Conflictos jurisdiccionales entre la Iglesia y la justicia secular en la monarquía española: la doctrina jurídica de los siglos XVI y XVII

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Descripción

MaTriX Proposte per un approccio interdisciplinare allo studio delle istituzioni A cura di: Giuseppe Ambrosino e Loris De Nardi

Contributi di: Giuseppe Ambrosino, Alessandro Arienzo, Simona Berhe, Alessandro Buono, Anna D’Ascenzio, Giacomo Demarchi, Loris De Nardi, Francesco Di Chiara, Simona Fazio, Elisabetta Fiocchi Malaspina, Enrico Gargiulo, Alessandro Giovanazzi, Filippo Gorla, Javier López Alós, Andrea Mariuzzo, Salvatore Mura, Massimiliano Paniga, Belinda Rodríguez Arrocha, Beatrice Saletti.

Comitato dei referees: Marcella Aglietti, Livio Antonielli, José Manuel de Bernardo Ares, Maria Luisa Betri, Pierre Bonin, Francesco Bonini, Cinzia Cremonini, Federico Cresti, Francesco Di Donato, Javier García Martín, Germano Maifreda, Stefano Mannoni, Roberto Martucci, Guido Melis, Emanuele Pagano, Salvatore Palidda, Beatrice Pasciuta, Andrea Romano, Pietro Saitta, Francesco Soddu, Marco Soresina, Giovanni Tessitore, Antonio Trampus, Alessandro Vanoli, Gian Maria Varanini, José Luis Villacañas Berlanga.

QuiEdit Verona 2015

Il presente volume fa parte delle attività scientifiche ed editoriali dell’Associazione «MaTriX. Laboratorio di Storia, Sociologia e Scienza delle Istituzioni» con sede in Via Giovanni XXIII 13\C, 20866 Carnate (MB), codice fiscale 94058130157. Comitato scientifico: Giuseppe Ambrosino (coordinatore), Loris De Nardi (coordinatore), Simona Berhe, Alessandro Buono, Giacomo Demarchi, Francesco Di Chiara, Simona Fazio, Salvatore Mura. ‫٭‬ I contributi pubblicati in questo volume sono stati sottoposti a un duplice processo di valutazione. Ogni articolo sottoposto per la pubblicazione è stato valutato dapprima dai curatori, che ne hanno giudicato la congruità scientifica rispetto ai fini del progetto MaTriX e, in seguito all’esito positivo, è stato sottoposto alla valutazione anonima da parte di peer reviewers, scelti all’interno del comitato dei referees in base all’argomento dell’articolo. Ogni articolo è corredato di: un abstract in inglese, parole chiave in inglese, un breve profilo biografico di ciascun autore in italiano. ‫٭‬ Il presente volume è stato pubblicato grazie al contributo dell’Associazione «MaTriX. Laboratorio di Storia, Sociologia e Scienza delle Istituzioni» e degli studiosi che aderiscono al progetto MaTriX, fra i quali figurano tutti gli autori degli articoli raccolti in questa sede. ‫٭‬ Copyright© by QuiEdit s.n.c. Verona, via S. Francesco, 7- Bolzano, piazza Duomo 3 - Italy www.quiedit.it e-mail: [email protected] Edizione I - Anno 2015. Finito di stampare nel mese di giugno 2015 ISBN: 978-88-6464-320-5 Immagine di copertina: Colori primari La riproduzione per uso personale, conformemente alla convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, è consentita esclusivamente nei limiti del 15%.

Indice del volume Ringraziamenti .......................................................................................... 9 INTRODUZIONE Progetto MaTriX. Numero 0 di Giuseppe Ambrosino e Loris De Nardi .................................................. 11 PARTE I STRATEGIE POLITICHE E GOVERNANCE DELLE ISTITUZIONI Ragion di stato democratica e governance delle emergenze di Alessandro Arienzo ............................................................................... 17 «Mandalo incontinente a pigliare et fagli dare quattro tracti di corda». Qualche osservazione sui rapporti tra i duchi e l’amministrazione estense nel tardo Quattrocento, a partire dal Caleffini di Beatrice Saletti ....................................................................................... 35 Il governo straordinario e la “pazienza dei vassalli”. Riflessioni attorno alla “crisi politica generale” del Seicento di Alessandro Buono .................................................................................. 57 La costruzione del consenso come strategia politica e strumento di governo: Francisco de Benavides de la Cueva, conte di Santo Stefano, viceré di Sicilia (1679-1687) di Loris De Nardi ..................................................................................... 77

