il Mezzogiorno tra Europa e Mediterraneo

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Descripción

Il Mediterraneo, luogo della diversità
Da" Il Mezzogiorno tra Europa e Mediterraneo" di Antonella Morlando

È particolarmente difficile parlare oggi del "Mediterraneo" e collegare la sua immagine, la sua storia, la sua rappresentazione con l'Europa, la sua idea, le sue politiche, il suo possibile ruolo globale. Questa difficoltà deriva in primo luogo dalla complessa realtà mediterranea, che riproduce alla scala regionale le più ampie problematiche del sistema-mondo: squilibri Nord-Sud; malgoverno delle correnti migratorie; integralismi religiosi; scarsità delle risorse; vulnerabilità ambientale; questione sociale, demografica ecc.
Di fronte a questo quadro, che in una certa misura appare come un "estratto" del quadro mondiale, una sorta di laboratorio, dove avvengono processi che, per loro natura, potrebbero interessare altre parti del mondo, ci si continua ad interrogare sulla dimensione del Mediterraneo come "spazio della coesione o della divisione".
Da un lato, infatti, persiste, come sostiene D'Esposito:

"il mito dell'unità del Mediterraneo, antico quanto l'impero romano e tenace come l'eredità che tale organismo ha lasciato sulle sponde del Mare Nostrum",

dall'altro, invece, il Mediterraneo si conferma l'area delle contrapposizioni, degli squilibri e delle fratture.
La stessa identificazione dell'area, riconosciuta dalla maggior parte degli autori nei paesi rivieraschi, risulta in gran parte artificiosa, così come il tentativo di isolarne delle subregioni, considerando i problemi di disomogeneità che si ripropongono al loro interno. Non a caso, un limite chiaro, definito e condiviso della regione mediterranea non esiste, infatti come sostengono diversi autori:

"quello di "Mediterraneo" è un concetto flessibile la cui estensione territoriale varia secondo la prospettiva usata - ambientale, culturale, economica, geopolitica - e secondo il modo di vedere degli autori".

Nell'intreccio tra fratture storiche, particolarità etniche, specificità religiose, localismi identitari, aspetti tutti che si intersecano e si sommano con altrettante differenze e diversità geografiche, appare difficile offrire una rappresentazione sintetica ed unificante del Mediterraneo.
In questa regione, la cui delimitazione viene diversamente definita ed articolata a seconda dei parametri utilizzati, è evidente che un solo Mediterraneo non esiste; come l'autorevole penna di Fernand Braudel raccontava, esso è:

"mille cose al tempo stesso. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari. Non una civiltà, ma più civiltà accatastate le une sulle altre".

Nei suoi "mobili" confini il Mediterraneo articola, quindi, i compositi, contigui ed interconnessi spazi costantemente in bilico tra unità e diversità. Ed è dentro questi spazi che un insieme di problematiche s'intrecciano e si sovrappongono, sancendo, più di quanto non facciano le sue delimitazioni, le ragioni che dovrebbero indurre a cogliere, dentro questa apparente unità culturale, le molteplici diversità. Se, infatti, assumiamo le questioni fondamentali dello sviluppo economico, della demografia, dell'accesso a istruzione e sanità, dell'aspettativa e della qualità della vita, difficilmente possiamo sottrarci a quelle rappresentazioni che vedono il Mediterraneo come una vera e propria "geografia della frattura".
Tuttavia, al di là delle numerose e diverse rappresentazioni del Mediterraneo esistenti, in questa sede si farà riferimento all'insieme dei paesi bagnati dal Mare Nostrum, la cui superficie territoriale si estende dallo stretto di Gibilterra fino ai Dardanelli, cui si aggiungono, in alcuni analisi e per ragioni diverse, Macedonia, Giordania e Autorità Palestinese. Si tratta della stessa estensione territoriale convenzionalmente denominata "Mediterraneo limitato" cui fanno riferimento i documenti delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea, oltre che ovviamente i documenti dei singoli governi, compreso quello italiano.
Va ricordato, inoltre, che per lungo tempo, nessuna organizzazione internazionale ha mai riconosciuto il bacino del Mediterraneo come un'entità geopolitica regionale autonoma: si è dovuto attendere il Processo di Barcellona del 1995, perché l'area mediterranea cominciasse ad essere considerata giuridicamente una realtà politica.
Nella città spagnola, infatti, si riunirono i 15 membri dell'allora appena costituita Unione Europea e 12 paesi della Sponda Sud, ovvero Algeria, Cipro, Malta, Egitto, Siria, Marocco, Turchia, Tunisia, Israele, Libano, Giordania e Autorità Palestinese, per dare vita al "Partenariato Euro-Mediterraneo". Come afferma Annetti:

"Sulle orme degli accordi di Oslo fra Israeliani e Palestinesi, Barcellona afferma per la prima volta un sistema di cooperazione multilaterale che supera le precedenti politiche assistenzialiste, conformi ad una concezione paternalistica di derivazione post-coloniale dimostratesi incapaci di raggiungere i loro obiettivi, ed enfatizza il ruolo del Mediterraneo considerando questo mare con una visione unitaria che valorizza le continue interconnessioni che avvengono tra i diversi paesi affacciati sul bacino" .

