In Levante. Le difese della Serenissima in Mediterraneo orientale, paradigmi di una cultura militare [Into Levante. The defenses of Serenissima in eastern Mediterranean Sea as a paradigm of a military culture].

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Piero Cimbolli Spagnesi

IN LEVANTE. LE DIFESE DELLA SERENISSIMA IN MEDITERRANEO ORIENTALE, PARADIGMI DI UNA CULTURA MILITARE ESTRATTO da

L’ARCHITETTURA MILITARE DI VENEZIA IN TERRAFERMA E IN ADRIATICO FRA XVI E XVII SECOLO Atti del convegno internazionale di studi Palmanova, teatro Gustavo Modena 8-10 novembre 2013 a cura di Francesco Paolo Fiore

Leo S. Olschki Editore Firenze

L’architettura militare di Venezia in terraferma e in Adriatico fra XVI e XVII secolo A cura di

Francesco Paolo Fiore

BIBLIOTECA DELL’ «ARCHIVUM ROMANICUM» Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia

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L’ARCHITETTURA MILITARE DI VENEZIA IN TERRAFERMA E IN ADRIATICO FRA XVI E XVII SECOLO Atti del convegno internazionale di studi Palmanova, teatro Gustavo Modena 8-10 novembre 2013 a cura di Francesco Paolo Fiore

LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXIV

Tutti i diritti riservati

Casa Editrice Leo S. Olschki Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze www.olschki.it

Cura redazionale: Flaminia Bardati Organizzazione: Gabriella Del Frate

Volume realizzato con il contributo di

Comune di Palmanova

ISBN 978 88 222 6371 1

INDICE

Programma del Convegno Premesse Introduzione di Francesco Paolo Fiore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » XXV L’ARCHITETTURA DELLE DIFESE: MODELLI E FRONTIERE Simon Pepper, Defending the Frontiers of Venice: Fortification and Defensive Strategy in the Friuli before Palmanova. . . . . . . . . . . » 3 Martha Pollak, The ‘Palmanova effect’ and fortified European cities in the seventeenth-century . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 21 Enrico Lusso, Riflessioni su un trattato militare di ambito veneziano e il suo ignoto autore attivo in Monferrato a cavallo dei secoli XVI e XVII. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 37 Marino Viganò, L’altra riva dell’Adda: fortificazioni nel Milanesado degli Absburgo di Spagna (1535-1706). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61 Paola Bianchi, Repubblica veneta e Stato sabaudo: due realtà a confronto fra internazionale delle armi e tradizione militare italiana (secoli XVI-XVII). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 77 LE DIFESE VENEZIANE IN TERRAFERMA Guglielmo Villa, All’origine del fronte bastionato nella Terraferma veneziana: il contributo di Francesco Maria della Rovere e Pier Francesco da Viterbo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 99 Giuliana Mazzi, Michele Sanmicheli, la cosiddetta scuola sanmicheliana e le difese della Repubblica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 119 — VII —

INDICE

Stefano Zaggia, Fortitudo e Maiestas Reipublicae. Le porte urbiche delle città venete nel Rinascimento: evoluzione strutturale e formale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 143 Alessandro Brodini, Da Bergamo a Peschiera: gli Isabello e le fortificazioni di Terraferma nel Cinquecento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 167 Antonio Manno, Palma, la nuova Aquileia, specchio di Venezia e del Rinascimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191 Francesco Paolo Fiore, Palmanova e la fortificazione in terra . . . » 221 Silvia Moretti, Palmanova e la via del mare nel XVII secolo. . . . . » 241 LE DIFESE VENEZIANE IN ADRIATICO Vanja Kovacˇ ic´, Città fortificate in Dalmazia: modelli di difesa del territorio e dell’ambito insulare dal XVI al XVII secolo. . . . . . . » 263 Andrej Žmegacˇ, Fortezze venete in Dalmazia. . . . . . . . . . . . . . . . . » 283 Elisabetta Molteni, Le opere militari del Seicento tra aggiornamento tecnico e nuovi sistemi di fortificazione. Un progetto dell’ingegner Verneda per Zara. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 305 Ilija Laloševic´, Bay of Kotor Venetian Period (1420-1797) Military Architecture. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 335 Darka Bilic´, I protagonisti dell’edilizia militare in Dalmazia nei secoli XVII e XVIII. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 359 Piero Cimbolli Spagnesi, In Levante. Le difese della Serenissima in Mediterraneo orientale, paradigmi di una cultura militare. . . . . » 381 TAVOLA ROTONDA Obiettivo UNESCO: processo di gestione e valorizzazione dei beni architettonici

Adele Cesi, Le opere di difesa veneziane tra il XV ed il XVII secolo. Un progetto transnazionale per l’iscrizione nella lista del patrimonio mondiale UNESCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 415 Gianpaolo Carbonetto, Un patrimonio dell’umanità in casa propria » 417 Roberto Grandinetti, L’unicità di Palmanova al centro di un progetto di marketing territoriale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 421 — VIII —

INDICE

Alessandro F. Leon – Paolo Leon, Palmanova e l’UNESCO: il nesso tra sviluppo economico e politiche per la conservazione. . . . . » 431 Maria Giulia Picchione, Messa in sicurezza di un tratto di mura della prima cinta fortificata di Palmanova (da Porta Udine a Baluardo Grimani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 439 Barbara Pessina, Il degrado della prima cinta fortificata e primi interventi per la messa in sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 445 Crediti fotografici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 457

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Piero Cimbolli Spagnesi IN LEVANTE. LE DIFESE DELLA SERENISSIMA IN MEDITERRANEO ORIENTALE, PARADIGMI DI UNA CULTURA MILITARE

Volendo affrontare l’architettura militare di Venezia in Levante e in età moderna, a lato di Palmanova e del suo teatro d’operazioni in terraferma, il campo della ricerca va ampliato all’intera cultura militare che sottostava alle difese della Serenissima. Il problema è che, nel guardare – appunto – a tutto questo, oltre a quanto era in Adriatico, dalla metà del XVI alla fine del XVIII secolo, vanno considerati anche altri temi di fondo che non solo quelli delle fattezze o degli artefici di opere particolari. Perché, dopo il Medioevo, questo tempo molto lungo fu anche quello più generale della perdita di forza e autonomia da parte di Venezia, di fronte al sopravanzare – rispetto alla sua piccola realtà di vecchia repubblica italica – prima degli imperi ottomano e spagnolo e poi di Olanda, Francia e Inghilterra: potenze europee di tutt’altre dimensioni da quelle sue e delle sue terre d’oltremare. Soprattutto, Stati nuovi e con concezioni strategiche centrate non solo entro lo stretto di Gibilterra e poco al di là, ma anche molto altrove.1 Temi d’architettura militare A mutare in maniera radicale l’oggetto del lavoro, vale che in passato uno dei temi in questione era stato già individuato in manufatti diversi dalle sole fortifi1 Sul Mediterraneo come luogo d’incontro tra tante e diverse culture, v. E. Bradford, Mediter  ranean, Portrait of a Sea, London, Penguin 20002; F. Braudel, Memorie del Mediterraneo. Preistoria e Antichità, Milano, Bompiani 1998; D. Abulafia, Il grande mare. Storia del Mediterraneo, Milano, Mondadori 2013. In particolare sugli scontri tra cristiani e turchi nel XVI secolo, è sempre valido F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi1986 (ed. orig. Paris 1949). Per un’analisi ampia delle tante implicazioni della perdita d’importanza del Mediterraneo tra XVI e XVII secolo a vantaggio di altri luoghi, v. J. Glete, La guerra sul mare, 1500-1650, Bologna, il Mulino 2010 (ed. orig. London, Routledge 2000), pp. 139-164.

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PIERO CIMBOLLI SPAGNESI

cazioni terrestri, in generale anche in altri tipi di architetture. Ancora negli anni Venti e Trenta del Novecento e poi in una celebre mostra a Venezia del 1986 era già emerso che all’inizio del Cinquecento gli stessi veneziani erano pienamente consapevoli della loro vera realtà militare. Soprattutto, che per loro quella più importante non era tanto l’insieme delle loro basi navali, ma il suo grande Arsenale: il luogo di produzione di tutte le imbarcazioni militari – anch’esse architetture a tutti gli effetti, anche se navali e non terrestri – che permettevano di assicurare la libera circolazione in Mediterraneo e Adriatico.2 Perché per 2 Venezia e la difesa del Levante da Lepanto a Candia, 1570-1670, catalogo della mostra (Vene  zia, 1986), a cura di D. Calabi, G. Cecconi, E. Concina, S. Mason Rinaldi, P. Morachiello, P. Preto, A. Zitelli, Venezia, Arsenale 1986. L’introduzione del concetto astratto di progettazione dell’architettura navale nell’ambiente dei sovrastanti (i proti) e delle maestranze dell’Arsenale di Venezia, contrapposto a quello della pratica del cantiere anche ai livelli maggiori – a monte del processo produttivo vero e proprio di ogni singola imbarcazione e in maniera analoga a quanto in uso già dal secolo precedente per molta parte dell’architettura terrestre religiosa, civile e militare – si deve verosimilmente, dal 1525 in poi, a Vettor Fausto, umanista, professore di greco alla Scuola di S. Marco, traduttore della Meccanica di Aristotele (Aristotelis Mechanica, Victoris Fausti industria in pristinum habitum restituta ac latini tate donate, Paris, I. Badius 1517) e autore di un progetto per una galea a cinque file di remi. Su di lui, oltre a E. Concina, «Sostener in vigore le cose del mare»: arsenali, vascelli, cannoni, in Venezia e la difesa, cit., pp. 47-54: 50, 71, v. F.C. Lane, Venetian ships and shipbuilders of the Renaissance, Baltimore, Johns Hopkins University Press 1934, (ed. anast. New York, Arno Press 1979), pp. 64-71; E. Concina, Navis. L’umanesimo sul mare (1470-1770), Torino, Einaudi 1990; G. Parker, La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell’Occidente, Bologna, il Mulino 1990 (ed. or. Cambridge, Cambridge University Press 1988), p. 155; G. Ercole, Le galee mediterranee. 5000 anni di storia, tecnica e documenti, Trento, Gruppo Modellistico Trentino 2008, pp. 100-101; L.D. Ferreiro, The Aristotelian heritage in early naval architecture, from Venetian arsenal to the French navy, 1500-1700, «Theoria», XXV, 2010, 2, pp. 227-241; L. Campana, Vettor Fausto (1490-1546), Professor of Greek and a Naval Architect. A New Light on the 16th-century Manuscript “Misure di vascelli etc. di… proto dell’Arsenale di Venetia”, tesi dattiloscritta, Master of Arts, Texas A&M University, December 2010 (http://hdl.handle.net/1969.1/148455; 31.03.2014). Per i trattati di architettura navale meglio noti a Venezia tra XVI e XVIII secolo, editi e inediti, si veda E. Concina, «Sostener», cit., pp. 71-73, 7577. Tra questi, i maggiori erano i seguenti: L. de Baïf, De re navali Commentarius, Basilea, Balthazar Lasius & Thomas Platter 1537; B. Drachio, L’ammiraglio del mare, mss, 1595-1605 circa (Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, Ms. cl. IV, cod. 177 [=155]); B. Crescentio, Nautica mediterranea […] nella qual si mostra la fabrica delle galee, galeazze e galeoni, con tutti i lor armamenti, ufficii et ordini et il modo di far vogar una galea a tutti i transiti del mar con solo vinti remieri […], Roma, Bartolomeo Bonfadino 1602; J. Furttenbarch, Architectura navalis, Ulm, J. Saur 1629; N. Witsen, Scheeps Bouw en Beister, Amsterdam, Casparus Commeljin 1671; F. d’Assié, Architecture navale, Paris, J. de la Caille 1677; S. de Zuanne de Michiel, L’architettura navale […] opera d’aplicazione e fattica descritta e disegnata di sua mano in Venezia l’anno 1686, mss (British Library, London, Ms. Add. 36655); F.H. Chapman (1721-1808), Architectura navalis mercatoria, navium varii generis mercatoriarum, capulicarum, cursoriarum, aliarumque, cujuscunqve conditionis vel molis, formas et rationes exhibens: exemplis aeri incisis, demonstrationibus denique dimensionibus calculisque accuratissimis illustrata, Stockholm, Lange 1768; Storia delle costruzioni navali. Dettaglio, dimensioni etc. Cronologiche annotazioni della sortita di tutte le navi di primo rango, ms, anonimo, ante marzo 1793 (Biblioteca Querini Stampalia, Venezia, d’ora in poi BQS, Mss. cl. IV, cod. 482 [317]). Su tutta la maggiore trattatistica europea d’architettura navale e sui suoi riflessi nelle costruzioni navali del periodo, oltre a H. Novacki – L.D. Ferreiro, Historical roots of the theory of hydrostatic stability of ships, in Proceedings of the 8th international conference on the stability of ships and ocean vehicles, Madrid, Universidad Politècnica de Madrid 2003, pp. 1-30, v. soprattutto L.D. Ferreiro, Ships and science. The birth of naval architecture in the scientific revolution, 1600-1800, Cambridge (Mass.) – London, The MIT Press 2007.

