Arte Longobarda

October 6, 2017 | Autor: Jacopo Fiorentino | Categoría: Arte, the Longobards, Oreficeria Mediovale
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Descripción

ARTE LONGOBARDA

Barbari
Soprattutto oreficeria, dato che si trattava di popolazioni nomadi. Le
testimonianze artistiche erano per lo più nei corredi funebri. I manufatti
possono essere catalogati in macro-categorie:
POLICROMO: pietre levigate e colorate vengono incastonate in oro.
ANIMALISTICO: si collega ai bronzi con incisioni a tacche e ornati zoomorfi
stilizzati, usati come guarnizioni di cinture.
Nello stile animalistico I (fine V sec.- seconda metà VI sec.) i tralci dei
modelli tardo-antichi si trasformano in figure geometriche invadendo tutta
la superficie, mentre il ritmo ornamentale si fa scomposto e asimettrico.
Nello stile animalistico II (VII secolo) l'ornato riacquista maggiore
regolarità accentuando però la stilizzazione degli elementi zoomorfi.


Longobardi
Le testimonianze artistiche dei primi decenni della dominazione longobarda
sono scarsissime. L'arte guida è l'oreficeria. Frequenti sono le crocette,
che sembrano ritagliate in sottili lamine d'oro. Appaiono anche esempi di
monetazione e anelli sigillo con lettere latine e volti umani. Il vasellame
ceramico trovato in numerose tombe mostra forme alquanto rozze e modeste
decorazioni graffite geometrizzanti.

Accanto alle crocette più semplici appaiono anche le croci gemmate.
Probabilmente derivate da prototipi votivi palestinesi portati in Italia da
pellegrini, queste croci riprendono il motivo del crocefisso come imago
christi, un piccolo busto clipeato al centro della croce. In tal senso è
interessante la croce di Adoloaldo in cui il cristo appare in figura
intera. Nelle croci gemmate le pietre dure sono inserite a freddo in
trafori appositamente preparati, talvolta seguendo una disposizione
spaziale di gusto tardo-antico. Ottimo esempio di tale tecnica è la
copertura dell'evangelario donata da papa Gregorio Magno a Teodolinda nel
603.

In una posizione mediana tra oreficeria e cultura materiale si colloca la
produzione longobarda di armi, presenti tra i corredi funebri maschili. Le
impugnature erano rese con la ageminatura; le lame invece vengono
sottoposte alla damaschinatura, ovvero aggredite chimicamente e battute in
modo tale da assumere una struttura a fasce incrociate. Il prodotto più
spettacolare sono gli scudi. Interessante anche l'elmo in cui si celebra il
trionfo di Agilulfo, re dal 591 al 615. La presenza delle vittorie alate
dimostra lo sforzo di contaminatio con i modelli classici.

Questo raccordo è testimoniato anche dalla cosiddetta Testina di
Teodolinda, anteriore al 628, il cui modello è probabilmente la bizantina
Testa di Teodora, ma nella Testina viene meno ogni ricerca di modellazione
a favore di una scarna stilizzazione essenziale e geometrizzante. E' più
vicina alla oreficeria che alla scultura. La Romanini propone un raffronto
col coevo scettro di Sutton Hoo, trovato nella tomba-barca del re sassone
Raedwald.

LE TECNICHE

Tecnica Champlevè (campo levato). Con uno strumento si creano solchi su
lastra, lì si mettono paste vitree (vetro in granelli) e poi al forno.

Tecnica Agemina. Stesso sistema, dalla base si creano solchi e si mettono
strisce di un altro metallo.

Tecnica Damaschinatura. Per le spade. Più lamine battute insieme e poi con
la torsione c'era una lamina unica ma policroma.
Tecnica Cabochon. Incastonare pietre in alloggi attraverso dentelli.

Tecnica Traslucida. Tecnica champlevè meno pronunciata.

Tecnica Cloisonné. Si parte da una lastrina di metallo che viene lavorata.
Si creano alveoli. Gabbie al cui interno si mettono paste vitree e poi nei
forni. Spesso alternate paste vitree a pietre preziose.

Tecnica Punzonatore. Per gli scudi. Piccole figurine montate. Es. scudo
ligneo sul quale venivano applicate piastrine in metallo dorato punzonato.

ARCHITETTURA E SCULTURA

Città chiave dei longobardi è Pavia, capitale dal 625 al 774. Della chiesa
di S. Maria in Pertica rimane un preciso disegno settecentesco. Fondata nel
677, era sul modello del mausoleo di S. Costanza, ma cambiava lo slancio in
altezza. Presentava quindi una pianta ottagonale con un deambulatorio
anulare e un giro interno di 6 colonne. Su questo modulo latino si
innestava un alto corpo centrale destinato a servire da modello per la
cappella palatina di Aquisgrana e la chiesa di S. Sofia a Benevento, ma
anche per il battistero di Lomello e il battistero di Albenga.

