TRA NOVALESA E CHARTRES: ADRALDO E LA RENOVATIO NOVALICENSE NELL’XI SECOLO.

August 13, 2017 | Autor: Giuliana Giai | Categoría: Medieval History, Medieval Art
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GIULIANA GIAI TRA NOVALESA E CHARTRES: ADRALDO E LA RENOVATIO NOVALICENSE NELL’XI SECOLO.

1. Adraldo: le origini e la famiglia. «Arraldus, quem Ayraldum et Adraldum vocant alii, ex monacho Vindocinensi, abbas Bremetensis in Italia, Carnotenses infulas adeptus…” 1. La vita di Adraldo è racchiusa in questa frase che ne sintetizza il percorso e che rappresenta il punto di partenza della sua storia: una storia che si dipana tra i complessi equilibri di potere dell’aristocrazia laica e religiosa del suo tempo, attraversando Francia, Italia, Svizzera e unendo le tre nazioni nello spirito della riforma cluniacense. Uno dei pochissimi documenti che possono, allo stato attuale degli studi, gettare luce sulla terra d’origine e sulla provenienza familiare di Adraldo è l’atto di donazione di un’abitazione all’abbazia della Trinità di Vendôme da parte di Eudes di Chateaudun, canonico di Chartres, donazione avvenuta in data imprecisata tra il 1077 e il 1084. L’atto è firmato dai personaggi più ragguardevoli del tempo e, tra gli altri, da un certo Fulcherio nipote del vescovo Adraldo (Fulcherius nepos Adraldi episcopi): si tratta naturalmente del nostro Adraldo che, come detto innanzi, è stato appunto vescovo di Chartres2. Il trascrittore del cartulario della Trinité di Vendôme trae la conclusione, sulla base delle carte 255 e 315, che il vescovo di Chartres Adraldo († 1075) sia lo zio di un certo Fulcherius, identificando quest’ultimo con il canonico Fulcherio, figlio d’Ingelbaud il Bretone e di Domitilla; ma la prudenza si impone, poiché vi sono stati parecchi canonici di Chartres con questo nome3. Inoltre non è assolutamente certo che Fulcherius nepos episcopi menzionato nella carta 315 sia stato canonico: allo stato delle cose questo atto non lo indica in modo esplicito e occorre sottolineare che i personaggi i cui nomi figurano immediatamente prima e dopo quello di Fulcherio sono dei laici. Dunque non è del tutto certo che il Fulcherius in questione sia il canonico Fulcherio, figlio d’Ingelbaud il Bretone, poiché lo stato ecclesiastico del nostro Fulcherius non è indicato nel documento in questione, cosa che sarebbe del tutto ovvia se egli fosse un canonico. Si tratterebbe perciò di un altro Fulcherius, che gli studi di onomastica medievale condotti dal prof. Alain-Yves Bourgès portano a identificare con il figlio dell’allora visconte di Nogent-le-Roi4, una località del dipartimento dell’Eure-et-Loir, situata a sud-ovest di Parigi (a circa 70 km. di distanza), non lontana da Chartres (25 km.) e da Versailles (50 km.). Il lignaggio dei visconti di Nogent annovera almeno due dei suoi membri col nome di Adraldo. Il primo sottoscrive anteriormente al 1028 un atto di Odolrico, vescovo di Orléans (p. 106) e all’epoca signore di Nogent, in base al quale a Coulombs i canonici vengono sostituiti dai monaci; si ritrova la firma di questo Adraldo nella carta di conferma regia donata nel 1028 a favore dell’abbazia di Coulombs5, dove egli è esplicitamente qualificato come “visconte del castello di Nogent” (S. Aderaldi vicecomitis de Novigento castello). Il secondo visconte Adraldo è menzionato in un atto del cartario di Saint-Père, datato 11076 dove Gauzlino, Goffredo e Milone de Lèves lo designano come “loro cognato” (Arroldus vicecomes, cognatus 1

«Arraldo, che altri chiamano Ayraldo e Adraldo, prima monaco di Vendome, abate di Breme in Italia, vescovo di Chartres…»: L. C. BOLLEA, Cartario della Abazia di Breme, Torino 1933, pp.118-119, doc. LXXXVIII. 2 Carta CCCXV del Cartulaire de l’abbaye cardinale de la Trinité de Vendôme, ed. C. METAIS, vol. I, Parigi 1893 (d’ora in poi : Cartulaire de l’abbaye cardinale). 3 Ringrazio per le preziose e fondamentali informazioni sulla famiglia d’origine di Adraldo il prof. André-Yves Bourgès dell’ Università di Rennes 2, che ha ricostruito l’albero genealogico dei signori di Nogent, così come appare in queste pagine. 4 Novi Gentum Castrum nel 1028, Nogentum Erembert nel 1040, Nogent-le-Roi dal 1282. 5 C.F. Toustain, R.P. Tassin, J.B. Baussonnet, Nouveau Traité de Diplomatique, Parigi, 1762, vol. V, pag. 772. 6 Carta XVII del Cartulaire de l’abbaye de Saint-Père de Chartres, ed. M. Guérard, vol. II, Parigi 1840.