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Venezia, commerci e scambi con altri paesi avvenivano quasi completamente su vie di comunicazione marittima, attestate ai loro estremi alle basi in questione. Così affermava infatti un documento ufficiale dell’inizio del periodo, con una dichiarazione tanto lapidaria quanto efficace: «Nell’Arsenale nostro consiste in buona parte la conservazione del nostro Stato sì da terra come da mar».3 Ad analizzare l’Arsenale in sé – come è stato anche già fatto – e architetture analoghe più piccole in Levante, luoghi intermedi di riparazione delle navi lungo le rotte per l’Egeo, l’affermazione è chiara.4 In particolare se si considera la grande produzione di navi che la struttura maggiore fu in grado di realizzare con certezza dal 1667 alla vigilia della sua distruzione francese nel 1798 e quanto fecero le altre, in particolare a Candia di Creta. Tralasciando per mancanza di dati tutto il XVI secolo e l’avvio del XVII, non può essere ignorato quanto fu allestito e varato sugli scali del grande complesso militare e industriale in laguna almeno dalla seconda metà del XVII secolo al 1796: un insieme molto ampio di vere e proprie fortezze naviganti, in totale 111 imbarcazioni di tutte le classi e dimensioni – tra vascelli di primo, secondo e terzo rango, fregate grandi e fregatine, golette e kutter – più cinque navi completate dai francesi e portate via da Venezia e altre 16 ancora in costruzione e da loro demolite sugli scali.5 (Fig. 1) Non è un caso che un vero e proprio programma di forteresse flottante avviato in Francia da Luigi XIV sia documentato con certezza negli anni sessanta del XVII secolo.6 Su un altro piano va anche considerato che, a differenza che in mar Baltico, Atlantico e Pacifico, le guerre in Mediterraneo del periodo in esame furono su distanze molto brevi e a carattere soprattutto anfibio.7 In relazione, quindi, alle pos3 9.11.1500, Pregadi (BQS, Mss. It. cl. IV, cod. 130 [= 151], c. 12r), cit. in E. Concina, «Soste  ner», cit., pp. 47-55. 4 Su questo fondamentale insediamento della città lagunare, su infrastrutture simili veneziane in   Levante e sui relativi ruoli strategici in Mediterraneo, si veda G. Casoni, Guida all’arsenale di Venezia, Venezia 1829, rist. anast. a cura di P. Ventrice, Sommacampagna (Verona), Cierre 2011; M. Nani Mocenigo, L’arsenale di Venezia, Roma (1927) Ministero della Marina 1938²; E. Concina, L’Arsenale della Repubblica di Venezia: tecniche e istituzioni dal medioevo all’età moderna, Milano, Electa 1984; G. Bellavitis, L’arsenale di Venezia. Storia di una grande struttura urbana, Venezia, Cicero (1983) 2009²; P. Ventrice, L’arsenale di Venezia tra manifattura e industria, Sommacampagna (Verona), Cierre 2009; Gli arsenali oltremarini della Serenissima. Approvvigionamenti e strutture cantieristiche per la flotta veneziana (secolo XVI-XVII), a cura di M. Ferrari Bravo, S. Tosato, Milano, Biblion 2010. 5 Catalogo generale di tutte le pubbliche navi che sortirono dalla eccellentissima casa dell’Arsenal   di Venezia dal primo principio della loro costruzione, fino al giorno d’oggi, dedicato sua eccellenza il nobil homo sier Tomaso Condulmer kavalier e capitano delle navi, Corfù anno MDCCIIIIC (Museo Storico Navale, Venezia, mss., n. S/33), pubbl. in G. Ercole, Vascelli e fregate della Serenissima. Navi di linea della Marina veneziana, 1652-1797, Trento, Gruppo Modellistico Trentino 2011, pp. 263-309. 6 G. Parker, La rivoluzione, cit., p. 174, n. 47 a p. 197.   7 J. Glete, La guerra, cit., pp. 54-55, 141-142.  

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Fig. 1. Giovanni Battista Maffioletti, Proiezione iconografica del ces. reg. Arsenal di Venezia connotante lo stato di sua forza militare marina al tempo dell’abdicazione del suo governo lì 12 maggio 1797 (Venezia, Museo Navale; da G. Bellavitis, 2009², pp. 168-169).

sibilità di tale numero di navi di combattere e trasportare uomini e cose in funzione di ciò, oltre che di percorrere e tenere libera la fitta rete di percorsi marittimi su cui era basata la forza effettiva della Serenissima, va affrontato il tema altrimenti generico delle architetture militari di Venezia: quelle per mare dove era alloggiata la maggior parte delle artiglierie e quelle in terraferma per la protezione della laguna e del suo entroterra e delle varie basi navali.8 Alla prima serie del secondo gruppo appartenevano Palmanova in Friuli sul confine terrestre e i vari forti in terraferma e sulle isole della laguna. Alla seconda serie, casi minimi come quelli di Suda e Spinalonga a Creta e quelli a tutt’altra dimensione di Zara, Corfù, del sistema di forti intorno alle bocche 8 Per la quantità di artiglieria imbarcata alla meta del XVII secolo in Europa in rapporto a   quella in dotazione agli eserciti terrestri, si veda G. Parker, La rivoluzione, cit., pp. 163-168; K. Chase, Armi da fuoco. Una storia globale fino al 1700, presentazione di F. Mini, Gorizia, Editrice Goriziana 2009 (ed. orig. Cambridge 2003), pp. 124-126.

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di Cattaro in Adriatico e, in Levante, di La Canea, Candia, Retimno a Creta, Chios sull’isola omonima, Nicosia e Famagosta a Cipro. Da sole, Palmanova e Nicosia – in apparenza molto simili, oltre che realizzate quasi dagli stessi personaggi – hanno quindi un senso solo se viste in questo quadro più ampio, in relazione a tutto il Levante e a quanto percorreva il mare. Il fatto che le guerre terrestri d’assedio e di fanteria ebbero un peso grande nell’ambito dell’Ecumene del vecchio continente nel Rinascimento e dopo è un dato fuori questione. Tanto che il tema della cosiddetta rivoluzione militare europea conseguente l’impiego di nuove tattiche di fanteria e artiglieria rispetto a prima e al conseguente utilizzo diffuso (dal 1530 in poi) del fronte bastionato italiano è un patrimonio storiografico acquisito.9 Anche se conosciamo ancora molto poco delle trasformazioni degli organismi strutturali che componevano il sistema in questione tra la fine del XVI secolo e del XVIII. L’altra questione sospesa è che, in parallelo a quanto avveniva in Italia ed Europa centrale – alla base della nascita e della diffusione del sistema di cui sopra – in Mediterraneo e soprattutto altrove avveniva dell’altro: come accennato sopra, un argomento ancora meno studiato e che solo di recente ha ricevuto una certa attenzione. Fino a tempi molto recenti era noto sempre molto poco anche dell’influenza delle grandi trasformazioni tecnologiche nel campo delle artiglierie e delle costruzioni navali tra metà del XVI secolo e inizio del successivo in avvenimenti d’altra natura da quella mediterranea solita: per esempio nella conduzione della guerra anglo-spagnola del 1585-1604, di quella ispano-olandese del 1621-1648 e delle tre guerre anglo-olandesi del 16521674. Così come è poco conosciuta la vicenda dello stesso declino progressivo della Serenissima in Mediterraneo nel medesimo periodo per l’incapacità di adeguarsi a esse.10 A una scala più d’insieme, l’argomento dei conflitti navali in Mediterraneo tra Seicento e Settecento non è stato infatti esplorato ancora quasi per niente.11 Limitando, quindi, il tema al caso della cultura militare veneziana vista come un intero, è un fatto che essa agisse in tutt’altro ambito geografico e militare rispetto al resto d’Europa: in fondo, un contesto solitario ai margini dei grandi conflitti di religione in terraferma e Mediterraneo 9 K. Chase, Armi, cit., pp. 116-120; J. Glete, La guerra, cit., pp. 20-30. Il riferimento è appun  to al classico G. Parker, La rivoluzione, cit. Per un riassunto dello stato attuale del dibattito a partire da questo, v. K. Chase, Armi, cit., n. 31 a p. 141. 10 J. Glete, La guerra, cit., pp. 20-30; L.D. Ferreiro, Ships, cit., pp. 31-32, 67, 249, 298-299.   11 J. Glete, La guerra, cit., pp. 16-20. Per un avvio, si veda Id., Navies and nations. Warship,   navies and state building in Europe and America, 1500-1862, Stockholm, Almqvist & Wiksell International 1993. Per il caso in esame, si veda A. Manno, Strategie difensive e fortezze veneziane dal XV al XVIII secolo, in Palmanova fortezza d’Europa 1593-1993, catalogo della mostra (Venezia 1993), a cura di G. Pavan, Venezia, Marsilio 1993, pp. 501-549.

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stesso tra cristiani e turchi e dei cristiani tra loro. Soprattutto, appunto, che si muoveva in un mondo totalmente estraneo ai grandi scontri navali tra spagnoli, francesi, olandesi e inglesi per il dominio delle colonie in Oriente e nelle Americhe, anche se come loro con un suo spazio vitale quasi totalmente in mare. Come è noto, ciò era in funzione principalmente dei suoi commerci con l’Oriente di nuovo e col Mar Nero e il Mare del Nord, e dei suoi rapporti in prima battuta con i turchi stessi e solo in secondo piano con chiunque altro.12 Per questo, in definitiva, proprio l’Arsenale, luogo strategico di progettazione e realizzazione di imbarcazioni militari grandi e piccole, aveva un ruolo chiave nella questione e tale da essere considerato già allora la maggiore difesa della Repubblica: in buona sostanza, la prima fra le sue architetture militari.13 Se analizziamo in dettaglio i vari teatri d’operazione, per le difese della Serenissima esistevano – come già detto – anche più fronti terrestri. Dalla fine della seconda metà del XVI secolo in poi la fortezza di Palmanova, sul confine di nord-ovest in terraferma, ne fu senz’altro il perno maggiore. Ciò accadeva dopo la perdita di Nicosia a sud-est nel 1570, all’altro estremo dei suoi possedimenti e su un tipo di fronte molto diverso, sempre in terraferma ma molto ristretto e limitato alle dimensioni dell’isola di Cipro. In una più ampia realtà, Nicosia serviva invece da estremo rifugio nel mezzo di un territorio marittimo assai più vasto di quello fino alle sole coste dell’ultima grande isola del Mediterraneo di fronte alla Palestina; mentre la città-fortezza friulana vigilava solo le maggiori vie terrestri per Austria e Germania verso nord e per il Piemonte e la Francia verso ovest.14 Come detto sopra, su un altro piano da quello terrestre gli altri fronti molto più ampi, anch’essi cruciali per la Repubblica, erano l’Adriatico e poi – appunto – il Mediterraneo centro-orientale. In tutto ciò, a tutt’altra scala geografica dalla terraferma veneta vera e propria, il mare era percorso più o meno liberamente da tanti soggetti vari in conflitto tra loro.15 12 Su tutto questo – oltre ai più ampi F. Lane, Storia di Venezia, Torino, Einaudi 1991, e J.R.   Hale, L’organizzazione militare di Venezia nel Cinquecento, Roma, Jouvence 1990 – oggi si veda J. Glete, La guerra, cit., pp. 158-164 e nota 4 a p. 306 per la bibliografia. 13 M. Nani Mocenigo, L’arsenale, cit., pp. 10-11; E. Concina, «Sostener», cit., pp. 48-49; Id.,   L’Arsenale, cit, passim; E. Concina – E. Molteni, «La fabrica della fortezza». L’architettura militare di Venezia, Verona, Banca Popolare di Verona, 2001, pp. 49, 51. 14 Su Palmanova, si veda già P. Marchesi, Fortezze veneziane 1508-1797, Milano, Rusconi 1984,   pp. 176-178. Riassuntivo dello stato degli studi sull’argomento fino agli anni novanta del XX secolo è comunque sempre Palmanova, cit. Sulla fama della città friulana in campo letterario nel periodo in esame, si veda A. Prelli, Palmanova ottava meraviglia. La fortezza nei libri tra realtà e fantasie 1593-1797, Udine, Edizioni del Confine 2012. Per il quadro complessivo dell’architettura militare di Venezia fino alla caduta della Repubblica, oltre a P. Marchesi, Fortezze, cit., oggi si veda E. Concina – E. Molteni, «La fabrica della fortezza», cit. Sul medesimo tema è sempre valido anche E. Rocchi, Le fonti storiche dell’architettura militare, Roma, Officina Poligrafica editrice 1908, pp. 305-312. 15 Per visioni storiche complessive delle tante battaglie navali in Mediterraneo e altrove nel  