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Governare la transizione. La monarchia francese durante la reggenza di Philippe d’Orléans (1715-1723) di Giuseppe Ambrosino .............................................................................. 99 I consigli di prefettura del Regno d’Italia napoleonico. I multiformi ordinamenti civili italiani all’incontro con l’uniformità del modello francese di Alessandro Giovanazzi ........................................................................ 121 Istituzioni filantropiche ed amministrazione dei luoghi di pena nel Regno delle Due Sicilie. L’esperienza palermitana e la Deputazione di Santa Maria di Visita Carceri (1827-1838) di Simona Fazio....................................................................................... 139 Politiche universitarie e selezione pubblica della comunità scientifica. Forme e funzioni del reclutamento accademico dall’Unità alla Seconda guerra mondiale di Andrea Mariuzzo ................................................................................ 159 Cessione di un ramo d’amianto. La strategia di privatizzazione delle FF. SS. di Anna D’Ascenzio ................................................................................ 177 Amministrare nell’ombra. Discrezionalità e opacità nella gestione della sicurezza di Enrico Gargiulo ................................................................................... 195

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PARTE II IDEE NUOVE E POLITICHE INNOVATIVE Le corti sovrane della prima età moderna e la dottrina giuridica: centri di produzione ed interpretazione del diritto. Il caso siciliano di Francesco Di Chiara ............................................................................ 221 Conflictos jurisdiccionales entre la Iglesia y la justicia secular en la monarquía española: la doctrina jurídica de los siglos XVI y XVII di Belinda Rodríguez Arrocha .................................................................. 241 Modelli di traduzione e transfert nella storia del diritto internazionale: alcune osservazioni preliminari di Elisabetta Fiocchi Malaspina ............................................................... 261 ¿Por qué fue abolida asì la Inquisición? Regalismo y nacionalización de la censura social en la Revolución liberal española di Javier López Alós ................................................................................ 279 Il funzionario pubblico nella Spagna fra Otto e Novecento. Logiche corporative e istituzionali fra tecnica e politica (18981936) di Giacomo Demarchi ............................................................................... 297 Le commissioni del dopoguerra e la questione coloniale: il caso libico di Simona Berhe ....................................................................................... 317

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Per un’evoluzione del concetto di fascismo come totalitarismo imperfetto. Il rapporto tra élite istituzionale e popolo nel Dizionario di politica (1940) di Filippo Gorla ....................................................................................... 335 Assistenza e partiti politici. La Dc e la sinistra nel Parlamento repubblicano (1946-1953) di Massimiliano Paniga ............................................................................ 351 Ipotesi per un approccio interdisciplinare allo studio della storia della legislazione di Salvatore Mura .................................................................................... 375 CONCLUSIONI Prospettive di interdisciplinarità di Giuseppe Ambrosino e Loris De Nardi ............................................... 393 English summaries and keywords ...................................................... 403 Notizie sugli autori ............................................................................... 421 Notizie sui referees ............................................................................... 427

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Conflictos jurisdiccionales entre la Iglesia y la justicia secular en la monarquía española: la doctrina jurídica de los siglos XVI y XVII Belinda Rodríguez Arrocha Una relevante característica del sistema judicial español de la Edad Moderna fue la imperfecta delimitación de las competencias, en una época histórica en la que las instituciones civiles y religiosas actuaban en aras del mantenimiento de su prestigio social. La conflictiva coexistencia de los diversos tribunales ha sido analizada ampliamente en el ámbito de los estudios sobre las interrelaciones entre los estamentos sociales, en el marco jurídico del regalismo [DOMÍNGUEZ 1979]. En la práctica judicial no eran infrecuentes las usurpaciones de otras jurisdicciones, o las prácticas abusivas como las excomuniones y los arrestos arbitrarios, en un contexto jurídico de multiplicidad de fueros [MARTÍNEZ RUIZ/DE PAZZIS 1996]. En este artículo presentamos de manera sintética el análisis de algunos de los más destacados autores que escribieron sobre la resolución de conflictos jurisdiccionales y el ámbito competencial de los jueces seglares y eclesiásticos. Primeramente partiremos de las obras de Jerónimo Castillo de Bobadilla y de Juan de Hevia Bolaños, más trascendentes por su difusión y pragmatismo que por su profundidad doctrinal. Con posterioridad, nos detendremos en las opiniones propugnadas por Juan Solórzano y Pereira, Pedro Frasso y Gaspar de Villarroel, fundamentales en lo que atañe a la observación de las relaciones entre los poderes eclesiásticos y reales en las Indias. Asimismo hemos prestado especial atención a la historiografía relativa al análisis de su legado 241

