Il corpus letterario del ‛gran secolo’ fiammingo, in El Orbe católico. Transformaciones, continuidades, tensiones y formas de convivencia entre Europa y America. Siglos IV-XIX, eds. M. LUPI - C. ROLLE, Santiago de Chile, Ril Editores, 2016, pp. 57-85

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Alessandra Bartolomei Romagnoli

IL CORPUS LETTERARIO DEL ‘GRAN SECOLO’ FIAMMINGO

A partire dal XIII secolo, che anticipa sotto questo profilo l’inizio delle modernità occidentali, una nuova forma epistemologica fa la sua comparsa e prima che essa acquisisca lo statuto di

scientia, e come tale si doti di un insieme pertinente di regole e formule proprie, di un suo vocabolario e modus loquendi, è appunto l’agiografia a raccontare la preistoria medievale della nuova disciplina, la “scienza mistica” o “scienza dei santi”, come verrà nominata nel Seicento.1 Atto di reinvenzione del linguaggio: l’antico e venerato genere letterario delle Vite, sganciandosi dalle sue più immediate funzioni liturgiche e cultuali, offre un posto al racconto dell’esperienza e questa ne fa esplodere dall’interno l’involucro linguistico e testuale: il transito è stato efficacemente sintetizzato da Antonella degl’Innocenti come passaggio dall’agiografia alla autoagiografia, quando il santo diviene il committente di se stesso.2 Il bacino di incubazione della nuova letteratura sono i territori delle Fiandre e del Brabante: il suo incipit è la Vita manifesto di Maria di Oignies, dove Giacomo da Vitry esalta la santità splendente delle vergini e delle vedove della diocesi di Liegi. Egli ha visto delle donne «struggersi d’amore per Dio con un attaccamento così speciale e mirabile da non potersi alzare da letto. E non avevano nessuna ragione di infermità se non Colui del cui desiderio le loro anime si liquefacevano. Riposavano in Dio dolcemente, e quanto più erano confortate nello spirito, tanto più si ammalavano nel corpo. Gridavano con il loro cuore, benché per pudore 1

M. de Certeau, La Fable mystique, XVIe-XVIIe siècle, Paris 1982 (ed. it. Fabula mistica, Bologna 1987). Ma per la storia del vocabolo “mistica”, e il passaggio da un uso solo aggettivale del termine nel Medioevo a uno sostantivale nel Seicento - mutamento semantico che ha una portata anche teologica -, si veda Id., «Mistico» nel XVII secolo. Il problema del linguaggio mistico, in Sulla mistica, Brescia 2010, pp. 71-97. Sui problemi del linguaggio mistico in generale si veda Le parole della mistica. Problemi teorici e situazione storiografica per la composizione di un repertorio di testi mistici, Atti dell’VIII Seminario di storia e teologia della mistica della Fondazione Ezio Franceschini, Genova, 6 febbraio 2006, a cura di F. Vermigli, Firenze 2007. 2 A. Degl’Innocenti, La mistica femminile tra agiografia e auto-agiografia, in L’autobiografia nel Medioevo, Atti del XXXIV Convegno storico internazionale, Todi, 12-15 ottobre 1997, Spoleto 1998, pp. 187-210. Riguardo al problema del rapporto oralità-scrittura, cfr. F. Santi, Il racconto mediato, in Lo spazio letterario del Medioevo latino, III, Roma 1993, pp. 689-719.

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tacessero con la lingua, mentre le loro anime si disfacevano per l’immensità dell’amore».3 Il loro numero cresce tanto che nella Historia occidentalis qualche anno dopo lo stesso Giacomo osserva che i monasteri non sono più in grado di contenerle.4 Per Tommaso di Cantimpré una brezza, anzi il vento dello Spirito porta sul sacro suolo delle Fiandre e del Brabante fatti mirabili e parole stupefacenti. Comparsa fondatrice, quella della donna, sia sul piano della invenzione letteraria che della esperienza storica: essa corrisponde allo sviluppo, nella cultura occidentale, di una erotica, in virtù del postulato primordiale che collega al femminile il tema dell’amore e del desiderio. Una nuova formazione letteraria si installa sullo stesso terreno della lirica cortese - al centro c’è sempre la ricerca di un amore che sembra inaccessibile -, ma la problematica spirituale sceglie una prospettiva diversa, ne mina anzi i presupposti. Intorno alla metà del secolo la Vita Lutgardis di Tommaso di Cantimpré prende le mosse da un episodio che evoca i romanzi di amor cortese. La sua eroina, nottetempo, corre a cavallo nella foresta per sfuggire alla caccia del suo spasimante terreno e correre verso il vero amore, quello celeste. Ma il racconto ha anche il valore di un epitaffio.5 Anche se il mito della donna-angelo conoscerà una lunga posterità letteraria, l’agiografo celebra il lutto di una cultura, travolta insieme a quella civiltà che ne aveva garantito le basi. La nuova letteratura mistica duecentesca è un tema con numerose varianti. Non mi soffermerò qui su un’analisi storico-sociologica, sulla frontiera che sembra solcare in due l’Europa, tra un Mediterraneo posto sotto l’egida mendicante, e un Nord più saldamente ancorato a una ratio conventuale, in cui la presenza cisterciense resta massiccia, e forte è l’influsso degli ambienti canonicali e poi dei frati Predicatori, tra una mistica più popolare e un’altra più colta, dove la donna acquista abbastanza precocemente anche una autonomia di scrittura.

Tralascerò quindi anche gli aspetti istituzionali, benché questi contribuiscano a

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Jakob von Vitry, Das Leben der Maria von Oignies - Thomas von Cantimpré, Supplementum, ed. R. B. C. Huygens, Turnhout 2012 (CCCM, 252), p. 48: «Aliquas etiam vidisti mulieres tam speciali et mirabili amoris in deum affectione resolutas, ut pre desiderio languerent nec a lecto per multos annos nisi raro surgere possent, nullam aliam causam infirmitatis habentes nisi illum, cuius desiderio anime earum liquefacte, cum domino suaviter quiescentes, quanto spiritu confortabantur, tanto corpore infirmabantur, clamantes corde, licet illud pre verecundia ore dissimularent: fulcite me floribus, stipate me malis, quia amore langueo (Cant 2, 5). Alicuius etiam mirabiliter et sensibiliter, dum anima pre amoris magnitudine liquefieret, gene corporales attenuate resolvebantur, multis etiam ex favo spiritualis dulcedinis in corde redundabat mellis sapor sensibiliter in ore, dulces lacrimas eliciens et mentem in devotione conservans». 4 Jacques de Vitry, Historia Occidentalis, ed. J.F. Hinnebush, Fribourg 1972, pp. 116-117. 5 Thomas Cantimpratanus, Vita Lutgardis virginis in Aquiriae Brabantia (BHL 4950), in AASS, Iunii, III, Antverpiae 1701, pp. 234-263: I, 1, p. 238.

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segnare il posto di gusti e stili spirituali differenti, tra recinti claustrali che manifestano una più tenace aderenza al linguaggio della mistica nuziale di estrazione bernardino-cisterciense, e movimenti laicali più aperti e sensibili alle tendenze della nuova religiosità, alla spiritualità del Cristo uomo crocefisso, secondo la nuova linea mendicante. Del resto, Claudio Leonardi nella introduzione alla antologia delle scrittrici mistiche italiane sottolineava quanto quella dell’appartenenza fosse questione abbastanza inessenziale rispetto al dato fondamentale di una esperienza di Dio che in sé appare senza mediazioni.6 Vorrei qui solo isolare, quale tratto comune di un panorama testuale imponente, una teoria del dire, che apre lo spazio a maniere nuove di parlare. Sul modulo femminile, una sorta di ars dictandi è all’origine di una moderna struttura letteraria dai confini mobili e aperti a una pluralità di codici espressivi - legende, memoriali, inchieste -, ma che attinge da una stessa fonte la pienezza dei discorsi. All’inizio c’è infatti un atto di parola, una locuzione o una visione. Esso ha un carattere essenzialmente epifanico, è un avvenimento, funziona sul modello dell’annunciazione, perché “attraversa” e così ristabilisce una comunicazione diretta tra ordini diversi: l’umano e il divino. La sua più alta ambizione è quella di riconciliare il divorzio tra le parole e le cose, o in termini diversi, di ricucire la frattura tra il visibile e l’invisibile. Lo spazio tra i due mondi, il celeste e il terreno, si riempie di donne, a custodire un simbolismo che la teologia tende a considerare ormai culturalmente illecito. Per l’uomo non resta che l’ascolto, anche se la donna stessa si nasconde nella parola che trasmette, perché l’Io che parla non è il suo, ma di Dio. Tuttavia devono essere in due perché il nuovo linguaggio nasca. La nuova letteratura spirituale assegna dunque una priorità alla relazione. Non è infatti, quello mistico, un linguaggio celibe, come quello teologico e clericale, e a presiedere il suo sviluppo è la dualità maschile/femminile. Ma in questo caso la madre prevale sul padre, anche in nome di una antica tradizione culturale che con la Sekinah sostiene il principio di una femminilità della presenza divina e della sua inabitazione nel mondo. Tema già ripreso da Ildegarde di Bingen, quando nel Liber divinorum operum parla della carne di Cristo come femminile: «La divinità è forte ma la carne del Figlio di Dio è debole, e per suo tramite il mondo è restituito alla sua prima vita. Perché in verità, quella carne, immacolata e inviolata,

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C. Leonardi, La santità delle donne, in Scrittrici mistiche italiane, a cura di G. Pozzi, C. Leonardi, Genova 1988, pp. 43-57.

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procede da un vergine grembo»7. È dunque attraverso la madre che la parola arriva e si fa corpo e discorso, mentre al padre è riservato il compito di consegnarla a una storicità e di farne una memoria. Si preserva in questo modo il binomio antropologico-culturale di orale/scritto, che assegna al maschile il potere della scrittura, ma la situazione eccezionale viola i contratti gerarchici, o come minimo li lascia in sospeso. I padri, i grandi artefici della nuova agiografia del Duecento (Giacomo da Vitry, Tommaso di Cantimpré, Pietro di Dacia), sono dei convertiti, anime toccate da folgoranti e improvvise esperienze di Dio, che nelle Vite tracciano anche la storia della propria personale illuminazione. Questo paradigma, sostanzialmente omogeneo, struttura la letteratura mistica, ma ha un valore troppo generale per non risultare impreciso. Bisognerà allora investigare sulla particolarità delle singole figure. Nell’arco di un secolo una prima selezione di immagini fornisce la traccia di una evoluzione storica e spirituale.

