Filosofia e musica: bilanci, prospettive

June 7, 2017 | Autor: Riccardo Martinelli | Categoría: Theodor Adorno, Philosophy of Music, Analytic Aesthetics
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Filosofia e musica: bilanci, prospettive di Riccardo Martinelli Nuova informazione bibliografica, anno X, n. 1 / Gennaio-Marzo 2013, 123-133.

1. Dimenticare Adorno? Alcuni decenni or sono, la filosofia della musica era, o sembrava, una disciplina ben attestata nel panorama editoriale e accademico, in Italia e non solo. Soprattutto l’opera di Theodor W. Adorno offriva un punto di riferimento tematico e stilistico monumentale, di importanza innegabile anche per i non pochi detrattori, o per chi batteva al tempo vie alternative come quelle della fenomenologia della musica. Al vivace dibattito di quella stagione faceva tuttavia seguito una fase post-adorniana di relativa crisi d’identità della Philosophie der Musik, sui cui motivi e tratti caratteristici ci si soffermerà in seguito. Più urgente è segnalare, senz’altro con soddisfazione, che il panorama editoriale odierno mostra ormai con chiarezza i segni di una rinascita e al tempo stesso di una profonda trasformazione. Il momento appare quindi particolarmente favorevole per una riconsiderazione della storia più recente di un problema che fin dall’antichità non ha mai smesso di offrire materia di riflessione al pensiero filosofico ai più alti livelli1. La vitalità del dibattito attuale ha fatto recentemente parlare un osservatore di indiscussa competenza come Roger Scruton (Understanding Music, p. 33) addirittura di un «big business» della filosofia della musica nel

Per uno sguardo storico sia lecito rimandare a R. Martinelli, I filosofi e la musica, Bologna, Il Mulino, 2012. Alcuni cenni infra, par. 4. 1

mondo accademico ed editoriale anglosassone, con nuove uscite di libri e articoli a ritmo incalzante. Ma è particolarmente significativo che il fenomeno di un ridestato interesse abbracci tanto la filosofia analitica quanto la tradizione continentale – certo con tratti specifici ben distinti nei due casi, e tuttavia con alcuni punti di tangenza piuttosto significativi. Semplificando in via preliminare, si potrebbe dire che nell’ambito cosiddetto continentale abbia un particolare rilievo il tema dell’ascolto, inteso nell’ampio spettro tematico che va dall’antropologia del senso uditivo fino alle implicazioni più propriamente musicali; mentre la filosofia analitica della musica si è a lungo articolata lungo i filoni principali del rapporto tra musica ed emozioni e dello statuto ontologico dell’opera d’arte musicale, cui si affiancano oggi nuovi problemi tra cui spiccano quelli legati in senso lato alla performance. Si segnala quindi una maggiore ampiezza, rispetto al passato, nella scelta dei registri metodologici e tematici, indice di una rinnovata capacità di riflettere sul fenomeno musicale a trecentosessanta gradi. Né si vengono allargando soltanto i modi che il discorso filosofico ha di dire la musica: si amplia parallelamente il concetto stesso del «musicale», che giunge a includere forme, stili, prassi e culture musicali in passato trascurati perché ritenuti vicariali rispetto al grande repertorio della musica classica, unico ad essere considerato degno di attenzione. Proprio questo riferimento impone un rimando alle ragioni della crisi cui sopra si accennava, allo scopo di sondarne da vicino alcune dinamiche. Premessa necessaria alla comprensione della questione è l’affermarsi sempre più deciso della musicologia negli ultimi decenni, anche a livello istituzionale. Come è accaduto più volte in casi analoghi nella storia, in questo processo non sono mancati momenti di frizione con le prospettive di una armchair philosophy pronta a snocciolare tesi aprioristiche, in netto contrasto con quanto i sempre meglio affilati strumenti analitici ed ermeneutici consentivano al musicologo (sul tema sono assai pertinenti le riflessioni di Antonio Serravezza nell’Introduzione alla nuova edizione della Filosofia della musica moderna di Adorno). Tanto più che l’ambito musicologico dimostrava ampiamente la propria vitalità generando (o dialogando con) nuovi approcci metodologici capaci di offrire inedite prospettive rispetto alla filosofia della musica di impianto più tradizionale:

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dall’analisi strutturale alla semiotica, dalla narratologia ai gender studies, ecc. Parallelamente e in modo altrettanto spettacolare si veniva poi sviluppando il panorama scientifico, con validi e innovativi contributi alla comprensione del fenomeno musicale venuti dall’antropologia culturale, dalla psicologia e infine dalle neuroscienze. E la filosofia? 2. Filosofia ed estetica della musica Lungi dal decretarne la fine, gli sviluppi ora menzionati hanno contribuito a modificare in modo salutare la fisionomia della riflessione filosofica sulla musica, consentendo di rilanciarla con compiti in parte antichi e in parte nuovi, ma indubbiamente meglio definiti e opportunamente scevri di velleità per così dire imperialistiche, tantoda gettare così le basi di una nuova e promettente stagione. Di certo il destino di una filosofia della musica che ambisse oggi a una sorta di cabina di regia dell’intera riflessione sulla musica sarebbe segnato, ma non serve aggiungere che ben pochi ne sentirebbero la mancanza. La riflessione filosofica non regala una chiave d’accesso privilegiata al fenomeno musicale; d’altra parte – ed è questa forse una delle principali novità delle quali occorre tener conto – appare sempre più sfocato e privo di oggetto nel panorama odierno l’atteggiamento ispirato dal pregiudizio diametralmente opposto, consistente nel considerare il filosofo irrimediabilmente lontano dalla sensibilità e dagli strumenti necessari a immergersi in un ambito nel quale la mediazione sensibile appare indispensabile. Un indice della situazione effettiva, piuttosto, è dato dall’utilizzo complessivamente più prudente dell’espressione «filosofia della musica» in tempi recenti. Benché generalmente ammissibile e del resto ancora ampiamente attestata in lavori di indubbio interesse e valore, essa è nondimeno messa in questione da più parti: per un avviamento al problema mirante a una soluzione in positivo, il lettore può far riferimento alle considerazioni di apertura del volume di Peter Kivy, Filosofia della musica, che hanno carattere esplicitamente introduttivo. Diverso è naturalmente il caso dell’estetica musicale, che ha invece sempre mantenuto una fisionomia ben riconoscibile quale momento di riflessione imprescindibile, per il teorico non meno che per il

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musicista, come mostrato da pregevoli lavori di carattere teorico e storico – ma anche, a livello pedagogico, dall’ampia diffusione dell’insegnamento, dalle università ai conservatori. Il tentativo anche sommario di una distinzione degli ambiti di pertinenza di filosofia ed estetica della musica (o «musicale», poiché non manca neppure questa sottile distinzione) porterebbe naturalmente troppo lontano. Prendendo a campione i filosofi di area analitica, Scruton è chiaramente tra coloro che preferiscono registrare le proprie riflessioni sotto l’etichetta della Aesthetics of music, cui ha dedicato un importante e influente volume nel 1997; mentre, come si è detto, nell’inalberare il vessillo della Philosophy of music altri come Kivy difendono esplicitamente una scelta che è chiaramente lessicale e teorica al tempo stesso. Ma sarebbe fuorviante voler indicare qui una dicotomia troppo netta: le divisioni teoriche, che pure non mancano, non si dispongono per lo più lungo un asse squisitamente disciplinare. Anche se nessuno potrebbe semplicemente identificare filosofia della musica ed estetica musicale (ampie aree della riflessione fenomenologica, ad esempio, difficilmente potrebbero rientrarvi), è evidente che ciascuna delle due discipline eccede l’ambito dell’altra senza che questo escluda la presenza di un’ampia area comune, area che talora sembra anzi coprire la maggior parte della superficie disponibile, per restare all’immagine utilizzata. Neppure il riferimento alla prassi musicale con la presenza non solo di esempi musicali, ma di precisi termini di riferimento estetico, o addirittura la presenza di indicazioni normative su stili o generi basta a spartire con un netto colpo di scure l’universo della riflessione filosofica sulla musica nei due ambiti in discussione, ammesso che se ne abbia l’intenzione. E soprattutto, si avverte sempre più chiaramente l’esigenza di avvalersi di metodi e linguaggi che richiedono da un lato ampie capacità interattive con gli altri ambiti del sapere musicale, e dall’altro rimandano all’intero spettro linguistico e argomentativo del sapere filosofico: dalla metafisica all’estetica, dalla logica alla teoria della conoscenza, dalla filosofia del linguaggio all’antropologia senza peraltro escludere, come vedremo, la prospettiva storico-filosofica. 3. Linguaggi della filosofia, linguaggi della musica

