Desiderio_sacrificio_perdono_intro.pdf

May 24, 2017 | Autor: Claudio Tarditi | Categoría: Philosophy, Philosophy Of Religion, Philosophical Anthropology
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DESIDERIO, SACRIFICIO, PERDONO L’ antropologia filosofica di René Girard

Claudio Tarditi

Proprietà letteraria riservata © libreriauniversitaria.it edizioni Webster srl, Padova, Italy I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsivoglia forma senza l’ autorizzazione scritta dell’ Editore, a eccezione di brevi citazioni incorporate in recensioni o per altri usi non commerciali permessi dalla legge sul copyright. Per richieste di permessi contattare in forma scritta l’ Editore al seguente indirizzo: [email protected]

ISBN: 978-88-6292-820-5 Prima edizione: febbraio 2017

Il nostro indirizzo internet è: www.libreriauniversitaria.it Per segnalazioni di errori o suggerimenti relativi a questo volume potete contattare: Webster srl Via Vincenzo Stefano Breda, 26 Tel.: +39 049 76651 Fax: +39 049 7665200 35010 - Limena PD [email protected]

Sommario

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 CAPITOLO 1 Dalla psicanalisi alla fenomenologia del desiderio . . . . . . . . . . . . . 19 1.1 Edipo e il conflitto mimetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.2 Dal complesso di Edipo al Double Bind . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 1.3 Il platonismo di Freud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 CAPITOLO 2 Desiderio, mancanza ontologica, misconoscimento . . . . . . . . . . . . 37 2.1 Mancanza d’ essere e desiderio metafisico . . . . . . . . . . . . . . . . 37 2.2 Le vie della menzogna: il misconoscimento della violenza . . . . . . 44 CAPITOLO 3 Il “Darwin delle scienze umane” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3.1 Un’ ipotesi scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Importanza e limiti dell’ evoluzionismo culturale . 3.3 La cultura come funzione . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Il religioso come coesivo sociale . . . . . . . . . . . 3.5 Freud e la genesi dei divieti . . . . . . . . . . . . . .

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Sommario

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CAPITOLO 4 Contro lo strutturalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 4.1 Analisi strutturale e scienza dell’ uomo 4.2 Natura, cultura, struttura . . . . . . . . . 4.3 Il significante trascendentale . . . . . . 4.4 I riti e i miti . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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CAPITOLO 5 La potenza del negativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 5.1 Tra antropologia e filosofia . 5.2 Dalla dépense al sacrificio . . 5.3 L’ esperienza interiore . . . . 5.4 Dal riso all’ erotismo . . . . . 5.5 Oltre la dialettica . . . . . . .

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CAPITOLO 6 Realtà e decostruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 6.1 Decostruzione del mimetismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 6.2 Una nuova crisi sacrificale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 6.3 Decostruzione, interpretazione, demistificazione . . . . . . . . . . 148 CAPITOLO 7 Per (non) concludere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 7.1 Quale realtà? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2 Rottura della reciprocità e memoria ferita 7.3 Forme dell’ oblio . . . . . . . . . . . . . . . . 7.4 Pacificarsi col passato: il perdono difficile .

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Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 Opere di René Girard citate nel testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 Altri testi citati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178

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Premessa

Quando un intellettuale del calibro di René Girard scompare, com’ è avvenuto il 4 novembre 2015, è difficile iniziare a scrivere anche solo qualche riga sul pensiero che ci lascia in eredità. Questa volta non sarà più possibile discuterne e riceverne un suo commento, si ha come il timore di dover dire qualcosa di definitivo, cioè non più soggetto al dialogo e, dunque, non più modificabile o emendabile. Inoltre, c’ è sempre il rischio di assumere ‒ sebbene involontariamente ‒ un tono commemorativo, col duplice risultato di tediare il lettore e tradire lo spirito dialogico, e ben lontano da fatui narcisismi, che ha sempre contraddistinto Girard. Tuttavia, mi sia concesso dare avvio a questo lavoro con un breve ricordo personale dell’ uomo Girard, prima ancora del pensatore, nella convinzione che la comprensione dell’ umano, nel rapporto con i suoi simili e col divino, sia stato il vero motivo conduttore di tutta la sua riflessione di antropologo. Incontrai la prima volta Girard nel settembre 2004, in occasione di una sua conferenza a Pordenone: si trattava della discussione pubblica con Gianni Vattimo, pubblicata in seguito col titolo Verità o fede debole1. Era da poco uscito il saggio Il sacrificio2, che avevo avuto il piacere di tradurre, in cui sono raccolte le tre conferenze tenute da Girard nel 2002

