Il problematico rapporto tra prova e sussunzione. Un approccio ermeneutico-giuridico

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ORIENTAMENTI

GAETANO CARLIZZI Il problematico rapporto tra prova e sussunzione Un approccio ermeneutico-giuridico SOMMARIO: Programma dell’indagine. - 1. Cause della problematicità del rapporto tra prova e sussunzione. – 2. Classificazione e critica delle principali tesi sul rapporto tra prova e sussunzione. – 3. Una teoria ermeneutico-giuridica del rapporto tra prova e sussunzione. – 4. Quattro tesi a mo’ di riepilogo.

Programma dell’indagine Le seguenti riflessioni hanno un fine teorico-pratico: imparare a trattare adeguatamente i due giudizi in cui si articola la decisione del giudice. Esse nascono da un’esperienza personale, che forse può essere utile comunicare. Nel corso della mia attività di giudice penale, ho notato che, sebbene la differenza concettuale tra giudizio probatorio e giudizio sussuntivo sia alquanto chiara, grazie alla netta differenza di senso delle quaestiones che essi mirano a risolvere, nondimeno tali giudizi interferiscono variamente tra di loro, in modi non sempre afferrabili. In particolare, in diverse occasioni mi sono trovato disorientato, in quanto ciò che credevo di star facendo o di aver fatto in funzione sussuntiva (in fase di istruzione, di deliberazione o di motivazione1) mi sembrava servire, al contempo, a fini probatori, o viceversa. Donde il desiderio di comprendere se queste interferenze siano di vari tipi, quali sono le loro cause, se siano tutte patologiche, se siano in parte evitabili e così via. D’altro canto, nello svolgimento dell’indagine, mi propongo di resistere alle opposte, diffuse tentazioni di far valere visioni astratte dell’attività del giudice o semplici intuizioni professionali: tentazioni parimenti incompatibili con un’aspirazione davvero teorica. Così, il contributo che vorrei offrire costituirà l’esito di un percorso graduale, articolato nei seguenti passaggi. Nel § 1, indicherò i principali fattori di complicazione del rapporto tra prova e sussunzione e cercherò di mostrare il carattere in buona misura apparente della problematicità che ne deriva. Nel § 2, sulla scorta di tale analisi Che una sussunzione possa darsi in ciascuno dei suddetti momenti, risulterà evidente non appena si rifletta sul fatto che vi sono sia sussunzioni definitive (quelle compiute all’esito della deliberazione e di cui si dà conto nella stesura della motivazione), sia sussunzioni provvisorie (quelle compiute durante l’istruzione del processo, per prendere le varie decisioni interlocutorie richieste in tale fase). Mutatis mutandis, lo stesso vale per la prova. 1

ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 preliminare, suddistinguerò in due tipi le principali tesi formulate sul nostro rapporto, tesi sovrappositive e tesi discretive. Nel § 3, col corredo di vari esempi tratti dal processo penale, proverò a sviluppare una delle tesi discretive, quella dell’Ermeneutica Giuridica Continentale, che tratta prova e sussunzione come attività di giudizio e si interessa al loro svolgimento naturale. Nel § 4, infine, ricapitolerò in forma poco più che stenografica i risultati dell’intera indagine. 1. Cause della problematicità del rapporto tra prova e sussunzione. 1.1. A prescindere dalle regole di rito dei vari ordinamenti positivi, due sono le questioni principali che il giudice2 è chiamato ad affrontare3. Da un lato, se il fatto che la parte promotrice (attore, ricorrente o pubblico ministero) ha addotto a sostegno della propria pretesa di giustizia («fatto principale») sia occorso (quaestio facti); tale questione è esistenziale, perché riguarda l’esistenza (passata) di un fatto4. Dall’altro lato, se un fatto così determinato abbia le qualità di una fattispecie formulata da una fonte giuridica (quaestio iuris); tale questione è predicativa, perché riguarda il possesso di certe qualità (rilevanti per il diritto) da parte di un fatto5. Anche altri soggetti processuali (es.: pubblico ministero) compiono giudizi sussuntivi e probatori. Per il momento, tuttavia, per esigenze di sintesi, mi riferirò solo ai giudizi del giudice. Ciò non vale per la giurisdizione costituzionale (sulla quale, BISOGNI, Teoria e giustizia costituzionale in Italia: un profilo storico-filosofico, Milano, 2012), il cui sindacato presuppone un’attività interpretativo-sussuntiva, ma non probatoria, ancorché si discuta se anche qui vi siano giudizi di fatto (PULITANÒ, Giudizi di fatto nel controllo di costituzionalità delle norme penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1004-1037). Accanto a quella indicata, che è la questione probatoria principale, si pongono questioni relative alla prova di altri aspetti della responsabilità penale (art. 189 c.p.p.). Tra le questioni giuridiche, vi è non solo la questione sussuntiva, ma anche quella relativa all’individuazione degli effetti delle sussunzioni già compiute. Si noti, inoltre, che, ponendo l’accento sulla sussunzione, non intendo sostenere che questa sia l’unica forma dell’applicazione giuridica. Nello Stato costituzionale contemporaneo (per tutti: OMAGGIO, Saggi sullo Stato costituzionale, Torino, 2015), intessuto di principi fondamentali indeterminati (a fattispecie aperta e/o soggetti a eccezioni implicite – «defettibili» – e/o generici: GUASTINI, Interpretare e argomentare, Milano, 2011, 173-195) in potenziale conflitto reciproco (sul punto, PINO, Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, Bologna, 2010, 143-172), questa sarebbe una tesi del tutto anacronistica, giacché i principi richiedono operazioni (di «bilanciamento») diverse dalla mera sussunzione (v. ALEXY, On Balancing and Subsumption. A Structural Comparison, in Ratio Juris, 2003, 16, 433–449). Intendo sostenere, piuttosto, che, anche quando decide facendo uso (concorrente o esclusivo) di principi fondamentali, il giudice assume o esclude pur sempre che il fatto in giudizio realizzi una fattispecie giuridica. Nel primo caso (uso concorrente), ciò accade perché egli rielabora la norma (qualunque sia la sua origine) alla luce del principio; nel secondo, perché la norma che egli trae direttamente dal principio, in qualità di norma giuridica, deve superare il test (di matrice kantiana) di universalizzabilità, cioè assumersi come valevole per tutti i fatti di un certo tipo. In questo senso, può forse sostenersi che, più che forma esclusiva, la sussunzione sia forma decisiva dell’applicazione giuridica. 2

