, asociando en su mente – y quién sabe si adivinando en la de los lectores – la colección de novelas y la necesidad de un marco que incluya a todas con la literatura italiana que intentaba superar.5 En 1617 Cortés de Tolosa publica sus Discursos morales de cartas y novelas. El libro está dividido en tres partes. Las dos primeras son imaginarias cartas entres los más diversos corresponsales, pero siempre con un evidente carácter didáctico-moral. La tercera parte, sin embargo, son varias novelas, insertadas sin ningún marco y presentadas en el prólogo por parte del autor como gustosa variedad. Hay, en todo el libro, un claro interés comercial: dar al lector lo que pide, como con intención cómica y barroca prosa se nos dice en el prólogo. En 1620 Ágreda y Vargas publica sus Novelas morales útiles por sus documentos. Pese a que su autor se nos muestra en el prólogo conocedor de las técnicas novelísticas y con un criterio bastante claro sobre su finalidad, observamos que sus doce novelas no llevan ningún tipo de marco, presentándose una tras otra sin que entre ellas haya la más mínima conexión salvo, tal vez, el objetivo que une a todas y que se anuncia ya desde el título: la moralidad (Arredondo 1989b). Quizás por ello, y teniendo en cuenta la fama de inmoralidad que la novela italiana tenía en la época, el autor decidió no utilizar este recurso que, indiscutiblemente, le podría relacionar con la literatura italiana. En ese mismo año, 1620, Cortés de Tolosa publica su Lazarillo de Manzanares con otras cinco novelas.6 Se presentan todos los textos sin ningún marco, uno detrás de otro sin la menos explicación ni en el texto ni en los paratextos. Más allá de pensar que se trata de un descuido del autor o que la propia temática independiente de cada una de las novelas no exija ningún nexo que

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Se vea también Brockmeier 1978, Alfano 2006, pp. 146-148, y el estudio preliminar de Jorge García López in Cervantes 2013. 6 Hay edición moderna: Cortés de Tolosa 1974.

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las aglutine, quizás deba asumirse que, al menos para Cortés de Tolosa, la novela, ese género relativamente nuevo, está ya suficientemente asentado en la literatura castellana como para no tener que presentar ningún tipo de excusas narratológicas – pues tales son en algunos casos muchos marcos novelísticos – para publicar sus narraciones. Sin embargo, también ese prolífico año de 1620, Liñán y Verdugo publicá su Guía y avisos de forasteros (vid. González Ramírez 2011), en la que el marco resulta absolutamente fundamental para entender cada una de las novelas que se insertan que, en realidad, son ejemplificaciones de temáticas tratadas en la narración-marco. La fórmula, pese a haber pasado más de diez años entre una y otra (1609 y 1620), es muy parecida a la de Eslava. Tampoco aquí hay un narrador extradiegético – salvo en las primeras diez líneas del inicio – y también ahora el control de la narración lo llevan tres personajes que dialogan entre ellos; también aquí, por último, las novelas o “escarmientos” se introducen al hilo del diálogo y son temáticamente muy cercanas al mismo. En este sentido, más que decir que las novelas tienen un marco narrativo, quizás sería más acertado afirmar que las novelas sirven de ejemplificación a la narración principal – la supuesta cornice – y que es justamente por este motivo por el que tienen una relación argumental y estructural tan estrecha. En 1621 Lope publica La Filomena con otras diversas Rimas, Prosas y Versos y allí aparece – aunque seguramente escrita algunos años antes –, La Fortuna de Diana, la primera de las cuatro novelas que, publicadas de forma independiente, serán posteriormente, en 1648, unificadas y publicadas con el título de Novelas a Marcia Leonarda. Se me permitirá que, dado que lógicamente este ha sido uno de los modelos novelísticos más estudiados, remita a la bibliografía crítica sobre el argumento sin detenerme en el mismo.7 Lugo y Dávila publica en 1622 una colección de novelas que inaugurará una nueva época en la historia de la novela española (Sánchez 1982): Teatro popular. Novelas morales para mostrar los géneros de vida del pueblo (Arcos Pardo 2009) con un marco bien preciso: «tres amigos yguales en qualidad, en costumbres, en ingenio y aún en la inclinación y letras» se reúnen en el jardín de uno de ellos para huir del ocio, padre de todos los vicios. En tan paradisiaco lugar concuerdan en dar «principio al entretenimiento concertado, ocupando las tardes en referir cada uno de los tres una novela, explicando el lugar curioso que ocasionare la conversación; pues assí conseguiremos el precepto de

7 Sin intentar agotar toda la bibliografía sobre el tema pueden consultarse los trabajos de Ynduráin 1962, Ayllón 1963, Scordilis Brownlee 1981, Laspéras 2000, Carreño 2012.