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Fig. 2. Carte de L’Ancienne Vénétie (da P. Daru, Histoire de la République de Venise, Paris, F. Didot 1819, vol. III).

Solo in un secondo tempo e a una scala più ridotta possono quindi entrare nel discorso i fronti allo stesso tempo terrestri e marittimi dei dintorni immediati delle singole basi navali. Anche perché queste ultime erano i luoghi cardine di un solo territorio e di un unico sistema strategico su base marittima, non semplici fortificazioni terrestri isolate tra loro dal mare. Allo stesso tempo, questi stessi luoghi non furono mai particolarmente estesi in terraferma e furono sempre limitati ai dintorni degli approdi e a poco altro. Per questo la vicenda della campagna di Morea tra 1687 e 1715 e i correlati problemi di gestione di un ambito terrestre molto esteso ma lontano dalla laguna madre fu considerata già allora, nel suo complesso, un’eccezione.16 (Fig. 2) periodo in esame, esaminate in parallelo con le trasformazioni dell’architettura delle varie imbarcazioni, v. A. Santoni, Da Lepanto ad Hampton Roads. Storia e politica navale in età moderna (XVI-XIX secolo), Milano, Mursia 1990; Id., Storia e politica navale dell’età moderna (XV-XIX secolo), Roma, Ufficio Storico della Marina militare 1998. 16 C. Tiberi, Monumenti veneziani a Creta, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, Firenze,  

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Vicende storiografiche Ancora prima di trattare di questioni di fortezze terrestri in parallelo con quelle navali, è utile un cenno alle vicende culturali al contorno della storiografia dell’architettura militare al tempo del suo avvio in Italia alla fine dell’Ottocento su ampia scala. Il fatto è che in tutt’altro contesto da quello del Regno dei Savoia dell’ultimo ventennio del XIX secolo – il luogo e il tempo dell’inizio degli studi in questione – i concetti di sea power, sea control e sea denial sviluppati oltre oceano da Alfred Thayer Mahan nello stesso momento e in funzione dei suoi interessi nei confronti del potere navale a scala globale dell’impero britannico furono uno dei migliori strumenti per proiettare la politica di potenza degli Stati Uniti di allora verso il Pacifico e l’Asia orientale.17 Poco dopo la loro formulazione, questi stessi concetti furono applicati già nella prima guerra mondiale da Gran Bretagna, Giappone, Germania e di nuovo dagli Stati uniti, insieme al correlato riferimento storiografico agli avvenimenti tra XVII e XVIII secolo nei vari mari del globo. Come sottolineato da Mahan stesso e da altri dopo di lui, in tale periodo i tre concetti in questione erano noti – prima fra tutti – alla Repubblica di Venezia: non a caso, la marina inglese, poi britannica – grande sua avversaria – verso Olschki 1974, II, pp. 377-391, figg. 221-275; Id., Architetture e memorie italiane in Grecia. Reciproche influenze di cultura, «Il Veltro. Rivista della civiltà italiana», XXVII, 1983, 3-4, pp. 337-349; Id., Saggio introduttivo, in N. Lianos, Le fortezze della Serenissima nel Peloponneso (1687-1715): “con grand’idea molto... intrapreso e niente ridotto alla perfezione”, Roma, Dedalo 2003, pp. xiii-xiv. 17 Per i lavori maggiori dell’ufficiale statunitense, si veda A.T. Mahan (1840-1914), The in  fluence of sea power upon history, 1660-1783, Boston, Little, Brown and Company 1890; Id., The influence of sea power upon the French revolution and the empire, 1793-1812, Boston, Little, Brown and Co. 1892; Id., The interest of America in sea power, present and future, Boston, Little, Brown and Co. 1897; Id., Lessons of the war with Spain, Boston, Little, Brown and Co. 1899; Id., The life of Nelson, the embodiment of the sea power of Great Britain, Boston, Little, Brown and Co. 1897; Id., The Royal Navy, a history from the earliest times to the present, Boston, Little, Brown and Co. 1897-1903 (7 voll.); Id., The problem of Asia and its effects upon international policies, Boston, Little, Brown and Co. 1900; Id., Sea power in its relations to the war of 1812, Boston, Little, Brown and Co. 1905; A.T. Mahan – W.S. Sims, Size of battleships, Washington, Government Printing Office, 1907 (59th Cong., 2d sess., Senate document 213); A.T. Mahan, Naval strategy compared and contrasted with the principles and practice of military operations on land, Boston, Little, Brown and Co 1911; Id., The major operations of the Navies in the war of American indipendence, Boston, Little, Brown and Co 1913. Per il suo pensiero appena prima del coinvolgimento degli USA nella prima guerra mondiale, Id., The interest of America in international conditions, Boston, Little, Brown and Co. 1915. Per la sua fama già subito dopo, v. Mahan on naval warfare. Selections from the writings of Rear Admiral Alfred T. Mahan, A. Westcott editor, London, Sampson Low, Marston and Company 1919; C. Carlisle Taylor, The Life of Admiral Mahan Naval Philosopher, Rear-Admiral United States Navy, New York, George H. Doran Company 1920. Per le uniche due sue opere tradotte in Italia all’inizio del XX secolo, si veda A.T. Mahan, Lezioni della guerra ispano-americana, a cura di C. Manfroni, Spezia, F. Zappa 1900; Id., L’Interesse degli Stati Uniti rispetto al domino del mare presente e futuro, a cura di C. Manfroni, Torino, Casanova e C.ia Editori 1904.

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la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento era andata a sovrapporsi a essa e ai suoi territori in Mediterraneo, sia luoghi particolari sia intere aree di influenza commerciale. Il fatto è che in parallelo a quest’ambito di riflessioni, per una differenza di impostazione dovuta ad altri interessi di fondo, la tendenza della storiografia italiana ed europea del tempo di Mahan e dopo a proposito d’architettura militare moderna – quindi anche di quella di Venezia – era di considerare le realizzazioni in terraferma veneta e in Levante della Serenissima come opera quasi solo di ingegneri militari terrestri (per di più riconoscendone anche la formazione professionale molto varia); non come il frutto parziale di un’unica cultura militare ampia e articolata, legata per prima cosa al mare e solo dopo al resto. Riguardando la cosa a posteriori, forse in ciò era determinante l’impostazione critica italiana della fine del XIX secolo, quando l’intero argomento fu codificato per la prima volta da parte di Enrico Rocchi, ufficiale del Genio del Regio Esercito, come di natura soprattutto terrestre. Nel caso specifico ciò accadeva perché – alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX – lo studio dell’architettura militare del passato doveva essere più in generale di fondamento culturale al tema allora dominante della difesa dei confini montani con la Francia del neonato Regno d’Italia.18 Per rilegarci a quanto detto poco sopra, è un fatto che ciò avveniva a partire dal medesimo metodo storico-critico, anche se in una direzione molto diversa, applicato nello stesso momento da Mahan negli Stati Uniti: cioè in una nazione di tutt’altre dimensioni e potenzialità dall’Italia di allora, e con prospettive di apertura verso nuovi commerci e nuovi spazi (i mercati dell’Oriente attraverso la conquista del Pacifico) molto differenti, non col solo problema della protezione da un vicino scomodo, tra l’altro attuata a una dimensione geografica complessiva anche piuttosto modesta. Tanto che a seguire l’Italia combatté gli Imperi centrali tra 1915 e 1918 soprattutto in terra, assai poco in mare e comunque solo in alto Adriatico. A differenza di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non 18 In questa direzione, l’opera di Enrico Rocchi (1850-1933), ufficiale del Genio del Regio   Esercito italiano, era già stata riconosciuta come fondamentale al tempo suo. Per le sue idee chiave nella progettazione delle difese terrestri del Regno d’Italia, si veda E. Rocchi, L’impiego della fortificazione nella difesa degli Stati (A proposito delle regioni fortificate del generale Brialmont), «Rivista d’Artiglieria e Genio», III, 1890, pp. 34-59, 237-268; Id., La fortificazione attuale. Considerazioni generali. Elementi principali di un ordinamento difensivo, «Rivista d’Artiglieria e Genio», I, 1891, pp. 35-98; Id., Traccia per lo studio della fortificazione permanente, Roma, Labor. Foto-Litogr. 1902. Per i sui lavori storiografici maggiori, si veda Id., L’origine della fortificazione moderna, Roma, E. Voghera 1898; Id., Le fonti, cit. Su di lui e la sua influenza nel periodo, con la sua bibliografia, si veda P. Cimbolli Spagnesi, Enrico Rocchi, ingegnere militare e storico, in Scritti in onore di Gaetano Miarelli Mariani, a cura di M.P. Sette, M. Caperna, M. Docci, M.G. Turco, «Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura», ns, 44-50, 2004-2007, pp. 261-272.

