LA CENERENTOLA DI BRANAGH: TRA SHAKESPEARE E HEIDEGGER… IN COMPAGNIA DI MAMMAOCA

June 14, 2017 | Autor: Stefano Degli Abbati | Categoría: Narratology, Antropología cultural, Lettere e Filosofia
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LA CENERENTOLA DI BRANAGH: TRA SHAKESPEARE E HEIDEGGER… IN COMPAGNIA DI MAMMAOCA

Ordunque orquindi cari due-massimo-tre aficionados che si vogliono lambiccare il cervello col sudoku del logos come narrazione…nel postscriptum del pezzo su Carrere all'Auditorium ci eravamo lasciati con una citazione di Kenneth Branagh ("Una favolosa famiglia perfetta, amorevole, completa accogliente" è la condizione "dove puoi essere te stesso e goderti il mondo.") e con un'altra di Emanuela Martini che su Domenica del Sole24ore ha recensito la sua Cenerentola ("nei grandi classici come Shakespeare, che si ispirano a storie del passato, ci sono molte somiglianze e assonanze con le fiabe tradizionali di Perrault, Grimm e Andersen, a loro volta riscritture di antiche leggende."). Nel frattempo abbiamo visto (ero con mia madre e mia figlia, non è un plurale maiestatis) il film al multisala The Space Cinema Moderno a Piazza della Repubblica lì dove avevo preso la Metro per l'Auditorium e dove c'è l'edicola internazionale a cui mi servo (internazionale ma non troppo se la mattina chi ci passa può sentirci Mario Corsi che dalla radio narra le gesta attualmente in ribasso dell'AS Roma) oltre alla michelangiolesca Santa Maria degli Angeli, alla Fontana delle Najadi scolpita dal nonno di Rutelli e ai pali con in cima le aquile naziste tra i pochi residui non rimossi della visita alla capitale del Fuhrer, quella sullo sfondo di Una giornata particolare. All'impressione ancora non svanita dalla retina ho integrato la lettura dell'articolo che una Annalena Valenti in versione special (normalmente Mammaoca nel settimanale ha una rubrica short) gli ha dedicato su Tempi e che come chiosa di per sé basta e avanza. Del suo Principessa d'altri tempi sottoscriviamo tutto dall'inizio assiomatico ("è l'antidoto all'ultimo revisionismo del politicamente corretto di Hollywood, che oggi fa delle donne eterne guerriere in carriera e degli uomini dei mascalzoni o inutili bambocci") al finale immaginifico che chiude il cerchio ("Cenerentola e il principe io me li vedo come re e regina…la regina, non una scatenata ragazza-ninja che scorribanda col suo cavallo a salvare principi idioti, tutto in nome di una falsa, ridicola e dannosa parità di genere che rende i ragazzi adolescenti-per-sempre." E si pensa subito a Rebell-The brave…) e che ci dà il destro e pure il sinistro a noi parassiti delle ciliegine sulle torte per rimodulare il leitmotiv del discorso sulla narrazione antropologica che quei 2barra3 di prima ben conoscono. Voglio anch'io partire con un'affermazione e poi provare a spiegarla. Ogni narrazione è sempre anche un discorso sulla narrazione che, esplicitato o meno che sia, ne è contenuto strutturalmente, e quindi una proiezione sul senso ultimo dell'umano. Sembra astruso ma non c'è nulla di più concreto di questo qualcosa che fa dire a Saint-Exupery "Le favole sono l'unica realtà della vita". Torniamo ancora da una Valenti che davvero in gran forma espositivo-didattica fa precedere la visione finale sulla maturità della coppia principesca da una frasetta tutta fosforo…"Mi piace sempre immaginare il seguito dei film, è un ottimo esercizio per capire se una storia ha senso."(drizzate le antenne docenti tutti, buttata lì con la nonchalance del genio, della Valenti e del senso profondo delle cose i quali, se si dimostra vero l'assunto, risultano per forza coincidenti, qui c'è un'idea magicabula per un laboratorio formativo sulle narrazioni con implicazioni interdisciplinari letterarie, psicologiche e filosofiche…per non dire teologiche). Nella stesso film di Branagh c'è un dialogo molto chiaro in merito poco dopo i titoli di testa…"Mi piacciono le storie a lieto fine!" comunica la protagonista al padre mentre chiude un libro appena concluso (la freccia semantica era stata scoccata tanto in anticipo sulla carburazione dell'attenzione di me spettatore che non ho colto la citazione indiretta del titolo del volume…male, qualcuno accorra in ausilio prima della versione DVD passibile di rewind). "Tutte dovrebbero averlo!" "Non tutte, ma quasi tutte ce l'hanno!"