noster); ma la polisemia del termine non consente di determinare con precisione come si sia stabilita questa parentela. Un altro atto del medesimo cartulario (p. 591), datato negli anni 11011129, attribuisce ad Adraldo il titolo di “visconte di Nogent” (Arraldo, vicecomite Novigenti). Tenuto conto che più di tre quarti di secolo separano i due visconti di nome Adraldo, occorre supporre l’esistenza di una generazione intermedia. Gli studi di prosopografia7 feudale suggeriscono l’ipotesi di una trasmissione del nome Adraldo dal nonno al nipote, mentre nella generazione intermedia questo nome avrebbe potuto essere dato a un cadetto, in questo caso il futuro vescovo di Chartres. Di conseguenza, l’ipotesi di ricostruzione del lignaggio è la seguente: 1. Adraldo, visconte di Nogent (prima del 1028 e nel 1028), dal quale (almeno) 2 figli: a. N. (che segue) b. Adraldo, monaco di Vendôme, abate di Breme, poi vescovo di Chartres 2. N., visconte di Nogent, dal quale (almeno) 2 figli: a. Adraldo (che segue) b. Foucher (nipote di Adraldo) 3. Adraldo, visconte di Nogent (1107 e inizio del XII secolo) Adraldo possiede altresì dei beni ereditari a Danzé8 (tra cui la metà di una chiesa con l’altare principale), il che accredita ulteriormente la tesi dell’origine periparigina della sua famiglia9. Nel 1032 a Vendôme viene iniziata la costruzione dell’abbazia benedettina della Trinità ad opera di Geoffroy Martel, conte di Vendôme (futuro conte d’Anjou, della Touraine e del Maine) 10 e figlio di Foulques Nerra, conte di Anjou. Le cronache raccontano che Geoffroy Martel e la moglie Agnese di Borgogna una notte videro cadere tre stelle in una fontana nel parco del loro castello e il vescovo di Chartres interpretò l’avvenimento come un segno della presenza tangibile della Santissima Trinità. Nel luogo fu dunque fondata un’abbazia benedettina (consacrata il 31 maggio 1040, durante il regno di Enrico I, dopo parecchi anni di lavori) che fu dotata di possedimenti significativi nel Vendômois11 (tra cui la chiesa di Ferrière, costruita in onore di S. Nicola, e le sue dipendenze), nel Maine e nella Saintonge12 e che divenne ben presto abbazia cardinalizia: l’abate ebbe il titolo di cardinale e rilevò direttamente dal Papato dei privilegi condivisi solamente con l’abate di Cluny13. Il conte Geoffroy Martel, secondo una nota leggenda, fece all’abbazia della Trinità l’importantissimo dono della Santa Lacrima: si trattava di una lacrima versata da Gesù sulla tomba di Lazzaro e che era stata racchiusa in un contenitore rotondo di cristallo. Vincitore dei Saraceni, Geoffroy avrebbe ottenuto la preziosa reliquia dall’imperatore di Costantinopoli e ne avrebbe quindi fatto dono all’abbazia di Vendôme. Leggendario o veritiero il racconto, sta di fatto che la presenza della Santa Lacrima fece dell’abbazia, nei secoli a venire, un importante centro di pellegrinaggio. 7

Gli studi di onomastica e di prosopografia si basano sostanzialmente sulla ricorrenza, all’interno dei nuclei familiari nobiliari, dei nomi propri e delle loro modalità di trasmissione. Per quanto riguarda il nome Adraldus sono state prese in considerazione anche tutte le sue varianti (Arraldus, Arraudus, Adroldus, Arroldus, Arrodus, Airaldus, Airaudus etc. e, per contaminazione, Haraldus, Haroldus etc.). 8 Carta CCLV del Cartulaire de l’abbaye cardinale, p. 403 (de ecclesia, quae Donziacus dicitur…). 9 Per puro caso la carta 123 del cartulario della Trinité ci ha conservato il nome di colui che, nella medesima epoca, era proprietario dell’altra metà della chiesa di Danzé: si tratta di un cavaliere di nome Joscelin Bodel, la cui famiglia è imparentata con altri importanti lignaggi del tempo (Beaugency, Foucher-Girard). 10 Per una storia dettagliata del Vendômois nel medioevo si veda D. BARTHÉLEMY, La société dans le comté de Vendôme de l’an mil au XIV siècle, Parigi, 1993. 11 Vedere Charte de fondation de la Trinité, in Cartulaire de la Trinité cardinale, T. I.,n. 35, p.55. 12 Tra i firmatari dell’importante documento figurano, oltre a Geoffroy Martel (che si firma già conte di Anjou, anche se suo padre Foulques, partito per Gerusalemme, non è ancora deceduto) e la moglie Agnès, anche Renaud (probabilmente primo abate di Vendôme), e Ingelbaud, di cui abbiamo parlato. 13 Papa Alessandro II concesse all’abate di Vendôme di portare il titolo e le insegne di cardinale di S. Prisca sull’Aventino, per il fatto di essere, appunto, abate della Trinità; il privilegio fu rinnovato anche da altri pontefici in epoca successiva.

Fu quasi certamente qui che Adraldo seguì la vocazione e divenne monaco. In effetti nel Cartario di Breme viene definito chiaramente come “ex monacho Vindocinensi”; viene in seguito citato quale testimone di atti pubblici sin dal 1033 nel Cartario dell’abbazia della Trinità.14 E fu certo in questo santo luogo che Adraldo iniziò a respirare quell’atmosfera imbevuta di erudizione e di amore per il sapere che fu un tratto distintivo di tutta la sua vita, elogiato anche da Pier Damiani. Appare quanto mai singolare che, tra le cospicue donazioni che Geoffroy Martel e la moglie fecero nei confronti dell’abbazia di Vendôme, si registrino la decima parte delle pelli dei cervi cacciati dal conte nell’Oleron, nella Saintonge, nel Vendômois, nell’Anjou e oltre 800 pelli di coniglio che sarebbero servite per confezionare i bei manoscritti che furono il vanto della Trinité15. Di più, la contessa Agnese nel 1049 acquistò per la costituenda biblioteca dell’abbazia l’omeliario di Haimon d’Halberstad per un prezzo considerevole: 200 pecore, pelli di martora, un moggio di frumento, un moggio di segale e un terzo di miglio16. La biblioteca di Vendôme possedeva ancora, a fine Ottocento, il pregevolissimo volume, rilegato in pelle bianca e composto da fogli in pergamena. Queste donazioni danno il segno di quanto la vita culturale di quei monaci, tra i quali vi fu Adraldo, fosse stata vivace e produttiva, come attesta anche l’autorevole presenza in abbazia, agli inizi degli anni ’70 del secolo XI, di Johannes Britto, vir litteratus apud Sanctonicos non ignotus, uno dei padri dell’erudizione della Saintonge. 2. L’esperienza cluniacense nelle Alpi occidentali. Per qualche tempo si perdono le tracce di Adraldo, finchè non lo si trova citato nel 1048 come monaco cluniacense. In particolare è presente a Souvigny nei momenti precedenti la morte dell’abate Odilone di Mercoeur, di cui è stato discepolo17. Ne parla lo stesso Pier Damiani nella Vita Odilonis, composta durante il suo viaggio in Gallia nel 1063, viaggio compiuto su richiesta del nuovo abate di Cluny, Ugo di Semur, e in qualità di rappresentante ufficiale del pontefice Alessandro II. E’ proprio il successore di Odilone, Ugo di Semur, a richiedere a Pier Damiani la riscrittura della biografia di Odilone, una decina di anni dopo la monumentale opera del monaco Jotsald. Rispetto a Jotsald Pier Damiani aggiunge la testimonianza diretta di Adraldo, che era stato suo compagno in un difficile viaggio verso Cluny. Pier Damiani riferisce che Adraldo era presente a Souvigny nei momenti che precedettero la morte di Odilone: sul finire del 1048 Odilone, che ormai è anziano (ha 87 anni) e malato, appare alquanto sofferente per un forte dolore al ventre e, a tratti, semincosciente; è stato disteso sul cilicio e sul letto di cenere e, immerso nella preghiera, deve fronteggiare ripetuti attacchi del demonio18 tanto da non poter nemmeno pronunciarsi sul nome del suo successore, come era consuetudine fare, rimettendo la questione alla volontà di Dio e 14