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sviluppò dottrine marittime di vasto respiro, ma realizzò solo un complesso sistema di fortezze sulle Alpi a partire proprio dagli studi di Rocchi sul loro ruolo per la difesa terrestre di uno Stato di allora. Come andarono questo conflitto e le vicende italiane dopo anche la seconda guerra mondiale potrebbe essere uno dei motivi guida per comprendere perché il taglio storiografico in questione non sia più mutato da quel tempo ormai molto lontano.19 Ciò nonostante, dopo decenni ancora, il fatto che l’approccio a una politica marittima e navale di fine Ottocento e di tipo anglosassone sia riemerso in maniera preponderante da almeno un ventennio in Occidente e che abbia soppiantato una parte importante delle precedenti dottrine operative militari del tempo della guerra fredda – basate per lo più sullo scontro terrestre – è il contesto che oggi forse può dare un nuovo spunto per affrontare il tema dell’architettura militare di Venezia in una maniera più vicina alla realtà che concepì tutte le difese della Serenissima.20 A differenza della chiave critica italiana anch’essa di fine Ottocento – fino a tempi recenti immutata anche fuori d’Italia – è riguardando l’argomento proprio a partire da Mahan che cambia il quadro d’insieme. Anche perché negli anni novanta del XX secolo, all’avvio del dibattito sul sorgere dell’Occidente rispetto ad altre culture per la rivoluzione tecnologica della fine del XVI secolo, erano già state tracciate direzioni storiografiche nuove non solo per l’architettura militare terrestre ma anche per le vicende marittime e i legami in generale tra architetture navali e terrestri, col dare già allora un valore nuovo alle intuizioni dell’ammira19 Dopo C. Manfroni, Storia della Marina italiana, Livorno, Accademia Navale – Roma, For  zani e C. 1897-1902, per studi vari dopo la prima guerra mondiale sull’attività della Serenissima in Levante nei due secoli successivi, si veda M. Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica, Roma, Ministero della Marina 1935; B. Dudan, Il dominio veneziano in Levante, Bologna, Zanichelli 1938. Sulle sue architetture militari, dopo G. Gerola, Monumenti veneti nell’isola di Creta, I, Venezia, s.e. 1905 e Ib, Venezia, s.e. 1906, si veda L.A. Maggiorotti, Architetti e architetture militari. Medioevo, Roma 1933 («L’opera del genio italiano all’estero», I), pp. 361-554. 20 Per i primi lavori su questo tema già verso la fine della guerra fredda, si veda The Influence   of history on Mahan. The proceedings of a conference marking the centenary of Alfred Thayer Mahan’s “The influence of sea power upon history, 1660-1783”, a cura di J.B. Hattendorf, Newport, R.I., Naval War College Press 1991; G. Anderson, Beyond Mahan. A proposal for a U.S. naval strategy in the twenty-first century, Naval War College, Center for Naval Warfare Studies, Newport (R.I.), Naval War College Press 1993; Mahan is not enough. The proceedings of a conference on the works of Sir Julian Corbett and Admiral Sir Herbert Richmond, a cura di James Goldrick, John B. Hattendorf, Newport (R.I.), Naval War College Press 1993. Per un quadro complessivo della produzione dell’ammiraglio statunitense, si veda J.B. Hattendorf, L.C. Hattendorf, A Bibliography of the Works of Alfred Tahyer Mahan, Newport (R.I.), Naval War College Press 1986; P.A. Crowl, A.T. Mahan: lo storico navale, in Guerra e strategia nell’età contemporanea, a cura di P. Paret, Genova, Marietti 1992, pp. 155-186. Per la recezione di tutto ciò in Italia nell’ultimo decennio del XX secolo, il riferimento cardine è a A.T. Mahan, L’influenza del potere marittimo sulla storia 1660-1783, a cura di A. Flamigni, Roma, Ufficio storico della Marina militare 1994: prima traduzione italiana di Id., The Influence, cit.

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glio statunitense.21 Nonostante ciò, per un’adesione quasi inconsapevole alla convenzione storiografica ottocentesca italiana di cui sopra, sempre da allora sono stati svolti di nuovo solo i percorsi relativi alla trace italienne esaminata di per sé, come a partire dagli studi sempre di Rocchi, ignorandone i legami col resto.22 Dimensioni marittime Alla fine del Medioevo le rotte più importanti delle navi veneziane per il Mediterraneo, il mar Nero e oltre lo stretto di Gibilterra erano sostanzialmente quasi solo rotte costiere o comunque tali da richiedere pochi giorni di navigazione in mare aperto tra un approdo e l’altro. (Fig. 3) Tutte erano in ogni caso sempre vincolate alle maggiori correnti marine del luogo, che a causa di una serie di grandi circuiti chiusi (da ovest verso est, il circuito ovest intorno alle isole Baleari; il circuito tirrenico tra Sardegna, Sicilia e penisola italica; il grande circuito ionico tra Sicilie, Puglia e Calabria, il Peloponneso e le coste della Libia; il circuito di Levante tra Creta, le coste dell’Egitto, Cipro e le coste sud della Turchia)23 imponevano alle galee – imbarcazioni dal fondo piatto e con pescaggio scarso – una navigazione principalmente costiera a causa della loro incapacità a reggere la forza del mare per lunghi periodi. Per tutto il Medioevo e buona parte del XVI secolo le imbarcazioni 21 G. Parker, La rivoluzione, cit., pp. 149-203: 149-150 e n. 2 a p. 190: «Mahan era soprattutto   un teorico navale che cercò di trovare e formulare delle “regole universali” per una vittoriosa condotta di guerra sui mari, simili a quelle proposte da Jomini per la guerra terrestre. Egli non era uno storico di formazione. […] Eppure Mahan si era dedicato ad una questione principale che era stata ignorata da molti storici precedenti. […] Ciò perché agli albori dell’Europa moderna avvenne una rivoluzione nella guerra navale che non fu meno rilevante di quella verificatasi per la terrestre, in quanto aprì la strada all’esercizio dell’egemonia europea sulla maggior parte degli oceani per quasi tutta l’età moderna». 22 Per dire della rilevanza della questione nella realtà operativa militare, sempre da un venten  nio tutte le marine occidentali abbiano ripreso molti studi a più livelli della prima metà del novecento o della fine del secolo precedente su basi navali e porti vari, riconsiderandone il valore per le analisi sui significati di vie di comunicazione e questioni marittime complessive. In Italia, un testo classico in questo senso, riedito di recente, è G. Fioravanzo, Basi navali. Aspetti di geografia militare e strategica, a cura di G. Giorgerini, Roma, Edizioni Forum di Relazioni Internazionali 2001². Per la spiegazione dei significati militari sempre validi delle maggiori basi navali contemporanee in Mediterraneo – di fatto le stesse di Venezia, Spagna, Francia e Inghilterra tra XVI e XVIII secolo – si veda ivi, pp. 93-100. Per l’importanza del fattore geografico come elemento immutabile nel tempo per la loro collocazione, v. ivi, pp. 63-87. Sempre su questioni italiane contemporanee, si veda P.P. Ramoino, Fondamenti di strategia navale, Roma, Edizioni Forum di Relazioni Internazionali 1999; V. Spigai, Il problema navale italiano, Roma, Bianco 2003². 23 Istituto Idrografico della Marina militare italiana, Portolano del Mediterraneo, Generalità,   Genova, Tipo-Lito dell’Istituto Idrografico della Marina militare italiana 1979, parti I e II (con i successivi aggiornamenti).

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Fig. 3. Le rotte delle galee commerciali della Serenissima fino al 1534 (da G. Ercole, 2008, p. 72).

in questione non furono mai molto diverse da quelle romane antiche o alto-medievali.24 In parallelo, il territorio dello scontro tra Venezia e il resto del mondo allora noto era prima in Adriatico – mare cuscinetto tra la città lagunare e il resto – e solo in un secondo momento, oltre che su una scala più grande, in Mediterraneo centro-orientale. Ho già detto che molte delle località dove furono realizzate fortificazioni da parte della Serenissima servivano a mantenere in vita una serie di porti costieri in quanto tali, non avamposti di successive conquiste terrestri dell’interno, per la loro rilevanza in funzione della capacità di tenere aperte le maggiori vie di comunicazione in mare. Il fatto è che ancora per tutto il XVI e XVII secolo la mentalità di fondo di Venezia nell’intera questione era rilegata in una maniera importante, se non alle dimensioni fisiche degli spazi del suo passato – in assoluto ristrette rispetto ad altri mari – quantomeno alla capacità di una loro percezione di tipo ancora medievale. Per un confronto con altrove, vale la pena guardare,

24 J.F. Guilmartin, Gunpowder and galleys. Changing technology and Mediterranean warfare at   sea in sixteenth century, Cambridge, Cambridge University Press 1974; A. Santoni, Storia, cit., pp. 1-23; G. Parker, La rivoluzione, cit., pp. 153-159; G. Ercole, Le galee mediterranee. 5000 anni di storia, tecnica e documenti, Trento, Gruppo Modellistico Trentino 2008.

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per esempio, al fatto che la prima carta d’insieme del globo terrestre misurato come intero fu pubblicata all’inizio del XVI secolo e che in essa già nel 1507 era dato conto con una certa sicurezza di quanto visto poco prima da Amerigo Vespucci al di là dell’Atlantico.25 Mentre, quindi, tutto il resto d’Europa si muoveva verso il mondo in questione e le relative dimensioni gigantesche ancora tutte da esplorare, Venezia rimaneva ferma ai suoi commerci mediterranei con rotte di dimensioni fisiche e temporali consolidate e ai suoi luoghi forti in posizioni più o meno antiche, il tutto in uno spazio geografico diventato piccolo improvvisamente. Tra la fine del XIV e la fine del XVIII secolo i luoghi dell’incontro e dello scontro tra Venezia e i turchi furono di questo tipo, tra l’altro ciascuno corrispondente a un’importante battaglia navale e non terrestre. Fanno eccezione la perdita di Nicosia e di Famagosta a Cipro nella seconda metà del XVI secolo, l’assedio di Candia nella seconda metà del XVII e la preparazione di quello di Corfù all’inizio del XVIII: i soli affrontati, o anche solo temuti, in rapporto ad attacchi provenienti da terra. Nel loro complesso, casi solitari di fronte a un numero considerevole di scontri avvenuti soprattutto tra fortezze navali. Nel campo delle costruzioni di queste ultime, la situazione tra fine XV e inizio XVI secolo rispetto alle età precedenti era per così dire cruciale tanto quanto lo era per le fortezze in terraferma. In un piccolo disegno di Francesco di Giorgio Martini dell’ultimo ventennio del Quattrocento è un alto torrione in muratura sopra uno scafo di caracca o di caravella, a riportare alle imbarcazioni – ma in maniera un po’ brutale – i criteri usati correntemente per i luoghi del ducato italiano di Urbino.26 È già stato evidenziato sempre alla fine dell’Ottocento – dallo stesso Rocchi e prima di lui da Carlo Promis e da altri – che quei criteri erano centrati sull’impiego di mura poligonali e curve per contrastare le armi nuove da fuoco. Sta di fatto che, nel medesimo periodo, lo scenario e i mezzi tipici del combattimento navale erano imperniati soprattutto sulle galee che manovravano per permettere alle fanterie a bordo di combattere l’una contro l’altra come se fossero sulla terra. Come è noto, sia a Zonchio nel 1499 sia ancora a Lepanto nel 1571 lo scontro maggiore tra le fanterie cristiane e mussulmane avvenne in mare ma a partire da

25 M. Waldseemüller, Universalis cosmographia secundum Ptholomaei traditionem et Americi   Vespucii aliorumque lustrationes, 1507 (ed. anast. St-Dié, Société philomatique vosgienne 1987). Su questa carta geografica fondamentale per la storia delle scoperte geografiche tra XV e XVI secolo (è la prima dove compare il nome America per il continente a occidente dell’Atlantico), nota dal 1900 e ora alla Library of Congress di Washington D.C. dal 1999, si veda J. Brotton, La storia del mondo in dodici mappe, Milano, Feltrinelli 2013, pp. 168-208. 26 E. Concina – E. Molteni, «La fabrica della fortezza», cit., fig. 26 a p. 62.  

