Boccaccio e la laurea del Petrarca

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ESERCITAZIONE DI FILOLOGIA MEDIEVALE E UMANISTICA

Boccaccio e la laurea del Petrarca

FRANCESCO BAJ A.A. 2013/2014

BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA

Presentazione Lo scopo della presente esercitazione è individuare tutti i luoghi delle opere di Boccaccio dove sono presenti riferimenti estesi e dettagliati alla cerimonia di laurea del Petrarca, che ebbe luogo a Roma nell’aprile del 1341. In un secondo momento, raccolti e confrontati i documenti rilevanti (Notamentum, De vita et morbius dominus Francisci Petracchi de Florentia 14-17 ed Epistola VII), si è cercato di individuare le fonti dalle quali Boccaccio ricavò le informazioni sulla cerimonia di laurea e tra le quali, in particolare, si distinguono due testi del maestro, il Privilegium laureationis e la Collatio laureationis, di cui Boccaccio dimostrerà, come scopriremo, di essere a conoscenza. Questa ricerca obbliga allo studio della genesi dei testi boccacceschi coinvolti, che coprono un arco cronologico esteso (dal Notamentum del 1341 (?) all’Epistola VII del 1353) durante il quale Boccaccio ampliò e mutò notevolmente la conoscenza della vita e delle opere del suo maestro. Lo stesso vale per i due documenti petrarcheschi sopra citati che pongono agli studiosi problemi certamente non minori, a partire dalla mancanza per entrambi di un’edizione critica stabile. Per questa ragione in appendice al presente elaborato è offerta una traduzione del Privilegium laureationis, documento di notevole interesse culturale e letterario. È naturale che tale campo di indagini comporti un approfondimento della trama dei rapporti tra Petrarca e Boccaccio, latore di informazioni del maestro e di citazioni di testi petrarcheschi la cui origine ancora si stenta a scoprire. Soprattutto la conoscenza della Collatio laureationis, citata nell’Epistola VII, resta ancora avvolta nel mistero: dove e quando Boccaccio lesse, e forse copiò, quell’orazione che Petrarca non volle mai diffondere in vita e la cui sopravvivenza fino ai giorni nostri è legata all’esile filo di un solo testimone? Pur non essendo stato possibile rispondere a questa domanda, il lavoro qui iniziato costituisce un buon punto di partenza per proseguire le indagini sul tema della laurea del Petrarca e della conoscenza che Boccaccio dimostra di avere.

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NOTAMENTUM 1. AD ETERNAM REI MEMORIAM. CUNTIS HEC INSPICIENTIBUS SIT APERTUM 2. QUOD SUB ANNIS INCARNATIONIS DOMINICE .M°CCC°XLI. 3. PROBISSIMUS VIR AC ELOQUENTIA FACUNDISSMUS. 4. FRANCISCUS CONDAM SER PETRACCHI* DEL ANCISA DE FLORENTIA. *[ANNO ETATIS SUE XXXV‹II›°] 5. PER ROBERTUM INCLITUM IERUSALEM ET SICILIE REGEM. 6. EXAMINATUS EST SECRETO PALAMQUE CORAM SUIS PROCERIBUS. 7. ET IN FACULTATE POETICA APROBATUS. 8. ET SUBSEQUENTER AD PREDICTI REGIS INSTANTIAM. 9. IN ALMA URBE ROMANA. 10. A MAGNIFICO MILITE * DE URSINIS TUNC ROMANORUM CLARISSIMO SENATORE. *[DOMINO URSO] 11. APUD CAPITOLINUM CORAM OMNI POPULO XV KALENDAS MAII. 12. ANNO IAM DICTO IN POETAM CORONA LAUREA FELICITER CORONAVIT. 13. NEC REPERITUR AB ALIQUO ALIUM POST STATIUM PAMPINIUM SURCULUM TOLOSANUM.

14. ROME CORONATUM FUISSE. 15. QUI STATIUS IBIDEM FLORUIT SUB DOMITIANO IMPERATORE 16. QUI ANNO DCCC°XXX°IIII° AB URBE CONDITA IMPERAVIT.

HIC IGITUR FRANCISCUS POETA EGREGIUS CLARUS GENERE STATURA PROCERUS FORMA PULCERRIMUS FACIE PLACIDUS MORIBUS SPLENDIDUS PRIMO APUD BONONIAM IURA CIVILIA AUDIVIT DEINDE APUD MONTEM PHESULANUM ET IN ROMANA CURIA DIDICIT POESIAM COMPOSUIT QUIDEM USQUE IN HODIERNUM DIEM LIBROS, VIDELICET AFFRICAM METRICE DYALOGUM QUEMDAM PROSAICE ET ALIOS. COMPOSUIT ETIAM OPUSCOLA PLURA, EX QUIBUS HIC INFRA QUARANDUM COPIA REPERITUR. ET PRIMO DE ILLIS QUOS COMPOSUIT DE GENERALI MORALITATE QUE FUIT PER TOTAM TUSCIAM ET POTISSIME IN FLORENTIA ANNO CHRISTI .M°CCC°XL°. INDITIONE VIIA.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA 1. ad eternam rei memoriam: così anche Priv. I 1 « Ad aeternam rei memoriam. Ursus Anguillariae comes et Jordanus de filiis Ursi miles almae urbis senatores illustres universis ad quos presentes litterae pervenerint», ma l’origine potrebbe benissimo essere poligenetica; cunctis hec inspicientibus: elemento tipico di un’inscriptio monumentale. 4. anno etatis sue XXXVII°: è un’aggiunta marginale che a rigore dopo anno etatis sue costa solo della cifra XX e immediatamente sotto della cifra V. Il problema della data di nascita è intricato ed è collegato al De vita nel quale gli editori editano l’unico testimone in ben due punti: nel primo punto si corregge l’anno di nascita da «anno VII» ad «anno IV» supponendo una facile confusione paleografica; nel secondo punto si interviene sull’età del Petrarca nel giorno della sua laurea da «anno etatis sue anno XXXIIII» a «anno etatis sue XXXVII». Rico non capisce perché, se il copista semplicemente confuse VII con IV, poi prese la sua svista come punto di riferimento anche nel calcolo dell’anno d’età. L’inserzione qui presente dell’anno d’età sarebbe prova secondo Rico della composizioni in momenti diversi e secondo fonti diverse del Not. e del De vita. I due testi divergono vistosamente sulla cronologia perché se nel Not. l’età sarebbe 37 e la data dell’incoronazione «XV kalendas Maii», nel De vita invece l’età sarebbe 34 e la data «V idus aprilis». L’unico dato fermo è che Boccaccio non aveva notizie biografiche certe né sulla sua età – Petrarca rivelò ai suoi amici e al pubblico l’anno di nascita ufficialmente solo nella Sen. VIII 1 56 – né sulla cerimonia di laurea, e per questa ragione io sarei cauto nell’affermare la conoscenza certa del Priv. e della Coll. a questa altezza cronologica. Sembrerebbe anzi che le imprecisioni, le sovrapposizioni e le aggiunte o modifiche di alcuni dati biografici tra Not. e De vita, secondo una diacronia che non è dato ricostruire, siano da imputare ad una conoscenza di questi documenti per via orale e non scritta. 6. palamque suis proceribus: cfr. De vita 14 «a predicto rege clam primo, secundario vero coram suis proceribus in facultatibus variis esset examinatus». Resta che il riferimento a un doppio esame è inedito e non compare in nessun’altra fonte: per esempio generico è Priv. III 3 «sese subiecit examini». Tuttavia Boccaccio poteva forse leggere nella Metr. II 10, 96-98 «Meque, tibi ignotum, tanto dignatus honore est, ut, procerum primis sub regia tecta vocatis, plurima nostratum caneret preconia laudum» (trad. «E degnò me, sconosciuto a te, di tanto onore che, invitati nella reggia i più intimi dei suoi cortigiani, faceva di me i più ampi elogi). Mette conto di osservare che Zanobi cita sei versi della Metr. II 17 – indirizzata allo stesso destinatario della predetta epistola metrica, tale Zoilo, da identificarsi con Bruzio Visconti – nella sua orazione Audite me, beati. 7. in facultate poetica approbatus: anche qui l’informazione di Boccaccio è incompleta perché si afferma chiaramente nel Priv. III 1 che Petrarca fu incoronato «poeta et historicus».