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 Correlativamente a ciò, due sono i giudizi6 fondamentali di competenza del giudice. Da un lato, un giudizio probatorio (o di fatto), che si svolge fissando le caratteristiche del fatto principale e stabilendo, mediante l’apprezzamento di una o più evidenze, se sia occorso un fatto così determinato7. Dall’altro lato, un giudizio sussuntivo (o di diritto), che si svolge tenendo presenti le suddette caratteristiche e stabilendo, mediante l’interpretazione di criteri giuridici e sulla base dell’esperienza, se esse realizzino le qualità di una fattispecie normativa8. Giudizi, questi, i cui risultati (conclusioni e ragioni) dovranno essere esposti, così da assicurarne il controllo pubblico. In questa sede, essendo interessato alle dinamiche della decisione giudiziaria, mi occuperò di un rapporto tra giudizi (intesi, a seconda dei casi, come attività o come risultati di tali attività). Altri autori, invece, o sono interessati alla statica della decisione giudiziaria, sicché si soffermano sul rapporto tra quaestio facti e quaestio iuris quali problemi che gli stessi giudizi mirano a risolvere (così, buona parte delle opere citate infra in materia di giudizio di legittimità, cioè Cassazione e Revision); oppure sono mossi da interessi teorico-giuridici più ampi, per cui si rivolgono al rapporto tra fatto e diritto (ALLEN, PARDO, The myth of the law-fact distinction, in Northwestern University Law Review, 97, 4, 1769-1807 2003; LEVI, Fatto e diritto, Milano, 2002; VOGLIOTTI, Tra fatto e diritto. Oltre la modernità giuridica, Torino, 2007) o al rapporto tra quaestio facti e quaestio iuris inteso in un senso diverso da quello seguito in questa sede (KELSEN, Reine Rechtslehre (1960), II ed. (1934), tr. it. La dottrina pura del diritto, Torino, 1990, 267-268, su cui v. infra, sub 2.1.1.). Sul giudizio giuridico, PASTORE, Giudizio, prova, ragion pratica. Un approccio ermeneutico, Milano, 1996, 1-48; TARUFFO, voce Giudizio (teoria generale), in Enc. Giur. Treccani, XV, Roma, 1988, 1-8; VELLUZZI, Giudizio, in Aa.Vv., Filosofia del diritto. Norme, concetti, argomenti, a cura di Ricciardi, Rossetti, Velluzzi, Roma, 2015, 253-267. Su valutazione probatoria e/o prova, nella letteratura giusteorica: CANALE, Ragionamento giuridico, in Aa.Vv., Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo, a cura di Pino, Schiavello, Villa, Torino, 2013, 344-348; CARLIZZI, Critica della responsabilità seriale. Un contributo alla logica e alla metodologia del ragionamento probatorio, in Aa.Vv., Ontologia e analisi del diritto. Scritti per Gaetano Carcaterra, a cura di Cananzi, Righi, Milano, 2012; COMANDUCCI, La motivazione in fatto, in Aa.Vv., La conoscenza del fatto nel processo penale, a cura di Ubertis, Milano, 1992, 215-244; FERRER BELTRÀN, Prueba y verdad en el derecho (2002), tr. it. Prova e verità nel diritto, Bologna, 2004, 19-62; FERRER BELTRÀN, La valoracion racional de la prueba (2007), tr. it. La valutazione razionale della prova, Milano, 2012; HAACK, Evidence Matters. Science, Proof, and Truth in the Law (2014), tr. it. parz. Legalizzare l’epistemologia. Prova, probabilità e causa nel diritto, Milano, 2015, 1-38; PASTORE, Giudizio, prova, ragion pratica, cit., 49-195; TUZET, Filosofia della prova giuridica, Torino, 2013, 110-193, 249-298. Nella letteratura processualpenalistica: AA.VV., La prova penale, a cura di Gaito, Torino, 2008; AA.VV., Trattato di procedura penale, II. Prove e misure cautelari, I. Le prove, a cura di Scalfati, Torino, 2009; FERRUA, La prova nel processo penale, Torino, 2015; RIVELLO, La prova scientifica, Milano, 2014, 1-56; SANTORIELLO, La prova penale e la sua valutazione, Roma, 2012; TONINI, CONTI, Il diritto delle prove penali, Milano, 2012, 43-191; UBERTIS, Profili di epistemologia giudiziaria, Milano, 2015, 79-179. La definizione di «sussunzione» proposta va precisata sotto un duplice profilo. Innanzitutto, essa rifiuta la logica classificatoria della concezione classica (secondo cui la sussunzione sarebbe meccanica e fondata sulla eguaglianza del fatto sussunto agli altri fatti rientranti nella fattispecie) e accoglie la logica ordinatoria della concezione ermeneutico-giuridica (secondo cui la sussunzione è in qualche misura inventiva e fondata su una somiglianza rilevante del fatto sussunto agli altri fatti tipici: O MAGGIO, CARLIZZI, Ermeneutica e interpretazione giuridica, Torino, 2010, 110-112, 121-124). In secondo luogo, poiché ritiene che l’unità di misura della sussunzione sia la fattispecie normativa (intesa nel senso della 6

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 Con riguardo al processo penale italiano9, essi campeggiano nei suoi snodi principali: dall’avvio del procedimento10, alla conduzione delle indagini preliminari11, allo svolgimento del dibattimento12, alla redazione dei motivi della decisione13, fino ad arrivare al controllo di quest’ultima14. nota 46), la definizione proposta è intensionale, non estensionale: intende la sussunzione come riconduzione del fatto singolo, non già alla classe dei fatti tipici, bensì al tipo di fatto normativo. Su interpretazione e/o sussunzione, nella letteratura giusteorica: AA.VV., Subsumtion. Schüsselbegriff der juristischen Methodenlehre, a cura di Gabriel, Gröschner, Tübingen, 2012; BARBERIS, Filosofia del diritto. Un’introduzione teorica (2003), II ed. parz. rid. e int. riv., Torino, 2005, 208-243; CANALE, Ragionamento giuridico, cit., 340-344; CHIASSONI, Tecnica dell’interpretazione giuridica, Bologna, 2007, 11-47; DICIOTTI, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, 1999, 122-291; NEUMANN, Subsumtion als regelorientierte Fallentscheidung (2012), tr. it. Sussunzione come decisione di un caso orientata a una regola, Ars Interpretandi, 2013, n. 1, 83-99; OMAGGIO, CARLIZZI, Ermeneutica e interpretazione giuridica, cit., 3-61, 91-127; GUASTINI, Interpretare e argomentare, cit., 3-37, 63-79, 91-101; PASTORE, Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, Torino, 2014, 51-98; PINO, Interpretazione cognitiva, interpretazione decisoria, interpretazione creativa, in Riv. fil. dir., 2013, n. 1, 77-102; VELLUZZI, Le preleggi e l’interpretazione. Un’introduzione critica, Pisa, 2013, 17-55; VILLA, Una teoria pragmaticamente orientata dell’interpretazione giuridica, Torino, 2012, 1-116; VIOLA, ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, RomaBari, 1999, 105-408; VOGLIOTTI, Dove passa il confine? Sul divieto di analogia nel diritto penale, Torino, cit., 61-90; ZACCARIA, La comprensione del diritto, Roma-Bari, 2012. Nella letteratura penalistica: DI GIOVINE, L’interpretazione nel diritto penale tra creatività e vincolo alla legge, Milano, 2006; DONINI, Europeismo giudiziario e scienza penale. Dalla dogmatica classica alla giurisprudenzafonte, Milano, 2011, 63-117; FIANDACA, Il diritto penale tra legge e giudice, Padova, 2002, 33-64; MAIELLO, Principio di legalità ed ermeneutica penale nella definizione (delle figure) della partecipazione associativa di tipo mafioso e del c.d. concorso esterno, in Aa.Vv., I reati associativi: paradigmi concettuali e materiale probatorio. Un contributo all’analisi e alla critica del diritto vivente, a cura di Picotti, Fornasari, Viganò, Melchionda, Padova, 2005, 161-172; MANES, Il ruolo «poliedrico» del giudice penale, tra spinte di esegesi adeguatrice e vincoli di sistema, in Cass. pen., 2014, 5, 19181945; MAZZACUVA, A proposito della interpretazione «creativa» in materia penale: nuova «garanzia» o rinnovata violazione di principi fondamentali?, in Aa.Vv., Studi in onore di Giorgio Marinucci, I. Teoria del diritto penale, criminologia e politica criminale, a cura di Dolcini, Paliero, Milano, 2006, 437-453; PALAZZO, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione penalistica, ivi, 515-538; PULITANÒ, Sull’interpretazione e gli interpreti della legge penale, ivi, 657-691; RONCO, Precomprensione ermeneutica del tipo legale e divieto di analogia, ivi, 693-713. L’indagine trae dalla sfera penale il materiale pratico, ma ambisce ad avere validità teorico-generale. Art. 335, co. 1, c.p.p. Cfr. colleg. sistem. tra gli artt. 326, 358, 405, 416, 417 c.p.p. Artt. 493 e 495, in rif. agli artt. 190, co. 1, 190-bis; 527 c.p.p. Art. 546, co. 1, lett. e, c.p.p. Art. 606, co. 1, lett. b ed e. In sede di controllo della decisione di merito da parte della Corte di Cassazione, prova e sussunzione pongono problemi peculiari, che meriterebbero uno spazio non concesso in questa sede. Anzi, può dirsi che la maggior parte delle analisi del loro rapporto si collega proprio all’esigenza di delimitare con precisione il sindacato del giudice di legittimità. Qui mi limiterò ai seguenti rilievi (estensibili, mutatis mutandis, al giudizio di legittimità in generale). Compito della Cassazione penale è verificare la legittimità della decisione di merito, nei limiti segnati dai motivi di ricorso proposti dalle parti interessate. Tale verifica dà luogo a un sindacato diverso a seconda che il ricorso si riferisca al giudizio sussuntivo ovvero a quello probatorio del giudice di merito. Infatti, solo nel primo caso la sindacabilità è diretta, con la conseguenza che la Suprema Corte può compiere un 9