1 Girard, R.; Vattimo, G. Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e relativismo, Ancona, Transeuropa, 2006. 2

Girard, R. Il sacrificio, Milano, Ed. Raffaello Cortina, 2004.

Premessa

Desiderio, sacrificio, perdono

alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi e dedicate alla questione del sacrificio nella tradizione vedica. Al termine della conferenza, estremamente stimolante proprio per l’ apertura al dialogo dei due interlocutori, pur nella differenza di prospettive teoriche che li caratterizza, attesi che la folla di ammiratori e curiosi in cerca di autografo si diradasse e mi avvicinai a Girard per presentarmi ed esprimergli tutta la mia stima ‒ fino a quel momento ci eravamo scambiati soltanto alcune lettere scritte rigorosamente a mano, come amava fare. Dopo un primo momento di grande imbarazzo ‒ diciamo pure terrore: del resto io, allora giovane dottorando in filosofia, mi trovavo di fronte a uno degli intellettuali più influenti del Novecento ‒ Girard mi fece un grande sorriso e mi ringraziò per avergli inviato il mio primo libro, a lui dedicato3. Ma anziché congedarmi dopo qualche convenevole, come d’ altronde sarebbe stato verosimile, iniziammo a passeggiare per la via centrale della città. Accese una sigaretta e, al fianco della moglie Martha, discutemmo di alcune parti del mio libro. Poche centinaia di metri, sufficienti però per cogliere la profondità e al tempo stesso la semplicità di un intellettuale davvero engagé nel proprio tempo e, cosa assai rara, ben al di là di qualunque moda culturale. Di quel dialogo, conservo soprattutto una frase, che ripeté più volte: «Sono preoccupato per i miei nipoti, dobbiamo fare qualcosa». Poche parole taglienti, come del resto era nel suo stile, lontano dal clamore dei salotti parigini da cui era fuggito in gioventù, per esprimere come l’ uomo contemporaneo non abbia più alcuna scusa per procrastinare la scelta per la salvezza o per la distruzione del genere umano e del pianeta. Le pagine che seguono si pongono proprio nello spirito di quel breve tratto di strada percorso insieme, come per prolungare un dialogo mai interrotto.

3 Tarditi, C. Al di là della vittima. Cristianesimo, violenza e fine della storia, Torino, Marco Valerio, 2004.

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Premessa

Ringraziamenti Mi sia concesso di ringraziare coloro che, attraverso dialoghi, suggerimenti, critiche, o soltanto con la loro presenza, hanno contribuito alla riuscita di questo lavoro. Desidero ringraziare in primo luogo René Girard per i preziosi insegnamenti che ci ha lasciato in eredità e per la disponibilità paterna che mi ha sempre dimostrato. Un sincero ringraziamento va ad Alessio Rocchi e Claudia Chiavarino, direttori della collana di studi dell’ Istituto Universitario Salesiano di Torino, che hanno per primi creduto in questo progetto, e ai colleghi Ezio Risatti, Piero Grillo, Alessandra Schiatti e Paola Sanguedolce. Inoltre, non posso non ricordare qui gli amici con cui ho condiviso gran parte del mio percorso di ricerca: Diego Bubbio, Silvio Morigi, Giovanni Leghissa, Carla Canullo, Francesca dell’ Orto, Chiara Pigozzo, Emilio Corriero, Vera Tripodi e tutta la redazione di Philosophy Kitchen. Un sincero ringraziamento va a tutto lo staff della Faculty of Philosophy, Theology and Religious Studies della Radboud University of Nijmegen (Olanda), in particolare ad Antonio Cimino, Gert-Jan van der Heiden e Chiara Beneduce. Sono profondamente grato anche a Giulia Maniezzi per avermi introdotto al pensiero di V. Jankélévitch. Che conoscano la mia gratitudine anche i miei studenti per le lunghe e stimolanti discussioni: in particolare, Ileana Magliano, Elisa Gandolfi, Stefania Bigotto, Sara Bonini e Agostino Turturro. Infine, come di consueto, un pensiero particolare ad Anna e alla piccola Chiara, a cui il suo papà ha sottratto forse troppo tempo per scrivere questo libro. Torino, ottobre 2016.