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA 10-12. a magnifico domine … coronavit: pasticcio tra il complemento d’agente iniziale e il verbo attivo finale. Si noti anche la confusione tra il comes Orso dell’Anguillara e il miles Giordano Orsini presenta anche nel Priv. V 4 «Ursus comes Anguillariae et Jordanus de Ursinis miles collegae urbis senatores». Resta da spiegare, se veramente «egli è entrato in possesso del Privilegium» (FEO, Catalago, p. 346), come abbia potuto commettere questo pasticcio (si nota che i nomi dei due senatori compaiono nel Priv. rispettivamente tre volte Orso e due volte Orsini). 13. post Statium…: cfr. anche Coll. VI 1 «siquidem post Statium Pampineum, illustrem poetam, qui Domitiani temporibus floruit, nullum legimus tali honore decoratum». Questo è l’unico collegamento esplicito tra la Coll. e Boccaccio. Tuttavia sia Boccaccio che Petrarca potevano leggere «Statius Surculus Tolosensis in Galliam rethoricam docet» nel Chronicon di Eusebio-Girolamo (a. CCIX Olymp. = 56 d.C.) confondendo il poeta latino di età flavia Publio Papinio (Pampineus o Pampinius sono forme modellate sull’aggettivo pampineus e saldamente attestate negli accessus medievali a Stazio) con il grammatico di età claudia Statius Ursulus Tolosensis. Si aggiunga che il poeta latino non vinse mai il certame capitolino ma fu incoronato da Domiziano durante una delle gare poetiche organizzate in occasione dei Ludi Albani (ma Petrarca e Boccaccio non potevano sapere ciò perché era raccontato nelle Sylvae scoperte solo nel 1417). Stazio ricorda questo evento in Achilleide I 9-11 dove invoca Apollo perché gli intrecci le chiome con una seconda fronda. Pochi versi più avanti, vv. 15-16 leggiamo di Domiziano «cui geminae florent vatumque ducumque certatim laurus». Quest’ultimo passo in particolare è indicato dagli studiosi come fonte dei noti versi danteschi Par. I 25-30 («vedra’ mi al piè del tuo diletto legno / venire, e coronarmi de le foglie / che la materia e tu mi farai degno // sì rade volte, padre, se ne coglie / per trïunfare o cesare o poeta, / colpa e vergogna de l’umane voglie») e precedentemente Purg. XXI 88-90 («Tanto fu dolce mio vocale spirto, / che, tolosano, a sé mi trasse Roma, / dove mertai le tempie ornar di mirto»). Petrarca prima e Boccaccio poi affermano che Stazio fu l’ultimo ad essere incoronato. Tra l’altro Petrarca era a conoscenza della laurea di Albertino da Mussato, come dimostra Metr. II 10 71-74 «nuper / secula pergameum viderunt nostra poetam, / cui rigido stinxit laurus paduana capillos, nomine reque bonum». Resta da capire se Petrarca e Boccaccio inferirono la notizia che Stazio è stato l’ultimo poeta a essere incoronato solamente dai suoi versi (mai esplicita) o se fecero riferimento ad altre fonti classiche o medievali di cui nessuno finora ha trovato traccia. Si è cercato di scoprire se una fonte possibile per l’incoronazione di Stazio sia costituita dagli accessus alla vita e alle opere di Stazio in circolazione nel Medioevo. Una prima indagine ha mostrato come essi, tuttavia, siano reticenti a proposito dell’incoronazione poetica e si limitano a ricordare che Stazio riuscì a guadagnare grandi onori presso l’imperatore e il popolo di Roma. L’unico testimone esplicito sulla laurea di Stazio è un accessus all’Achilleide conservato in Firenze, BML, plut. 24 sin. 12 del secolo XI

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA e Bruxelles, BR, IV 719 datato 1419 che così inizia: «Stacius iste Thebanus fuit poeta qui librum Thebaidos conposuit, quare coronatus fuit et de fonte ex quo alii poete in fine libri bibebant potauit». L’autore di questo accessus lesse e interpretò correttamente Achil. I 810 («tu modo, si veterem digno deplevimus haustu, / da fontes mihi. Novos ac fronde secunda / necte comas»), come più tardi fece anche Dante nel ricostruire la vita di Stazio in Purg. XXI. Qualche elemento in più si trova nell’accessus alla Tebaide più diffuso nel XIII, l’In principio accessus (esistente in forme di diversa estensione almeno in 15 manoscritti). Questo testimone è importante primo perché considera Stazio come il poeta più celebre e amato dopo Virgilio e perché ci dice che fu l’ultimo poeta a tenere declamazioni a Roma: «Unde etiam sortitus est hoc nomen Sursulus quasi Surculus, id est sursum canens, eo quod post Virgilium inter ceteros poetas principatum obtinuit et popularem adeptus est favorem. Nemo enim post eum declamavit [in un’altra versione: et ultimus apud Romam declamavit.]» Evidentemente qui non si sta dicendo che Stazio fu l’ultimo poeta ad essere incoronato, ma si vuole far passare l’idea che Stazio insieme a Virgilio sia stato uno degli ultimi baluardi della poesia classica. [Opera consultata: H. ANDERSON, The manuscripts of Statius, III (Reception: The Vitae and Accessus), Independent Publishing, 2009]. 15. floruit: Rico osserva che il verbo florere è ripreso nell’incipit del De vita et moribus «Franciscus Petracchi poeta […] gloriossima fama per orbem floruit universum» per innalzare la solennità del momento.

