Dos episodios conflictivos entre el episcopado hispano y la sede apostólica de Roma durante el siglo VII

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Descripción

Anno  LXII - NN.  1-4

Gennaio-Dicembre  2014

STUDI ROMANI Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - DCB - Roma

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Direttore responsabile: Paolo Sommella

Comitato Scientifico: Sandro Benedetti - Vincenzo De Caprio - Letizia Ermini Pani Daniela Gallavotti Cavallero - Ludovico Gatto - Michel Gras Josep Guitart i Duran - Bruno Luiselli - Mario Mazza Eugenio Ragni - Paolo Sommella - Romolo Augusto Staccioli

Redazione: Massimiliano Ghilardi - Letizia Lanzetta

Hanno collaborato alla redazione del fascicolo: Daniela Cavallo - Riccardo Montalbano

In copertina: Il chiostro dell’ex convento di S. Alessio sede dell’Istituto (disegno di A. Tamburlini) ABBONAMENTO 2014: € 40,00 (estero € 65,00) L’abbonamento decorre dal primo fascicolo dell’annata - Per le rimesse in denaro effettuare i versamenti sul c.c.p. n. 25770009 intestato all’Istituto Nazionale di Studi Romani.

Stampa: Tip. «Tiferno Grafica» S. a R. L. - Città di Castello Reg. Stampa Tribunale di Roma n. 172 del 20 aprile 1984

STUDI ROMANI

Anno  LXII - NN.  1-4

Gennaio-Dicembre  2014 SOMMARIO

SAGGI E STUDI Raffaele Farina, Il primo imperatore cristiano. La svolta e la pace costantiniana .  .

5

Daniele Manacorda, Marcella Minore e i sepolcri della sua familia (con le tavv. I-VI f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

22

Gabriele Bartolozzi Casti, Le origini del pellegrinaggio. Egeria e Demetria donne in cammino (con le tavv. VII-XIV f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

32

Riccardo Montalbano - Alessandra Avagliano, La cosiddetta domus Caeliorum in Piazza della Pilotta. Testimonianze d’archivio inedite sui ritrovamenti (con le tavv. XV-XXV f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

51

Jordina Sales Carbonell, Implantación de iglesias en edificios de espectáculos romanos: orígenes de un proceso de medievalización de la ciudad antigua .  .  .  .  .

71

Juan Antonio Cabrera Montero, Dos episodios conflictivos entre el episcopado hispano y la Sede apostólica de Roma durante el s. VII .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

103

Salvatore Fallica, Sviluppo e trasformazioni della chiesa e del monastero di S. Lorenzo in Panisperna a Roma (con le tavv. XXVI-XXXIII f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .

117

Fabrizio Federici, Battaglie per la tutela nella Roma barocca: Francesco Gualdi e la difesa delle «memorie antiche» (con le tavv. XXXIV-XXXIX f.t.) .  .  .  .  .  .  .

149

Giuliana Zandri, La Liberazione di Pietro dal carcere: vicende di un’opera giovanile del Domenichino nella basilica romana di San Pietro in Vincoli (con le tavv. XLXLI f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

173

Giovannina Annarumma, Il convento dell’Annunziata (con le tavv. XLII-LI f.t.) .  .

190

Angelo D’Ambrosio, Il cibo fra regole e bilanci. L’alimentazione dei gesuiti a Roma secoli XVI-XIX .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

209

Jörg Garms, Il ruolo dell’impero e degli stati tedeschi nella Roma barocca (con le tavv. LII-LV f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

232

Maria Barbara Guerrieri Borsoi, L’architetto e ingegnere Agostino Martinelli tra incarichi amministrativi, produzione letteraria e attività professionale (con le tavv. LVI-LXIV f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

242

Alessandro Mazza, Villa dei Tre Orologi a Roma: la vicenda di uno sconosciuto complesso seicentesco (con le tavv. LXV-LXIX f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

263

Mariateresa Pace, Le “mazzarinette” alla Camera dei Deputati (con le tavv. LXXLXXVII f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

297

Gabriele Federici, Giuseppe Rolandi a Roma: il viaggio di uno studente nella Città Eterna nel 1837 .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

306

Gianluca Mandatori, Un inedito autografo mommseniano alla contessa Ersilia Caetani Lovatelli (con la tav. LXXVIII f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

317

Gianluca Kannès, Lo studio di Giulio Monteverde in Piazza Indipendenza a Roma (con le tavv. LXXIX-LXXXII f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

332

Enrico Silverio, Il Convegno Augusteo del 1938 nel quadro del bimillenario della nascita di Augusto attraverso i documenti d’archivio e le pubblicazioni dell’Istituto Nazionale di Studi Romani (con le tavv. LXXXIII-XC f.t.) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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4

SOMMARIO

PREMIO «CULTORI DI ROMA» 2014 La Redazione, Filippo Coarelli .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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NOTE E INTERVENTI Paolo Sommella, A proposito degli inventari dell’Archivio Storico dell’Istituto Nazionale di Studi Romani .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

428

Paolo Sommella - Anna Maria Liberati, Emissione di un francobollo commemorativo del Bimillenario della morte dell’imperatore Augusto (con le tavv. XCI-XCII f.t.) .

