Il successo USA secondo AMC e HBO (2010-2015), in E. Lumi, Letërsia dhe Media -një perspektivë krahasuese, Rama Graf, Elbasan, 2016, pp. 107-115.

May 20, 2017 | Autor: Sheyla Moroni | Categoría: Spanish Architecture (XXth Century), History of Television, Period Drama
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Letërsia dhe Media -një perspektivë krahasuese

Elbasan, 2016 -1-

REPUBLIKA E SHQIPËRISË UNIVERSITETI “ALEKSANDËR XHUVANI” FAKULTETI I SHKENCAVE HUMANE DEPARTAMENTI LETËRSI – GAZETARI ELBASAN

Përmbledhje e akteve të Konferencës Shkencore Ndërkombëtare “Letërsia dhe Media-një perspektivë krahasuese” mbajtur në Elbasan, më 19 - 20 Nëntor 2015 Organizuar nga: Universiteti “A.Xhuvani”, Elbasan, Universita Degli Studi Firenze, Kolegji AAB, Prishtinë. Bordi shkencor: Prof.as.dr. Elvira Lumi Prof.as.dr. Ilir Yzeiri Prof.as.dr. Luçiano Boçi Pro.as.dr. Rudian Zekthi Dr. Silvia Pezzoli Dr. Hasan Saliu Dr. Nirvana Shkëlzeni Dr. Mirela Shella Msc. Hektor Çiftja © Elvira Lumi © Universiteti “Aleksandër Xhuvani”- Departamenti i Letërsisë dhe Gazetarisë, 2016 Përgatiti për shtyp: Nevila Boci ______________________________ Shtypur në Shtëpinë Botuese RAMA GRAF Elbasan E-mail:[email protected] -2-

Përmbajtja e lëndës Fjala përshëndetëse e dekanit të FSHH, prof.dr. Roland Gjini.........................5 Fjala përshëndetëse e drejtueses së departamentit, prof.as. dr. Elvira Lumi....7 Fjala përshëndetëse e dr. Nirvana Shkëlzeni.....................................................9 Ilir Yzeiri Kultura që lindi nga gazetat..............................................................10 Hasan Saliu Media, letërsia dhe interneti, si kontent dhe si kanal komunikimi.....19 Silvia Pezzoli Nuove tecnologie al servizio del libro: l’originale percorso della letteratura young adults.......................................................................................25 Luçiano Boçi Letërsia dhe media midis komunikimit, informimit dhe fiction-it........36 Vehbi Miftari Letërisa “preferenciale” / gazetaria fiksionale (forma, modele e zhanre përfaqësuese)..........................................................................................44 Elvira Lumi, Lediona Lumi Nga letërsia konceptuale në median vizive........65 Ibrahim Berisha Modelet komunikuese, libri dhe televizioni...............................71 Letizia Materassi Raccontare le migrazioni. Il giornalismo italiano tra fatti e storytelling .........................................................................................................78 Nirvana Shkelzeni Midis ligjërimit artistik (narracionit) dhe ligjërimit gazetaresk (informacionit). Rasti Oriana Fallaci..................................................................87 Rudian Zekthi Këshillim dhe përgjim-mbi ontologjinë e receptimit në shtypin e shkruar................................................................................................................95 Riza Braholli Kumtet e medias për librin..........................................................101 Sheyla Moroni Il xx secolo raccontato dai period drama...............................107 Elda Talka Letërsia italiane në kinema, letërsia dhe kinemaja si rrëfim.........116 Esmeralda Hidri Teatri parë si situatë komunikuese (spektakli teatral dhe spektatori).........................................................................................................126 Edlira Macaj Çështje të përshtatshmërisë dhe lirisë estetike nga libri tek filmi (rasti i studimit: Bernhard Schlink-Leximtari)..................................................131 Neim Zhuri Zhanret mediatike dhe magjia narrative......................................142 Seadet Beqiri Promovimi i dramaturgjisë kombëtare përmes radio dramës....148 Nertila Tuka Nga libri tek filmi: personazhi si person dhe si rol në filmin “Përballimi” te Teodor Laços...........................................................................154 Hektor Çiftja Statusi i edukimit mediatik; nga vepra kanonike tek kultura masive. (Rasti shqiptar).................................................................................................162 -3-