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* Nota al Notamentum L’esame codicologico e paleografico del blocco 63r-74v dello Zibal. Laur. che al f. 73r trasmette la celebre nota in caratteri paleografici, stabilisce come terminus ante quem il 1344. Riferendoci invece ai dati interni ai testi trasmessi più cautamente bisogna portare il terminus post quem al 1346. Sulla natura e sulla finalità del Notamentum le interpretazioni sono discordi. Secondo Rico (Ritratti allo specchio, p. 48), il Not. è prima di tutto un’inscriptio monumentale che celebra l’incoronazione poetica e lo stesso ha pensato anche Usher (Monuments, pp. 23-24) che ha ipotizzato che il testo sia stato pensato come epigrafe celebrativa forse da esporre in uno spazio pubblico. Per Feo (CLP, pp. 344-46) la nota è un’inscriptio, un vero e proprio titolo della raccolta delle quattro epistole metriche petrarchesche (Metr. I 1-4) che nello ZL seguono al Not. e che sono databili tra il 1339 e il 1341; secondo lo studioso, inoltre, il Not. è il primo nucleo del De vita anche se Rico osserva che non è possibile stabilire i rapporti tra i due testi. EDIZIONE F. RICO, Ritratti allo specchio, Roma-Padova, Antenore, pp. 000.

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DE VITA ET MORIBUS 14-17 Sed ipse, cum ad maiora iam animum direxisset, honestissima tanti officii [precettore di re Roberto] renuntiatione premissa, a predicto rege clam primo, secundario vero coram suis proceribus in facultatibus variis esset examinatus (1), in poetica gratissime et cum omnium intelligentium audientiumque assensu approbatus existeret, cum Azone amico suo (2) iam dicto ad inclitam Romam citato venit itinere […] in poetam egregium a senatoribus est assumptus. Quorum alter, dominus videlicet Ursus de Ursinis, miles ac Anguillarie comes clarissimus (3), V Idus Aprilis (4), anno vero incarnationis dominice MCCCXLI, inditione autem VIIII et etatis sue anno XXXVII (5), in urbe romana celsoque Capitolio coram omni clero et populo, florida ab eodem ac prolixa in exaltatione Musarum mirifica, ac a predicto domino Urso in laureandi poete laudes sermocinatione premissa (6), eum in poetam laurea corona solemniter coronavit, eique tam sue clarissime professionis quam eciam romane civilitatis Privilegium (7) multa ac integra dicacitate completum et bulla aurea suis signis (8), olim toto orbi metuendis pariter et verendis, insculpta prout decuit roboravit. Quod quidem ibidem fieri non ante contigerat a coronatione dignissima Statii Pampinei Surculi tolosani qui anno ab urbe condita DCCCXXXIIII sub Domitiano Cesare creditur coronatus (9). Cum quanta hoc romanorum civium letitia tam nobilium quam eciam plebeiorum (10) factum contigerit, non opus est verbis; […] ipse tamen, quamvis tenuissime respectu veritatis, ne sui ipsius laudes rescribere vidererur, Iohanni Barili[s] de Neapoli[m] militi in quadam epistola metrica (11) designavit. Habita igitur laureatione predictus cum Azone de Corrigio Parmam ivit (12), ibique secum integra amicitia iunctus, per aliquale tempus commoratus est, et moratur usque in hodiernum.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA (1) Cfr. nota al r. 6 del Not. (2) Anche in questo caso Boccaccio è l’unica fonte a segnalare esplicitamente la presenza di Azzo da Correggio; Petrarca in Fam. IV 9, 1 annuncia la sua partenza da Roma e l’arrivo a Parma «ducto et auspiciis amicorum tuorum de Corrigia». Hortis conferma la presenza di Azzo a Napoli sulla base di documenti d’archivio (HORTIS, Scritti inediti, pp. 43-44). (3) Si noti la confusione tra il conte Orso dell’Anguillara e il cavaliere Giordano Orsini non solo nei titoli onorifici, come accade anche nel Not. (cfr nota ai rr. 10-12 del Not.), ma anche nei cognomi (cfr. Priv. V 4 «Ursus comes Anguillariae et Jordanus de Ursinis miles collegae urbis senatores»). (4) La data riportata è la stessa del Priv. ma è diversa da quella del Not. «XV KALENDAS MAII» ovvero il 17 aprile. Feo suggerisce che Boccaccio non conoscesse il Priv. (sottoscritto il 9 aprile 1341) all’altezza della stesura del Not. (secondo lo studioso immediatamente successiva all’aprile 1341). Sulla data della cerimonia di laurea si veda C. GODI, La «Collatio laureationis» del Petrarca, «Italia medievale e umanistica», 13 (1970), pp. 3-7. In Petrarca si leggono date diverse: «paschali die ad sexto Idus aprilis» (Fam. IV 7, 7) «idibus aprilis» (Fam. IV 8, 1: qui da emendare secondo Feo per errore dei copisti in «VI Id. aprilis») e un generico «diem festum» (Coll. III 2). (5) Anche nel Not. r. 4: «ANNO ETATIS SUE XXXVII». (6) Riferimento al thema della Coll. e al breve discorso che tenne il senatore Orso dell’Anguillara, come raccontato anche in Metr. II 1, 51-52 «post facundissimus Ursus / subsequitur fando». (7) Indicazione di due benefici, l’esercizio dell’insegnamento e della cittadinanza romana, conseguiti con la laurea ed elencati nel Priv. (8) Riferimento al sigillo d’oro del quale il Priv. era munito (V 1 «nostrae aurae bullae sibi concedi iussimus appensione munitas»). (9) Cfr. nota al r. 13 del Not. Si osservi la confusione tra l’anno di coronazione di Stazio e l’anno di inizio dell’impero di Domiziano. (10) Priv. V 2 «tam alienigenarum quam Romanorum procerum ac populi multitudine numerosa». (11) Metr. II 1 a Giovanni Barilli composta nel 1342. (12) Cfr. n. (2).