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 1.2. Se la distinzione tracciata è alquanto familiare tra i giuristi, manca ancora una visione chiara del rapporto tra prova e sussunzione. Ciò soprattutto per le seguenti cause, estrinseche, in quanto dipendenti dal modo in cui esso è trattato in letteratura o è attuato nella prassi. Le prime due sono fisiologiche, riflettendo la naturale diversità di impostazione degli autori considerati, mentre le successive sono patologiche, dipendendo da manchevolezze teoriche o pratiche di vario genere. 1.2.1. Contrapposizione tra approccio analitico, descrittivo e prescrittivo al tema generale della decisione giudiziaria15. L’approccio varia a seconda che miri alla scomposizione del concetto di «decisione giudiziaria», alla ricognizione del modo in cui essa si realizza di fatto o alla fissazione del modo in cui si deve realizzare per essere corretta. La frammentazione di senso si estende al rapporto tra prova e sussunzione, quali componenti fondamentali della decisione del giudice. 1.2.2. Controversia circa la possibilità di suddividere la decisione giudiziaria in fasi (es.: scoperta, ricerca, deliberazione, giustificazione) passibili di trattazione in almeno uno dei modi considerati (analitico, descrittivo, prescrittivo)16. Per evidenti ragioni combinatorie, ciò incrementa la proliferazione dei modi di intendere il rapporto tra prova e sussunzione. In particolare, altro è trattarlo come rapporto tra attività formative, altro è trattarlo come rapporto tra i risultati di tali attività17. autonomo giudizio sussuntivo. Nel secondo, invece, la sindacabilità è indiretta, ossia non può investire la correttezza del risultato del giudizio probatorio del giudice di merito, ma solo del ragionamento retrostante (vizi di contraddittorietà e di manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e, II parte, c.p.p.), con la conseguenza che la S.C. non può compiere un autonomo giudizio probatorio. Peraltro, con riguardo al giudizio sussuntivo, si discute se esso possa essere compiuto dalla S.C. sempre (teoria tradizionale) o solo nei casi in cui sia funzionale al suo ruolo nomofilattico (teoria teleologica). Sul punto, in generale, BOVE, Il sindacato della Corte di cassazione. Contenuto e limiti, Milano 1993, 76-115. Sulla Cassazione penale, IACOVIELLO, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Milano, 2013. Per tripartizioni (metateoriche) analoghe: ALEXY, Begriff und Geltung des Rechts (1992), tr. it. Concetto e validità del diritto, Torino, 1997, 17 e nota 4, 18 e nota 5; COMANDUCCI, La motivazione in fatto, cit., 225-232. Volendo, CARLIZZI, Ragionamento giudiziario e complessità diacronica del circolo ermeneutico, in Cass. pen., 2006, 335-341. Per la tesi secondo cui solo la motivazione della decisione sarebbe teorizzabile, GUASTINI, Interpretare e argomentare, cit., 236-238; per una critica (che andrebbe perfezionata trasformando la bipartizione «descrittivo-prescrittivo» nella tripartizione «analitico-descrittivo-prescrittivo»), volendo, OMAGGIO, CARLIZZI, Ermeneutica e interpretazione giuridica, cit., 138-142. 15

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 1.2.3. Inadeguata definizione delle nozioni di «quaestio facti» e «quaestio iuris». L’inadeguatezza è alla realtà processuale, che pure costituisce l’ambito naturale di emersione del rapporto in esame. Essa impedisce di enucleare con precisione tutti i momenti costitutivi delle due quaestiones. L’espressione più vistosa di tale causa è l’inconsapevole trattazione promiscua di prova e sussunzione, riscontrabile soprattutto nella letteratura giuridica a cavallo tra XVIII e XIX secolo18. 1.2.4. Mancata esplicitazione della prospettiva che verrà seguita nello svolgimento dell’indagine (analitica, descrittiva e/o prescrittiva; con oggetto monofasico o plurifasico). L’incertezza derivante da tale causa non consente di comprendere in quali termini ci si sta occupando del rapporto tra prova e sussunzione. Essa, peraltro, può essere spesso ridimensionata, valorizzando l’appartenenza dell’autore di volta in volta considerato a un ben preciso indirizzo di pensiero19. 1.2.5. Infedeltà agli assunti metateorici preliminarmente esposti. La causa opera nel modo seguente. Il singolo autore, dopo aver mostrato di volersi occupare dei risultati delle attività probatoria e sussuntiva, a un certo punto si concentra sullo svolgimento di queste attività, o viceversa. Ciò, di solito, accade in maniera inavvertita, a causa dell’oscurità che ancora regna sui territori del nostro rapporto. Anche così, tuttavia, si crea un disorientamento circa la prospettiva effettivamente seguita dall’indagine di turno20. 1.2.6. Disattenzione per l’impronta linguistica dei fatti giudicati nel processo. L’identità di tali fatti, come quella delle fattispecie in cui sono sussunti, dipende dalla loro formulazione. I due elementi, pertanto, sono distinguibili solo se è possibile formularli in termini essenzialmente diversi e se tale possibilità viene attuata. Qualora sia integrata la prima, ma non la seconda 18

Ciò accade soprattutto nei modelli atomistici di sillogismo giudiziario, come quello di Beccaria (cfr.

sub 2.1.1.). Ad esempio, alcune indagini di stampo giusfilosofico-analitico possono essere intese come circoscritte al piano della giustificazione della decisione, l’unico ritenuto teorizzabile (v. supra, nota17). Questo sembra essere il caso di CALOGERO, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione (1937), II ed., Padova, 1964, che affronta una questione relativa ai risultati del giudizio di merito (limiti del sindacato in fatto della Cassazione, ivi: 3-7), sostenendo la tesi della formazione non sillogistica, bensì meramente sussuntiva, di tale giudizio (ivi: 46-70). Sulla concezione di Calogero, NITSCH, Il giudice e la legge. Consolidamento e crisi di un paradigma nella cultura italiana del primo Novecento , Milano, 2012, 203-267. 19

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 condizione, la prova verte, sì, direttamente sulla fattispecie, e dunque si confonde con la sussunzione, ma solo per un difetto della prassi giudiziaria. 1.2.7. Sottovalutazione della rilevanza teorica delle differenze tra i vari tipi di attività giudiziaria. Tale causa affligge le indagini che assumono il tema del nostro rapporto in generale, per poi trattarlo nella cornice di un’attività particolare (es.: giudizio civile di cognizione di primo grado). Ne deriva l’incomunicabilità di principio con tesi che si riferiscono ad altri contesti processuali, dunque ad altri meccanismi di giudizio, e ancora una volta una problematicità soltanto apparente21. 2. Classificazione e critica delle principali tesi sul rapporto tra prova e sussunzione. Tali tesi possono essere classificate e criticate alla luce dell’analisi appena svolta. Esse sono di due tipi: sovrappositive e discretive. 2.1. Le tesi sovrappositive non riconoscono la distinzione concettuale tra prova e sussunzione. Mentre in alcuni autori ciò è dovuto a un insufficiente approfondimento teorico del tema, in altri è il frutto di una riflessione più o meno articolata. 2.1.1. Sotto il primo profilo, specie nella letteratura a cavallo tra XVIII e XIX secolo, è riscontrabile una certa commistione tra i concetti di prova e sussunzione. Paradigmatica è la dottrina del sillogismo di Cesare Beccaria, che considera la decisione giudiziaria come attività e la tratta prescrittivamente, nel senso che intende assegnare al giudice un modello cui attenersi nell’esercizio della propria funzione. Qui il fatto compare soltanto nella premessa minore del sillogismo giudiziario, dove la sua conformità alla fattispecie della norma fissata nella premessa maggiore va affermata o negata indistintamente, senza tener conto, appunto, della differenza tra prova e sussunzione22. Residui di questa commistione permangono nel XX secolo, ad esempio nella concezione della decisione giudiziaria di Hans Kelsen, dove il modello sillogistico sembra svolgere piuttosto un ruolo analitico, cioè esplicitare la La causa in esame vale per la quasi totalità delle opere sul nostro tema. BECCARIA, Dei delitti e delle pene (1764), Torino, 1994, 15-16. Per un’analisi critica di tale modello, OMAGGIO, CARLIZZI, Ermeneutica e interpretazione giuridica, cit., 8-10. Quanto detto non toglie che Beccaria abbia ben presente il problema della prova (ivi: 35): TUZET, Il dilemma della valutazione probatoria: criteri e standard rileggendo Beccaria, in Riv. Int. Fil. Dir., 2014, n. 4, 667-685. 21 22

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 nozione di produzione giudiziaria del diritto23. Anzi, a ben vedere, nell’opera di Kelsen la manchevolezza è ancor più radicale che in Beccaria, giacché è assente ogni riferimento, seppur cursorio, al tema della prova giuridica24. Alla base della commistione vi è un’ambigua accezione di «accertamento del fatto», che coinvolge sia l’occorrenza di un episodio di vita, sia la sua corrispondenza a una fattispecie giuridica25. Essa può spiegarsi in parte con la modesta profondità degli studi sette-ottocenteschi di logica giudiziaria, ma non sarebbe più tollerabile nell’epoca attuale, dopo i notevoli progressi conseguiti in questo campo. 2.1.2. Nelle opere di altri autori, la distinzione concettuale tra prova e sussunzione è invece propriamente disconosciuta, cioè negata per la convinzione della loro inevitabile indiscernibilità pratica. Esemplare è la tesi di Gustav Radbruch, che può essere interpretata come analisi della formazione della decisione giudiziaria. Essa va ricostruita per gradi26. Il diritto, in quanto sfera della cultura, non ha a che fare con dati bruti, puramente sensibili, bensì preformati per mezzo di concetti sociali (es.: concetto di «feto» della biologia). Per perseguire gli scopi del diritto, i concetti sociali devono essere rielaborati in conformità ad essi, e trasformati così in concetti giuridici (es.: concetto di «feto» della disciplina penale dell’aborto)27. Tra concetti sociali e concetti giuridici vi è dunque una stretta corrispondenza. Ora, dato che il fatto da provare è descritto attraverso concetti sociali; dato che la sua sussunzione nella fattispecie dipende da una verifica di corrispondenza tra le caratteristiche così individuate e i concetti giuridici; ne deriva che l’accertamento di tali caratteristiche costituisce, al contempo, prova e sussunzione28. KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit., 267-268. La proposta ricostruzione della posizione kelseniana trova conferma nelle definizioni di «quaestio facti» e «quaestio iuris» formulate da MAZZARESE, Forme di razionalità delle decisioni giudiziali, Torino, 1996, 56 nota 1. Un’ambiguità analoga si presenta nel linguaggio giuridico tedesco, relativamente a «Tatsachenfeststellung». Su tale concetto, HRUSCHKA, Die Konstitution des Rechtsfalles. Studien zum Verhältnis von Tatsachenfeststellung und Rechtsanwendung (1965), tr. it. La costituzione del caso giuridico. Studi sul rapporto tra accertamento fattuale e applicazione giuridica, Bologna, 2009, 25-26, 33-39, 41-53. Volendo, CARLIZZI, Contributi alla storia dell’Ermeneutica Giuridica Contemporanea, Napoli, 2012, 19-23, 37-49. RADBRUCH, Rechtsphilosophie (1932), Heidelberg, 2003, 114 ss. RADBRUCH, Rechtsidee und Rechtsstoff. Eine Skizze (1924), in Id., Gesamtausgabe, 2, Rechtsphilosophie II, Heidelberg, 1993, 458 ss. In termini (soltanto) analoghi, KUCHINKE, Grenzen der 23 24