Costruita come cattedrale ariana da Rotari (636-652) la chiesa di S.
Eusebio divenne fulcro della conversione dei Longobardi al cattolicesimo.
Oggi ci resta solo la cripta comunque frutto di una rivisitazione romanica.
Importanti sono i capitelli originali, basati su forme senza precedenti
desunte dall'oreficeria, che suggeriscono l'ipotesi di una loro antica
decorazione a paste vitree o con grosse pietre. Si ispirano alle fibule
alveolate e a quelle a cicala.

Il culmine della rinascita culturale è con Liutprando (712-744). Liutprando
si pone come sovrano che vuole competere con Bisanzio. E' un committente di
oreficeria e architettura.
Gli esempi migliori di arte dell'VIII secolo sono i due plutei provenienti
dalla distrutta S. Michele alla Pusterla, in cui facevano da recinzione
presbiteriale.
Il primo pluteo raffigura due pavoni che si abbeverano alla fonte e
crosmon; il seondo raffigura mostri marini che si affrontano davanti
l'albero della vita. Sono trattati con senso puramente bidimensionale e
grafico del rilievo, staccato dal fondo in forza di un incisivo disegno e
riducendo l'immagine a simbolo.

Altri manufatti provengono da Cividale, primo ducato della discesa dei
Longobardi. Nel 737 Cividale divenne sede vescovile, a opera del patriarca
Callisto.

L'altare del duca Ratkis presenta una marcata deformazione anatomica delle
figure acuita da una scultura piatta e bidimensionale. Questa forzatura
espressiva si inserisce in una rilettura barbarica di modelli antichi, le
cui parti precedenti sono la testina di Teodolinda e la placchetta di
Agilulfo.
Ratkis era un duca che poi diventa re, grazie alle doti mostrate proprio
come duca di Cividale. E' il figlio di Pemmone, che si scontra con
Callisto. Pemmone verrà cacciato da Liutprando ma stranamente il suo posto
viene poi preso proprio da Ratkis.
Si tratta di un altare a cassa, un grande parallelepipedo in pietra chiara
con episodi del nuovo testamento e simboli istologici. L'iscrizione col
committente ci costringe a camminare intorno all'altare.
Di fronte abbiamo Cristo in maestà nella mandorla retta da angeli; sul
retro un motivo a nastro intrecciato con 2 croci e il foro di incasso per
le reliquie.
Risaltano le deformazioni anatomiche, ma le figure sono comunque fortemente
espressive (ad esempio Maria ed Elisabetta sul lato). Anche i re magi sono
molto simili tra loro. Nel complesso assistiamo a una rilettura barbarica
dell'iconografia classica.
E' stato poi scoperto che il manufatto era policromo, e quindi le figure
venivano rese anche attraverso il contrasto dei colori.

Coevo è il Battistero di Callisto, opera questa dalla forte
caratterizzazione architettonica che non genera quindi l'effetto di un
prezioso oggetto di oreficeria. E' formato da un ottagono con 7 archetti
originali e uno spurio. Anche la balaustra è un ottagono con innesti
marmorei più tardi, ma comunque longobardi. I capitelli sono probabilmente
di reimpiego. Influenza di diversi periodi. Orror vacui: tutto riempito da
motivi ornamentali. Nella lastra successiva di Sigualdo, successore di
Callisto, alla base della balaustra, vi sono i simboli degli evangelisti.
Nei capitelli e sugli arcchivolti si susseguono immagini simboliche che
fanno riferimento al battesimo (pavoni e grifoni alla fonte, leoni che
guatano agnelli).

Il monumento più interessante a Cividale è il cosiddetto Tempietto,
afferente alla chiesa di S. Giovanni, e oggi dall'aspetto cinquecentesco.
Era probabilmente la cappella palatina. Ha assunto la dedicazione a S.
Maria in Valle in occasione della trasformazione della Gastaldia (residenza
del Gastaldo di cui faceva parte) in monastero. Oggi rimangono brani
dell'ornamentazione con stucchi e affreschi del lato ovest, in origine
parete d'ingresso.
Data l'alta qualità delle opere la committenza è stata incerta e da alcuni
attribuita ai carolingi. Ma le ricerche degli studiosi scandinavi (di Oslo)
ha portatoa capire che si tratta di un monumento pienamente longobardo.
In origine il tempietto era privo di sagrestia. Si tratta di un'aula a
navata unica e rialzata a ovest con presbiterio più basso; non vi era
l'abside. Questi due ambienti, divisi da 3 archi, danno un aspetto di
monumentalità al luogo. La trifora che separa crea dialogo tra navata e
presbiterio. Fa pensare all'architettura bizantina (la Croazia lì vicino lo
era).
La funzione del tempietto non è chiara, forse si trattava di un mausoleo o
un martirium. Infatti i longobardi erano molto attenti alle reliquie, anche
se molto scarse sono le notizie giunte di reliquie a Cividale.