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* Nota al De vita et moribus La datazione del De vita et moribus è molto dibattuta: le ipotesi vanno dal 1342, cioè immediatamente dopo la laurea del Petrarca, al 1350 sulla base dei riferimenti presenti nel testo all’Argus, seconda ecloga del Buccolicum carmen. Rico ha proposto argomenti per provare una redazione stratificata negli anni quaranta e secondo lui, il testo, così come lo leggiamo nell’unico manoscritto che lo trasmette, è posteriore all’Argus (1346) e alla Disp. VII (1347) e dimostrerebbe la presenza di aggiunte o ripetizioni fino al 1350 (Ritratti, pp. 133-45). Feo (CLP, p. 346) invece ritiene che sia anteriore alla fuga di Petrarca da Parma e all’abbandono di Azzo al suo destino nella primavera del 1345. Il numero di notizie autentiche sulla vita del Petrarca e i pochissimi testi petrarcheschi conosciuti o mediati da amici e corrispondenti comuni, lascia pensare che il testo sia stato composto prima dell’incontro con Petrarca nel 1350, un anno dopo il quale secondo Billanovich Boccaccio consegnò a Petrarca lo scritto in occasione del secondo incontro tra i due (cfr. anche Boccaccio autore e copista, pp. 215-6). La Vita di Petrarca scritta dal B. si è conservata soltanto nel codice Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. XIV; 223 (= 4340), allestito a Padova, sec. XIV fine.; si tratta di una miscellanea che raccoglie molti materiali petrarcheschi e che rappresenta un importante spaccato della cultura veneta trecentesca. Il contenuto della silloge rimanda in modo evidente al medico padovano e amico di Petrarca Dondi dall’Orologio (1330 ca.-1388), e al suo ambiente culturale al punto che alcuni hanno sostenuto con forza l’attribuzione del manoscritto alla mano di Dondi. EDIZIONE G. BOCCACCIO, Vita del Petrarca, a cura di G. VILLANI, Roma, Salerno Editrice, 2004.

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BOCCACCIO, EPISTOLA VII (Lettera del Comune di Firenze a Francesco Petrarca) [1] … movit nos admirabilis professionis et excellentis studii tui meritum ut, qui intonsas a seculi lauros vertice digno virentes acceperis (1), sis mire indolis perpetue posteritati futurus exemplar (2) […]. [8] Neque enim ignoramus quam rarum, quam colendum, quam divinis ingeniis dignum poete nomen habendum sit, ut non immerito sacer ille Emnius ausus sit, suo quodam iure, sanctos appellare poetas, quod et vates, a vi mentis ‹...› ac divinos ‹...› accepimus (3) [...] aut hedera aut mirto, aut lauro, paribus fere laudum preconis cum triumphantibus Cesaribus coronandos (4), ut, qui e mortalibus immortales se fecerunt; hii domi belloque ac rebus gestis; hii divini atque excellentissimi studii viribus ac pallentibus ociis; seque suisque posteritati mandatis decerpendi tam difficiles lauros, hederas aut mirtos suisque imponendi temporibus summa quidem autoritate ac deliberatione maiorum potestatem sibi pariter vendicarent. [12] Amplius autem, carissime civis, cum nuper civitatem nostram veluti dextero pede claudicantem liberis carere studiis videremus, maturo iudicio provisum est apud eam, secundo sidere ingeniorum fecundissimam, doceri artes et cuiusque professionis vigere studia, ut res nostra publica fulta consilio, inter alias, ut Roma, parens omni Ausonie, sedem sibi principatum accipiat. Et demum letis auspiciis actum est ut, magis ac magis in dies ac dies succrescens, studio ipso refloreat (5). [9] Profecto enim illud magnum, illud singulare arbitratur patria quod tu solus unicusque potes efficere, quod etiam apud veteres rarissimum ac semper excellentissimum fuit. Itaque tua sacra tempora requirit patria, quo affectu quo iure astrictius potest, ut te duce hoc studio vireat, hac singularitate precellat ceteras. Tu tecum librum hac facultate legendum nostris ingeniis legas quem honori et otiis quis censeas commodiorem. Erunt insuper nonnulli ingenio clari, sacri cultores studii, qui, te duce, audebunt forsan carmina sua fame commictere: et enim parvo principio magne res conflate sunt.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA (1) Priv. II 13 «iam a mille ducentis annis nullum ibi legimus tali honore decoratum». (2) Boccaccio coglie molto bene il significato che Petrarca riponeva nell’incoronazione petrarchesca: non tanto l’aspirazione alla gloria quanto il suo valore esemplare, cfr. Priv. III 1 «quam ut ad simile desiderium studiosorum hominum animos excitaret». Anche in Coll. V 7 Petrarca afferma che il «calcar aliene industrie» è uno dei tre motivi primari da cui trae origine l’esercizio poetico. (3) Cfr. Coll. II 6-7 «Quanta, inquam, sit naturaliter difficultas propositi mei ex hoc apparet quod, cum in ceteris artibus studio et labore possit ad terminum perveniri, in arte poetica secus est, in qua nil agitur sine interna quadam et divinitus in animum vatis infusa vi. [7] Non michi sed Ciceroni credite, qui, in oratione pro Aulo Licinio Archia de poetis loquens verbis talibus utitur “ut non immerito noster ille Hennius, suo quodam iure, ‘sanctos’ appellet ‘poetas’, quod deorum munere nobis commendati esse videantur”»; così in Cicerone, Pro Archia VIII 18: «Atque sic a summis hominibus eruditissimisque accepimus, ceterarum rerum studia et doctrina et praeceptis et arte constare: poetam natura ipsa valere, et mentis viribus excitari, et quasi divino quodam spiritu inflari. Qua re suo iure noster ille Ennius sanctos appellat poetas, quod quasi deorum aliquo dono atque munere commendati nobis esse videantur». Osserva Auzzas che qui il passo è irrimediabilmente guasto e che è probabile tuttavia che nelle veste originale rispecchiasse il brano della Coll. petrarchesca che sviluppa il concetto della divina ispirazione. (4) Si veda Coll. XI 1 «Laurea igitur et cesaribus et poetis debita, est sertum ex frondibus laureis intextum, licet poeticum illud interdum ex mirtho, interdum ex edera fieret»; Priv. V 5 mi sembra tuttavia più vicino: «nec non ut ubi et quotiens sibi placuerit, possit huiusmodi atque alios actus poeticos laurea seu myrto vel hedera, si id genus elegerit, coronare». (5) Boccaccio ha perfettamente compreso la portata non solo culturale ma politica dell’incoronazione del 14 aprile 1341; Petrarca affermò infatti che il primo dei tre motivi che lo spinsero alla professione poetica fu l’«honor rei publice» (Coll. V 7).