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galee che servirono solo da supporto fisico al cozzo tra i soldati. In parallelo, i vascelli maggiori, i galeoni, restavano in posizione statica per essere utilizzati come piattaforme di lancio di proietti vari dalla cima delle alberature, più alte di quelle delle galee.27 Esaminato in questa luce, forse il piccolo disegno in questione di Francesco di Giorgio Martini voleva essere testimone di questo modo di fare, anche se senza la mediazione professionale del progettista navale che risolvesse in maniera realistica il passaggio dall’ambito terrestre a quello marittimo. A seguire, la situazione rimase sostanzialmente immutata fino circa la fine del XVI secolo, quando – terminato lo scontro a tutto campo tra turchi e cristiani – in un Mediterraneo quasi tranquillizzato, cominciarono ad apparire imbarcazioni inglesi importanti, molto diverse e con un altro armamento sia dalle galee veneziane sia da quelle turche e genovesi. Soprattutto, che introdussero anche modi di combattere nuovi, basati su scontri a fuoco diretti tra le navi e non più sul confronto tra fanterie imbarcate a partire da piattaforme navali. Sempre a Lepanto, non era infatti avvenuto uno scambio di colpi importante tra galee cristiane e ottomane, anche perché nessuna imbarcazione di quel tipo aveva mai avuto a bordo più di otto pezzi d’artiglieria. Per di più, solo due o tre di questi erano di un calibro tale da arrecare danni seri a un’altra grande imbarcazione. Tra l’altro, il fatto che sulle galee i pezzi fossero disposti sempre in linea di navigazione (e per lo più a prua), cioè lungo l’asse longitudinale dello scafo, aveva fatto sì che essi – a causa del beccheggio – non fossero sempre utilizzabili per tiri su distanze molto lunghe.28 Tutto il contrario di quanto poteva accadere in seguito con i tiri dalle fiancate di altri tipi di scafi, in particolare inglesi e olandesi. Per rimanere alle galee veneziane, un altro fatto importante è che ancora fino al 1534, quando la Serenissima decise di cambiarne tipo di voga, era ancora in uso quella medievale cosiddetta a terzarolo, cioè con tre rematori per banco e un remo per ciascuno. Nel tempo ciò aveva dato luogo a diverse criticità: l’accavallarsi tra loro di remi e azioni dei singoli rematori, a causa – per esempio – di capacità fisiche diverse; più in generale, una bassa qualità della vita 27 28

  G. Parker, La rivoluzione, cit., pp. 153-155.   Sull’efficacia dell’artiglieria di Venezia, si veda M. Santarini, Le artiglierie della marina ve-

neta nel XVI secolo. Aspetti storici e di impiego relativi alle armi in servizio e stima delle principali caratteristiche tecniche della colubrina da 50, «Bollettino d’archivio dell’Ufficio storico della Marina militare», dicembre 2011, supplemento; I cannoni di Venezia. Artiglierie della Serenissima da fortezze a relitti, a cura di C. Beltrame e M. Morin, Firenze, All’Insegna del Giglio 2014. Per questioni analoghe in Italia, si veda F. Caputo, I cannoni del regno di Napoli, in Storia dell’ingegneria, atti del 1° convegno nazionale (Napoli, 2006), a cura di A. Buccaro, G. Fabricatore, L.M. Papa, II, Napoli, Cuzzolin 2006, pp. 967-980 (http://www.aising.it/convegno_nazionale.htm, 04.04.2014); F. Caputo, I cannoni del Regno delle Due Sicilie, Napoli, Cuzzolin 2007; G. Cerino Badone, La fusione dei cannoni nel Piemonte del XVIII secolo, «Archeologia postmedievale», VII, 2003.

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a bordo degli equipaggi, per la troppa gente in relazione alla scarsa capienza degli scafi per alloggiarla e per stivare sufficienti riserve d’acqua potabile. Con l’adozione, quindi, nel medesimo anno del sistema di voga cosiddetta a scaloccio, le cose in parte cambiarono, quantomeno perché ai tre remi per ogni banco fu sostituito un remo unico, a cui si applicavano in maniera alternata fino a sei o sette rematori. In questo periodo, una imbarcazione a metà strada tra la galea da guerra a fondo piatto e il galeone da carico più capiente era la galeazza veneziana. Essa era impiegata per il commercio, per la maggiore capacità della sua stiva dovuta a una sezione più ampia di quella di una galea militare.29 Il fatto è che sia le galeazze sia tantomeno, appunto, le galee non potevano trasportare un carico utile importante. Come già accennato, ambedue non erano anche in grado di affrontare a lungo la navigazione d’altura, per l’assenza di un’opera viva filante e di una deriva: le due caratteristiche che – come, al contrario, avveniva nei nuovi vascelli olandesi e inglesi – contrastavano lo scarroccio: il moto in direzione perpendicolare al beccheggio, dovuto ai venti e alle correnti laterali. Dimensioni terrestri Tutte questi discorsi di mare e d’architettura navale forse chiariscono perché un noto modello tridimensionale di Creta del 1612 circa rappresenta l’isola orientata per così dire al contrario, con il sud in alto e il nord in basso. Lo stesso è, tra l’altro, per alcune carte geografiche del tempo e altri modelli veneziani di fortificazioni terrestri della medesima isola, sempre d‘origine militare.30 Perché è un dato di fatto che a chi veniva dal mare proprio da Venezia, cioè da nord, l’isola in questione e i suoi porti apparivano così, verso sud: con tutta la costa nord – dove erano gli approdi migliori e le spiagge più accessibili in relazione ai percorsi terrestri principali – più prossima a un osservatore imbarcato. A Cipro, Famagosta e Nicosia erano cadute dopo sbarchi in forze dal mare. A Creta ciò poteva sempre accadere intorno a Candia, La Canea, Retimno, Suda e così via. Fino a alla seconda guerra mondiale, il momento del29 A. Santoni, Storia, cit., pp. 11-15; G. Parker, La rivoluzione, cit., pp. 155-157; G. Ercole,   Vascelli, cit., pp. 78-82, 101-105. 30 Per questi modelli, si veda Venezia, Museo Navale: n. 1024 (Candia. 1612. Ristaurato 1872);   N. 1017 (Fortezza di Canea. Anno 1608. Ristaurato 1872). Per le carte geografiche di B. Agnese, Creta insula nunc Candia, in Id., Portolano, Venezia 1553, c. XXII (Biblioteca Civico Museo Correr, Venezia, Portolano n. 1) e di M. Pagan, Il vero disegno di tutta l’isola de Candia, Venezia 1558 (ivi, Stampe, A 15), si veda D. Calabi, Il regno di Candia e le «fatiche» del governo civile. Le «cento città», le popolazioni, le fabbriche pubbliche, in Venezia, cit., pp. 97-126: 110-111.

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la conquista dell’isola dall’aria da parte tedesca (quando le azioni terrestri di attacco e difesa si svolsero negli stessi luoghi e sullo stesso terreno molto aspro bene in evidenza nel modello seicentesco in questione)31 – il criterio strategico alla base di ogni battaglia su di essa – come avrebbe potuto essere su tutte le altre isole e basi navali mediterranee – fu sempre questo; che a difendere fossero turchi, veneziani o inglesi. Perché, più in generale, tra XVI e XVIII secolo che le operazioni fossero di breve durata (come a Chios tra 1694 e 1695) o che fossero diluite in tempi molto lunghi (come per l’assedio di Candia tra 1645 e 1669), ogni scontro terrestre correlato era solo uno dei momenti – spesso neanche il più significativo – di tante battaglie in mare.32 (Fig. 4) Arrivando, quindi, all’altro aspetto del tema d’insieme – le fortezze di terraferma in quanto tali – volendo stabilire le caratteristiche di fondo di quelle di Venezia e della loro correlata cultura guida in rapporto a tutto quanto detto qui sopra, serve dire ancora altro. Perché, considerata la dimensione del mondo conosciuto già dall’inizio del XVI secolo, per tanti versi tali caratteristiche andrebbero quasi considerate anche loro di significato di nuovo latamente medievale, al di là della loro definizione alla moderna in maniera generica: termine adatto in realtà più alle loro fattezze e solo in alcuni casi al relativo organismo strutturale, piuttosto che ai correlati significati profondi in funzione dell’insieme del discorso. Ciò in considerazione di quanto accadeva altrove, e dei temi e dei problemi che a tutt’altre dimensioni da quelle del mare nostrum affrontavano nello stesso momento le concorrenti potenze navali nei diversi mari del globo, prima fra tutte l’Inghilterra. In Mediterraneo, la questione di base dell’architettura militare realizzata da tutte le culture militari che agivano nel suo ambito geografico – tra cui appunto quella della Serenissima – era senz’altro quello delle diverse forme d’impiego del cosiddetto fronte bastionato. Il fatto è che questo va visto in funzione delle sue diverse e varie consistenze costruttive nel tempo, sempre diverse a parità di forme esteriori. Basta considerare quanto realizzato tra 1538 e 1562 e dal 1567 in poi, in primo luogo quando – in questo secondo periodo – furono introdotte in maniera diffusa sulle navi artiglierie in ferro colato di fabbricazione inglese, a causa di contingenti difficoltà di reperimento del bronzo. In secondo luogo, quando da allora in poi fu anche aumentato, inesorabilmente, il calibro delle artiglierie e la loro potenza. In mare, ciò fu

31 J. Keegan, Uomini e battaglie della seconda guerra mondiale, Milano, Rizzoli 1989, pp. 154  168. Per una narrazione efficace delle operazioni in rapporto al difficile terreno dell’isola, A. Beevor, Creta 1941-1945. La battaglia e la resistenza, Milano, Rizzoli 2003. 32 J. Glete, La guerra, cit., pp. 141-142.  

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Fig. 4. Chios, lo sbarco delle forze veneziane a sud di Chòra l’11 settembre 1694 e il successivo bombardamento da terra del Kàstro con mortai a tiro curvo (da Dell’acquisto, e del ritiro de’ Veneti dall’isola di Scio, 1710).

alla base della diffusione dei nuovi vascelli di tipo olandese e inglese, costruiti in maniera molto resistente sia all’oceano sia alle bordate di fuoco laterali. Dopo l’esordio del Great Harry, realizzato per Enrico VIII ancora nel 1512, dagli anni Quaranta del XVI secolo questo tipo di imbarcazioni – rivisto rispetto ai primi modelli ancora molto alti sulla linea di galleggiamento – divenne la norma per le nazioni che operavano nel Mare del Nord, nel Baltico, in Atlantico e Pacifico, e fu la base delle flotte per esempio negli scontri tra francesi e portoghesi nel 1562 davanti alle coste brasiliane e poi nella campagna dell’Armada spagnola contro l’Inghilterra nel 1588.33 In parallelo, sui campi di battaglia terrestri in Mediterraneo, una delle maggiori conseguenze del medesimo fatto fu l’aumento delle dimensioni e la trasformazione radicale della consistenza fisica di alcuni elementi chiave delle fortificazioni. Tanto che

33 G. Parker, La rivoluzione, cit., pp. 159-170; J. Keegan, La grande storia della guerra, Mila  no, Mondadori 1994, pp. 338-340; N. Ferguson, Impero. Come la Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno Milano, Mondadori 2007, pp. 21-25; B. Wilson, Empire of the deep. The rise and fall of the British navy, London, Weidenfeld & Nicholson 2013, pp. 103-133.

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a partire proprio dalla fine degli anni Sessanta del Cinquecento non furono più impiegati i criteri propri – per esempio – di quanto realizzato a Candia da Michele Sanmicheli e altri di fronte già ad armi da fuoco diverse da quelle della fine del XV secolo. Perché nella seconda metà del XVI era diventato necessario aumentare le lunghezze delle cortine tra un bastione e l’altro e quelle dei singoli bastioni, oltre che mutarne materiali e spessori. A spiegare la cosa, basta guardare in parallelo gli organismi strutturali della cinta di Candia, attestata sulla cima delle prime alture intorno al porto, e del forte S. Andrea a Venezia, a protezione dell’ingresso in laguna dal Lido. Perché in ambedue i casi, al tempo suo Sanmicheli aveva impiegato concamerazioni in serie coperte da volte a botte, che realizzavano un sistema di contrafforti perpendicolari alle cortine esterne e che opponevano un complesso rigido e di altezza abbastanza limitata ai colpi dell’artiglieria. Così che, sempre in ambedue, l’insieme della fortificazione – a prescindere dalle sue forme e dimensioni assolute nello spazio e dall’armamento nemico da contrastare – reagiva per la sua rigidezza intrinseca come le alte mura medievali o, molto prima, come ancora quelle romane antiche.34 Fortezze terrestri A chiarire cosa accadde dopo in terra e in mare nella seconda metà del XVI secolo, serve sempre ricordare la situazione dopo Lepanto nel resto del mondo, cioè a lato del Mediterraneo e non al suo margine. Entro il 1571 tutto il globo terraqueo era noto nelle sue linee generali. Lo testimoniava, tra i tanti esempi possibili, la prima edizione del 1567 del planisfero di Mercatore, che faceva già intendere bene le nuove terre al di là dell’Atlantico e del Pacifico: a Occidente l’America del nord e del sud, a Oriente l’intero subcontinente indiano e, ancora più a est, i vari arcipelaghi del continente australiano. Anche se edita per scopi diversi da questa, lo stesso stava a significare la carta del 1581, di nuovo dei due emisferi, celebrativa della circumnavigazione terrestre eseguita da Francis Drake tra 1577 e 1580 per ordine di Elisabetta I d’Inghilterra.35 (Fig. 5) Su questo sfondo culturale, 34 Su questo modo di realizzare le strutture delle fortificazioni nella prima metà del cinque  cento, è esemplare quanto prescritto, con disegni, in Della fortificatione delle città di M. Girolamo Maggi e del capitan Iacomo Castriotto ingegnero del Cristianissimo re di Francia, Venezia, Rutilio Borgominiero 1564, cc. 24-31, 35. 35 N. Van Sype, La herdike enterprinse faict par le Signeur Draeck D’Avoir cirquit toute la Terre,   Antwerp? 1581, 24 x 44 cm (Washington, D.C., Library of Congress Rare Book and Special Collec-