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jurídico. En este sentido, algunos juristas como Francisco Salgado de Somoza han originado interesantes estudios acerca del fenómeno regalista en el ámbito hispano [ALONSO 1973], mientras que otros ensayos han advertido de manera certera esta tendencia ideológica en relevantes disertaciones jurídicas del siglo XVII [BENLLOCH 1984]. Si bien la jurisdicción inquisitorial y la delimitación de sus competencias ha sido analizada en extensión desde la historiografía tradicional, como puso de relieve la monumental obra en varios volúmenes de H. C. Lea [LEA 2011], la configuración de la justicia eclesiástica ordinaria ha suscitado menor interés, pese a que algunos trabajos ponen de relieve la trascendencia de su actividad en el contexto socio-histórico peninsular [PÉREZ MUÑOZ 1992] e indiano [TRASLOSHEROS 2004]. La evolución del patronato regio ha motivado también la redacción de esclarecedores estudios en el ámbito de la historiografía hispanista internacional [HERMANN 1988]. Asimismo, las monografías tradicionales americanistas pusieron de relieve la frecuencia de los conflictos entre las autoridades eclesiásticas y las instituciones seculares en la América hispana, tanto en Nueva España [CUEVAS 2003] como en Perú [MEDINA 1956]. La jurisdicción inquisitorial continúa suscitando en nuestros días debates e interpretaciones concernientes al rechazo que suscitó entre otras jurisdicciones, ora en la Península Ibérica [RUIZ IBÁÑEZ 1995], ora en otros territorios sujetos a los Austrias españoles [RIVERO 1993]. Dado que la naturaleza jurídica del Santo Oficio tenía un componente eclesiástico, surgirá una confusión jurisdiccional y una oposición por parte de los prelados, que consideraron usurpadas sus competencias a manos de los tribunales inquisitoriales. Los principales instrumentos del poder real en Indias serán la Inquisición, los virreyes y las Audiencias, como instituciones responsables de la administración de la justicia secular. Existirán fricciones entre la Inquisición y varios virreyes, entre éstos y los oidores, etc. El fuero privilegiado de los ministros y

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oficiales del Santo Oficio será la causa fundamental de los conflictos. La preocupación por encontrar una solución cristaliza en las concordias, a través de las cuales los monarcas tratan de mantener la armonía entre las partes enfrentadas. En la primera mitad del siglo XVI, los conflictos eran resueltos esencialmente por el rey a través de las cédulas reales y siempre a favor de la jurisdicción inquisitorial. A partir de 1568 la respuesta a los conflictos planteados es más compleja. Desde ese año y hasta 1626 se resuelven atendiendo a criterios particulares en relación a cada uno de los consejos de la monarquía, y en último término, acudiendo a la instancia real. Desde 1626 y hasta finales de ese siglo los problemas de jurisdicción se resuelven en el seno de la Junta de Competencias [GARCÍA-BADELL 2004]. Las controversias nunca se solventan del todo, pues son confusas las causas de cada uno de los conflictos, originados por las ambiguas atribuciones jurisdiccionales. Pese a que la celebración y publicación de las concordias constituye un modo de resolución que ha sido examinado en diversos trabajos, todavía es necesario profundizar en sus características intrínsecas y en su proyección forense [TORQUEMADA SÁNCHEZ 1998, pp. 257267]. Amén de su inclusión en interesantes estudios históricojurídicos, su relevancia en cuanto mecanismo de conciliación entre tribunales ha sido puesta de manifiesto en monografías relativas al fenómeno de la violencia en la Castilla moderna [BALANCY 1999, pp. 249-255]. Los conflictos más violentos hacían referencia a los retraídos que pretendían acogerse a la inmunidad del suelo sacro, en tanto que las autoridades reales no estaban conformes en absoluto con esa extensión de la jurisdicción eclesiástica por medio del sagrado. Estas cuestiones se resolvían a veces con la intervención de los alguaciles, que quebrantaban el derecho al asilo eclesiástico. La respuesta habitual de la autoridad religiosa era la excomunión de los representantes de la justicia real, frecuente en los casos en que esos oficiales osaban alterar sus privilegios. Esta situación provocó que el