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Nachprüfbarkeit tatrichterlicher Würdigung und Feststellungen in der Revisionsinstanz. Ein Beitrag zum Problem von Rechts- und Tatfrage, Bielefeld, 1964, 69, 87.

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 La tesi ha il merito di richiamare l’attenzione su un punto centrale ai nostri fini: il rapporto in esame non va affrontato in astratto, bensì in riferimento alla realtà giudiziaria, in particolare alle peculiarità di quaestio facti e quaestio iuris. Sennonché, Radbruch e gli altri fautori della tesi della indiscernibilità non realizzano appieno tale esigenza, come risulterà chiaro dal discorso svolto sub 3. Innanzitutto, perché svolgono una trattazione unitaria, mentre, a rigore, bisogna distinguere a seconda che prova e sussunzione vengano in rilievo come attività o come risultati di tali attività, e in entrambi i casi tener conto della formulazione delle corrispondenti quaestiones. In secondo luogo, perché trascurano che le caratteristiche elementari del fatto sussunto sono essenzialmente diverse dalle qualità della fattispecie in cui si sussume. 2.2. Le tesi discretive ritengono, invece, che prova e sussunzione siano distinte concettualmente, per la diversità di senso dei due giudizi, derivante dalla diversità di senso delle rispettive quaestiones29. Tali tesi divergono perché si riferiscono ora alla motivazione della decisione (propongo di chiamarle «tesi ratiologiche»), ora alla formazione di tale decisione (propongo di chiamarle «tesi genealogiche»). Su entrambi i piani, peraltro, si riconosce che prova e sussunzione possono intrecciarsi variamente in pratica. 2.2.1. Rappresentativa delle tesi ratiologiche è la posizione di Luigi Ferrajoli, il quale si occupa del nostro rapporto nel quadro di un’ampia trattazione prescrittiva della motivazione della decisione giudiziaria30. Più precisamente, egli ritiene che la controllabilità del dispositivo di sentenza esige che questo si presenti come esito della successione di tre inferenze, di cui le prime due costituiscono «sillogismi teoretici». Si tratta di: a) un’inferenza induttiva, che, sulla base di prove, consente di trarre la conclusione di fatto «Tizio ha commesso il fatto F»; b) un’inferenza deduttiva, che, sulla base di questa conclusione e della sussunzione del relativo fatto nella definizione del reato («il fatto F configura il reato G»), consente di trarre la conclusione di diritto «Tizio ha commesso il reato G»; c) un «sillogismo pratico», che, sulla base di questa conclusione e di una norma incriminatrice («chiunque commette il reato G deve essere punito con Una delle prime chiare distinzioni tra prova e sussunzione si deve a WACH, Die That- und Rechtsfrage bei der Revision im Civilprozeβ, in Juristische Wochenschrift, 1881, 10-11, 73-80. Per l’idea che tale trattazione abbia anche natura teorica (analitica), COMANDUCCI, La motivazione in fatto, cit., 232 nota 2. 29

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la pena P»), consente di trarre la conclusione dispositiva «Tizio deve essere punito con la pena P» . 31

In definitiva, in qualità di premesse di una medesima inferenza, prova e sussunzione si presentano avvinte da un mero legame strutturale32. Sotto tale profilo, la tesi di Ferrajoli sfrutta bene le virtù regolatrici del modello sillogistico. La forma logica degli argomenti probatorio e sussuntivo ne emerge in modo cristallino. D’altro canto, tale tesi si arresta all’aspetto statico della motivazione della decisione, l’unico asseritamente conoscibile, mentre trascura quello dinamico della formazione, dove prova e sussunzione non si rapportano certo nella forma di una successione lineare di proposizioni. 2.2.2. Una delle prime e più imponenti analisi genealogiche del rapporto in esame si deve agli studi di Karl Engisch dei primi anni ‘40 del secolo scorso33. Essa merita maggiore attenzione, perché consente di fissare le principali coordinate dell’indagine del prossimo paragrafo. Alla sua base vi è l’idea che la decisione razionale di un fatto in base a una norma non possa avvenire uno actu, vista la distanza originaria tra la singolarità dell’uno e la generalità dell’altra, bensì specificando per successive inferenze il contenuto di questa sulle peculiarità di quello. L’analisi genealogica consiste proprio nell’individuazione dei passaggi di questo processo di avvicinamento. Riprendiamo, in forma semplificata, l’esempio del lancio di una bomba proposto da Engisch. Con riguardo alla premessa maggiore, il giudice, sospinto da tale fatto: a) dapprima afferra, in via di interpretazione di una disposizione (es.: «Chi usa mezzi di comune pericolo… deve essere punito con…»), le qualità della relativa fattispecie (es.: «Chi usa mezzi il cui impiego ed effetto si sottrae al suo calcolo e controllo usa mezzi di comune pericolo»);

FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale (1989), VI ed., Roma-Bari, 2000, 38-39. Per un’impostazione analoga, rinvigorita dal simbolismo logico (usato da Ferrajoli in altri campi), RÜΒMANN, Zur Abgrenzung von Rechts- und Tatfrage, in Aa.Vv., Juristische Methodenlehre und analytische Philosophie, hrsg. von Koch, Kronberg, 1976, 242-271; nella sua scia, KUHLEN Die Unterscheidung von Rechts- und Tatfrage und ihre Bedeutsamkeit für das Strafprozeβrecht, in Aa.Vv., Cupido Legum, hrsg. von Burgmann, Fögen, Schminck, Frankfurt am Main, 1985, 99-136, 101, 133134. Che quella in esame sia un’analisi genealogica, si ricava non solo da quanto dirò nel prosieguo, ma anche da diversi indizi testuali: E NGISCH, Logische Studien zur Gesetzesanwendung (1945), III ed. con postfaz., Heidelberg, 1963, 5, 14, 18 («produzione»), 6 («derivazione»), 7, 10 («si compie»), 13 («reperimento [delle premesse]» quale «difficoltà principale» [dell’attività decisoria]). 31 32

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 b) poi, tenendo presenti le caratteristiche del fatto, individua, in via di subordinazione, un insieme di casi più specifici, certamente rientranti nel concetto giuridico (es.: «Chi lancia una bomba usa un mezzo il cui impiego ed effetto si sottrae al suo calcolo e controllo»)34. Con riguardo, invece, alla premessa minore, il giudice: c) dapprima stabilisce, in via di prova, che le evidenze prodotte, apprezzate in base all’esperienza, confermano l’occorrenza del fatto (es.: «Tizio ha lanciato una bomba»)35; d) poi rileva, in via di sussunzione, che il fatto è equiparabile ai casi già subordinati (come nell’esempio proposto), e dunque possiede le qualità della fattispecie (es.: «Tizio ha usato un mezzo di comune pericolo»)36. Di qui, infine, il giudizio deontico concreto «Tizio deve essere punito con…». Lo schema consente di analizzare il rapporto tra prova e sussunzione, che rientra nella premessa minore del sillogismo decisorio37. L’analisi è preceduta, tra l’altro, da due precisazioni di estremo interesse ai presenti fini. Innanzitutto, essa vuole essere di carattere logico, non giuridico: intende occuparsi del rapporto in esame come rapporto tra forme di pensiero, non tra istituti disciplinati per il perseguimento di certi fini (in particolare: delimitazione del sindacato nel giudizio di Revision)38. In secondo luogo, tale rapporto logico non va confuso col fenomeno della interazione tra norma e fatto, che si esaurisce all’inizio dell’attività decisoria, quando si tratta di individuare, da un lato, le disposizioni da interpretare per decidere il fatto in giudizio, dall’altro, le caratteristiche che costituiscono quest’ultimo quale oggetto condiviso di prova e sussunzione39. La questione principale è finalmente matura per la soluzione. Engisch la formula così: posto che la prova consiste nell’accertamento che è occorso un fatto con certe caratteristiche, mentre la sussunzione nella sua equiparazione ai casi certamente rientranti nella fattispecie, accertamento ed equiparazione si compiono sempre distintamente40? La risposta, basata su una legione di esempi, è che ciò dipende dalla formulazione della disposizione utilizzata. Così, se i concetti di fattispecie sono determinati o determinabili, nel senso di definiti dal legislatore o, rispettivamente, traducibili dall’interprete con termini 34 35 36 37 38 39 40

Ivi, 13-18. Ivi, 37-82. Ivi, 22-37. Ivi, 82-119. Ivi, 83-84. Ivi, 15, 85, 101-102. Ivi, 93.