2. L’agiografia femminile nella diocesi di Liegi è da tempo al centro di una ricca fioritura di studi, ma mi pare che una lettura che la riproponga nella sua globalità resti ancora da fare. Un tentativo in questo senso era stato compiuto da Simone Roisin, con un libro importante e utile per chiarezza di intenti e coerenza di impostazione metodologica, ma condizionato dall’interesse esclusivo della studiosa di Lovanio per il dossier cisterciense,8 un dato che, come vedremo, rispecchia in misura molto parziale la ricchezza del panorama letterario della regione. Sinora l’attenzione si è concentrata in prevalenza sulle singole figure o su temi specifici, anche se in alcuni casi si sono raggiunti risultati di grande rilievo. Mi riferisco in particolare alle ricerche di Caroline Walker Bynum sul significato del digiuno sacro e della devozione eucaristica come paradigma interpretativo centrale dell’esperienza religiosa delle donne,9 ma anche sulla elaborazione della teologia della “maternità di Dio”, da Ildegarde di Bingen a Giuliana di

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Hildegardis Liber vitae meritorum, I, IV, 32, in Analecta sacra, a cura di J. B. Pitra, VIII, Montecassino 1882, p. 158. 8 S. Roisin, L’hagiographie cistercienne dans le diocèse de Liège au XIII e siècle, Louvain-Bruxelles 1947 (Université de Louvain. Recueil de travaux d’Histoire et de Philologie, 27). 9 C. Walker Bynum, Sacro convivio, sacro digiuno. Il significato religioso del cibo per le donne del Medioevo, Milano 2001; Ead., Fragmentation and Redemption: Essays on Gender and the Human Body in Medieval Religion, New York 1991.

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Norwich.10 Sempre sul versante del rapporto maschile/femminile, oralità/scrittura, e quindi nell’ottica della frauenfrage e della storia di genere, si sono mossi alcuni studiosi di area anglosassone (Bolton, Børresen, King, Glente, Coakley, Simons),11 mentre alla linea classica della storia della spiritualità fanno capo le ricerche del Dinzelbacher,12 del Ruh13 e del McGinn.14 Ma sul piano del proprium agiografico l’analisi storico-letteraria ha segnato il passo, sia nel definire la cronologia relativa che i rapporti genealogici, la personalità degli autori e le loro finalità, la struttura e funzione delle singole opere, il pubblico cui esse erano destinate. Molti problemi restano ancora aperti, come ad esempio quello di rapporti e influssi della letteratura d’oltralpe su quella di area italiana. L’ipotesi suggestiva avanzata molti anni fa da Romana Guarnieri di un canale diretto di trasmissione tra l’ambiente brabantino e quello umbro potrà trovare un momento di verifica solo attraverso indagini approfondite sulla circolazione e diffusione dei manoscritti, ma anche con studi comparativi mirati.15 Tuttavia, su un piano più

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C. Walker Bynum, Jesus as Mother: Studies in the Spirituality of the High Middle Ages, Berkeley-Los Angeles 1982 (UCLA, 16). 11 B. Bolton, Mulieres sanctae, in «Studies in Church History», 10 (1977), pp. 77-97; Ead., Vitae Matrum. A Further Aspect of the Frauenfrage, in Medieval Women, a cura di D. Baker, Oxford 1978, pp. 253-273; M. H. King, The Desert Mothers, Toronto 1989; J. Coakley, Friars as Confidants of Holy Women in Medieval Dominican Hagiography, in Images of Sainthood in Medieval Europe, a cura di R. Blumenfeld, T. Szell, Ithaca-London 1991, pp. 222-246; K. Glente, Vite di mistiche dal punto di vista maschile e femminile. Un confronto tra Tommaso di Cantimpré e Caterina di Unterderlinden, in Movimento religioso e mistica femminile nel medioevo, a cura di P. Dinzelbacher, D. R. Bauer, Cinisello Balsamo (Mi) 1993, pp. 284-297 (ed. orig. di Religiöse Frauenbewegung und mystiche Frömmigkeit im Mittelalter, Köln 1988); K. E. Børresen, Le madri della Chiesa. Il Medioevo, Napoli 1993. 12 P. Dinzelbacher, Nascita e funzione della santità mistica alla fine del medioevo centrale, in Les fonctions des saints dans le monde occidentale (IIIeme-XIIIeme siècles), Actes du Colloque organisé par l’Ecole française de Rome avec le concours de l’Université de Rome “La Sapienza”, Rome, 27-29 octobre 1988, Rome 1991 (Collection de l’Ecole française de Rome, 149), pp. 489-506; Id., Mistica e profezia femminile nel Medioevo europeo, in Donna, potere e profezia, a cura di A. Valerio, Napoli 1995, pp. 121-135; Id., Visioni e profezie, in Lo spazio letterario del Medioevo. 1. Il Medioevo latino, vol. II, La circolazione del testo, Roma 1994. 13 K. Ruh, Storia della mistica occidentale, II, Mistica femminile e mistica francescana delle origini, Milano 2002, pp. 95-115. 14 B. Mc Ginn, Storia della mistica cristiana in Occidente. La fioritura della mistica (1200-1350), Genova-Milano 2008. 15 R. Guarnieri, La Vita di Chiara da Montefalco e la pietà Brabantina del ’200. Prime indagini su un’ipotesi di lavoro, in S. Chiara da Montefalco e il suo tempo. Atti del IV Convegno di studi storici ecclesiastici organizzato dall’Archidiocesi di Spoleto, Spoleto, 28-30 dicembre 1981, a cura di C. Leonardi, E. Menestò, Perugia-Firenze 1985 (Quaderni del «Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell’Università di Perugia», 13. Agiografia umbra, 3), pp. 305-367. Secondo Antonella Degl’Innocenti l’ipotesi della Guarnieri che la Vita di Maria di Oignies possa aver ispirato Berengario di Saint-Affrique nella composizione della Vita di Chiara da Montefalco è senz’altro «suggestiva, ma poco convincente» e non trova riscontro nella documentazione. Cfr. A. Degl’Innocenti, Mistica e agiografia, in Il Liber di Angela da Foligno e la mistica dei secoli XIII-XIV, pp. 355-383: 360. Per una rassegna dei testi di area italiana si veda ancora Ead., Modelli di santità femminile fra XIII e XIV secolo, in Santa Chiara da

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generale, il nuovo linguaggio appare senz’altro riconducibile a un clima spirituale in piena evoluzione. Sappiamo da Tommaso da Cantimpré che quando Giacomo de Vitry scende in Italia, nel 1216, dove il papa Onorio III lo nomina immediatamente vescovo di Accon, porta con sé il libro di Maria di Oignies. In seguito ne farà dono al suo amico Gregorio IX, insieme a una reliquia della beata, affinché il pontefice, leggendolo, ne tragga consolazione e curi con esso le ferite della sua anima. Documentabili sono precisi rapporti con i circoli renani: data la mobilità dei frati Predicatori e la vicinanza geografica è facile immaginare un fitto scambio di persone e di testi. Allo studium di Colonia si conoscono le nuove agiografie dei Paesi Bassi e gli scolari leggono e utilizzano non solo le Vitae fratrum di Gérard de Frachet, ma anche le biografie di Tommaso da Cantimpré. Un solo esempio: per introdurre il libro della sua amica spirituale Cristina di Stommeln, redatto negli anni ’80 del secolo, il domenicano svedese Pietro di Dacia attinge, quasi parafrasandolo, dal prologo della Vita di Cristina l’Ammirabile.16 Limiti e ritardi sono forse dovuti a una situazione editoriale che rivela carenze notevoli, essendo tuttora ferma, anche per casi agiografici importanti come Lutgarda di Aywières - un capolavoro assoluto della letteratura medievale -, all’operosità dei Bollandisti e al sinassario di Crisostomo Henriquez, una silloge di Vite di cinque monache cisterciensi messa insieme dallo storico ufficiale della Congregazione, che venne stampata ad Anversa nel 163017. Poche le edizioni moderne: la Vita di Beatrice di Nazareth del Reypens, di Margherita d’Ypres del Meersseman, di Giuliana di Mont-Cornillon di Delville, la versione in neerlandese medio della Vita di Lutgarda curata dallo Hendrix e quella recente di Maria di Oignies di Huygens.18

Montefalco monaca agostiniana (1268-1308) nel contesto socio-religioso femminile dei secoli XIII-XIV. Atti del Congresso internazionale in occasione del VII centenario della morte di Chiara da Montefalco (Montefalco - Spoleto, 25-27 settembre 2008), a cura di E. Menestò, Spoleto 2009 (Uomini e mondi medievali, 17 - Convegni, 2), pp. 123-142. 16 Per gli atti della beata Cristina di Stommeln, caso singolare ed estremo di una mistica che fu vittima per moltissimi anni delle aggressioni diaboliche, cfr. A. Bartolomei Romagnoli, Il diavolo nella letteratura mistica del Duecento, in Il diavolo nel Medioevo, Atti del XLIX Convegno storico internazionale (Todi, 1417 ottobre 2012), Spoleto, Fondazione Cisam, 2013 (Atti del Centro italiano di studi sul basso medioevo Accademia Tudertina. Nuova Serie diretta da Enrico Menestò, 26), pp. 265-305. 17 Quinque prudentes virgines Ordinis Cisterciensis praeclara gesta ex antiquis M.S. eruta Auctore P.F. Chrisostomo Henriquez Hortensi, S. T. Magistro, Ordinis Cisterciensis Historiographo Generali, Antverpiae, Apud Ioannem Cuobbaik, M.DC.XXX (=Quinque prudentes virgines). Crisostomo Henriquez, cisterciense spagnolo (†1632), venne chiamato nei Paesi Bassi per scrivere la storia dell’Ordine: Menologium Cistertiense notationibus illustratum, Antverpiae 1630. Postumo uscì Lilia Cistercii, sive Sacrarum virginum cisterciensium origo, instituta et res gestae, Antverpiae, apud B. Bellerum, 1633. 18 I riferimenti a queste edizioni saranno specificati alle voci relative.

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Questo studio ha prospettive quindi assai limitate: lo scopo è quello di offrire un primo status

quaestionis e fissare un repertorio di testi, quindi la linea interpretativa proposta non potrà avere che un carattere molto parziale e provvisorio.

3. Nell’alto medioevo la produzione agiografica della Gallia belgica era stata dominata dalla tradizione franca delle grandi badesse di stirpe regia, protagoniste di una rifondazione sacrale dei territori attraverso la costruzione di una rete di monasteri. Mentre gli uomini in armi erano impegnati nell’ascesa al potere, le loro donne - madri mogli e figlie dei Pipinidi-Carolingi -, anche su consiglio dei vescovi, prendevano la via del chiostro: i nomi sono quelli di Ida e Gertrude, che fecero del monastero di Nivelles un centro di pietà e di cultura aristocratica, Plettudre e la mitica Begga, che per assonanze linguistiche sarebbe stata assunta come patrona delle beghine.19 Ma è solo nel Duecento che il territorio del Brabante diventa un luogo notevole di produzione agiografica con caratteri specifici e originali,20 la cui fioritura è stata posta giustamente in relazione con lo sviluppo del movimento religioso femminile.21 Tale definizione piuttosto generica copre una topografia difficile da sistematizzare o generalizzare, che indica punti di particolare instabilità o di vivace sperimentazione. Accanto alla forma claustrale tradizionale, ma già articolata nelle numerose varianti degli ordini riformati, le istanze evangeliche si concretizzano nelle esperienze di tipo caritativo-assistenziale delle istituzioni ospedaliere, dei lebbrosari, delle confraternite. La ricerca della solitudine trova la sua complessa trascrizione simbolica nella condizione dell’incarceramento, variante femminile dell’eremitismo, precluso Il florilegio franco annovera Ida (†652), che costruisce con il marito Pipino di Landen il monastero di Nivelles in Brabante di cui diverrà badessa la figlia Gertrude (†659), mentre un’altra figlia, Begga (†709), madre di Pipino d’Heristal, fonda a sua volta il monastero di Notre Dame di Andenne sul fiume Mosa. Mantiene tuttavia saldi rapporti con il monastero di Nivelles e si fa inviare dalla sorella Gertrude monache e libri. La nuora Plettrude (†725) la imita. Accetta con pazienza il figlio che Pipino ha avuto da una concubina, Carlo Martello, e infine nel 714 gli lascia le redini del regno per ritirarsi nel monastero di Colonia da lei fondato. Sulle vite delle sante monache della Gallia belgica, cfr. A. Bartolomei Romagnoli, Madri sante nella letteratura medievale, in Santa Monica nell’Urbe dalla Tarda Antichità al Rinascimento. Storia, Agiografia, Arte. Atti del Convegno, Ostia Antica – Roma, 29-30 settembre 2010, a cura di M. Chiabò, M. Gargano, R. Ronzani, Roma 2011 (RR inedita, saggi, 49), pp. 53-111. 20 W. Simons, Holy Women of the Low Countries: A Survey, in Medieval Holy Women in the Christian Tradition c. 1100- c. 1500, a cura di A. Minnis, R. Voaden, Turnhout, Brepols, 2010, pp. 625-662. 21 Il testo di riferimento rimane ancora H. Grundmann, Movimenti religiosi nel Medioevo. Ricerche sui nessi storici tra l’eresia, gli Ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel XII e XIII secolo e sulle origini storiche della mistica tedesca, Bologna 1974 (ed. origin. Berlin 1955; seconda edizione ampliata, Darmstadt 1961), pp. 147-271. 19