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Introduzione Le monde est le résultat de causes trop compliquées pour qu’ on puisse espérer de le faire tenir dans les cadres d’ un système absolu. Aucun symbole ne saurait exprimer la marche de l’ humanité dans le passé, encore moins contenir la règle de son avenir. E. Renan

Se c’è una cosa che tanto la filosofia del Novecento quanto le scienze umane ci hanno insegnato è che i rapporti tra gli uomini sono altamente instabili e spesso conflittuali. Sebbene a partire da prospettive teoriche molto distanti ‒ in alcuni casi antitetiche ‒ e mediante metodologie di ricerca differenti, molti dei maggiori filosofi e antropologi contemporanei hanno fornito contributi imprescindibili per chiunque intenda riflettere su questo tema. Da Malinowski a Freud, da Sartre a Lévi-Strauss, da Mauss a Durkheim, da Bataille a Derrida, da Lévinas a Ricoeur, il tema dell’incontro (e scontro) con l’altro mostra tutta la propria complessità e, al tempo stesso, la propria urgenza. Ebbene, il pensiero di René Girard, il cui apporto al vastissimo panorama delle scienze umane è fuori discussione, tanto da poter essere considerato un classico dell’antropologia contemporanea, è venuto sviluppandosi in dialogo costante con gli autori appena citati proprio a partire dal problema dei conflitti tra gli uomini, sia al livello “microscopico” dei rapporti interpersonali quotidiani sia sul piano “macroscopico” delle relazioni tra diversi gruppi sociali, etnie, stati, culture, religioni. Com’è noto, il concetto grazie al quale Girard attraversa obliquamente il dibattito tra filosofia e scienze umane sui conflitti intersoggettivi e sulla genesi della violenza è il desiderio mimetico, o più in generale mimetismo4,

4 La letteratura sul pensiero di Girard è immensa e impossibile da sintetizzare. A titolo puramente introduttivo, segnaliamo i seguenti testi: Chantre, B. Les derniers

Introduzione

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ossia l’idea che ogni nostro desiderio (e più in generale ogni comportamento umano) sia determinato da un modello che, più o meno inconsapevolmente, imitiamo e di cui diventiamo molto spesso rivali, con conseguenze violente difficilmente prevedibili. Tali rapporti rivalitari – suscettibili di aggravamenti improvvisi e sconcertanti – sono strutturati dal mimetismo, che funziona altrettanto bene anche in assenza di un desiderio che accomuni o divida i termini del rapporto. Ne La pietra dello scandalo, Girard descrive un’esperienza molto comune: un individuo tende la mano a un altro individuo, che ricambia porgendo la sua e compiendo così il rito pacifico della stretta di mano5. La buona educazione esige che, dinanzi alla mano tesa dell’altro, egli faccia lo stesso. Ma se, per una ragione qualsiasi, uno dei due rifiuta la mano all’altro, ecco che immediatamente anche l’altro lo imita, ritira la sua mano, dimostrando una diffidenza uguale o maggiore a quella del primo. Niente di più normale, si potrebbe pensare. Eppure, se si riflette un istante, è facile comprendere come il rifiuto dell’imitazione generi la riproduzione del rifiuto, ossia un’altra imitazione. Pertanto, anche laddove ci si sottrae alla mimesi, si genera nell’altro la mimesi dell’atto di rifiuto della mimesi, ossia un’altra forma di mimesi. L’imitazione che avrebbe dovuto confermare l’accordo attraverso la stretta di mano ricompare per rafforzare