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di nuovo a proposito di fortificazioni terrestri nel limitato teatro d’operazioni del Mediterraneo, sono il trattato e l’opera di Bonaiuto Lorini a fare da sintesi dei tanti problemi del periodo ancora una volta nell’ambiente militare veneziano. Nel caso specifico, i problemi in questione ruotavano per prima cosa intorno alla realizzazione di Palmanova (impostata da Giulio Savorgnan a partire dal 1593) e solo in parte su alcune esperienze di poco precedenti, relative all’aggiornamento di fortificazioni varie della Serenissima in Levante: di nuovo a Creta (il caposaldo maggiore dopo la caduta di Cipro), per prima cosa di Candia (dal 1562) e poi di La Canea (dopo il 1572), Retimno (tra 1577 e 1578), Suda (dal 1572), dell’isolotto di Grabusa (dal 1583), di quello di Spinalonga (dal 1578), oltre che in Adriatico a Corfù (dal 1574), a vigilarne l’ingresso dall’Egeo.36 Con l’esperienza in prima persona della fortezza friulana, soprattutto forse con occhi solo per i grandi cantieri militari sul vecchio continente (cioè quasi ignorando il significato di contemporanee e più vaste questioni marittime), Lorini nel 1597 codificava alcune caratteristiche di base delle fortificazioni terrestri del momento, a distinguerle in maniera importante dalle precedenti. Nel suo trattato, egli esponeva infatti due novità chiave. La prima era quella del defilamento geometrico di mura e baluardi, da ottenere con terrapieni esterni alla cinta vera e propria, allineati con i parapetti sagomati a loro volta di conseguenza e altezze contenute sia delle mura stesse sia degli edifici nell’interno.37 La seconda consisteva nel fatto che sia le cortine tra i baluardi sia quelle di questi ultimi dovevano essere soprattutto di terra compattata e non più con concamerazioni vuote e rigide di muratura piena. Murature di spessore sottile dovevano solo foderare all’esterno le terre in questione, per contenerne la grande massa inerte. Sempre solo di terra e non più di muratura con spessori importanti dovevano essere anche tutti i

tions Division, call n. G3201.S12 1581.S9). Per i resoconti del tempo del viaggio, si veda N. Breton, Discourse on Drake’s ‘happy adventures’, London, John Charlewood 1581; R. Hakluyt, Principall navigations, voiages and discoveries of the English Nation, London, G. Bishop & R. Newberie 1589; The world encompassed by sir Francis Drake, London, Nicholas Bourne 1628. 36 P. Marchesi, Fortezze, cit., pp. 99, 100-101, 110, 120; J.R. Hale, L’organizzazione, cit., ad   indicem. 37 Delle fortificazioni di Buonaiuto Lorini, nobile fiorentino, libri cinque, ne’ quali si mostra con   le più facili regole la Scienza con la Pratica, di fortificare le Città, & altri luoghi sopra diversi siti, con tutti gli avverimenti, che per intelligenza di tal materia possono occorrere, Venezia, Antonio Rampazzetto 1597 (ma 1596 nel colophon p. 220), libro I, cap. XI, pp. 18-21 (Profilo graticolato che mostra tutte le scarpe et altezze della fortezza. Con la larghezza e profondità del fosso). Per la recezione di tutto questo molto dopo nello Stato ecclesiastico e per opera di Giulio Buratti, l’architetto militare di papa Urbano VIII Barberini (1623-1644), si veda P. Spagnesi, Castel Sant’angelo, la fortezza di Roma, Roma, Palombi 1995, pp. 64-66, 83-84 n. 33. Come è noto, un minimo di defilamento delle cortine era comunque già prescritto in Della fortificatione, cit., pp. 32-33.

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parapetti della cinta intera.38 (Fig. 6) Per capire la direzione nuova rispetto alla prima metà del XVI secolo, il tempo di Sanmicheli, va rimarcato che proprio i vascelli di Francis Drake erano già armati con pesanti cannoni in ferro che potevano sparare bordate importanti con grosse capacità di demolizione. Tanto che la medesima Armada spagnola nominata sopra era stata sconfitta nel 1588 dalle migliori capacità manovriere e di fuoco dei vascelli della flotta inglese. Non a caso, il trattato di Lorini era stato dato alle stampe circa dieci anni dopo quest’evento. Soprattutto dall’inizio del Seicento a seguire, il tempo era anche quello dell’utilizzo di proietti diversi da quelli pieni lanciati con tiri diretti, considerato che in questo momento fu anche avviato su vasta scala l’impiego delle bombarde per il tiro curvo di proietti esplosivi: grosse sfere metalliche cave innescate prima del lancio, che esplodevano a terra o sul cielo di navi e postazioni varie. Con queste altre armi furono condotte, dalla prima metà del XVII secolo in poi, sia la guerra dei Trent’anni in Europa centrale sia tante operazioni anfibie in Levante.39 Ma a parte Palmanova, dove pure l’applicazione del defilamento geometrico e la costruzione di mura in terra furono realizzate a grande scala, (Fig. 7) altrove la cultura militare veneziana dell’inizio del Seicento tenne conto di tutto ciò in misura minima. Anche se il nemico da fronteggiare in terra era dotato di bocche da fuoco di tipo pesante. Tanto 38 Ivi, libro II, cap. IV, pp. 113-120 (Dell’ordine che si deve tenere nel mettere in opera gran   numero di lavoranti e come hanno da fare i terrapieni & le difese); ivi, cap. VI, pp. 121-122 (Come si debba fare la muraglia intorno alla fortezza). 39 L’argomento delle bombarde nel XVII-XVIII secolo non è mai stato molto sviluppato. Per   quanto se ne conosce in rapporto alle fortificazioni dello Stato ecclesiastico nella prima metà del XVII secolo, si veda P. Spagnesi, Castel Sant’angelo, cit., pp. 72-77. Per lo stato dell’arte su questa bocca da fuoco e i relativi proietti in Inghilterra e Francia nella prima metà del XVIII secolo e poco dopo, si veda C. Simienowicz, The great art of artillery, London, J. Tonson 1729, 233-244; J. Gray, A treatise of gunnery, London, William Innys 1731, pp. xxxi-xxxiii, 67-70, 75-94 (in particolare sul bombardamento navale di città costiere con i mortai); M. Belidor, Le bombardier françois, ou nouvelle methode de jetter les bombes avec precision, Amsterdam, Aux depens de la Compagnie 1734; G. Le Blond, Elemens de la guerre des sièges, ou Traité de l’artillerie, de l’attaque, et de la deffense des places, à l’usage des jeunes militaires, Paris, Charles-Antoine Jombert 1743, pp. 61-97 (III. Du mortier); cfr. voce Fortification, in L’encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, dirigée par Diderot & d’Alembert (1751-1772), VII, Paris, s.e. 1757, pp. 191-203; Recueil de planches sur les sciences, les arts libéraux et les arts méchaniques avec leur explicstion, I, Paris, Briasson 1762, pp. 311-313 e tav. VII (Art militaire, fortification. […] le pointage du canon), tav. VIII (Art militaire, fortification, […] le ligne que décrit la bombe B en sortant du mortier A), tav. VIII.2 (Art militaire, fortification.[…] la théorie du jet des bombes); ivi, IV, Paris, Briasson 1767, Fonderie des canons, pp. 134-137, tav. IX (Fonte des canons. Epures, coupes et plans de mortiers suivant l’ordonnance), tav. X (Fonte des canons. Epures, coupes et plans des mortiers et pierriers suivant l’ordonnance); J. Muller, A treatise of artillery, London, John Millan 1768², pp. 65-93, 119-124. Tra tutti questi, un posto particolare è per il trattato di B. Robins (1707-1751), New principles of gunnery, London, J. Nourse 1742, tradotto anche da Eulero e Le Roy, e per Id., Mathematical tracts […] containing his new principless of gunnery, London, J. Nourse 1761, I.

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Fig. 5. Nicola Van Sype, La herdike enterprinse faict par le Signeur Draeck D’Avoir cirquit toute la Terre, Antwerp? 1581. Carta geografica celebrativa della circumnavigazione del globo eseguita da Francis Drake tra il 1577 e il 1580, per Elisabetta I d’Inghilterra (Washington, D.C., Library of Congress, Rare Book and Special Collections Division, n. G3201.S12 1581. S9).  Fig. 6. Bonaiuto Lorini, Come si debbe fare la muraglia intorno la fortezza, con una cortina sottile e contrafforti in muratura a sostegno dei terrapieni interni (da Delle fortificazioni di Buonaiuto Lorini, 1597, p. 122).

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che sempre La Canea a Creta fu rappresentata nel 1614 circa in un altro modello tridimensionale d’origine militare come era ancora quasi cinquant’anni prima; forse proprio perché le sue necessità strategiche di fondo erano immutate.40 (Fig. 8) Nel medesimo scorcio di secolo, lo stesso era per la piccola fortificazione sull’isolotto nella baia di Suda, sulla costa nord-ovest sempre di Creta, fino a tempi molto vicini a noi in funzione quasi solo di provenienze dal mare. Quest’ultima infatti proteggeva un approdo molto riparato e con fondali buoni fino a ridosso della scogliera, tali da essere in grado da sempre di ospitare quasi una intera flotta.41 Realizzata in un tempo molto breve, in un anno e comunque quasi vent’anni prima di Palmanova, nonostante ciò cedette ai turchi per ultima, nel 1715, al termine della campagna contro l’isola e l’assedio di Candia tra maggio 1667 e settembre 1669.42 Da allora rimase sostanzialmente identica di nuovo fino alla seconda guerra mondiale, quando la baia fu appunto violata solo dal mare, da sei mezzi d’assalto di superfice italiani che ne superarono le ostruzioni a pelo d’acqua all’alba del 26 marzo 1941.43 Per l’occasione doveva essere affondato l’incrociatore pesante York della Royal Navy, che minacciava il traffico marittimo italiano con le isole del Dodecanneso e con Rodi per prima, e che rendeva impossibile il collegamento diretto tra l’Italia e la sua colonia più a est.44 (Fig. 8) Per tornare all’inizio del Seicento, sempre sulla costa nord-est di Creta la stessa situazione era per l’altra insenatura importante di Spinalonga, lungo il golfo di Mirabello e all’opposto di Suda, molto più piccola della precedente e con una fortificazione di nuovo minima. All’inizio del XVII secolo questa era ancora la stessa dal tempo della sua realizzazione perché, come la precedente, era 40 Creta, La Canea e baia di Suda, modello tridimensionale, 1614, restaurato nel 1872 (Vene  zia, Museo Navale, n. 1018). Situazione simile, a scala più ristretta, è quella in un plastico ulteriore: Fortezza di Canea. 1608. Ristaurato 1872 (ivi, n. 1017). 41 P. Marchesi, Fortezze, cit., pp. 52, 54, 104-106; Venezia, cit., pp. 148-149; E. Concina – E.   Molteni, «La fabrica della fortezza, cit., pp. 214, 216. Il relativo modello è a Venezia, al Museo Storico Navale, n. 1041 (Fortezza di Suda. Anno 1612. Ristaurato 1872). 42 P. Marchesi, Fortezze, cit., p. 94.   43 Per i due racconti classici dell’azione e considerazioni d’insieme sempre valide, si veda J.V.   Borghese, Decima flottiglia Mas dalle origini all’armistizio, Milano, Garzanti 1950, pp. 93-105; V. Spigai, Cento uomini contro due flotte, Livorno, Società Editrice Tirrena 1959³, pp. 212-250. Per una valutazione aggiornata anche dei correlati scontri di Gaudo e Matapan tra le flotte britannica e italiana, oltre che della situazione geo-strategica del tempo, si veda. G. Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La Marina italiana tra vittoria e sconfitta, 1940-1943, Milano, Mondadori 2001, pp. 270-286; Id., Attacco dal mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina italiana, Milano, Mondadori 2007, pp. 133-136. 44 Il contesto più generale era quello dell’intervento britannico in Levante, per fronteggiare   quello tedesco in Grecia e combattere il traffico italiano in Mediterraneo centrale tra la penisola e la Libia. (J.V. Borghese, Decima flottiglia, cit., p. 93; G. Giorgerini, La guerra, cit., pp. 274-277).