Nel corso della conferenza sono state adottate una dichiarazione e un programma di lavoro, volti a definire tale quadro di associazione nelle sue diverse componenti economiche, sociali e di sicurezza, dimostrando l'interdipendenza e l'uguale importanza dei diversi campi d'azione, insieme con la necessità di instaurare un confronto che riguardi ogni aspetto della vita sociale. Il partenariato euro-mediterraneo si articola, infatti, in tre assi: il partenariato politico e di sicurezza, il partenariato economico e finanziario, il partenariato sociale, culturale e umano.
In particolare, per quanto concerne il partenariato economico e finanziario, la volontà condivisa era quella di conseguire l'instaurazione graduale di una zona di libero scambio (per il 2010), di fortificare la cooperazione, soprattutto nel campo degli investimenti e del risparmio privato, di potenziare l'assistenza finanziaria da parte dell'Unione. I settori di maggiore interesse, in effetti, riguardavano il proseguimento di politiche fondate sui principi dell'economia di mercato e l'ammodernamento delle strutture economiche e sociali.
Il progetto del partenariato sociale si fondava sul riconoscimento e il rispetto reciproco, così come sulla valorizzazione delle radici comuni; si affermava, inoltre, l'indispensabile ruolo della società civile nella costruzione di un dialogo interculturale e interreligioso non imposto dall'alto ma condiviso dai popoli, secondo gli strumenti della cooperazione decentrata.
Il partenariato politico e di sicurezza, infine, si concentrava prioritariamente su questioni legate alla democrazia, alla cooperazione nei settori dell'immigrazione clandestina, della lotta al terrorismo, del traffico di droga, della criminalità internazionale, della corruzione ed alla costruzione, di quella che è nota come area di pace, stabilità e sicurezza.
Le innovazioni introdotte con il partenariato euro-mediterraneo sono molte e di notevole importanza; grazie a questa strategia sembrava possibile ricostruire il pluriverso Mediterraneo e le sue caratteristiche principali, ma a più di diciotto anni dal lancio dell'iniziativa il bilancio che si può trarre è tristemente deludente. Il processo di Barcellona costituiva per l'Europa una grande occasione per riproporsi come soggetto internazionale forte ed autonomo attraverso la riscoperta del ruolo del Mediterraneo e delle possibilità di confronto che esso può garantire: quest'occasione è stata, purtroppo, ad oggi, sprecata.
Uno degli aspetti più critici riguarda l'impostazione stessa della strategia: pur riconoscendo lo stretto legame esistente fra questioni politiche e sociali e questioni economiche, il Processo di Barcellona accorda la sua preferenza a queste ultime, ispirandosi alle logiche del Washington Consensus. Quest'ultimo si fonda essenzialmente sull'idea che le liberalizzazioni politiche ed i processi di democratizzazione siano semplicemente l'effetto di liberalizzazioni economiche di stampo liberista, e che quindi basti un'apertura progressiva dei mercati a creare uno spazio pacifico senza violazioni delle libertà fondamentali, come propugnato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Ciò dimostra come l'Europa non sia ancora in grado di proporre una strategia autonoma sganciata dalle logiche economiciste tipiche delle organizzazioni finanziarie mondiali e degli Stati Uniti che di fatto queste istituzioni controllano. L'attuazione stessa del partenariato è ben lontana da quel principio di cooperazione multilaterale e paritetica proclamato nella dichiarazione di Barcellona; quest'ultima si è infatti rivelata solo una dichiarazione d'intenti sprovvista di valore giuridico vincolante e pertanto ha necessità per la sua implementazione della stipulazione di accordi successivi, i cosiddetti "accordi di associazione euro-mediterranei" (AAEM). Questi ultimi, tuttavia, sono patti bilaterali stipulati dall'Unione Europea con ogni singolo paese della Sponda Sud, che quindi non aiutano l'integrazione regionale che il Partenariato Euro-Mediterraneo dichiara di avere come obiettivo. Al contrario, da molti studiosi del processo di integrazione, essi sono stati considerati alla base di politiche fortemente radicate nei rapporti di forza nelle quali l'Europa gioca il ruolo dell'attore dominante, inibendo la cooperazione Sud-Sud e aumentando la frammentazione del mondo mediterraneo.
Molti aspetti del Processo di Barcellona sono insomma sostanzialmente falliti, a cominciare dalla zona di libero scambio, che si sarebbe dovuta attuare, come anticipato, entro il 2010. Dopo Barcellona il Mediterraneo rimane, purtroppo, un mare diviso. D'altronde, non è mai stato un mistero che buona parte dell'Europa, guardi con maggiore interesse alle aperture verso est, in direzione dell'Europa orientale e della Russia, più di quanto non faccia verso sud. Gli stessi paesi del versante meridionale dell'Unione, che pure avrebbero specifici motivi d'interesse per l'avvio di una politica e di strategie europee comuni, appaiono sospinti da impulsi differenti e talora contrapposti: sebbene la loro crescita economica necessiti della forza lavoro proveniente dal versante africano e asiatico del Mediterraneo, essi diffidano degli immigrati. Inoltre questi, sono interessati a rafforzare le relazioni commerciali con il Sud, ma temono l'impatto sulle proprie economie dell'importazione dei loro prodotti agricoli; o ancora proclamano di sostenere una cultura multietnica, ma, di contro, sono preoccupati dall'entità dei flussi migratori che, nei fatti, rendono multietniche le città europee.
I singoli governi sono, quindi, ancora molto lontani dal sostenere una "politica d'insieme" nei confronti del Mediterraneo, per cui ritengono più conveniente affrontare singolarmente i problemi e rifugiarsi in cooperazioni bilaterali, piuttosto che multilaterali.
Muovendo da queste valutazioni, la ricerca di questo lavoro si propone di analizzare la frammentazione economica dell'area mediterranea, concentrandosi soprattutto sui profondi squilibri e le estreme sperequazioni che caratterizzano i suoi traffici commerciali.
I dati presentati dimostrano, infatti, la sostanziale asimmetria degli scambi mediterranei, che, oltre a svolgersi ancora preminentemente lungo l'asse Nord-Sud, confermano l'effettiva situazione di "dipendenza" dei paesi mediterranei extraeuropei dal mercato europeo e il diverso livello di integrazione economica raggiunto dai paesi del bacino.



