La biblioteca pubblica tra globale e locale.

July 12, 2017 | Autor: Alberto Petrucciani | Categoría: Library Science, Public Libraries
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Descripción

Amministrazione provinciale di Pescara Biblioteca provinciale "G. D'Annunzio"

Biblioteche provinciali e archivi: la sezione locale e la memoria del territorio

Vili Convegno nazionale Pescara, 23-24 settembre 2004

Atti a cura di Dario D'Alessandro

ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE

Amministrazione provinciale di Pescara Biblioteca provinciale "G. D'Annunzio"

Biblioteche provinciali e archivi: sezione locale e la memoria del territorio v i l i Convegno nazionale Pescara, 23-24 settembre 2004 Atti a cura di Dario D'Alessandro

Roma Associazione italiana biblioteche 2005

Redazione: Maria Teresa Natale

INDICE

Premessa (Dario D'Alessandro)

7

Giuseppe De Dominicis, Saluto

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Miriam Scarabò, La biblioteca e l'archivio della memoria

13

Emanuela Impiccini - Tiziana Morgese, L'indicizzazione semantica nella sezione locale tra Soggettarlo e Gris

17

Giuliana Zagra, Società e vita culturale del territorio attraverso le biblioteche d'autore

31

Antonio Dentoni Litta, Gli archivi nelle biblioteche: prime riflessioni per un progetto di lavoro

37

Claudio Leombroni, Biblioteche e comunità locali: politiche in ambito culturale

53

Alberto Petrucciani, La biblioteca tra globale e locale

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pubblica

Sara Pollastri, L'archivio come garante della conservazione della memoria: esperienze fiorentine

11

Dario D'Alessandro, / / DNA delle biblioteche provinciali: i fondi locali. Esperienza italiana e di altri paesi europei e latinoamericani

79

Rino Pensato, Le risorse documentali locali in ambito digitale

87

Stampa: La tipografia s.r.l., Roma © 2004 Biblioteca provinciale "G. D'Annunzio", Pescara (per i testi) © 2005 Associazione italiana biblioteche Produzione e difliisione: Associazione italiana biblioteche C.P. 2461 - Roma A.D. Tel. 064463532, fax 064441139 e-mail [email protected], http://www.aib.it ISBN 88-7812-177-0

TAVOLA ROTONDA

Archìvi statali e biblioteche provinciali e consorziali: i documenti locali e la valorizzazione del territorio Giovanni Battista Sguario, La sezione locale della Biblioteca consorziale di Viterbo e la valorizzazione del territorio

97 5

T A V O L A ROTONDA

La sezione locale delle biblioteche provinciali: Vhumus della cultura del territorio Vincenzo Lombardi, L'esperienza della provinciale "P. Albino"di Campobasso

Biblioteca 103

T A V O L A ROTONDA

Le esperienze dì digitalizzazione dei fondi locali nelle biblioteche e negli archivi Alessandro Sardelli, L'esperienza nazionale centrale di Firenze Enrico Sorrentino, L'archivio,

della

Biblioteca

o della perfezione

Valeria Trevisan, L'esperienza della Biblioteca "Claudia Augusta di Bolzano "

