L\' \'indio\' e il \'viajador\': la strana coppia del \"Lazarillo de ciegos caminantes\"

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Descripción

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BiBlioteca di Studi iSpanici 30

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BiBlioteca di Studi iSpanici a cura di

Giuseppe di Stefano (pisa), coordinatore Giovanni caravaggi (pavia), antonio Gargano (napoli), alessandro Martinengo (pisa), Valentina nider (trento), norbert von prellwitz (roma), Maria Grazia profeti (Firenze), aldo ruffinatto (torino), tommaso Scarano (pisa), emma Scoles (roma) carlos alvar (Ginevra), ignacio arellano (pamplona), aurora egido (Zaragoza), José lara Garrido (Málaga), José Manuel lucía Megías (Madrid, complutense)

Segreteria di redazione: elena carpi (pisa)

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a. candeloro, F. cappelli, G. Fiordaliso r. Gigliucci, S. pezzini, G. poggi l. Selvaggini, e. Ventura

Variazioni sulla picaresca intrecci, sviluppi, prospettive

a cura di Federica cappelli e Giulia poggi

Edizioni ETS

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Pubblicazione realizzata con i fondi del progetto PRIN 2008 “Relazioni intertestuali fra Spagna e Italia: riscritture e traduzioni”, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa

© copyright 2013 edizioni etS piazza carrara, 16-19, i-56126 pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie libri Spa Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 assago (Mi) Promozione pde proMoZione Srl

via Zago 2/2 - 40128 Bologna iSBn 978-884674557-6

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indice

introduZione [di Giulia Poggi]

7

luiSa SelVaGGini dalla letteratura didascalica alla picaresca (con una frangia antropofagica)

15

Giulia poGGi tre spigolature zoomorfiche dal Guzmán de Alfarache

31

Federica cappelli avvisaglie pregotiche nel Marcos de Obregón di Vicente espinel

47

edoardo Ventura la pícara Justina di Barezzo Barezzi

67

GioVanna FiordaliSo effetti del kitsch: le diverse facce dell’amore in Varia fortuna del Soldado Píndaro di Gonzalo de céspedes y Meneses

87

antonio candeloro una novella ‘italiana’ ne Las harpías en Madrid di castillo Solórzano

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roBerto GiGliucci La fanciulla delle truffe: appunti preliminari

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L’indio e iL viajador: La strana coppia deL LazariLLo de ciegos caminantes

sara pezzini Università di pisa

Les hommes sont comme les plantes, qui ne croissent jamais heureusement, si elle ne sont bien cultivées. (MontesqUieU, Lettres persanes)

1. Un «Lazarillo» del settecento el Lazarillo [de tormes] tuvo continuadores de todo tipo, algunos directos (segundas y terceras partes), lo que será normal en obras posteriores del género; pero sobre todo se recogió lo que había sido el «modo» de narrar una historia cercana, es decir muchos de los rasgos característicos de la obra1.

a questa sintesi di Jauralde pou sulla fortuna del Lazarillo de tormes potremmo aggiungere che uno dei segnali più evidenti del processo di consapevolezza del genere si intravede, ancor prima che nelle forme e nei contenuti delle sue continuazioni, nella serialità che contraddistinse i loro titoli. in effetti, negli anni e nei secoli successivi alla pubblicazione del Lazarillo e del guzmán, varianti del nome passato a designare il genere narrativo si combinano con il luogo di provenienza dei suoi protagonisti (el guitón Honofre, La ingeniosa elena, el sagaz estacio, il mozo de muchos amos, La pícara justina, il Lazarillo de manzanares…): un proliferare di pícaros che, sulla scia del successo ottenuto dai loro predecessori, vantavano, almeno dal di fuori, vincoli di parentela più o meno stretti con il personaggio di alemán o con quello dell’anonimo creatore del primo Lázaro2. La propaggine estrema di un fenomeno d’emulazione tanto rilevante per durata ed estensione si colloca nel settecento inoltrato, quando l’asturiano alonso carrió de la Vandera, funzionario della corona borbonica ed incaricato di riformare la rete della posta tra Buenos aires e Lima, battezza il suo resoconto di 1 p. JaUraLde poU, «introducción», in aa.VV., La novela picaresca, Madrid, espasa calpe, 2001, pp. XiX-XX. 2 d’altronde Franco Moretti ha sintetizzato in maniera particolarmente convincente la riflessione sul meccanismo di trasformazione che da un modello letterario conduce alla perpetuazione dell’epigono. non resistiamo al piacere di citarla: «per ogni genere letterario giunge il momento in cui la sua forma non è più in grado di rappresentare gli aspetti più significativi della realtà contemporanea […] e a quel punto, o il genere rinuncia alla propria forma sotto l’urto della realtà, finendo col disintegrarsi, oppure rinnega la realtà in nome della forma, diventando così, nelle parole di Šklovskij, un mediocrissimo epigono» (F. Moretti, La letteratura vista da lontano, torino, einaudi, 2005, p. 81).

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viaggio con l’emblematico titolo di Lazarillo de ciegos caminantes3. per rendere ancor più interessante un frontespizio già di per sé evocativo, don alonso – che pubblicò il libro in perù, a Lima, nel 1775 o 1776 – lo arricchisce di una serie di notizie false mirate a nascondere la propria autorialità e a inventare un luogo, una data di pubblicazione e persino un nome per la stamperia (La robada, o rovada), come si può vedere dalla portada fasulla della prima e unica edizione pubblicata in vita4: el Lazarillo de ciegos caminantes desde Buenos aires hasta Lima con sus itinerarios según la más puntual observación, con algunas noticias útiles a los nuevos comerciantes que tratan mulas; y otras históricas. sacado de las memorias que hizo don alonso carrió de la Vandera en este dilatado viaje, y comisión que tuvo por la corte para el arreglo de correos y estafetas, situación y ajuste de postas, desde Montevideo. por don calixto Bustamante carlos inca, alias concolorcorvo, natural del cuzco, que acompañó al referido comisionado en dicho viaje y escribió sus extractos. con licencia, en Gijón, en la imprenta de La robada. año de 17735.