Il primo documento in cui compare Adraldo è del 1033 quando Arraudus monachus sottoscrive con altri testimoni l’atto di acquisto di un mulino di Erfredo Rufo da parte di Geoffroy Martel e della moglie Agnese (de molendino sito prope ecclesia Sancti Martini). Landricus de Bugentiaco e Ingelbauldus Brito, titolari del fondo sul quale si trova il mulino, consentono all’acquisto pro animarum salute et pro amore Goffridi comitis et Agnetis comitissae (carta X dal Cartulaire de l’abbaye cardinale). 15 «1040-1060: (Gauffredus) dedit namque monachis inibi Domino servientibus unoquoque anno quingentos cunicolos apud Olerum, trecentos vero apud insulam quae vocatur Hero, decimam quoque de cervorum pellibus, qui apud Olerum canibus venantur, et non solum inibi sed etiam de omni Sanctonico, nec non et de Andecavensi, et Vindocinensi pago», in Cartulaire de l’abbaye cardinale, carta XIX. 16 “1049 - De omeliari Haimonis et terra de pinibus: Pater karissime, scire vos volumus quod codicem, de quo audivistis, precio magno a Martino, qui est modo presul, comitissa emit. Una vice, libri causa, c. oves illi dedit, altera vice, causa ipsius libri, unum modium frumenti et alterum sigalis et tercium de milio; iterum, hac eodem causa, c. oves; altera vice quasdam pelles martirinas”: carta XCIII dal Cartulaire de l’abbaye cardinale. 17 U. LONGO, Tra Odilone e Ugo. Note su un passaggio della storia cluniacense, in Forme di potere nel pieno medioevo (secc. VIII-XII). Dinamiche e rappresentazioni, Bologna 2006, pp. 107-131. 18 «Iam in agonis esset angustia constitutus, diabolum astare conspexit, eumque per nomen tremendi Judicis, ut abscederet, terribiliter increpavit», in PIER DAMIANI, Vita Sancti Odilonis Cluniacensis Abbatis, PL 144, col. 943 B.

all’elezione dei suoi confratelli.19 Odilone spirerà dopo aver preso l’eucarestia, finalmente in pace, nella notte tra il 31 dicembre 1048 e il primo gennaio 1049. Ma l’agonia del santo abate è così colma di pathos che a un certo punto, timoroso di non aver fatto abbastanza per meritare il Paradiso, chiede ad Adraldo di calcolare su un abaco il numero di messe da lui celebrate nel corso del suo lungo abbaziato, ben 56 anni; questo particolare ha attirato l’attenzione di Pier Damiani, la cui fine sensibilità non era di certo estranea agli angosciati computi delle pratiche penitenziali. Il ruolo di Adraldo nell’abbazia cluniacense diviene ancora più definito dopo l’elezione del nuovo abate, Ugo di Semur; appartenente a una nobile famiglia dell’aristocrazia borgognona, egli viene eletto abate giovanissimo, a soli 24 anni, il 22 febbraio 1049. Nel 1047 o 1048 lo stesso Odilone lo aveva scelto come priore maggiore di Cluny, conferendogli incarichi delicati e importanti, dal momento che le sue innumerevoli doti erano precocemente manifeste. Quasi due mesi il seggio abbaziale di Cluny rimane vacante dopo la dipartita di Odilone, facendo intuire che la sua successione forse non è stata decisa concordemente, ma è stata oggetto di lunghe discussioni e trattative, gestite da un numero ristretto di monaci seniores. Ugo di Semur non fa parte di questo gruppo che è coordinato dal vecchio e cieco priore claustrale Adelmanno, al quale spetta l’ultima parola, ed è proprio lui a pronunciarsi sull’elezione del giovane abate Ugo. Con Ugo di Semur Cluny vivrà uno dei momenti più alti della sua storia e sarà il punto di riferimento più significativo dell’Occidente cristiano: il suo lungo abbaziato (morirà nel 1109 dopo aver retto per 60 anni l’abbazia) vede protagonista anche Adraldo che diviene fidato consigliere di Ugo e partecipe della vita religiosa nonché della riforma che proprio allora muove i suoi passi. Sono gli anni dei viaggi, tra cui quello con Pier Damiani in Gallia, e delle amicizie fraterne con Pier Damiani, Desiderio (abate di Montecassino e futuro papa col nome di Vittore III), Ildebrando di Soana (che sarà papa col nome di Gregorio VII), Umberto di Silvacandida, Anselmo da Baggio (il futuro papa Alessandro II). Sono anni in cui vengono ripetutamente convocati sinodi per operare attivamente alla riforma dei costumi e per combattere la simonia e il concubinato del clero. E’interessante notare che gli atti pubblici precedentemente citati comprovano un legame di conoscenza diretta tra Adraldo, vicecomes di Nogent (e padre del nostro Adraldo), e Fulberto vescovo di Chartres20, in quanto sottoscrivono insieme almeno un documento nel 1028. Come già evidenziato, Chartres si trova ad appena 25 km. circa da Nogent-le Roi ed è capoluogo del dipartimento. E’ altresì noto che Fulberto, nominato vescovo di Chartres dal re Roberto il Pio, fu una delle più grandi figure del mondo culturale del tempo. Intrattenne corrispondenza e svolse il ruolo di consigliere con il re Roberto, con Eudes conte di Chartres, con Guglielmo V duca d’Aquitania e altri grandi esponenti della nobiltà francese. Fulberto fu in eccellente relazione anche con due importanti abati della sua epoca: Abbone di Fleury e Odilone di Cluny; a Odilone chiese spesso consiglio in momenti critici e giunse a definirlo archangelum nostrum, definendosi umilmente suo servulus21. Fulberto si recò spesso in visita al monastero di Cluny all’epoca dell’abbaziato di Odilone, ricevendone preziose indicazioni riguardo all’amministrazione episcopale. Entrambi furono impegnati nella riforma, tanto che Fulberto si contrappose al re in persona a causa di elezioni irregolari di alcuni vescovi, nominati per simonia. In un tale contesto di reciproche conoscenze è possibile che il figlio cadetto del visconte di Nogent22, il futuro abate Adraldo di Breme, possa essere stato indirizzato alla vita monastica, prima alla Trinité, poi a Cluny, presso quell’abate Odilone con cui Fulberto intratteneva ottimi rapporti. La grande versatilità culturale di Adraldo fa supporre, peraltro, che avesse compiuto la sua istruzione in modo alquanto