jours de René Girard, Paris, Grasset, 2016; Cowdell, S.; Fleming, C.; Hodge, J. (a cura di) Violence, Desire, and the Sacred. René Girard and Sacrifice in Life, Love, and Literature, Ner York-London, Bloomsbury, 2014; Arrigo, N. René Girard. Cristianesimo, etica, complessità nella società globalizzata, Roma, Rubbettino, 2014; Mormino, G. René Girard. Il confronto con l’ altro, Roma, Carocci, 2012; Fornari, G.; Mormino, G. (a cura di) René Girard e la filosofia, Milano, Mimesis, 2012; Girard, R. La théorie mimétique: de l’ apprentissage à l’ apocalypse, Paris, PUF, 2010; Anspach, M.; Serres, M. (a cura di) René Girard, Paris, L’ Herne, 2008; Vinolo, S. René Girard. Du mimétisme à l’ hominisation, Paris, L’ Harmattan, 2005; Haeussler, E. Des figures de la violence. Introduction à la pensée de René Girard, Paris, L’ Harmattan, 2005; Williams, J.G. (a cura di) The Girard Reader, New York, The Crossroad Publishing Company, 2000. Per una bibliografia complete delle opere di e su Girard pubblicate in Italia e in Francia fino al 2000, si veda Casini, F. Bibliographie des études girardiennes en France et en Italie, Paris, Ed. L’ Harmattan, 2004. 5 Cfr. Girard, R. La pietra dello scandalo, Milano, Adelphi 2004 (tit. orig. Celui par qui le scandale arrive, Paris, Desclée de Brouwer, 2001).

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Introduzione

il disaccordo. Sempre di più l’imitazione trionfa e struttura ogni rapporto umano: anche nel caso in cui un individuo rinunci al mimetismo, certamente un altro lo ridesterà non per rinsaldare il rapporto in procinto di rompersi, bensì per confermare la rottura riproducendola mimeticamente. Da quest’esempio (e da infiniti altri), Girard conclude che i rapporti intersoggettivi – costitutivamente mimetici – sono suscettibili di aggravarsi e impregnarsi di violenza in modo improvviso e in un’escalation difficilmente controllabile. Infatti, riprendendo l’esempio poc’anzi descritto, l’individuo a cui è rifiutata la mano – forse per semplice distrazione, dunque senza un intento offensivo – interpreta il rifiuto dell’altro come un atto di sfida e ne riproduce il rifiuto amplificandolo vistosamente, magari voltando le spalle al primo, atto che genererà certamente in quest’ultimo una reazione ancora peggiore. Si innesca così una spirale violenta fatta di rivalse reciproche per cui non c’è un vero responsabile: entrambi, com’è prevedibile, attribuiranno all’altro la responsabilità dell’origine della spirale violenta, nata da un minuscolo e involontario malinteso, amplificato indefinitamente dal mimetismo. Ciò che emerge da queste analisi girardiane è che i rapporti umani sono costituiti da una doppia imitazione costante la cui ambiguità e ambivalenza è ben espressa dal termine reciprocità. Il rapporto può essere benevolo e pacifico – buona reciprocità – o malevolo e violento – cattiva reciprocità – senza mai cessare di essere strutturalmente mimetico. I conflitti si generano non quando la reciprocità va perduta, cosa che non accade mai, ma quando da buona si trasforma, dapprima lentamente poi sempre più vorticosamente, in cattiva reciprocità. Certo, talvolta è possibile anche il movimento inverso, ma a differenza del primo, che prende avvio molto facilmente, il passaggio dalla cattiva alla buona reciprocità necessita di molta più attenzione e impegno. Come cercheremo di illustrare al termine di questo lavoro, un caso tanto emblematico quanto raro di passaggio dalla cattiva alla buona reciprocità è il perdono. La doppia imitazione è ovunque. Persino nelle sue forme più semplici, essa può dar luogo alle rivalità fondate sul desiderio mimetico. La concordia si trasforma in conflitto a causa di una serie di minuscole rotture reciproche, di volta in volta aggravate da una reciproca sovracompensazione della violenza altrui, alimentando dall’ interno l’ escalation