preoccupato di prevenire l’eventuale censura e salvaguardare i delicati rapporti con gli ambienti dell’amministrazione coloniale, che biasima oppure critica non sempre velatamente, l’autore delega la trascrizione delle sue memorie al suo accompagnatore, accostando quest’ultimo all’anonimo estensore del Lazarillo de tormes. Ma d’altronde, all’epoca di carrió de la Vandera, i Voltaire, i Montesquieu, i Boswell o gli swift non facevano della mistificazione e dell’ironia l’arma più acuta per pungolare i loro contemporanei?6 3 nato a Guijón intorno al 1715, carrió si reca in giovane età nelle colonie americane. qui trascorrerà la maggior parte della propria vita spostandosi tra i grandi centri di perù e Messico e per conto del governo spagnolo ricoprirà numerosi incarichi militari e amministrativi, tra i quali quello di corregidor. per la bibliografia di carrió de la Vandera rimando a M. BataiLLon, «introduction», in concoLorcorVo, itinéraire de Buenos-aires a Lima (traduit de l’espagnol par Y. Billod), paris, institut des Hautes etudes de l’amérique latin, 1962, pp. 2-9. i dati forniti da Bataillon sono stati comprovati ed ampliati da emilio carilla nello studio introduttivo a alonso carrió de la Vandera («concolorcorvo»), el lazarillo de ciegos caminantes, Barcelona, editorial Labor, textos Hispánicos Modernos, 1973. 4 d’ora in avanti citerò il Lazarillo de ciegos caminantes dall’edizione di emilio carilla del 1973 (cfr. supra) che ho preferito (per ragioni esclusivamente cronologiche) a quella, di valore non inferiore, di Llorente Medina (1965) e alla recente, più divulgativa, uscita per i tipi argentini di stockcero (2005). 5 alle invenzioni accumulate nella portada (che ho trascritto modernizzandone l’ortografia) si deve aggiungere anche quella relativa alla licencia del libro. infatti, benché vi si affermi «con licencia», il Lazarillo in realtà vide le stampe senza (cfr. l’introduzione di carilla in carrió, op. cit., p. 17). 6 in effetti carrió de la Vandera dirige una «crítica cáustica» agli amministratori del servizio di posta che si appresta a descrivere. Le sferzate ironiche contenute nel Lazarillo sono dirette contro le famose cuatro PPPP. dietro il quadruplo acrostico si è riconosciuto, prima di tutto, l’amministratore capo del servizio, José antonio de pando, e anche un suo collaboratore, Felipe porcel («mozo inquieto y caviloso» come lo definisce carilla); più incerta, invece, l’identità degli altri due. cfr. M. zinni, «Viaje y relato o la forma del bildung en Lazarillo de ciegos caminantes», in Barroco, vol. 6.1, 2012, pp. 1-2. sullo stesso tema cfr. anche M. KLien-saManez («el Lazarillo, fray calixto y las cuatro p», in revista de crítica Literaria Latinoamericana, XXViii, 55, 2002, pp. 21-35) e poi V. GiL Mate («Un Lazarillo de capa y espada: las cuatro pppp de alonso carrió de la Vandera», in américa sin nombre, 18, 2013, pp. 78-94).

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dopo che letture partigiane ed ideologiche interpretarono a loro modo l’ambiguo frontespizio dell’opera per consacrarla tra le prime mai scritte da un nativo d’america7 (la cui identità, fra l’altro, è stata ormai accertata)8, pazienti ricerche d’archivio portate a termine da studiosi europei ed americani permisero di riconoscere in carrió il vero e unico autore di questo ‘misterioso’ Lazarillo9. stando a quanto dice la portada dell’opera e conferma, seppur con una certa incostanza, il suo contenuto, l’indio calisto de Buxtamante (o Bustamante, alias concolorcorvo) ha dunque il compito di trascrivere l’itinerario del viaggio compiuto verso la metà del secolo tra l’argentina e il perù dal viajador don alonso. per più di duecento pagine il testo descrive in maniera dettagliata il paesaggio, ma anche l’architettura, gli usi e i costumi dei centri urbani delle colonie; elenca i numerosi dati di natura topografica, demografica o economica registrati durante il percorso; oppure (ed è il compito più delicato) mostra tutti i contra del vigente sistema delle poste americane al fine di promuovere con urgenza l’intervento riorganizzativo da parte degli spagnoli. L’opera è stata oggetto d’interpretazioni molto diverse tra loro. da un lato, c’è chi ha insistito sulla sua totale estraneità nei confronti della picaresca spagnola, come Marcel Bataillon, secondo cui il Lazarillo di carrió, «malgré le premier mot de son titre», non avrebbe niente in comune con il prototipo del genere10. altri, al contrario, ne hanno sottolineato i legami, insistendo sul tentativo di recupero di alcuni tratti topici che l’autore, seppur in maniera frammentaria e superficiale, porterebbe avanti a partire dal titolo11. 7 È a partire dalla seconda metà dell’800 che l’autorità di carrió de la Vandera inizia ad essere messa in discussione. soprattutto in perù e Bolivia prevale l’idea, come afferma Llorente Medina, «de considerar a calixto de Bustamante autor del libro, basándose en la portada y en ciertas declaraciones del texto, que, aunque chocantes en boca de un indio cuzqueño aparecen en la obra. indudablemente la paternidad de «concolorcorvo» tentaba a los criollos […] quienes embarcados en un denodado afán de «nacionalizar» la antiguedad de sus orígenes, sentían paradójicamente más suyo y cercano el Lazarillo si había sido escrito por un mestizo cuzqueño («concolorcorvo») que por un español perulero» (cfr. a. LLorente Medina, «introducción», in carrió de La Vandera, el lazarillo de ciegos caminantes, caracas, Biblioteca ayacucho, 1965, p. XiV). 8 in effetti, come dice carrilla sulla base dei documenti dell’epoca, l’esistenza dell’inca «no es cosa imaginada». sull’argomento cfr. l’introduzione di carrilla in carrió, op. cit., p. 15 e pp. 3640 («el problema carrió / calixto Bustamante y la narración»). 9 L’aggettivo è di emilio carilla che, oltre ad esserne l’editore di riferimento, è anche l’autore di una monografia sul Lazarillo (el libro de los ‘misterios’: «el Lazarillo de ciegos caminantes», Madrid, Gredos, 1976), monografia (che raccoglie e, in certi casi, amplia l’analisi pubblicata tra le pagine introduttive della sua edizione), ancora oggi di imprescindibile consultazione per la comprensione di «uno de los pocos libros vivos que nos dejó […] el siglo XViii hispánico» (ivi, p. 7). di recente, José Francisco robles, più interessato all’aspetto storico e politico del resoconto di carrió de la Vandera, è autore di una tesi discussa all’Universidad de chile nel 2007 (e consultabile on-line) dal titolo «el lazarillo de ciegos caminantes» (1775) y el colonismo ilustrado. Gli articoli tratti da questo lavoro mi sono stati di grande utilità per la stesura delle presenti pagine (cfr. infra e «bibliografia»). 10 cfr. BataiLLon, «introduction», cit., p. 1. 11 cfr. a. UsLar-pietri, Breve historia de la novela hispanoamericana, caracas-Madrid, edime, 1954 e r. a. Mazzara, «some picaresque elements in concolorcorvo’s el lazarillo de ciegos caminantes», in Hispania, vol. 46, n. 2, 1963, pp. 323-327. se entrambi difesero con convinzione la connessione con la picaresca, il primo afferma che il Lazarillo de ciegos caminantes

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d’altronde, questo Lazarillo si caratterizza più per il suo statuto anfibio, a metà strada tra verità e finzione, che per l’appartenenza a un genere narrativo preciso. tra i numerosi tentativi volti a etichettare l’opera, ricordiamo quello di Bastos, secondo cui il Lazarillo di carrió es un libro de viajes, y así lo anuncia la portada de la edición falsamente fechada, falsamente localizada y falsamente atribuida. el texto responde con fidelidad, con creces a la variedad prometida: no se escatiman consejos, datos burocráticos o de catastro, descripciones, juicios, comparaciones, alusiones12.