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alle donne. Forma di vita comunitaria pararegolare è quella delle beghine, di cui si hanno le prime sporadiche attestazioni nella regione già tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Gruppi minuscoli, in origine, il loro successo, legato anche a una forte domanda sociale, a partire dal terzo decennio del Duecento avrà effetti visibili nel ridisegnare lo stesso paesaggio urbano.22 Ma nel nord Europa – e questa è già una prima significativa differenza rispetto al nostro paese - le mulieres religiosae gravitano essenzialmente nell’orbita degli ordini monastici, prevalentemente quello cisterciense, laddove l’humus pinzocherile nostrano sarà coltivato dalla pastorale mendicante, per produrre con qualche lustro di ritardo la fioritura di una ricca messe di santità terziaria, che interrompe il lungo silenzio della santità femminile in Italia.23 La complessità del fenomeno nel suo polimorfismo strutturale non è certo sintetizzabile in una sola cifra e lo specchio agiografico registra il carattere estremamente vario e articolato delle esperienze d’eccezione che non sono più appannaggio esclusivo di un segmento elitario della popolazione femminile, perdendo la connotazione rigidamente aristocratica della santità altomedioevale.

4. Il corpus testuale del gran secolo fiammingo comprende tredici figure, ma alla lista andrebbe senz’altro annesso il tardo dossier quattrocentesco di Lidwina di Schiedam, ultima grande rappresentante, nei Paesi Bassi, del modello della santità mistica. Si tratta di testi molto

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La bibliografia sulle beghine è molto vasta. Cfr. J. Greven, Die Anfänge der Beginen: Ein Beitrag zur Geschichte der Volksfrömmigkeit und das Ordenswesens im Hochmittelalter, Münster 1912; A. Mens, Oorsprong en betekenis van de nederlandse begijnen en begardenbewegung, Leuven 1947; M. Lauwers, Paroles de femmes, sainteté féminine. L’église du XIIIe siècle face aux béguines, in La critique historique à l’épreuve, ed. G. Braive, J. M. Cauchies, Bruxelles 1989, pp. 99-115; W. Simons, The Beguine Movement in the Southern Low Countries: A Reassessment, in «Bulletin de l’Institut historique de Rome», 5 (1989), pp. 63-105; Id., Cities of Ladies: Beguine Communities in the Medieval Low Countries, 1200-1265, Philadelphia 2001, e più recentemente Id., Beginnings: Naming Beguines in the Southern Low Countries, 1200-50, in Labels and Libels: Naming Beguines in Northern Medieval Europe, a cura di L. Böhringer, J. Kolpacoff Deane, H. van Engen, Turnhout, Brepols, 2014, pp. 9-52. Si vedano anche le voci enciclopediche curate da K. Elm, Beg(h)inen, in Lexikon des Mittelalters, vol. 1, Münich-Zürich 1980, coll. 1799-1803 e R.-E. Lerner, Beguines and beghards, in Dictionary of the Middle Ages, vol. 2, New York 1983, pp. 157-162. 23 In Italia il primo testo agiografico segnato da una forte componente mistica è la Vita di Umiliana dei Cerchi, redatta tra il 1246 e il 1248 dal frate Minore Vito da Cortona. Nel ritratto della vedova fiorentina, indicata come “tertia lux” dell’Ordine francescano, l’agiografo intende delineare il modello di una santità laica perseguibile anche da coloro che non vogliono, o non possono, uscire dal mondo: anche a questi penitenti non sono precluse le vette più alte dell’esperienza mistica e della contemplazione. La legenda di Umiliana è stata letta assai finemente da A. Benvenuti Papi, Un santa vedova, in Ead., «In castro poenitentiae». Santità e società femminile nell’Italia medievale, Roma 1990 (Italia Sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 45), pp. 59-98. Ma il libro si sofferma anche su altri, numerosi e importanti casi di santità femminile in Italia, declinati secondo la tipologia prevalente della cellana.

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differenti tra loro per contenuti e qualità letteraria, ma alcuni dati li accomunano, permettendo così di ritagliare un campo come luogo di produzione di un discorso specifico. Esso non rinvia più, come l’agiografia tradizionale, al racconto di una vita, ma alla descrizione di una esperienza interiore. Gli scrittori narrano opere di carità, pratiche pie, ascesi e penitenze, miracoli delle loro eroine, ma al centro dell’attenzione sono soprattutto i segni di una ricercata unione con il divino, l’esplodere di una grazia che si manifesta e si “divide”, come osservava Giacomo da Vitry, massimo specialista della materia, in estasi, ratti, visioni, locuzioni, lacrime, sospiri, levitazioni, stigmate. È questo il nuovo lessico della santità, una santità straordinaria non tanto per gli atti della vita e l’eccellenza delle virtù morali, ma per gli stati e le condizioni dell’essere, per le conoscenze più che per i miracoli, per una sapienza in grado di spezzare la barriera che è stata innalzata dalla frammentazione delle lingue. Lo spazio assegnato al racconto delle visioni e rivelazioni conferisce all’agiografia mistica uno statuto letterario instabile, dai confini mobili e aperti a una pluralità di codici espressivi. Il confronto sinottico evidenzia infatti la compresenza di differenti tipologie di scrittura narrativa. Accanto a testi più tradizionali, come le prime Vite cisterciensi, dove le rivelazioni estatiche sono inserite all’interno di leggende che conservano lo schema lineare di una storia, nella Vita

Mariae Oigniacensis e nella Vita Lutgardis la struttura biografica appare ormai sottomessa alla legge dell’itinerario di un’anima, mentre nella Vita Beatricis l’agiografo dichiara di essere solo compilatore, o traduttore, translator, di uno scritto di cui non si considera l’autore. Momento di passaggio: è di qui che prenderà avvio il genere dell’autobiografia spirituale. Da un punto di vista esterno, formale, anche l’estensione delle opere è varia. Se la Vita di Maria di Oignies e quella di Lutgarda sono testi molto lunghi e complessi per costruzione narrativa, sembra invece prendere le mosse dal moderno genere letterario dell’exemplum, ma dilatandolo, la stupefacente

legenda di Cristina l’Ammirabile. Benché rivolta alla edificazione di una élite devota e sostanzialmente autonoma rispetto al grande circuito della santità canonizzata, questa produzione letteraria riflette ben presto anche le preoccupazioni crescenti di controllo delle gerarchie ecclesiastiche. In alcuni scritti meno elaborati, come il rapporto dell’abate di Clairvaux su Elisabetta di Spalbeek, predomina lo scrupolo documentario, a metà strada tra l’istanza giuridica e la vocazione agiografica. Il problema della “vera e falsa santità”,24 24

Cfr. Finzione e santità tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Zarri, Torino 1991.

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dell’origine genuinamente soprannaturale delle visioni, della verifica e legittimazione della parola femminile si pone assai precocemente a confessori e inquisitori medioevali sia a livello speculativo che nella prassi concreta, anche se queste preoccupazioni non si esprimono nei termini drammatici dei grandi processi della prima età moderna.25 In una congiuntura storica ormai profondamente modificata, sospetti, accuse e istanze di verifica si coaguleranno nella vicenda di Lidwina di Schiedam, antesignana della nuova stagione delle crociate contro l’inganno. Nel connubio strategico tra autorità civili e religiose, il corpus di testi di Lidwina documenta l’attivazione di quei rigidi dispositivi preposti a vigilare sulla trasparenza dei comportamenti individuali e collettivi.

5. La strada, come dicevamo, viene aperta dalla Vita di Maria di Oignies (†1213), reclusa della diocesi di Liegi, una donna laica, dedita alla povertà, all’ascesi e alla contemplazione.26 A scriverla, nel 1215, è Giacomo da Vitry, il suo confessore, teologo e predicatore progressista impegnato in prima linea nel nuovo corso pastorale inaugurato da Innocenzo III e dal concilio Lateranense IV.27 Maria di Nivelles, dopo aver scelto la via di una casta unione con il marito, si dedica all’assistenza ai lebbrosi per poi ritirarsi in una cella alle dipendenze del priorato agostiniano di Oignies, dove diviene la carismatica magistra di Giacomo. È stata proprio lei, la “madre”, che lo ha partorito spiritualmente, indicandogli la via della santa predicazione, è stata 25

Per le strategie di certificazione messe in atto, cfr. D. Elliott, Proving Woman: Female Spirituality and Inquisitional Culture in the Later Middle Ages, Princeton 2004. Già nel Trecento, dopo il Concilio di Vienne e le decisioni di Giovanni XXII in merito alla visio beatifica, si assiste a una intensificazione dei meccanismi di controllo. Il primo obiettivo è quello di circoscrivere il rischio della diffusione del movimento del Libero Spirito. Cfr. A. Bartolomei Romagnoli, Mistica e costruzione della memoria: da Chiara da Montefalco a Francesca Romana, in «Chiesa e Storia», Rivista dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, 2 (2012), pp. 109-135. Già nel Trecento, dopo il Concilio di Vienne e le decisioni di Giovanni XXII in merito alla visio beatifica si assiste a una intensificazione dei meccanismi di controllo. Il primo obiettivo è quello di circoscrivere il rischio della diffusione del movimento del Libero Spirito. 26 L’opera di Giacomo de Vitry è stata studiata da M. Lauwers, Expérience béguinale et récit hagiographique. A propos de la «Vita Mariae Oigniacensis» de Jacques de Vitry (vers 1215), in «Journal des savants», (1989), pp. 61-103; Id., Entre béguinisme et mysticisme: la Vie de Marie d’Oignies (morte en 1213) de Jacques de Vitry ou la définition d’une sainteté féminine, in «Ons Geestelijk Erf», 66 (1992), pp. 46-69; I. Geyer, Marie von Oignies. Eine hochmittelalterliche Mystikerin zwischen Ketzerei und Rechtgläubigkeit, Frankfurt a.M. 1994. Ma più recentemente si veda F. de Vriendt, «Comme une escarboucle au milieu d’autres gemmes». Une vie hors normes: Marie d’Oignies (ca. 1177-1213), in Hugo d’Oignies. Contexte et perspectives, Actes de la Journée d’étude, a cura di J. Toussaint, Namur 2013 (Monographies du Musée provincial des Arts anciens du Namurois, 58) pp. 104-121. Cfr. inoltre G. Geenen, s.v., in BS, VIII, Roma 1966, coll. 1018-1025; A. Vauchez, s.v., in Il grande libro dei Santi, I, pp. 1331-1332. 27 Su di lui si veda Ph. Funk, Jacob von Vitry. Leben und Werk, Leipzig 1909; M. Coens, Jacques de Vitry, in «Bibliographie nationale de Belgique», 20 (1962), coll. 466-473; A. Forni, Giacomo da Vitry, predicatore e sociologo, in «La Cultura », 17/1 (1980), pp. 34-89.