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Fig. 7. Palmanova, bastione a ovest della porta di Aquileia, 2013. A partire da terra nel fossato, si vedono i diversi tipi di muratura della punta e della cortina: in blocchi squadrati di pietra, di mattoni più leggeri e blocchi di pietra in funzione di diatoni col retro; in cima, i parapetti di terra.  Fig. 8. Creta, La Canea e baia di Suda, modello tridimensionale, 1614, restaurato nel 1872 (Venezia, Museo Navale, n. 1018).

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in una situazione geografica tale da non avere possibilità di essere attaccata con artiglierie importanti da terra, ma solo dal mare.45 All’opposto, per certi versi, era il caso molto più importante di Napoli di Romania, la capitale del regno di Morea, dove era di stanza la flotta dell’Egeo e dove furono avviate nuove opere terrestri appena terminata l’occupazione turca nel 1686 e appena prima della pace di Carlowitz del 26 gennaio 1699. A prescindere da quanto, iniziato nel 1698, a livello dell’abitato e intorno al porto sottostante (la cosiddetta Acronàuplia) che doveva fronteggiare sbarchi vari, soprattutto quelle sulla cima del vicino monte Palamìdi (del 1707-1715) dovevano vigilare sulla rada e dintorni dall’alto ed erano raggiungibili dalla città solo con una lunga scalinata in parte voltata e alla prova dai tiri dal mare.46 Uno dei maggiori problemi del loro grande cantiere sul monte in questione fu, in ogni caso, proprio l’assenza di terra sulla sua cima, nonostante ne servisse in abbondanza per riempire i bastioni altrimenti cavi di muratura. Di terra ne fu quindi procurata a sufficienza almeno per la cinta della città bassa, con lo scavo di fossati vari.47 A differenza di queste ultime, che dovevano fronteggiare assalti da terra successivi a eventuali sbarchi dal mare, le difese sulla cima del Palamìdi avrebbero potuto agire senza mai essere dominate da ciò che accadeva sotto di loro in terra e a pelo d’acqua; il loro scopo ultimo era contrastare l’eventuale scalata da nord-est e da est delle falde più accessibili da parte di fanterie appiedate e colpire qualsiasi imbarcazione da un’altezza notevole e da grande distanza. Oltre il Mediterraneo Per un confronto con quanto accadeva altrove nel medesimo campo della difesa terrestre di basi navali dipendenti solo dal mare, vale la pena guardare alle differenze di approccio con quanto realizzato – per esempio – dalla 45

  P. Marchesi, Fortezze, cit., pp. 104-109; Venezia, cit., pp. 149-150; E. Concina – E. Molte-

ni, «La fabrica della fortezza», cit., pp. 214, 217. I relativi plastici a Venezia, al Museo Navale, potreb-

bero essere il n. 1139 (Scoglio Grabosa in Candia. Ristaurato 1872) e il n. 1020 (Scoglio S. Teodoro in Candia. Anno 1625. Ristaurato 1872): v. P. Marchesi, Fortezze, cit., p. 54. 46 Su Nauplia, oltre a L.A. Maggiorotti, Architetti, cit., I, pp. 508-541, e a K. Andrews, Cast  les of the Morea, Princeton, N.J., American School of Classical Studies at Athens 1953, pp. 90-105, oggi si veda N. Lianos, Le fortezze, cit., pp. 63-96, con la bibliografia precedente e le fonti relative. Proprio da queste ultime la scalinata coperta non sembra sia mai stata, in effetti, utilizzata. Il plastico a Venezia, al Museo Navale, n. 1049 (Fortezza di Napoli di Romania. Anno 1625. Ristaurato 1872) sembra invece essere quello della fortezza di Zante, isola a sud di Cefalonia: v. P. Marchesi, Fortezze, cit., p. 57. 47 N. Lianos, Le fortezze, cit., pp. 68, 71-75.  

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Spagna in America settentrionale. Vale per tutti il caso del forte San Marcos in Florida (del 1672-1695). Centro del sistema difensivo spagnolo della penisola, fu costruito in un primo momento solo in terra, come fu per altri casi analoghi nei medesimi luoghi, e solo dopo in muratura e con bastioni di natura europea.48 Come questa spagnola, anche le fortificazioni britanniche e le francesi d’oltre Atlantico contemporanee e successive in un primo momento e per un lungo periodo non tennero conto dell’attacco e della difesa di un fronte bastionato da parte di eserciti armati pesantemente. Perché lontano dal Mediterraneo i nemici possibili potevano essere solo un numero esiguo di avversari sbarcati da altre navi di Paesi concorrenti o indigeni locali privi di armi da fuoco. Queste difese avevano infatti come scopo di presidiare alcuni luoghi cardine del rispettivo sistema di basi navali su scala mondiale, a supporto della propria dominanza degli oceani (Fig. 9): fenomeno simile ma a tutt’altra scala da quella turca o veneziana in Levante e quindi con tutt’altri esiti. In parallelo, anche l’Olanda fece uso di complessi difensivi elementari, per esempio per le prime difese della penisola di Manhattan nel 1660.49 (fig. 10) Così come ancora quelle sempre olandesi di un secolo dopo di Savannah nel 1757 e New Orleans nel 1770, anche queste – destinate a scomparire in un tempo breve – erano in qualche maniera assimilabili a quelle disegnate un secolo prima nel trattato italiano del 1564 di Girolamo Maggi e Iacopo Castriotto, a loro volta riflessi di idee di quasi trent’anni ancora precedenti. Per questo, soprattutto perché in questi casi il pericolo da terra non era ciò che più contava, a più di due secoli dal trattato in questione, la prima cinta di Saint Louis del 1780 era tracciata con cortine a denti di sega alla maniera di quelle della cittadella vaticana a Roma di Antonio da Sangallo il Giovane dell’inizio del Cinquecento o di vari forti sempre sangalleschi appena successivi.50 Su un altro piano, in Mediterraneo le difese di Candia per l’assedio turco del 1664, contemporanee a quelle di Nuova Amsterdam, dovevano invece fronteggiare artiglierie pesanti e bombarde che sparavano

48 M.Z. Herman, Ramparts. Fortification from Renaissance to West Point, New York, Avery   Publishing Group 1992, pp. 82-84. 49 J. Cortelyou, Afbeeldinge van de Stadt Amsterdam in Nieuw Neederlandt [The Castello   Plan, 1660], Firenze, Biblioteca Laurenziana. Su questo disegno, si veda I.N. Phelps Stokes, The iconography of Manhattan Island, New York, Robert H. Dodd 1915-1928, II, tav. 82. Inoltre v. H.J. Nelson, Walled cities of the United States, «Annals of the Association of the American Geographers», LI, 1961, 1, pp. 1-22: 8-10. 50 H.J. Nelson, Walled Cities, cit., pp. 17-18; inoltre, si veda Della fortificatione, cit., pp. 8, 9,   20, 93 (Pianta & alzato del primo forte di Santo Antonio, fatto per assediare la Mirandola). Su questo trattato, con la bibliografia relativa, oggi cfr. R. Torlontano, Fusti Castriotto, Iacopo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 50, 1998, pp. 810-813.

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Fig. 9. Il territorio della lotta per il dominio delle colonie, 1700-1763 (da W.R. Shepherd, Historical Atlas, New York, Henry Holt and Company 1926, p. 136).  Fig. 10. Afbeeldinge van de Stadt Amsterdam in Nieuw Neederlandt [The Castello Plan, 1660] (Firenze, Biblioteca Laurenziana, da I.N. Phelps Stokes, 1915-1928, II, tav. 82).

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dalle navi o erano state sbarcate da esse. Per questo motivo alle mura e ai bastioni cinquecenteschi di Sanmicheli e Savorgnan erano state anteposte una profonda serie di fossati, rivellini, strade coperte e terrapieni per il defilamento dai tiri diretti e da quelli curvi delle mura più antiche. Ma, appunto, la cultura militare e le situazioni possibili in Mediterraneo a ridosso del XVIII secolo erano diverse da altrove, soprattutto nella loro sostanza. Per un altro confronto con una situazione in apparenza più arretrata ma in realtà anch’essa nuova – questa volta sul versante orientale delle maggiori colonie europee nel sub-continente indiano – a Madras nel 1688 e a Pondicherry nel 1761 i bastioni britannici erano di forme sempre cinquecentesche (se non di prima) perché di nuovo non serviva altro per la difesa locale; anche se ambedue i luoghi dovevano essere assicurati nell’ambito dell’intero sistema strategico degli approdi britannici di allora, lungo le vie di comunicazione marittima da e per l’Oceano Indiano.51 (Fig. 9) Un caso limite in quest’ultima direzione è un forte sempre britannico in Africa nel 1748, sul fiume Sierra Leone, dove a nascondere i fucilieri sulla cima di torri e mura erano merlature palesemente quasi medievali. A partire dalle medesime considerazioni strategiche su base planetaria degli altri casi, in questo episodio i merli in questione servivano a presidiare un territorio al contorno non particolarmente ostile, in fondo solo a realizzare un contrasto sistematico al locale traffico di schiavi.52 (Fig. 11) Fortezze navali A chiarire la questione di fondo con un ulteriore tipo di esempi, e per tornare all’avvio, i metodi costruttivi impiegati dall’Arsenale della Serenissima per i propri vascelli realizzati dal 1665 in poi spiegano molto anche loro. Compreso il primo vascello completato nel 1667 – il Giove fulminante, 51 P. Mitter, The early British port cities of India. Their planning and architecture circa 1640  1757, «Journal of the Society of Architectural Historians», XLV, 1986, 2, pp. 95-114. Sui modi britannici in tema di fortificazioni nelle loro colonie, vedi anche H.T. Norris – F.W. Penhey, The historical development of Aden’s defences, «The Geographical Journal», CXXI, 1955, 1, pp. 11-20; D.L. Niddrie, Eighteenth-century settlement in the British Caribbean, «Transactions of the Institute of British Geographers», XL, 1966, pp. 67-80; B. Watson, Fortifications and the “idea” of force in early English east India Company relations with India, «Past & Present», LXXXVIII, 1980, pp. 70-87. 52 Colonial Office, Commonwealth and Foreign and Commonwealth Offices, Empire Market  ing Board. Veduta del forte britannico di George Island sul fiume Sierra Leone, 1748, (The National Archives’ Image Library, Maps and plans, series I, ref. n. CO 700/Sierra Leone 1A/1); Pianta della fabbrica e del forte britannico di George Island sul fiume Sierra Leone, 1748 (ivi, series I, ref. n. CO 700/Sierra Leone 1A/2). Su quest’insediamento sulla costa occidentale dell’Africa e sul primo di questi due disegni, si veda N. Ferguson, Empire, cit, pp. 105-106.