6

109 del male

115

provinciale 119

Alberto Petrucciani*

L a biblioteca pubblica tra globale e locale

La biblioteca è un'istituzione caratterizzata da molte ambivalenze, come molte ambivalenze caratterizzano la professione del bibliotecario, e probabilmente questa è una delle ragioni che rendono diffìcile, di solito, comprendere dall'esterno cosa sia l'una e cosa sia l'altro, a chi non ne abbia una esperienza molto ravvicinata, diretta. La biblioteca, per esempio, resiste a essere collocata in qualsiasi comparto predefinito: non è semplicemente un'istituzione educativa, come la scuola, perché può essere vista anche come un servizio per i l "tempo libero", è legata allo studio, alla ricerca, ma anche all'informazione, alla lettura, allo svago. Anche quando consideriamo un singolo tipo di biblioteca, come la biblioteca pubblica, ritroviamo delle ambivalenze costitutive, fondamentali. La biblioteca pubblica può essere definita un servizio di base per tutti i cittadini, «il centro informativo locale che rende prontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informazione». Sono le parole del Manifesto Unesco. Ma è anche un'istituzione della comunità locale, la sua memoria storica. Questa ambivalenza non è una curiosità teorica, qualcosa di astratto, anzi assume caratteri concreti e perfino drammatici. Se, per esempio, consideriamo la biblioteca pubblica come servizio di base per i cittadini, al pari della scuola, o del servizio postale, ci verrebbe da dire che essa dovrebbe essere disponibile, più o meno con le stesse condizioni, per tutti i cittadini del paese, dando insomma a tutti le stesse opportunità (un concetto fondamentale tra i valori della democrazia e anche tra quelli della biblioteca). Sappiamo che in Italia non è così, siamo lontanissimi da questo traguardo. Pensate ancora al confronto tra biblioteca di base, scuola e servizio postale: è come se, in tante zone d'Italia, le scuole non ci fossero, o fossero affidate per poche ore a un volontario o a un obiettore di coscienza, o se l'ufficio postale aprisse due o tre ore, nemmeno tutti i giorni, e alla prima difficoltà o imprevisto rimanesse chiuso per mesi, se non per anni.

* Università di Pisa.

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Come istituto della comunità locale, quali sono, le biblioteche pubbliche rientrano di fatto tra i servizi che le amministrazioni locali possono avere, o non avere, e, quando la biblioteca c'è, le caratteristiche del suo servizio possono essere le più diverse, e spesso del tutto insufficienti. Intendiamoci: nessuno pensa che le biblioteche pubbliche possano o debbano costituire una rete unitaria e uniforme, come quella postale, con un'unica amministrazione (di conseguenza, statale o dipendente dallo Stato). Questo non avviene in nessun paese avanzato ed è bene che sia così. Però è indubbio che qui tocchiamo un punto dolente: c ' è un'inevitabile contraddizione tra la biblioteca pubblica come servizio di base per tutfi e la biblioteca pubblica come istituzione locale. Intendiamoci ancora: che per questa ambivalenza non esista una soluzione completa e radicale non vuol dire che non esistano strade per ridurre questo iato. Le due esigenze che sentiamo, del servizio per tutti e del legame con la comunità locale, possono essere in varie maniere armonizzate, sia tramite interventi legislativi (che però non possono invadere l'autonomia degli enti locali) sia soprattutto attraverso azioni polìtiche e finanziarie di sostegno al raggiungimento di standard accettabili di servizio. Ma oggi non mi vorrei soffermare sull'aspetto istituzionale quanto piuttosto sull'ambivalenza, diciamo così, culturale della biblioteca pubblica. D i questa ambivalenza da un'altra prospettiva ho parlato tre anni fa, nel convegno del 2001. I l tema era " I l bibliotecario 'locale': ieri e domani". I l bibliotecario locale (che è poi molto spesso più o meno come dire la biblioteca, che vive in quanto ha un bibliotecario ed è tanto attiva quanto i l bibliotecario riesce a esserlo) si trova di fatto a doversi inserire in un doppio sistema di relazioni. Da una parte, deve collegarsi e cooperare con le altre biblioteche e gli altri bibliotecari, dello stesso genere e di genere diverso: per un servizio migliore e più funzionale sul territorio, per fare la sua parte nel sistema globale del controllo bibliografico e della disponibilità delle pubblicazioni, per dare il suo contributo alla comunità professionale che deve sempre sviluppare e aggiornare i metodi e le tecniche della biblioteconomia. Ma, dall'altra parte, altrettanto solido e costante deve essere i l rapporto con le istituzioni locali, con i decisori politici e amministrativi, con le forze sociali, le scuole, le associazioni, e ovviamente con le altre istituzioni culturali cittadine o del territorio. Entrambe queste sfere di relazioni sono fondamentali per la "riuscita" della biblioteca 66

