Internet of Things, paradigma del futuro interconnesso

June 12, 2017 | Autor: Silvia Marigonda | Categoría: Robotics, Mobile Technology, The Internet of Things, Ecommerce, Cloud Computing, Big Data, SDN, NFV, Big Data, SDN, NFV
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Internet of Things, paradigma del futuro interconnesso Silvia Marigonda Telecom Italia Group Riassunto Si prevede da più parti che il numero di dispositivi connessi in Rete aumenterà esponenzialmente, arrivando a più di 50 miliardi entro il 2020, grazie anche alla transizione ad IPv6. Ancora, secondo McKinsey l’Internet of Things (IoT) potrebbe generare fra i 2,7 e I 6,2 trilioni di dollari per ogni anno, da oggi al 20251. L’IoT si presenta quindi paradigmatico per i fenomeni di disruption tecnologica, sociale e di business che lo accompagnano già ora e ancora più che lo interesseranno nell’immediato futuro2. Di tutto questa complessità di aspetti, a loro volta fortemente interconnessi, si vuole qui dare una disanima, pur necessariamente concisa per esigenze di brevità. Introduzione: le dimensioni del fenomeno Lo scorso agosto Gartner ha rilasciato il suo ultimo Hype Cycle for Emerging Technologies: mentre nel 2013 i Big Data ne erano i protagonisti assoluti, e si stimava che il fenomeno Internet of Things avesse ancora davanti una decina d’anni prima di manifestare appieno le proprie possibilità, raggiungendo il cosiddetto “plateau of productivity”, la recente previsione di Gartner ha invece completamente cambiato la previsione, portando l’IoT al picco delle aspettative.

Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, secondo i dati dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, a fine 2013 risultavano connessi in Italia 6 milioni di oggetti con questa distribuzione di ambito: smart car 47%, smart metering 26%, smart asset management 10%, smart home building 9%, logistics 5%, smart city 2%, ed un valore complessivo di mercato di circa 900 milioni di euro3. La sfida principale, è ora quella di trarre valore da questa mole di interconnessioni comunemente chiamata, in modo da alcuni ritenuto troppo generico, Internet of Things (IoT), ma che già Cisco chiama, a sottolinearne la portata e la pervasività, Internet of Everything4. L’internet of Things nel mondo reale Nell’IoT, i dispositivi sono interconnessi ad un backbone mediante una varietà di tecnologie abilitanti, come Bluetooth Low Energy (BLE), Zigbee, piattaforme SW, embedded SIM, in grado di assicurare alta velocità di risposta e massima interoperabilità con il minor consumo energetico possibile, nonché la raccolta di una quantità virtualmente infinita di dati. Se fino ad oggi il web è stato dunque una rete di nodiserver in grado di immagazzinare e scambiare informazione in qualche misura generata e controllata da utenti umani, ecco che l’Internet delle Cose diventa più simile ad una gigantesca piovra tentacolare con “occhi” e “mani” e “orecchi” propri, in grado di “cercare” da sé l’informazione di cui alimentarsi. L’informazione acquisita, acquista poi un valore ancora maggiore attraverso tutta una serie di possibili combinazioni e relazioni all’interno di essa (Business Intelligence), in grado di generare una base di conoscenza utile a processi decisionali fra i più svariati. Più di sessanta sono ad esempio i diversi campi applicative dell’IoT censiti da Libelium5: dall’ambito cittadino (parcheggi, controllo del traffico, gestione rifiuti, segnaletica e illuminazione pubblica) a quello ambientale (gestione incendi, rilevazione inquinamento, monitoraggio neve, incendi, terremoti, eventi calamitosi in generale6 qualità e utilizzo 3

Source: Gartner, August 2014

1

McKinsey Global Institute, Disruptive technologies: Advances that will transform life, business, and the global economy, May 2013

2

Nel settembre 2014 l’Unione Europea ha stanziato un bando di 80 milioni di euro destinato a PMI, startup e imprenditori che utilizzino la piattaforma open source Fiware per sviluppare applicazioni in ambito IoT http://www.corrierecomunicazioni.it/itworld/29793_commissione-ue-bando-da-80-milioniper-l-internet-of-things.htm