di parere analogo si dimostra robles, secondo cui il Lazarillo di carrió testimonia una «compleja escritura» che consente all’autore, nelle vesti di viajador, di focalizzare «una serie de problemas y soluciones sobre el asunto de las postas, mansiones, comercio de mulas, entre otras, directamente relacionadas con su cargo, como también una serie de conflictos y propuestas acerca de lo que él ve en el resto de la sociedad»13. per quanto mi riguarda, concordo con la posizione più prudente di emilio carrilla per il quale «el lazarillo de ciegos caminantes no es una novela picaresca, aunque aproveche algo de su retórica»14. in effetti, dietro lo stravagante resoconto, e al di là dei fattori contingenti che lo hanno occasionato, si fa largo nell’opera anche un’ambizione più strettamente letteraria. rimane vero che il più lontano parente del salmantino Lázaro sembra costruirsi su un’intricata trama di identità narrative, su un susseguirsi di episodi realmente vissuti e ripetuti che sono quanto di più diverso possa esistere dal cammino di vita intrapreso dal protopicaro. tuttavia accanto alla serie di dati tecnici (demografici, geografici, topografici, folclorici) che punteggiano la lucida relazione di viaggio dei due caminantes, come giustificare i dialoghi con cui essi si intrattengono durante il loro lungo viaggio, oppure l’intercalare di brevi aneddoti, per non parlare delle lunghe digressioni su questioni politico-coloniali di spinosa attualità concentrate soprattutto nella seconda parte dell’opera? se, come afferma carilla, «son posiblemente varios los motivos que impulsan a carrió a llamar a su libro el lazarillo de ciegos caminantes»15, il testo ci invita a considerare le potenzialità della picaresca nel momento estremo, e forse conclusivo, della sua lunga e vivace storia.

ne sia addirittura un vicino parente: «su tono, sus personajes, su ambiente son de la picaresca. no le falta sino la trama novelesca alrededor de la autobiografía del pícaro» (UsLar-petri, op. cit., p. 39). 12 M. L. Bastos, «el viaje atípico y autópico de alonso carrió de la Vandera», in Lexis, V, 2, p. 51. 13 J. F. roBLes, «narración e invención de concolorcorvo en el Lazarillo de ciegos caminantes de alonso carrió de la Vandera», in revista de crítica Literaria Latinoamericana, 34, n. 67, 2008, p. 86. 14 carriLLa, «introduzione» a carrió, op. cit., p. 42. 15 ivi, p. 23.

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2. il patto con il «caminante»: memoriale o autobiografia? organizzata in due parti a loro volta suddivise in sezioni16, la narrazione del Lazarillo de ciegos caminantes rimanda dunque a un’esperienza reale ed è questo, a ben vedere, il primo elemento che la allontana dalla finzione autobiografica su cui si fonda la picaresca. sia carrió che Bustamante, in effetti, sono realmente esistiti, così come reale è il loro viaggio, benché, al contrario di quanto faccia credere il testo, i due condivisero soltanto una parte del tragitto, quella che separa córdoba dal potosí17. il ruolo di amanuense, poi, affidato all’indio Bustamante complica ancor più le cose e finisce per creare un passaggio ulteriore rispetto alla dialettica autore/narratore che caratterizzava lo statuto della picaresca. e tuttavia, come ogni picaro che si rispetti, anche concolorcorvo, nelle vesti di copista-narratore, accenna alla propria genealogia, ma, a differenza di quanto accade nel Lazarillo de tormes e nei vari romanzi che da esso presero vita, lo fa in maniera frammentaria, attraverso tre momenti così lontani e diversi tra loro da apparire isolati e come sospesi nel testo. così all’inizio del lungo prologo rivolto prima ai «cansados, sedientos, y empolvados caminantes», e poi ai «poltrones de ejercicio sedentario, y en particular con los de allende el mar», il copista si proclama con autoironia «descendiente de sangre real, por línea tan recta como la del arco iris» (p. 100). poco più avanti, sempre nel prologo, confiderà alcuni dettagli riguardo alle proprie origini strizzando l’occhio alla confusa genealogia con cui esordiscono tanti romanzi picareschi (così come alle pretese e ambizioni di rivalsa sociale dei loro protagonisti), complicata dai dati relativi alla propria identità indigena: Yo soy indio neto, salvo las trampas de mi madre, de que no salgo por fiador. dos primas mías coyas conservan la virginidad, a su pesar, en un convento del cuzco, en donde las mantiene el rey nuestro señor. Yo me hallo en ánimo de pretender la plaza de perrero de la catedral del cuzco, para gozar inmunidad eclesiástica y para lo que me servirá de mucho mérito el haber escrito este itinerario (p. 116).

Ma sarà solo verso la metà dell’opera che, dopo aver lungamente discettato sull’importanza delle postas e sul modo di rendere «tolerables los dilatados viajes», l’indio rivelerà il suo luogo d’origine e proprio su insistenza del visitador, che si palesa inaspettatamente meglio informato di lui: Luego que llegamos a divisar los techos y torres de la mayor ciudad que en los principios y medios tuvo el gran imperio peruano, se detuvo el visitador y me djo: «ahí está la capital de tus antepasados, señor concolorcorvo, muy mejorada por los españoles»; pero como yo había salido de ella muy niño, no tenía idea fija de sus edificios, entradas y salidas, y solamente me acordé que mi padre vivía en unos cuartos bajos estrechos y con 16 La suddivisione in capitoli non si deve all’autore ma, come avverte carrilla, al responsabile della seconda edizione dell’opera (Martiniano Leguizamón, 1908, per la Junta de Historia y numismática). cfr. «introduzione» di carrilla in carrió, op. cit., p. 18. 17 «exactamente, durante diez meses» come avverte carrilla (in carrió, op. cit., p. 15).

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un dilatado corralón. al instante se aparecieron varios amigos del comisionado, y con recíproca alegría y parabienes nos introdujeron en el lugar de mi nacimiento; la nombrada ciudad de cuzco (p. 326).

d’altronde, non è la prima volta che il copista interagisce con don alonso, giungendo a contraddire o persino ad infrangere il ruolo di narratore/amanuense che carrió gli impone. si pensi ancora al prologo strutturato come una caotica argumentatio tesa a captare, secondo convenzione, l’indulgenza del lettore e a guadagnare il suo consenso. Ma in questo caso il lettore è, lo abbiamo visto, un generico caminante cui il copista, nonostante si sia accreditato come indio neto, si rivolge come conoscitore della corte di Madrid: He visto en la corte de Madrid que algunas personas se admiraban de la grandeza de nuestro monarca, porque cuando pasaba a los sitios reales llevaba su primer secretario de estado, a su estribo, dos correos que llaman de gabinete, preparados para hacer cualquier viaje impensado e importante a los intereses de la corona. a estos genios espantadizos, por nuevos y bisoñosos en el gran mundo, les decía el visitador que el rey era un pobre caballero… (p. 101, corsivo mio).

in effetti, il repentino cambio narrativo dalla prima alla terza persona lascia intendere lo stretto rapporto dell’indio con il viajador il quale affiora non poche volte lungo il prologo: [el visitador] … tomó tales providencias y precauciones […] el visitador me aseguró varias veces que jamás le había faltado providencia alguna en más de treinta y seis años que casi sin trasmición había caminado por ambas américas. aun viniendo en el carácter de visitador de estafetas y postas, sentaba a su mesa al maestro de ellas, aunque fuese indio, y la primera diligencia por la mañana era contar el importe de la conducción y que se pagase a su vista a los mitayos que habían de conducir las cargas […] (pp. 108-109).