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Horacio, acertando en mezclar lo útil con lo deleytoso». A continuación cada uno de los personajes comienza a contar su novela, hasta completar las ocho que recoge el volumen. Se debe decir que estas están perfectamente imbricadas en su marco, surgiendo como desenlace lógico de la conversación de los amigos. Estos, además, introducen cada una de ellas con notas eruditas, morales y filosóficas. Evidentemente, el modelo que sigue Lugo y Dávila, como ha perfectamente señalado Rafael Bonilla (2011) para los paratextos, es el boccacciano, actualizado con las teorías de Francesco Bonciani (Lección o tratado sobre la composición de las novelas, 1574) y Girolamo Bargagli (Diálogo de los juegos que suelen hacerse en las veladas sienesas, 1572). Pero también podría añadirse a estos modelos el más cercano de Juan de Eslava en sus Noches de invierno, donde también el diálogo de unos amigos servía de escusa para desencadenar la narración. Discurso distinto presentan las Historias peregrinas y ejemplares8 que Céspedes y Meneses publica en 1623. Es evidente que, al menos desde el punto de vista formal, las seis novelas o «historias» que el autor incluye en el libro no tienen ningún marco; sin embargo, dado que todas ellas pertenecen a la historia de España y que cada una se desarrolla en una de las ciudades del reino, es fácil deducir que el autor entendió la inutilidad del mecanismo narrativo. Añádase, por otra parte, que el deseo expreso por parte del autor de hacerlas pasar como verdaderas – de ahí que se les denomine siempre «historias» y nunca novelas, fábulas, etc. – hacía absolutamente prescindible un recurso, el del marco narrativo, que pertenecía indiscutiblemente al territorio de la ficción. En 1624 José Camerino publica sus Novelas amorosas (ed. mod.: Camerino 1992). Se trata de una recolección de bien doce novelas presentadas sin el más mínimo marco, una detrás de otra. En los escuetos paratextos, tampoco se nos da el más mínimo indicio sobre cómo debemos interpretar dicha ausencia. Quizás, como hemos visto anteriormente, en realidad se trata de la asunción plena por parte de los novelistas castellanas de que no hacía falta publicar novelas con ningún tipo de narración, tomando como ejemplo los ilustres casos italianos que hemos visto al principio de este trabajo. Ese mismo año Tirso publica sus ya citados anteriormente Cigarrales de Toledo. La obra presenta una narración marco dentro de la cual se insertan tres comedias, algunas poesías y una sola novela. Se trata pues de un texto misceláneo dentro del cual se incluye una novela y no tanto de una colección

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Hay dos ediciones modernas: Céspedes y Meneses 1906; Céspedes y Meneses 1980.

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de novelas. No entraría, pues, entre los casos estudiados al no ser, efectivamente, una colección de novelas. Ese mismo año Matías de los Reyes publica su Curial del Parnaso. En la obra, inspirada como se ve ya desde el título en los Ragguagli del Parnaso de Boccalini (Johnson 1973), de los Reyes inserta una serie de novelas como ejemplificación de cada uno de los «avisos» que narra. El marco es, en este sentido, directo heredero del de Liñán. Es dicho marco, es decir, la reunión de poetas en torno a Apolo, el que sirve a Reyes para introducir, también a modo de ejemplo, sus novelas, intensamente relacionadas, por tanto, con el tema tratado. También es año Pérez de Montalbán se inicia como novelista con la publicación de sus Sucesos y prodigios de amor en ocho novelas ejemplares9 que aparecen también sin ningún tipo de marco narrativo. Lo mismo hace ese mismo año Piña Novelas exemplares y prodigiosas historias (vid. Piña 1987). Se trata de siete novelas también sin ningún marco narrativo. Baltasar Mateo Velázquez, por el contrario, parece volver a un esquema narratológico bien definido con El filósofo de aldea publicado en 1625 (ed. mod.: Velázquez 1906). No solo encontramos un clarísimo marco que engloba todas las novelas incluidas en su narración, sino que además este parece seguir el de las Noches de invierno, es decir, se trata de un diálogo entre distintos personajes. Hay, claro, diferencias importantes, pues mientras allí el contexto y los narratarios eran italianos, aquí serán ambos españoles; si en aquellas el motivo de la reunión era hacer menos pesadas las noches de invierno, ahora se trata de erradicar el juego de cartas de las reuniones sociales en una casa de un noble de provincias; además las novelas se inscriben en un didactismo rural, como señala el título, con una fuerte componente práctica y suponen en realidad ejemplos de problemas cotidianos: cómo educar a los hijos, cómo educar a las hijas, etc. Ese mismo año, 1625, Castillo Solórzano publica sus Tardes entretenidas (Castillo Solórzano 1992). Se trata, ahora sí, de la clásica colección de novelas con un cuadro bien definido: dos viudas con sus hijas se retiran en el mes de mayo a las afueras de Madrid para reponerse de una leve enfermedad. Una vez allí será el gracioso Octavio, una especie de bufón, quien propondrá a las señoras narrar una novela todas las tardes para pasar el tiempo. Se incluyen seis novelas, a las que se añaden poemas en distintos versos para cantar y un par de enigmas al final de cada narración. Todo eso para señalar que el obje-