* Nota all’Epistola VII La lettera ebbe una certa circolazione e si conoscono cinque manoscritti che la trasmettono, tutti quanti ampie miscellanee del XV secolo. EDIZIONE G. BOCCACCIO, Epistole, a cura di G. AUZZAS, Milano, Mondadori, 1992 (Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, V).

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Introduzione Il Privilegium laureationis è il diploma di laurea di Petrarca che i senatori romani Orso dell’Anguillara e Giordano Orsini, in una data vicina al giorno della Pasqua del 1341, che quell’anno cadde l’8 aprile, incoronarono il poeta a Roma in Campidoglio. Il diploma, redatto dalla cancelleria del Senato e munito di sigillo d’oro, fu consegnato a Petrarca probabilmente nel corso del cerimonia stessa o al suo termine. Il Privilegium è a tutti gli effetti un documento pubblico emanato dall’autorità del Senato di Roma e il suo contenuto divisibile in cinque parti, a ciascuna delle quali l’editore moderno ha fatto corrispondere un paragrafo, ne riflette la struttura: la prima parte consta dell’intitulatio, dove per la prima volta si fanno i nomi dei senatori destinati ad incoronare Petrarca e autori del documento giuridico, e dell’inscriptio («universis ad quos presentes litterae pervenerint»). Nella seconda parte si riflette sul valore della poesia e della storiografia che ai tempi della Roma antica fece guadagnare ad alcuni uomini di lettere l’onore dell’incoronazione poetica, non più concesso ad alcuno da milleduecento anni (preambolo o arenga). Nella terza parte si introduce la persona e l’opera di Francesco Petrarca che ha meritato, primo tra i moderni, questo riconoscimento dopo essersi sottoposto alla valutazione di re Roberto d’Angiò (narratio della circostanze che hanno indotto l’azione giuridica). Nella quarta parte si conferiscono a Petrarca tutti i privilegi che gli spettano come poeta laureato (dispositio). Infine l’ultima sezione reca la datatio e le sottoscrizioni dei segretari del Senato e dei predetti senatori che garantiscono, anche con l’apposizione di un sigillo d’oro, la validità del documento. Trentun passaggi in opere del Petrarca, due documenti ufficiali (Privilegium e una lettera di Roberto d’Angiò), e tre riferimenti in opere del Boccaccio (Notamentum, De vita et moribus e Genealogia): essi sono i documenti raccolti da Wilkins e utili a ricostruire la sequenza degli eventi che portarono all’incoronazione dell’aprile 1341.1 Tra questi il Privilegium riveste un ruolo primario, soprattutto per il suo valore documentario. Se infatti la Collatio laureationis è ricordata giustamente come manifesto letterario e le notizie del Boccaccio sono parziali, il Privilegium riassume tutte le informazioni necessarie a contestualizzare la cerimonia di laurea del Petrarca. 1

WILKINS, The Coronation of Petrarch, pp. 155-158.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA A proposito dell’evento memorabile, alla lettura del Privilegium si aggiungano quella del IV libro

delle Familiari (in particolare Fam. IV 2-9), che fornisce qualche elemento in più

(per esempio sulla scelta di Roma anziché di Parigi, sul viaggio a Napoli, sul colloquio con Roberto d’Angiò e sulle impressioni che quel celebre giorno suscitò per Petrarca) e la conoscenza della Metr. II 1, nella quale il poeta si rammarica che Giovanni Barilli, designato da re Roberto a rappresentarlo nella cerimonia, non abbia potuto parteciparvi.

Nota al testo Il testo qui tradotto segue l’edizione Mertens, di cui si è scelto di rispettare la grafia anche laddove l’editore ha portato avanti scelte alquanto discutibili, come la restaurazione del dittongo ae. Rispetto al testo stabilito si è reso necessario eseguire due emendazioni ope ingenii, che sono state segnalate in nota e che furono già eseguite nelle prime edizioni a stampa del Privilegium (MERTENS, Petrarcas, p. 245). La recensione dei testimoni operata dall’editore moderno ha portato all’individuazione di nove codici (cinque risalenti al XIV secolo e quattro al XV, siglati A-I) e di quattro stampe (siglate 1-4).2 Mertens non ha costruito uno stemma codicum e nella costruzione del testo si è affidato principalmente al ms. Vat. lat. 4999. Nel corpo del testo latino le fonti, già identificate dall’editore, sono state segnalate in corsivo mentre la presenza del cursus, cospicua come è proprio di un documento giuridico, è stata evidenziata con il sottolineato e mediante l’apposizione di accenti gravi. Qui per la prima volta è stato tradotto integralmente il Privilegium laureationis (la prima parte della traduzione è merito di L. Gargan) e questo è stato lo scopo principale del presente elaborato, che tuttavia ha sin da subito mostrato la necessità di ulteriori

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Si segnala l’esistenza di un altro testimone non recensito: il codice Visconti di Modrone 2, ora depositato presso la Biblioteca dell’Università del Sacro Cuore di Milano, cart., sec. XV in., ff. 49v-52r (C. M. MONTI, Umanesimo visconteo e lettere di cancelleria, in Nuove ricerche sui codici in scrittura latina dell’Ambrosiana, edd. M. Ferrari – M. Navoni, Milano, Vita e Pensiero, 2007, p. 177).

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA attenzioni, prima tra tutte una seria edizione critica commentata. 3 Inoltre sarebbe interessante, per esempio, sondare la presenza del lessico universitario e individuare i modelli documentari cui il testo soggiace.

Bibliografia D. VON MERTENS, Petrarcas »Privilegium Laureationis«, in Litterae Medii Aevi. Festschrift für Johanne Autenrieth zu ihrem 65. Geburstag, edd. M. Borgolter – H. Spilling, Thorbecke, Sigmaringen, 1988, pp. 236-247. J. USHER, Petrarch’s Diploma of Crowning: The “Privilegium Laureationis”, in Italy and the Classical Tradition: Language, Taught and Poetry 1300-1600, edd. C. Caruso – A. Laird, London – New York, Bloomsbury, 2009. E. H. WILKINS, The Coronation of Petrarch, in «Speculum», 18 (1943), pp. 155-197.