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“Consultus de successore: Hoc, inquit, in Dei dispositione et electione fratrum committo», in JOTSALDO AUCTORE, Odilo Cluniacensis Abbas, PL 142, col. 911 C-D. 20 Cfr. P. RICHE’, Fulbert est nommé évêque de Chartres, in Archives de France , 2006 (web). 21 P. JARDET, Saint Odilon Abbé de Cluny. Sa vie, son temps, ses oeuvres, Lione, 1868, pp. 436-460. 22 Appare quanto mai significativo che la vita di Adraldo si dipani in un momento storico in cui sul trono di Francia si succedono ben tre sovrani capetingi (Roberto il Pio, Enrico I, Filippo I) e che la sua famiglia intrattenga con tutti e tre i re dei rappporti molto stretti (così evidenziano gli atti pubblici dell’epoca), così come con l’alta aristocrazia franca, di cui i visconti di Nogent sono parte.

approfondito, presumibilmente proprio a Chartres, vera capitale culturale nel Medioevo, oltre che alla Trinité. E’ anche il periodo in cui Adraldo, da Cluny, viene inviato come priore nel monastero di Payerne (Peterlingen), nella diocesi di Losanna (nella Svizzera occidentale), fondato già nel X secolo dalla regina Adelaide, sposa dell’imperatore Enrico II, e poi riedificato proprio da Odilone di Cluny, il quale amava particolarmente trascorrere lunghi periodi presso questo appartato monastero23. La data esatta in cui Adraldo viene chiamato a ricoprire l’importante incarico non è nota, ma di certo avviene prima del 1060 ovvero prima di essere preposto alla direzione dell’abbazia imperiale di Breme24. Sull’operato di Adraldo a Payerne non è, purtroppo, rimasta altra traccia se non la certezza documentaria che resse il priorato in modo eccellente sotto ogni riguardo, in particolare proprio sotto l’aspetto della dottrina e della cultura. Bonaventura Egger (che ci fornisce le informazioni essenziali su Adraldo priore di Payerne) 25 sostiene, senza tema di esagerazione, che gli uomini più dotti vissuti nei monasteri della Svizzera occidentale dal X al XII secolo vestivano tutti l’abito cluniacense, come i priori Adraldo e, non molto tempo dopo, Ulrico. Com’è noto, l’attività letteraria compare sempre sullo sfondo dei monasteri cluniacensi; la disposizione secondo cui ciascuna libreria monastica deve contenere almeno tanti volumi quanti sono i fratelli che sanno leggere ci dà un’indicazione significativa sul livello culturale, tanto più che tutti i fratelli sono in grado di leggere, eccezion fatta per i novizi più giovani. D’altra parte la vita del monaco cluniacense è, di per se stessa, la testimonianza migliore del rinnovamento della condotta morale del clero. E così è anche la vita di Adraldo, di cui parla in modo elogiativo lo stesso Pier Damiani, definendolo, tra le altre cose, vir religiosus et prudens, uomo di spiccata intelligenza e di pia devozione. Le fonti lo ricordano altresì come erudito nelle lettere, molto esperto nelle arti liberali e mirabilmente eloquente. Abbiamo anche qualche notizia sul suo carattere: se di primo acchito può sembrare rigido e scostante, approfondendo la conoscenza si rivela essere un amico gentile e premuroso. Anche nei confronti dei servi e dei famigli si comporta in modo alquanto munifico, provvedendo loro con pellicce non di capra o di pecora, bensì di volpe, in modo differente dalle severe consuetudini dei suoi compatrioti gallici, quasi fosse “italico” di origine.26 3. Gli anni della maturità: il periodo novalicense. Successivamente all’esperienza di priore di Payerne, a partire presumibilmente dal 1060, Adraldo è abate di Breme e, quindi, di Novalesa, i cui monaci, com’è noto, si trasferiscono a Breme in seguito alle incursioni saracene del X secolo27. Nello stesso anno (1060) Adraldo è presente a Roma al Concilio Laterano che depone l’antipapa Benedetto X a favore di papa Nicola II e il 16 aprile sottoscrive un documento a favore del diritto delle decime dell’abbazia di Leno, nel Bresciano; sottoscrivono, tra gli altri, papa Nicola II, Ildebrando arcidiacono, Umberto di Silvacandida, Desiderio cardinale e abate di Montecassino, Pier Damiani.28 Nel 1063 proprio Pier Damiani si reca in Gallia come Legato Pontificio su iniziativa dell’abate Ugo di Cluny e dotato di ampi poteri dal papa Alessandro II: egli è infatti presentato dal papa ai vescovi della regione come “nimirum et noster est oculus et apostolicae sedis immobile firmamentum”, fornito dunque di un’autorità e un’autonomia straordinarie esplicitamente affermate dalla Santa Sede romana. In Francia è necessaria un’ampia azione moralizzatrice e vi sono numerose controversie tra vescovi e abati sul possesso e sulla gestione dei beni immobili dei monasteri, controversie che, in qualche caso, riguardano anche Cluny, di cui si cerca di ledere i privilegi. Pier Damiani parte alla volta della Gallia con una piccola comitiva di cui fa parte anche Adraldo di Breme, il quale, oltre ad essere il 23