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Consejo Real interviniera decididamente, disponiendo en 1612 límites – ciertamente ambiguos – a la inmunidad del suelo sagrado [VILLALBA 1993, p. 139]. La primera edición de la Política de Jerónimo Castillo de Bobadilla es de 1597, publicada en Madrid. Desde el punto de vista jurídico la Política está estrechamente vinculada al mos italicus tardío, en la medida en que presenta un notorio registro de la doctrina del derecho común y, más concretamente, del Derecho romano y de sus comentaristas. Cita con prolijidad textos romanos y canónicos, y menciona frecuentemente a los glosadores y a los contemporáneos suyos, tanto civilistas como canonistas. Además de famosos juristas bajomedievales, en sus páginas aparecen conocidos penalistas como Giulio Claro, Tiberio Deciani o Prospero Farinacci. No obstante, nunca pierde de vista que el derecho real era el derecho promulgado por el monarca, vicario de Dios. Su aplicación vendría matizada por el recurso a la equidad. A la vez que en la práctica real los jueces estaban dotados de un amplio margen de actuación – amparado por el propio ordenamiento jurídico –, la ley positiva estaba subordinada a un orden moral o religioso. Esta obra se enmarca con nitidez en el contexto de la disertación retórica de tintes morales, propia de la cultura barroca española. Licenciado en Cánones por la Universidad de Salamanca, Castillo ejerció como corregidor en ciudades como Soria y Guadalajara, urbes que, si bien no eran de las más importantes en Castilla, tenían voto en las Cortes. Con posterioridad ejerció como letrado en las Cortes. En 1602 es designado fiscal de la Chancillería vallisoletana. Consultada con asiduidad incluso en Sicilia, su obra constituyó un valioso libro de referencia para la práctica de la justicia aún en el siglo XVIII. Si bien no apareció en el índice hasta 1632, la edición de 1608 ya estaba enmendada por la censura inquisitorial. Las correcciones fueron escasas y afectaron tan sólo a los párrafos que el Santo Oficio consideró perjudiciales para las prerrogativas de la jurisdicción eclesiástica, la inmunidad de

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los bienes de la Iglesia y la presunción de la superioridad y excelencia del estamento clerical [GONZÁLEZ ALONSO 1978]. El libro sigue siendo objeto de análisis en el continente europeo en lo concerniente a la tratadística sobre gobierno en el período de los Austrias [TRUMAN 1999, pp. 164-182], así como en recientes trabajos relativos a la configuración del pensamiento jurídico de la Castilla moderna [BRAUN 2013, pp. 257-292] y a la historia de la filosofía jurídica [LABRADA, 1999]. A lo largo de los capítulos diecisiete, dieciocho y diecinueve del libro segundo del primer tomo de la Política, Castillo desarrolló los límites de la jurisdicción eclesiástica, el contenido de las competencias de la jurisdicción real en los casos de fuero mixto y las actuaciones que lícitamente podía protagonizar el corregidor en aras de la defensa de la jurisdicción real [CASTILLO 1597, pp. 881-1156]. El conocimiento del castigo de los delitos por parte de ambas jurisdicciones cobra especial relevancia, incluyendo esclarecedoras referencias a las órdenes militares [CASTILLO 1597, pp. 1137-1139]. Asimismo, aborda ampliamente el derecho de asilo en suelo sacro en el capítulo catorce del libro segundo del primer tomo. En el capítulo siguiente se detendrá a su vez en la defensa armada de la inmunidad de estos espacios [CASTILLO 1597, pp. 709-782]. No ha de ser obviado el hecho de que el autor incluso afirma que la escritura en lengua romance posibilitaría una mayor difusión entre los oficiales reales no letrados, con vistas a evitar las situaciones de discordia con los jueces eclesiásticos. No duda en denunciar en varios de sus párrafos la actitud negligente de los tribunales religiosos en el castigo de los crímenes cometidos por los clérigos, así como sus prácticas abusivas tendentes al entorpecimiento de la jurisdicción real. No obstante, defiende la conveniencia de que hubiera eclesiásticos en las instituciones seculares, tales como los consejos de la monarquía; consideración que será retomada posteriormente por algunos autores como Pedro Portocarrero, patriarca de las Indias y capellán

