26 - Invigulantes pro vicinia

September 29, 2017 | Autor: Silvio Panciera | Categoría: Roman History, Latin Epigraphy, Storia antica ed epigrafia latina
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Descripción

II,20 - IUPPITER OPTIMUS MAXIMUS INBAITHE*

L’arula che propongo (fig. 1) pone del problemi non facili da risolvere. Si conserva nel giardino del Museo Nazionale Romano75 ed è di provenienza ufficialmente sconosciuta. Credo peraltro di aver appurato che viene dalla zona di Trastevere e precisamente dalle vicinanze dell’Isola Tiberina. Un calco in gesso di questa epigrafe (fig. 2) ho trovato infatti murato con altri pezzi originali, d’altro genere e di minor valore, nella parete di una scala interna dell’ospedale “La Scarpetta” che sorge in piazza Castellani 23. Secondo il personale dell’Ospedale, le iscrizioni sarebbero state trovate in uno scantinato dell’edificio e murate sulle scale in occasione di lavori di restauro e ampliamento nel 192976. Un po’ danneggiata, ma non troppo, vi si legge:

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Pro salute Aug(usti) Iobi Optimo Maxim(o) [-?]INBAITHE d(ono) d(edit) [-] Carbilius Marti= alis.

Una profonda scheggiatura sullo spigolo sinistro, a mezza altezza, ci ha tolto, forse, il prenome del dedicante e potrebbe aver fatto cadere una lettera prima di INBAITHE (si vede in alto un piccolo segno rettilineo che potrebbe essere casuale o anche no). La dedica è di un | tale Carvilius Martialis (notare la b per v anche in Iobi) ed è fatta per la salvezza dell’imperatore a Giove Ottimo Massimo. Fin qui tutto chiaro, ma cosa significa la parola INBAITHE all’inizio della quarta riga? Le possibilità teoriche sono, a me pare, sostanzialmente due: ch’essa voglia significare l’oggetto donato a Giove Ottimo Massimo, o che costituisca un altro epiteto della divinità. Finora tuttavia non sono riuscito a trovare alcun oggetto che possa essere definito così o con una parola simile (resta il problema, come si è detto, che potrebbe esserci stata un’altra lettera prima di INBAITHE), né ho trovato confronti per un eventuale epiteto di questo genere: etnico (come, ad esempio, Dolicheno) od indicante una caratteristica del dio. Ho però qualche idea da proporre molto timidamente. La parola nel suo complesso, e l’aspirata th in particolare, mostrano che il significato non va ricercato in ambito latino, bensì piuttosto straniero, greco

* Un frammento degli Acta Arvalium ed altre novità epigrafiche romane, 4, in Rend. Pont. Ac. Arch., 48, 1975-76, pp. 298-302. 75 Inv. 124602. Marmo. Altezza cm 57, larghezza cm 30, spessore cm 25. 76 Devo queste informazioni alla cortesia del Primario, prof. Alessandro Seganti ed ai ricordi di Suor Caterina Grilli, presente nell’Ospedale sin dal 1929. Ringrazio anche il

Prof. Eugenio Varcasia, ora Primario all’Ospedale di Latina, al quale devo la prima segnalazione dell’esistenza alla Scarpetta di un piccolo gruppo di epigrafi. Si dovrebbe supporre che l’iscrizione sia entrata nel Museo Nazionale Romano nel 1929, o prima, e che allora si sia provveduto all’esecuzione di un calco in gesso lasciato sul luogo di provenienza. Con tale ipotesi circa la data d’immissione nel Museo non contrasta il numero d’inventario.