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Il Privilegium fu in realtà tradotto per la prima volta nel 1535 da F. DONI, I marmi, Venezia, F. Marcolini, 1552, pp. 97-102.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA

Testo I [1] Ad aeternam rei memoriam. Ursus Anguillariae comes et Jordanus de filiis Ursi miles almae urbis senatores illustres universis ad quos presentes litterae pervenerint.

II [1] Cum sicut ex anima et corpore constamus, sic duplex quaerendae gloriae via sit aperta mortalibus, quarum altera mentis, altera corporis praecipue viribus peragenda est, utriusque rei principatum omnipotens Deus in hac gloriosissima urbe constìtuit ab aetèrno. [2] Ex quo quidem innumerabiles olim tam ingenii dotibus quam bellicis artibus memorandos haec eadem urbs aut ipsa genuit aut alibi genitos erudivit, àluit, illustràvit. [3] Inter multa nimirum, quae animi viribus geruntur, ut ad praesens de corporeis actibus taceamus, florentissimum atque omni laude dignissimum quondam in nostra re publica historicorum ac praecipue poetarum Studium fuit, quorum industria ac labore tam sibi ipsis quam aliis claris viris, quos suis dignabantur nobilitare carminibus, nominis immortàlitas quaerebàtur. [4] Horum imprimis opera effectum est, ut conditorum huius urbis et imperii atque aliorum omnis aetatis illustrium virorum vitam et mores et nomina teneamus, quae nullis aliis viis per tot saeculorum lapsum ad nos usque potùerant pervenìre. [5] Sane sicut poetarum et historicum copia multis gloriosae ac diuturnae memoriae causa fuit, sic eorum defectum tractu temporis postea succedentem multis aliis aeternitate nominis non indignis oblivionis tenebras non est dùbium attulìsse. [6] Hinc saepe contingit, ut laudes eorum hominum, qui nobiscum vixerunt, ignorantes – mira res dictu – vetustissimorum certam notìtiam habeàmus.

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I [1] A perenne ricordo dell’avvenimento. Il conte Orso dell’Anguillare e il cavaliere Giordano Orsini illustri senatori di Roma a tutti coloro ai quali la lettera presente perverrà.

II [1] Poiché, essendo noi composti di anima e di corpo, a ogni mortale si apre una duplice via per ricercare la gloria, da percorrere l’una con la forza dell’ingegno, l’altra con il vigore del corpo, Iddio onnipotente ha posto ab aeterno il primato dell’una e dell’altra facoltà in questa gloriosissima città di Roma. [2] Di conseguenza, nei tempi antichi questa stessa città o ha prodotto essa stessa numerosissimi uomini degni di essere ricordati sia per le arti dell’ingegno sia per quelle della guerra o li ha istruiti, mantenuti e resi celebri se nati fuori dalle proprie mura. [3] Tra le altre opere lodevoli che vengono compiute con la forza dell'ingegno (tralasciando qui per il momento quelle dovute al vigore del corpo) in questa nostra Repubblica fiorì un tempo uno Studio, composto da storici e soprattutto da poeti, grazie alla cui opera erano in grado di raggiungere una fama immortale sia i poeti stessi che tutti coloro che essi si degnavano di celebrare con i loro versi. [4] È per merito principalmente di costoro che noi oggi conosciamo la vita, i costumi e i nomi di coloro che edificarono questa città e questo impero e di tutti gli altri uomini illustri di ogni età, i quali altrimenti per il corso di tanti secoli non avrebbero potuto pervenire alla nostra memoria. [5] E, come un alto numero di poeti e di storici ha costituito per molti il motivo di una memoria gloriosa e durevole così, senza dubbio alcuno, una loro mancanza prolungata nel tempo ha apportato a numerosi altri non indegni dell'eternità della fama indegne tenebre di oblio. [6] Ne consegue che molto spesso, incredibile a dirsi, noi sappiamo tutto degli antichi mentre siamo all’oscuro dei meriti di molte persone che sono vissute insieme con noi.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA [7] Et poetae quidem praeter gloriam praesentis temporis pariter et futuri, quam, ut diximus, sibi et aliis quaerebant, ac praeter honores et privilegia, quibus publice donabantur, pro praemio quodam et studiorum proprio ornamento coronam làuream merebàntur. [8] Tanto enim honore dignos illos censuit res publica, ut unum atque idem laureae decus assignandum censeret caesaribus et poetis, siquidem et caesares ducesque victores post labores bellorum et poetas similiter post labores studiorum lauro insignibant, per aeternam scilicet viriditatem arboris illius aeternitatem tam bello quam ingenio quaesitae glòriae designàntes. [9] Atque illud imprimis quod sicut arbor haec sola non fulminari creditur, sic caesarum et poetarum gloria illam, quae more fulminis cuncta prosternit, sola non mètuit vetustàtem. [10] Hoc nempe poeticum decus aetate nostra, quod dolenter referimus, – incertum qua seu ingeniorum tarditate seu temporum malitia – usque adeo abolitum videmus, ut etiam, quid per ipsum poetae nomen importetur, paene incognitum nostris hominibus habeatur opinantibus multis, poetae officium nil esse aliud quam fingere, id est mentiri. [11] Quod si ita esset, prorsus et laurea et omni honore indignum offìcium viderètur. [12] Ignorant autem poetae officium, sicut ab eruditissimis et sapientissimis viris accepimus, in hoc esse, ut veritatem rerum sub amoenis coloribus absconditam et decora velut figmentorum nube contectam altisonis celebrent carminibus et dulcis eloquii suavitate respergant, quo scilicet quaesitu difficilior magis atque magis invènta dulcèscat. [13] Sane cum poetas egregios in morem triumphantium acceperimus in Capitolio coronari, usque adeo in desuetudinem nobis abiit illa solemnitas, ut iam a mille ducentis annis nullum ibi legamus tali honòre decoràtum.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA [7] Per quanto poi riguarda i poeti, oltre alla gloria, che, come abbiamo detto, erano in grado di acquisire per se stessi e per gli altri nel tempo presente e in quello futuro, e oltre agli onori e ai privilegi che venivano loro conferiti pubblicamente, come premio e ornamento dei propri studi essi guadagnavano la corona di alloro. [8] E la nostra Repubblica li ha ritenuti degni di un onore tanto grande da disporre di attribuire come unica distinzione la corona di alloro ai cesari e ai poeti, incoronando i cesari e i capitani vittoriosi dopo le fatiche della guerra e ugualmente i poeti dopo le fatiche degli studi, simboleggiando in questo modo attraverso quell’albero perennemente verde la perenne gloria ottenuta con le imprese belliche o attraverso l’ingegno. [9] E questo va notato in modo particolare che, siccome quest’albero, per quanto si crede, è il solo a non venir colpito dal fulmine, così la gloria dei cesari e dei poeti è la sola che non temette mai la vecchiaia, che come il fulmine abbatte ogni cosa. [10] In realtà – ci dispiace dirlo – vediamo che questo ornamento poetico ai giorni nostri è stato a tal punto dimenticato, non sappiamo se o per tardità di ingegno o nequizia dei tempi, che i nostri contemporanei sembrano ignorare del tutto perfino il significato del termine poeta, visto che molti pensano che il dovere del poeta sia quello di fingere, e cioè di mentire. [11] Se ciò fosse vero, una tale attività sarebbe del tutto indegna sia della corona d'alloro che di qualsiasi altra onorificenza. [12] Tutti costoro però ignorano che, come abbiamo appreso da uomini molto eruditi e sapienti, il compito dei poeti è quello di celebrare con i loro versi sublimi la realtà, nascondendola sotto gradevoli colori, coprendola con una nube leggiadra di finzioni e cospargendola di parole soavi, in modo che essa, una volta che siamo riusciti a trovarla dopo molte ricerche, risulti ogni volta più dolce. [13] Dobbiamo però constatare che, mentre si sa che un tempo i poeti venivano incoronati in Campidoglio come dei trionfatori, tale solennità è poi caduta in tale desuetudine che non leggiamo che in questi ultimi milleduecento anni qualcuno sia stato insignito di una tale onorificenza. [trad. L. GARGAN]