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 empirici chiari, il fatto può essere descritto attraverso questi ultimi, e il suo accertamento compiersi in maniera autonoma. Altrimenti, il fatto deve essere afferrato con l’ausilio dei concetti di fattispecie, che impongono un confronto con i casi certamente rientranti in essa, sicché prova e sussunzione si compiono nella stessa forma, e non c’è modo di distinguerle41. Un esempio di determinatezza concettuale è offerto dal concetto di «[fatto commesso] nottetempo», che il legislatore tedesco dell’epoca definisce in riferimento a una certa fascia oraria. In tal caso, la prova consiste nell’accertamento che il fatto è occorso a una precisa ora, la sussunzione nel riconoscimento che quest’ultima rientra nella fascia legale42. Un esempio di determinabilità concettuale è fornito dal concetto di «maltrattamento [quale condotta del reato di Lesioni fisiche ex § 223 StGB]», qualora si tratti di un «colpo di frustino al volto». Qui la prova consiste nell’accertamento che un colpo siffatto è stato inferto, la sussunzione nel riconoscimento che esso corrisponde ai casi tipici di maltrattamento43. Per contro, nel caso di «una gomitata sferrata nella calca per farsi spazio», lo stesso concetto di «maltrattamento» non è determinabile con il termine «colpo». Ora quest’ultimo non è più sufficientemente chiaro, perché non contribuisce a esprimere l’intensità del gesto, che pure deve essere accertata. L’unica soluzione possibile è usare come pietra di paragone i casi tipici di «maltrattamento» ex § 223 StGB. Ma ciò comporta che la prova si attua nella forma tipica della sussunzione, e le due operazioni risultano inseparabili44. L’analisi di Engisch è una miniera inestimabile di insegnamenti e stimoli di riflessione. Innanzitutto, perché si concentra sulla fase cruciale della formazione della decisione giudiziaria, comprendendo che qui il vero problema riguarda l’avvicinamento reciproco di fatto e fattispecie. In secondo luogo, perché coglie con indubbia lucidità l’esigenza di andare oltre la statica della suddetta fase (la struttura dei suoi risultati), per afferrarne la dinamica (l’interazione tra comprensione della fattispecie e costruzione del fatto). Per tali ragioni, egli si inserisce a pieno titolo nella tradizione dell’Ermeneutica Giuridica Continentale. Sennonché, come vedremo sub 3.1, proprio qui emergono i limiti della sua posizione. Sebbene dichiari di non volersi occupare dell’interazione 41

Ivi, 95-105 (105, per un riepilogo). In termini analoghi e altrettanto stimolanti, H ENKE, Die Tatfrage.

Der unbestimmte Begriff im Zivilrecht und seine Revisibilität, Berlin, 1966, 138-190. ENGISCH, Logische Studien zur Gesetzesanwendung (1945), cit., 96-97. 42

Ivi, 97-98 (dove si trovano altri esempi, tra i quali si segnalano quelli in materia di «causalità» e di «ingiuria»). Ivi, 102-103. 43

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 processuale tra norma e fatto, per concentrarsi sul rapporto che lega prova e sussunzione dal punto di vista logico, egli finisce per confondere i due approcci, o meglio, per coltivare il primo sotto le false spoglie del secondo. 3. Una teoria ermeneutico-giuridica del rapporto tra prova e sussunzione. Una teoria compiuta del rapporto tra prova e sussunzione non può confonderne la statica (l’aspetto logico) con la dinamica (l’aspetto fenomenologico). L’approfondimento critico della posizione di Engisch consente di chiarire questo punto. 3.1. Un’analisi propriamente logica dovrebbe concentrarsi sui risultati (conclusioni e ragioni) delle attività probatoria e sussuntiva nelle ipotesi di presunta sovrapposizione, per verificare quali relazioni formali intercorrono tra di essi. 3.1.1. Engisch, per contro, non solo caratterizza tali ipotesi con espressioni ambigue dal punto di vista logico-formale («intreccio», «inseparabilità» ecc.), ma ne fornisce una spiegazione di stampo ben diverso, in quanto poggiante sull’esigenza di adeguamento reciproco di fattispecie e fatto. Lo conferma la circostanza che, a suo avviso, a fronte di uno stesso concetto di fattispecie (es.: «maltrattamento»), talvolta si potrebbe distinguere tra prova e sussunzione (es.: colpo di frustino al volto), talaltra no (es.: colpo di gomito nella calca). Il punto è che, nelle ipotesi in esame, non si ha una indiscernibilità logica dipendente dalla formulazione della fattispecie, bensì un’influenza fenomenologica dipendente dalla descrizione del fatto. Come vedremo meglio sub 3.2.2.1., è vero che qui il giudice deve intervenire in funzione integrativa (ad esempio, appurando le modalità e gli effetti della generica «gomitata sferrata nella calca»); ma è pur vero che tale intervento manifesta soltanto l’influsso dell’attività sussuntiva su quella probatoria, e dipende dal fatto che il caso presentato al giudice, di cui egli deve stabilire anche l’occorrenza storica, non è descritto in tutti gli aspetti che potrebbero realizzare le qualità della fattispecie, e dunque rilevare ai fini sussuntivi45. 3.1.2. Dal punto di vista logico, in realtà, vale un’alternativa secca. Se il giudice sarà stato in grado di operare le debite integrazioni, e avrà risolto Al riguardo, si consideri che la giurisprudenza consolidata del Bundesgerichtshof definisce il «maltrattamento» ex § 223 StGB «trattamento cattivo, inappropriato, foriero di un pregiudizio non irrilevante del benessere fisico o della integrità fisica»: cfr., ad es., BGHSt 14, 269. 45

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 positivamente quaestio facti e quaestio iuris, prova e sussunzione saranno discernibili in linea di principio, traducendosi in argomenti le cui rispettive premesse e conclusioni divergono. Sotto il primo profilo, mentre la prova poggerà su informazioni e criteri empirici, la sussunzione poggerà sul risultato di tale apprezzamento e su un criterio normativo. Sotto il secondo profilo, ad esempio, mentre la conclusione probatoria avrà la forma «Tizio ha sferrato una gomitata di scatto allo stomaco di Caio, provocandogli un dolore acuto, che si è protratto per un’ora», la conclusione sussuntiva avrà la forma «Tizio ha sottoposto un'altra persona a un trattamento cattivo, inappropriato, foriero di un pregiudizio non irrilevante del suo benessere fisico, ex § 223 StGB»46. Nonostante la critica al pensiero di Engisch, ribadisco che esso sollecita riflessioni di ampia portata. In particolare, se ne potrebbe trarre una teoria della produzione giuridica negli ordinamenti positivi, di notevole rilievo anche ermeneutico. In questa sede non posso far altro che tratteggiarla. Gli ordinamenti indicati funzionano grazie a un complesso di fonti del diritto. Le fonti del diritto servono a disciplinare serie illimitate di fatti di interesse giuridico. Per tale illimitatezza, il riferimento ad essi deve avvenire in maniera astratta. La formulazione della fattispecie criminosa, alla quale si limiterà il mio discorso, è la maniera astratta prescelta dagli ordinamenti penali di stampo liberale. La fattispecie criminosa è un tipo di fatto, ossia l’immagine paradigmatica di una vicenda umana contraddistinta da un complesso finito di qualità generali, intellegibili e realizzabili. Le qualità della fattispecie in quanto tali non si danno nella realtà, ma neppure sono stabilite arbitrariamente dall’autore della sua formulazione, bensì sono individuate da quest’ultimo attraverso un procedimento complesso. Nella sua versione ideale, esso si articola in diversi passaggi. L’autore della formulazione: a) apprende certi fatti, variamente caratterizzati nei termini elementari della vita associata, cioè in termini che chiamo «empirici» nel senso (non sensibilistico) che costituiscono la forma linguistica delle categorizzazioni dei consociati, compiute per condividere tra loro esperienze (non solo materiali, ma anche di senso), anziché per cogliere la ragione del loro rilievo giuridico (es.: che una ragazza ha sfilato in metro il portafogli dalla borsa di un’anziana, è scesa alla fermata successiva e ha raggiunto la propria abitazione, sita a decine di chilometri di distanza); b) intuendo che questi fatti producono effetti pregiudizievoli omogenei (es.: mancato godimento, per un tempo apprezzabile e per fini egoistici, di beni altrui), li esamina per ipotizzare se essi realizzino un modo di offesa comune, cioè la ragione unitaria del loro eventuale disvalore giuridico (es.: estromissione di un bene dalla sfera di controllo del titolare di un diritto reale/intromissione nella propria, unilaterali, non immediatamente neutralizzabili e speculative); c) stabilisce se tale modo di offesa è specificamente criminale, e come tale merita di esser prevenuto con la minaccia di una pena (nel nostro esempio: sì, in quanto l’estromissione/intromissione suddetta, privando il titolare del diritto reale di una facoltà tipica per un tempo apprezzabile e per un fine egoistico, ne riduce gravemente l’utilità strumentale, e dunque offende seriamente il suo patrimonio); d) approfondisce la propria comprensione, controllando l’ipotesi formulata sub b), cioè chiedendosi, in base all’esperienza, perché il modo di offesa individuato si realizza nei fatti appresi (es.: la ladra che porta la refurtiva a casa propria, lontana decine di chilometri, realizza un’estromissione/intromissione non immediatamente neutralizzabile, giacché tale distanza non può essere coperta in pochi istanti). Una volta esternati nelle formulazioni delle fattispecie, i relativi modi di offesa costituiscono criteri di decisione dei fatti singoli sottoposti al giudice. Il fatto singolo è un episodio contraddistinto da un complesso finito di caratteristiche singolari ed empiriche, che rappresentano solo alcune delle infinite caratteristiche capaci di realizzare le qualità della fattispecie. Tale infinità implica che, mentre il contenuto della disposizione è fondamentalmente circoscritto, la sua portata applicativa è incessantemente aperta alla realtà. Ciò conferma che la concreta regula iuris è il frutto della 46