Una vicinanza che finisce per mostrarsi in maniera esplicita in prossimità della conclusione della medesima sezione dell’opera. È infatti allora che, obbedendo a un’altra convenzione, appartenente questa volta al genere memorialistico, il viajador fa la sua prima comparsa per dare il suo benestare all’operato del copista: iba a proseguir con mi prólogo a tiempo que al visitador se le antojó leerle, quien me dijo que estaba muy correspondiente a la obra, pero que si le alargaba más, se diría de él: Que el arquitecto es falto de juicio, cuando el portal es mayor que el edificio no creo, señor don alonso, que mi prólogo merezca esta censura, porque la casa es bien dilatada y grande, a lo que me respondió: non quia magna bona, sed quia bona magna (p. 120)18 18 Un altro passo particolarmente significativo dello stretto collegamento tra i due personaggi, e dei loro rispettivi ruoli nella narrazione, si legge nel capitolo X quando si fa intendere che il viajero si è opposto alle correzioni del resoconto proposte dall’inca: «quise omitir las coplas de los gauderios, y no lo permitió, porque sería privar al público del conocimiento e idea del carácter de los gauderios …» (p. 275).

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in verità nel Lazarillo di carrió è l’intera sezione prologale, convenzionalmente adatta alle dichiarazioni d’intenti dell’autore, a presentarsi come un luogo indistinto e particolarmente ambiguo. La stessa epigrafe che la introduce («quod neque sum cedro flavus, nec pumice levis; erubui domino cultior esse meo»19) sembra anticipare, e in maniera particolarmente concentrata, l’ambiguità enunciativa sui cui correrà buona parte del testo. in effetti, la colta citazione tratta dai tristia ovidiani, se da un lato allude a un topos classico (quello per cui è il libro a presentare sé stesso), e dunque poco congeniale alla cultura dell’indio copista, dall’altro finisce per chiamare in gioco un terzo yo, diverso sia da lui che dal viajador20: il vero autore, cioè, costretto come a suo tempo ovidio condannato a un lungo esilio da roma, a scrivere da un luogo lontano dalla sua patria. L’enunciazione del Lazarillo di carrió insomma, con le sue oscillazioni di tempo e di persone, nega e afferma al tempo stesso e, in maniera del tutto contraddittoria, l’identità tra autore, narratore e personaggio, come si sa elemento strutturale (quasi una prova ontologica secondo il classico studio di Lejeune21) del genere autobiografico, tessendo una «trama de voces»22, continuamente interrotta e dall’aspetto problematicamente frammentario. d’altronde, non rispetta neppure quella prevista dal memoriale (personaggio=narratore), genere vicino al racconto autobiografico e dentro il quale, in certi momenti, sembrerebbe situarsi23. 19 tristia, iii, 13-14 («quanto al fatto che non ho il colore dorato del cedro, e non sono lisciato con la pomice, la ragione è che m’imbarazzava avere un aspetto più curato del mio signore», trad. di Francesca Lechi in oVidio, tristezze, Milano, BUr, 1993, p. 197). 20 rimando al sapiente articolo di Mario citroni che studia il costituirsi (con esempi da orazio, ovidio e Marziale) e l’evolversi (a partire da stazio per arrivare, attraverso il medioevo latino, fino alla poesia trobadorica) del motivo dell’apostrofe o dell’allocuzione al libro, un «modulo» che si diffonderà profusamente nelle letterature europee moderne e presso le quali diverrà «una delle tante forme convenzionali di proemio, di congedo, di dedica» (cfr. M. citroni, «Le raccomandazioni del poeta: apostrofe al libro e contatto col destinatario», in maia, 38, 1986, p. 11). 21 Mi riferisco, ovviamente, allo studio di p. LeJeUne, Le pacte autobiographique, paris, seuil 1996 (prima edizione 1975), in particolare pp. 13-15. 22 s. zanetti, «La trama de voces en el Lazarillo de ciegos caminantes de alonso carrió de la Vandera», in c. periLLi (ed.), Las colonias del nuevo mundo: discursos imperiales, 1999, pp. 255-266. 23 sortendo un risultato senza dubbio peculiare, il prologo del Lazarillo, scritto presumibilmente alla fine dell’opera non diversamente da ogni altro prologo, mette a fuoco, in generale (e più liberamente rispetto al resto del libro), il «genio zumbón, pintoresco y satírico del autor – en el que se adivina un culto cultor de Voltaire (cfr. e. núñez, «concolorcorvo o carrió de la Vandera, escritor afrancesado» e «concolorcorvo, viajero ilustrado», in La imagen del mundo en la literatura peruana, México d.F., F.c.e., 1972, p. 47) e, in particolare, gli autentici interessi del suo autore, più attratto dal «literario» e meno dallo «histórico (ruinas, antecedentes o cronología)» (ivi, pp. 46-47). il prologo presenta, in altre parole, le velleità di un funzionario medio colto, amatore della letteratura, uomo attento ai gusti di quell’europa dalla quale mancò per quasi tutta la vita. d’altro canto, la sezione prologale fornisce al suo autore l’occasione preziosa di esibire il proprio sapere letrado, sforzandosi di ricreare il rapporto tra macrocosmo del racconto e microcosmo del prologo, tipico di questo speciale istituto letterario. carrió ha in mente qui una gamma ampia di precedenti letterari. di certo a risuonare, e non per ultimo, è anche l’eco del «prologo dei prologhi cervantino», come lo

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da tutto ciò si desume come le pretese autobiografiche disseminate nel testo complichino, più che definire, le posizioni che in esso assumono rispettivamente l’autore, il copista e il viaggiatore. se poi a questo aggiungiamo la rottura della trafila autobiografica attraverso cui, in maniera del tutto dissimile rispetto agli altri protagonisti della picaresca, si presenta concolorcorvo, ci rendiamo conto che, più che trasgredire o addirittura infrangere il patto su cui essa poggiava, il Lazarillo di carrió sembra dissimularlo, se non, in certi casi, completamente ignorarlo.