430

Daniele Manacorda, Fori Imperiali: temi e nodi per una riconciliazione delle prospettive .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

433

Francesco Arcaria, Sacra privata e ius civile. A proposito di un libro recente sui rituali domestici e gli istituti giuridici in Roma antica .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

440

RECENSIONI Alessandro Pergoli Campanelli, Cassiodoro. Alle origini dell’idea di restauro (Gianluca Pilara); Andrea Lonardo, Il potere necessario. I vescovi di Roma e il governo temporale da Sabiniano a Zaccaria (604-752) (Gianluca Pilara); Sofia Boesch Gajano - Tommaso Caliò - Francesco Scorza Barcellona - Lucrezia Spera, Santuari d’Italia. Roma (Luisa Covello); Angelo Michele Piemontese, La Persia istoriata in Roma (Maria Vittoria Fontana); Daniela Candilio - Matilde De Angelis d’Ossat (a cura di), La collezione di antichità Pallavicini Rospigliosi (Gianluca Mandatori); Fabrizio Vistoli (a cura di), Tomba di Nerone: toponimo, comprensorio e zona urbanistica di Roma capitale. Scritti tematici in memoria di Gaetano Messineo (Luisa Chiumenti); Fabrizio Vistoli (a cura di), La riscoperta della via Flaminia più vicina a Roma: storia, luoghi, personaggi (Alessandro Locchi); Stefano Colonna, Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento (Maurizio Calvesi); Alessia Lirosi, I monasteri femminili a Roma tra XVI e XVII secolo (Eleonora de Longis); Giuseppe Antonio Guazzelli - Raimondo Michetti - Francesco Scorza Barcellona (a cura di), Cesare Baronio tra santità e scrittura storica (Eleonora de Longis); Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Raccogliere “curiosità” nella Roma barocca. Il museo Magnini Rolandi e altre collezioni tra natura e arte (Giuseppe Finocchiaro); Simona Benedetti (a cura di), Architetture di Carlo Rainaldi nel quarto centenario della nascita (Marcello Villani); Renata Sabene, La Fabbrica di San Pietro in Vaticano. Dinamiche internazionali e dimensione locale (Donatella Strangio); Andreina Rita, Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica: cronologia e fonti romane (Rosanna De Longis); Maria Rosaria Coppola, La fabbrica del Vittoriano, Scavi e scoperte in Campidoglio (1885-1935) (Giuseppina Alessandra Cellini); Luigi Alonzi, Economia e finanza nell’Italia moderna. Rendite e forme di censo (secoli XV-XX) (Paolo Tedesco) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

461

Vita dell’Istituto Nazionale di Studi Romani: Corpo accademico e organi direttivi al 30 dicembre 2014 – Assemblee dei Soci – Il «Premio Cultori di Roma» – Il «Certamen Capitolinum»: l’esito del LXV e il bando del LXVI – L’LXXXVIII anno accademico dei Corsi – Nuove pubblicazioni (La Redazione) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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JUAN ANTONIO CABRERA MONTERO

DOS EPISODIOS CONFLICTIVOS ENTRE EL EPISCOPADO HISPANO Y LA SEDE APOSTÓLICA DE ROMA DURANTE EL SIGLO VII

Estratto da: STUDI ROMANI Anno LXII, nn. 1-4 - Gennaio-Dicembre 2014

DOS EPISODIOS CONFLICTIVOS ENTRE EL EPISCOPADO HISPANO Y LA SEDE APOSTÓLICA DE ROMA DURANTE EL SIGLO VII

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a Iglesia española del s. VII se presenta como una de las iglesias nacionales más brillantes de su época. La conversión del reino visigodo al catolicismo, oficializada en la sesión inaugural del III concilio de Toledo del año 589, unida a la perfecta organización eclesiástica y al cuidado de la formación del clero, como demuestra el amplio número de autores eclesiásticos de este período, favorecieron la manifestación de una Iglesia nacional orgullosa de sí misma y consciente de su puesto destacado dentro de la Iglesia universal en Occidente. Sus relaciones con Roma fueron fluidas aunque no exentas de problemas. A continuación nos detendremos en dos episodios que muestran esta interacción. Aun siendo bastante diferentes entre sí, coinciden en el modo de ser afrontados: unidad episcopal, praxis común, autonomía dentro de la comunión con la sede petrina y ortodoxia fuera de toda duda.

La cuestión judía Braulio, obispo de Zaragoza entre los años 631-651, no destacó ciertamente a causa de su producción literaria, sí, en cambio, por su diligente actividad eclesiástica. Fue el centro de un tenso episodio que tuvo como protagonistas al episcopado español y a la sede de Roma, gobernada a la sazón por Honorio I. Éste había hecho saber a los obispos reunidos en concilio, el VI de Toledo del año 638, mediante una carta que no se conserva, la perplejidad pontificia por lo que parecía una dejadez por parte de la Iglesia española en rela-

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ción a la deficiente solicitud que parecía mostrar en relación con la represión a la que debían ser sometidos los judíos que una vez convertidos habían vuelto a sus prácticas religiosas anteriores. La respuesta del episcopado sí se conserva y está incluida en el epistolario de Braulio de Zaragoza (1). El fondo de la polémica se refiere a una cuestión disciplinar sin contenido teológico estricto (2). Nos interesa, por tanto, la reacción del episcopado español ante una injerencia de Roma que parecía motivada seguramente por falsas informaciones y bastante áspera en su contenido, algo similar a lo que ocurriría algunas décadas después a raíz del envío a Roma del primer Apologeticum de Julián de Toledo, que analizaremos posteriormente. El tono empleado por Roma es duro y arrogante, llega a calificar a los obispos españoles «perros mudos que no pueden ladrar» (3) por no actuar con el debido celo en defensa de la verdadera fe y la correcta praxis de los conversos. Braulio se defiende de las acusaciones en diferentes momentos de la epístola indicando que seguramente el Papa ha sido mal informado por intrigantes que no buscan sino minar la credibilidad y la acción del episcopado español que, por otra parte, ya actúa colegialmente según lo establecido en los cánones de algunos de los concilios celebrados en España. Siempre en un tono