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 Se, invece, il giudice non sarà stato in grado di operare le debite precisazioni (es.: in quanto le fonti probatorie non gli hanno offerto elementi utili), egli dovrà risolvere negativamente la questione sussuntiva, giacché il fatto non presenta tutte le caratteristiche (es.: dolore acuto e persistente) che realizzano le qualità della fattispecie (es.: pregiudizio non irrilevante del benessere fisico). In casi del genere, mancando una conclusione sussuntiva, il problema di una sovrapposizione con la prova addirittura neanche si potrà porre. 3.1.3. Tutto ciò non esclude la possibilità di una indiscernibilità logica parziale tra le conclusioni delle attività probatoria e sussuntiva, caratterizzata dal fatto che l’una condivide non solo il soggetto, ma anche parte del predicato dell’altra. Essa si realizza nei casi in cui la disposizione fa uso di termini empirici47 irriducibili. Ad esempio, posto che l’art. 439 c.p. punisce «Chiunque avvelena acque… destinate all’alimentazione», se è provato che Tizio ha sparso 1 kg. di arsenico nel pozzo dal quale Caio attinge per bere, la conclusione probatoria e quella sussuntiva condivideranno la forma parziale «Tizio ha… acque…». Sostituire «H2O» ad «acque» nella conclusione probatoria sarebbe non solo inutile e bizzarro, ma addirittura fuorviante, in quanto lo stesso art. 439 c.p. non richiede la perfetta purezza del liquido, ma solo la sua destinazione all’alimentazione. 3.2. Chiarite le peculiarità dell’aspetto logico del rapporto tra prova e sussunzione, dobbiamo approfondirne l’aspetto fenomenologico48, ossia i modi in cui le due attività si rapportano quando si svolgono secondo la loro natura (intenzionale). Aspetto, questo della fenomenologia dell’attività decisoria, da sempre, più o meno esplicitamente, al centro dell’attenzione dell’Ermeneutica Giuridica Continentale (EGC)49. cooperazione tra legislatore, che formula la fattispecie, e giudice, che individua la sua portata applicativa. L’individuazione avviene secondo cadenze analoghe a quelle già viste per l’autore della formulazione. Il giudice, in breve: apprende un (unico) fatto singolo da decidere; (pre)comprende che esso potrebbe realizzare una certa fattispecie; specifica tale (pre)comprensione interrogandosi sul fondamento del relativo disvalore penale; convalida la stessa (pre)comprensione chiedendosi, in base all’esperienza, perché le caratteristiche del fatto singolo realizzano le qualità della fattispecie. L’esperienza è dunque il medio tra fatti singoli e fattispecie. L’intero movimento della produzione giuridica non è lineare e monolettico, bensì circolare e dialettico. Nel senso indicato nella nota 46. Per una più ampia analisi fenomenologica del giudizio penale accusatorio di primo grado, volendo, OMAGGIO, CARLIZZI, Ermeneutica e interpretazione giuridica, cit., 171-208. Il primo approccio apertamente fenomenologico in ambito ermeneutico-giuridico si deve all’aureo HRUSCHKA, La costituzione del caso giuridico, cit. In termini analoghi, ad es.: KAUFMANN, Analogie und «Natur der Sache». Zugleich ein Beitrag zur Lehre vom Typus (1965), II ed. (1982), tr. it. Analogia 47 48

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 Per quanto detto alla fine del § 1, un’analisi del genere deve tener conto, da un lato, dell’esistenza di diversi tipi di attività giudiziaria, dall’altro, della linguisticità del fatto da decidere. Per limiti di spazio, il campo di indagine sarà limitato al processo penale accusatorio di primo grado50, ma sarebbe interessante estendere l’analisi al giudizio civile di cognizione di primo grado, al giudizio di appello e a quello di Cassazione. Per caratterizzare l’influsso reciproco tra prova e sussunzione qui emergente, propongo di parlare, rispettivamente, di «processualizzazione della sussunzione» e di «sostanzializzazione della prova»51. Esse costituiscono le espressioni giudiziarie della dialettica norma/fatto quale autentico motivo ispiratore dell’EGC52. 3.2.1. La prima attività da considerare è quella del pubblico ministero. 3.2.1.1. Le due forme di influsso si manifestano già sulla soglia delle indagini

preliminari. 3.2.1.1.1. Innanzitutto, una forma di sostanzializzazione della prova. Avendo ricevuto (es.: mediante denuncia) l’informazione che sarebbe stato commesso un reato, il p.m. è tenuto a decidere se procedere per la notitia criminis. A tal fine egli, nella congerie di dati che compongono l’informazione, deve selezionare solo quelli che possono rilevare penalmente. La selezione, funzionale alla «costruzione del fatto giuridico»53, è compiuta utilizzando come criterio una certa norma incriminatrice. Se la costruzione va a buon fine, il p.m. opera già una prima sussunzione, provvisoria, rivedibile in seguito, anche alla luce delle risultanze di indagine. e «natura della cosa». Un contributo alla dottrina del tipo, Napoli, 2003; HASSEMER, Tatbestand und Typus. Untersuchungen zur strafrechtlichen Hermeneutik (1968), tr. it. Fattispecie e tipo. Indagini sull’ermeneutica penalistica, Napoli, 2007; ZACCARIA, La comprensione del diritto, Roma-Bari, 2012. Al riguardo, già MASSA, Contributo all’analisi del giudizio penale di primo grado (1964), rist. inalt., 50

Milano, 1976. Per una terminologia analoga, volendo, OMAGGIO, CARLIZZI, Ermeneutica e interpretazione giuridica, cit., 191-197, 205-207. Sul punto, v. le anticipazioni di FIANDACA, Il diritto penale tra legge e giudice, cit., 39-58. Per questa tesi, volendo, CARLIZZI, Contributi alla storia dell’Ermeneutica Giuridica Contemporanea, cit., 13-18, 49-57. Negli ultimi decenni, le idee corrispondenti all’uno e/o all’altro verso di tale dialettica hanno ricevuto adesione anche nell’ambito di altri indirizzi di pensiero: ad es., MAZZARESE Forme di razionalità delle decisioni giudiziali, cit., 84-88; TUZET, Filosofia della prova giuridica, cit., 19-26; UBERTIS, Fatto e valore nel sistema probatorio penale, Milano, 1979, 25-32, 70-76. PASTORE Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, cit., 98-101; VOGLIOTTI, Tra fatto e diritto, cit., 236-242. 51