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mayor del rey, que en su Theatro monárquico aludió al debate sobre la intervención de los eclesiásticos en los tribunales reales y en lo que concernía a las causas civiles [PORTOCARRERO 1700, pp. 236238]. Pese a que se centró casi exclusivamente en la literatura patrística, también alude a la tradicional presencia de los religiosos en los tribunales españoles. En el plano de la teoría jurídica es también relevante la participación de los teólogos juristas en ámbitos como el derecho criminal, el contractual y el indiano – de sobra es conocida la trayectoria doctrinal de fray Alfonso de Castro, fray Martín de Azpilcueta o de fray Juan Ginés de Sepúlveda, entre otros religiosos –, en un contexto histórico e ideológico en el que la disciplina teológica abarcaba el estudio de la razón y de la conciencia humana [LUQUE 2003]. Juan Hevia Bolaños ha suscitado durante décadas el interés por el esclarecimiento de su trayectoria personal y profesional [LOHMANN 1961] y por el pragmatismo no exento de cualidades doctrinales, aunado a la amplia difusión de su obra procesal en el ámbito hispánico de los pasados siglos [CORONAS 2007, pp. 7793]. El asturiano desempeñó oficios como el de oficial de escribanos antes de pasar a Indias, donde, entre otras funciones, fue receptor de número de la audiencia de Quito en las postrimerías del siglo XVI. Su Curia Philipica, cuya primera edición vio la luz en Lima en 1603, estaba dedicada al virrey Luis de Velasco. El autor diferenciaba en el primer tomo las condiciones de la observancia de los fueros especiales, tanto en los juicios seculares civiles y penales como en los eclesiásticos. A semejanza de Castillo, desarrolla con profusión los límites y el contenido de los privilegios eclesiásticos en los procesos criminales y se detiene en los supuestos de fuero mixto [HEVIA 1790, pp. 177-193]. Si bien su libro está sustentado sobre el derecho real y el canónico, como la Nueva Recopilación y los Concilios Tridentinos, su disertación constituye en buena medida una síntesis de la doctrina de los juristas de la talla de Acevedo,

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Covarrubias, Antonio Gómez, Gregorio López o Tomás Sánchez. A semejanza de Castillo, sigue a Deciani, Farinacci, Claro y Bartolo da Sassoferrato, entre otros autores italianos. Al igual que los corregidores, sus tenientes, los alcaldes y otros jueces seculares tenían la jurisdicción ordinaria, en contraposición a los jueces de comisión – que era meramente temporal –, los obispos y arzobispos ostentaban la jurisdicción ordinaria eclesiástica en sus diócesis y arzobispados, en virtud del derecho canónico. Es reseñable el hecho de que este autor había consultado atentamente el tratado de Castillo en el proceso de preparación de su obra. La conflictividad entre los jueces eclesiásticos y seculares se halla reflejada con nitidez en sus páginas. Sin embargo, la presentación de los antecedentes históricos de las interacciones entre las instituciones políticas y religiosas no cobra en el libro de Hevia la trascendencia que había tenido en Castillo; comparaciones que incluyó sin una contextualización crítica, como se desprende de sus alusiones a los soberanos egipcios o a los sacerdotes hebreos del Antiguo Testamento [TOMÁS Y VALIENTE 1975, p. 191]. A finales del siglo XVI ya eran patentes en Indias los conflictos entre las autoridades eclesiásticas y civiles, como se habían producido una centuria antes en el Archipiélago Canario tras la finalización de su conquista [GARCÍA/PORTELA 2005]. En este sentido, Antonio de León Pinelo, relator del Consejo de las Indias y de su Cámara, dedica un capítulo de su biografía del arzobispo de los Reyes, Toribio Mogrovejo, a la narración de las desavenencias planteadas entre esta relevante figura de la historia indiana y el virrey [LEÓN PINELO 1653, pp. 91-114]. El motivo fundamental de los choques constantes entre la jurisdicción civil y la eclesiástica venía constituido por la indeterminación de las propias competencias, como manifestaba Gaspar de Villarroel – que fue obispo de Santiago de Chile y con posterioridad arzobispo de Charcas – en su obra Gobierno Eclesiástico pacífico y unión de los dos cuchillos Pontificio y