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violenta. Gli stessi individui che un momento fa si stavano scambiando delle cortesie, ora si stanno scambiando ingiurie, minacce o colpi di pistola, senza che la reciprocità venga mai meno. Se gli avversari arrivano a uccidersi, è per liberarsi della cattiva reciprocità che li avvelena, ma che rispunterà ben presto sotto forma di un’ eterna catena di vendette. La vendetta varca le generazioni, trascende il tempo e lo spazio, la violenza si diffonde nell’ indifferenziazione e può talvolta distruggere intere comunità. La cultura umana si è sviluppata nello sforzo costante di prevenire lo scatenamento della violenza separando e differenziando tutti gli ambiti della vita pubblica e privata che, se abbandonati alla loro reciprocità naturale, rischierebbero di fomentare i conflitti mimetici. È il caso, per esempio, delle regole matrimoniali esogamiche su cui tanto ha insistito Lévi-Strauss6, ma anche delle rigide leggi che regolano i doni e gli scambi tra comunità diverse. Secondo Girard, la modernità, segnata in modo indelebile dal cristianesimo, ha assistito al progressivo tramonto delle culture arcaiche, in cui il sacrificio espiatorio, fonte di ogni differenziazione, garantiva la durevolezza delle gerarchie sociali. Attraverso il meccanismo del tutti-contro-uno le società sacrificali espellevano colui che ritenevano responsabile della violenza interna, ristabilendo così l’ ordine differenziato e la concordia pubblica; l’ espulsione veniva poi periodicamente ripetuta in forma rituale al fine di rafforzare gli effetti benefici di quel primo sacrificio. Ora, la società contemporanea non può più opporre alla violenza alcuna difesa rituale e sacrificale: essa costituisce il primo esempio di cultura schierata dalla parte della reciprocità e dell’ identità contro ogni differenza. L’ uguaglianza tra gli uomini è un principio assodato presso quasi tutte le culture mondiali e costituisce senza dubbio uno dei cardini delle democrazie occidentali. Certo, la mancanza di misure atte a prevenire i rapporti di reciprocità rende i rapporti umani estremamente mobili e passibili di degenerare in conflitti violenti; cionondimeno, questa

6 Lévi-Strauss, C. Le strutture elementari della parentela, Milano, Feltrinelli, 1984 (prima ed. it. 1969).

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stessa fragilità è indispensabile per pensare la possibilità di un cammino inverso dalla cattiva alla buona reciprocità, percorso difficile e tortuoso, ma non per questo meno necessario per la sopravvivenza della specie umana e dell’ intero pianeta. Insomma, perché il bene sia possibile, lo deve essere anche il male e la violenza. Alla luce di queste considerazioni, la grande fecondità dell’ ipotesi mimetica risiede nella sua plasticità intersoggettiva: infatti, rispetto a tutti gli approcci teorici che considerano l’ intersoggettività una questione “seconda” rispetto a quella dell’ io, la teoria mimetica pone il rapporto con l’ altro come dato originario e assolutamente primo. In altre parole, al di fuori del rapporto (mimetico) con l’ altro, non vi è alcun soggetto. In questo senso, la teoria mimetica è in grado di fornire non soltanto un’ adeguata descrizione di un gran numero di fenomeni antropologici, ma anche gli strumenti concettuali per una critica radicale dei fondamenti epistemologici delle discipline che storicamente si occupano del problema “uomo”: la filosofia e l’ antropologia. S’ ingannerebbe tuttavia chi pensasse che Girard si collochi pienamente nell’ alveo accademico dell’ una o dell’ altra disciplina. Di formazione storiografica e archivistica, egli ha sempre mantenuto una posizione fortemente critica nei confronti delle “mode” intellettuali francesi (e in particolare parigine), criticando aspramente tanto lo strutturalismo quanto la decostruzione, tanto l’ ermeneutica quanto il post-moderno. Girard si è così ritagliato uno spazio da outsider della cultura europea: la voce di un intellettuale francese “fuggito” negli Stati Uniti, dove ha vissuto e insegnato a partire dagli anni Cinquanta, in dialogo costante con la cultura europea ma a dovuta distanza dagli indirizzi teorici maggioritari che si sono avvicendati sulla scena culturale del vecchio continente a partire dal secondo dopoguerra7. Del resto, basti pensare ai suoi attacchi polemici nei confronti dello strutturalismo antropologico di Lévi-Strauss o del decostruzionismo di Derrida per accorgersi di come il suo lavoro abbia interagito con la