3. il dialogo della strana coppia oltre a quello di narratore, l’indio dovrebbe svolgere anche quello di lazarillo de ciegos caminantes, ossia, sulla falsariga del primo pícaro, quello di guida di un viaggiatore impossibilitato, per inesperienza o reale cecità, a compiere da solo il suo viaggio. tuttavia, a differenza del Lázaro mozo de varios amos (a partire dal cieco), concolorcorvo non stabilisce con don alonso un rapporto subalterno come quello servo/padrone che marcava l’esordio del genere picaresco. a ben vedere, i dialoghi scambiati dall’indio con il viajador on the road sono scanditi da formule di cortesia reciproche ed identiche che finiscono per annullare le differenze sociali che intercorrono tra i due. in effetti, se è vero che più volte concolorcorvo si rivolge a don alonso con un generico (ma gravido di risonanze letterarie) vuestra merced («no quiero poner otros ejemplares, sino que Vmds. reflexionen la gravedad de estos excesos», p. 302; «con licencia de Vm., señor don alonso» p. 334, ecc…), nel testo si dà spesso anche il caso contrario («Ya señor concolorcorvo … está Vm. en sus tierras», p. 277; «¿qué tiene Vm. que decir, señor inca…», p. 336, ecc…). Le conseguenze di questa omologazione si colgono in particolare nel capitolo XVi. dopo aver esordito con la citazione del suo luogo d’origine («Los criollos naturales decimos cozco. ignoro si la corruptela será nuestra o de los españoles» p. 327), il narratore-copista si lancia in una difesa dell’operato degli spagnoli così smaccata ed estesa (quasi dieci pagine) da suscitare subito dopo, nel suo interlocutore, un invito alla prudenza24: iba a insertar, o como dicen los vulgares españoles, a ensertar, en compendio, todo lo sustancial sobre las conquistas de los españoles en las américas, pero el visitador, que tenía ya conocido mi genio difuso, me atajó más de setecientos pliegos que había escrito

chiama Mario socrate in uno studio di rara finezza critica (Prologhi al don chisciotte, Venezia, Marsilio, 1974). dai prologhi della picaresca, poi, l’autore del Lazarillo de ciegos caminantes sembrerebbe attingere soprattutto il piglio giocoso, così come il suo stile squisitamente medio. pur rivolgendosi ad un lector del tutto nuovo e speciale, anche le pagine iniziali del Lazarillo di carrió, similmente ad altri epigoni del genere (si pensi per dire al «lector caro y barato» dell’estebanillo González) cercano la benevolenza del pubblico impiegando giochi di parole ed un lessico scherzoso se non, in qualche caso, perfino pungente. 24 invito che prende avvio dalla p. 341 («no pase Vm adelante, señor inca, me dijo el visitador, porque ésta es una materia que ya no tiene remedio…»).

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en difensa de los españoles y honor de los indios cozqueños, por parecerle asunto impertinente a un diarista, y asimismo me previno no me excediese en los elogios de mi patria, por hallarme incapaz de desempeñarlo con todo el aire y energía que merece un lugar que fue corte principal de los incas, mis antepasados, y el más estimado de los españoles conquistadores y principales pobladores. […] (p. 334).

del resto, tutto il capitolo si configura come una sorta di sintesi a due voci della conquista americana (da colombo a pizarro, da almagro a cortés), una rassegna dei principali punti di discussione che essa aveva suscitato. tuttavia il dialogo tra il viajador e il suo lazarillo non propone una maniera dialettica di confrontarsi con la storia, ma anzi finisce per interpretarla in maniera trionfalistica. si pensi ancora, ad esempio, al passo in cui concolorcorvo dopo aver esaltato la «prodigiosa conquista» dei soldati di pizarro, che a differenza dei romani fecero a meno dei vili artifici («Los españoles no usaron de artificios para vencer a mis paisanos, ni tuvieron tropa auxiliar y fiel y constante cono los conquistadores del gran imperio mexícano…», p. 340) viene interrotto dal suo interlocutore, il quale prosegue, semmai rincarandola, l’apologia già iniziata dall’accompagnatore: parece que Vm. con sus principios pretende probar que la conquista de los españoles fue justa y legítima, y acaso la más bien fundada de cuantas se han hecho en el mundo. así lo siento, le dije, por sus resultas en ambos imperios, porque si los españoles, siguiendo el sistema de las demás naciones del mundo, hubieron ocupado los principales puertos y puestos de estos dos grandes imperios con buenas guarniciones […], lograría la Monarquía de españa sacar de las indias más considerables intereses. Mis antepasados estarían más gustosos y los envidiosos extranjeros no tendrían tantos motivos para vituperar a los conquistadores y pobladores antiguos y modernos suspenda Vm. la pluma, dijo el visitador, porque a éstos me toca a mí defenderlos de las tiranías, como más práctico en ambas américas, y que le consta a Vm. mi indiferencia en este y otros asuntos (p. 341).

scandito in tre momenti («parece que Vm…»; «así lo siento…»; «suspenda vuestra Merced la pluma») il dialogo che si svolge tra i due personaggi non concede nessuno spazio alla visione dell’altro. preoccupato di difendere l’operato degli spagnoli in america, così come di smontare la secolare leyenda negra che gravava sul loro operato, carrió fa agire a concolorcorvo la parte del difensore; e anche quando quest’ultimo si permette di esprimere un’opinione in senso positivo, gli taglia subito la parola per ridarla al viajador, il quale conclude il capitolo così come l’indio l’aveva, con la menzione della sua città, iniziato: prescindo de que V.n. habló o no con juicio e ingenuidad de la conquista. no dudo que fue conveniente a los indios, porque los españoles los sacaron de muchos errores y abominaciones que repugnan a la naturaleza… (p. 341).

nonostante l’atteggiamento paternalista con cui si rivolge all’indio all’inizio del suo discorso (e forse proprio per questo), il viajador non può fare a meno di continuarlo ripercorrendo le motivazioni che facevano dei conquistadores spagnoli dei salvifici correttori di anime e di costumi. resta il fatto che, facendo

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leva sui moniti già mossi da concolorcorvo nei confronti degli «envidiosos extranjeros», egli finisce per sostituirsi al suo ruolo di narratore, ruolo che svolgerà in pieno nel capitolo successivo tutto dedicato a smontare le principale accuse mosse contro i suoi connazionali. tuttavia neppure le considerazioni, poco gentili se non offensive, successivamente pronunciate dal viajador nei confronti del popolo indio riusciranno a produrre la reazione di concolorcorvo. si pensi per esempio all’intero capitolo XViii, dove le numerose digressioni, concentrate nel giro di poche pagine, conducono al fulcro di un’ideologia conservatrice, probabilmente condizionata dal ruolo istituzionale rivestito da carrió, e che si svela a tratti feroce o comunque sorda alla grande lezione relativista di Montaigne. in effetti, toccando aspetti delicati dell’incontro tra civiltà (le differenze fisiche tra indios ed europei, così come quelle relative alle rispettive lingue), il viajador si pronuncia sulla scarsa attitudine al lavoro dei nativi americani, liquidando il tema nel modo seguente: Los indios son de calidad de los mulos, a quienes aniquilan el sumo trabajo y entorpece y casi imposibilita el demasiado descanso. para que el indio se conserve con algunos bienes es preciso tenerle en un continuo movimiento, proporcionado a sus fuerzas (p. 361).

non è questo il momento di ponderare lo scomodo imbarazzo che una tale asserzione poteva suscitare anche ai tempi di carrió. Mi interessa rilevare invece la timida reazione dell’indio che chiosa fin troppo placidamente la tesi appena esposta dal viajador («Ya el visitador iba a concluir un asunto en que conocí hablaba con repugnancia y fastidio», p. 361), finendo per incassare, come si vede dal prosieguo del testo, la sua stizzosa replica: Vamos claro, señor inca, ¿cuántas preguntas de éstas me ha de hacer Vm.? Más de doscientas, le dije. pues váyase Vm. a la cárcel, a donde hay bastantes ociosos de todas castas de pájaros, que allí oirá Vm. mucha variedad de dictámenes, y adopte Vm. los que le pareciere (p. 361).