locale, l'una non meno dell'altra, e l'una non può sostituire o surrogare l'altra. Anche dal punto di vista culturale, come da quello istituzionale, la biblioteca pubblica ha una profonda ambivalenza. E un istituto che dovrebbe essere universale, che dalla Valle d'Aosta alla Sicilia dovrebbe offrire a tutfi una "finestra sul mondo" - come nel manifesto creato dai bambini di Lugo - , una via di accesso alla cultura del pianeta, una cultura che oggi condividiamo molto più di ieri. Nello stesso tempo, possiamo e dobbiamo anche dire che ogni comunità locale è diversa da qualsiasi altra, e che la biblioteca pubblica potrebbe, e dovrebbe, essere (anche) lo specchio della comunità locale, nella maniera più completa e fedele. Anche questa ambivalenza, naturalmente, non è una contraddizione assoluta e senza risposte. Sicuramente abbiamo tutti pronta una risposta semplice e chiara: la biblioteca pubblica avrà, per la sua natura (che, come si è visto, è da questo punto di vista duplice), una collezione generale e una raccolta locale. La collezione generale, anche se non sarà idenfica in ogni biblioteca pubblica del paese, o del pianeta, offrirà, per esempio, testi degli scrittori classici e contemporanei, di ogni tempo e di ogni paese, saggistica di vario livello in tutti i campi e su tutfi gli argomenfi di interesse, e spesso anche musica, film, 0 altre risorse diverse dal libro e dal periodico. La sezione locale, invece, cercherà di raccogliere e documentare la storia, la vita, la cultura della città e del territorio. Ma proviamo a portare all'estremo questa logica un po' astratta, da pianificazione a tavolino. Non per contestare questa risposta semplice ma per capire meglio che così semplice, in effetti, non è. Prendiamo spunto da una considerazione incidentale di Diego Maltese, in un contributo biblioteconomico su cui mi fermo più avand, e da quanto ha scritto da tutt'altra prospettiva un grande storico, Edoardo Grendi, nel miglior lavoro che conosco sulla storia locale e i l suo significato. Ingenuo e sbagliato, avverfiva Maltese, è pensare che la storia locale «possa ancora considerarsi i l tassello di un mosaico», che messo insieme con gli altri darebbe perciò "tutta" la storia {La sezione locale, «Giornale della libreria», 97 (1984), n. 7/8, p. 137). A l contrario - ha spiegato Grendi {Storia di una storia locale: l'esperienza ligure 1792-1992, Venezia: Marsilio, 1996) - va piuttosto considerata una specie di "contropelo" della storia, un contraltare che deve stimolare e anche mettere in discussione la storia "generale", mostrare falle e assenze o aprire prospettive nuove. Ma non solo. Per la loro natura - ci ha ricordato ancora Grendi - gli studi locali 67