(1)   Se trata de la epístola 21. Cfr. Epistolario de S. Braulio de Zaragoza, edición crítica según el códice 22 del Archivo Capitular de León, con una introducción histórica e comentario por J. Madoz, Madrid 1941. Cfr. también L. Riesco Terrero, Epistolario de san Braulio, introducción, edición crítica y traducción, Sevilla 1975.

  La bibliografía la respecto es muy amplia. Reseñamos aquí sólo alguna de las contribuciones más significativas entre las que destaca el reciente artículo de A. Ferreiro, St. Braulio of Zaragoza’s Letter 21 to Pope Honorius I regarding lapsed baptized Jews, in «Sacris Erudiri», XLVIII (2009), pp. 75-95. Muy importante también la contribución de R. González Salinero, Las conversiones forzosas de los judíos en el reino visigodo, Roma 2000, pp. 4351. Además de los estudios clásicos de F. Fita, El Papa Honorio I y San Braulio de Zaragoza, en «La Ciudad de Dios», IV (1870), pp. 186-204, 206-278; V (1871), pp. 271-279, 358-365, 447-458; VI (1871), pp. 48-60, 101-107, 192-200, 252-260, 337-346, 403-417 (las referencias a este artículo son secundarias; no se trata de la más conocida revista agustiniana «La Ciudad de Dios», creada en 1881 bajo el nombre de «Revista Agustiniana»); A. Custodio Vega, El primado romano y la iglesia española en los primeros siglos, en «La Ciudad de Dios», CLIV (1942), pp. 23-56, 237-284, 501-524; C. H. Lynch - P. Galindo, San Braulio obispo de Zaragoza (631-651): su vida y sus obras, Madrid 1950, pp. 153-157. (2)

  «Canes muti non ualens latrare», ep. 21, l. 56 (ed. Madoz, p. 127). Braulio, no sin ironía aunque en modo elegante, recuerda al Papa que tal cita no es de Ezequiel, como Honorio I había indicado, sino de Isaías, «aunque», añade, «todos los profetas profetizan con un solo espíritu». (3)

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pausado y repleto de encomios a su interlocutor, que en ocasiones de lo exagerado que se presenta parece indicar justamente lo contrario de lo que escribe, Braulio ruega al pontífice que no se deje engañar más, que confíe en la buena práctica del reino y de la iglesia españoles y que no insista en pedir la aplicación de medidas extremas añadidas – que no se especifican – contra los conversos lapsos porque de eso ya se ocupan ellos conveniente y diligentemente. En definitiva, acogen las palabras del Papa, responden a su escrito sin ocultar su malestar por el tono empleado, pero mantienen su praxis. No se tienen noticias de posteriores repuestas por parte de Roma al respecto, aunque la polémica judía siguió en España, como por lo demás en el resto de los nuevos reinos surgidos tras la desaparición del imperio de occidente. Conviene resaltar que este episodio muestra por una parte la existencia de unas relaciones fluidas aunque no exentas de dificultad de las sedes episcopales nacionales, en este caso españolas, con Roma y, por otra, la afirmación de la autonomía de aquéllas que aun en comunión con la sede apostólica no renuncian a su independencia en materias disciplinares. Ni este episodio que tuvo como protagonista a Braulio ni el posterior que tuvo que afrontar Julián, pusieron en peligro la comunión entre las iglesias de España y Roma por más que algunos autores lo hayan insinuado (4). La cuestión cristológica Julián de Toledo puede ser considerado el último gran representante de la patrística española. El ejercicio de su ministerio episcopal en la sede primada de Toledo, la participación activa en los concilios celebrados durante su pontificado, su intervención en la vida social y política del reino visigodo y la producción literaria que desarrolló, lo sitúan en la misma línea de otros autores coterráneos que contribuyeron a crear un verdadero siglo de oro eclesiástico en la España del siglo VII. Durante su pontificado como primado de España y como quedó   Cfr. J. M. Lacarra, La iglesia visigoda en el siglo VII y sus relaciones con Roma, en Le chiese nei regni dell’Europa occidentale e i loro rapporti con Roma sino all’800, Atti delle Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 7-13 aprile 1959, Spoleto 1960, p. 381; P. B. Gams, Die Kirchengeschichte von Spanien, II, 2, Graz 1956, p. 200. (4)