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 Dato che le indagini così attivate consistono nella raccolta di materiale probatorio (fonti, elementi e criteri) congruente col fatto giuridico; dato che tale fatto è costruito a misura della sua sussumibilità in una certa fattispecie; ecco che la sussunzione originaria finisce per segnare il corso dell’investigazione successiva. Qualora il p.m. si facesse guidare da un’altra disposizione e/o interpretazione, ne risulterebbe un fatto costruito diversamente, dunque un’attività probatoria organizzata in modo differente. Ad esempio, se, per la sussistenza dell’impossessamento richiesto in materia di furto (art. 624 c.p.), il p.m. ritiene sufficiente il semplice contatto («contrectatio») dell’agente con la cosa, egli cercherà, tra l’altro, evidenze (testimonianze, riprese video ecc.) di questo contatto; se, invece, ritiene necessario e sufficiente il definitivo allontanamento dal luogo in cui la cosa è custodita («illatio»), egli cercherà altre evidenze54. 3.2.1.1.2. Sempre nella fase iniziale, è riscontrabile anche una forma di processualizzazione della sussunzione. Essa opera quando la rilevanza penale della vicenda comunicata al p.m. dipende, almeno in parte, dalla sussistenza di certi stati (es.: dolo), processi (es.: nesso causale) o eventi (es.: morte) non esperibili. La sussistenza di questi stati, processi o eventi, di regola, è riconoscibile all’esterno solo grazie a particolari indici, cioè a dati esteriori che, secondo la comune esperienza, scaturiscono in genere da essi (es.: uso di un’arma micidiale, attingimento di una zona vitale del corpo della vittima, molteplicità dei colpi inferti ecc., nel caso del dolo omicidiario). Tali dati, in qualità di indici, hanno un valore tipicamente probatorio. Tuttavia essi finiscono per assumere anche un rilievo sostanziale, sin dall’inizio del processo. La tesi poggia su un ragionamento alquanto articolato. Il p.m. deve descrivere un fatto già in questa fase, almeno idealmente, per procedere alle indagini in aderenza a esso. La descrizione deve necessariamente riferirsi solo a dati intersoggettivamente esperibili, cioè suscettibili di ripetersi nel mondo, e dunque di esser sottoposti a un apprezzamento condiviso, in base a un sapere comune maturato per accumulo e controllo55. Tale necessità riflette la natura della descrizione accusatoria, determinata dalla sua funzione56: poiché ha ad oggetto un fatto di 54

Su queste e altre accezioni di «impossessamento», per tutti, M ANTOVANI, Diritto penale. Parte

speciale, II. Delitti contro il patrimonio, Padova, 2012, 68-70. La proposta definizione generica di «esperienza» e le considerazioni successive (es.: in materia di dolo) dovrebbero fugare il sospetto che l’esperienza di cui sto parlando sia solo quella sensibile. Quella in esame è una necessità morfologica, per le ragioni che mi accingo a chiarire. Tuttavia, che il capo di imputazione debba riferirsi solo a dati esperibili nel senso suddetto, è anche un principio di 55

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 cui il p.m. assume la rilevanza penale, essa presuppone una sussunzione motivata, cioè il riconoscimento, basato sull’esperienza comune, che proprio le caratteristiche descritte realizzano le qualità della fattispecie57. Ora, le qualità che definiscono i concetti in esame o non si realizzano mai in dati esperibili (es.: causalità), o non si realizzano normalmente in dati esperibili (es.: morte), oppure si realizzano in dati solo soggettivamente esperibili (es.: dolo). Nessuno ha mai fatto esperienza della realizzazione dell’influsso che un’azione esercita su un evento (ma solo della regolarità di successione tra azioni ed eventi di quel tipo, nonché di altri indici); non si fa esperienza della realizzazione dello svanimento delle funzioni vitali (ma solo della persistenza dell’encefalogramma piatto per un certo periodo, nonché di altri indici), almeno di regola58; della realizzazione dell’immaginazione e concentrazione sul compimento di un certo fatto fa esperienza solo chi lo vuole, nella propria sfera passionale (mentre gli altri esperiscono unicamente i suoi contegni esteriori). Pertanto, in tali casi, gli unici dati intersoggettivamente esperibili, che possono e devono essere inseriti nella descrizione accusatoria del fatto, sono i segnalati indici, di natura tipicamente probatoria59. Ma, poiché è il fatto che forma oggetto di sussunzione, qui a essere sussunti sono dati probatori60. È perciò che ho proposto di parlare di «processualizzazione della sussunzione». Prendiamo, ad esempio, che Tizio denunci che Caio ha sparato 10 colpi di pistola cal. 9 alla testa di Sempronio, uccidendolo, e che il p.m. iscriva a titolo di Omicidio doloso. Esclusa la possibilità di riferimento alla realizzazione in Caio delle qualità del dolo – esperienza inconoscibile dall’esterno, in quanto confinata nella sfera passionale dell’agente (tanto che neanch’egli sarebbe in civiltà giuridica, funzionale alla legalità delle indagini e, in particolare, al diritto dell’imputato di contrastare le accuse che gli vengono mosse. Solo un fatto composto di dati esperibili si presta a un accertamento controllabile e impedisce, dunque, situazioni di arbitrio e di minorata difesa o, addirittura, di impotenza probatoria. Cfr. nt. 46, in part. sub d) e alla fine. Dico «almeno di regola», perché la morte, intesa nel senso suddetto, si realizza talvolta in dati esperibili (come nei casi di decapitazione o di esplosione, in cui lo svanimento delle funzioni vitali si può riconoscere realizzato nelle condizioni di separazione del capo dal resto del corpo e, rispettivamente, di frammentazione del corpo, grazie all’esperienza dell’impossibilità fisica della vita umana disgregata). Si noti, infatti, che tali indici non devono essere confusi con le realizzazioni che essi segnalano (es.: altro sono i comportamenti esteriori di chi agisce in collera, altro è lo stato collerico di costui). In questa sede non posso affrontare estesamente, tra l’altro, la questione del trattamento che gli errori di sussunzione in esame devono ricevere nel giudizio di Cassazione: errori di applicazione normativa, di valutazione probatoria o entrambi? Propenderei per quest’ultima soluzione, ma facendo prevalere la prima componente, così da estendere, in applicazione del favor rei, la sindacabilità della decisione di merito. 57 58

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 grado di descriverla) –, sembrerebbe che l’imputazione non possa far altro che parafrasarne la definizione legale (art. 43 c.p.). In tal modo, tuttavia, l’iscrizione al suddetto titolo resterebbe inspiegata61. Per uscire da questo vicolo cieco, il p.m. dovrà integrare l’imputazione con gli indici del dolo che ritiene realizzati nel caso concreto, i quali, pertanto, non solo andranno provati, ma costituiranno anche l’autentico oggetto dell’attività sussuntiva62. Che i p.m. pressoché mai esplicitino gli indici del dolo nelle descrizioni fattuali, limitandosi, al più, a parafrasare le formule legali, è comprensibile per quanto detto, ma non toglie che essi vi rientrino almeno idealmente. 3.2.1.2. Il gioco alterno tra prova e sussunzione può prolungarsi, e di solito si prolunga, nello svolgimento delle indagini, ripresentandosi ogniqualvolta muta la disposizione e/o l’interpretazione di riferimento, oppure emergono indici supplementari o aggiuntivi a quelli originari. Il suo positivo esaurimento determina la formulazione dell’imputazione definitiva, attorno alla quale ruoterà l’eventuale giudizio dibattimentale. 3.2.2. La seconda attività tipica è proprio quella del giudice del dibattimento. La sua autonomia teorica dipende dal fatto che, per la natura accusatoria del processo in esame, il giudice ha un potere limitato di rielaborazione fattuale. Qui egli trova prefigurato il fatto nel capo di imputazione e non può discostarsi da esso, cioè giudicare un fatto sostanzialmente diverso. Nondimeno, entro tali limiti, egli può, anzi, di regola, deve integrare la descrizione fattuale del p.m. Posto che l’imputazione si compone di varie parti, corrispondenti ai dati del fatto, e che ciascuna di esse può esser formulata in vari modi, si profilano tre specie di sostanzializzazione della prova e una di processualizzazione della sussunzione, tipiche di questa fase. 3.2.2.1. Una prima specie di sostanzializzazione si ha per quella parte dell’imputazione formulata in una maniera che non consente di risolvere motivatamente la questione sussuntiva. Premesso che tale valutazione Oltre al fatto che nessuno capirebbe su cosa verterà esattamente la prova del dolo. La processualizzazione della sussunzione nel concetto di «dolo» trova riscontro nel riconoscimento della rilevanza (anche) sostanziale degli «indicatori del dolo eventuale»: Cass., Sez. un., 18 settembre 2014, Espenhahn e altri, in Mass. Uff., n. 261103. In tema, HASSEMER, Kennzeichnen des Vorsatzes (1989), tr. it. Caratteristiche del dolo, in Ind. pen., 1991, 499-503; DEMURO, Il dolo, II. L’accertamento, Milano, 2010, 186-215; Sui problemi posti dalla sentenza, per tutti, GENTILE, Struttura, oggetto e accertamento del dolo nella sentenza «ThyssenKrupp» delle Sezioni unite, in Nel Diritto, 2014, n. 12, 1-14. 61 62