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Regio (1657). Este extenso libro ha sido analizado en profundidad desde la perspectiva de la historia eclesiástica y con especial referencia al desenvolvimiento del patronato en Indias [GONZÁLEZ ZUMÁRRAGA 1961]. El arzobispo aseveraba que la prolija legislación – que en el real patronato regía los asuntos eclesiásticos – producía las desavenencias entre el poder espiritual y el temporal [VILLARROEL 1738]. Las facultades concedidas por el pontífice en materias canónicas versaban sobre las atribuciones reales en la erección de iglesias, la provisión de cargos, de dignidades eclesiásticas y beneficios, así como sobre la provisión de sedes vacantes. Asimismo los memoriales son fuentes de ineludible lectura en el proceso de análisis de la realidad institucional indiana en la Edad Moderna, como el redactado por el marqués de Varina [FERNÁNDEZ DE VILLALOBOS, 1990]. El origen del regio patronato indiano está en la bula de Inocencio VIII de 1486 para la fundación del patronato de Granada y, en relación a América, en las bulas de Alejandro VI, de donde parte el patronato concedido a los Reyes Católicos [BÉTHENCOURT 2002, pp. 155-214]. Por otra parte, las manifestaciones del regio patronato en las posesiones españolas del continente europeo también han sido analizadas recientemente desde diversas perspectivas teóricas [NESTOLA 2011, pp. 17-40]. La bula esencial en la configuración del patronato indiano será la Universalis Ecclesiae de Julio II, de 1508. Estas bulas constituirán el sustento jurídico principal de las teorías de Solórzano y Pereira. Por otra parte, el Consejo de Indias implicó, en el marco del sistema polisinodial, la consolidación del gobierno real de las lejanas tierras. Sin dar lugar a dudas, Felipe II, en la Junta Magna de 1568, establecerá que el patronazgo corresponde a la Corona por derecho – no especifica claramente si por derecho canónico o real. En este sentido, no podemos obviar que el pensamiento regalista de Pedro Frasso está presente en interesantes estudios que ponen de relieve su denuncia de las conductas ilícitas de los curas y

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doctrineros en Indias [ARVIZU 1986, pp. 521-542]. Su exposición teórica se caracteriza por su positivismo, contando con una amplia experiencia profesional en América, donde ejerció como fiscal de las Audiencias de Guatemala, de Charcas y de Lima, y, en calidad de oidor, en las Audiencias de Quito y Lima. A su regreso a España, en las postrimerías del siglo XVII, ejerció como regente del Consejo de Aragón. Su asesoramiento jurídico al duque de la Palata fue decisivo en el transcurso de sus conflictos con el arzobispo Melchor de Liñán, concernientes a la inmunidad eclesiástica y al patronato [ARVIZU 1986, p. 51]. También Juan Solórzano y Pereira contó con una amplia experiencia procesal indiana, puesto que fue oidor en Lima y consejero en la Corte de Felipe III, quien le encomendó la composición de una obra sobre el gobierno y la legislación de Indias. En todo caso su pluma fue prolífica y desarrolló a lo largo de su vida una intensa labor académica, judicial y gubernativa. Entre otros méritos, obtuvo la cátedra de vísperas de leyes e impartió clases en la Universidad de Salamanca, amén de ser gobernador de Huancavelica e incluso fiscal del Consejo de Indias. Su De indiarum iure, la Política Indiana y su estudio De Gubernatione – incluido este último en el índice romano de libros prohibidos –, son sus tratados más célebres, al igual que es de sobra conocida su dedicación a los Comentarios a la Nueva Recopilación de las leyes de Castilla. Empero, también escribió otras interesantes disertaciones jurídicas, opúsculos y memoriales [GARCÍA HERNÁN 2007]. En la Política desarrolló de manera un tanto más sucinta y en lengua vernácula las ideas abordadas en los mencionados libros redactados en latín [SOLÓRZANO 1703], vertebrando su disertación jurídica sobre el gobierno temporal y eclesiástico de las Indias. En el texto de su dedicatoria a Felipe IV explica sucintamente el proceso de preparación de sus libros principales desde la solicitud de Felipe III en 1610. Se detendrá con profundidad en las características del