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registrado en las actas del XIV concilio de Toledo, encontramos el segundo episodio conflictivo de envergadura que interesó al episcopado español con Roma. El motivo fue la reacción de los obispos hispanos ante la petición de la sede apostólica de suscribir lo acordado en el III concilio de Constantinopla. Reunidos en Toledo entre los días 14 al 20 de noviembre del año 684, los asistentes – diecisiete obispos, seis abades y diez representantes de los obispos de otras sedes – dan fe, por un lado, de la aprobación por parte de las diferentes sedes episcopales españolas de las actas que habían sido enviadas desde Roma y, por otro, de la redacción de un escrito en el que se explicita más detalladamente el sentido de la fe del episcopado español (5). Se indica asimismo el contenido de aquel escrito ya enviado a Roma (6) y se declara que por parte del episcopado resta únicamente decidir por deliberación conciliar acerca de las citadas actas y robustecer los pareceres particulares y aislados de cada obispo con la autoridad de los concilios. De este modo, una vez concluido el proceso de revisión, examen y aprobación de los concilios celebrados en cada una de las provincias eclesiásticas españolas, se podrá dar a conocer a todos la respuesta y la postura oficial de la jerarquía española sobre la cuestión (7). A esta información contenida en las actas del XIV concilio de Toledo, se añade la ofrecida en el mismo texto de Julián y que fue incluido en las actas del siguiente. En diferentes lugares de las actas de este citado concilio, XV de Toledo celebrado en el año 688, se informa acerca del escrito enviado años atrás desde España a Roma que suscitó alguna perplejidad en la sede apostólica. El texto es denominado con diferentes títulos: liber responsionis et fidei nostra (8), responsionis et fidei nostrae opusculum (9), responsionis nostrae liber (10) (5)   Cfr. La Colección Canónica Hispana: VI, Concilio hispánicos: tercera parte, por G. Martínez Díez y F. Rodríguez, Madrid 2002, p. 280 (en adelante, CCH VI). (6)   Ibidem, «allí se señala copiosa y claramente lo que es verdadero acerca de esta doble voluntad y operación de Jesucristo Hijo de Dios». (7)   Cfr. Ibidem, pp. 280-281. Sobre la cronología de los acontecimientos hay diversidad de opiniones entre los estudiosos que se han ocupado del tema, cfr. F. X. Murphy, Julian of Toledo and the condemnation of monothelitism in Spain, en Mélanges Joseph de Ghellinck, S. J., Tome I: antiquité, Gembloux 1951, p. 365, n. 13.

  CCH VI, p. 298.

(8)

  Ibidem, p. 300.

(9)

  Ibidem, p. 319.

(10)

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aunque siempre referido al mismo escrito surgido como respuesta y explicación de la fe por parte de los obispos españoles. Hasta aquí las noticias contemporáneas al texto que pueden darse por ciertas. Se desconoce la suerte que corrió este primer escrito puesto que no ha llegado hasta la actualidad. El hecho de no haberse incluido en las actas del XIV concilio de Toledo probablemente dificultó su transmisión, algo que no sucedió con el segundo Apologeticum, ampliamente difundido, si bien incompleto, en las diferentes colecciones de los concilios hispanos (11). A la dificultad de centrar en modo adecuado la polémica entre los obispos españoles y la sede apostólica por no haberse conservado el primer Apologeticum, se une otra menos teológica, más metodológica, pero que complica igualmente el estudio de este episodio. Se trata de lo penoso que fue el diálogo entre los implicados. Julián se lamenta de que las críticas pontificias a la primera respuesta no hubieran sido puestas por escrito sino simplemente referidas verbalmente al representante español ante la sede romana. Éste, por lo que se deduce de las palabras de Julián, redactó una nota no oficial en la que se detallaban las perplejidades del Papa. A todo ello responde ahora Julián, si bien a nosotros tampoco ha llegado la réplica en su totalidad, como se irá viendo a continuación. La única documentación oficial que se había recibido en España databa de algunos años antes. Se trata de la correspondencia enviada desde Roma con la que se invita al episcopado español a suscribir las determinaciones del III concilio de Constantinopla. Llegaron a España cuatro cartas procedentes de Roma por medio del notario regionario, Pedro, cuyos destinatarios fueron: el conjunto del episcopado español (12), el rey Ervigio (13), el conde Simplicio (14) y Quirico, obispo de Toledo (15). (11)   Cfr. Sancti Iuliani Toletanae sedis episcopi opera: pars I, ed. J. N. Hillgarth, CCSL CXV, pp. lxiii-lxv. (12)   «Cum diuersa sint», Jaffé, 2119. La Colección Canónica Hispana: III, Concilios griegos y africanos, por G. Martínez Díez y F. Rodríguez, Madrid 1982, pp. 190-195, ll. 216-335 (en adelante, CCH III).

  «Cum unus exstet», Jaffé, 2120. CCH III, pp. 200-204, ll. 457-566.

(13)

  «Cum singulare sit», Jaffé, 2121. CCH III, pp. 196-199, ll. 363-430.

(14)

  «Ad cognitionem uestrae», Jaffé, 2122. CCH III, pp. 195-196, ll. 336-362. Quirico había fallecido en enero del año 680, algo que, sorprendentemente, ignoraba Roma. (15)

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La epístola dirigida al episcopado recoge al inicio una serie de elogios a la Iglesia de España, de la que conoce y llena de satisfacción el celo religioso, la defensa de la doctrina divina y el fervor y la pureza de la tradición evangélica y apostólica (16). Pasa después a informar acerca del concilio celebrado en la ciudad de Constantinopla por voluntad del emperador Constantino IV (17). Tal asamblea, continúa la carta, constituyó el sexto concilio ecuménico (18), al que se adhirió desde un principio el papa Agatón I (19), que no sólo envió a sus representantes sino también un escrito de contenido dogmático (20). En Constantinopla, continúa la epístola a los obispos de España, se reafirmó la doctrina de las dos naturalezas y dos voluntades y operaciones en Cristo y se condenó a quienes sostenían lo contrario (21), entre ellos Honorio I que, en lugar de extinguir el error herético, como era su deber, lo alimentó despreocupándose de él (22). Seguidamente se detalla otra serie de intervenciones disciplinares (23). Tras lo cual se informa del envío de la traducción al latín no de las actas completas del concilio, que habrían recibido más adelante si así lo hubieran deseado, sino de tres textos: la definición conciliar (24), la aclamación o prosphoneticus dirigida por el concilio al emperador (25)   CCH III, p. 190, ll. 227-230.