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o filtrato dal greco. Il mancato passaggio di N ad M davanti a B può inoltre far pensare che, nonostante la mancanza del punto divisorio, la parola vada scomposta in due elementi IN e BAITHE77. Orbene baiqhvl è uno dei modi in cui si rende in greco la voce semitica bēth-el78 significante dimora di (o del) dio, la quale a sua volta indicò, sia una divinità79, sia le pietre od altri oggetti sacri in cui si credeva abitasse un dio80, sia una famosa località. Fu questa il luogo sacro (con la pietra) della visione di Giacobbe81, divenuto in seguito centro | religioso importante82 ininterrottamente sino all’occupazione vespasianea del 6983. Queste considerazioni mi sembra aprano uno spiraglio a due interpretazioni interessanti: a) che nella parola si debba vedere un epiteto di origine semitica connesso con la credenza dei betili; in tal caso andrà confrontato con l’unica attestazione fin qui nota di Zeu;~ Bevtulo~ restituita da un altare di Dura datato agli inizi del III sec.84 e andrà interpretato come Iuppiter che sta nel betilo85; b) che il cognomen derivi dall’antico centro religioso ebraico di Bēth-el ove il culto di Iuppiter (come nella vicina Gerusalemme divenuta Aelia Capitolina)86 poteva aver preso il posto di quello originario. In tal caso l’interpretazione dovrebbe essere di Iuppiter che sta a Baithel87.

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Non si deve dare molta importanza alla mancanza del punto divisorio perché è noto che, anche nelle iscrizioni più accurate, esso è frequentemente e volutamente omesso fra la preposizione ed il sostantivo cui si riferisce; per un confronto ed alcune osservazioni sul fenomeno, si veda quanto ho scritto in Atti Conv. Intern. XIX Cent. dedic. Capitolium Brescia, 1973, Brescia 1975, 1, p. 219 e in Not. Sc., 1975, p. 222. 78 JOSEPH. AJ, I, 342 (vd. anche apparato alle citazioni di Bhqhl, Bhqhla), Thes. Gr. Ling., II, col. 41; E. HATCH − H.A. REDPATH, A Concordance to the Septuagint and the Other Greek Versions of the Old Testament, III, Supplement, Oxford 1906, p. 32. Vd. anche Baivtulo~ per la cui derivazione dal semitico beth-el, da ultimo, contro BENVENISTE (Le sens du mot KOLOSSOS et les noms grecs de la statue, in Rev. Philol., ser. 3, 6, 1932, p. 127) e G. ZUNTZ (Baitylos and Bethel, in Class. Med., 8, 1946, pp. 169-219): B. HEMMERDINGER, De la méconnaissance de quelques étymologies grecques, in Glotta, 48, 1970, pp. 59 sg. 79 O. EISSFELDT, Der Gott Bethel, in Arch. Rel. Wiss., 28, 1930, pp. 1-30; J.P. P HYATT, The Deity Bethel in the Old P. Testament, in Journ. Am. Or. Soc., 59, 1939, pp. 81-98; ZUNTZ, art. cit. (nt. 78); R. DU MESNIL DU BUISSON, Le groupe des dieux Él, Bétyle, Dagon et Atlas chez Philon de Byblos, in Rev. Hist. Rel., 169, 1966, pp. 37-49; ID., Études sur les dieux phéniciens hérités par l’Empire Romain, Leiden 1970, pp. 48, 54, 122, 124-125; ID., Nouvelles études sur les dieux et les mythes de Canaan, Leiden 1973, pp. 45, 46, 48. 80 RE, II, 1896, col. 2779; M.-J. LAGRANGE, Études sur les religions sémitiques2, Paris 1905, pp. 158-216; F. CUMONT, Les religions orientales dans le paganisme romain4, Paris 1929, p. 108 con nt. 44 a p. 255; E. GOBERT, Essai sur la litholâtrie, in Rev. Afr., 89, 1948, pp. 24-110. 81 Gen., 28, 10-22; 35, 6, 13-15; JOSEPH. AJ, 1, 284.