… e già nella titubanza paterna si alligna profeticamente tutto il male che sta per avvenire ma che comunque già sappiamo che non spadroneggerà incontrastato essendo già previsto anche il suo antidoto nel lascito sapienziale della madre morente: "Gentilezza e coraggio". La storia che segue starà tutta in quel "filo di bene (che) si dipana nell'avventura della vita e alla fine trionfa come augurio", vale a dire come trovare da "acerbe adolescenti un proprio posto nel mondo, senza una vera madre e un vero padre" morti o degeneri è equivalente e ancora, ridetto in gergo genealogico antropologico, nell'affermazione dell'idea-discorso-narrazione sulla maternità/paternità rispettivamente ab-initio affermata dalla "famiglia felice, molto felice, un padre e una madre amorevoli", poi negata nella orfanità traumatica e nel cattivo modello della matrigna (un ruolo della cattiva che nelle versioni dark dei recenti fairy-movies ha visto farsi la concorrenza tutte le più famose dive attempate proprio perché, come ci spiega la Valenti en passant, "talmente ben ritratte da diventare (loro) le vere protagoniste"…se vogliamo, un'allegoria della lotta contronatura e controsenso fra generazioni per il predominio e il potere, dramma esistenziale che sta nelle favole come prefigurazione della possibile realtà) quindi, con l'aiuto di un modello trascendente di madre (la fata madrina), definitivamente trionfante nel vissero felici e contenti…almeno finchè qualche tipo di morte-negazione-sviamento non li separi e ricominci la giostra. Quindi una storia quella di Cenerentola "che è divenuta universale" certo perché il racconto si fregia di particolari suggestivamente indimenticabili, di zucche magiche e di scarpette di cristallo, ma anche perché lavora su una struttura che l'universalità ce l'ha già di suo e che nella lotta fra questo bene-senso-genitorialità e il male-non senso-non genitorialità rende conto anche della veridicità della citazione chestertoniana della Valenti sulla "magia che non è propria solo delle fiabe ma spiega anche l'arbitrarietà e il mistero della vita reale". Sta qui "l'irriducibilità di una storia già scritta da qualcun altro, "una grandezza collaudata" la chiama Branagh, dove quel "qualcun altro" solo in prima istanza è identificabile in Charles Perrault, colui che dal suo virtuosismo inventivo ha tirato fuori appunto le zucche e le scarpette che contrappuntano il bondone principale, ma che invece, se parliamo di struttura fondamentale della narrazione, ci porta al cospetto dell'indicibile, del Sommo Bene e del male che vuole negarlo. (Lucifero è il nome allusivo del gatto della matrigna già nella versione a cartone animato, ma sono nuovi quelli di Ella e Kit, così evocativi di un femminile e di un maschile archetipici, se il primo suona quasi Eva e il secondo è il diminuitivo di Cristopher). Ho scoperto da poco quanto asserito da Martin Heidegger in Saggi e discorsi "L'uomo si comporta come se fosse lui il creatore ed il padrone del linguaggio, mentre è questo, invece, che rimane signore dell'uomo", ed è forse l'entusiasmo del neofita che mi dà l'ardire di proporvi di sostituire il termine linguaggio con linguaggio strutturato e quindi narrazione per vedere se i conti, o meglio, i racconti tornano. Se no, spiegatemi voi, perché Roger Scruton parla del matrimonio come di una dimensione metafisica che precede l'uomo…io lo intendo come snodo necessario di un linguaggio (umano) che si struttura intorno a una logica (umana) che ha per fine la sopravvivenza della specie. (Andatevi a rileggere cosa diceva Zammour nell'articolo precedente a questo). Di questa narrazione base ne sa qualcosa lo stesso Branagh di cui tutta la carriera di attore e di regista può essere letta come una parafrasi di un matrimonio-paternità ambito e sofferto se non mancato, basti pensare al suo Frankenstein o alla serie del commissario Wallander. Certo a proposito di interferenza