(16)

  Ibidem, p. 191, ll. 240-254.

(17)

  Recordemos que la Colección canónica hispana sitúa este concilio inmediatamente después de Calcedonia, omitiendo el II concilio de Constantinopla, aun a sabiendas de su existencia y legitimidad. (18)

  CCH III, p. 191, ll. 255-257.

(19)

  Roma participó en el III concilio de Constantinopla a través de una delegación que transmitió la profesión de fe suscrita por el papa y los obispos de las sedes dependientes de Roma. En tal profesión se condenaba de manera formal la doctrina monotelita. Cfr. L. Bréhier, Les derniers Héraclides. Rétablissement de la paix religieuse. Guerres civiles et invasions (668-715), in Grégoire le Grand, les états barbares et la conquête arabe (590-757), par Louis Bréhier - René Aigrain eds., Paris 1947, pp. 184-185; F.-X. Murphy - P. Sherwood, Constantinople II et Constantinople III, Paris 1974, pp. 191-194. (20)

  CCH III, p. 192, ll. 265-269.

(21)

  Ibidem, ll. 278-280. Sobre Honorio I, cfr. A. Sennis, Onorio I, en Enciclopedia dei Papi, I, Roma 2000, pp. 585-590; A. Di Berardino, Onorio papa, in Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, diretto da A. Di Berardino, II, Genova-Milano 2007, cc. 36233624 y la correspondiente bibliografía. (22)

  CCH III, pp. 192-193, ll. 280-290.

(23)

  Ibidem, pp. 181-189, ll. 2-202.

(24)

  Ibidem, pp. 189-190, ll. 203-215.

(25)

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y el decreto imperial que sancionaba las determinaciones conciliares (26). Es labor ahora del episcopado español, concluye la misiva, suscribir diligentemente lo acordado en Constantinopla y darlo a conocer al clero y al pueblo a él confiado (27), mostrando así su unión a la Iglesia universal. La segunda carta que llegó de Roma estaba dirigida al rey Ervigio (28). En ella, tras una profusa introducción en la que se habla de la condición regia de Dios sobre todo lo creado y de la propia autoridad de la sede apostólica (29), se informa al rey de la celebración del III concilio de Constantinopla (30). En dicho concilio, se mostró la doctrina ortodoxa cristiana acerca de las dos naturalezas de Cristo y sus dos voluntades y operaciones (31) a través de los testimonios de la tradición apostólica y de los concilios celebrados con anterioridad bajo la autoridad de los Padres. Le informa asimismo de las condenas decretadas por el sínodo constantinopolitano, incluida la de Honorio I (32). Le exhorta a que la doctrina conciliar sea proclamada a todo el pueblo fiel de su reino (33) y le informa de los documentos que lleva consigo el representante papal añadiendo, con el empleo de la misma terminología que en la carta al episcopado, que deberán ser suscritos por los prelados de su reino (34). La epístola al conde Simplicio (35) es más breve que las dos anterio  Ibidem, p. 193, ll. 291-297.

(26)

  Ibidem, pp. 193-194, ll. 302-314.

(27)

  Existen dudas acerca de la atribución de esta carta al papa León II. La mayor parte de los estudiosos adjudican su autoría a Benedicto II, sucesor de León II, entre ellos F. Arévalo, editor del volumen de la Patrologia Latina que al incluirla en la colección canónica isidoriana la sitúa después de una carta de Benedicto II a Pedro, el notario regionario enviado a España (PL 84, 148-150) y la última edición crítica de la Colección canónica hispana que sigue el mismo criterio. Jaffé (cfr. 2120), por su parte, añade tras la descripción de la misma, su parecer contrario a atribuir la carta a otro que no sea León II. (28)

  CCH III, pp. 200-201, ll. 458-487.

(29)

  Ibidem, pp. 201-202, ll. 488-498.

(30)

  Ibidem, p. 202, ll. 508-514.

(31)

  Ibidem, p. 203, ll. 525-533.

(32)

  Ibidem, p. 204, ll. 546-550.

(33)

  Ibidem, ll. 551-565.

(34)

  De este personaje existen únicamente las referencias que encontramos en este episodio. Ser considerado a la misma altura del rey, el obispo de Toledo y el resto del colegio episcopal español, da idea de la importancia que debió tener en la época. (35)