JARDET, Saint Odilon Abbé de Cluny, pp. 264-270. B. EGGER, Geschichte der Cluniazenser Kloester in der Westschweiz bis zum Auftreten der Cisterziener, Friburgo 1907, p. 186 e p. 56 dell’ Appendice. 25 EGGER, Geschichte der Cluniazenser Kloester, p. 3-4 dell’ Appendice. 26 Petri Damiani Iter Gallicum 11: PL 145, 872 D. 27 Cfr. A. A. SETTIA, Gli enigmi di una presenza saracena, « Bollettino Storico Vercellese», n. 32, Vercelli 1989, pp. 129-133. 28 BOLLEA, Cartario della Abazia di Breme, doc. 77, p. 194. 24

prezioso consigliere dell’abate Ugo, diventa anche primo consigliere di Pier Damiani, tanto che su ogni cosa da farsi viene richiesto di esprimere il suo parere e la sua approvazione.29 Il viaggio alla volta di Cluny è lungo, faticoso e denso di insidie:“Post aestivos sudores, post maximos et multos labores, post multa et diversa pericula, post immania montium et Alpium praecipitia, ad exspectantem nos venimus Cluniacum”, riporta l’anonimo cronista che descrive l’Iter Gallicum. Qui l’abate Ugo e i monaci accolgono solennemente il gruppo di viaggiatori e poco tempo dopo viene convocato un concilio straordinario a Chalon-sur-Saône per ribadire i diritti di Cluny (che dipende esclusivamente dalla S. Sede) ai quali si oppone Drogone, vescovo di Maçon, e per giudicare i reati di simonia di cui si sono resi responsabili l’abate di Soissons e il vescovo di Orléans. Nel concilio viene anche risolta a favore dei monaci di La Corbie una controversia tra il monastero di La Corbie e il vescovo di Amiens. Il viaggio di ritorno in Italia avverrà passando da Besançon.30 Sempre nel 1063 (il 6 settembre), presumibilmente nel corso dell’Iter Gallicum, troviamo Adraldo a Marcigny-sur-Loire per la risoluzione di un’altra complessa questione processuale contro Bernardo di Chavroches che negava al priorato femminile cluniacense di Marcigny il possesso di alcune proprietà immobiliari. L’atto del 6 settembre 1063 testimonia un accordo raggiunto con difficoltà dinanzi al tribunale ecclesiastico, presieduto da Pier Damiani, da Ugo di Cluny e da Adraldo di Breme. In quell’occasione il priore di Marcigny, Duranno, propone a Bernardo di Chavroches, un miles che da tempo contrastava pesantemente il possesso di diversi beni del cenobio femminile, una transazione di 15 lire affinché egli abbandoni ogni sua rivendicazione. Il cavaliere accetta l’offerta e il cartario di Marcigny-su-Loire precisa che la cerimonia di abbandono di ogni motivo di lite avviene davanti all’altare dedicato alla Santissima Trinità, sul quale il miles Bernardo, impugnando la croce, pone la carta contenente la memoria dell’atto: 6 settembre 1063 (Ut plurimum firmum haberetur, crucem dominicam in ipsa relictione manu tenuit et super maius altare, quod in honore Sanctae Trinitatis consecratum est, manu propria hanc notizia confirmavit).31 Un paio di anni dopo, il medesimo Bernardo decide di diventare monaco a Cluny e in quell’occasione consegna nelle mani del priore di Marcigny, Duranno, la pergamena di donazione di un terzo della foresta di Colonge. Evidentemente nel lungo e periglioso viaggio in Gallia Pier Damiani ha modo di apprezzare la personalità e le innumerevoli doti di Adraldo, poiché al termine del viaggio, nel 1064, il santo invia all’indirizzo di Adelaide, Subalpinorum ducissam la lettera Contra clericos intemperantes32; qui, oltre alle esortazioni ad Adelaide a combattere nelle sue terre la simonia, il concubinato degli ecclesiastici, gli eretici e i cattivi sacerdoti, in chiusura Pier Damiani scrive: “Domnus autem Adraldus, Bremetensis rector coenobii, vir videlicet religiosus et prudens, ex me per te officiosissime salutetur. Qui si vult, ut sibi quoque aliquid scribam, scribendo praecipiat” 33(“Sia da me salutato attraverso te dominus Adraldo, rettore del cenobio di Breme, uomo pio e prudente. Che se vuole che io scriva qualcosa per lui, [ditegli che] me lo comandi scrivendomi”): una non comune attestazione di stima e di amicizia che illumina anche sulla pluralità di rapporti e di relazioni intessuti da alcuni protagonisti della storia della Valle di Susa in un ambito più vasto e di più ampio respiro di quanto forse finora si potesse supporre. In quegli stessi anni Adraldo compare, al fianco della contessa Adelaide, nella risoluzione di una vicenda di monete viennensi falsificate da parte di falsari di Aiguebelle (Aquabella), dove il suo contributo appare determinante per la buona riuscita della controversia. 29

Petri Damiani Iter Gallicum, 11. PL 145, 872 D-873 A. G. LUNARDI, I costruttori dell’Abbazia di Novalesa, Novalesa, 2003, pp. 42-51. 31 G. ANDENNA, Sanctimoniales Cluniacenses: studi sui monasteri femminili di Cluny e sulla loro legislazione in Lombardia (XI-XV secolo), Münster, 2004 pp. 37-38. 32 Die Briefe des Petrus Damiani, ed. K. REINDEL, Muenchen, 1988 (MGH, Die Briefe der Deutschen Kaiserzeit, IV), ep.114, pp. 295306. La lettera fu indirizzata da Pier Damiani anche a Cuniberto, vescovo di Torino, incitandolo alla lotta contro l’immoralità del clero; forse preoccupato della tolleranza del vescovo, Pier Damiani contestualmente fece appello anche all’autorità della contessa Adelaide. 33 Die Briefe des Petrus Damiani, ep. 114, pp. 295-306. 30