7 Abbiamo ricostruito questo contesto culturale in Tarditi, C. Al di là della vittima cit.

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Introduzione

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cultura europea contemporanea secondo una traiettoria “trasversale” rispetto a qualunque rigida collocazione disciplinare. Non di rado, come vedremo nel dettaglio, si trovano nei suoi testi affermazioni piuttosto forti sulla “fine della filosofia”, così come sull’ aridità degli studi antropologici ed etnologici più recenti. Eppure, Girard resta un pensatore di estrema rilevanza per l’ antropologia e, al tempo stesso, per la filosofia ‒ in particolare per la filosofia della religione8. Scopo di questo lavoro è ripercorrere alcune delle trame del suo pensiero, mettendo in luce come la teoria mimetico-vittimaria possa, e debba, essere ripensata come antropologia filosofica: pur allontanandosi dal metodo e dagli obiettivi dell’ antropologia culturale e delle altre scienze umane, e pur rigettando fermamente la deriva metafisica della filosofia occidentale, Girard non rinuncia a una prospettiva sistematica che, a partire dall’ osservazione e dall’ analisi comparata delle più varie istituzioni umane (dal mito al sacrificio, dal rito ai sistemi giuridici moderni, dalla letteratura alla storia), persegua ancora l’ obiettivodi descrivere la genesi e lo sviluppo del processo di ominizzazione. Un progetto senz’ altro ambizioso, che non può che dare risultati parziali e sempre da perfezionare ulteriormente, ma che proprio in quanto tale si pone come progetto scientifico capace di oltrepassare l’ ormai desueta opposizione tra le categorie di natura e cultura, mostrandone l’ intimo intreccio e il costante rimando reciproco9. Non a torto, Girard si è guadagnato l’ appellativo di “Darwin delle scienze umane”. Abbandonato dunque lo schema tradizionale, se-

8 Cfr. Bubbio, P.D. Il sacrificio intellettuale. René Girard e la filosofia della religione, Torino, Il Quadrante, 1999 e id, Il sacrificio. La ragione e il suo altrove, Roma, Città Nuova, 2004. 9 Del resto, già l’ ultimo Husserl sottolinea come le scienze naturali siano in quanto tali spirituali, ossia culturali: infatti, anche l’ indagine rivolta agli enti e alle leggi naturali presuppone sempre la storicità degli scienziati che conducono l’ indagine, i loro scambi linguistici, ecc. D’ altro canto, una ricerca sulle scienze dello spirito non può prescindere dal radicamento naturale degli enti cui si rivolge cfr. Husserl, E. La crisi delle scienze europee, Milano, il Saggiatore, 2015 (prima ed. it. 1975), in particolare pp. 328-358.