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res. Tras una larga disertación sobre la misión de la Iglesia de conservar y transmitir la tradición apostólica (36), le da noticia acerca del concilio celebrado en Constantinopla y el papel desarrollado en el mismo por la sede apostólica. Le informa del envío de la documentación conciliar idéntica a la vista en las anteriores epístolas y le exhorta a contribuir en su difusión y conocimiento en todas las regiones de España (37). A la carta que recibe Simplicio va unida una reliquia: una cruz realizada con las cadenas que tuvieron prisionero al apóstol Pedro. La última de las cartas atribuidas a León II que llegan a España está dirigida al obispo de Toledo, Quirico. Éste, como se dijo anteriormente, había muerto años atrás (38). Es la más breve de todas y lejos de entretenerse en amplias introducciones y discursos, se le informa de la misión del notario regionario en España: consignar a los obispos, al rey y al conde Simplicio la documentación pertinente relativa al tercer concilio constantinopolitano (39). Sin añadir datos más relevantes concluye informando también del envío de una reliquia similar a la recibida por el conde Simplicio (40). Así pues, Roma encomienda al episcopado ibérico la aprobación y difusión de la doctrina conciliar y ruega a las autoridades civiles más representativas que velen por tal misión. Las cartas llegaron a España cuando se acababa de celebrar el XIII concilio de Toledo, reunido en noviembre del año 683. Será en el siguiente concilio toledano, celebrado un año más tarde, el que informe de cómo se procedió a dar cumplimiento a la petición de la sede apostólica (41). El procedimiento normal habría sido la convocatoria de una nueva asamblea del episcopado, pero dado que una serie de dificultades prácticas lo impedía (42), el rey Ervigio decretó que al menos se reunieran los concilios provinciales para responder a la petición de Roma. Se debería comenzar con el correspondiente a la sede primada de Toledo   CCH III, pp. 196-197, ll. 365-387.

(36)

  Ibidem, pp. 198-199, ll. 400-423.

(37)

  Quirico ocupó la sede de Toledo entre los años 667 y 680. Cfr. L. A. García MoreProsopografía del reino visigodo de Toledo, Salamanca 1975, p. 119. (38)

no,

  CCH III, p. 195, ll. 337-347.

(39)

  Ibidem, p. 196, ll. 355-362.

(40)

  XIV concilio de Toledo, CCH VI, pp. 275-290.

(41)

  Ibidem, pp. 279-280, ll. 70-87.

(42)

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de modo que se pudiera informar al resto de las sedes lo acordado allí y de este modo se lograran unas actas comunes a todos ellos (43). Así pues, la Iglesia española había cumplido ya con la misión encomendada por el papa León II con anterioridad a la celebración del XIV concilio de Toledo, por tanto antes de noviembre del año 684. Ese mismo año había muerto León II y su sucesor Benedicto II mandó una epístola a Pedro, el notario regionario, para que agilizase el proceso de aprobación de las actas de Constantinopla (44). Sin duda, al inicio de su pontificado no habían llegado aún a Roma los documentos enviados por el episcopado español que se detallan en las actas del XIV concilio de Toledo (45). Una vez recibida la documentación procedente de España se dio inicio al conflicto que enfrentó a las sedes españolas con la romana. El episcopado hispano había osado mandar, sin que Roma se lo hubiera requerido, una explicación o interpretación del tema tratado. Tal escrito, el primer Apologeticum, no gustó en Roma y se pidieron explicaciones aunque, por lo que se deduce del texto del segundo Apologeticum, no según el procedimiento más ortodoxo, esto es, por escrito, sino de palabra por medio del representante español en Roma. A estas cuestiones puestas en entredicho por Roma se dio cumplida respuesta en el año 686. Así, al primer Apologeticum enviado, como se ha visto, con anterioridad al XIV concilio de Toledo, se unió un segundo, escrito nuevamente por Julián. Sobre el número de las respuestas por parte de Julián y la cronología de las mismas hay diversidad de pareceres entre los autores modernos. Así, F.-X. Murphy afirma la existencia de tres escritos redactados en los años 684, 686 y 688 (46). Hillgarth, por su parte, rebate esta tesis y afirma la existencia de dos únicas respuestas de Julián, una, el primer Apologeticum, redactada en el año 684, y otra, el segundo Apologeticum, escrito y enviado a Roma en el año 686, que más tarde sería incluido en las actas del XV concilio de Toledo del año 688 (47). Esta última hipóte  Ibidem, pp. 277-278, ll. 29-49.

(43)

  CCH III, pp. 199-200.

(44)

  «De responsis partis nostrae», CCH VI, pp. 280-281, ll. 88-105.

(45)

  Si bien la primera de ellas, aun haciendo referencia a la polémica monotelista no estaba dirigida al Papa ni redactada por Julián cfr. F.-X. Murphy, Julian of Toledo and the condemnation, cit. en la nota 7, pp. 366-367. (46)

  Cfr. CCSL CXV, p. x, n. 2.

(47)