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Maria, reclusa e militante al tempo stesso, a sostenerlo nel lavoro apostolico. Lungi dal sovvertire le istanze ecclesiastiche, la conoscenza mistica della donna, la sua vita nascosta acquista pertinenza e valore in funzione della lotta antiereticale, ma anche dell’impegno di riforma della Chiesa.28 Questa biografia è di importanza storica capitale. Esemplare paradigma del rapporto tra carisma e sacerdozio ordinato, sia nei termini del munus docendi che sul piano sacramentale, la coppia Giacomo da Vitry/Maria di Oignies fornirà infatti una singolare patente di fondazione a tutti i tentativi di legittimare l’esercizio da parte delle donne della parola profetica.29 L’opera del Vitriacense ha un seguito immediato e le Vite più antiche hanno infatti come protagoniste non delle monache, ma delle laiche, codificando il modello parenetico della penitente che dopo un periodo di volontariato religioso al servizio dei poveri e dei lebbrosi chiude i suoi giorni nella solitudine della cella. Una pia vedova, insignita del dono delle visioni e della profezia, è anche Odilia di Liegi (†1220), la cui Vita, che attinge alla testimonianza del figlio della donna, il prete Giovanni, viene scritta da un autore anonimo dopo la morte di lui, nel 1241.30 All’interno di uno schema sostanzialmente omogeneo, colpisce tuttavia la singolarità dei percorsi individuali. Nel 1230 Ugo di Floreffe, colto canonico premostratense, scrive la Vita di Ivette/Iutta d’Huy (†1228).31 Testo sorprendente. Sembra di imbattersi in un manifesto protoPer i risvolti politici della Vita cfr. A. Vauchez, La santità, un’arma contro l’eresia: la “Vita Mariae Oigniacensis” di Giacomo di Vitry, in Id., Santi, profeti e visionari. Il soprannaturale nel Medioevo, Bologna 2000, pp. 191-207. 29 Ancora nel Quattrocento, nel corso del Processo Castellano Tommaso Caffarini farà esplicito riferimento al venerabile esempio di Giacomo da Vitry e di Maria di Ognies per difendere l’operato di Caterina Siena e sottolineare come l’opera di materna direzione esercitata dalla santa mirasse in realtà a rafforzare e potenziare i ruoli direttivi dei padri, risolvendosi in una forma di apostolato privilegiato nei confronti dei sacerdoti. Cfr. Il Processo Castellano, a cura di H. Laurent, Milano 1942. Se ne può leggere ora la versione italiana curata da T. S. Centi, A. Belloni, Firenze 2009 (Biblioteca di Memorie Domenicane, 2), p. 69: «Inoltre c’era in quella cassa una Legenda di una certa S. Maria di Oignies, ripresa dal trentunesimo Libro dello storico Vincenzo di Beauvais, e ciò perché la vita della predetta santa fu in molte cose simile a quella di questa vergine». La cassa cui si riferisce il Caffarini era di proprietà di un lucchese, abitante a Venezia, Nicola dei Guidizzoni, ed era piena di libri, tra cui le biografie relative a Caterina. Era stata predisposta in vista del processo di canonizzazione. 30 La Vita Odiliae Leodiensis (BHL 6276) nella sua versione integrale in tre libri venne ritrovata dai Bollandisti nell’Ottocento e pubblicata in «Analecta Bollandiana», 13 (1894), pp. 196-287. Cfr. anche l’ed. Heller, in MGH, Script., XXV, pp. 199-287. Precedentemente era noto solo un libro, pubblicato da J. Chapeaville, Gesta pontificum Leodiensium, Leodii 1613, pp. 603-640. Cfr. M. de Vuyst, s.v., BS, IX, Roma 1967, coll. 1108-1110. 31 Hugo Floreffiensis canonicus, Vita s. Ivettae reclusae (BHL 4620), in AASS, Ianuarii, I, Antverpiae 1643, pp. 863-887. Se ne ha una traduzione inglese commentata da J. A. Mc Namara, The Life of Yvette de Huy by Hugh of Floreffe, Toronto 1999. Si veda anche A.B. Mulder-Bakker (ed.), Ivetta of Huy: Mater et Magistra, in Sanctity and Motherhood. Essays on Holy Mothers in the Middle Ages, New York-London 28

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femminista, e come tale lo si è letto. Iutta infatti non rifiuta le nozze per motivi religiosi, ma soltanto per una naturale repulsione al rapporto sessuale, vive il matrimonio come luogo estremo dell’alienazione, la famiglia in genere come sorgente di conflitti profondi, sino a che Dio non si muove a pietà di lei, la visita e trasforma il suo cuore di pietra in un cuore di carne, così che lei diventa “un’altra donna”. In realtà il punto che risolve la tempesta spirituale di Iutta non è la continenza riacquistata dopo la morte del marito, ma il percorso di liberazione dal suo odio e dalla sua rabbia. Dopo la conversione, la giovane vedova lascia i figli per dedicarsi all’assistenza dei lebbrosi, ne condivide la vita povera e abbietta, prima di rientrare anche lei nell’alveo della reclusione. Dopo molti contrasti con il padre che non comprende la radicalità delle sue scelte e l’accusa di essere venuta meno ai suoi doveri di madre, Iutta riesce a convertirlo e infine induce anche i suoi figli a entrare in monastero. Al di là degli schemi tipologici, il testo di Ugo di Floreffe affronta un problema molto reale e concreto: come sia possibile gestire la maternità all’interno di una vita di perfezione. Non riesce peraltro a risolverlo ed è costretto ad ammettere che la santità di Iutta è ammirabile, ma non imitabile: egli scrive infatti «ad aedificationem multorum magis quam imitationem».32

Admirabilis è anche Cristina di St. Trond (†1224), modello di perfezione estremo e rarefacente, che ripropone dopo una pausa millenaria gli orizzonti mistici della “santa follia”.33 Trascrizione agiografica di un exemplum che sarebbe piaciuto a Cesario di Heisterbach, la

Passio Christinae racconta l’avventura di una donna tornata per volere di Dio dal regno dei morti con il compito di espiare i peccati dell’umanità. Eremita perseguitata e selvaggia, una volta inurbatasi condivide sino in fondo la sofferenza e le piaghe della società, per poi finire la sua

1995, pp. 225-258; I. Cochelin, Sainteté laique: l’exemple de Jvette de Huy (1158-1228), in «Le Moyen Age», 95 (1989), pp. 397-417; A. Degl’Innocenti, Spose e madri nell’agiografia medievale, in Religione domestica (medioevo - età moderna), Verona 2001 (Quaderni di storia religiosa, 8), pp. 9-53: 23-24. I. Cochelin, Sainteté laïque: l’exemple de Juette de Huy (1158-1228), in «Le Moyen Age. Revue d’histoire et de philologie», serie V, 95 (1989), pp. 397-417; J. Carpenter, Juette of Huy Recluse and Mother (11581228). Children and Mothering in the Saintly Life, in Power of the Weak. Studies on Medieval Women, ed. J. Carpenter - S.B. MacLean, Chicago 1995; G. Duby, Dames du XIIe siècle. I. Héloise, Aliénor, Iseut et quelques autres, Paris 1995, pp. 133-149; A. Mulder Bakker, Lives of the Anchoresses. The Rise of the Urban Recluse in Medieval Europe, Philadelphia 2005, pp. 51-77. 32 Vita Ivettae, p. 865. 33 Thomas Cantimpratanus, Vita Christinae Mirabilis (BHL 1746), in AASS, Iulii, V, Antverpiae 1727, pp. 650-660. La prima menzione su Cristina si legge nella Vita di Maria di Oignies. Sulla scia di Giacomo da Vitry, Tommaso di Cantimpré si mette sulle tracce di questa vicenda e, come è suo metodo di lavoro, si reca a St. Trond per raccogliere notizie su Cristina da testimoni oculari. La sua principale fonte di informazione è una reclusa, Ivetta, che l’aveva conosciuta molto bene.

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vita come reclusa presso il monastero delle benedettine di St. Trond. Ma nel frattempo Cristina la folle, dopo aver sopportato la persecuzione e il disprezzo, è stata promossa al ruolo di oracolo ascoltatissimo. Autore di questa Vita è Tommaso di Cantimpré, figura-chiave della nuova letteratura brabantina.34 Proviene anche lui dal mondo canonicale, perché Cantimpré apparteneva alla congregazione dei Vittorini. Agiografo controvoglia, questo tranquillo studioso di scienze naturali è costretto dal priore di Oignies a scrivere un supplemento alla vita della beata Maria e si converte alla mistica e alla vita apostolica.35 Di qui anche il taglio con il passato e la decisione di entrare nel giovane ordine dei frati Predicatori. Dopo il tradimento di Giacomo da Vitry, che, divenuto cardinale, è stato sedotto dall’Egitto romano e dalle lusinghe della Curia, Tommaso di Cantimpré ne assume polemicamente l’eredità per diventare esegeta e custode della nobiltà ed eccellenza del sacro suolo delle Fiandre e del Brabante, che il suo maestro aveva indicato come la Terra Promissionis di una nuova stagione della storia della Chiesa. Ma i tempi sono cambiati rispetto alla generazione del Vitriacense, e se nelle pagine di Giacomo il ruolo di direzione spirituale esercitato da Maria di Oignies era stato posto sotto l’insegna del vexillum crucis per il contributo dato dalla santa alla lotta antiereticale, dall’opera di Tommaso traspare con chiarezza un ripensamento, una consapevolezza diversa, molto più problematica e complessa, del rapporto tra l’esperienza cristiana e la sua dimensione storica. Al tramonto delle idealità crociate, la metafora della militia Christi si spoglia dei suoi miti e dei suoi simboli, per perdere le sue più immediate connotazioni politiche. Nella trasfigurazione mistica dell’agiografo domenicano l’asse del combattimento si sposta, e Maria di Oignies indica chiaramente che l’avversario contro cui si deve combattere è all’interno, perché il male non è identificabile semplicemente negli infedeli e negli eretici, ma si annida nei cuori e nel seno stesso della christianitas. Dopo la scrittura del Supplementum, nel 1231, Tommaso mette insieme un florilegio di Vite delle sante donne che abitano negli ovili di Liegi e con la legenda di Margherita d’Ypres (12161237),36 penitente domestica vissuta all’ombra della direzione dei frati, offre in assoluto il primo