hanno aUre due funzioni importantissime per gli studi storici (e non solo): costituiscono i l luogo naturale di confronto e scambio tra diverse prospettive disciplinari (sul territorio le scienze umane incontrano anche le discipline naturalistiche, oltre che, ovviamente, l'economia, i l diritto e la tecnica) e i l luogo d'incontro dello storico "di professione" con i l libero cultore della memoria locale, con qualsiasi interessato, e in un ultima istanza con tutti coloro che in quel territorio vivono, v i sono legati, possono essere coinvolti a conoscerlo meglio e magari a tutelarlo. Torniamo alla collezione generale e alla raccolta locale. Se ci caliamo nelle problematiche concrete della loro formazione e della loro gestione, sorgono interrogativi non tanto diversi da quelli suscitati dalle considerazioni teoriche. Giustapporre collezione generale e raccolta locale, come tendiamo istintivamente a fare, può essere una risposta asfittica, sterile, poco vitale. In prafica, dove vanno la storia locale o gli "autori locali"? Nella sezione locale, certo. Ma solo in quella? Attenzione: se facciamo così, è come se dicessimo - nella "lingua" della biblioteca - che la nostra comunità locale sta "fuori" dalla comunità più ampia, nazionale e umana, non ha contato nulla, può non esserci ed è come se non ci fosse, nella storia "generale", in quella letteraria, artistica, religiosa, della scienza, e via dicendo. Non sarebbe meglio, al contrario, mettere in evidenza la nostra comunità locale entro comunità più vaste, invece di segregarla? Far risaltare di più, poniamo, negli scaffali della letteratura italiana, con una presenza più costante e più fitta che in biblioteche di altre città o regioni, gli autori più legati alla comunità, perché v i sono nati o vissuti, perché l'hanno descritta, v i hanno ambientato delle loro opere ecc. Lo stesso potrebbe avvenire in tutti gli altri settori della biblioteca: per esempio, nelle scienze sociali, tema per tema, dalla scuola, all'industria, alla delinquenza, e così via. Accanto alle opere generali potremmo collocare, dovunque possibile, gli approfondimenfi locali, gli studi che ci permettono di calarci nel vivo della storia e dei caratteri della nostra comunità. Intendiamoci: questa non è, non vuole essere, una proposta concreta, da applicare subito. E un invito a riflettere sul problema, senza dare per scontato che v i sia una sola e immutabile risposta. Potrebbe diventare una proposta concreta, se ci convincerà e v i convincerà, ma non qui e non ora. Si potrebbe osservare che, in pratica, al problema si può ovviare in alcuni casi con più copie delle stesse opere (una nella collezione 68

generale, una nella raccolta locale) e che di alternative problematiche in un sistema di classificazione ce ne sono sempre. Questo è vero, e molto di rado - mai, mi sembra, quando i l problema è propriamente classificatorio - alle alternative problematiche si può ovviare con una pluralità di copie. M a la questione posta qui è diversa: non riguarda la collocazione entro uno (un singolo) schema classificatorio, ma piuttosto l'integrazione, oppure la segregazione, di una collezione consistente entro quella generale. Possiamo notare a questo proposito, come spunto di riflessione, che se l'approccio "segregante" è tipico della raccolta locale, al contrario è prassi consolidata quella di mettere in evidenza, in un sistema classificatorio generale (per esempio, nella CDD), la cultura e la lingua nazionale. Si tratta, evidentemente, di approcci opposti a problematiche innegabilmente analoghe, anche se non identiche. Restando ancora nel campo dei semplici "esperimenti mentali", non delle proposte operative, possiamo del resto mettere in discussione anche la contrapposizione di approcci appena enunciata. Potremmo pensare, per esempio, a una sorta di "sezione locale distribuita", tanti piccoli scaffali "locali" disseminati nei diversi settori, classe per classe e divisione per divisione, così da dare in qualche modo veste materiale al suggerimento grendiano della storia locale (degli studi locali) come contraltare di quella (o quelli) "generali". Saremmo ancora, peraltro, a un dualismo, a una separazione. Potremmo, allora, ipotizzare ancora un'altra soluzione: per esempio, una vistosa etichetta speciale, libro per libro, che evidenzi nella sequenza generale quelli di "connessione locale", senza separarli dagli altri, ma rendendoli comunque riconoscibili a colpo d'occhio, come punti di colore in un panorama. Ma lasciamo ora da parte l'aspetto della collocazione o classificazione del materiale locale e proviamo a guardare i l problema da un'altra angolazione, quella dell'utenza. Incontreremo, credo, le stesse problematiche e gli stessi dubbi. La sezione locale ha spesso corso i l rischio di essere luogo sonnacchioso, piccola riserva di caccia erudita per un piccolo gruppo di affezionati locali (tra i quali per primo, se andiamo indietro di qualche decennio, i l bibliotecario stesso). Un fenomeno culturale, caratteristico della biblioteca di provincia di fine Ottocento e di gran parte del Novecento, che non si vuole demonizzare o svilire, che anzi merita i l nostro apprezzamento e rispetto e ha dato molti contributi tuttora utili e insostituibili, ma si è rivelato nel corso del tempo sempre più sterile. 69