Per ulteriori informazioni sul convegno di presentazione dei dati 2013 (tenutosi il 6/02/2014) si veda http://messythinker.altervista.org/linternet-ofthings-in-italia-i-dato-dellosservatorio-politecnicomilano/ 4 Per ulteriori informazioni sul convegno Cisco “Internet of Everythings” tenutosi a Milano il 31/01/2014 si veda http://messythinker.altervista.org/nuova-rivoluzioneparte-dallinternet-of-everything/ 5

http://www.libelium.com/top_50_iot_sensor_applications_ra nking/#show_infographic 6

Vale la pena ricordare, fra gli innumerevoli esempi, il progetto europeo Harmonise (harmonise.eu) relativo alla stima degli investimenti da mettere in campo per la sicurezza urbana. Uno dei case study è in questo momento il quartiere Marassi, di Genova, un quartiere considerato a forte rischio globale, per la presenza di

dell’acqua), energetico, fino alla gestione delle emergenze locali o regionali, agli ambiti domotico, agricolo, industriale (per esempio applicazioni M2M), medico, di sicurezza (poco sviluppato in Italia, molto di più all’estero), logistico e retail (per esempio controllo della supply chain, pagamenti NFC, gestione della rotazione dei prodotti e applicazioni per lo shopping intelligente).

In un mondo connesso, il processo produttivo di un bene o di un servizio non è più qualcosa di finito una volta per tutte: può infatti essere aggiornato con nuove funzionalità mediante un semplice download, e può essere tracciato in vario modo (non ultimo la volontaria registrazione del cliente che usufruisce di quel bene o servizio), allo scopo di meglio adattarlo al comportamento o alle aspettative del cliente. Del resto si ricorda spesso che il valore della vendita fisica di un prodotto può essere ormai spesso superato da altre fonti di fatturato, quali i servizi a valore aggiunto o gli abbonamenti, in grado di generare entrate ricorrenti oltre che un grado di fidelizzazione tale da facilitare il successo di iniziative di cross selling. In un mondo connesso, inoltre, anche i legami di filiera o di settore risultano rafforzati e diventano ancora più vitali per lo sviluppo di azioni sinergiche volte al risparmio, al riuso, all’integrazione virtuosa delle informazioni. ben tre scuole, uno stadio, una stazione ferroviaria, due centri commerciali, due teatri cittadini, il carcere, uno snodo autostradale, due mercati, ma anche due torrenti e una complessiva situazione di instabilità idrogeologica che insistono su un’area a forte densità abitativa. Un insieme di sensori opportunamente collocati fornisce tutta una serie di rilevamenti e misure al Security Supervision System, piattaforma di simulazione e supporto decisionale sviluppata da Selex, in grado per esempio di simulare anticipatamente con modellazioni 3D e poi di monitorare in tempo reale il comportamento della folla in rapporto alle possibili vie di fuga. A Vicenza, invece, i sensori sono ubicati a monte dei centri abitati, potendo così rilevare le precipitazioni piovose prima che esse arrivino ad ingrossare i corsi d’acqua minacciando la popolazione.

Non meno coinvolte in iniziative di collaborazione dovrebbero peraltro essere le città smart, si pensi ad esempio ai progetti di viabilità integrata della macro area urbana Milano-Genova-Torino. Il cittadino “sensore” e la “second life” della TV In ambito urbano, il monitoraggio della Smart City (per sua natura pervasivo, immersivo e che deve avvenire in tempo reale), vede l’affermazione di una nuova tipologia di sensore: il cittadino stesso, dotato di una propria identità digitale univoca7. Egli, mediante sensori indossabili (wearable)8 e di costo più o meno contenuto, interfacciati con i propri dispositivi personali ci comunicazione, consente di infittire la rete di monitoraggio secondo un approccio bottom-up a forte caratterizzazione collaborativa (una sorta di wiki sensing). Presupposto fondante della Smart City, abilitata dall’IoT, è l’Open Government, quell’insieme di pratiche collaborative, partecipative e trasparenti su cui si ritiene dovrebbe ormai fondarsi la convivenza urbana. Virtualmente esso implica che ogni soggetto che genera informazioni digitali, e dunque anche il cittadino stesso, sia messo in rete in modo da rendere disponibile in Rete la propria conoscenza agli altri attori della Smart City. Ogni entità produttrice di informazioni deve, a tale scopo, avere a disposizione un’infrastruttura di geolocalizzazione robusta, semplice e aperta per geo-riferire e integrare correttamente le proprie informazioni, pubblicandole sulla base di interfacce protocollari standard9. In un mondo connesso, infine, anche strumenti cosiddetti “del vecchio mondo precedente” possono venire assimilati dalla Rete e diventarne parte attiva, con nuove funzioni. E’ per il esempio il caso della televisione che, in logica twin screen, diventa Social Media, oltre che proporsi canale originale per ecommerce10 ed in entrambi i casi in grado di 7