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Cfr. A. Deboutte, Thomas de Cantimpré, in Dictionnaire de Spiritualité, XV, Paris 1991, coll. 784-792. Vita Mariae Oigniacensis, Supplementum, Auctore coaevo Fr. Nicolao, Canonico Regulari cœnobii Cantipratani. Ex MSS et editione Arnoldi Rayssii, in AASS, Iunii, IV, Parisiis 1867, pp. 572-581. 36 Per l’edizione della Vita Margarete de Ypris, cfr. G. Meersseman, Les frères Prêcheurs et le mouvement dévot en Flandre au XIIIe siècle, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 18 (1948), pp. 69-130: la Vita è pubblicata in appendice al saggio, pp. 106-130. La vicenda di Margherita, una vergine morta all’età di 35

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esempio di una agiografia femminile domenicana, testimonianza delle attese religiose di un laicato femminile in cui l’agiografo individua già negli anni ’30 del secolo uno degli spazi privilegiati della incipiente azione pastorale dell’Ordine. Dopo una mistica selvaggia, come Cristina l’Ammirabile, che sperimenta ogni forma di eccesso e di ardore a oltranza, con il ritratto casalingo di Margherita l’agiografo cambia completamente registro, dedicandosi a cercare i segni della santità in una condizione che, almeno in apparenza, è di una normalità assoluta. Tommaso mira infatti a dimostrare come la scelta penitenziale di questa fanciulla non sia sicuramente inferiore per dignità salvifica ad altre soluzioni tradizionalmente privilegiate, e che anzi il fervore con cui Margherita ha vissuto il suo santo proposito è superiore a quello di tante claustrali e contemplative: «Erubescant nostri temporis contemplativi! Quod si semel fleverint pre devotione, Christi memores, vel ad horam si semel vigilaverint solito amplius, si ieiunaverint ultra horam, mox cum Helysei puero et vere puero clamant: Caput meo doleo, Caput meum doleo. Si enim vere virtutem viri in veris anime viribus attigissent, numquam effeminati tam mitissime redderentur».37 La scrittura della Vita documenta il precoce impegno dei Domenicani nel modellare entro schemi devozionali già abbastanza stabili il comportamento delle giovani che si orientano verso la penitenza privata. Se per Tommaso da Cantimpré la

sequela Christi comporta la testimonianza, la predicazione, l’apostolato dei frati, la perfezione femminile si esprime nel silenzio, nella preghiera e nella sottomissione. Margherita non ha posizioni di potere, non interviene nel mondo, non si lascia catturare dalla tentazione di palesare i suoi carismi, come è deplorevole costume di tante donne devote: «Multe enim nostri temporis religiose, perniciosum galline habentes modum, statim clamorem produnt cum ovo ediderunt».38 Eppure la sua testimonianza appare indissolubilmente legata alla nuova realtà della presenza cittadina dei frati. La casa di Margherita, teatro delle estasi e delle visioni, non esclude i contatti con il mondo esterno e diventa epicentro di una forte domanda spirituale di conversione e di soccorso. I suoi doni perciò la vedono immediatamente coinvolta nello stesso ruolo di correzione e di ammonizione dei religiosi. Così se l’amore di Dio e l’apostolato per la salvezza delle anime sono l’essenza della religio domenicana, alle donne è riservata la parte di ventuno anni viene narrata a Tommaso nel corso di uno dei suoi viaggi dal confessore della ragazza, il domenicano Sigieri da Lilla, padre guardiano del locale convento. 37 Vita Margarete 17, p. 114; ibid. 13, p. 112: «Quod ita in ea laudabile fuit, quod eciam multis claustralibus incomparabiliter preferatur». 38 Vita Margarete 27, pp. 119-120.

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Maria, e la loro presenza ha un valore insostituibile per il successo dell’opera dei frati. Pregate per la Chiesa, pregate perché il cuore dei sacerdoti cambi, pregate per il successo dell’ordine e per la pace: era stato questo il messaggio di Giordano di Sassonia nelle lettere a Diana d’Andalò.39 Tommaso, quindi, chiudendo la sua leggenda, può consacrare Margherita e vederla ormai come parte integrante dell’Ordine: «Cum quidam ex fratribus nostris in ordine predicatorum in populo predicaturus exsurgeret, visa est manifeste Margareta cum libro aperto stare in exedra coram eo, et quasi predicanti ostendere quod dicebat. Postquam vero predicaverat frater, librum claudere visa est, subitoque disparens celorum ardua penetravit».40

6. Trascorsa la stagione eroica delle sante laiche, illustrate da grandi scrittori come Giacomo da Vitry, Ugo di Floreffe, Tommaso da Cantimpré, negli anni intorno alla metà del Duecento il repertorio agiografico della regione lascia intravedere una situazione diversa e sembra assestarsi sulla santità vestita dell’abito, a indicare anche un particolare momento santificante della storia cisterciense.41 Nonostante gli steccati innalzati dai capitoli generali, nella diocesi di Liegi si assiste a una autentica esplosione di fondazioni, e benché l’ordine non sembri in grado di assorbire la ricchezza di fermenti spirituali che percorrono il Brabante,42 dalla documentazione agiografica emergono ormai quasi esclusivamente le prudentes virgines che, sovente dopo una parentesi di vita beghinale, riescono a trovare ospitalità nei recinti cisterciensi. Gli scriptoria delle potenti abbazie di Villers e di Aulne integrano nel sinassario dell’istituto i profili delle religiose appartenenti alle case che gravitano alle loro dipendenze e sembra che i monasteri facciano a gara per selezionare nei propri giardini, come li chiamava Giacomo da Vitry, i loro gigli più belli. A differenza che in Italia, nelle Fiandre la santità mistica sembra

Sull’ideale di santità femminile domenicano, cfr. A. Bartolomei Romagnoli, Giordano di Sassonia e Diana d’Andalò: amicizia spirituale e rinnovamento religioso nel Duecento, in Come Chiara e Francesco. Storie di amicizie spirituali, a cura di M. Chiaia e F. Incampo, Milano 2007, pp. 64-81. 40 Vita Margarete 57, p. 130. 41 Sul monachesimo cisterciense nella regione, cfr. J. M. Canivez, L’ordre de Cîteaux en Belqique des origines (1132) au XXe siècle, Forges-lez-Chimay 1936; Les moniales cisterciennes dans l’ancien roman pays de Brabant, 4 voll., Bruxelles 1924-1926; S. Roisin, L’efflorescence cistercienne dans la diocèse de Liège au XIIIe siècle, in «Revue d’histoire ecclésiastique», 39 (1943), pp. 342-378. 42 J. M. Canivez, Statuta Capitulorum generalium ordinis Cisterciensis, II, Louvain 1934, p. 68, n. 16. Cfr. K. Elm, Le donne negli ordini religiosi dei secoli XII e XIII, in Chiara e il secondo ordine. Il fenomeno francescano femminile nel Salento, Atti del Convegno di Studi in occasione dell’VIII centenario della nascita di santa Chiara, Nardò, 12-13 novembre 1993, a cura di G. Andenna, B. Vetere, Galatina 1997, pp. 9-22: 1213. 39

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dunque più fortemente collegarsi alla forma monastica. Ma non si può parlare di una semplice ripetizione del passato, e non solo per il timbro nuovo che proprio la scuola cisterciense ha saputo recare alla esperienza spirituale, ma soprattutto perché il monastero non è più un hortus

conclusus, un’isola di perfezione indifferente al patrimonio di problemi e di bisogni del mondo esterno. Nonostante il progressivo irrigidirsi delle maglie claustrali, le monache cisterciensi appaiono inserite in una trama di rapporti, di relazioni umane, che conferisce alla loro vocazione religiosa una natura corale, nel comune impegno apostolico al servizio della società e della Chiesa. Questo convergere di dati apparentemente contrastanti, dove l’interiorizzazione dell’esperienza si accompagna a una forte tensione missionaria, configura un modello originale che supera il classico schema tipologico della santa monaca. Le prime biografie sono quelle delle donne della Ramée, illustrate da autori cisterciensi, non tutti identificabili, ad eccezione di Gosuin de Bossut, l’agiografo ufficile di Villers. Personalità differenti tra loro, le due Ide – Ida di Nivelles (†1231) è ancora una monacacontadina,43 mentre Ida di Léau (†1273) è una donna colta, che si dedica alla copiatura dei manoscritti44 - sono entrambe delle grandi contemplative, affamate di eucaristia, immerse nel 43

Vita Idae de Nivella Sanctimonialis in Monasterio de Rameya (BHL 4146-4147), ed. Quinque prudentes virgines, pp. 199-297: 292. La Vita è tramandata da due manoscritti del XIII secolo e degli inizi del XIV: Bibliothèque Royale de Belgique, 8895-8896, ff. 1-35; ibid. 8609-8620, ff. 146-178. Cfr. Catalogus Codicum Hagiographicarum Bibliothecae Regiae Bruxellensis, II, pp. 222-226. L’edizione di Henriquez è condotta sul codice trecentesco, mentre questa Vita non è stata pubblicata dai Bollandisti. Cfr. Roisin, Hagiographie cistercienne, pp. 54-59; P. Dinzelbacher, Ida von Nijvels Brückenvision, in «Ons Geestelijk Erf», 52 (1978), pp. 179-194 ; S. Roisin, s.v., in BS, VII, Roma 1966, coll. 640-642. Ida ha un percorso piuttosto irregolare. Trascorre gli anni dell’adolescenza tra le beghine di Nivelles, dopo essere fuggita di casa per evitare le nozze. Tre anni più tardi prende il velo nel piccolo monastero di Kerkom che professa la regola cisterciense. Vi entra per vivere in stretta povertà e avere la possibilità di comunicarsi più spesso. Poco dopo il suo arrivo, nel 1214, le monache si trasferiscono a Rameige, presso Jodoigne nel Brabante vallone. Guarita da una grave malattia per le preghiere della comunità, è dotata di grazie mistiche straordinarie: visioni, estasi, lotte con i demoni, dono di lettura dei cuori. Si parla di lei anche nella Vita di Beatrice di Nazareth che la considerava sua maestra spirituale. Si conoscono quando Beatrice sosta per un certo tempo alla Ramée per imparare l’arte di copiatura dei libri e il loro rapporto durerà sino alla morte di Ida. 44 Vita Idae Lewensis (BHL 4144), ed. P. De Buck, in AASS, Octobris, XIII, Parisiis 1859, pp. 100-135; ed. anche in Quinque prudentes virgines, pp. 440-458. L’edizione Bollandista è basata su due codici: Bibliothèque royale de Belgique, 8895-8896, ff. 36-51; Bibliothèque de l’Université de Liège, 230. Secondo il De Buck l’autore era Ugo di Floreffe, che intorno al 1228 aveva scritto la Vita di Ivetta d’Huy (Commentarius praevius, p. 104). Ma la Roisin ne escludeva la paternità per ragioni cronologiche, in quanto la Vita di Ida di Léau risale all’ultimo quarto del XIII secolo. Per analoghi motivi, pur riconducendola all’ambito cisterciense, non riteneva potesse essere opera di Goswino de Bossut, autore della Vita di Ida di Nivelles. Sembra che la biografia Ida Léau sia stata scritta poco tempo dopo la morte di lei, come prova la menzione di testimoni ancora viventi. Cfr. Roisin, Hagiographie cistercienne, pp. 63-64; Ead., s.v., in BS, VII, Roma 1966, coll. 638-639. Ida nasce a Leew, località tra Tongeren e Sint-Truiden, dove ancora bambina frequenta la locale scuola delle beghine. A tredici anni, già dotata di una preparazione di base, viene