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J. CORBETT, The Catholic Encyclopedia, II, 1913, p. 532; F. BUHL, The Jewish Encyclopedia, III, 1925, pp. 119 sg.; G.A. COOKE, A Dictionary of the Bible11, I, 1931, pp. 277279; H. HAAG, Lexikon für Theologie und Kirche, II, 1958, pp. 307-309. Per gli scavi ed i ritrovamenti nella località: W. ALBRIGHT − J.L. KELSO, The Excavations of Bethel 19341960 (The Annual of the Amer. Sch. Or. Res., 39), Cambridge 1968. Notizie fondamentali e bibliografia anche in M. AVIYONAH, Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, I, London 1975, pp. 190-193 (J.L. KELSO). 83 JOSEPH. BJ, 4, 551. 84 H. SEYRIG, in The Excavations at Dura-Europos. Prelim. Report of the Fourth Season, New Haven 1933, pp. 68-71 nr. 168, tav. XV, 1 (inde SEG, VII 1934, 341): Qew/` patrwvw/ / Dii; Betuvlw/ / tw`n pro;~ tw/` / ∆Orovnth/ Aujr(hvlio~) / Difiliano;~ stra(tiwvth~) / leg(ew`no~) d∆ Sku(qikh`~) ∆Ant(wneinianh`~) / eujxavmeno~ / ajnevqhken. Vd. anche B. COOK, Zeus, III, 1, Cambridge 1940, pp. 887-893; cfr. Zeus Bwmov~, per cui SEYRIG, loc. cit. ed RE, X A, 1972, col. 293. 85 Non avrebbe qui luogo il dubbio, avanzato nel caso di Zeus Betylos (vedi bibliografia in nota precedente), se si tratti di un dio Betylos identificato con Zeus o di Zeus venerato in forma di Betylos (cfr. però DU MESNIL DU BUISSON, op. cit. [nt. 79], p. 122), essendo il secondo concetto chiaramente espresso dalla preposizione. 86 La sostituzione del culto di Jehova con quello di Iuppiter Capitolinus da parte di Adriano è ricordata da DIO CASS. 69, 12, 1. L’antica città di Bēth-el sorgeva 17 km a nord di Gerusalemme. 87 Un incoraggiamento ad esporre anche questa possibilità mi è venuto dalla prof.ssa M. Guarducci, che ringrazio. Gli scavi non hanno restituito molto dell’età romana, ma hanno documentato una sicura continuità d’insediamento anche

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L’una e l’altra presuppongono, come si vede, la divisione tra IN e BAITHE ed escludono all’inizio della quarta linea la caduta di una lettera che sarebbe del resto di assai difficile restituzione88. Lascio al | lettore di decidere se le proposte siano almeno in parte soddisfacenti e se contengano elementi di credibilità. Mi limito ad aggiungere che con una interpretazione collegata al mondo semitico-ebraico sembrerebbe risultare fortemente congruente la provenienza stessa della dedica, esattamente dal centro del principale quartiere ebraico di Roma89 e, più latamente, dalla regione transtiberina che tante attestazioni ha restituito di presenze e culti orientali90. Proporrei una datazione al III sec. o alla fine del II.

dopo il 69, ed anzi, in progresso di tempo, un cospicuo aumento della popolazione. Vespasiano vi lasciò una guarnigione (JOSEPH. BJ, 4, 551) e guardie furono poste a Bēth-el anche da Adriano per catturare Ebrei fuggitivi (Lam. R., II, 3, Midrash Eklah). 88 La sola integrazione possibile mi sembrerebbe [S]INBAITHE, da confrontare eventualmente con il greco Sumbevtulo~ di Jalabert-Mouterde, IGLS, II, 376 (Kafr Nâbô, 224 d.C.): Seimivw/ kai; Sumbetuvlw/ kai; Levonti qeoi`~ patrw/`oi~… Ma Sumbevtulo~ è forse una dea, si veda il commento a IGLS, II, 376 ed inoltre (contro J.T. MILIK, in Biblica, 48, 1967, pp. 568 sg.) DU MESNIL DU BUISSON, op. cit. (nt. 79), pp. 124 sg.

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Per la localizzazione del principale centro ebraico a Roma “in the sector between the modern Viale di Trastevere and the river, that is, the district around the churches of S. Cecilia and S. Francesco a Ripa, now traversed by such streets as via Anicia, via dei Genovesi, and via dei Salumi”: J. LEON, The Jews of Ancient Rome, Philadelphia 1960, pp. 135-139. 90 Basti pensare al santuario del Gianicolo. In generale S.M. SAVAGE, The Cults of Ancient Trastevere, in Mem. Am. Ac. Rome, 17, 1940, pp. 26-56. Sul santuario del Gianicolo, oltre alla bibliografia raccolta in NASH, Dictionary2, I, p. 525, si veda, da ultimo, N. GOODHUE, The lucus Furrinae and the Syrian Sanctuary on the Janiculum, Amsterdam 1975.