Le pareti della navata erano completamente decorate; erano scandite in tre
registri. Il primo registro oggi è coperto dalla schola cantorum, il
secondo prevedeva pitture e il terzo stucchi. Nel presbiterio c'era una
decorazione a mosaico a fondo oro, lo si capisce dalla malta dove
allettavano le tessere. A fondo oro doveva essere anche la volta della
navata. Il pavimento era in opus sectile.
Lungo le pareti scorre un'iscrizione frammentaria che comunque ci fa capire
che il tempietto era dedicato a Cristo e commissionato da pios actores:
Thorpe ha ipotizzato Re Astolfo e la moglie Gertrude.
La lunetta sopra la porta d'ingresso non è mai stata ridipinta. Raffigura
Cristo benedicente tra due arcangeli. Thorpe qui ha visto per il Cristo un
modello imperiale, raffigurato come l'imperatore Sole. Per Thorpe si tratta
di un modello bizantino, ma per l'iconoclastia non abbiamo raffronti. Si
nota anche una somiglianza con l'evangelario carolingio di Gonescalco.
Nell'altra lunetta vi è la Vergine con bambino e angeli. Il modello è
bizantino: la chiesa Panaghia Angelokistos di Kiti. Negli spazi di risulta
vi erano figure iconiche, di cui riconosciamo solo S. Adriano.
Era difficile capire se gli artisti fossere longobardi o bizantini. Si
pensa ad artisti bizantini emigrati dopo la crisi iconoclasta.

Stucchi. Sei sante sopra l'ingresso, probabilmente altre tre su ogni parete
laterale. Alte 2 metri, occupavano tutto il registro superiore. Difficile
trovare un modello: si è pensato al battistero degli ortodossi (per la
compresenza di pitture e stucchi); alla biblioteca ambrosiana, o ad artisti
orientali (per le analogie con contesti ommayadi). Per Thorpe il modello è
l'aro di Galerio a Salonicco.
Resta il dubbio sulle maestranze.

SANTA MARIA FORIS PORTAS A CASTELSEPRIO

Sorge su un'altura all'esterno della cinta muraria di Castelseprio e per
questo protetta da un fossato.
Ha la struttura di un tricono: da una breve navata rettangolare tre arconi
immettono nelle ampie absidi illuminate da finestre e rafforzate
all'esterno da contrafforti. L'iconografia della fabbrica deriva da modelli
orientali e tardo-antichi. La datazione dell'edificio, grazie a esami
fisici e chimici, è fissata intorno al secondi quarto del IX secolo. La
chiesa doveva avere un aspetto suntuoso anche per il ricco pavimento
marmoreo.
Sulle pareti dell'abside principale si dispiega uno dei più importanti
cicli di affreschi dell'alto medioevo. La narrazione degli episodi
dell'infanzia di Cristo si svolge su due registri, in riquadri separati da
strette bande. Sulla controfacciata dell'arco trionfale due angeli in volo
con in mano lo scettro e il globo adorano l'Etimasia (trono su cui poggiano
croce e corona, simboli della regalità cristologica). Sopra le finestre
sono collocati tre tondi di cui rimane integro quello centrale col Cristo
benedicente. Sotto, corre uno zoccolo decorato a finte nicchie, chiuse ad
velari, da cui spuntano uccellini.
Il programma dottrinario è complesso, e si rifà anche ai vangeli apocrifi
di Giacomo e dello pseuso Matteo. Deriva dagri apocrifi ad esempio la scena
con la Prova delle Acque Amare con la quale la vergine testimonia
l'innocenza del concepimento che in lei è avvenuto.
Dal punto di vista compositivo e stilistico la qualità è eccezionalmente
alta. I gesti, le espressioni, le pose spesso scorciate esprimono la
drammaticità delle scene. Il movimento è sottolineanto da ombre guizzanti e
pastose lumeggiature. La tecnica pittorica alterna pennellate rapide e
precise ad ampie velature dai pochissimi toni cromatici per ottenere un
effetto atmosferico di soffusa luminosità.
La datazione ha originato un acceso dibattito. Sicuramente anteriore al 948
(lo rivela un'iscrizione su di essa graffita che cita Arderico, arcivescovo
di Milano fino a quella data), sono da collocarsi tra
VIII e IX secolo, operando un confronto con il ciclo absidale di S. Sofia
di Costantinopoli (785-815). Il ciclo si inserisce in una tregua delle
lotte iconoclastiche. Proprio l'iconoclastia aveva portato alla diaspora di
numerosi artisti verso l'Italia settentrionale.
Il tema dottrinale è sicuramente anti-ariano, dato che gli ariani non
credevano all'incarnazione e alla natura di Cristo nella formulazione
romana. Il committente potrebbe essere il conte del Seprio Giovanni, figlio
del misso dominico e conte di Milano Leone.
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