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La complessa situazione che si è delineata impone altresì di sfumare, adattandola al caso di specie, un’altra dicotomia disposta trasversalmente rispetto a quella tra «filosofia» ed «estetica» della musica e capace di incrociarsi con quella: ci riferiamo alla distinzione sopra introdotta tra le tendenze di tipo «analitico» e «continentale». Ciò non tanto e non solo in nome del più volte proclamato superamento della dicotomia in oggetto, quanto piuttosto per ragioni specifiche del campo di studi analizzato. In esso non entrano infatti in gioco solamente diversi linguaggi o metodi filosofici, ma a ben vedere anche differenti linguaggi musicali, i quali sono spesso assunti a oggetto di indagine e a termine di riferimento normativo. Tramontata l’idea di uno sviluppo lineare della storia della musica, spesso sostenuta dal binomio già nietzscheano (ma ammesso in termini diversi ancora da Adorno) di «musica tedesca» e «filosofia tedesca», si è aperto nel dopoguerra lo spazio per un’irruzione di altri linguaggi musicali nel dibattito filosofico. Per rendersene conto basterebbe riandare, a titolo di esempio, all’atteggiamento circospetto di Adorno nei riguardi della musica di consumo ad inclusione del jazz, fenomeni rispetto ai quali il sentire non solo del pubblico, ma anche del mondo accademico e scientifico appare oggi profondamente mutato. Ma anche volendo rimanere nell’ambito di quanto si definisce musica «classica», si dovrebbe tuttavia ripensare all’emblematico caso di Jankélévitch, la cui proposta di congedare l’«espressione» in musica, imperniata sull’impressionismo di un Debussy e sulle scuole compositive novecentesche intenzionalmente rivolte alla ricerca dell’inespressivo, si contrapponeva evidentemente non solo a Hegel o a Schopenhauer, ma anche ad Adorno. Iniziava così – talora in connessione con alcuni sviluppi della fenomenologia della musica – una tradizione interna alla filosofia continentale, nella quale ha un significato determinante, per ragioni intrinseche, il riferimento a temi apparentemente liminali come ripetizione, silenzio, rumore, aree esplorate peraltro anche in esperienze compositive contemporanee di notevole spessore (ovvio il riferimento al minimalismo, a Cage, allo spettralismo). Talora, lungo vie non sempre facilmente tracciabili, i risultati di queste indagini vengono a intrecciarsi con riflessioni più decisamente antropologiche sull’«auralità» e il

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significato del senso uditivo, oppure concernenti corporeità, gestualità o improvvisazione, luoghi attorno ai quali si sono recentemente avuti sviluppi rilevanti anche in Italia. Anche in Adorno, a ben vedere, a prescindere dagli aspetti che appaiono oggi legittimamente datati nella sua pagina, non è difficile rinvenire tutta l’inquietante tensione di un negativo che conduce a esiti paradossalmente capaci di dialogare con tendenze di segno diverso, cosa su cui non si è forse riflettuto ancora con sufficiente attenzione. Lo scacco strutturale dell’esprimibile in musica è idealmente incarnato dal Beethoven adorniano nel momento in cui, realizzando mirabilmente in musica la promessa di un riscatto dall’alienazione che al filosofo non riesce di mantenere, ne svela tutta l’ambiguità. Se adeguatamente sviluppate, queste considerazioni consentono di apprezzare un elemento di lucida attualità della riflessione adorniana. Non si tratta di riconoscere ad Adorno l’onore delle armi, come fa Scruton («Why read Adorno?» in Understanding Music) in nome della comune repulsione verso le forme musicali più consumistiche, ma di riflettere retrospettivamente sul valore permanente di una riflessione i cui effetti si faranno sentire ancora a lungo. Sull’altro versante poi, quello analitico, già la penetrante riflessione di Wittgenstein sulla musica quale modello della comprensione del linguaggio ordinario mostra tutto il potere per così dire eversivo della questione rispetto al predominio di un paradigma esclusivamente logico-analitico, cosa che del resto – è Susanne Langer a notarlo già negli anni Quaranta – è implicita nella celebre tesi di Carnap sulla metafisica come tentativo mal riuscito di dar voce a quel «sentimento vitale» che è invece splendidamente espresso proprio dalla musica. Ma che dire, allora, dell’espressione musicale? E’ davvero possibile per la filosofia astrarne, come si trattasse di una questione irrilevante? La fiorente filosofia analitica della musica, che è stata fino ad anni recenti debitrice alla Langer del proprio repertorio tematico, ha chiaramente ritenuto di no, raccogliendo questa sfida. Se la relazione col linguaggio logico e con quello ordinario ha costituito – in negativo e in positivo, rispettivamente – un frequente termine di riferimento, va detto che anche il problema dei diversi linguaggi musicali non è affatto estraneo alla riflessione anglosassone. Anzi, hanno qui