schierando apertamente un discendente degli incas dalla parte dei conquistatori, il vero autore del Lazarillo de ciegos caminantes, quindi, non solo ne promuove l’operato ma, al tempo stesso, difende il diritto di governo della spagna, da tempo minacciato dall’espansione di nuove potenze europee, e in particolare dalla Francia. d’altronde, la pazienza mostrata dall’inca non si esaurisce con l’ascolto delle accorate ricostruzioni storiche proferite dal viajador e va oltre l’accoglienza delle sue limitate tesi antropologiche. sarà ancora attraverso le parole del suo interlocutore spagnolo che concolorcorvo apprenderà l’origine del proprio nome. in effetti, rievocando alla lontana il gesto nominativo dei primi viaggiatori nelle indie, il viajador, ancora nel capitolo XViii, intrattiene il suo lazarillo con una fantasiosa e alquanto ironica etimologia, che suona come pretesto per disquisire sul colore della pelle dei nativi d’america: el que vio un indio se puede hacer juicio que los vio todos, y sólo reparé en las pinturas de sus antepasados los incas, y aun en Vm. y otros que dicen descender de casa real,

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más deformidad, y que sus rostros se acercan a los de los moros en narices y boca, aunque aquéllos tienen el color ceniciento y Vms. de ala de cuervo. por esto mismo, acaso se me puso el renombre de concolorcorvo. sí señor, me dijo. pues juro por la batalla de almansa y por la paz de nimega, que he de perpetuar en mi casa este apellido, como lo hicieron mis antepasados con el de carlos, que no es tan sonoro y significativo: ¡concolorcorvo!, es un término retumbante y capaz de atronar un ejército numeroso… (pp. 363-365).

L’entusiasmo con cui l’indio, ricalcando vagamente la formula con cui don quijote aveva ribattezzato il suo ronzino, apprende l’origine del suo nome ribadisce la strategia argomentativa del funzionario di carlo iii, una strategia che finisce per mettere in scena «dos sujetos coloniales […] coincidentes en su visión colonizadora»25. per di più, lo scambio dialogico, volutamente non separato dal flusso narrativo, non permette di riconoscere con sicurezza all’interno del testo dove finisce la voce dell’uno e inizia quella dell’altro. e se sul piano allocutivo il copista concolorcorvo veniva in più di un’occasione scavalcato dal viajador, su quello ideologico mostra un’assoluta dipendenza da quest’ultimo e non arriva mai, su nessun tema, ad esprimere fino in fondo una sua personale opinione. in altri termini carrió usurpa all’interno del testo il ruolo fittizio (o almeno così appare) che aveva assegnato all’indio nel paratesto. per cui se da un lato, come ha notato emilio carilla, il dialogo intercalato nel racconto in prima persona assolve prima di tutto a una funzione prettamente pragmatica e di variatio26, dall’altro, esso finisce per stilizzare una coppia senza dubbio strana. Uso il termine nell’accezione che stefano Brugnolo ha definito recentemente per certe coppie formate da individui che «esistono solo l’uno in funzione dell’altro»27, anche se a differenza di quanto accade in queste ultime, il dialogo fra il viajador e l’indio non appare svuotato da ogni funzione comunicativa, ma anzi, come si è visto, va verso un eccesso di comunicazione. privo di ogni funzione dialettica, come quella che caratterizzava il tradizionale binomio servo-padrone (o, se si vuole, scudiero/cavaliere)28, ma anche di ogni intenzione comica, come quella 25

ivi, p. 255. cfr. cariLLa, «introduzione» a carrió, el lazarillo de ciegos caminantes…, cit., p. 40. 27 steFano BrUGnoLo, strane coppie. antagonismo e parodia dell’uomo qualunque, Bologna, il Mulino, 2013, p. 19. 28 penso ancora alla più celebre e rappresentativa delle coppie, quella composta cioè da don chisciotte e dal suo scudiero. per estensione, la coppia viajador/indio sembra affermare la propria diversità anche nei confronti di una lunga e intensa tradizione che risale ai libros de cabellerías. tese a marcare «l’inadeguata imitazione» del personaggio cervantino nei confronti degli scudieri che lo hanno preceduto, le funzioni narrative e le caratteristiche tipiche di sancho panza garantiscono, secondo anna Bognolo, un rapporto di continuità (all’insegna del superamento, della decontestualizzazione o della parodia) tra il servitore di chisciotte e i suoi predecessori (devoti servitori, vassalli, intermediari delle faccende d’amore, aiutanti e amici del cavaliere, oppure apprendisti, messaggeri e ambasciatori di quest’ultimo). se nel caso della coppia settecentesca il ruolo di «narratore» del viaggio del proprio accompagnatore, ruolo di cui come si è detto l’indio è almeno in parte rivestito, può ricordare da lontano quello di «narratore delle imprese del cavaliere» che sempre Bognolo individua per i servitori dei cavalieri, il contesto e le dinamiche della nostra coppia appaiono del tutto mutate. cfr. a. BoGnoLo, «i compagni di sancho», J.M. Martín Morán (ed.), «La media semana del jardincito» cervantes y la reescritura de los códigos, padova, Unipress, citazione p. 168. 26

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verso cui vanno le coppie novecentesche analizzate da Brugnolo, il dialogo della strana coppia a colloquio sulle strade disagiate dell’america di fine settecento finisce insomma per mettere sullo stesso piano due personaggi oggettivamente separati da un profondo divario culturale e sociale. Ma così facendo crea qualcosa di assolutamente diverso rispetto al messaggio che il creatore della picaresca aveva affidato al suo Lazarillo in viaggio sulle polverose strade della castiglia. da quanto si è detto si capisce che quei «details … picaresque in themselves», come li definiva Mazzara29, pur presenti nel Lazarillo de ciegos caminantes, appaiono isolati e tutto sommato slegati dalla struttura prevalentemente descrittiva ed apologetica del testo. quello con la picaresca è un dialogo necessariamente frammentario in quanto filtrato attraverso la lente dell’esperienza, «complemento imprescindible de este saber letrado»30. e così, se da un lato, come si è visto, l’opera di carrió tende a moltiplicare, anche a scopo prudenziale, i soggetti del suo discorso (il narratore, l’amanuense, il viaggiatore), dall’altro li riconduce tutti a un’unica istanza: quella dell’autore. quest’ultimo, in effetti, più che farsi guidare dal suo lazarillo, come vorrebbe far credere almeno a tratti il debole impianto narrativo del testo, sembra più interessata ad approntare una partigiana e didascalica lezione di storia e di politica al suo accompagnatore. d’altronde, non si deve sottovalutare, come ha notato con intelligenza núñez estuardo, l’influenza che su carrió dovettero esercitare i modelli a lui contemporanei, in particolare quelli francesi. se, in effetti, non si può escludere l’ipotesi di un suo breve soggiorno in Francia, quel che più importa è che, sempre secondo il critico, l’opera del funzionario si mostri imbevuta di pedagogismo roussoiano, riformulato in funzione degli interessi propagandistici e politici del funzionario borbonico, e che, più in generale, non tenga segreto il proprio debito nei confronti della lingua e dei generi letterari coevi all’autore dell’emile. così, i gallicismi (sintattici e lessicali) e le locuzioni francesi presenti nel Lazarillo fanno di carrió un afrancesado. L’eco dei resoconti di Frezier, di antonio de Ulloa, di Jorge Juan, di La condamine lo identificano come un lettore attento dei racconti dei viaggiatori ilustrados31. emilio carilla dedica alcune pagine alla ricognizione dei possibili modelli che influenzarono il resoconto di carrió e, più in generale, all’eco dei racconti di viaggio diffusi durante il settecento, in particolare quello di acarette du Biscay, pubblicato a parigi nel 167232. Mi limito ad aggiungere alla lista il nome del conte Louis-antoine de Bougainville, viaggiatore e matematico francese, che dopo essersi recato nelle terre australi (in particolare a tahiti, la nuova citera, tra il 1766 e il 1769), nel 1771 pubblicò un resoconto intitolato voyage autour du monde33. 29