Senza offesa per i nostri (o vostri) predecessori, bisogna riconoscere che molte volte, fin verso la fine degli anni Sessanta, le biblioteche civiche italiane, le piccole e spesso anche le grandi, sono state solo una specie di sezione locale "sovradimensionata": biblioteche di studi locali, piuttosto che biblioteche pubbliche "generali". Biblioteche in cui anche i l materiale di carattere generale, che c'era, era di fatto materiale di supporto agli studi locali, serviva a sorreggerli e a metterli in comunicazione con un circuito più vasto, piuttosto che svolgere una funzione diversa per un pubblico diverso. I risultafi di quella stagione, sul piano culturale, sono stati a volte di notevole r i lievo e hanno avuto importanti ricadute sulla comunità locale - penso per esempio al caso della Spezia, allo sviluppo della città e all'istituzione della Provincia - ma questa è rimasta sostanzialmente estranea alla biblioteca come servizio. A l contrario, per noi oggi la biblioteca pubblica non può configurarsi se non come servizio diretto alla comunità, in tutte le sue componenti, nessuna esclusa. Questo carattere ci pare oggi indiscutibile, eppure se andate a rileggere i dibattiti professionali sugli standard per le biblioteche pubbliche elaborati dall'AIB nel 1965 toccherete con mano che allora molti bibliotecari, direttori di parecchie fra le più importanti biblioteche comunali, non la vedevano così: ritenevano piuttosto che i l compito delle biblioteche civiche fosse essenzialmente quello di una sorta di "supersezione locale", mentre della "pubblica lettura" dovevano occuparsi, semmai, altri istituti, in sostanza delle "biblioteche popolari". I l modello della biblioteca civica di studi locali, comunque, è finito per consunzione interna, prima ancora che per revisione teorica da parte della professione, ma forse proprio per questo è stato semplicemente messo in un canto, piuttosto che compreso e magari "inverato" in un contesto nuovo. Altrettanto sterile, mi sembra evidente, è la sua semplice negazione, rischio che pure molte biblioteche hanno corso: la biblioteca pubblica generale senza una sezione locale o più spesso, vista la vocazione nazionale al compromesso senza scelte radicali, con una sezione locale diventata marginale, stenta, un po' malvista, condannata a vivacchiare in secondo piano. Una risposta diversa, con una sua forza, è stata quella che potremmo dire della "sezione locale per tutfi": la biblioteca pubblica che si fa anche "archivio della cultura di base", centro di raccolta della tradizione o della storia orale, dei materiali minori, e che si propone di lavorare in comune, in questo campo, con le altre struttu70