D'Esposito F. (2008), Il mosaico mediterraneo. Centri e periferie in una prospettiva di lungo periodo, in Fuschi M. (a cura di), Il Mediterraneo. Geografia della complessità, Milano, FrancoAngeli, p.19.
Viganoni L. (2009), Unità e Fratture nel Mediterraneo. Qual è il confine del mare Nostrum?, "Politica Internazionale", XXXIV, nn. 1-3, p. 56.
Braudel F. (1987), Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, p. 7.
Cfr. Kayser B. (1996), Il Mediterraneo. Geografia della frattura, Milano, Jaca Book, p. 67.
In alcune analisi viene utilizzata la stessa ripartizione dell'area mediterranea presente nel rapporto della Società Geografica Italiana del 2005, in cui è presente anche la Macedonia. Quanto alla Giordania e all'Autorità Palestinese vengono considerati perchè paesi appartenenti all'area MEDA, programma di cooperazione nato a seguito del Processo di Barcellona del 1995.
Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia.
Anche questi ultimi due per uniformità.
Annetti F. (2009), Ripartire dal Mediterraneo: storia e prospettive di un dialogo da ricostruire, "Jura Gentium", VI, n.1, p. 3.
D'Angelo S., Galletti V., (2009), I rapporti fra l'Europarlamento e la sponda Sud. Strasburgo si scopre sul mare, "Politica Internazionale", XXXIV, nn.1-3, p. 104.
L'espressione Washington Consensus è stata coniata nel 1989 dall'economista John Williamson per descrivere un insieme di 10 direttive di politica economica specifiche che egli considerava come il pacchetto standard da destinare ai paesi in via di sviluppo che si trovassero in crisi economica. Queste direttive erano promosse da organizzazioni internazionali con sede a Washington D.C. come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d'America.
Cfr. Annetti F. (2009), op. cit., p. 4.
Cfr. Zolo D. (2007), La questione mediterranea, in Cassano F., Zolo D. (a cura di), L'alternativa mediterranea, Milano, Feltrinelli, p. 33.
Cfr. AA.VV. (2005), L'Italia nel Mediterraneo. Rapporto annuale 2005, Roma, Società Geografica Italiana, p. 10.



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