E non a caso l’identità digitale del cittadino è una delle prime iniziative pianificate nell’ambito dell’Agenda Digitale, secondo le raccomandazioni europee. 8 In questa prima fase, la diffusione del dispositivo wearable sembra legata soprattutto ad un’idea di status symbol in ambito fashion, oppure di dispositivo ausiliario alla pratica sportiva. Al primo caso si può ad esempio ricondurre l’iniziativa Intel in occasione della presentazione del calendario Pirelli 2015, il 18 novembre 2014, quando è stato proposto un braccialetto in grado di generare degli alert quando si riceve sullo smartphone o sul tablet un messaggio da parte di una persona classificata preventivamente come “VIP”. 9 Linked Open Data 10 Fenomeno in fortissima crescita a livello mondiale, senz’altro alimentata dalle possibilità offerte dal mobile, l’ecommerce vede oggi circa 1 miliardo e 200mila acquirenti online (dati Netcomm 2014 http://messythinker.altervista.org/dellecommerce-initalia/ ), mentre in Italia gli acquirenti sono circa 16

raccogliere e consentire l’analisi di molteplici interessi e passioni dei consumatori-utenti: nel momento in cui sul doppio schermo compaiono link o hashtag collegati a programmi televisivi, ecco che la TV entra in definitiva, a sua volta, nella dimensione interattiva del touch. L’interconnessione come causa e conseguenza delle nuove community urbane Il framework storico-sociale odierno vede la tendenza verso nuove forme comunitarie, prettamente urbane, che sorgono dal basso ma che ben presto si strutturano in qualche misura gerarchicamente sulla base di una naturale selezione tecnologica, che vede da un lato la presenza di forti spinte innovative11 e dall’altro ancora consistenti ambiti non digitalizzati e perciò inevitabilmente emarginati, quali ad esempio si riscontrano in molte pubbliche amministrazioni oppure nel digital divide generazionale o geografico. Laddove però sorgono queste nuove community (o tribù in senso antropologico) del terzo millennio, il driver è naturalmente quello tecnologico e primariamente quello della comunicazione mobile, che rende possibile la tanto auspicata connessione globale di cui IoT si dimostra ampiamente paradigma. La connessione globale è, si è visto, una conseguenza tecnologica, ma ne è anche causa in obbedienza al cosiddetto Caveman Principle di Michio Kaku, in base al quale laddove vi sia un qualsivoglia conflitto fra moderna tecnologia e bisogni primordiali, sono sempre questi ultimi a prevalere. In questo contesto, il mondo iper-connesso é probabilmente da più parti auspicato anche come risposta istintiva alla realtà VUCA (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous), che ci circonda sempre più massicciamente. Fin dall’inizio, ci ricorda Zygmunt Bauman12, lo stato moderno si è trovato di fronte al compito di gestire la paura, quando, con la prima ondata di deregolamentazione e individualizzazione, i legami di vicinato, di comunità e di corporazione, hanno iniziato ad essere scardinati. La modalità di gestione della paura è stata allora quella di sostituire i precedenti legami naturali con i loro equivalenti artificiali sotto forma di associazioni, sindacati, apparati di welfare che, lungi dal mirare ad una redistribuzione della ricchezza, avevano tuttavia come obiettivo l’assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali. La seconda fase della deregolamentazione, iniziata negli anni ’90 e affermatasi in Europa soprattutto con l’avvento del nuovo millennio, ha visto invece un progressivo sottrarsi dello stato al compito di gestire