NOTA COMPLEMENTARE − Sul culto betilico anche di Zeus (Baetylus, Casius): C. ROSSIGNOLI, in L’Africa Romana, 9, 1992, pp. 73-96; R.E.A. PALMER, Rome and Carthage at Peace, Stuttgart 1997, pp. 96-100.



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1 - Arula con dedica Iovi Optimo Maximo Inbaithe.

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2 - Calco in gesso della stessa in un Ospedale di Trastevere.

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Così, secondo l’interpretazione di Henzen e di Mommsen, sarebbero detti alcuni magistri vici che anche dopo l’uscita di carica avrebbero mantenuto il compito di custodire certi pondera auraria et argentaria viciniae, dagli stessi offerti nell’anno del loro magistero insieme con un’ara consacrata ad Ercole. L’espressione ricorre nell’iscrizione urbana CIL, VI 282 cfr. p. 3004 = ILS 5615, che qui si riproduce secondo lo scioglimento datone dallo Henzen e con la sua stessa punteggiatura1: Sacrum Hercul(i) mag(istri) vici anni XI. A.A. Marcii, Athenodor(i) lib(erti), Hilarus et Bello, 5 N. Lucius Hermeros Aequitas mag(ister) iter(um)2 pondera auraria et argentaria viciniae posuerunt; 10 idem tuentur. Anno XIX3 pro parte, invigul(antes) pro vicin(ia), una cum magistr(is) 15 contulerunt.

* Scritti storico-epigrafici in memoria di Marcello Zambelli (Università di Macerata. Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia, 5), Roma 1978, pp. 315-320. 1 Il monumento iscritto, ara o base di donario, fu visto alle pendici dell’Aventino almeno dalla prima metà del XVII sec., quindi portato nella vigna Sciarra presso la porta Nomentana dove fu visto ancora dal Marini, infine disperso. Il testo dello Henzen risulta dalla collazione di copie non sostanzialmente diverse del Doni, del Fabretti, del Malvasia e del Marini. Quale sia l’interpretazione di questo studioso risulta, oltre che dalla trascrizione, dal commento nel CIL a questo testo e al successivo di eguale provenienza. L’interpretazione fondamentale è tuttavia del Mommsen in una postilla a CIL, VI 282: “Herculi ((ponderum opinor, v. n. 336) aram dedicant et pondera ponunt magistri vici tres,





ut simul curam in se suscipiant ponderum tuendorum: unde etiam explicatur qui fiat ut iidem homines post octo annos adiunctis eius anni magistris ad eandem rem pecuniam conferant…”. 2 Lo stesso personaggio, senza il soprannome Aequitas, compare tra i mag(istri) vici [qui k(alendis)] Aug(ustis) primi magisterium inier(unt) in CIL, VI 283, di eguale provenienza. Come mag(ister) ter(tium) e con il soprannome è ricordato invece in un’inedita dedica a Venere Augusta recentemente scoperta negli scavi sotto la chiesa di S. Stefano Rotondo sul Celio [vd. II,23]. 3 Le ultime cinque righe costituiscono sicuramente un’aggiunta posteriore; lo si ricava, oltre che dal testo, dalla testimonianza del Fabretti (citato in CIL) che vi ha ravvisato una mano diversa.