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patronazgo en las Indias y en el ejercicio de la justicia secular desde las instancias inferiores hasta el Consejo de Indias y su Junta de Guerra [SOLÓRZANO 1703, pp. 258-478]. Su exhaustividad le lleva a citar desde los más relevantes autores grecolatinos hasta a algunos juristas de la época, cuya obra y trayectoria doctrinal es de menor fama en la actualidad. Sin embargo, el poderoso influjo del mos italicus tardío es indudable a lo largo de sus capítulos. Asimismo, hace gala de un profundo conocimiento del derecho positivo, incluyendo los decretos y cédulas reales más recientes, así como las bulas y breves papales más trascendentes para el ejercicio de la jurisdicción eclesiástica en Indias. Considerará que el patronato regio es laical y, dado que se basa en los bienes laicales dados a la Iglesia, pues el rey sufraga los gastos de las iglesias indianas de su propio peculio, es un derecho inalienable incorporado a la Corona, así como una regalía. En el contexto indiano, para Solórzano no es un privilegio gracioso que hizo el pontífice al rey, sino una compensación a la labor de evangelización. No podemos pasar por alto que la perspectiva de este jurista ha constituido un tema ampliamente abordado por la historiografía española tradicional, en ocasiones de manera controvertida [AYALA 1946]. Al igual que Frasso, Solórzano afirma el principio de la posible injerencia de los legos – incluidos los virreyes – en el conocimiento de los asuntos eclesiásticos. Es importante señalar que para el segundo autor la jurisdicción antigua eclesiástica no queda derogada tras la instauración de la Inquisición en Indias, pero los tribunales inquisitoriales conocen de causas privativamente, y en ellas no se pueden inmiscuir ni los jueces eclesiásticos ordinarios ni los seculares. Aconseja una relación de respeto entre los virreyes y oidores con el Santo Oficio. En realidad, en los territorios americanos como la Nueva España serán notorios los problemas entre la Inquisición y los restantes tribunales, debido a las atribuciones imprecisas y a las comunes esferas de conocimiento

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[MEDINA 2010]. Asimismo, en la Península Ibérica algunos enfrentamientos entre las autoridades eclesiásticas y seculares adquirirán en ocasiones ribetes políticos, como acaeció en la revuelta catalana de 1640 [BARRIO 2004, pp. 222-227]. Fray Gaspar de Villarroel trata de concordar en su obra los cánones eclesiásticos y las normas seculares, justificando el contenido de ambos derechos [VILLARROEL 1738]. En su opinión, los prelados debían jugar un papel fundamental en el gobierno eclesiástico de América y estaban conminados a obedecer las cartas y mandatos que les enviaba el rey. Su afirmación derivaba de la consideración de los reyes como defensores de la fe, en un contexto europeo de conflictos religiosos. Sin embargo, aborda también el tema de los abusos cometidos por la jurisdicción secular, reflejados en el contenido de las numerosas cédulas expedidas sobre asuntos eclesiásticos, cuyo origen estaba en las usurpaciones realizadas por los magistrados reales. Éstos tenían poder para obligar al cumplimiento de la ley, pero respetando siempre la inmunidad y los privilegios eclesiásticos. Distingue, respecto al ejercicio del patronato indiano, la actividad legislativa sobre las personas y materias eclesiásticas de los asuntos administrativos de carácter eclesiástico. Como los religiosos vivían bajo la potestad del monarca, debían obedecer el derecho real y unirse a la comunidad política civil con el fin de vivir en concordia. No obligan, sin embargo, las normas seculares que se opusieran a la inmunidad eclesiástica – el rey y su Consejo de Indias enviaban continuamente cédulas dirigidas a las autoridades eclesiásticas en asuntos que sólo eran competencia de la Iglesia, realidad no justificable desde los contenidos del patronato. Para Solórzano, por el contrario, esta potestad derivaba de la concesión papal de bulas y del patronato universal. Si bien opinaba que la jurisdicción secular no podía condenar a destierro a los clérigos, consideraba que los reyes estaban investidos de esta facultad, basándose en las bulas