Loreta Loli Letërsia shqipe përmes ‘Albanisë’ së Faik Konicës....................173 Kastriot Gjika Proza e M. Kutelit si dëshmi kalesë nga oraliteti (parësor) te shkrimtaria ......................................................................................................178 Klajd Bylyku Masmedia si shndërrim i natyrës së medias klasike prej artit....187 Laura Smaqi Krijimtaria letrare në periodikët e viteve ’30, roli i ndërsjelltë mes letërsisë e shtypit...............................................................................................192 Mirela Shella Retorika e letërsisë dhe e medias...............................................200 Ermira Ymeraj Rrëzimi i mitit të teknologjisë dhe kthimi te libri përmes memories kulturore...........................................................................................................205 Abdulla Ballhysa, Anisa Hysa Përdorimi i imazhit dhe cilësia e reklamës në median shqiptare ..............................................................................................210 Brikena Furxhi Tipare të fjalorit terminologjik dhe të leksikut politiko-shoqëror në publiçistikën e Bilal Xhaferrit.......................................................................218 Mariza Kërbizi Teoria e trupit të “pastër” dhe ndikimi i saj në letërsi dhe media................................................................224 Skënder Karriqi Poemat homerike si gjuhë e transmetuar.............................230 Teuta Dhima Epoka dixhitale dhe kthimi te libri............................................235

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Sheyla MORONI

Il XX secolo raccontato attraverso i period drama Il successo usa secondo Amc e Hbo (2010-2015) AMC e HBO, entrambe cable tv, si sono ritagliate un posto di primo piano nella scelta della messa in onda di period dramas qualitativamente significativi. In particolare la AMC si è segnalata come network televisivo versato nella scelta di fiction a sfondo storico classicamente mainstream cioè frutto di una consolidata interpretazione storiografica che lo supporta e (talvolta) lo anima (de Groot, 2015). La HBO si è spesso distinta come emittente legata a letture parzialmente più stravaganti e ammiccanti ad altri generi (televisivi e non) (Edgerton, Jones, 2008). D’altra parte la re-invenzione del metodo storico degli ultimi decenni nella sua versione anglofona (e ultimamente anche francofona) è consentanea e coadiuva questo tipo di “industria dell’immaginario”: infatti la storia è spesso definita come una narrazione piena di fatti assodabili; definizione che cerca di porre l’accento e l’attenzione degli addetti ai lavori sempre più sulla forma “narrativa”, fino talvolta ad arrivare al limite estremo della disciplina. In effetti la fiction viene co-prodotta con il pubblico come la memoria storica, per definizione. Mentre la ricerca storica è spesso tutt’altra cosa (Landy, 2001). Dato per scontato che alcuni macro-eventi sono raccontati (almeno nei programmi citati) con verosimiglianza, lo storico non chiede alle fiction di fare storia ma (all’opposto) di mostrarci la nostra storicità: le domande che ci poniamo e i temi che scegliamo sono la cartina di tornasole della nostra (e attuale) epoca, della nostra (e attuale) politica e della nostra (e attuale) memoria collettiva (o di come vogliamo plasmarla) soprattutto quando due colossi dell’industria dell’intrattenimento scelgono di “mettere in scena” pezzi del passato. E’ possibile però cercare di capire quale “sintesi” emozionale e culturale si offre di un periodo storico (decadenza, progresso, stagnazione) per offrirla al larghissimo pubblico (che a sua volta ha già un’idea pre-costituita – anche solo dalle esperienze scolastiche – dello stesso) per cercare di capire quale memoria si intende costruire, consolidare o smantellare.