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Si esporrà qui di seguito qualche motivo di dubbio e di perplessità che sembra di ravvisare nell’interpretazione surriferita di questo testo, avanzando contemporaneamente qualche altra ipotesi interpretativa; come penso sia corretto, l’obiettivo principale non sarà tuttavia tanto la sostituzione di un’interpretazione ‘incerta’ con una ‘certa’, quanto la restituzione ad una problematica, che si spera fruttuosa, di un documento scarsamente studiato quantunque d’importanza non proprio trascurabile. Non sembra del tutto convincente, ad esempio, nell’interpretazione corrente, che la funzione del controllo sui pesi, verosimilmente conservati nel complesso compitale, restasse affidata ai magistri che ve li avevano collocati, anche dopo la loro uscita di carica, per ben otto anni almeno, anziché passare di volta in volta ai magistri annui, come ci si aspetterebbe4. A queste misure gli | abitanti del quartiere dovevano evidentemente far ricorso per controllare l’esattezza delle proprie o per essere garantiti in occasione di transazioni che contemplavano la pesatura di materiali preziosi5. Sembrerebbe naturale pertanto che, come esse erano poste sotto la tutela di una divinità6, così fossero materialmente affidate alla custodia di persone investite in qualche modo di un incarico ufficiale e responsabile (com’erano appunto in un quartiere i magistri in carica)7 piuttosto che di privati. Qualche disagio si prova anche di fronte all’espressione prescelta per indicare tale funzione − invigul(antes) pro vicinia appunto − per quel tanto di sproporzionato che vi si avverte una volta che la si pensi riferita ad una semplice opera di custodia esercitata da privati su una serie di pesi, sia pure da orefice. Nella seconda dedica, non si può fare a meno di rilevare inoltre la stranezza (accettando l’interpretazione Henzen-Mommsen) della mancanza di un qualsiasi richiamo al soggetto della dedica precedente, magari attraverso un pronome (anno XIX iidem, invigul(antes) …). Evidentemente, che i dedicanti dell’anno XIX siano, almeno in parte, gli stessi dell’anno XI, è stato in realtà ricavato dal fatto che le due dediche figurano sullo stesso monumento, e dalla considerazione che, altrimenti, non si saprebbe chi essi fossero.

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Per analogia, se non altro, con quanto avveniva per i pesi campione ufficiali la cui cura era affidata nella stessa epoca agli edili: E. MICHON, Pondus, in Dict. Ant. Gr. Rom., IV 1, pp. 556 sg., 559; G. GATTI, Della leggenda Exact. ad Artic. nelle iscrizioni ponderarie, in An. Ist. Corr. Arch., 53, 1881, pp. 181-196; G. GATTI, Antichi pesi inscritti del Museo Capitolino, in Bull. Comm. Arch. Roma, 12, 1884, pp. 61-75; P. GAUCKLER, in Bull. Soc. Nat. Ant. Fr., 10, 1907, pp. 307-310; K. PINK, Römische und byzantinische Gewichte in Österreichischen Sammlungen (= Sonderschr. Österr. Arch. Inst., 12, 1938), coll. 46-57, 81-82; H. BLOCH, in Bull. Comm. Arch. Roma, 66, 1938, pp. 185 sg.; C. PIETRANGELI, in Bull. Comm. Arch. Roma, 68, 1940, p. 199 nrr. 1-5. 5 Pondera auraria et argentaria: i. quorum est usus in auro et argento ponderando: Thes. Ling. Lat., II, col. 516 cfr. Auraria statera = per pesare l’oro in VARRO apud NON. 6, 41. Anche collegi potevano dotarsi di bilance, misure e pesi esatti, vd. ad es. CIL, VI 10237 cfr. p. 3502 = ILS 7870 rr. 9-10: trutinam et pondera d(e) d(ecurionum) s(ententia) posuerunt: CIL, VI 29703 (municipale), rr. 4-5: Augustales / [[p]ondera et mensuras pos[uerunt]; CIL, VI 37848 a, b =

ILS 9418, rr. 2-3: sodalibus suis mesuralia d(ono) d(edit) Ser(r)ensibus. 6 Per una particolare connessione di Ercole con i pesi e le misure si veda l’iscrizione, già ricordata dal Mommsen, CIL, Vl 336 = ILS 3451: Herculi / ponderum… e le due dediche del collegius (!) Herculis Metretariorum di Epigraphica, 1, 1939, pp. 122-126 (= AE 1940, 71, vd. anche AE 1938, 62) cfr. Mnemosyne, 10, 1941/2, pp. 157-159 (= AE 1945, 90); vd. anche J. BAYET, Les origines de l’Hercule Romain, Paris 1926, pp. 420 sg. A Roma, come si ricava dalle iscrizioni dei pesi stessi, misure ufficiali si conservavano, oltre che sul Campidoglio, nei templi dei Castori, di Ops, di Augusto, di Traiano e, forse, di Marte Ultore; precisi riferimenti nella bibliografia citata a nt. 4. 7 Sulla posizione e le funzioni dei vico magistri romani dopo la riforma augustea: L. HOMO, Rome impériale et l’urbanisme dans l’antiquité, Paris 1951, pp. 133-135 (trad. ital., Milano 1976, pp. 106 sg.); si vedano anche J. BLEICKEN, in RE, VIII A, 1958, coll. 2480 sgg. e, recentemente, R.E.A. PALMER, in Athenaeum, n.s., 52, 1974, pp. 268-288; 53, 1975, pp. 57-87.