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mistero dell’inabitazione trinitaria. La loro spiritualità è nel segno della gioia, del pieno appagamento donato dalla vita monastica. Vera discepola di Bernardo, Ida di Léau sente la divinità esultare nel suo cuore: «Felix et felix iterum dulcis Yda». Alla Ramée, che diventa presto sede di uno scriptorium importante, nella seconda decade del secolo si ferma per un certo tempo anche una novizia di Florival, Beatrice di Nazareth (12001268), per apprendere l’arte della calligrafia e della miniatura e completare così l’istruzione ricevuta nella scuola delle beghine di Borgsloom.45 Conosce la venerabile Ida di Nivelles e la sceglie come sua maestra nella vita spirituale. Ma Beatrice non è solo una esperta amanuense, come in fondo era rimasta Ida di Léau, è autrice anche in proprio, la più grande, insieme ad Hadewijch d’Anversa, tra le scrittrici del Brabante, anche se della sua opera è rimasto solo un componimento breve, redatto in antico dialetto fiammingo, Le sette maniere d’amare. Si può quindi parlare, nel suo caso, di un’autoagiografia, perché l’anonimo redattore della Vita Beatricis utilizza un Diario da lei composto in medio neerlandese. Nel Prologo il confessore delle monache di Nazareth dice di aver fatto solo opera di traduttore, ma la vera autrice del testo è Beatrice, la loro badessa, tessitrice di delicate allegorie spirituali. In realtà quest’opera è essenzialmente la storia di un’anima. La Vita si emancipa dal genere agiografico per offrire un piccolo manuale di vita interiore, in cui è possibile avvertire con forza l’eco della voce di Beatrice che parla da maestra alle sue figlie e rivela loro i segreti della “santa indifferenza”. Questa donna, che ha sperimentato tutte le ebbrezze della follia amorosa, nell’insegnamento è lucida, razionale, controllata. La madre è ben edotta sulle difficoltà della vita in religione, ne conosce i turbamenti, ha direttamente sperimentato i terribili conflitti con le forze del male, la disperazione e il disgusto, come anche i lunghi periodi di aridità e di desolazione spirituale che

ammessa nel monastero della Ramée, dove eccelle nella trascrizione dei libri liturgici. L’abbazia diventa quindi uno scriptorium importante. 45 Vita Beatricis (BHL 1062), ed. L. Reypens, Antwerpen 1964 (rist. a cura di R. De Ganck, Kalamazoo 1991). Ed. anche in Quinque prudentes virgines, pp. 1-167. Per l’edizione del Prologo, cfr. P.V. Bets, in «Analectes d’histoire ecclésiastique Belqique», 7 (1870), pp. 80-82. L’autore della Vita è rimasto anonimo. Nel ms. Bruxellensis 4459-4470, del sec. XIV, una mano posteriore aveva aggiunto in margine: «Hanc vitam conscripsit dominus Willelmus de Mechlinia monachus Haffligemensis, quondam prior in Wavria, post abbas Sancti Trudonis», ma Reypens (ed. cit., pp. 26-40) esclude la paternità del grande benedettino Guglielmo di Afflighem (†1297), e dello stesso avviso era anche la Roisin (Hagiographie cistercienne, p. 60). Su Beatrice di Nazareth, cfr. Bibliographie zur deutschen Frauenmystik. Mit einem Anhang zu Beatrijs van Nazarethnund Hadewijch, a cura di G. J. Lewis, F. Willaert, M. J. Govers, Berlin 1989. J. Huls, The Minne-Journey. Beatrice of Nazareth’s «Seven ways of minne». Mystical Process and Mystagogical Implications, Leuven-Paris-Walpole 2013.

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costellano il cammino di perfezione. Li ha combattuti con penitenze severe e aspre mortificazioni, ma alla fine li ha vinti solo spogliandosi da se stessa per lasciarsi completamente rimodellare dalla volontà di Dio. Un resa totale e incondizionata del cuore: è questo il momento che decide delle sorti della battaglia spirituale. Ma la figura forse più significativa del menologio cisterciense, tale da assurgere anche al ruolo di patrona della nazione fiamminga, è la pia Lutgarda di Tongres o di Aywières (†1246), 46 anche se l’autore della Vita non è un monaco, ma un agiografo domenicano.47 È ancora Tommaso di Cantimpré a scriverla intorno alla metà del secolo. Quasi chiusura di un cerchio, dopo i profili dedicati delle penitenti laiche l’agiografo domenicano completa il suo florilegio con il ritratto di una santa monaca. Non dimentica però le sue prime eroine e attribuisce a Cristina l’Ammirabile il merito di aver suggerito alla pia Lutgarda di lasciare il monastero benedettino di St. Trond per farsi cisterciense ad Aywières. All’amica che esita perché questa comunità è francofona, mentre lei parla solo il fiammingo, Cristina dà un consiglio folgorante, che anticipa Meister Eckhart: «Ubicumque enim Christus, ibi et paradisus est».48 46

Thomas Cantimpratanus, Vita Lutgardis virginis in Aquiriae Brabantia (BHL 4950), in AASS, Iunii, III, Antverpiae 1701, pp. 234-63. Per la versione fiamminga cfr. Thomas van Cantimprés, Ontmoetingen met Lutgart van Tongeren, benedictines en cisterciënzerin (1182-1246-1996). III. Thomas van Cantimprés Vita Lutgardis. Nederlandse vertaling van de tweede versie naar handschrift Brussel, Koninklijke Bibliothek Albert I 8609-8620, ed. G. Hendrix, Leuven 1997 (Documenta libraria, 17. Bibliotheca auctorum, traductorum et scriptorum Ordinis cisterciensis, 4). Per le versioni in olandese medio, cfr. J. Van Mierlo, Willem van Afflighem en ‘Het Leven van Jesus en het Leven van Sinte Lutgart’s, Gent 1935; J.H. Bormans, Het Leven van Sinte Lutgardis, in «De Dietsche Warande», 3 (1857), pp. 37-62, 132-165, 285-322; 4 (1858), pp. 155-170, 267-302. 47 Cfr. S. Roisin, Sainte Lutgarde, in «Collectanea Ordinis Cisterciensium Reformatorum», 8 (1946), pp. 161-172; A. van Roy, Lutgardis, Brugge 1946; Th. Merton, What are these Wounds? The Life of a Cistercian Mystic. Saint Lutgard of Aywières, Milwaukee 1950; A. Deboutte, Lutgart als mystieke heilige, in Sint Lutgart. Tentoonstellingskataloog, Bruges 1974, pp. 52-68; Id., Sainte Lutgarde et sa spiritualité, in «Collectanea cisterciensia», 44 (1982), pp. 73-87; P. Dinzelbacher, Das Christusbild der hl. Lutgard von Tongeren im Rahmen der passionsmystik und Bildkunst des 12. und 13. Jahrhunderts, in «Ons Geestelijk Erf», 56 (1982), pp. 217-76 ; M. Cowley, Lutgardis of Aywières, in «Benedictina», 1 (1984), pp. 21-48; E. Stolfi, Le visioni nella «Vita Lutgardis», in «Rivista cisterciense», 8 (1991), pp. 265-310; M. King, The Dove at the Window: The Ascent of the Soul in Thomas de Cantimpré’s Life of Lutgard of Aywières, in Medieval Religious Women. III. Hidden Springs. Cistercians Monastic Women, Kalamazoo 1995, pp. 225-253; A. Bussels, Saint Lutgard’s Mystical Spirituality, ibid., pp. 211-223 [rist. in «Cistercium», 220 (2000), pp. 777791]; A. Deboutte, The Vita Lutgardis of Thomas of Cantimpré, ibid., pp. 255-281; M. Van Uytfange, s.v., in Il grande libro dei Santi, II, pp. 1269-1271. Sulle reti di amicizie spirituali cfr. A.-L. Méril-Bellini delle Stelle, Lutgarde d’Aywières et son entourage. Rapports de genre dans les monastères féminins du XIII e siècle d’après la Vie de Lutgarde d’Aywières, in «Clio», 29 (2009), pp. 225-242; Ead., L’écriture de l’amitié spirituelle dans l’oeuvre hagiographique de Thomas de Cantimpré (1200 ca. -1265/70), in «Médiévales», 64 (2013), pp. 135-152; Ead., Faire connaissance avec une mulier religiosa dans les Pays-Bas méridionaux du XIIIe siècle, in «Bulletin du Centre d’études médévales d’Auxerre», 18 (2014), pp. 2-16. 48 Vita Lutgardis, I, 2, p. 242: «Posito enim quod Infernus aequiparari non poterit simpliciter Paradiso, tamen fuit approbanda responsio; quoniam magis eligendum est, esse in quocumque loco cum summo et

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Tommaso da Cantimpré scrive la Vita Lutgardis su committenza della badessa di Aywières, Hadewijch, che deve fronteggiare una crisi disciplinare all’interno della comunità, in un periodo in cui le maglie claustrali si vanno progressivamente stringendo. Così Tommaso, che di Lutgarda era stato confessore e figlio spirituale, spiega alle cisterciensi il significato mistico della clausura intesa come simbolo centrale, essenza stessa della vita monastica. Parla loro di uno spazio atopico, in cui è possibile vivere in termini radicali l’incontro con Dio, il non-luogo in cui Lutgarda, afasica e cieca, parla, sola, ab-soluta, a Dio solo. Ma la scrittura di un domenicano non è senza resto sul piano della rappresentazione agiografica e la mistica di Lutgarda non è più la stessa delle due Ide, le sante vergini della Ramée, ma nemmeno di Beatrice. Tommaso ne trascrive l’esperienza secondo il simbolismo sponsale, un discorso ben noto alle cisterciensi: è il linguaggio del matrimonio dell’anima con il Verbo, lo stesso di Guillaume de St. Thierry, di Bernardo di Chiaravalle, ma anche di Riccardo di S. Vittore, alla cui scuola spirituale lo stesso Tommaso si era formato negli anni della sua giovinezza studiosa a Cantimpré.49 Ma la mistica bernardina trova nella Vita Lutgardis una correzione decisiva, perché ormai il cristocentrismo è assoluto e se l’intensità affettiva della relazione non muta, né la dimensione di reciprocità amorosa, cambia il volto dello Sposo a cui Lutgarda si lega. Il Cristo che le appare in visione per reclamare il suo amore non è il potente Signore a cui la madre, mettendola in monastero, l’aveva destinata, ma il Cristo crocefisso, l’uomo dei dolori, piagato e sofferente. Il rapporto con Gesù si realizza nelle nozze secondo la tradizione cisterciense, ma l’unione ha come luogo necessario la croce. Il Dio-uomo di Lutgarda è lo stesso Dio di Francesco, non più quello di Bernardo e della spiritualità monastica occidentale, è, usando un’espressione di Leonardi, «il Dio dei dolori, non

increato bono; quam in loco quantumcumque bono, vel terrestri vel empyreo Paradiso cum quolibet creato bono. Digne ergo, ad verba Christinae confirmata, pia Lutgardis offert ad omnia se paratam; neque enim fuit difficile aliquid persuadere Lutgardi, in quo perfectioris vitae sanctimonia videretur». 49 C. Leonardi, Guglielmo di Saint-Thierry e la storia del monachesimo, in Guillaume de Saint-Thierry, La Lettera d’oro, Firenze 1983, pp. 5-42; ristampato in Id., Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, a cura di F. Santi, Firenze 2004, pp. 507-536. Si veda anche Id., La teologia monastica, in Lo spazio letterario del Medioevo. I. Il Medioevo latino I/2, Roma 1993, pp. 295-321; ristampato con il titolo C’è una teologia monastica nel Medioevo?, in Medioevo latino, pp. 443-465.