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Fig. 11. Colonial Office, Commonwealth and Foreign and Commonwealth Offices, Empire Marketing Board, Sierra Leone, George Island, veduta del forte britannico, 1748 (The National Archives’ Image Library, Maps and plans, series I, n. CO 700/Sierra Leone 1A/1, da N. Ferguson, 2007).

il primo di modello inglese – le grandi navi per la cosiddetta armata grossa veneziana che cominciava a nascere allora non erano in grado di reggere l’oceano aperto, soprattutto la sua onda lunga e il tempo inclemente per lunghi periodi. Il sistema di realizzazione a ordinata unica degli scafi, tipico della costruzione delle galee medievali e cinquecentesche, era infatti ancora impiegato in queste prime realizzazioni nuove: ma aveva un importante punto di fragilità in corrispondenza delle giunzioni tra i diversi legni sulla linea di galleggiamento. (Fig. 12, in alto) Tanto che per affrontare l’Atlantico fino all’Inghilterra e all’Olanda, in un primo momento i veneziani avevano noleggiato grandi imbarcazioni da quest’ultimo paese, prima di riuscire a realizzarne di proprie simili.53 Di nuovo in parallelo, un episodio ulteriore rilega fortificazioni terrestri e navali ancora su un altro piano. Nel 1694, mentre alcuni grandi vascelli di tipo nuovo ma fragili erano stati appena varati dall’Arsenale 53 Per i dettagli sulle costruzioni navali veneziane tra 1660 e 1679, a partire dal 1665 per la   guerra tra inglesi e olandesi del 1664-1669 che aveva obbligato il rientro proprio dei vascelli di questi ultimi, v. G. Ercole Vascelli, cit., pp. 25-48.

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Fig. 12. Scafi di vascelli veneziani tipo (da G. Ercole 2011, pp. 146-147, 186-187). In alto, il sistema di costruzione a ordinata unica (1666-1775 ca), in basso, a ordinata doppia (1780-1797). In corsivo, le parti dello scafo nella nomenclatura veneziana, tra parentesi nella corrispondente italiana: 1 spiron (tagliamare), 2 roda de prova (ruota di prua), 3 vanticuòr de la roda de prova (controruota di prua), 4 brazziòl de prova (bracciolo della ruota di prua), 5 paramezàl (paramezzale), 6 cao de sèsto de prova (ultima ordinata concava verso prua), 7 corba (ordinata), 8 sportèlo del coridòr (portello del ponte di corridoio o di batteria), 9 sportèlo dela covèrta (portello del ponte di coperta o superiore), 10 maìstra (ordinata maestra), 11 corba (ordinata), 12 cao de sèsto de pupa (ultima ordinata concava verso poppa), 13 brazziòl de pupa (bracciolo dell’asta di poppa), 14 vanticuòr de l’asta de pupa (controasta di poppa), 15 asta de pupa (asta di poppa), 16 triganto (dragante), 17 covertela de l’asta de pupa (fascia di protezione dell’asta di poppa), 18 dente del calcagnol (protezione del timone dagli urti sul fondo), 19 brazziòl de pupa (bracciolo dell’asta di poppa), 20 stella morta de pupa (altezza della concavità inferiore delle ordinate di poppa), 21 sapada dela colomba (sottochiglia), 22 colomba (chiglia), 23 contracolomba (controchiglia), 24 ràison (lett.: ginocchio delle porche, costolonatura interna di rinforzo), 25 scorer de forcami (distanza tra la parte anteriore di un’ordinata da quella della successiva), 26 quartabòn (angolo variabile di rastrematura dell’esterno delle ordinate in funzione dell’andamento curvilineo dello scafo), 27 piane (madieri), 28 stella morta de prova (altezza della concavità inferiore delle ordinate di prua), 29 calcagnol (piede della ruota di prua), 30 covertela de la roda de prua (contro ruota di prua).

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(Leon coronato e San Lorenzo Zustinian 1°, 1691; Rosa e Stella maris, 1693), il barone Enrico conte di Steinau al servizio della Serenissima disegnava e dirigeva in prima pesona l’aggiornamento sul campo delle difese del Kàstro sull’isola greca di Chios in Mediterraneo orientale, a partire da semplici opere esterne e poche nuove foderature in muratura di quanto fatto il secolo prima. Ciò accadeva a poca distanza di tempo da un suo altro progetto molto elaborato per un sistema complesso di fortificazioni – quasi un esercizio teorico di bravura – a guardia dell’istmo di Corinto e del suo futuro canale. Nonostante tutto ciò, Chios in Egeo orientale fu abbandonata dai veneziani non perché le sue nuove difese terrestri erano inefficaci. Tra l’altro, nella loro nuova versione non erano mai state terminate. Ma perché la flotta che le proteggeva – appunto la vera grande fortezza della Repubblica adriatica – era stata sconfitta dai turchi in due successive battaglie navali.54 Dico questo perché, per concludere, vale la pena ribadire ancora una volta che ogni discorso su fortificazioni terrestri e navali non può mai essere ignaro di considerazioni su armi e questioni marittime varie. Nel 1713 fu impiegata per la prima volta in tutt’Europa e su vasta scala la foratura delle canne dei cannoni a partire da un’unica fusione piena: un lavoro eseguito in un primo momento con trapani in orizzontale e solo dopo in verticale.55 Questo stava a significare una minore dispersione di gas al momento dello sparo, per la migliore tenuta ermetica dell’arma in ogni suo punto tranne che alla bocca e all’innesco. Dopo di ciò era stato avviato sempre su vasta scala 54 Per il progetto del conte di Steinau per Corinto – a Venezia, Museo Correr – v. E.   Concina – E. Molteni, «La fabrica della fortezza», cit., pp. 267, 306. Per due lunghi resoconti del tempo sulla conquista veneziana di Chios ad agosto 1694 e sulla sua perdita già a marzo 1695 dopo le battaglie navali dette degli Spalmadori, si veda P. Cimbolli Spagnesi, Chios medievale. Storia architettonica di un’isola della Grecia bizantina, Roma, La Sapienza Casa Editrice 2008, pp. 95-98 e la bibliografia relativa precedente. Su tutta la vicenda, oltre a Dell’acquisto, e del ritiro de’ Veneti dall’isola di Scio nell’anno 1694. Libri tre, Trento, s.e. 1710, con la cronaca dei lavori delle varie fortificazioni realizzate nel breve periodo, si vedano Ph. P. Argenti, The Occupation of Chios by the Venetians, 1694. Described in contemporary Diplomatic Reports and Official Dispatches, London, John Lane the Bodley Head 1935; M. Nani Mocenigo, Storia, cit., pp. 280-288. Per le date delle navi veneziane coinvolte nella vicenda, si veda G. Ercole, Vascelli, cit., pp. 61-63. 55 Il metodo della foratura e dell’alesaggio dei cannoni in orizzontale era stato inventato per la   prima volta forse da Vannoccio Biringuccio (1480-1539) e illustrato nel suo trattato De la pirotechnia libri X (Venezia, Venturino Roffinello, 1540, libro VII, cc. 112-114), edito una prima volta appena dopo la sua morte e nel 1555 e 1559. Furono impiegati su vasta scala solo a partire dal 1713, dallo svizzero Johan Marit e poi migliorati nel 1734. Alla metà del XVIII secolo ambedue le lavorazioni avvenivano in verticale; dal 1774 l’alesaggio fu basato anche su un nuovo brevetto inglese: si veda W. Reid, Storia delle armi, Bologna, Odoya 2010, pp. 166-169, 236-237; G. Ercole, Vascelli, cit., pp. 139-140. Per la foratura in verticale, si veda J.-B. Le Roy, voce Alézoir, in L’Encyclopédie, cit., I, Paris 1751, pp. 254-255; Recueil, cit., IV, Paris 1767, Fonderie des canons, pp. 128-168: tav. XVII (Fonte des canons. Élévation del l’alézoir pour forer et alézer les pieces) e tav. XVIII (Fonte des canons. Suitte et dévelopemensde l’alézoir).

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anche l’alesaggio continuo delle canne medesime, per dare loro un asse longitudinale costante e senza deviazioni e, quindi, una maggiore precisione nel tiro. Nonostante tali novità, alla fine del Settecento sul piano delle costruzioni navali e della loro effettiva capacità di garantire la propria potenza marittima, la Serenissima era rimasta indietro rispetto ad altre nazioni. Proprio perché nelle sue scelte essa era – in fondo – ancorata a scelte sempre medievali. Solo tra 1780 e 1797, a ridosso della distruzione francese, in Arsenale fu deciso di adottare in via definitiva il sistema franco-britannico di costruzione dei vascelli maggiori con ordinate doppie. (Fig. 12, in basso) L’8 giugno 1782 fu infatti impostata la fregata grossa Fama, in seguito ammiraglia di Angelo Emo, insieme ad altre due unità della medesima classe e a un vascello di primo rango da 70 cannoni: il più grande mai realizzato da Venezia fino ad allora.56 Solo a partire da queste nuove architetture navali la Repubblica avrebbe potuto permettersi di affrontare altri spazi di conquista e di commercio, soprattutto altre caratteristiche e altre forze di mari. Epilogo Di fronte a quanto fa intravedere l’intero discorso in questa chiave sulle difese di Venezia in generale, se ancora esistesse memoria (fuori dal ristretto giro degli storici militari navali) di ciò che patirono gli equipaggi, di nuovo nella seconda guerra mondiale, dei sottomarini italiani di stanza a Betasom, a Bordeaux, durante la battaglia dei convogli in Atlantico, tutto sarebbe più chiaro. Negli anni Trenta del Novecento quelle imbarcazioni subacquee – ben altro da galee e vascelli veneziani – erano state progettate e realizzate a tutti gli effetti sulla base della ristretta esperienza militare e industriale acquisita dal Regno d’Italia nella prima guerra mondiale. Così che esse risultavano tali da non essere in grado di affrontare forse nemmeno il Mediterraneo – come invece almeno riuscivano le navi veneziane di due o tre secoli prima – ma quasi solo l’Adriatico.57 Come i vascelli del XVII e XVIII secolo della Serenissima, anche i sottomarini italiani in Atlantico rivelarono infatti carenze architettoniche gravi: per la sagoma eccessiva nei confronti della visibilità da lontano, la troppa fragilità dell’organismo strutturale e di apparecchiature varie nei 56 57

  G. Ercole, Vascelli, cit., pp. 184-208.   F. Mattesini, Betasom. La guerra negli oceani (1940-1943), Roma, Ufficio Storico della Ma-

rina Militare 2003, pp. 99-106.

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confronti delle onde oceaniche lunghissime, le sistemazioni interne inadeguate agli interminabili periodi di permanenza a bordo della gente, le minori rapidità d’immersione e manovrabilità rispetto ai sommergibili tedeschi e ai tanti bersagli mobili subacquei e di superficie anglo-americani. A riconsiderarli nell’insieme, questi stessi argomenti erano stati quelli che avevano inficiato anche il passaggio della medievale cultura militare di Venezia alle età successive fino alle soglie della Rivoluzione francese, nonostante le forme alla moderna delle sue difese terrestri.

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FINITO DI STAMPARE PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE PRESSO ABC TIPOGRAFIA • SESTO FIORENTINO (FI) NEL MESE DI DICEMBRE 2014

Le architetture militari che Venezia realizza nella seconda metà del Cinquecento sono frutto di scelte strategiche e nuove tecniche costruttive che, partendo dalla visione territoriale e dai sistemi bastionati di Francesco Maria Della Rovere, definiscono nuove dimensioni, forme e soluzioni per rispondere alla crescente potenza degli eserciti e delle armi da fuoco. Il volume affronta il tema della difesa degli estesi confini della Repubblica veneziana discutendo gli scambi di modelli che coinvolgono militari, ingegneri e architetti, portatori di esperienze europee. Esamina le principali architetture costruite a difesa di luoghi, porti e città, da Bergamo all’estremità della Dalmazia, e le soluzioni originali proseguite e incrementate sino al Seicento e oltre. Ne risulta un inedito quadro d’insieme dovuto al contributo di studiosi di vari paesi entro il quale spicca Palmanova, città-fortezza di nuova fondazione che unisce alla novità delle fortificazioni in terra il perimetro geometricamente perfetto e l’impianto radiale, celebre caso storiografico qui discusso e aggiornato anche per alcuni aspetti della conservazione.

ISBN 978 88 222 6371 1

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