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Gli anni Venti e Trenta: il successo dell’auto-inclusione (Boardwalk Empire. 2010-2014). Dal 2010 la HBO propone con fortune alterne la serie Boardwalk Empire autorialmente diretta da un regista di grande fama come Martin Scorsese e adattata allo schermo da Terence Winter. La storia che sottende ed è protagonista reale del drama è quella di Atlantic City e di un tassello cronologico dei suoi successi e declini economici. In particolare Scorsese sceglie di porre la sua attenzione sugli anni successivi alla Prima guerra mondiale. Veri protagonisti della fiction sono i partiti-macchina americani e le minoranze nazionali che spesso usando la criminalità organizzata di stampo etnico si fanno strada in (e poi da) un lembo periferico della nazione che li ospita. La loro è una lotta piuttosto consapevole alle élite wasp che effettivamente possedevano quel “pezzo” dello stato del New Jersey. La serie sceglie di sottolineare meno del reale il legame di Atlantic City con la città più popolosa della Pennsylvania: Atlantic nasce infatti e presumibilmente dall’intuizione di alcuni individui di legare la propria fortuna finanziaria ai destini dell’allora centro urbano industriale di primissimo piano di Philadelphia che li aveva espulsi; accadimenti realmente e analiticamente epici ma che oggi risultano meno evocativi per un pubblico globale. La storia che decidono di descrivere gli autori e il regista è soprattutto quella delle commistioni fra il leader indiscusso del partito di assoluta maggioranza e le varie “mafie” presenti sul territorio della città. Ebrei, italiani, irlandesi e afro-americani sono quasi perennemente in lotta al loro interno e fra di loro (più di rado) per il controllo delle ricchezze prodotte e smerciate da questa Disneyland per adulti: alcol (durante il proibizionismo), gioco d’azzardo e prostituzione. Finchè l’illegalità produce ricchezza (che innesca a sua volta un ciclo di economia legale) è vissuta come una spinta propulsiva che dinamizza le comunità escluse altrove e riesce a far trovare loro un posto “decoroso” nell’era del benessere statunitense. La loro proiezione diventa quindi anche politica e nazionale mentre l’illegalità ritorna a essere tale dopo la crisi del 1929. Terence Winter sceneggiatore dei Sopranos delinea quindi una politica di inclusione “forzata” e violenta dei nuovi cittadini americani. L’autore (sceneggiatore anche di The Wolf of Wall Street) non nega una sua visione fortemente politica del capitalismo ma (senza volerlo?) ne rafforza la lettura quale modello economico adatto (anche se in maniera paradossale e oltraggiosa) allo sviluppo della democrazia come, a suo modo, teorizzato anche e sempre da Scorsese con film come Gangs of New York, non a caso legato al tema musicale composto per il lungometraggio dagli U2 e intitolato The Hands That Built America. La sceneggiatura trae spunto da alcuni studi (seri e non) di taglio storico sulla evoluzione della città. A sua volta la scrittura della fiction, attraverso lo sviluppo da essa seguito e i suggerimenti di lettura delle dinamiche socio-politiche, ha indirizzato altre analisi (più o meno accademiche) su quel particolare processo di inclusione (esagerato ma anche paradigmatico).