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA III [1] Quod secum reputans ingeniosus vir et talium studiorum ab adolescentia scrutator ardentissimus Franciscus Petrarca florentinus poeta et historicus atque hoc praesertim tempore pereunti scientiae succurrendum ratus, quo neglecta magis erat ab omnibus et deserta, post veterum volumina diligenti primum indagine cognita et relecta, deinde post proprii ingenii opera historiarum praecipue et poematum, quorum partem adhuc habet in manibus, honesto condignae laureae flagrans desiderio non tam propter propriam gloriam, sicut idem ipse in nostra et populi Romani praesentia publice professus est, quam ut ad simile desiderium studiosorum hominum ànimos excitàret. [2] Quamvis ad hunc ipsum honorem alibi suscipiendum ab aliis saepe studiis atque urbibus evocatus, tractus tamen memoria antiquorum poetarum nec non et affectu ac reverentia huius sacrosante urbis, cuius eum constat semper fuisse ferventissimum amatorem, posthabitis aliorum precibus decrevit huc potissimum, ubi alios laureatos esse memìnerat, se confèrre. [3] Ante tamen, ne superbe forsitan propriae scientiae confisus videretur, statuit de se ipso alteri credere potius quam sibi, ideoque circumspiciens nec ullum toto orbe reperiens digniorem ad serenissimum dominum Robertum Jerusalem et Siciliae regem illustrissimum de Romana curia digressus, quae in Avenione nunc residet, usque Neapolim per ingentes maris et terrarum tractus personaliter accessit atque illius tanti regis omnium utique scientiarum fulgoribus abudantissime radiantis sese subiecit examini, ex cunctis mortalibus illum praeferens, qui inter omnes dignissimus visus est, maturo sane consilio, ut tanto iudicio probatus posset a nèmine reprobàri.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA III [1] E pensando questo, un uomo d’ingegno e ardente indagatore di tali discipline sin dall’adolescenza, Francesco Petrarca fiorentino, poeta e storico, pensò che soprattutto di questi tempi fosse necessario prestare soccorso alla sapienza che stava morendo, tanto più che essa era da tutti trascurata e abbandonata, dapprima dopo aver riconosciuto e raccolto i volumi degli antichi grazie ad una ricerca diligente poi dopo aver composto lui stesso alcune opere di storia e di poesia (una parte delle quali persino ora ha tra le mani), acceso dal desiderio onesto di una laurea meritevole non tanto per acquistare gloria personale – come egli stesso ha confessato pubblicamente alla presenza nostra e del popolo romano – quanto per stimolare gli animi di altri uomini di lettere verso un simile desiderio. [2] Sebbene egli sia stato chiamato a ricevere questo stesso onore altrove più volte da altre università e città, spinto tuttavia dalla memoria degli antichi poeti e nondimeno dall’affetto e dalla reverenza di questa santissima città, che egli come è noto ha sempre amato, trascurate le preghiere di altri decise di dirigersi piuttosto qui a Roma dove si ricorda che altri sono stati incoronati d’alloro. [3] Prima tuttavia, per non sembrare di confidare con superbia della propria sapienza, per essere esaminato decise di affidarsi ad un’altra persona piuttosto che a sé, e perciò guardandosi attorno e non trovando nessuno su tutta la terra più degno, lasciando la curia romana che ora ha sede ad Avignone, si recò personalmente fino a Napoli, dopo un lungo tragitto per mare e per terra, presso il serenissimo signore di Gerusalemme e illustrissimo re di Sicilia, Roberto, e si sottopose all’esame di quel sovrano – tanto grande da risplendere assai per le conoscenze acquisite in ogni disciplina –, preferendo dunque tra tutti i mortali colui che gli sembrò il più degno di tutti, proprio per la sua saggezza matura cosicché potesse essere oggetto di riprovazione da parte di nessuno essendo stato approvato da un giudizio di un uomo così grande,

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA IV [1] Cum itaque rex idem audito eo atque operum eius parte conspecta dignum profecto tali honore iudicasse ac super eius sufficientia singulari testimoniales nobis litteras et de latere regio fidedignos nuntios destinasset, eodemque tempore et ipse Franciscus pleno Capitolio lauream poeticam solèmniter postulàsset, [2] nos et regio testimonio et famae publicae quae idem de eo multo ante prelocuta erat, sed multo maxime operum evidentiae certissimam fidem dantes, prefatum Franciscum hodierno videlicet paschalis solemnitatis die in Capitolio Romano, locurm celeberrimo, tam dicti regis quam nostro et populi Romani nomine magistrum, poetam et històricum declaràntes; [3] praeclaro magisterii nomine insignivimus et in signum specialiter poesis nos, Ursus comes et senator praefatus, pro nobis et pro collega nostro coronam lauream nostris manibus capiti eius impressimus, [4] dantes eidem tam in dicta arte poetica atque in historiis quam in omnibus spectantibus ad easdem auctoritate praefati domini regis, senatus et populi Romani, tam in hac sacratissima urbe, quae omnium urbium ac terrarum caput esse non ambigitur et magistram, quam alibi ubicumque locorum legendi, disputandi, interpretandi veterum scripturas et novos ex se ipso omnibus saeculis auxiliante Deo mansuros libros ac poemata componendi liberam tenore praesèntium potestàtem; [5] nec non ut ubi et quotiens sibi placuerit, possit huiusmodi atque alios actus poeticos laurea1 seu myrto vel hedera, si id genus elegerit, coronare2 et in actu atque habitu quolibet poetico privatim et publice solèmniter exercère. [6] Ad haec et scripta per eum hactenus velut per hominem in talibus expertum in hiis scrìptis approbàmus.