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alejandrinas y en la concesión del título de Legado. Es necesario recordar que la De Indiarum Iure de este insigne jurista fue incluida en el índice romano. Concretamente se dispuso la corrección de algunas partes de su obra y fue prohibida la circulación del libro III, dada la amplitud concedida al ejercicio del regio patronato. Esta censura fue retenida por real cédula de 25 de noviembre de 1647, posibilitando en consecuencia el uso del volumen por parte de las autoridades seculares y eclesiásticas en Indias [MALAGÓN/ CAPDEQUÍ 1965, pp. 68-69]. En líneas generales, los problemas suscitados entre las dos jurisdicciones derivaban de la defensa de las propias competencias y del conocimiento de las materias de fuero mixto. Debemos tener en cuenta, no obstante, que en territorios como la Nueva España no eran inusuales los supuestos en los que una misma persona ejercía la jurisdicción eclesiástica ordinaria y la inquisitorial en virtud de la duplicidad de los cargos que ostentaba [TRASLOSHEROS 2006]. Por otra parte, hemos de hacer una obligada alusión al recurso de fuerza o “auto de lego”. Implicaba que en los casos en que el juez eclesiástico se inmiscuía en el conocimiento de las causas legas, la parte que se sentía agraviada podía reclamar el auxilio de la fuerza real. La vía de fuerza constituyó durante la Edad Moderna un instrumento de control real de la jurisdicción eclesiástica, tanto en la Península Ibérica [WAUTERS 2008-2009, pp. 215-232] como en las Indias [LEVAGGI 1992]. También Castillo contempló de manera sumaria su contenido en virtud de la Nueva Recopilación y de autores como Gregorio López o Martín Azpilcueta [CASTILLO 1597, pp. 1059-1061]. Con posterioridad, en el siglo XVIII, tendría lugar la publicación de dos obras fundamentales para la comprensión de los susodichos recursos, como fueron Observaciones prácticas sobre los recursos de fuerza de Juan Acedo Rico, conde de La Cañada [ACEDO 1794] y Máximas sobre recursos de fuerza y protección de José de Covarrubias [COVARRUBIAS 1788]. También, en la

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misma centuria, destacó en el ámbito del derecho indiano el tratado Syntagma de las resoluciones prácticas cotidianas del derecho del real patronazgo de las Indias de Pedro Vicente Cañete y Domínguez. Natural de Asunción, fue doctor en teología y en cánones y leyes por la Universidad de Santiago de Chile. Entre otras funciones, fue jurista en la asesoría del virreinato del Río de la Plata y en la gobernación del Paraguay, teniente letrado y asesor ordinario en Potosí y fiscal de la Audiencia de Charcas [MARTIRÉ 1973, pp. 39-41]. A semejanza de otros autores, se distinguió por su impronta regalista Antonio Joaquín de Ribadeneira, quien, entre otros méritos, fue fiscal del crimen de la Audiencia de México y autor del Manual compendio del regio patronato, dedicado a Fernando VI [RIBADENEYRA 1755]. A modo de conclusión podemos afirmar que, si bien es cierto que la censura inquisitorial fue aplicada sobre las disertaciones jurídicas tendentes a la salvaguarda de la jurisdicción real, en la práctica judicial y gubernativa indiana, el Consejo de Indias, las Audiencias y los virreyes u oidores más antiguos entendieron en los negocios del real patronato, restringiendo en consecuencia el poder de la Iglesia romana. Es esclarecedora la potestad que tenían las Audiencias coloniales, consistente en la retención de las bulas que contuvieran declaraciones contrarias al regio patronato [OTS 1945, p. 406]. Pese a las medidas adoptadas, como la promulgación de cédulas reales, bulas o breves papales, la publicación de las concordias y la amplia difusión de los libros que contemplaban con detenimiento el contenido de las competencias de las diversas jurisdicciones – la mencionada Política de Castillo o los principales tratados jurídicos concernientes al derecho indiano [MALAGÓN 1967, p. 52] –, las controversias no cesaron a lo largo del período histórico analizado, como puso de manifiesto la celebración de la Junta Magna de 1696. Los desencuentros, por otra parte, también tuvieron lugar entre los prelados y los regulares a lo largo de la Edad Moderna y no siempre se vieron motivados por la desigual

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interpretación de los contenidos del regio patronato. Al mismo tiempo, no ha de confundirse en absoluto el desenvolvimiento de las relaciones entre los pontífices y los reyes con las cuestiones competenciales derivadas del ejercicio cotidiano de las funciones judiciales en los diversos territorios de la monarquía, sobre todo en lo concerniente a las materias mixtas, la aplicación de las penas temporales o el fuero del reo.

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