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degli splendori».50 Per questo la cisterciense Lutgarda, giudicata da Maria di Oignies la donna più potente del suo tempo,51 potrà essere chiamata «madre e nutrice dell’Ordine domenicano».52

7. Sarà all’interno di questa prospettiva che si svolgerà ormai l’esperienza femminile, quella di una mistica unitiva e insieme soteriologica, e il modello consegnato da Tommaso di Cantimpré diventa dominante nell’agiografia del tempo. Così Aleydis di Schaerbeek (†1250),53 “la lebbrosa”, riesce a tematizzare la teologia della riparazione, enunciando con chiarezza il valore costruttivo e l’energia spirituale della sofferenza quando essa viene offerta nel segno della croce.54 Se Lutgarda, anticipando le monache di Helfta, fonda la devozione al cuore di Gesù, come metafora centrale della sua esperienza religiosa, la dolcissima e sventurata Aleydis, divorata da una malattia gioiosamente accettata, indica la via maestra della santità femminile come scuola del “puro patire”.

C. Leonardi, Chiara e Berengario. L’agiografia sulla santa di Montefalco, in Agiografie medievali, a cura di A. Degl’Innocenti, F. Santi, Firenze 2011 (Millennio Medievale, 89 – Strumenti e studi, n.s., 28), pp. 577-594: 589. 51 Tommaso da Cantimpré riferisce che sul suo letto di morte Maria di Oignies aveva profetizzato che non vi sarebbe stato nessuno più forte di Lutgarda nell’ottenere da Dio la salvezza delle anime: «Quod autem preces et ieiunii atque labore B. Lutgardis virtutem magnam haberent, in morte testata est illa beatissima Mariae de Oignies, ubi velo ipsius caput suum velans ac ligans, spiritu prophetiae tacta praedixit: “Sub coelo, ait, non habet mundus Domina Lutgarde fideliorem, et magis efficacem in precibus pro liberandis animabus a Purgatorio, et pro peccatoribus exoratricem. Spiritualia miracula in vita sua nunc facit; corporalia post mortem efficiet”. Quam vera ista sint, multi et in vita eius experti sunt, et post mortem; sicut postea praesens scriptura testabitur, non desinit operari» (Vita Lutgardis, II, 1, p. 245). 52 Vita Lutgardis, III, 1, p. 254: «Igitur dictum venerabilem virum Lutgardis mire in vita dilexerat, et ipse ei super omnes feminas confidebat, adeo ut eam totius Ordinis Praedicatorum matrem constitueret et nutricem: quam etiam super omnes Ordines devotam et sedulam vidimus erga Fratres; unde et pro eis specialiter quotidie sedulum Deo obsequium exhibebat». 53 Vita Aleydis Scharembekanae (BHL 264), ed. G. Henschen, in AASS, Iunii, II, Antverpiae 1698, pp. 476-483. Cfr. anche Quinque prudentes virgines, pp. 168-98. L’edizione bollandista è stata condotta su tre manoscritti: Vienne, Bibliothèque Nationale, 9363, ff. 248-52 (il codice, proveniente da Rouge Cloître, contiene l’Hagiologium Brabantinorum di Jean Gielemans, redatto tra il 1485-1487, e riporta anche le Vite di Maria di Oignies, Ida di Lovanio, Ida di Nivelles, Ida di Léau, Lutgarda di Aywières, Giuliana di Cornillon, Cristina l’Ammirabile, Beatrice di Nazareth); Bibliothèque Royale de Belgique, 4459-4470, ff. 46-55 (cod. proveniente dal priorato di S. Martino a Lovanio, che lo acquisì da Villers con uno scambio); ibid., 8609-8620 (proveniente da Corsendonck, priorato dei canonici agostiniani di S. Martino presso Anversa; fu in possesso dello Henschen). 54 M. Cawley, The Life of Alice and the Silver Age at Villers, in «Cistercian Studies Quarterly», 31 (1996), pp. 51-74; A. M. Sorrentino, Aleide di Schaerbeck, monaca cistercense del sec. XIII, in «Rivista cisterciense», 13 (1996), pp. 3-20; C. Waddell, Alice de la Cambre: regards sur sa vie, in «Collectanea Cisterciensia», 6 (2004), pp. 83-96; E. Campion, Bernard and Alice the Leper: An Odor of Life for Some, in «Cistercian Studies Quarterly», 39 (2004), pp. 127-139; E. Mikkers, Aleydis von Schaerbeek: Ikone einer Zisterzienserin, Anmerkungen zu ausgewählten Abschnitten ihrer Vita, in «Cistercienser Chronik», 113 (2006), pp. 247-262. 50

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Ed è su questa linea di approfondimento dell’esperienza dolorifica che si collocano, ormai nella seconda metà del Duecento, le stigmatizzate Elisabetta di Spalbeek e Ida di Lovanio. Il rapporto stilato tra il 1268 e il 1272 da Filippo, abate di Clairvaux (†1273), su Elisabetta (†1304) è uno dei primi esempi in assoluto del genere della “inchiesta in vita”.55 Si tratta dell’autorevole ratifica, da parte di un ecclesiastico di rango, dei doni mistici di Elisabetta, e soprattutto dell’eccezionale fenomeno delle stigmate, in un tempo in cui non si sono ancora spenti gli echi delle polemiche esplose intorno al miracolo della Verna: «audita videre volui, visa scrutari». Egli ha quindi modo di constatare che Elisabetta rivive nelle sue estasi tutti i momenti della Passione e sangue vivo sgorga dalle ferite delle sue piaghe. Per il suo esaminatore Elisabetta è quindi un

alter Franciscus, e anche la prima donna in assoluto a condividerne il privilegio delle stimmate. Ma già prima dell’abate di Clairvaux del caso della fanciulla si erano interessati i Domenicani, come riferisce Tommaso da Cantimpré nel suo famoso trattato sulla vita delle api.56 Dopo aver contestato il miracolo della Verna,57 i Predicatori cambiano strategia, per affermare che la stimmatizzazione non è un monopolio esclusivo del padre serafico dell’Ordine dei Minori, ma un mistero che riguarda la santità della persona, di ogni persona. Come scriverà Tommaso da Siena nella sua defensio delle stimmate di Caterina da Siena, riprendendo anche l’autorevole

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Vita Elisabeth (BHL 2484), ed. in Catalogus Codicum Hagiographicarum Bibliothecae regiae Bruxellensis, I, t. 1, Bruxelles 1886, pp. 362-378. Oltre alla testimonianza di Filippo, su Elisabetta si possiedono un rapporto del vescovo di Liegi e il racconto di una visita di Ricolf, abate di Eberbach. Cfr. Namèche, Histoire Nationale, II, t. 4, pp. 576-588; Vita sancti Conradi, in «Analecta Bollandiana», 55 (1937), pp. 93-94. Altri particolari biografici dà Gielemans nel 1485-1487. Cfr. G. Geenen, s.v., in BS, IV Roma 1964, coll. 1100-1109. Filippo, abate di Chiaravalle (†1273) la conobbe durante la sua visita canonica all’abbazia di Herkenrode nel 1267, quando Elisabetta aveva vent’anni. Viveva con la madre e le sorelle, confinata in una camera a causa di una grave malattia. Guidata spiritualmente da Guglielmo di Rijckel, abate benedettino di St. Trond, per incarico del vescovo di Liegi, aveva grazie mistiche particolari e fu la prima donna ad avere le stimmate dopo san Francesco. Fu lo stesso Gugliemo a costruire un piccolo oratorium competens presso la camera di Elisabetta dove veniva celebrata la messa, in modo che attraverso una grata la malata potesse assistervi. La biografia si sofferma sull’età di vent’anni, ma qualche dato ulteriore è rintracciabile in un rapporto del vescovo di Liegi e nel racconto di una visita fatta alla santa da Ricolf, abate cisterciense di Eberbach. Ulteriori dati si possono rinvenire nella biografia del Gielemans, scritta verso il 1485-87. Secondo documenti tardivi Elisabetta sarebbe diventata dopo la visita di Filippo o dopo la morte di Guglielmo nel 1272 monaca cisterciense di Herkenrode. Cfr. W. Simons, J. E. Ziegler, Phenomenal religion in the thirteenth century and its image: Elisabeth Spalbeek and the Passion cult, in Women in the Church, a cura di W. J. Sheils, D. Wood, Oxford 1990, pp. 117-126; S. Rodgers, J. E. Ziegler, Elisabeth of Spalbeek’s Trance Dance of Faith: A Performance Theory Interpretation from Anthropological and Art Historical Perspectives, in Performance and Transformation: New Approaches to Late Medieval Spirituality, cur. M. A. Suydam, J. A. Ziegler, New York 1999, pp. 299-355. 56 Cfr. Thomas Cantimpratanus, Bonum universale de apibus, Duaci 1627, p. 105. 57 A. Vauchez, Les stigmates de saint François et leurs détracteurs au Moyen Age, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 80 (1968), pp. 595-625.