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 compete al giudice, l’insufficienza, oltre che da radicali omissioni descrittive, dipende soprattutto dall’uso di espressioni che: a) parafrasano senza necessità la disposizione giuridica applicata (es.: Tizio «si è impossessato mediante sottrazione» del portafogli di Caio, ex art. 624 c.p.); b) parafrasano senza necessità la norma ricavata interpretando tale disposizione giuridica (es.: Tizio ha portato via con sé il portafogli di Caio «in modo tale da non consentire alla vittima di ripristinare in breve il controllo sulla cosa»); c) hanno un riferimento indeterminato (es.: Tizio ha portato via con sé il portafogli di Caio «ad alcuni chilometri di distanza»). In tutti questi casi, il giudice non può risolvere motivatamente la questione sussuntiva, nel senso – illustrato sub 3.2.1.1.2. – di individuare le caratteristiche che, secondo l’esperienza, realizzano le qualità tipiche della fattispecie. Infatti, mentre nei primi due casi si ha una soluzione (positiva) che si basa soltanto sul principio logico di identità e, rispettivamente, su quello semantico di sinonimia, nel terzo una soluzione è addirittura irraggiungibile, per l’omessa specificazione di tutte le caratteristiche dell’allontanamento rilevanti per l’esperienza. Il giudice, pertanto, dovrà integrare la descrizione accusatoria, individuando i dati mancanti (es.: la distanza approssimativa alla quale Tizio ha portato con sé il portafogli di Caio, gli eventuali mezzi di trasporto a disposizione di quest’ultimo, le caratteristiche del percorso che separa i due). E tale integrazione, lungi dall’esaurirsi all’inizio del dibattimento, in genere procede di pari passo con lo sviluppo dell’istruttoria63. Ora, posto che tali dati sono funzionali alla soluzione motivata della questione sussuntiva, qui emerge la prima forma di sostanzializzazione della prova. La sua peculiarità è che, limitatamente al dato integrativo, è il giudice che con (l’impostazione del)la propria attività sussuntiva condiziona (il compimento del)la propria attività probatoria. Ciò comporta che la soluzione positiva della quaestio facti porta in grembo la soluzione positiva della quaestio iuris. Lo stesso vale, più in generale, ogniqualvolta il giudice rielabora l’imputazione formulata dal p.m., pur senza modificare gli estremi essenziali del relativo fatto64. Ciò accade, in particolare, quando il giudice segue una diversa interpretazione della disposizione usata dal p.m. per costruire il fatto65. 63

Contra, implicitamente: la seconda precisazione di Engisch riportata supra, a metà del punto 2.2.2.

Se intervenisse una modifica radicale del fatto imputato (in violazione dell’art. 516, co.1, c.p.p., e con la nullità della sentenza, ex art. 522, co.1, c.p.p.), quanto detto nel testo varrebbe a maggior ragione. In tutti questi casi, come in quelli sub 3.2.2.3., ragiono in termini di predeterminazione, piuttosto che di determinazione, della soluzione della quaestio iuris. Ciò in quanto l’attività sussuntiva che il giudice 64

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 3.2.2.2. Una seconda specie di sostanzializzazione della prova si ha per quella parte dell’imputazione che recepisce dalla legge termini empirici irriducibili. In quest’evenienza, che sub 3.1.3. ho considerato sotto il profilo logico, la sostanzializzazione ha la seguente particolarità. Non solo l’attività probatoria del giudice è condizionata dalla sussunzione operata dal p.m., ma la eventuale soluzione positiva della quaestio facti coincide parzialmente con (anziché avere soltanto in gestazione) la soluzione positiva della quaestio iuris. Ad esempio, se il capo di imputazione assume che Tizio ha sparso 1 kg. di arsenico nelle acque del pozzo da cui Caio attinge per bere, e il giudice ritiene che ciò sia provato, la sussunzione del dato «acque» nell’omonimo elemento del reato ex art. 439 c.p. sarà ipso facto compiuta. 3.2.2.3. Una terza specie di sostanzializzazione della prova si ha per quella parte dell’imputazione che non presenta alcuna delle caratteristiche indicate. Si tratta di un caso idealtipico, in quanto la formulazione dell’imputazione non è mai così perfetta da rendere superflua una, sia pur minima, rettifica giudiziale ai fini sussuntivi. Ad ogni modo, qualora ciò accadesse, la sussunzione svolta dal p.m. per costruire la parte in esame del fatto imputato, se condivisa dal giudice, condizionerebbe l’attività probatoria svolta sul punto in dibattimento. Che la soluzione positiva della quaestio facti contenga in nuce la soluzione positiva della quaestio iuris (come nel caso sub 3.2.2.1., e a differenza che nel caso sub 3.2.2.2.), emerge qui con particolare nettezza. 3.2.2.4. La specie di processualizzazione della sussunzione tipica di questa fase può ricorrere quando vengono in rilievo i concetti legali indicati sub 3.2.1.1.2., che designano realtà intersoggettivamente non esperibili («dolo», «nesso causale», «morte», ma anche «colpa», «errore», «induzione», «costrizione» ecc.). Se il p.m. indica in imputazione gli indici di tali situazioni, che ritiene realizzati nel caso concreto, il giudice dovrà soltanto stabilire se essi, da un lato, sono effettivamente occorsi (prova), dall’altro, realizzano i tipi di indici penalmente rilevanti della situazione di turno (sussunzione). compie allorché, rispettivamente, rettifica o ratifica la descrizione accusatoria serve solo a fissare il fatto in giudizio. Essa, pertanto, produce risultati meramente ipotetici e provvisori (così come, d’altronde, quella del p.m.: v. sub 3.2.1.1.1). Ne deriva che nulla esclude che il giudice, dopo aver risolto positivamente la quaestio facti, esamini più a fondo la quaestio iuris e si renda conto che il fatto, pur provato, non realizza tutte le caratteristiche tipiche della fattispecie, a differenza di quanto aveva assunto all’inizio.

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ARCHIVIO PENALE 2016, n. 1 Se, per contro, come accade pressoché sempre, il p.m. si limita a individuare idealmente gli indici, senza esplicitarli in imputazione, il giudice sarà costretto a individuarli da sé. È proprio qui che risiede la peculiarità della specie in esame, che si caratterizza per il fatto di essere attivata dal giudice. Per di più, il giudice, procedendo all’integrazione dell’imputazione, attiva anche la forma di sostanzializzazione illustrata sub 3.2.2.1. Poniamo, ad esempio, che l’imputazione si limiti ad assumere che Tizio abbia «causato» la morte di Caio somministrandogli 1 gr. di arsenico. Ciò impone di individuare i possibili indici di tale causazione (es.: studi che registrano frequenze di successione di un certo ammontare tra la somministrazione di 1 gr. di tale sostanza a uomini del peso di Caio e il loro decesso; studi che attestano l’efficacia inibitoria dell’arsenico sulle cellule che producono ATP, cioè energia fisica; assenza di indici dell’incidenza di altre cause letali nel caso concreto)66. Qui, dato che il p.m. non ha provveduto all’individuazione, dovrà farsene carico il giudice, il quale selezionerà gli indici secondo la propria concezione della causalità e li inserirà idealmente in imputazione. Essi, pertanto, formeranno oggetto di una sussunzione provvisoria e anticipata, così costituendo gli indici di cui il giudice esigerà la prova in dibattimento, nonché della sussunzione definitiva, se costui terrà ferma la sua interpretazione iniziale. 4. Quattro tesi a mo’ di riepilogo. Quanto detto finora può riassumersi affermando che prova e sussunzione: a) comunque intese, si distinguono concettualmente; b) in pratica, devono essere trattate diversamente, a seconda che siano intese come attività di giudizio o come risultati (conclusioni e ragioni) di tali attività; c) in quanto risultati, si distinguono di regola, mentre coincidono eccezionalmente, nella misura in cui la formulazione della fattispecie contiene termini empirici irriducibili; d) in quanto attività di giudizio, influiscono l’una sull’altra in forme molteplici, che variano in funzione del tipo di processo, nonché del modo in cui è descritto il fatto da decidere. La processualizzazione della sussunzione nel concetto di «causalità» trova riscontro nel riconoscimento della rilevanza (anche) sostanziale della «legge di copertura» usata nel «modello nomologico-deduttivo» (che è un mero indice del nesso eziologico): Cass., Sez. un., 11 settembre 2002, Franzese, in Mass. Uff., n. 222139. Sulla prova della causalità, in generale: HAACK, Evidence Matters. Science, Proof, and Truth in the Law (2014), tr. it. parz. Legalizzare l’epistemologia. Prova, probabilità e causa nel diritto, Milano, 2015, 245-338; TUZET, Filosofia della prova giuridica, Torino, 2013, 197206; in materia penale, BLAIOTTA, Causalità giuridica, Torino, 2010, 331-421; CANZIO, La causalità tra diritto e processo penale: un’introduzione, in Cass. pen., 2006, 2237-2241. 66

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