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Ma si può osservare che non è impossibile trovare su uno stesso monumento la registrazione di dediche od offerte eseguite, a distanza di tempo, da persone diverse8 ed è anche possibile chiedersi se sia proprio vero che, scartando l’ipotesi dell’identità dei dedicanti, la seconda dedica verrebbe a mancare di soggetto. Si riesamini sotto questo profilo il valore del participio invigul(antes) per il quale esiste la possibilità, almeno teorica, sin qui non tenuta in conto, che abbia valore sostantivato. Si è già rilevato come l’espressione invigul(antes) pro vicinia non sembri la più adatta ad esprimere una funzione di controllo su dei pesi. Si può precisare ora ch’essa sembra in realtà fuori misura per esprimere un tale significato, sia dal punto di vista del verbo prescelto a sostituire il tueor della prima dedica9, sia per quanto concerne il modo in cui sarebbe indicato, o meglio non sarebbe indicato, l’oggetto su cui si concentrerebbe la sorveglianza, risultando spostato nell’iscrizione il centro d’interesse dai pondera alla vicinia10. La situazione cambia sensibilmente se si assume invigul(antes) in senso più proprio11 e se gli si dà il valore di participio sostantivato; | se si considera cioè il participio stesso equivalente a ii qui invigulant e soggetto della seconda dedica12. In tal caso i dedicanti dell’anno XIX cessano infatti di avere un rapporto necessario con quelli dell’anno XI e con i pondera13. Gli invigul(antes) vengono ad essere piuttosto un gruppo di persone che, risultando legate al quartiere dal compito della sua sorveglianza notturna, si uniscono ai magistri dell’anno XIX per contribuire, pro parte, a nuove spese connesse alla dedica primitiva. Considerando l’era vicana iniziante nel 7/6 a.C., come nella maggioranza dei casi14 la prima dedica sarebbe stata fatta nel 4/5 d.C., la seconda, quella degli invigul(antes), nel 12/13. Vale la pena di ricordare che proprio in questo giro d’anni Augusto veniva affrontando per tentativi, come apprendiamo soprattutto da Dione, il problema dell’organizzazione di un efficace servizio antincendi. Nel 7 a.C., contestualmente con la riorganizzazione dei vici alle dipendenze dei magistri e di una commissione senatoria, egli aveva stabilito che gli schiavi, che dal 22 erano stati messi al servizio degli edili per il servizio antincendi, passassero alle dipendenze dei magistri vici15. Più tardi, nel 6 d.C., egli aveva affidato il servizio in via sperimentale ad un corpo di liberti, raggruppati in sette coorti, alle dipendenze di un cavaliere16. L’esperimento, che sembrava dovesse essere di breve durata, aveva avuto invece buona riuscita; di qui la decisione dell’imperatore di dare carattere stabile all’innovazione e la nascita dei vigiles17, la cui organizzazione verosimilmente si prolungò nel tempo e si completò soltanto dopo la morte

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Si vedano, ad es., le quattro dediche diverse di CIL, VI 314 e le due, rispettivamente del 60 e del 63 d.C., di CIL, VI 396, cfr. 30753 = ILS 3671, CIL, VI 397 a, b = ILS 3672; per esempi di iscrizioni di restauro che si aggiungono alle originarie: CIL, VI 622; 692 cfr. p. 3006 = ILS 3542. 9 Per le varie accezioni di invigilo: Thes. Ling. Lat., VII, 2, 1959, coll. 212 sg. Fondamentale resta quella implicante vigilia: fere i.q. vigilem, sine somno esse (opp. dormire), che sembra francamente sproporzionata alla funzione presupposta; anche i significati derivati mantengono, almeno in parte, la tensione racchiusa nel significato primario. Per la forma invigulo: W. HERAEUS, Kleine Schriften, Heidelberg 1937, p. 141 nt. 1. 10 Ci si sarebbe aspettato in effetti un semplice ponderibus (dat.). Per il valore di vicinia: G. VITUCCI, in Diz. Epigr., IV, 1946, p. 404.