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avuto teorizzazioni in esplicita correlazione non solo con la ripresa del tradizionale «formalismo» ottocentesco di Hanslick (soggetto appena a un leggero maquillage) e dunque del privilegio accordato alla musica assoluta, ma anche con l’idea stessa di ascolto musicale nel suo decorso storico, che istituisce un canone «museale» a partire dal classicismo del tardo Settecento, come discusso nel fortunato volume di Lydia Goehr The Imaginary Museum of Musical Works, ristampato in anni recenti. Non è questa la sede per riferire o discutere in dettaglio i risultati di tutte queste linee di tendenza. Basti accennare al fatto che, proprio nel sottile discrimine tra l’esprimibile e l’inesprimibile, il riaperto dialogo tra musica e filosofia ripete e modula in varie forme quella che fin dai tempi antichi è una delle sue icone predilette: la musica quale alter ego della filosofia, colta nella sua irrimediabile distanza e tuttavia nella sua prossimità, talora in una vagheggiata virtuale identità al discorso filosofico stesso, su cui da Platone in avanti non si è mai smesso di riflettere. Meno icasticamente, si può consentire sul fatto che tanto nella tradizione analitica quanto in quella continentale, sia pure in forme la cui diversità va salutata come una ricchezza, la musica non entri come un marginale campo di applicazione di tesi filosofiche precostituite, ma sia al contrario capace di rimetterle in discussione, evidenziandone alcune ambiguità caratteristiche. E dunque, seppure filosofia analitica e continentale della musica non hanno abbattuto gli steccati che le separano, è pur vero che i segni di un avvicinamento si lasciano intravedere a tutto profitto di un possibile ulteriore sviluppo della disciplina. 4. E’ una lunga storia Un discorso a parte, ma strettamente connesso a quello sin qui sviluppato, merita poi la storiografia filosofica. Non meno che in altri campi di ricerca, anche qui il momento della ricostruzione storica gioca un ruolo tutt’altro che marginale nella definizione dell’identità disciplinare. Non stupisce quindi che gli anni recenti siano segnati da novità che hanno influito profondamente sulla comprensione del discorso filosofico sulla musica. L’ambito di ricerca presenta alcune peculiarità che richiedono fin da principio di operare delle precise scelte

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teoriche relative alla definizione del problema e alla selezione dell’immenso materiale. La stessa legittimità dell’operazione storiografica è qui in discussione: l’evoluzione storica dei linguaggi musicali e delle forme della fruizione nelle diverse epoche è infatti talmente marcata da far dubitare del fatto che – poniamo – quando Platone o Aristotele parlano di musica, pensino alla stessa cosa che noi abbiamo in mente col termine corrispettivo. A fronte di questo problema, non stupisce che la continuità tematica sia stata a lungo ricercata in prima battuta nel ricorrere di opposizioni dicotomiche, che consentono di tracciare coordinate di riferimento. Per quanto utili a un primo orientamento, ricostruzioni di questo genere sembrano oggi lasciare spazio a profonde revisioni, tanto più necessarie in ragione dei progressi di cui sopra si è detto. Paradigmatico è il caso dell’interpretazione di Aristosseno, nel quale si è a lungo individuato il prototipo del fenomenista ingenuo, ideale avversario della matematica musicale dei pitagorici. Questa immagine, che è il frutto di un fraintendimento (se non addirittura di una falsificazione) risalente alla tarda antichità, lascia ormai sempre più decisamente spazio al riconoscimento della presenza nel pensiero antico di un’importante tradizione nella quale appare decisivo il riferimento al linguaggio, anzi alla voce umana in tutta la sua enigmatica duttilità, dalla parola al canto. Si tratta di un filone della riflessione antica sulla musica ampiamente nutrito all’idea di scienza messa a punto da Aristotele e come tale non impunemente accusabile di sensismo ingenuo per il solo fatto di non aderire integralmente al pitagorismo. Simmetricamente, uno studio delle fonti pitagoriche e della straordinaria, inesauribile pagina platonica, autorizza qualche sospetto sul fatto che la tradizione genericamente etichettata come «pitagorico-platonica» sia così sorda alla dimensione sensibile della musica come talora la si vorrebbe. Se a ciò si aggiunge la presenza di una linea di pensiero che dai Sofisti a Filodemo e Sesto Empirico si mostra estremamente scettica sul valore metafisico, etico e psicagogico della musica, si comprende la necessità di rivedere qualche giudizio storiografico inveterato, muovendosi nella direzione del riconoscimento di una complessità difficilmente afferrabile nelle maglie delle opposizioni dicotomiche tradizionali di cui trabocca