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La figura di politico/gangster di Nucky (Enoch Thompson, leader repubblicano realmente esistito e – pare – ben più ingombrante nelle vicende della comunità di quanto ipotizzato dalla serie) è particolarmente ben realizzata: egli è sin dall’inizio e continua a essere (almeno per le prime tre serie) un collettore di interessi, un pacificatore della comunità e a suo modo un gestore “giusto” di istanze non garantite dalla legge e perseguite con modalità extra-legali. E non è irrealistico: come non lo è una gamma della letteratura storiografica che ormai analizza l’inclusione forzata (e anche violenta) di alcune “minoranze” all’interno della vita politica, economica e sociale di nazioni bianche, patriarcali e capitalistiche. La serie si apre infatti con le sequenze della richiesta al gangster-politico di patrocinare la crociata anti-alcol portata avanti da social workers e mogli maltrattate reduci dal successo del recente conseguimento del diritto di voto per le donne (1920). E’ interessante infine la scelta di un attore di ascendenze italiane (Steve Buscemi) per rendere sullo schermo il ruolo di un irlandese. Ed è una scelta che solo un regista “occulto” della serie come Scorsese poteva perseguire fin dall’inizio: ogni politically correct rispetto alle aspettative statunitensi sulle appartenenze etniche/nazionali viene in parte sovvertito senza troppo scandalo mentre (come sempre) gli sceneggiatori richiamano la forza attualizzante di alcuni comportamenti censurabili (come gli scandali politici richiamati dal caso Teapot Dome scoppiato in sincronia con gli avvenimenti della prima stagione) e lo scontro generazionale, ritenuto potente motore di miglioramento e progresso durante molta della storia del XX secolo anche da correnti storiografiche importanti. Altrettanto significativo lo studio che alcuni scrittori hanno elaborare su fonti coeve ai fatti (come il volume del giornalista Herbert Asbury del 1928 anch’esso intitolato The Gangs of New York) e la messa a punto delle nuove analisi (accademiche e non) sulla politicizzazione della immigrazione massiccia e sottoproletaria degli ultimi anni dell’800 e i primi del ‘900. Gli anni Cinquanta e Sessanta: l’apoteosi del consumismo (Mad Men. 20072015). “E poi, questi [i personaggi di Boardwalk Empire] sono i genitori dei Mad Men, cos’altro potevamo aspettarci?” (M. K. Booker, B. Batchelor, 2016). E’ questa la battuta che potrebbe connettere idealmente le due serie e chiarire la relazione prima politica, poi storiografica e infine mainstream rispetto a parte dello sviluppo del consumismo di massa (ri)preso negli anni successivi alla fine della II guerra mondiale negli Stati Uniti. La serie AMC nasce dal felice connubio della divulgazione creativa e degli studi sulla vita negli anni Cinquanta e Sessanta condotti sulla scia delle nuove teorie gender e della storia del consumismo. Il declino del “maschio statunitense” arriva quando la sua egemonia pare esprimersi al massimo: la crisi inizia nell’abbondanza, nel benessere e nella creatività omologata. Quando la serie si interrompe (all’inizio degli anni Settanta) gli USA stanno cambiando volto: afroamericani, don-

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ne e hippies delineano un nuovo orizzonte. Ognuna di queste categorie si è già guadagnata un posto nel drama ma ancora deve combattere per prevalere su un mondo proiettato sugli anni Quaranta e sulla guerra (non fredda). In diverse occasioni l’autore della serie Matthew Weiner ha spiegato che la stagione finale di Mad Men è stata tutta imperniata sull’idea del fallimento di queste molte “rivoluzioni” promesse dai favolosi anni Sessanta, ma in fondo mai portate a termine, e sul ripiegamento nella sfera del privato che seguì alla stagione del grande impegno collettivo. L’inclusione che offre Mad Men è l’inclusione attraverso il consumo e il benessere mentre il successo dei pubblicitari protagonisti della serie è un successo legato alla facilità con cui maschilisti, egoisti, avvezzi ai “vizi” riescono a mobilitare intercettandoli i gusti dei consumatori loro concittadini. Il successo dei main characters è legato sempre alla capacità di guadagnare, spendere (a loro volta) e migliorare il loro status: l’inclusione dell’ex escluso Don Draper non si allarga alla sfera emotiva o pubblica; l’istituzione familiare sta collassando e non c’è collante finanziario che tenga. La loro abilità si dispiega nella “menzogna”: un filone di lettura fortemente legato a classici della storiografia della storia statunitense (come Eric Foner ma anche agli studi del linguista Noam Chomsky). La loro libertà corrisponde a quella americana: anti-comunista in quanto individualista, omologata e omologatrice, maschilista e parzialmente segregazionista all’apice della sua espansione. La libertà è, al suo massimo, “libertà di consumare”. I nuovi professionisti dell’espansione economica “stelle e strisce” (i pubblicitari) cominciano a avvalersi di tecniche specifiche e “nuove” o rinnovate: branche di statistica, psicologia ed economia si specializzano per coadiuvarli e indirizzarli nel lavoro creando quella commistione fra mercato e mondo universitario e della ricerca tipica del mondo anglosassone. Con la “congiuntura” interna delle lotte per la rivendicazione identitaria e politica afro-americana, il femminismo e soprattutto la crisi petrolifera del 1973 questo mondo entra in crisi. Una delle più grandi capacità degli ideatori di Mad Men è anche quella di mixare sapientemente il documento visuale (che diventa il documento principe di quegli anni) con la percezione possibile del pubblico/cittadino degli avvenimenti cruciali e/o eclatanti della politica nazionale e di mostrare come per i nuovi professionisti del successo sia essenziale sintonizzarsi sui canali tv e, grazie a quelli, con le emozioni predominanti nell’americano medio. L’occhio dei produttori che è moralisticamente e benevolmente mainstream, nasce da letture consolidate della storia sociale americana e richiama volutamente alla “crisi di identità” (e soprattutto economico-finanziaria) statunitense seguita alla “bolla speculativa” degli anni Duemila1. Tutta la serie ammicca al gusto nostalgico e retrò per quegli anni “felici” nell’infelicità e riproduce una ‘fascinazione’ (anche commer1