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sis parece ser la más razonable a tenor del testimonio de Félix en la biografía de Julián, que enumera sólo dos obras, y de lo que las actas del propio XV concilio transmiten cuando hablan de una única respuesta de Julián «ante hoc biennium» (48). Como se ha venido señalando en páginas anteriores, las actas del XV concilio de Toledo no contienen la totalidad del segundo Apologeticum. El texto está adaptado a las exigencias propias del contexto en el que está incluido. Es improbable que el inicio del texto original se correspondiera con el que aparece en la primera parte del que conservamos. El redactor de las actas, lógicamente, hubo de adaptar la introducción y retocar el texto para dar coherencia al texto conciliar. Aquí surge otro problema respecto a la presencia en las actas del concilio del segundo Apologeticum. No es probable que durante el desarrollo del concilio se leyera íntegramente el tratado, de haber sido así, los propios redactores de las actas lo habrían injerido tal y como fue enviado a Roma. Se presenta como posibilidad más lógica que el propio Julián, presidente de la asamblea, tomara la palabra y expusiera a los padres conciliares el contenido de su escrito. Esto explicaría también el modo con el que despacha las otras dos cuestiones sobre las que no se detiene en el capítulo tercero y sobre todo el lenguaje y el tono empleados cuando Julián se dirige a quienes han puesto en duda la ortodoxia de su doctrina. Sabemos del carácter enérgico de Julián como primado de España y la habilidad mostrada en cuestiones tanto eclesiásticas como políticas, pero el modo en que trata a sus críticos parece más fruto del ambiente conciliar que de una reposada redacción de un escrito de respuesta a Roma. Si quisiéramos seguir la narración del final de la crisis tal y como la presenta la Crónica mozárabe de 754, podríamos concluir que en el texto original seguramente no había rastro de lenguaje que pudiera resultar ofensivo: Roma lo recibió con respeto y devotamente; advirtió a todos que debía ser leído, y fue dado a conocer al nobilísimo emperador repitiéndose la aclamación: “Tu gloria, Señor, hasta los confines de la tierra”. El Papa con toda consideración y agradecimiento envió a Julián por medio de los mismos legados un rescripto en el que manifestaba que todo cuanto había escrito era exacto y dentro de la fe (49).   CCH VI, p. 298, l. 125.

(48)

  Crónica Mozárabe de 754, edición crítica y traducción de J. E. López Pereira, Zaragoza 1980, p. 41. (49)

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Es la única noticia que tenemos de la conclusión de la polémica y como tal hay que considerarla. No obstante, sea como fuere, el duro tono empleado por Julián que aparece reflejado en las actas del XV concilio de Toledo parece más una herramienta retórica que seguramente pretendía reforzar su autoridad como primado de España. Detengámonos en algunas de las frases que reflejan claramente el malestar del episcopado español con una sede romana que no parecía estar a la altura teológica que se le presuponía. a) «uoluntas genuit uoluntatem» (50) El primer tema que exigió la segunda explicación por parte del episcopado español estaba muy relacionado con la polémica que había provocado la convocatoria del III concilio de Constantinopla: la cuestión de la voluntad en Cristo. Era normal que los textos que incluyeran el término uoluntas fueran sometidos a un control particular y así sucedió en la respuesta de Roma al primer Apologeticum. La respuesta del Papa que cita Julián no se ha transmitido en ningún otro documento. Anteriormente, el mismo Julián se había lamentado de que las explicaciones requeridas por la sede apostólica no hubieran sido puestas por escrito sino transmitidas verbalmente por medio del representante español en Roma. El empleo de uisum fuisset (51) antes de la cita que atribuye al Papa podría indicar dos cosas: por una parte, la falta de seguridad acerca de la autoría exacta del texto; por otra, la coincidencia entre ambas proposiciones, la española y la romana, dado que el error no está en la frase sino en el modo de interpretarla, bien según la esencia, bien según la comparación de la mente humana o según lo relativo. Lo importante es destacar la imagen que transmitía la sede romana en aquel tiempo. Julián intenta exculpar al Papa atribuyendo sus críticas a una lectura descuidada del primer Apologeticum. Más adelante, al final de este segundo Apologeticum, se verá cómo Julián ya no eximirá de culpa a la sede romana, antes bien, denunciará abruptamente la ignorancia de sus teólogos. La Iglesia española tenía motivos para no fiarse de Roma. Reco  CCH VI, p. 299, l. 135.

(50)

  Ibidem, p. 298, ll. 133-134.

(51)

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nocía, lógicamente, su autoridad apostólica, de no haber sido así no se habría preocupado siquiera en contestar a la solicitud acerca de la adhesión a las determinaciones del concilio de Constantinopla. No obstante, el aprecio por el nivel teológico de Roma había descendido en las últimas décadas debido, entre otros factores, al triste espectáculo ofrecido por el papa Honorio I y su condena póstuma (52). En el caso que nos ocupa, la crítica realizada por Roma a los planteamientos de Julián no es demasiado feliz. Denota, como se encargará de denunciar Julián en los siguientes párrafos, una extraordinaria falta de agudeza, pues se refiere a temas que ya la tradición teológica, incluso la occidental, había resuelto desde hacía mucho tiempo. El hecho de que la queja papal se deba a una cuestión de posible ignorancia y no a una cuestión teológica de fondo, muestra que ambos se movían en niveles bastante diferentes. Pareciera que Roma pretendía salvaguardar la ortodoxia evitando que se ahondara en terrenos supuestamente resbaladizos. A los de Toledo, sin embargo, les interesaba mostrar las cotas de esplendor cultural, religioso y teológico que había alcanzado su Iglesia. El método de respuesta empleado por Julián en este particular se apoya en tres fuentes principales: Agustín de Hipona, la tradición conciliar hispana y un Atanasio de Alejandría que en realidad se corresponde con uno de los protagonistas de un diálogo de Vigilio de Tapso (53). b) «quod uir ille incuriosa lectionis transcursione» (54) Julián se queja en varias ocasiones del modo de proceder que ha mostrado la sede apostólica a lo largo de toda esta polémica. Al lamento por la falta de una documentación que hubiera contenido las quejas, añade críticas al modo en que se ha entendido su primer escrito. En esta ocasión la falta de atención empleada por Benedicto II en la lectura del primer Apologeticum. Seguirán otras expresiones que indican ese malestar:   En dos de las cartas mencionadas anteriormente, la dirigida al conjunto del episcopado y la remitida al rey Ervigio, se menciona explícitamente al papa Honorio y se le acusa de no haber estado a la altura de su puesto como defensor de la tradición apostólica. (52)

  Cfr. J. A. Cabrera Montero, La cita atanasiana del Apologeticum de tribus capitulis de Julián de Toledo, en «Augustinianum», LIV (2014), pp. 217-236. (53)

  CCH VI, p. 299, l. 136.

