Io sto con la sposa

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Descripción


"Io sto con la sposa"


Che cosa ci si può aspettare da un film con un titolo da commedia, con un marketing da commedia, proiettato in un paese dove da sempre per tradizione tutti vanno in sala per delle commedie? Questa era la domanda che mi facevo prima di avvicinarmi al Piccolo Cineclub Tirreno di Follonica, in occasione dell'inaugurazione della Festa della Toscana, nonché 15 di Novembre, San Leopoldo, patrono della cittadina maremmana.
La curiosità di sapere anche vagamente di che cosa trattasse il film prima che si spegnessero le luci, era tanta, ma non abbastanza da permettermi una sufficiente volontà per soddisfarla. Infatti, appena entro in sala e vedo diverse ragazze e signore di ogni età con un velo da sposa sul capo, il dubbio mi sorprende, sarà un flashmob, o una proiezione di pellicola classica?
Parlano due-tre ragazzi giovani, un moderatore, un presentatore del moderatore e due esponenti del film, il regista e uno dei protagonisti. Il film parla di un viaggio in auto fatto da cinque siriani dall'Italia alla Svezia. Fingono un matrimonio per sfuggire ai controlli dei documenti. Alcuni italiani, nell'aiutarli, girano un film. Una sintesi fredda è già fatta e questo basta per dire che il film funziona. Quando Lidia Ravera m' insegnava sceneggiatura, diceva sempre questa frase: "..il vostro film funzionerà se appena lo avete scritto potete riassumerlo in tre-quattro frasi..". Io sto con la sposa è un film che funziona, in fondo, anche se chi scrive si è lasciato ubriacare dalle perplessità tipiche di chi ala vista di un'idea geniale vuole scoprire che cosa c'è sotto.
Partiamo dalle note positive. In questo film ci sono dei personaggi che sono in primis persone, e questo è il suo punto più forte. I personaggi rompono quasi la linearità del film, la prevaricano, usando quasi una strategia da Factual Tv, poi c'è della musica siriana che incanterebbe anche il più occidentale degli occidentali, ma ci sono anche le musiche dei Dissòi Lògoi, che tutto ciò che compongono non si schiera in nessuna parte del mondo, se non nel nostro grande lago Mediterraneo.
E qui si entra nel tema profondo del film, il tema delle vicinanze, delle lontananze, delle mete vicine ma impossibili da raggiungere, o forse possibili, grazie alla solidarietà di chi crede ancora che un sole è abbastanza per tutti e così il mare, come ricorda Tasnim durante il viaggio in macchina. Le storie che i cinque protagonisti raccontano, sono storie tradizionali Siriane, quelle storie che raccontano i vecchi ai nipoti, storie in canzoni intonate per ricordare a una persona che deve amare la sua terra. Ce le ripropongono in cadenza, come colonna del film, come accompagnamento verso il viaggio Omerico, verso un'Itaca ancora da vedere, verso una libertà che ancora non sanno che sapore abbia.
Ci sono alcuni temi che vengono toccati solo attraverso le parole dei protagonisti. Il film sembra costruirsi così, attraverso ciò che queste storie disegnano. Sempre Tasnim dice che "la morte non è niente di brutto, il brutto è quando muoiono gli altri" e fa un elenco di amici che ha appena perso e introduce il tema dell'empatia, della condivisione, nel bene, ma in questo caso soprattutto del male, di storie tristemente comuni a chi la guerra la vede davanti agli occhi e a chi non la vede ma la respira lontana. Un tema che vive come sottotesto durante tutto il film ma che purtroppo è toccato a parole solo poche volte.
L'empatia. La condivisione. La solidarietà. Sentimenti che alcuni avvertono verso chi ne ha bisogno. Sentimenti che invece scompaiono quando si parla di leggi, di pratica, di soldi, di fogli da riempire, di trattati da interpretare.
Empatie reali, empatie di finzione.
Queste tracce s'intrigano spesso anche con quelle del racconto. Le contraddizioni delle società con quelle della natura di questo film, sembrano essere create come ridondanza, come didascalia, come un filo rosso per legare questi due universi apparentemente lontani, la prosa e il diritto. Purtroppo invece facendo una piccola analisi filmica e intervistando uno degli autori, ci si accorge che questo film nasce un po' anche dalla casualità, nasce da solo, lo fanno alcuni personaggi incontrati alla stazione di Milano, lo arricchiscono le culture di questi disperati in cerca di asilo. E qui arrivano i punti negativi.
Le persone sono davanti a tutto, poi c'è una musica che li accompagna e solo poi, tutto il film dietro, in secondo piano; ci si dimentica persino che si tratta di un film. Chi scrive, non ritiene che un film privo di fatti sia un cattivo film. Ho amato "Una storia vera" di Lynch, "Il delitto perfetto" di Hitchcock, "Close up" di Kiarostami, "Gummo" di Korine. Erano film di parole, altre volte d'immagini. C'era poca azione ma ciò che si muoveva era la testa dello spettatore. Non che sia importante il fatto in sé, ma forse questo pregio di non avere snodi, di non provare neanche a piegare una sceneggiatura che di fatto non esiste, alla lunga risulta essere il più grande difetto di quest'opera, ovvero la sua inconsapevolezza di essere film. Il suo status di documentario non toglie niente alla sua fruizione che resta godibile per diversi tratti,, ma ciò che lo fa cadere in basso è proprio il fatto di non essere stato pensato come film. Mi sono fatto un'idea, ossia che questo film è montato come finzione ma girato come un reality non formattizzato.
Non è un film da stroncare, se non altro per i propositi che si prefiggeva; in fondo, fare film che riescono a raccontare storie di umanità, attraverso le storie dei personaggi che vi partecipano, è raro, ma pur sempre un anticinema, un cinema fatto di parole e non di immagini. Al riaccendersi delle luci rimangono quindi due convinzioni: amarezza per l'impressione di aver visto un progetto che ha buttato via un'occasione e freschezza nel vedere come un gruppo di non professionisti (così si sono definiti gli autori) che senza particolare volontà si ritrovano un film sul Rec da girare, premono il tasto e danno tutto il materiale ad un abile montatore che lo trasforma in un piccolo cult di cui sentiremo parlare.
Io sto con la sposa che è stato prodotto da 2617 Produttori dal basso (un crowfunding organizzato dagli autori), avrà sì il suo piccolo successo (e per questo potremmo dire che ha già vinto), ma l'impressione è che poteva fare di più e che la paura di andare oltre la mera presentazione di fatti, sia stata direttamente proporzionale al coraggio di affrontare il viaggio, dove non dimentichiamolo, i protagonisti rischiavano il carcere.
Mi sono alzato dalla sala un po' così, soddisfatto di aver visto del buono, deluso per non averlo visto scintillare. Ma questo fa parte del cinema e ormai sono abituato.

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