Poco tempo dopo, nel 1066, lo troviamo presiedere il Capitolo dei monaci di S. Michele della Chiusa, nel quale viene eletto abate il venerabile Benedetto34. Per lungo tempo Cuniberto, vescovo di Torino, rifiutò di riconoscere l’elezione dell’abate Benedetto II, sostenendo che, trovandosi l’abbazia nella diocesi torinese, soltanto il vescovo avesse il potere di nominare l’abate; inoltre contestò il fatto che l’elezione fosse avvenuta senza la sua partecipazione35. Il nuovo abate Benedetto era molto legato all’arcivescovo riformatore Ildebrando e, fallito il tentativo di risolvere la controversia in sede torinese, si recò direttamente a Roma per investire della questione la Curia pontificia. Qui fu raggiunto da Cuniberto, che difese le sue ragioni davanti al collegio dei cardinali, a Ildebrando e allo stesso pontefice Alessandro II. Il giudizio pontificio fu favorevole a Benedetto e Cuniberto dovette accettarne l’elezione; non per questo, tuttavia, rinunciò a far valere i diritti vescovili sull’abbazia, assoggettandola a onerose esazioni. Il contrasto tra Benedetto e Cuniberto si riaccese. Divenuto papa, Ildebrando cercò di risolvere la controversia e nel 1074 convocò entrambi i contendenti a Roma per il 30 novembre, ma Cuniberto non si presentò. Non si presentò nemmeno nel 1075, convocato una seconda volta; perciò papa Gregorio VII lo sospese dalla carica, ma la vicenda continuò ancora per qualche tempo. Cuniberto morirà poi nel 1081. Gli anni ’60 del secolo XI coincidono quindi con l’abbaziato di Adraldo a Novalesa. Sono anni di rinascita per il monastero novalicense, dal momento che, finalmente, la minaccia saracena è stata allontanata e in tutta la Valle di Susa si procede alla ricostruzione e al restauro di quanto era stato distrutto durante le scorrerie degli infedeli. I monaci benedettini alla fine del X secolo possono ritornare alla Novalesa, che rinasce come priorato dipendente da Breme 36. Nei decenni successivi, soprattutto su iniziativa di Adraldo, inizia una campagna di lavori grandiosa per riportare l’abbazia, i cui fabbricati sono pesantemente danneggiati, agli antichi fasti e per riaffermarne la superiorità rispetto alle altre realtà concorrenziali sorte o sviluppatesi nel frattempo nella zona (S. Michele della Chiusa, S. Giusto di Susa, la prevostura di Oulx)37. Il ritorno dei monaci a Novalesa avviene infatti in un contesto socio-politico che vede l’affermazione sempre più significativa dei marchesi Arduinici (che hanno liberato la Valle dalla minaccia dei “pagani”) e del consolidamento del monastero di S. Giusto da essi fondato (1029) nella vicina Susa. Non sono anni facili per l’abbazia novalicense poiché si rende necessario recuperare quelle potenzialità egemoniche che si sono interrotte agli inizi del X secolo con la fuga prima a Torino e poi a Breme; si tratta altresì di gestire un rapporto conflittuale con gli Arduinici, detentori di un’articolata e cospicua proprietà patrimoniale38. Occorre riaffermare il radicamento dell’abbazia nella zona con ogni mezzo possibile, e la ricostruzione degli edifici caduti in rovina non è che una delle modalità, insieme con l’operosa vita culturale del monastero e l’ospitalità, data l’area di strada su cui l’abbazia insiste e che le conferisce ricchezza e prestigio. Una delle espressioni, tuttora visibile, della vivace e variegata attività culturale e artistica di quel periodo è il ciclo affrescato delle storie di S. Eldrado e di S. Nicola nella cappella di S. Eldrado, nel parco che circonda l’abbazia di Novalesa. Qui Adraldo è ritratto nell’abside della cappella, in veste di committente, ai piedi di S. Eldrado; lo testimonia l’iscrizione dipinta a fianco della sua figura: l’iscrizione non è del tutto leggibile, ma è comprensibile la scritta “ADRA[LD]US BREME/[T]ENS…FILIUS…R/…CO/…PRECATUR”, che consente di definire in modo abbastanza preciso anche la collocazione cronologica degli affreschi all’epoca del suo abbaziato, tra il 1060 e il 1066-1068. L’abate è raffigurato con la barba bianca, 34

BOLLEA, Cartario della abazia di Breme, Torino, 1933, p. 109, doc. LXXXII: “[…] praesente Airaldo Bremetensi abbate, viro religionis ac sapientiae titulo id temporis famosissimo…” e ancora “ In monasterio sancti Michaelis de Clusa, posito ad Alpium fauces, defuncto abbate, cuius nomen reticetur, et adhuc insepulto, ne Taurinensis episcopus successorem pro libito intruderet, praesente Airaldo Bremetensi abbate, viro religiosissimo, de successore secundum regulam eligendo actum est”. Siccome le cronache indicano la data di morte di Benedetto nel 1091, dopo 25 anni di carica abbaziale, il documento parrebbe risalire, secondo Bollea, al 1066. 35 G. SERGI, L’aristocrazia della preghiera: politica e scelte religiose nel medioevo italiano, Roma, 1994, p. 184. 36 G. TABACCO, Dalla Novalesa a S. Michele della Chiusa, in Spiritualità e cultura nel medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli, 1993, pp. 11-74. 37 C. SEGRE MONTEL, Affreschi medievali alla Novalesa e in Valle di Susa. Testimonianze di pittura murale tra VIII e XII secolo, in La Novalesa. Ricerche. Fonti documentarie. Restauri, atti del convegno-dibattito (Novalesa, 10-12 luglio 1981), Susa, 1988, pp.61-112. 38 Si veda L. PATRIA, Prima del Laietto: chiese, oratori e cappelle cimiteriali su terra monastica di S. Giusto di Susa (secc. XI-XV), in San Bernardo a Laietto. Chiese, cappelle e oratori frescati nella Valle di Susa tardogotica, Susa, 1992, pp. 9-59.