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Hay edición moderna (Pérez de Montalbán 1992).

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tivo de la recopilación es, evidentemente, el entretenimiento. Por lo demás, el hecho de que todas las narradoras sean mujeres parece decir bien a las claras a qué tipo de público se dirigía Castillo Solórzano, quien parecía conocer bien el modelo narrativo con más éxito. En efecto, solo un año después, en 1626, el mismo Castillo Solórzano publicará sus Jornadas alegres (Castillo Solórzano 1909) repitiendo, como él mismo declara en el prólogo, el mismo esquema con pequeñas variantes. Ahora será un viaje repartido en «jornadas» el que provocará la narración, ahora más equitativamente distribuida entre tres mujeres y tres hombres, pero también aquí el que propone el novelar es un bufón llamado Feliciano, con lo que la finalidad de entretenimiento por encima de cualquier otra cuestión parece clara. Al año siguiente, 1627, Juan de Piña publica sus Varias fortunas y vuelve al modelo cervantino, publicando, sin ningún tipo de marco narratológico, cuatro novelas o «fortunas» de otros tantos personajes históricos. Por aquí, claro, Piña parece hacer referencia a las Historias peregrinas de Céspedes y Meneses de 1623, insertando todas las narraciones en un marco historiográfico. En 1637 María de Zayas publica sus exitosísimas Novelas amorosas y ejemplares (vid. Zayas y Sotomayor 2012) y en ella encontramos un claro marco narrativo representado por un grupo de jóvenes que se reúnen en el período de Navidad y Pascua para entretener a una su amiga enferma contando historias. Alcalá y Herrera, por el contrario, en la colección de cinco novelas que con el título de Varios efectos de amor publica en 1641 no introduce ningún marco narrativo, salvo que por tal podamos entender el común argumento sentimental de todas la novelas o que a cada una de ellas le falte, respectivamente, una vocal. Por último, en 1658 Cristóbal Lozano publica sus Soledades de la vida y desengaños del mundo (Liverani 2000) en el que se incluyen junto a cuatro «soledades» – narraciones pastoriles en las que se incluyen a su vez pequeñas novelas – otras seis novelas cuyo único nexo de unión es que el narrador es siempre el mismo y el destinatario una misteriosa Doña Serafina. Estamos, claro, en un marco muy similar al que crea Lope con sus Novelas a Marcia Leonarda (ed. mod.: Vega 2011). Pues bien, de este rápido y quizás demasiado superficial repaso de algunas de las colecciones de novelas publicadas en el siglo XVII creo que es fácil deducir que el modelo instaurado por Cervantes, esto es, la colección de novelas sin marco alguno, parece imponerse de manera mayoritaria. De las más de veinte colecciones analizadas, son al menos doce las que presentan esta característica. Sin embargo, la proporción es muy parecida a la que habíamos

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encontrado cuando al principio de este trabajo hemos visto los antecedentes italianos y sus respectivas traducciones al castellano. Por ello, pese a lo afirmado por Morales (2006), creo que la conclusión más acertada sería decir que la disyuntiva novelas con marco / novelas sin marco que aparece ya en la literatura italiana desde los orígenes del género, se mantiene también en la narrativa española al menos hasta 1658.

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