Mazzara, op. cit., p. 323. zanetti, op. cit., p. 256. 31 cfr. núñez, «concolorcorvo o carrió de la Vandera, escritor afrancesado» e «concolorcorvo, viajero ilustrado», cit. (in particolare p. 49). 32 cfr. cariLLa, el libro de los misterios, cit., pp. 46-56, soprattutto pp. 48-50. 33 Figlio di un mercante, e nobilitato grazie alla brillante carriera paterna, Bougainville aveva già colonizzato le isole Falkland, vendute poco dopo agli spagnoli, quando agli inizi degli anni ’70 30

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sebbene il récit del conte riscosse un subitaneo successo – anche per merito di un supplément all’opera firmato da diderot nel 1772 – non esistono prove dirette che carrió lo conoscesse. Mi sembra del tutto plausibile, tuttavia, che l’autore del Lazarillo non lo ignorasse, se non altro per le pagine critiche che Bougainville, di passaggio in america Latina prima di salpare per il pacifico, dedicò al disordine caotico osservato nelle colonie spagnole e gesuite della regione de La plata, proprio quelle in cui il funzionario delle poste carrió, per conto della corona spagnola, svolgeva la sua funzione evualativa34. e forse non sarà un caso che all’inizio dell’Xi capitolo del suo Lazarillo, l’autore collochi la stessa citazione tratta dall’eneide di Virgilio con cui Bougainville aveva chiosato il capitolo Vi del suo voyage35. e tuttavia, come succede anche per gli altri presunti modelli di carrió, non c’è dubbio che anche in questo caso il trait d’union tra i due viaggiatori non risieda tanto nella lettera dei loro resoconti, quanto piuttosto nella condivisione di un’idea simile di progresso e di una concezione del mondo figlia della medesima epoca. curiosamente, e per motivi opposti, nessuno dei due viaggiatori centrò l’obiettivo prefissato. il conte di Bougainville perché, ammaliato dai paesaggi mitici della polinesia, non rinunciò a descrizioni e considerazioni impressioniste che poco si addicevano agli austeri ambienti dell’encyclopédie36; carrió invece perché, nonostante «su reelaboración de un imaginario ilustrado y colonial»37, non riuscì a dare una forma romanzesca al suo testo. i tempi sono cambiati. e se lo stile del resoconto di carrió (come quello di Bougainville) in qualche caso fa tornare in mente la meraviglia e la curiosità dei

salpò dal porto di nantes al comando della fregata La Boudeuse. passando per rio de Janeiro e Montevideo e attraversando lo stretto di Magellano, raggiungerà la polinesia di cui si credette in principio scopritore. tuttavia, una volta raggiunta l’isola di Batavia in indonesia (e prima di rientrare a saint-Malo dove concluse il suo periplo), venne a conoscenza che l’inglese samuel Wallis aveva calpestato tahiti qualche mese prima di lui (cfr. «introduction» di L. constant in L.a. de BoUGainViLLe, voyage autour du monde, paris, La découverte, 2006, pp. i-XXiX). devo la lettura del voyage all’amica Giulia Bullentini, francesista e viaggiatrice dell’anima, che qui ringrazio vivamente. 34 cfr., tra gli altri, il capitolo V del récit di Bougainville (cit., pp. 59-74). 35 si tratta di eneide i, 51: nimborum in patriam, loca foeta furentibus austris, citato alla p. 278. il collegamento tra il Lazarillo di carrió e il celebre récit del viaggiatore francese (che da quanto mi risulta nessuno fino a qui aveva ipotizzato) è dato anche dal fatto che ambedue gli autori collocano la citazione all’inizio della seconda parte del loro resoconto. oltretutto l’autore del Lazarillo de ciegos caminantes, che è solito incastonare nel testo vocaboli, frasi latine o riferimenti ai classici citati per lo più in maniera erronea o fantasiosa (sul tema cfr. cariLLa, «introduzione» a carrió, op. cit., p. 56), in questo caso si attiene con precisione al testo latino. infine, è curioso che, come nota carilla, carrió utilizzi la stessa epigrafe virgiliana (Quia apparent rari nantes in gurgite vasto, eneide, i, 118, cfr. carrió, op. cit., p. 348 e n. 2 della stessa pagina) impiegata da M. de la condamine nella sua relation abrégée d’un voyage fait dans l’intérieur de l’amérique méridionale e letta a parigi nell’aprile del 1745 davanti all’assemblea dell’académie des sciences. 36 come quando pone ai lettori e a sé stesso la seguente domanda: «…comment résister à la comparaison de couler dans le sein de l’oisivité des jours tranquilles sous un climat heureux, ou de languir affaissé sous le poids d’une vie constamment laborieuse …?» (BoUGainViLLe, vojage autour du monde, cit., p. 38). 37 roBLes, «narración e invención…», cit., p. 91.

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primi esploratori delle americhe, quelli che carmelo samonà etichettò con la formula felice di «scrittori realisti per circostanza», è vero anche che in tutte e due i casi il mito del selvaggio buono – quello in cui colombo e gli altri, in anticipo su rousseau, avevano rivisto un soffio di divinità – appare molto lontano38. dal resoconto di carrió, infatti, «la visión del progreso material y útil, el uso de herramientas y la secuencia de modernización del trabajo indígena, son los argumentos ilustrados que intentan borrar la memoria sentimental del incario que pudiese aún sobrevivir en concolorcorvo»39. in altri termini, l’osservazione scientifica della realtà appare ormai sottomessa al vaglio dello scetticismo scrupoloso, così come della conoscenza pratica e, in ultima analisi, il nostro concolorcorvo appare calato in un mondo irrimediabilmente lontano da quello dei picari e protopicari, dove ogni tentativo di avanzamento sulla scala sociale era necessariamente destinato all’ipocrisia (Lázaro), al fallimento (Buscón) oppure al salvifico ravvedimento finale (Guzmán). Lo dice bene Molho: Le XViii siècle, d’autre part, proclame la vocation temporelle de l’homme, impatient de s’accomplir ici-bas dans son bonheur. Voltaire, qui postule: «La grande affaire et la seule qu’on doive avoir, c’est de vivre heureux», prend exactement le contre-pied de la pensée picaresque, soucieuse d’assurer à l’homme, non son bonheur, mais une dignité dans un malheur dont elle sait qu’il est rachetable et transitoire40.