Matthew Weiner intervistato da J. Poniewozik, The Time of Their Lives, in The Time Machine. How Mad Man rode the Carousel of the Past into Television History, Time, http://time.com/mad-men-history/, consultato il 25/05/2016 .

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ciale) per gli oggetti e l’estetica di quel ventennio. Alla fine però rimane lapidaria la frase di Weiner che ha dichiarato: “Quello che volevo davvero fare era scrivere una storia su qualcuno che fosse come me, che avesse 35 anni, possedesse tutto quello che poteva desiderare e fosse molto infelice” mostrando come la depressione, sindrome per eccellenza del XX secolo del “primo mondo”, faccia parte integrante della storia del ‘900. Gli anni Ottanta: il successo e la tecnologia (Halt and Catch Fire. 2014-in corso) Se “Halt and Catch Fire non sarà Mad Men […] ha [comunque] dimostrato di averne raccolto più che degnamente l’eredità”2 infatti la produzione di Halt vede il significativo declino (con grandezza) del “secolo statunitense” legato alla scomparsa progressiva di un nemico totale (prima i nazisti, poi i comunisti). Il successo dei programmatori racconta lo spostamento del nuovo modello americano: dal politico, al pubblicitario all’uomo “tecnologico”. Sempre più individualista non esprime più un’istanza di successo (anche se rapace) collegata a un gruppo o a una comunità (sia territoriale, etnica o anche lavorativa) ma accentua la sua ascesa del tutto privata (e legata a un sapere esclusivo) tipica degli anni Ottanta e Novanta. I personaggi della serie che ha idealmente e effettivamente preso il posto di Mad Men nella programmazione AMC sono dei predestinati: falliti socialmente sono “geni” nel loro campo di azione e lavoro. Sono uomini e donne e che si prefiggono di far confluire in maniera controllata vita professionale e vita privata, sulla scorta del fallimento emotivo e sentimentale dei loro genitori ma non ci riescono. Halt apre uno spiraglio sull’“altra America dei computer”, quella lontana dalla California, incastrata nei paesaggi desertici del Texas, a Dallas. Prende spunto da eventi realmente accaduti, e li usa per creare una realtà – non alternativa, ma – “parallela”. Halt and Catch Fire non è una serie tv sui pionieri dei personal computer o di internet; è, piuttosto, una serie sugli eterni secondi, su chi riesce a vincere, ma a fatica e solo temporameamente; su chi fa la sua puntata, ma spesso perde tutto. Il venditore (versione triste del pubblicitario ormai diventato solo yuppie) è affiancato da un vero e proprio artista tecnologico ma il loro successo non dipende solo dalla sintonia con le aspettative del cittadino medio. La maggiore ispirazione per molti “geni” di quegli anni è infatti quella di lavorare allo “scudo spaziale” del presidente Ronald Reagan che è uno dei grandi creditori del business informatico. Ma gli yuppies e i punk del pc qua rappresentati guardano già verso un altro orizzonte: vogliono creare quasi ex novo e il loro successo è solipsistico e premonitore delle esperienze tipo Microsoft ma soprattutto Apple. Il “passato prossimo” messo in scena da questo quality drama è una memoria ancora difficile da decifrare (a causa della sua vicinanza): il modernariato storico si 2

F. Anelli, Halt and Catch Fire – 2×10 Heaven is a Place, in “Seriangolo”, 5 agosto 2015, http://www. seriangolo.it/2015/08/halt-and-catch-fire-2x10-heaven-is-a-place/, consultato il 22/05/2016.