nella trasmissione della paternità Amleto è inarrivabile ("morte del logos" la nominò Lavia in una lettura indimenticabile, non solo perché durò 5 ore, della piece col pallido prence di Danimarca al Teatro Argentina un paio di anni fa) e dalla sua versione cinematografica del capolavoro del bardo il talentuoso Kenneth si porta dietro oltre che Derek Jacobi e la Bonham-Carter… anche un paio di topos come conferma anche la Martini citata all'inizio, quali la scena del ballo e la tirata di scherma. Ma non è solo perché frequenta Shakespeare da sempre che Branagh conosce cosa vuol dire amore e non amore, matrimonio e non matrimonio, paternità e non paternità poiché è la propria vita personale alla fin fine la massima testimonianza umana della battaglia tra Bene e Male. E' nell'intreccio indissolubile tra quella e la sua rappresentazione che scaturisce il delinearsi del significato…ed ecco allora di nuovo la Bonham-Carter che prima di diventare la moglie del regista Tim Burton (a proposito di favole dark) è stata la sua compagna di vita e d'arte per anni, così come prima la Emma Thompson; tanto per dire il mondo li conobbe come coppia per Enrico VI e Molto rumore per nulla (quest'ultima una commedia molto adatta per una coppia che si ama e che vuole riviversi sulla scena, i romani per anni se ne sono godute le repliche al Globe Theatre con la coppia Sgaramella/Santopietro). Oggi Branagh ha l'età per il ruolo di padre e non sappiamo quanto avrebbe dato per poter tenere per sè il principe, il ruolo per antonomasia che ogni uomo, attore o meno che sia, vorrebbe e dovrebbe interpretare se non esistessero interferenze. E' questo, penso, che questa favola, così vicina alla narrazione antropologica originaria "ha da dire anche alle nostre figlie di oggi". Ve lo dice un padre di una figlia cui ha dedicato una favola sul modello fecondo, nonostante tutto, del principe azzurro, seriamente inteso come proposta di sé lanciata sul futuro. Ed è questo il Discorso sotteso che rende interessanti i discorsi fra lui e lei, fra il maschile e il femminile, a cui fa cenno ancora la Valenti quando parla di un futuro "re Kit che ascolta con attenzione per capire Cenerentola", un particolare questo dell'ascoltarsi con interesse e con premura della coppia di giovani innamorati che curiosamente ha tanto colpito anche il mio amico Massimo, padre e marito prima di essere ingegnere. Alla faccia di tutto il chiacchiericcio consumatosi sui media in direzione della demitizzazione quando non della distruzione sistematica del principe azzurro (due esempi per tutti: un'attrice italiana raccontava in un'intervista essere sue costume con le figlie spernacchiare i principi quando li incontrava nelle favole, e il titolo fuorviante Il principe azzurro non esiste di un libro della Newton Compton sulla violenza sulle donne). Ma per fortuna basta un film ben fatto e come per incanto si ricomincia a cantare sulle note di Strong (il tema dei titoli di coda che suggella la proiezione) dando ragione al Camillo Langone convinto che tutte le donne sognino il principe e il matrimonio, che lo ammettano o meno. La nostra storia è salva, almeno per il momento…già perché l'assedio di chi eccepisce che le favole degli umani si possano raccontare altrimenti (vedi come esempio la serie Once upon a time e il film Into the woods, tratto dal musical omonimo, uscito a ridosso proprio di Cenerentola) continua…

PS Il pezzo era stato scritto un Natale fa, ma era rimasto inconcluso in attesa di un finale con le citazioni precise al riguardo di Into the woods…(ve le lascio come compito a casa facoltativo così come il titolo ancora per me misterioso del libro che sta finendo di leggere il padre all'inizio del film…). Passato un anno, lo ripropongo senza cambiare nulla (tanto nemmeno l'accenno alla Roma in crisi sembra tanto diacronico da renderlo inattuale…) in occasione della messa in onda sul Satellite che in genere precede di poco il passaggio sulle reti generaliste, e quindi la reale prima visione del film per un pubblico più vasto di quello cinematografico.


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