d’altronde, è da notare come il viaggiatore francese e quello spagnolo compiono tutto o parte del proprio viaggio in compagnia di un nativo dei luoghi. nel resoconto di Bougainville interviene ad un certo momento aotourou, il polinesiano che seguirà la fregata francese alla volta del ritorno in europa per conoscere parigi e il suo re, colui con cui il conte instaura fin da subito un rapporto di fiducia e collaborazione, come si comprende anche dall’evocazione del loro primo incontro: «Le zèle de cet insulaire pour nous suivre n’a pas été équivoque. dès les premiers jours de notre arrivée à tahiti, il nous l’a manifesté de la manière la plus expressive, et sa nation parut applaudir à son projet»41. d’altra parte, anche carrió, come si è visto, si muove insieme all’indio concolorcorvo e proprio a lui delega il racconto della propria esperienza. così facendo, l’autore del Lazarillo de ciegos caminantes tende a inserirsi in quella generazione di viaggiatori di cui Bougainville, secondo Wolfzettel, sarebbe il punto di riferimento. Una generazione per la quale «l’homme civilisé ne se trouve plus en face de l’autre, mais en face d’un avatar de son propre moi antérieur»42. in effetti, 38 c. saMonà, «La letteratura dell’esperienza vissuta. i cronisti delle indie», in c. saMonà G. Mancini - F. GUazzeLLi - a. MartinenGo, La letteratura spagnola. i secoli d’oro, Milano, BUr, p. 103 e p. 113. 39 roBLes, «narración e invención…», cit., p. 89. 40 M. MoLHo, introduction, chronologie, bibliographie, in aa.VV., romans picaresques espagnols (traduction, notes et glossaire Maurice Molho et J.-F. reille), paris, Gallimard, Bibliothèque de la pléiade, 1987, p. cXLii. 41 BoUGainViLLe, voyage autour du monde, cit., p. 161. 42 F. WoLFzetteL, Le discours du voyageur (Le récit de voyage du moyen age au Xviiième siècle), paris, pUF, 1996, p. 291.

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mettendo in scena, seppur in maniera stilizzata e poco più che abbozzata, una coppia di viaggiatori in cammino da un lato all’altro dell’america, carrió rielabora secondo una nuova proiezione romanzesca alcune delle nervature tematiche già presenti nella picaresca, quali il nomadismo caratteristico del pícaro e la sua interazione con vari e mutevoli interlocutori. se, d’altronde, nel suo vagabondare di città in città o di paese in paese, il pícaro era destinato ad una condizione di sostanziale solitudine, tant’è che il succedersi dei suoi differenti padroni soltanto di rado si accompagnava ad un vero e proprio scambio dialogico, la coppia intrinsecamente ambigua di carrió anticipa per certi versi quella del moderno romanzo di avventure e di viaggio. È in effetti proprio a partire dal romanzo di avventure del settecento che il viaggiatore diverrà un personaggio sempre meno solo, e sempre di più la coppia si imporrà come l’unità di misura preferita per esperire e osservare il mondo (basti pensare a coppie celebri come quella robinson crusuoe/Venerdì di stevenson, phileas Fogg/passepartout di Verne o, successivamente, tom sawyer/Huckleberry Finn di twain).

4. conclusioni ritorniamo, per concludere, al punto di partenza, ossia il titolo con il quale carrió impone, come si è visto, l’accostamento del suo Lazarillo alla tradizione narrativa spagnola. Una relazione che si rivela particolarmente debole e frammentaria poiché costruita sull’alternanza di momenti di varia natura discorsiva (dialoghi, riflessioni, brevi aneddoti) con altri propriamente ricognitivi ed oggettivi (descrizioni, cronache, elenco di dati) e che conferisce all’opera un profilo essenzialmente disomogeneo. tuttavia, sempre a proposito del titolo, emilio carilla, preoccupato ancora una volta di prevenire letture devianti del testo, fa notare come esso attragga per la sua novità all’interno della ricca produzione di viaggio dell’epoca (per lo più voyages… oppure itinéraires… o anche descriptions)43. Un titolo che a buon ragione anticipa «el carácter más ‘literario’, menos usual» dell’intera opera. quest’ultimo sembrerebbe risiedere nella «vertebración esencial», di elementi formali rappresentativi di taluni generi (l’autobiografia fittizia, il memoriale, il resoconto di viaggio, il romanzo di avventura) innestati su istanze culturali completamente diverse rispetto ai modelli preesistenti. Modelli che l’autore adatta ad esigenze informative, descrittive o addirittura ideologiche (e non a caso si è detto che il resoconto ricorda «una novela de aventura de Julio Verne, pero sin novela y sin aventuras»44). Ma la peculiarità del Lazarillo di carrió risiede anche, come si è visto, nel tentativo di trasporre e rivisitare, ai limiti della rappresentazione, la figura del picaro. non soltanto perché il funzionario spagnolo trasferisce in un contesto extraeuropeo il racconto del viajador e del suo lazarillo, a riprova della lunga strada ormai percorsa dal genere, ma ancor più 43 «una obra que, por lo pronto, se llama el lazarillo de ciegos caminantes y que rompe tal perfil» (cfr. carriLLa, «introduzione» a carrió, op. cit., p. 20). 44 ivi, p. 30.

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per il ruolo specificatamente pratico, funzionale, per così dire impegnato, che finisce per assegnargli. resta il fatto che l’identificazione del protopicaro con un indiano del cuzco – tanto accattivante da aver portato il lettore moderno e sudamericano a credere che veramente fosse stato lui l’estensore dell’opera – denuncia un punto di vista completamente diverso rispetto a quello adottato dai precedenti protagonisti della picaresca. si passa insomma dal ritratto dell’«altro» inteso come socialmente diverso, a quella dell’«altro» che si distingue per una cultura e un colore della pelle differenti. che poi queste differenze vengano non rispettate dall’autore, che si serve di esse per i suoi scopi ideologici e propagandistici, non toglie che l’intuizione espressa nel titolo del suo Lazarillo e portata avanti, anche se in maniera disomogenea, lungo tutta la sua estensione, produca una novità di un certo interesse dal punto di vista narrativo. in fin dei conti mentre l’anonimo Lazarillo de tormes promuoveva la realtà attraverso la finzione, il Lazarillo di carrió promuove la finzione attraverso la realtà. È infatti a partire dalla sua concreta esperienza che il funzionario di carlo iii compone un romanzo «picaresco», su cui l’ombra del genere appare a tal punto flebile (e sempre più sfumato il suo statuto di finzione) da rendere quasi anonima e irriconoscibile non, come nel Lazarillo, l’identità del suo autore, ma quella del suo narratore.

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L’indio e iL viajador

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Finito di stampare nel mese di novembre 2016

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