forse indice di un’età già avanzata. Ai piedi di S. Nicola vi è un altro personaggio con l’abito monacale (in posizione, però, gerarchicamente inferiore ad Adraldo), ma mancano indicazioni sufficienti a rivelarne l’identità (forse è il pittore che, secondo una consuetudine allora in uso, si è autoritratto o forse un monaco di rilievo dell’abbazia stessa). Non è compito di questo studio entrare nel merito dell’aspetto artistico degli affreschi che sono stati ampiamente studiati e commentati dagli storici dell’arte; tuttavia pare interessante portare all’attenzione un elemento ulteriore che forse potrebbe essere utile per l’analisi, e che deriva dal fatto che Adraldo proviene dal Vendômois ed è fortemente collegato con le famiglie dei conti d’Anjou e di Vendôme. Proprio a quel Foulques Nerra menzionato precedentemente (padre di Geoffroy Martel alla cui famiglia appare legata la famiglia di Adraldo), cessato il pericolo delle devastazioni normanne, si deve la fondazione di tre delle più importanti abbazie dell’Angers: Beaulieu (fondata sulle rive della Loira nel 1007), Ronceray (eretta a Angers nel 1028 sulle rovine di Notre-Dame-de-la Charité) e Saint Nicolas d’Angers (fondata tra il 1020 e il 1022 nei pressi di Angers, sulla riva destra della Maine). Ovviamente tale realtà deve essere ben conosciuta da Adraldo che proviene da una terra dove il culto di S. Nicola è radicato da tempo39 nella devozione delle famiglie aristocratiche di quei luoghi. Il cartario dell’abbazia benedettina di Saint-Nicolas è andato in buona parte distrutto all’epoca della rivoluzione francese, ma dalle carte superstiti è possibile ricostruire le singolari vicende della sua fondazione. Foulques Nerra, conte di Anjou, spregiudicato condottiero e spietato combattente, ha molti peccati da farsi perdonare (non ultimo quello di aver condannato la prima moglie Elisabetta a essere bruciata viva col pretesto di un adulterio che ella non ha commesso) e dunque si reca ripetutamente in pellegrinaggio a Gerusalemme; durante uno di tali viaggi penitenziali (avvenuto tra il 1008 e il 1010) la nave su cui si trova il conte è colpita da una violenta tempesta che mette a rischio la vita di tutti i naviganti40. La nave sta veleggiando lungo le coste della Licia, in prossimità di Mira, luogo principe del culto di S. Nicola, che è stato vescovo della città. Il conte Foulques, in preghiera, affida la sua vita a S. Nicola con un voto: se riuscirà a tornare in patria incolume si impegnerà ad erigere un santuario al Santo presso Angers, e di farvi stabilire dei monaci41. Secondo le cronache S. Nicola, protettore dei naviganti, compie il miracolo e in tal modo nel 1020, dopo anni di lavori, Foulques Nerra, la seconda moglie Ildegarda e Geoffroy Martel, loro figlio, fondano il monastero di Saint-Nicolas d’Angers, dotandolo di cospicue proprietà e decime nonché di importanti reliquie del Santo; la consacrazione avviene il primo dicembre 1020 ad opera del vescovo d’Angers, Hubertus di Vendôme. In questa stessa abbazia il 14 novembre 1060 morirà e sarà sepolto Geoffroy Martel, lì ritiratosi nell’imminenza del trapasso, dopo aver preso l’abito monacale, la notte precedente la morte, dall’abate del monastero, abate di nome Adraldo42. Una coincidenza indubbiamente singolare. Così come è coincidenza interessante il fatto che Geoffroy Martel e la moglie Agnese nel 1047, nel corso di un viaggio in Italia, compiano un solenne pellegrinaggio al santuario micaelico del Monte Gargano43, esibendo, anche in questo caso, un interesse concreto per un culto che diverrà fondamentale in tutta la cristianità e troverà anch’esso riscontro tra le mura della Novalesa. Non parrebbe improprio porre in relazione il culto di provenienza franca (e particolarmente parigina) nei confronti di S. Nicola di Mira con la realizzazione degli affreschi della cappella di S. Eldrado che vedono come committente proprio quell’abate così legato alle famiglie del Vendômois e delle terre contermini: egli proviene da un ambito in cui il culto è vivo e consolidato da decenni e pare ragionevole pensare che Adraldo si 39

Y. MAILFERT, Fondation du monastère bénédictin de Saint-Nicolas d’Angers, Parigi, 1931, pp. 43-61. “…cum repente caelum coepit nubium caligine tetra obvolvi, lux obtenebrari, tantus ventorum necnon imbrium audiri ut omnes qui in illa nave aderant, mortis timore territi, paene deficerent. Navis undique quassata fluctibus prope ima petebat pelagi”, in MAILFERT, Fondation du monastère, p. 55. 41 “Ad urbem Andecavam reversus, hic, in honore sancti Nicholai, monasterium fondavit atque in ipso […] de sanctis supradictis reliquiis dicti beati Nicholai portionem quandam venerabiliter posuit, preficiens loco abbatem nomine Baldricum…”, in MAILFERT, Fondation du monastère, pp. 54-56. 42 “XVIII kalendas decembris. Obiit Gosfridus comes, filius Fulconis Jerosolimitani, anno ab incarnazione Domini MLX, monastico habitu sumpto a domno Adraldo abbate [Sancti] Nicholai”: L. HALPHEN, Recueil d’annales angevines et vendômoises, Parigi, 1903, p. 108. 43 L. HALPHEN, La comté d’Anjou au XIeme siècle, Parigi, 1906, p. 128. 40