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condo cui a un certo punto della propria evoluzione organica l’ homo sapiens ha iniziato a produrre cultura, Girard mostra ‒ anche sulla scorta della psicanalisi ‒ come l’ ambiente naturale in cui l’ uomo vive si evolve, per così dire, insieme a lui, proponendogli sempre nuovi stimoli adattivi e di selezione: nascono allora la cultura, i saperi tecnici, l’ arte, il religioso, la scienza. Ora, il mimetismo ha a che fare con tutto questo processo millenario, proprio perché il rapporto uomo-mondo è originariamente mediato dagli altri individui che, al pari di ognuno di noi, costituiscono il mondo come totalità di significati. Tuttavia, in sede introduttiva, è necessario chiarire in modo più approfondito in che senso la teoria mimetica debba essere intesa come antropologia filosofica e non possa rientrare invece nell’ambito delle discipline antropologiche oggi praticate. Se infatti il discorso girardiano prende apertamente le distanze dalla filosofia, pur attingendovi e svolgendo ‒ come avremo modo di specificare ‒ un ruolo di rilievo nel dibattito filosofico sulla violenza e sul religioso, il suo rapporto con l’antropologia è molto più complesso: infatti Girard presenta la teoria mimetica appunto come un’antropologia, nonostante non esiti a criticare duramente gli esiti e l’impostazione che questa disciplina ha assunto nel corso del Novecento. Occorre quindi determinare i punti di contatto e di rottura del pensiero girardiano con l’antropologia, mostrando le ragioni per cui la teoria mimetica non è un’antropologia culturale, bensì un’antropologia filosofica. In sostanza, da quale tipo di antropologia Girard prende le distanze? A questo proposito, risulta utile riferirsi alla descrizione, ormai classica, che F. Remotti propone dei vari modelli possibili di antropologia, incentrata sull’idea che quest’ultima si debba concentrare sui “confini” dell’umano, cioè sui limiti entro cui si può parlare propriamente di umanità10: a) antropologia fisica e biologica, che si occupa dei confini tra homo sapiens e altri primati; b) paleoantropologia, dedicata ai confini tra forme di umanità e altri ominidi estinti; c) antropologia culturale e sociale, incentrata sui confini delle forme culturali e sociali di umanità. Quest’ultima

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Remotti, F. Prima lezione di antropologia, Bari, Laterza, 1990, p. 45.

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categoria si divide a sua volta a seconda dei: 1) confini di forme particolari di umanità; 2) confini di tutte le forme particolari di umanità; 2a) totalità delle forme di umanità effettivamente realizzate; 2b) totalità dei principi generativi delle forme di umanità possibili. Va da sé che il modello 2a risponde a un’istanza essenzialmente scientifica ed evoluzionista, mentre il modello 2b è di chiara matrice filosofica, in quanto mira a determinare oggettivamente l’origine dell’umanità in quanto produttrice di cultura. Tuttavia, secondo Remotti, 2a e 2b presentano delle rilevanti difficoltà: se da un lato è altamente improbabile che gli antropologi riescano a cogliere “orizzontalmente” tutte le forme di umanità emerse nella storia (per non parlare di quelle future), dall’altro lato risulta piuttosto difficile redigere una mappatura “verticale” dei principi generativi delle forme di umanità, quelli che Lévi-Strauss chiamava “recinti mentali”11. Per quanto 2a sia strutturalmente irrealizzabile e 2b soltanto procrastinabile, Remotti conclude che l’antropologia debba oggi limitarsi, per ragioni interne di scientificità, al tipo 1, ossia allo studio dei confini di forme particolari di umanità. Più precisamente, l’antropologia culturale e sociale assumono come proprio compito specifico quello di salvaguardare la propria scientificità attraverso la limitazione del proprio ambito di ricerca all’analisi comparativa di determinate culture. Evidentemente, il presupposto di questa prospettiva è che un’antropologia scientifica è un’anthropologia perennis, che non conosce scadenza proprio in quanto si dichiara costitutivamente incompleta12. Come a dire che vi sarà antropologia finché vi sarà l’uomo. Ora, è precisamente a questo modello antropologico che Girard si oppone sin dall’ inizio della sua carriera intellettuale. Individuando

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Lévi-Strauss, C. Il pensiero selvaggio, Milano, il Saggiatore, 1964, p. 25.