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vorrebbe avvicinare a quello di Mad Men e probabilmente vorrebbe raccontare una storia di successi “impossibili” come quella di Boardwalk ma appare più credibile come narrazione di percorsi individuali parzialmente reinventati. In queste difficoltà di sceneggiatura lo iato storiografico su quegli anni e quella “rivoluzione” gioca una parte da leone: se la letteratura scientifica è ancora e in gran parte monopolizzata dalle “storie della tecnologia” anche la lettura politica dell’era reaganiana non risulta ancora e del tutto sciolta dal nodo della vittoria conseguita nel periodo della guerra fredda. Fine del successo come inclusione? I quattro autori delle tre serie sono scrittori/sceneggiatori con un autorevole background accademico e professionale cosa che giustifica l’approccio serio e consapevole alle tre epoche storiche che si prendono in considerazione nei period dramas citati. Ma non è un caso che il più vicino all’industria per intrattenimento sia Weiner che possiede una formazione specifica conseguita alla University of Southern California negli anni del suo apice. Là si formano (grazie ai curricula studiati ad hoc e alla vicinanza a Hollywood) i professionisti che sviluppano una particolare tecnica di approccio “da laboratorio” verso ogni disciplina (quindi anche la storia) che possa servire a produrre un evento visuale. In questo caso Weiner “taglia” la Storia su misura delle storie che lui vuole raccontare consapevole del fatto che in questi casi è la memoria (collettiva e individuale) a farla da padrone. Da questa università arriva anche Chris Cantwell (co-autore di Halt): il che spiega anche la piega di successo presa dalla serie solo dopo il suo brutale re-indirizzamento della seconda stagione. Gli altri due autori sono laureati di non piccole o secondarie università statunitensi (New York University) e Rogers, in particolare “was a history major in college and then went to law school […] and then […] started out at The Atlantic in Washington D.C”3. Questi creatori esprimono (consapevolmente o meno) un modello attrattivo dell’american way of life anche mettendo in rilievo le sue contraddizioni e asprezze tanto che la capacità di guardare più al futuro che al passato (spesso volutamente ignorato) è un modello ricorrente e molto presente in tutti e quattro i period dramas presi in analisi e corrisponde alla teoria del “destino manifesto” solidamente consolidata nella politica e (in parte) nella e dalla storiografia statunitense. I temi ricorrenti attraverso le tre produzioni sono il “concentrato” della narrazione storiografica (che risulta solo in parte mainstream) del XX secolo americano: l’ascesa delle donne; l’assalto (al centro) delle periferie; l’esaltazione (anche attraverso la criminalizzazione) del capitalismo. La centralità dell’ascesa delle donne nel ‘900 e la rappresentazione della stessa è giustamente riformulata in maniera disomogenea: dalle social workers e casalinghe 3

T. A. Jensen, The IT Crowd, in Writers Guild of America, West, http://www.wga.org/content/default. aspx?id=5574, consultato il 20/05/2016.