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molta manualistica, nella quale dopo Pitagora e Aristosseno sfilano progressivamente Zarlino e Galilei, Rameau e Rousseau, Helmholtz e Stumpf, ecc. Ciò non vale tanto a svilire l’indiscussa vivacità – non di rado sconfinante nell’asprezza polemica – del dibattito dei secoli passati, ma a rifiutare l’implicito corollario di una philosophia perennis nella quale l’opposizione tra approccio teorico (matematico) e approccio pratico-linguistico alla musica mette in scena un identico, ricorrente e infine noioso duello, le cui armi si vorrebbero semplicemente aggiornate al livello della teoria scientifica e musicale del momento. Analoghe novità emergono da recenti riconsiderazioni e ricerche relative all’età moderna. L’approccio scientifico, che attraversa l’intera riflessione sulla musica dal pitagorismo alle neuroscienze, rivela a un’analisi attenta sfumature e intrecci inediti che portano a dipingere un quadro sempre più vivace di un’era nella quale i progressi scientifici appaiono inestricabilmente riconducibili a istanze di tipo diverso, tali da chiamare in causa la prassi musicale nelle sue forme nonché vari ambiti, apparentemente assai distanti, del sapere umano. Naturalmente, non si può qui entrare ulteriormente in dettaglio. Merita però menzione la circostanza che l’esigenza di approfondire la vicenda storica della riflessione sulla musica traspaia con evidenza anche nel mondo anglosassone. Salta agli occhi, al riguardo, un’insolita disponibilità a dialogare con referenti risalenti a un passato che altri, in ambiente analitico, senza dubbio giudicherebbero irrimediabilmente datato. Come altro interpretare altrimenti l’odierna fortuna di autori come Schopenhauer e Hanslick, i quali vivono un’autentica renaissance le cui vele sono gonfiate dal vento del dibattito attuale pro o contro il neo-formalismo? Sarebbe troppo facile ironizzare sul fatto che in nessun altro ambito della filosofia analitica si guarda così tanto all’indietro – un po’ come se nella filosofia della mente ci si ispirasse così direttamente e massicciamente a Fichte e a Lotze da rendere urgenti nuove traduzioni in formato tascabile della Wissenschaftslehre e del Mikrokosmos ad uso degli studenti undergraduate inglesi o americani – ai quali, detto per inciso, un simile tirocinio non farebbe certo danno: quel che è in discussione non è evidentemente il valore dei due filosofi citati. Più utile è invece riflettere sul

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senso dell’esigenza, così ampiamente condivisa, di disporre di analisi storiografiche adeguate allo standard attuale della ricerca: analisi che ci sono, naturalmente, ma coprono per lo più aree tematiche limitate, rendendo difficile l’orientamento al pubblico che si accosta al tema. In sintesi, la riflessione filosofica sulla musica, in tutta la sua complessità, dà luogo a un panorama molto vivace di ricerche e pubblicazioni, tra le quali spiccano lavori di buona e spesso di eccellente fattura. Resta forse da segnalare una scarsa integrazione di alcuni ambiti che avrebbero invece motivo di integrarsi fruttuosamente, senza che questo comporti alcuna sottovalutazione dell’ampiezza effettiva del terreno e della necessità di una divisione di interessi e competenze. E’ quindi auspicabile che si lavori quanto più possibile in questa direzione in modo da valorizzare, in particolare in Italia, i migliori risultati della ricerca internazionale su un tema tanto antico quanto inesauribile. 5. I libri Abbri, Ferdinando e Matassi, Elio (a cura di), Musica e filosofia, Cosenza, Pellegrini, 2000 Adorno, Theodor W., Beethoven. Filosofia della musica, Torino, Einaudi, 2001 - Filosofia della musica moderna, Torino, Einaudi, 20022 Arbo, Alessandro, Il suono instabile. Saggi sulla filosofia della musica nel Novecento, Torino, Trauben, 2000 Barker, Andrew, The Science of Harmonics in Classical Greece, Cambridge, Cambridge University Press, 2007 Bertinetto, Alessandro, Il pensiero dei suoni. Temi di filosofia della musica, Milano, Bruno Mondadori, 2012 Borio, Gianmario (a cura di), Storia dei concetti musicali, vol. III: Melodia, stile, suono, Roma, Carocci, 2009 Borio, Gianmario e Gentili, Carlo (a cura di), Storia dei concetti musicali, vol. I: Armonia, tempo; vol. II: Espressione, forma, opera, Roma, Carocci, 2007 Brancacci, Aldo, Musica e filosofia da Damone a Filodemo, Firenze, Olschki, 2008 Fabbri, Natacha, De l’utilité de l’harmonie: filosofia, scienza e musica in Mersenne, Descartes e Galileo, Pisa, Edizioni della Normale, 2008 Fubini, Enrico, Estetica della musica, Bologna, Il Mulino, 2003

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