12 Va notato che Remotti non presenta questa prospettiva come l’ unica possibile, anzi sottolinea il panorama pluralista che caratterizza l’ antropologia del Novecento. Cionondimeno, è un fatto storico che l’ antropologia post-strutturalista abbia abbandonato ogni aspirazione alla totalità (almeno di tipo 2b) in favore di una pratica più dimessa, in sintonia con la tesi di C. Geertz secondo cui il carattere fondamentale dell’ uomo è la sua “diversità” (Geertz, C. Antropologia interpretativa, Bologna, il Mulino, 1988).

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Introduzione

nell’ opera di Lévi-Strauss il passaggio dal modello 2b al modello 1 – per rimanere nello schema di Remotti –, cioè da un’ antropologia alla ricerca delle matrici culturali dell’ umanità a un’ antropologia come descrizione e comparazione di determinate culture, Girard propone un ritorno all’ antropologia come sapere sistematico sull’ uomo. Scrive a tal proposito: In definitiva Lévi-Strauss invita l’ etnologia e tutte le scienze dell’ uomo a una vasta ritirata strategica. Prigionieri come siamo delle nostre forme simboliche, non possiamo far altro che ricostruire le operazioni di senso non solamente per noi ma per le altre culture; non possiamo trascendere i significati particolari per interrogarci sull’ uomo in sé, il suo destino, ecc. Tutto quello che possiamo fare è riconoscere nell’ uomo colui che secerne le forme simboliche, i sistemi di segni, per poi fonderli con la realtà stessa. […] Non vi è nulla di più essenziale per l’ etnologia che cogliere il senso solamente dove si trova e dimostrare l’ inutilità di certe antiche riflessioni sull’ uomo13.

Ora, posto che la quasi totalità degli approcci antropologici post-strutturalisti al problema dell’ uomo sono di tipo 1, risulta impossibile includere la teoria mimetica nel panorama disciplinare dell’ antropologia culturale. Pertanto, rivendicando la funzione sistematica e il carattere genetico dell’ indagine antropologica, volta a individuare l’ origine, le strutture costanti e il senso dell’ essere uomo, Girard si richiama a una dimensione filosofica dell’ antropologia. Del resto, vi sono illustri esempi di prospettive antropologiche, germinate sul terreno filosofico contemporaneo, che hanno tentato di descrivere le origini della cultura proprio in controtendenza rispetto al percorso dell’ antropologia culturale: si pensi per esempio a M. Scheler, H. Plessner e A. Gehlen14. Non è dun-

13 Girard, R. Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Milano, Adelphi, 1983, pp. 20-21. 14 Cfr. Scheler, M. L’ eterno nell’ uomo, Milano, Fabbri, 1972; Plessner, H. I gradi dell’ organico e l’ uomo. Introduzione all’ antropologia filosofica, Torino, Bollati

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Introduzione

Desiderio, sacrificio, perdono

que l’ esito religioso del pensiero girardiano a fare della teoria mimetica un’ antropologia filosofica, bensì – molto più radicalmente – il rifiuto del relativismo culturale verso cui si è inesorabilmente incamminata l’ antropologia post-strutturalista. Su queste premesse, questo libro si articola su più livelli come un multiforme tentativo di messa a fuoco di alcune fra le più importanti questioni teoriche che soggiacciono alla teoria mimetica, attraverso il confronto con altre impostazioni che hanno profondamente influenzato la cultura europea del Novecento, e per molti versi continuano a farlo ancora oggi. Ci auguriamo che esso possa essere utile non solo per chi si accinge a iniziare la navigazione nell’ oceano antropologico, filosofico e religioso girardiano, ma che possa offrire fecondi spunti di riflessione per spingere un po’ più in là la comprensione dell’ uomo, dell’ altro e dei mali che affliggono il nostro tempo.

Boringhieri, 2006; Gehlen, A. L’ uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano, Mimesis, 2010. Va notato che, sin dal periodo del suo trasferimento negli Stati Uniti, Girard ha ben presente le opere di Scheler, l’ unico tra gli antropologi di ispirazione fenomenologica a essere citato in Menzogna romantica e verità romanzesca, Milano, Bompiani, 1981.

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