l’insicurezza sociale, demandata invece allo sforzo privato, agli individui, ai mercati. Sono così sorte tutta una serie di nuove forme di convivenza, da un lato rese necessarie dalla pressante crescita della popolazione urbana (già nel 2014 pari al 54% della popolazione mondiale, secondo il WHO, e in continua crescita) e dall’altro in rapporto di causaeffetto con il dirompente sviluppo delle modalità di comunicazione high-tech. La comunicazione mobile quale elemento fondante del mondo interconnesso della sharing economy In un’ampia disanima del recente passato13, il professor Umberto Bertelé ha ricordato come è solo dal 2007, con l’avvento dello smartphone, che l’accesso ad internet in mobilità ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio (nel 2013 circa 29 milioni di italiani hanno acceduto alla rete da smartphone e tablet) e l’interazione via web, o quantomeno la sua consultazione per i più svariati motivi, ha iniziato ad occupare anche tutti quei tempi interstiziali in precedenza ritenuti “tempi morti” (durante i viaggi o nei momenti di attesa durante la giornata). Il fenomeno dell’accesso ad Internet in mobilità, sottolinea ancora Bertelé, ha provocato una vera e propria disruption anche nell’ecosistema dei grandi attori mondiali di questa nuova “mobile economy”: da una parte i vincitori, come Apple, Google e i nuovi Facebook e Alibaba, dall’altra i grandi perdenti, quali Nokia, Motorola, Blackberry, poi ancora le faticose riprese di HP e Dell, il reinventarsi strategico di Microsoft e Intel, e il proliferare di numerose startup high-tech alcune delle quali hanno dato luogo a nuove modalità antropologiche di interazione, come ad esempio Twitter, Uber e Airbnb, uno dei primi “motori” della sharing economy, quell’economia della condivisione e del riuso che certamente ha ricevuto una spinta notevole dalla grande crisi internazionale iniziata nel 2008, ma che in nuce è andata definendosi come possibilità e anzi come valida alternativa sociale, man mano che lo stato sociale nazionale e le grandi istituzioni internazionali si sottraevano sempre più al precedente ruolo di protezione e promozione, e tendevano invece a presentarsi come vincoli alla prosperità o alla tutela del singolo e della comunità. Già pochi anni dopo la rivoluzione mobile iniziata nel 2007, tuttavia, si assiste ad una saturazione del mercato (in Italia a fine 2013 c’erano circa 37 milioni di smartphone e 7,5 milioni di tablet14). Nel contempo la spinta dal basso verso l’investimento infrastrutturale in termini di telecomunicazioni è diventata talmente pressante da sfociare anche in una 13

milioni a fine 2013, contro i 9 milioni del 2011 (dati Osservatorio del Politecnico di Milano) 11 Un esempio per tutti è quello del Makers, i cosiddetti artigiani digitali del XXI secolo 12 Modus Vivendi. Inferno e Utopia del mondo liquido, Laterza 2007

Intervento pubblicato sul numero 19 del 2014 di ICT4Executive 14 Dati forniti da Marta Valsecchi, responsabile della ricerca presso la Scuola di Management del Politecnico di Milano, nel corso di «A-Day Display the future», incontro-seminario sulla pubblicità in internet, organizzato da Simply Adv del gruppo Dada e dalla Spe del gruppo Monrif, Firenze, novembre 2013

dichiarazione di intenti da parte della politica, sia a livello internazionale (basti appena ricordare il programma UE della Digital Agenda) che nazionale (ad esempio con il Decreto Sblocca Italia o con l’Agenda Digitale o l’iniziativa dei Digital Champions). A fine 2013 la mobile economy valeva in Italia circa 25 miliardi di euro, secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, mentre si stima che nel 2016 varrà circa 40 miliardi di euro. Conclusioni e prospettive In questo articolo si è voluto presentare brevemente il fenomeno Internet of Things come inserito nel più ampio contesto della rivoluzione digitale in atto. Essa, in una relazione di causa-effetto, genera nuovi rapporti e nuovi equilibri anche in ambito sociale, da un lato sempre più centrato sull’individuo (riconoscibile digitalmente nei suoi diversi ruoli di cittadino, utente, cliente, consumatore), eppure nel contempo anche a forte spinta comunitaria, probabilmente persino maggiore che in passato. Tutti i temi qui solo accennati meritano senz’altro approfondimenti specifici, sempre in un’ottica molteplice e complementare di analisi tecnologica, di business e sociale.

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