re di base, tra le quali ovviamente le scuole, ma anche le strutture sindacali o le associazioni culturali. Aprire la sezione locale, insomma, non ai soli studiosi o eruditi ma, per quanto possibile, a tutti, e più ancora coinvolgere nella "produzione" della cultura locale - non solo nella fruizione - tutti coloro che, fin lì, erano al massimo oggetti, non soggetti, di storia. Del resto, se ci fermiamo a rifletterci, fruizione e produzione erano già un circuito unitario per i frequentatori della biblioteca civica di studi locali: ricercare i documenti, decifrarl i , interpretarli, pubblicarli, discuterli, erano per loro tutt'uno. Dopo la stagione che possiamo dire della "riappropriazione" (termine che ha avuto largo corso negli anni Settanta e che troviamo anche nella pagina di Maltese), stagione evidentemente legata a un impegno anche politico e alla ricerca di interlocutori sociali, possiamo riconoscere, nel corso degli anni Ottanta, la ricerca di un nuovo profilo, incentrato sull'informazione e la documentazione locale. La connessione locale incontra la tematica del reference, del servizio informativo, e si comincia a parlare di "informazione di comunità". È facile dare un riferimento cronologico preciso, l'articolo di Daniele Danesi e Silvia Ermini, L'informazione di comunità: un servizio da scoprire: le ipotesi di lavoro della Biblioteca di Scandicci, pubblicato su uno dei primi numeri di «Biblioteche oggi» (2, 1984, n. 2, p. 23-35). A l di là degli esiti concreti, rimasti a mio avviso piuttosto circoscritti, molto importante è la rottura della cortina fra storia e attualità. Mentre la sezione locale ha guardato indietro, soprattutto alle origini - più o meno nobili e remote - della comunità locale, l'informazione di comunità guarda essenzialmente al presente, e vede anche i l passato da questa prospettiva. Attraverso questa nuova visione, la biblioteca pubblica può arrivare preparata - anche se non sempre, in pratica, v i arriva - alla stagione ormai molto più vicina a noi delle reti civiche. Un po' curiosamente - anche se è un fenomeno a cui ormai mi sono abituato - i l contributo migliore, a mio parere, sul significato, i l senso, i problemi e le ambivalenze, della "sezione locale", è un vecchio articolo di Maltese a cui ho già fatto più volte riferimento. Un articolo di una sola pagina, uscito sul «Giornale della libreria», nel numero di luglio/agosto 1984, nella rubrica che Maltese v i teneva allora. Ripreso - occupa qui una pagina e mezzo - nel volume La biblioteca come linguaggio e come sistema (Milano: Bibliografica, 1985), che costituì allora una specie di manuale a puntate, migliore di tutti gli altri di cui potevamo disporre. 71

Nella primavera di quell'anno 1984 si erano svolti i convegni di Cagliari e di Castelfiorentino; era già in preparazione, per l'anno seguente, quello di Vinci sulla biblioteca speciale e specializzata. Maltese esordiva chiarendo che, considerando oggi la biblioteca pubblica (biblioteca locale, per essere «più espliciti»), «la sua competenza non può più esaurirsi nel vecchio istituto della sezione locale, vale a dire di un apparato di consultazione specializzata - e quindi separata dalle altre raccolte - per la ricerca nella storia locale». E provava subito (in una pagina sola, i passaggi sono piuttosto densi) a spostare l'ottica dalla sezione locale alla biblioteca nel suo complesso: «Per la sua stessa collocazione culturale la biblioteca locale è nel suo insieme, necessariamente, una biblioteca specializzata nella storia locale, in quanto costituisce essa stessa un documento di storia e cultura locali. Posto in questi termini i l problema della specializzazione della biblioteca per la ricerca locale, diventa difficile parlare ancora di sezione locale nella biblioteca pubblica, senza avvertire l'angustia di quel concetto e di quell'istituto». «Non è la sezione di storia locale - continuava - e neppure la presenza di una distinta raccolta specializzata, di per sé, a fare di una biblioteca una struttura della ricerca di storia locale, ma i l modo in cui la biblioteca realizza la mediazione tra memoria collettiva, di cui essa stessa costituisce un compendio significativo, e comunità locale». Ribadiva, poi, che i l profilo della sezione locale veniva da un'esperienza, sempre importante per capire le radici storiche di un istituto, e che quel profilo, che possiamo dire per comodità (un po' ingenerosamente) vecchio, si era di per sé esaurito. «L'istituto della sezione locale nella biblioteca pubblica è in realtà legato alla tradizione della ricerca erudita di estrazione antiquaria, cioè ad un'immagine statica della biblioteca e dei suoi servizi, come di serbatoio da cui chi vuole può attingere ciò che vuole. Entrata in crisi quell'immagine - proseguiva - [...] la risposta alla domanda di servizi nuovi da parte della biblioteca pubblica e all'esigenza di un rapporto interattivo tra collettività e archivio della memoria collettiva viene cercata nel metodo e nelle tecniche della documentazione. Ma noi sappiamo che questo significa, in realtà, per i l bibliotecario, un modo più diretto, più personalizzato, di fare informazione in contesti specifici, un impegno a rivedere e a rinnovare radicalmente i l suo modo di lavorare». Fin qui Maltese, e mentre i l movimento analitico della sua ricostruzione ci persuade, forse meno articolata e convincente, a mio avviso, è la conclusione, che rimanda semplicemente ai temi del mo72

