I profili del Greco. Review of the exhibition \"Arte y Oficio\", Toledo, Museo de Santa Cruz

September 11, 2017 | Autor: Michele Di Monte | Categoría: Spanish painting, El Greco, Art and Religion
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Michele Di Monte

I profili del Greco

Come si può vedere El Greco, oggi? La domanda, in effetti, potrà suscitare qualche perplessità, e forse si potrebbe banalmente rispondere che è sufficiente andare dove le opere del pittore sono conservate ed esposte. Quest’anno, inoltre, che è l’anno del quarto centenario della morte (1614), le occasioni non sono certo mancate, soprattutto in Spagna, ovviamente, e a Toledo in particolare, dove fino a dicembre si fa ancora in tempo a visitare “El Greco. Arte y Oficio”, che riunisce un nucleo notevole di dipinti importanti, del maestro e della sua bottega. Ma questa è la parte facile. Il difficile viene dopo, di fronte alle opere, dove dare un’occhiata non basta. Non basta se uno vuole vedere, appunto, e non limitarsi a guardare. Anche al visitatore più distratto e frettoloso, infatti, le figure del Greco appariranno quanto meno “strane”, insieme lontane eppure, a loro modo, familiari, per non usare il fatidico aggettivo: “moderne”. Tele che pullulano di Cristi, Madonne, Apostoli, martiri e tutto il sacrosanto repertorio dell’iconografia religiosa tradizionale, e nondimeno in un linguaggio visivo di un’audacia, letteralmente, senza paragoni, che paradossalmente ricorda piuttosto le forme della pittura del Novecento, dall’Espressionismo al Cubismo e oltre. Non per caso, d’altra parte, dato che proprio le avanguardie artistiche del secolo scorso – sempre ansiose di rompere con il passato prossimo, ma sempre altrettanto bisognose di cercarsi degli antesignani, dei precursori, dei padri spirituali putativi, nel passato remoto –hanno contribuito, e non poco, a “riscoprire” il genio del Greco. Ma delle peripezie dell’arte del Novecento El Greco, ovviamente, non sapeva nulla. E allora, come spiegare il suo modo di dipingere così irriducibilmente idiosincratico? Sotto quale angolatura osservarlo correttamente? La questione del punto di vista è meno metaforica di quanto si potrebbe credere, e la domanda non è da profano. La critica moderna, almeno da un secolo a questa parte, ha scomodato gli strumenti più diversi per cercare di farsi una ragione dello stile del Greco, dalla psicopatologia all’oftalmologia. Si sono invocate turbe psichiche e caratteriali, una sensibilità esasperata e abnorme, se non addirittura deforme, come le sue immagini; si è persino supposto che le sue figure simili a pinnacoli fiammeggianti dovessero imputarsi a un difetto visivo, una forma di grave astigmatismo, e lo si è ripetuto a dispetto del fatto – ovvio e comunque più volte rilevato – che se davvero il pittore fosse stato astigmatico avrebbe visto astigmaticamente anche ciò che dipingeva sulla tela e dunque ai nostri occhi nei suoi quadri non dovrebbe risultare alcuna anomalia. 1