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laurea] laureatus ed. Mertens

2

coronare] coronatus ed. Mertens

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA IV [1] Dopo che lo stesso re, ascoltatolo ed esaminato una parte delle sue opere, lo giudicò degno di tale onore, e dopo che ebbe inviato a noi una lettera in testimonianza della sua sufficienza e alcuni nunzi di corte degni di fede, e dopo che Francesco in persona fece solennemente richiesta della corona poetica [2] noi, riponendo massima fede sia nella testimonianza del Re sia nella pubblica fama che lo aveva già da molto tempo preceduto, ma soprattutto nell’evidenza delle sue opere, il suddetto Francesco nella solennità del giorno della Pasqua in Campidoglio a Roma, celeberrimo luogo, tanto nel nome di detto Re quanto del popolo romano, (a) lo proclamiamo poeta e storico con il titolo di maestro; [3] (b) lo abbiamo insignito dell’eccellente titolo di accademico che offre la possibilità di esercitare la libera docenza e in segno specialmente della poesia noi, conte Orso e predetto senatore, a nome nostro e del nostro collega (c) imponiamo la corona d’alloro sul suo capo con le nostre mani, [4] e per l’autorità del detto Re, del Senato e del popolo di Roma con il tenore della presente (d) concediamo a lui la facoltà di leggere, di disputare, di interpretare gli scritti degli antichi e di comporre da sé poesie e nuovi libri destinati con l’aiuto del Signore a rimanere nei secoli venturi, tanto nella detta arte poetica e nella storiografia quanto in tutto ciò che compete a queste discipline e tanto nella città di Roma (la quale non c’è dubbio che è la prima tra tutte le altre e la maestra) quanto in qualunque altro luogo; [5] nondimeno quante volte e ovunque riterrà opportuno, (e) avrà la possibilità di coronare altre simili azioni poetiche con l’alloro, il mirto o l’edera – se sceglierà questo genere – ed esercitare in qualunque azione e abito poetico con solennità privatamente e pubblicamente. [6] E (f) approviamo gli scritti composti fino a questo momento da lui come da uomo esperto in tali cose.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA [7] Reliqua vero, quae scripturus erit in posterum, ex quo ab eodem promulgata et in lucem edita fuerint, simili ratione approbànda censèmus; [8] decernentes eum iisdem privilegiis, immunitatibus, honoribus et insignibusperfrui debere, quibus vel hic vel usquam terrarum uti possunt aut posse sunt soliti liberalium et honestarum artium professores, eoque magis, quia professionis suae raritas uberioribus eum favoribus et ampliori benevolentia dignum facit. [9] Insuper eundem Francisum propter insignes ingenii sui dotes ac propter notissimam devotionem, qua ad hanc urbem nostramque rem publicam affici eum et communis omnium fama et actus eius ac verba testantur, civem Romanum facimus, pronuntiamus, decernimus et declaramus, ipsum et veteribus et novis civium Romanorum privilegiis ac nòmine decoràntes. [11] De quibus omnibus et singulis interrogatus populus Romanus solemniter, ut mos est, nemine protinus adversante placere sibi omnia unanimi clamòre respòndit. V [1] In quorum testimonium praesentes litteras utriusque scribae senatus subscriptione et nostrae aurae bullae sibi concedi iussimus appensione munitas. [2] Datum Romae in Capitolio praesentibus nobis et tam alienigenarum quam Romanorum procerum ac populi multitudine numerosa. Quinto Idus Aprilis anno domini M CCC XLI. [3] Poncelatus scriba senatus. Subscriptum per me Toman quondam Johannis Gregorii Dei gratia almae urbis praefecti auctoritate notarium et scribam sacri senatus. [4] + Ursus comes Anguillariae et Jordanus de Ursinis miles collegae urbis senatores. S.P.Q.R. Roma caput mundi tenebit orbis frena rotundi.

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BOCCACCIO E LA LAUREA DEL PETRARCA [7] Ugualmente (g) giudichiamo meritevoli di essere approvati gli scritti che comporrà in futuro, dal momento in cui saranno pubblicamente divulgati; [8] e dichiariamo che egli debba godere degli stessi privilegi, immunità, onori e titoli dei quali i professori di arti liberali e oneste possono godere o sono soliti poter godere qui a Roma o in altro luogo, tanto più che la rarità della sua professione lo rende degno di riconoscimenti più grandi e di benefici più ampi. [9] Oltre a questi riconoscimenti per le eccellenti doti del suo ingegno e per la suo nota devozione che mostra nei confronti della nostra città come l’opinione di tutti, le sue azioni e le sue parole dimostrano, (h) creiamo pronunciamo decretiamo e dichiariamo lo stesso Francesco cittadino di Roma, adornandolo del nome e dei privilegi degli antichi e moderni cittadini romani. E poiché come da tradizione fu richiesto solennemente al popolo romano il parere su ognuna di queste decisioni e nessuno si mostrò contrario, Roma con unanime clamore rispose che approvava ogni decisione.

V [1] Nel cui testimonio ordiniamo che gli sia concessa la presente lettera con la sottoscrizione del Senato e di entrambi i segretari, munita del nostro sigillo d’oro. [2] Dato a Roma in Campidoglio alla presenza nostra, e alla presenza sia di alcuni stranieri che di nobili romani e di una folla numerosa, il 9 aprile 1341 [3] Poncelatus segretario del Senato. Sottoscritto da me Toman figlio di Giovanni Gregorio per grazia di Dio e per autorità del prefetto della città notaio e segretario del sacro Senato. [4] Conte Orso dell’Anguillara e cavaliere Giordano Orsini colleghi senatori di Roma. SPQR Roma caput mundi tenebit orbis frena rotundi. [trad. F. BAJ]

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