mento, alla "riscoperta" della funzione di informazione e documentazione. Ripartendo da questo contributo, di recente, Giambattista Tirelli ha rimesso in guardia dalla «pigrizia di costruire i l rapporto col territorio innanzitutto (o, ancor peggio, esclusivamente) sul "vecchio istituto della sezione locale"» {Per una biblioteca pubblica giocale, «Biblioteche & musei», n. 6, giù. 2001, p. 10-11). A suo parere, è bene guardarsi dalla «malattia erudita che reclama l'isolamento della documentazione locale ottenendo i l logico risultato di sterilizzarla, di sancirne i l patologico sottoutilizzo». La sezione locale come "corpo separato", insomma, sarebbe incapace di dar vita a un servizio pubblico su scala significativa, mentre assorbirebbe inevitabilmente «sempre più tempo e risorse immancabilmente limitati», con i l r i schio perciò di indebolire, in ultima istanza, la funzione generale della biblioteca pubblica e i l suo impatto nella comunità. Non pretendo, naturalmente, di avere in tasca risposte migliori o più complete e aggiornate di quelle che Maltese proponeva vent'anni fa, ma tre punti credo che vadano oggi posti fortemente all'attenzione di tutti. 1) Nell'epoca che si usa chiamare della "globalizzazione", in cui dilagano omologazione culturale e appiattimento, è più importante che mai non dividere, non settorializzare. Non c'è r"universale" o "globale" da una parte, e tutto i l resto - cioè le concrete differenze e tradizioni di ciascuno - da qualche altra parte, tagliato fuori. A l contrario, anche le cose che sono più largamente conosciute e condivise nel pianeta sono pezzi della storia di qualcuno, che sono riusciti a diventare patrimonio (abbastanza) comune. In questo patrimonio collettivo ognuno ha apportato qualcosa, anche se (molto spesso) non lo sa. I l "locale", quindi, non solo non è "fuori", ai margini, ma nemmeno è "contro", qualcosa di alternativo, qualcosa da contrapporre: una tentazione che potrebbe venire e che è pure comprensibile, ma un po' ottiasa e inevitabilmente subalterna. I l "locale" è, semplicemente, ciò da cui viene quanto è comune. Quanto diviene comune, attraverso quelle dinamiche storiche e sociali che sono fatte, ovviamente, di conflitto come di osmosi, di guerre e di amori, di viaggi e commerci e di letture. 2) Nella biblioteca pubblica, cioè per tutti - che davvero per tutti non riesce mai ad essere, in effetti, ma sempre v i aspira e lavora per questo - , non può avere posto una concezione chiusa, quella della sezione locale per gli studiosi, non devono esserci compartimenti stagni, né divisioni precostituite che non possano essere messe in discussio73