Ma i cliché sono duri a morire, e per molti una spiegazione patentemente sballata è sempre meglio che nessuna spiegazione. Così, il profilo neurologico del Greco, volenti o nolenti, ha proiettato la sua ombra anche su un più sobrio e documentato profilo sociologico. A questo proposito, oggi sappiamo molto più di quanto si sapesse un secolo fa, ai tempi degli studi pionieristici di Manuel Cossío, e gli apparati che hanno accompagnato le mostre spagnole di quest’anno, compresa l’ultima toledana, danno conto di queste più recenti scoperte e acquisizioni. Si tratta allora di demistificare la vecchia immagine, un po’ bigotta e un po’ ideologica, del pittore fanatico della Controriforma spagnola, e tuttavia, il “nuovo” ritratto di El Greco che emerge da tali ricerche, alla fine, non pare poi tanto inedito: pittore eccentrico e anticonformista, orgoglioso e intrattabile, poco devoto e anche un tantino anticlericale, persino “libertino”, ancorché intellettuale comunque. Non si fatica a riconoscervi un profilo piuttosto stereotipato. Se saltasse fuori che aveva pure passato a fil di spada qualche malcapitato – le buone lame a Toledo non mancavano – e poi fosse stato perseguitato dalla giustizia, il quadro riuscirebbe perfetto. Il che, per l’epoca, non sarebbe neppure improbabile, e basti pensare, per non andare troppo lontano, a Francisco de Quevedo, il quale, pur essendo gravemente miope (lui sì, di sicuro) e finanche un po’ sciancato sguainava la spada con la stessa disinvoltura con cui sfoderava la penna. Ma, si sa, nell’immaginario odierno, il pittore “assassino” fa più sensazione dello scrittore spadaccino. Insomma, siamo di fronte a un altro artista maudit, o quasi? Sì e no. Come in tutti i ritratti, ci sono sempre due profili possibili, e così anche l’immagine del Greco mistico e visionario alumbrado continua a resistere, dopotutto, dai tempi di Maurice Barrés. D’altra parte, gli storici non amano trascurare le coincidenze, e a questo riguardo ce ne sono di suggestive. Forse è solo un caso che nel 1577, mentre El Greco si accingeva a lavorare sull’Expolio per la Cattedrale di Toledo – ancora oggi visione imperdibile nella sacrestia della chiesa – Teresa d’Avila, chiusa per scelta nelle stanze del convento di San José della stessa città, scriveva El castillo interior, e Giovanni della Croce, recluso per forza nel convento dei Carmelitani affacciato sul Tago, a meno di un chilometro di distanza dalla cattedrale, componeva La noche oscura del alma, sublime vertice della mistica spagnola, e non solo. Forse è un caso, appunto, però è difficile resistere alla tentazione di vedere le tele del Greco anche in questa luce, anzi, meglio, in questo cono d’ombra profonda; e di riconoscere, per esempio, qualcosa di quella noche oscura nel misterioso sole notturno che assieme alla luna balugina sul ponte di Alcantara ai piedi dell’Immacolata nell’Assunzione della cappella Oballe (oggi al Museo de Santa Cruz). Strana miscela, abbiamo detto. D’altronde, “strano”, nel senso etimologico del termine, ero lo stesso Theotokopulos. Lasciò l’isola dove era nato, Creta, che evidentemente gli andava stretta; da madonnero divenne pittore alla moda in Italia, a Venezia e a Roma, quanto dire le capitali indiscusse dell’Artworld di allora; poi, non contento, se ne andò a Madrid, dove però non piacque 2

più di tanto al Re Cattolicissimo, Filippo II; e infine, per quasi quarant’anni, in provincia, a Toledo, non esattamente l’ombelico del mondo, almeno sulla carta. Però, per tutta la vita fu visto in fondo come uno straniero, firmò in lettere greche le sue opere e per tutti fu “El Greco” – che all’epoca, ricordiamolo, voleva dire bizantino. Una combinazione occidentale-orientale che non poteva restare inerte. E si capisce che nel giustamente celebre Entierro del Conde de Orgaz – una delle invenzioni più straordinarie della pittura europea del Cinquecento, che ripaga, da solo, il pellegrinaggio a Toledo – si possano scorgere, oltre i ritratti compunti di hidalgos e caballeros, le trionfanti teofanie veronesiane e insieme l’antica immagine della Koimesis, la Dormitio Virginis delle icone bizantine. Eppure, con un italianissimo senso della sprezzatura, degno di Baldassarre Castiglione, il pittore ammetteva che in effetti nell’Entierro c’era la sua opera migliore, ma si riferiva al figlio, Jorge Manuel, ritratto in primissimo piano e sulla cui effigie El Greco pose la firma e la data (1578) della creazione, non del dipinto, del bambino. Il pittore entra ed esce dalla propria opera, giustamente, a piacimento. Non bisogna essere un santo per dipingere la santità né un folle per rappresentare la follia, non più di quanto bisogna essere Madame Bovary per scrivere Madame Bovary, come ricordava opportunamente Flaubert. Il punto, in definitiva, non è dunque se El Greco sia stato più o meno fedele interprete dello spirito della sua epoca, ammesso che esista uno spirito del genere, ma, semmai, il contrario. Si ripete spesso che gli artisti, soprattutto i grandi artisti, siano sempre figli del proprio tempo. Sarà anche vero. Ma allora bisognerà precisare, per restare in metafora, che ci sono figli legittimi e meno legittimi, figli adottivi e, perfino, figli di ignoti. E in verità, ancora più paradossalmente, c’è anche qualcuno che sembra assommare le diverse condizioni. El Greco è certamente uno di questi. Ma allora, dopotutto, pare lecito chiedersi: non ci si può limitare a guardare e basta, con i nostri occhi, così come viene? Si può certamente, a patto che non ci ponga questa stessa domanda. Dopodiché non si può più essere spettatori ingenui, non più ingenui di quanto fosse il pittore. Benvenuti nel club!

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