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precedente della fanciulla del Brabante: «Le stimmate possono essere ricevute da chiunque e a chiunque possono essere elargite dal Signore secondo la sua volontà».58 Sul declinare del Duecento, i bianchi gigli del Cistercio vengono arrossati dal sangue di un’altra stimmatizzata: è Ida di Lovanio (1230/40-1300), la cui Vita è redatta da un anonimo compilatore sulla base degli appunti del suo confessore.59 La terza Ida approda a Rosendaal dopo una giovinezza difficile, segnata dalla crudeltà del padre, un borghese affarista che non comprende le profonde esigenze spirituali della figlia, la quale è invece pronta a scalare le vette estreme dell’abiezione e del disprezzo. L’esistenza di questa creatura reietta è posta sotto il segno della fame eucaristica e della compassio, della spoliazione e del dono, sino a ricevere il dono delle stimmate e la corona di spine. Per fuggire la curiosità e la devozione della gente, come farà Caterina da Siena dopo di lei, chiede ferite invisibili. Viene accontentata: le piaghe scompaiono, ma non i dolori. Non immediatamente ascrivibile al menologio cisterciense, anche se spiritualmente vicina al monachesimo riformato, è invece la grande Giuliana di Mont-Cornillon (1191/2-1258), alla cui potenza visionaria si deve l’istituzione della festa del Corpus Domini nella diocesi di Liegi, in cui nel 1246 trova consacrazione liturgica il movimento eucaristico che segna in profondità il Duecento fiammingo.60 Ma i successi non le evitano le sofferenze di una vita difficile e 58

Thomas Antonii de Senis «Caffarini», Libellus de Supplemento Legende Prolixe Virginis Beate Catherine de Senis, primum ediderunt I. Cavallini e I. Foralosso, Roma 1974 (Testi Cateriniani, 3), p. 152: «Prima est quod stigmata dicto modo sumpta possunt recipi a quocumque, et cuilibet homini utriusque sexus possunt a Domino, iuxta suum beneplacitum, elargiri. Secunda, quod Deus potest illa comunicare et imprimere cuicumque apparendo vel non apparendo, et hoc eque formiter vel difformiter et plus vel minus, hoc est secundum maiorem vel minorem evidentiam, vel dolorem vel affectionem et conformitatem ad illa Christi». Su questo punto rinvio ad A. Bartolomei Romagnoli, La disputa sulle stimmate, in ‘Virgo digna coelo’. Caterina e la sua eredità. Raccolta di studi in occasione del 550° anniversario della canonizzazione di santa Caterina da Siena (1461-2011), a cura di A. Bartolomei Romagnoli, L. Cinelli, P. Piatti, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013 (Pontificio Comitato di Scienze storiche - Provincia romana ‘Santa Caterina da Siena’ dell’Ordine dei Predicatori - “Memorie Domenicane”/ Atti e Documenti, 35), pp. 407-446. 59 Vita Idae Lovaniensis (BHL 4145), in AASS, Aprilis, II, Parisiis 1866, pp. 156-189; Quinque prudentes virgines, pp. 298-439. Biografia scritta da un autore che raccoglie le stesse confidenze del confessore della monaca, Ugo, che assiste le monache di Roseendaal. Fin da bambina la sua vita è caratterizzata da numerosi fenomeni mistici. Entra quindi nel monastero cisterciense di Val-des-Roses presso Malines. La santa ebbe contatti con gli ambienti beghinali e con i Domenicani. Cfr. S. Roisin, s.v., in BS, VII, Roma 1966, coll. 639-640. 60 Vita b. Iulianae priorissae Montis Cornelii apud Leodium (BHL 4521), in AASS, Aprilis, I, Antverpiae 1675, pp. 437-475; Vie de sainte Julienne de Cornillon, ed. J. P. Delville, Louvain-la-Neuve 1999 (Publications de l’Institut d’Etudes médiévales, Textes, Etudes, Congrès, 19/2). Per studi su di lei, cfr. B. Newman, The Life of Blessed Iuliana of Mont-Cornillon. An Introduction and Excerpts, in «Vox Benedictina», 5 (1988), pp. 135-163; A. Wankenne, Trois saintes mystiques en pays belge au XIIIe siècle.

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contrastata. La sua legenda viene scritta tra il 1261 e il 1264 da un chierico del capitolo della collegiata di S. Martino di Liegi che raccoglie le memorie della reclusa Eva, amica spirituale e protettrice di Giuliana.61 La struttura narrativa di questa Vita è più tradizionale. L’autore ha infatti una forte sensibilità storica, e disegna un vero e proprio affresco della società di Liegi nel Duecento. Del resto Giuliana è una donna pienamente coinvolta nella realtà del suo tempo, che vive in un contesto di forti conflittualità, e appare evidente nell’agiografo la volontà di difenderne l’operato dai molti denigratori, presentandola come vittima innocente e perseguitata di oscuri interessi politici ed economici, che gravitano intorno all’ospedale di Mont-Cornillon, di cui è priora. Diretta emanazione della pietà civica, la «novella plantatio», la cui organizzazione è assai simile a quella degli enti pubblici che stanno sorgendo nei principali centri cittadini italiani, è gestita da una comunità doppia di fratelli e sorelle che seguono la regola agostiniana, e misto è anche lo stile di vita dei membri, spartito tra la preghiera e la contemplazione e le opere di carità e assistenza. Bandita dall’ospedale, la priora di MontCornillon trascorre i suoi ultimi anni in un sofferto randagismo trovando protezione presso le monache cisterciensi, e muore in solitudine, senza vedere che la festa per cui ha tanto lottato è stata inscritta tra le solennità della Chiesa universale.62 Marie d’Oignies, Lutgarde d’Aywères et Julienne de Cornillon, in «Collectanea cisterciensia», 54 (1992), pp. 301-309; M. Xavier Hermand, in Il grande libro dei Santi, dir. C. Leonardi, A. Riccardi, G. Zarri, Cinisello Balsamo (Milano) 1998, II, pp. 965-966. 61 All’età di cinque anni Giuliana, rimasta orfana, viene affidata al priorato di Mont-Cornillon, comunità doppia di regola agostiniana. Legge e scrive correntemente in francese e in latino. Nel 1240 diventa priora, ma entra in conflitto con il superiore della comunità maschile, perché giudica che la disciplina dell’istituto sia troppo rilassata. Questi è dunque costretto a ritirarsi per l’intervento del principe-vescovo di Liegi Roberto di Thourotte (1242). Dopo la morte del vescovo, nel 1246, e venuta meno la sua protezione, è la volta di Giuliana. Lascia la città di Liegi e con alcune monache si ritira presso le cisterciensi di Robertmont, e poi di Val-Benoit e di Val Notre-Dame. Infine la comunità raggiunge Namur per porsi sotto l’obbedienza della badessa del monastero di Salzinnes. In seguito a disordini della comunità, Giuliana viene accolta a Fosses, dove muore il 5 aprile 1258. L’episodio centrale della sua vita riguarda l’incarico ricevuto da Cristo di promuovere la festa del Corpus Domini, colmando così un vuoto nel calendario liturgico. In questo senso è da intendersi il significato di una visione ricorrente, che perseguita Giuliana: quella della luna che le appare come un astro incompleto. Dopo molte esitazioni la beata confida le sue visioni eucaristiche alla reclusa Eva e a Isabella, beghina di Huy, e quindi monaca a Cornillon, che la esortano a comunicarle a Giovanni di Losanna, canonico della collegiata di S. Martino di Liegi. Dopo una consultazione cui partecipa anche Giacomo Pantaleone di Troyes, il futuro Urbano IV e Ugo di St. Cher, si decide di istituire la solennità del SS. Sacramento. Giuliana affida il compito di redigere l’ufficio a Giovanni, il nuovo priore del monastero. L’istituzione della nuova festa incontra però numerose opposizioni, che vengono superate nel giugno del 1246 da Robert de Thourotte. Nonostante questi contrasti, dopo la morte di Giuliana la solennità del Corpus Domini viene estesa dalla diocesi di Liegi alla Chiesa universale anche per l’intervento di Urbano IV (bolla Transiturus de hoc mundo). Clemente V la riconferma al tempo del Concilio di Vienne (1312) e Giovanni XXII la inserisce nelle Clementine. 62 Cfr. The Feast of Corpus Christi, ed. by B. Walters, V.J. Corrigan, P. Ricketts, Philadelphia 2006.

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Con Ida di Lovanio si chiude anche il gran secolo dell’agiografia femminile nel Brabante, poi c’è il silenzio. All’estremo limitare del Medioevo, mentre una tradizione si allontana, l’onda con la sua risacca lascia sulla riva una sopravvissuta: è Lidwina di Schiedam (†1433).63 Rimasta zoppa dopo una caduta sui pattini, col suo corpo essa porterà al limite estremo ogni possibile forma di eccesso, dal digiuno alla malattia: piaghe, infezioni, vomito, febbri, paralisi, emicranie, epilessia. Ma non trova monastero che l’accolga, mentre il paesaggio che abita è ormai cambiato. La “frenetica” è sentita come una minaccia entro l’universo regolato della devotio moderna, la sua sopravvivenza mette in crisi le certezze della medicina. Anche i suoi confessori non hanno più gli strumenti per trattarla e interpretare il suo linguaggio. La mistica della passione è diventata ormai un problema di igiene sociale. Oggetto di una curiosità morbosa, divisa tra gli opposti partiti dell’ostilità e dell’ammirazione, di lei si occupano le autorità cittadine e l’ausiliare di Utrecht, mentre le guardie comunali la sorvegliano notte e giorno per verificare che non prenda cibo di nascosto. Nel 1420-21 la magistratura di Schiedam chiude il caso stilando infine un rapporto ufficiale dal quale risulta che la sua inedia non è simulata. Viene lasciata in pace e muore, sola, il martedì dopo Pasqua del 1433.

8.

L’agiografia del gran secolo fiammingo sembra dunque riconducibile a due aree di

produzione. Agli inizi del Duecento un piccolo movimento di teologi, scrittori e intellettuali di grande livello provenienti dagli ambienti canonicali, si mette in ascolto delle voci che ne umiliano la competenza e inaugura la nuova stirpe degli agiografi-confessori. Uscendo dai chiostri, la pratica della direzione spirituale e la confessione auricolare strappano alle opacità sociali il materiale con il quale è possibile costruire la moderna letteratura edificante. Scritture sperimentali, segnate dall’istanza comune di riarticolare nel linguaggio ecclesiale i percorsi privati: il fine è anche quello di strappare i fedeli al richiamo delle eresie popolari e dei movimenti eterodossi. 63

Vita Lidwigis seu Lidwinae Schiedamensis (BHL 4922-4927), in AASS, Aprilis, II, Parisiis 1865, pp. 270-361 (la Littera testimonialis è pubblicata alle pp. 304-305). I Bollandisti pubblicano due stesure diverse di una Vita latina, attribuendole entrambe a Johannes Brugman, ma in realtà opera di Ugo, un agostiniano di Windesheim (prima del 1440), e di Tommaso da Kempis (ca 1448). La versione originale, in fiammingo, venne redatta da Jan Gerlachszoon poco tempo dopo la morte della santa. Cfr. Tleven van Liedwy, die maghet van Schiedam, ed. L. Jongen, C. Schotel, Hilversum 1994. Per una ricostruzione storica della vita, cfr. H. van Oerle, Tleven van Liedwy, die maghet van Schiedam, in «Ons Geestelijk Erf», 54 (1980), pp. 241266; Id., Eenre maghet genoemt Lydewy Petersdochter, ibid., 58 (1984), pp. 322-350. Ottima anche la voce curata da R. Guarnieri, in Il grande libro dei Santi, II, pp. 1209-1211.

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Ancora legate a una ratio conventuale sono invece le Vite delle sante monache, dove l’autorialità è meno spiccata e i modelli di perfezione più omogenei. Nella cultura religiosa delle Fiandre e del Brabante appare subito decisivo il riferimento a Bernardo di Chiaravalle, alla sua mistica della Trinità e dell’amore, che nel XII secolo aveva indicato una via che potesse colmare nella gioia della comunione spirituale la distanza abissale tra Dio e la creatura. È un messaggio, quello della simbolica nuziale, che trova un ascolto privilegiato nei monasteri femminili cisterciensi. Una fitta rete di amicizie spirituali rende tuttavia questi due ambienti molto permeabili, ed è possibile cogliere, nell’arco del Duecento, una sottile, ma profonda e decisiva evoluzione della sensibilità e del vissuto religioso. La mistica bernardina, quadro di riferimento dell’esperienza delle monache, si arricchisce infatti di temi nuovi. Intorno alla metà del secolo, la Vita di Lutgarda di Aywières rappresenta un momento di superamento e di sintesi destinato a conoscere una lunga posterità spirituale, e a segnare un modello di santità femminile che andrà ben oltre i confini delle Fiandre e del Brabante.

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