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maltrattate neofite del diritto di voto con ambizioni grandi e socialmente importanti ma naif e dirette verso obiettivi improbabili e/o palesemente sbagliati (ancora ancorati più alla sfera morale che non a quella politica; sfera che le donne erano più abituate ad abitare) alle singole donne alla riscossa professionale e alla rincorsa di un’impossibile felicità privata di Mad Men fino alle sinceramente improbabili nuove donne scienziato nerd e manager di Halt and Catch Fire. Quest’ultimo prodotto diventa la vera cartina di tornasole della attualità delle serie: laddove infatti non sono realmente pervenute alla ribalta della storia donne così centrali nella “rivoluzione tecnologica” degli anni Ottanta, il drama prefigura istanze e caratteri presenti e fortemente richiesti negli anni 2000: Halt sembra più proiettato al diffuso emporwerment di genere degli ultimi venti anni, alla centralità delle donne nel voto americano e alla elaborazione della preparazione di una possibile presidenza femminile. L’altro tema ricorrente nelle tre serie (concordemente con la gran parte della storiografia americana di nuovo conio) è quello della “centralità” delle periferie anche quando il loro tentativo di riguadagnarsi la scena non centra il bersaglio: Atlantic City, persino New York (metafora geografica ma soprattutto culturale delle Costa Est e del legame storico con l’Europa) e poi il Texas (in concorrenza con la Sylicon Valley) diventano il contraltare dei “centri” veri del potere e dell’economia statunitense (Washington ma soprattutto la California). In questo caso gli autori delle storie sono attenti a disegnare un percorso diverso dalle “sconfitte” storiche riportate in questa partita dalle varie periferie americane tracciando per loro un percorso da stimolatrici di idee, politiche, istanze e creatività che non sempre hanno avuto luogo nei termini narrati. Atlantic City si dibatte ancora in una decadenza da cui si risveglia a tratti ripiombando nella modalità ghettizzante dalla quale era nata, New York ha ceduto il passo al quinto paese del mondo per PIL (cioè la California) subendo però la violenza delle Torri Gemelle (in parte dovuta alla sua immagine di simbolo americano per eccellenza) e il Texas vive tutt’oggi la sua difformità tentando la strada di una sua way of life ritenuta a tratti poco compatibile con il resto delle aspettative statunitensi. Il terzo filo rosso inerisce la storia del capitalismo americano nella sfera che si elabora al di sopra delle aspettative idilliache già svanite alla fine dell’800 di una società competitiva e meritocratica e al di là della completa accettazione di un modello messo in crisi sia a livello intellettuale (persino su basi gramsciane) che a livello finanziario (basti pensare all’enorme debito pubblico statunitense). Il risultato delle tre serie è che a tratti, con le sue storture e le sue violenze questo modello funziona (It works): qualcuno ne è beneficiato molto (anche se spesso non cotinuativamente) e, in generale, le istanze sociali (fra battute di arresto e omologazioni forzate) sono (prima o poi) prese in carico dal sistema. La narrazione di questi tre prodotti dell’entertainment USA rimanda poi a due riflessioni più generali rispetto alla nuova storiografia globale: se il secolo XX per l’Europa è il “secolo breve” (1914-1989) questa percezione esce ampliata dalla visione

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di questi (e molti altri) dramas incentrati sulla storia del ‘900 americano che pare iniziare quasi dopo la Prima guerra mondiale e finire circa con la caduta del Muro (se non con la crisi petrolifera di metà degli anni ’70); gli USA appaiono nel disegno storiografico del XX secolo ancora e totalmente “ripiegati” sulla loro società e politica tanto da contemplare i conflitti (anche se coinvolgono milioni di altri esseri umani) solo per i loro riflessi sulla vita dei cittadini statunitensi. Naturalmente queste narrazioni sono lontane dalla rielaborazione violenta, anarchica e totale della storia americana quale quella abbozzata da alcuni registi che ancora oggi scelgono il cinema come media di riferimento. I tre dramas ci raccontano la variabile “accettabile” (anche se non trionfante) degli Stati Uniti metabolizzata dalla classe media ma non sono certo The Hateful Eight di Quentin Tarantino.

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CIP Katalogimi në botim BK Tiranë Universiteti “Aleksandër Xhuvani” Letërsia dhe media-një perspektivë krahasuese : përmbledhje e akteve të konferencës shkencore ndërkombëtare : Elbasan, më 19-20 nëntor 2015 / Universiteti “Aleksandër Xhuvani” ; red. shkenc. Elvira Lumi, etj. – Elbasan : Rama Graf, 2016 ... f. ; ... cm. Bibliogr. ISBN 978-9928-115-61-4 1.Letërsia shqipe 2.Komunikimi dhe kultura 3.Masmedia 4.Gazetaria 5.Konferenca 821.18 (062) 316.77 (062)

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