ne, tra tipi o livelli diversi di fruizione, o tra la fruizione e la produzione culturale. 3) Questo non significa, però, fare parti uguali fra diseguali, confondere l'equità di accesso e di servizio - su cui m i sono soffermato qui qualche anno fa - con una risposta uniforme, inevitabilmente appropriata per qualcuno e inappropriata per qualcun altro. I l servizio appropriato allo studioso specializzato non è appropriato al ragazzo delle scuole medie, e viceversa. Così come sono diverse, nell'attività della biblioteca, le esigenze della ricerca e quelle della divulgazione. Si tratta, certo, di distinzioni fluide e sempre discutibili, mai da prendere come assolute e definitive, ma che vanno comprese, e vanno sempre tenute presenti nella programmazione dei servizi e delle i n i ziafive. Vorrei insistere, per concludere, sulle esigenze della ricerca e sul ruolo che la biblioteca locale può, deve, svolgere in questo campo. I pericoli di indebolire, invece di rafforzare, i l proprio ruolo ci sono, ma vanno corsi con intelligenza e magari con prudenza, invece di abbandonare questo terreno. Del resto, dire ricerca comporta anche porre i l problema della divulgazione dei suoi risultati, e viceversa questa non ha senso senza quella. La sezione locale erudita d'una volta, che fin qui abbiamo un po' bistrattato, aveva, almeno nei casi migliori, parecchie cose da insegnare e ce l'ha ancora. Del resto, lavori di "microstoria", o più in generale di storia locale, sono quelli che hanno consacrato di solito i più nofi studiosi delle discipline storiche negli ultimi decenni. Bisognerà anche avvertire - pur senza poterne spiegare qui le ragioni - che i bibliotecari eruditi di allora godevano di solito, nella comunità locale, di un prestigio, di un'autorevolezza e di un riconoscimento, superiori a quelli di oggi. Abbandonare i l terreno della ricerca, quindi, ha forse indebolito la biblioteca locale piuttosto che rafforzarla. La biblioteca pubblica, anche piccola, e quindi i l suo bibliotecario, deve anche oggi, a mio parere, assumersi questa responsabilità di ricerca e produzione culturale, considerarla parte a pieno titolo del proprio ruolo. Anche se è una parte che non può andare a scapito delle altre: più indispensabili, diremmo, o meglio di portata più larga. E questa parte, di ricerca e produzione culturale, se la si svolge, si deve svolgerla con tutto i l dovuto rigore, oltre che con la necessaria collaborazione con le altre professionalità della cultura, a partire dagli archivisti e dai conservatori dei musei, e con gli specialisti dei diversi campi. Del resto, i l bibliotecario fa anche professione di bibliografia e di documentazione e, di conseguenza, non può certo considerarsi 74

esentato dal dovere di conoscere la letteratura, di vagliare criticamente le fonti e di documentare le proprie affermazioni. Ne verrebbe qualcosa di buono, probabilmente, anche sul fronte delle relazioni con la comunità e del prestigio del suo istituto, che è sempre indissolubile da quello della persona che lo dirige. Se l'istituzione per cui i l bibliotecario lavora è una biblioteca pubblica, non un centro specializzato, naturalmente la ricerca dovrà mirare in direzioni che possano essere significative per i l suo pubblico. Navigando in rete mi ha molto colpito, per esempio, la scarsissima presenza delle biblioteche pubbliche nel campo dell'informazione storica sul territorio. Quando si ricercano notizie locali, storiche, topografiche, biografiche, iconografiche, ci si imbatte in un gran numero di siti che sono i l risultato di iniziative spontanee, talvolta legate alla valorizzazione turistica (o perfino alla gestione della toponomastica urbana), qualche volta nate nelle scuole, in altri casi collegate a iniziative commerciali, ma mai o quasi mai volute o curate dalle biblioteche pubbliche. Un'assenza sorprendente, se pensiamo alla tradizione della sezione locale e al dato di fatto, per quanto banale, che la biblioteca è sicuramente la sede meglio fornita e attrezzata per quanto riguarda le fonti e gli strumenti (e anche, si vorrebbe dire, i metodi). È un terreno, questo, che offrirebbe alla biblioteca pubblica una più larga visibilità, oltre a un concreto apprezzamento per come sa valorizzare e mettere a disposizione le conoscenze e i documenti che raccoglie, organizza e conserva. Una maniera più concreta, comodamente accessibile, amichevole, per mostrare a tutti, anche a chi la biblioteca non la frequenta - e sono sempre la larga maggioranza dei cittadini - che essa è davvero la memoria della comunità. Senza dimenticare però, accanto alla presenza nel Web, una vera - o se si vuole tradizionale - attività editoriale, a stampa, di cui si è parlato anche qui in altra occasione e che rimane, se gestita con professionalità e intelligenza, una eccellente forma di diffusione e di conservazione, ossia di trasmissione, della conoscenza e della cultura.

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