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Vd. supra, nt. 9. Sull’uso crescente del nominativo del participio presente con valore sostantivato negli autori soprattutto a partire da Seneca: M. LEUMANN − J.B. HOFMANN − A. SZANTYR, Lateinische Syntax und Stilistik, München 1965, p. 156. 13 Si noti che in realtà gli invigul(antes) occupano nella seconda dedica esattamente la stessa posizione che i magistri hanno nella prima. 14 Riepilogo della questione in G. NIEBLING, Laribus Augustis Magistri Primi. Der Beginn des Compitalkultes der Lares und des Genius Augusti, in Historia, 5, 1956, pp. 303331. 15 DIO CASS. 55, 8, 6-7. 16 DIO CASS. 55, 26, 4. 17 DIO CASS. 55, 26, 5. 12



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di Augusto. Giustamente osserva infatti il Baillie Reynolds18 che, se | i pretoriani dovettero attendere il tempo di Seiano per avere un loro campo, essendo prima sine castris19 e per hospitia dispersi20, non vi è ragione di credere che per i vigiles ci si sia originariamente comportati in modo diverso. È probabile insomma che ancora nel 12/13 d.C. la forza dei vigili non fosse concentrata in caserme, ma piuttosto distribuita nei singoli quartieri della città, presso abitazioni private, come era avvenuto per i pretoriani. Se così era, in questo primo periodo ancor fluido, avranno potuto i liberti che prestavano servizio notturno in un quartiere per ragioni d’ordine pubblico e per la protezione contro gli incendi indicarsi con l’espressione invigul(antes) pro vicinia? O non si tratterà di un altro servizio simile organizzato a livello di quartiere21? Può non essere del tutto trascurabile che gli invigul(antes) facciano la loro offerta una cum magistris. Si è visto che, tra il 7 a.C. e il 6 d.C. il servizio antincendi era stato posto sotto il controllo diretto dei magistri vici. Anche dopo il 6 d.C. è difficile credere che, in una riorganizzazione del servizio che aveva il suo fondamento nella suddivisione della città in regiones e vici, i magistri, cui competeva una generale sorveglianza sui quartieri, siano stati spogliati di ogni responsabilità in questo delicato settore. In ogni caso risulterebbe del tutto coerente l’istituzione di un rapporto tra gli addetti al servizio di polizia notturna e di custodia antincendi, cittadino o di quartiere, ed i magistri vici. Ex magistri che mantengono la cura di pondera, primo affacciarsi alla ribalta del corpo dei vigiles in via di organizzazione, testimonianza di un servizio di vigilanza di quartiere, o niente di tutto questo e altro ancora? Il problema è aperto e riguarda, come si è detto questioni non proprio trascurabili. Giudichino gli studiosi se i dubbi espressi sull’interpretazione corrente abbiano ragione di essere e se le nuove proposte abbiano qualità per risultare almeno in qualche misura persuasive.

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P.K. BAILLIE REYNOLDS, The Vigiles of Imperial Rome, London 1926, p. 25. 19 SUET. Aug., 39. 20 SUET. Tib., 37. 21 Si noti che, sia pure in occasione straordinaria com’era la

celebrazione dei ludi secolari, ancora nel 204, quando ormai il servizio dei vigiles era perfettamente organizzato, sembra si sia fatto appello anche alla cittadinanza per la prevenzione degli incendi: CIL, VI 32327 rr. 22 sgg.

NOTA COMPLEMENTARE − L’interpretazione sopra proposta, per quanto ne so, non è stata contestata, vd. ad es.: R. SABLAYROLLES, Libertinus miles, Rome 1996, pp. 32 sg.; M. TARPIN, Vici et pagi dans l’Occident romain, Rome 2002, pp. 142, 319 R 39. − Sull’altra dedica di N. Lucius Hermeros Aequitas cui si fa cenno in nt. 2 e sulla provenienza di questo complesso di epigrafi vd. infra, II,23.

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