(54)

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así pues, el que pueda entender que nosotros dijimos que la voluntad procede de la voluntad según la esencia, no se inquietará en modo alguno por la cuestión expuesta» (55); «esto mismo, en efecto, estaba claro para quien lo leyera atentamente y quisiera entenderlo en el ya citado opúsculo de respuesta de nuestra fe» (56); «así pues, quienquiera que sea instruido entenderá claramente que nosotros no nos hemos equivocado en este punto sino que quizás ellos, a causa de una lectura descuidada, …» (57); «no nos avergonzará defender las cosas verdaderas, aunque quizás alguno se avergüence por el hecho de ignorarlas» (58); «¿quién, en efecto, ignora que todo hombre consta de dos sustancias?» (59); «vean ya finalmente y reconozcan quienes juzgan sin prejuicios partidistas» (60); «ahora bien, si alguno con desvergüenza no se somete a estos Padres, y pregunta como insolente escrutador …» (61); «por tanto, de ahora en adelante, si alguno en contra de estas cosas no quisiera ser instruido sino que se mostrara contrario a este razonamiento que hemos aportado, haga frente a la condena del mencionado concilio [Calcedonia]» (62); «Pero si después de esto y de las propias enseñanzas de los Padres de quienes estas cosas han sido tomadas, en algún modo disienten, no se debe discutir ya más con ellos sino que siguiendo directamente las huellas de nuestros predecesores nuestra respuesta será digna de elogio por el juicio de Dios para los amantes de la verdad aunque sea considerada indócil por rivales ignorantes (63).

c) «ab ignorantibus aemulis» (64) Es precisamente el modo tan brusco con el que termina lo que se conserva del segundo Apologeticum, lo que hace pensar que probablemente este tercer capítulo no perteneciera al original, al menos en esta tesitura. Muy tensas habrían de ser las relaciones con Roma para tener que emplear palabras tan ásperas. Dado que no se ha conservado íntegramente este segundo escrito, lo más probable es que lo que la tradición ha conservado como tercer capítulo no sea sino la conclusión de la exposición que tuvo lugar en el aula conciliar.   Ibidem, pp. 299-300, ll. 153-155.

(55)

  Ibidem, p. 300, ll. 156-157.

(56)

  Ibidem, p. 303, ll. 211-212.

(57)

  Ibidem, ll. 217-218.

(58)

  Ibidem, ll. 219-220.

(59)

  Ibidem, p. 313, ll. 369-370.

(60)

  Ibidem, p. 317, ll. 433-434.

(61)

  Ibidem, pp. 318-319, ll. 465-468.

(62)

  Ibidem, pp. 319-320, ll. 480-485.

(63)

  Ibidem, p. 320, ll. 484-485.

(64)

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Podemos concluir que la polémica, aunque áspera y dura, no llegó a mayores consecuencias – como el temido riesgo de cisma – ya que fueron aportadas suficientes pruebas de la ortodoxia doctrinal española con el recurso no sólo a la Escritura – cuya eficiencia en temas polémicos es siempre ambivalente – sino sobre todo a la autoridad de los Padres y del Magisterio. La defensa de los logros cristológicos alcanzados en Calcedonia se presenta como el objetivo que debe salvaguardarse a toda costa, de ahí la larga cita final del segundo capítulo que a simple vista parecería fuera de lugar. El Apologeticum manifiesta una cierta firmeza, en ocasiones incluso agresiva, respecto a la sede romana. Podemos preguntarnos legítimamente si éste fue efectivamente el tono del escrito enviado desde España a Roma. Consideramos poder responder negativamente: la versión del Apologeticum que ha llegado hasta nosotros fue destinada, con toda probabilidad, a una circulación interna dentro de la península ibérica. No ha de olvidarse que Julián desempeñaba una misión no solamente pastoral sino también eclesiástica y política. Reforzar su posición frente a Roma suponía también reafirmar su autoridad en España. El texto que la Colección Canónica Hispana nos ha transmitido refleja, sí, el contenido, si bien parcialmente, pero también el contexto en el que se desarrolló la polémica. No se trata del mero inserto en las actas del XV concilio de Toledo del texto que se envió a Roma, sino de una adaptación, en ocasiones resumida – el caso del tercer capítulo –, del tratamiento que se dedicó al tema durante las sesiones conciliares. El aporte doctrinal no puede afirmarse que sea grande, pero en la historia de la teología no importan sólo las novedades sino también, y en gran parte, el modo en que se transmite el núcleo de tal o cual aspecto, en este caso la cristología. La originalidad de Julián, como por el resto de la práctica totalidad de los Padres españoles del siglo VII, reside, por tanto, no en los contenidos sino en la metodología empleada. Gracias a las síntesis y al modo de empleo de las fuentes tradicionales de la teología, se pudo avanzar y continuar la labor teológica en épocas sucesivas. La aportación de Julián fue vital en este sentido y no podemos minusvalorar el esfuerzo realizado. Juan Antonio Cabrera Montero

Finito di stampare nel mese di giugno 2015

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