proponga di diffondere anche nelle terre al di qua delle Alpi Occidentali la devozione per un santo a cui potenti famiglie dell’aristocrazia francese dedicano tanta considerazione. In tale ottica è possibile che gli episodi affrescati nella cappella dell’abbazia di Novalesa siano una reminiscenza delle storie di S. Nicola, raccolte e diffuse in area periparigina, dove Adraldo deve di certo averle conosciute. D’altra parte la fama di taumaturgo di san Nicola era ben nota all’Occidente medievale anche prima della traslazione delle sue reliquie a Bari (1087), tanto da essere attribuito proprio a Pier Caimani un appassionato sermone44, in cui Nicola, tra l’altro, viene definito “sanctus a puero, juvenum gloria, reverentia senum, sacerdotum honor, splendor pontificum” (santo già da bambino, gloria dei giovani, venerazione degli anziani, onore dei sacerdoti, splendore dei pontefici), oltre che “Hic est Nicolaus, cuius miracula per totam mundi latitudinem diffunduntur, quem laudat orbis terrae et qui habitant in eo. Tot enim et tanta miracula cumulantur, ut omnes literatorum argutiae vix ad scribendum sufficiant, nos ad legendum”45. Non solo, ma il sermone invita a invocare con pia soavità il nome di san Nicola subito dopo quello della dolce Vergine Maria, nel giorno del pericolo e della tribolazione: “ Nonne post memoriam virginis, tam dulcis pietas vel pia dulcedo in cordibus fidelium obversatur ut in die tribulationis Nicolai nomen teneatur in ore, requiescat in corde”. E ancora: “Si coruscationes fulgurant et procellis detonantibus a supernis vindicta procedit, Nicolaus in patronum assumitur, Nicolaus dulciter inclamatur. Si tempestas sæviens et crudelitas maris navigantibus mortem intentant. Nicolaus flebiliter exoratur, ut audiat; suppliciter invocatur, ut veniat; ut eruat, misericorditer acclamatur”.46 Appare evidente il suo patronato sul mare, come Maria, la Stella Maris, tema ripreso dalla tradizione dei precedenti agiografi e innografi orientali47. Secondo la tradizione medievale anche Guglielmo il Conquistatore sarebbe stato salvato da S. Nicola durante la traversata della Manica48. A san Nicola dedicò un inno Roberto II, re di Francia, figlio di Ugo Capeto; anche i componimenti poetici di Fulberto, vescovo di Chartres, condiscepolo e amico di Roberto II presso la scuola di Reims, contengono lodi al Santo protettore dei naviganti: si tratta dunque di una tradizione ben radicata in Francia già nei primi decenni del secolo XI.49 Un’ulteriore riflessione fa considerare che esistono alcune particolarità iconografiche delle storie novalicensi di san Nicola che potrebbero aprire scenari interessanti d’indagine. Si tratta, innanzi tutto, del ciclo nicolaiano affrescato più antico dell’Occidente cristiano tra le testimonianze pittoriche a noi pervenute e la sua iconografia talora diverge dalla tradizione consolidata. Difatti san Nicola a Novalesa viene rappresentato spesso giovane e privo di barba, e le fanciulle a cui il Santo avrebbe fornito la dote (si tratta di uno degli episodi più noti della vita del santo, che riesce a sottrarre due giovani sorelle di modesta condizione sociale a una vita di peccato fornendo loro la dote necessaria per sposarsi) appaiono in numero di due e non di tre, contrariamente all’iconografia solita. In particolare, l’episodio delle due fanciulle (di cui Novalesa presenta l’unico caso sinora conosciuto) sarebbe riconducibile alla vita di san Nicola Sionita (VI secolo) e non di san Nicola di Mira (IV secolo): si tratta certo di un piccolo ma interessante dettaglio. L’esistenza dei due santi fu scoperta dallo studioso tedesco Gustav Anrich, che fu il primo a pronunciarsi apertamente sull’esistenza dei due Nicola, le cui vicende, nel tempo, si mescolarono nella tradizione popolare sino a intersecarsi e a sovrapporsi. L’archimandrita russo Antonin Kapustin giunse a scoprire nel monastero di Santa Caterina sul Sinai un manoscritto della Vita Nicolai Sionitae contenente l’episodio delle Due Fanciulle, con S. Nicola che, ancora ragazzo (dunque senza barba e giovane, 44

S. PETRI DAMIANI, Sermo LIX, De S. Nicolao episcopo Myrensi et confessore (VI decemb.), in P.L. 144, col. 901 e J. P. Migne, Patr. lat., CXLIV, col. 835f. Si veda anche G. Musca e V. Sivo, Strumenti, tempi e luoghi di comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo, Bari, 1995, pp. 238-239. 45 “Questo è Nicola, i cui miracoli sono diffusi in tutto il mondo, che tutta la terra e i suoi abitanti lodano. Sono così numerosi i suoi miracoli che a stento l’acutezza dei letterati li può raccontare e a stento noi siamo in grado di leggerli tutti”. 46 “Quando infuriano lampi e tempeste si chieda protezione a Nicola, il suo nome venga dolcemente invocato. Se imperversa la bufera e la crudeltà del mare attenta alla vita del navigante, sia invocato lamentevolmente Nicola affinchè oda, sia invocato supplichevolmente affinchè venga in aiuto; sia acclamato misericordiosamente affinchè intervenga per toglierci dal pericolo”. 47 N. BUX (a cura di), Fonti per la storia della liturgia, Bari, 1991, pp. 107-108. 48 L’episodio, già entrato precedentemente nella tradizione agiografica, è ufficializzato dallo storiografo normanno Orderico Vitale (sec. XII) nella sua Historia Ecclesiastica. 49 F. BABUDRI, Sull’antica sequenza “Si quaeris” di S. Nicola di Bari, «Japigia», anno V, fasc. III, Bari, 1934, pag. 234.

così come raffigurato nel nostro affresco), prende il denaro in casa per aiutare le fanciulle 50. Inquadrando tale particolare in un ambito indiziario, non è inopportuno ipotizzare il passaggio a Novalesa di un codice51, forse miniato, originario proprio del Sinai, testimone di una tradizione differente, più antica e appartata di quella legata alle vicende della traslazione delle reliquie del Santo da Mira a Bari (1087); dal codice del Sinai avrebbe potuto trarre ispirazione il frescante della cappella di S. Eldrado. Se poi si prendono in considerazione gli stretti rapporti di stima e di amicizia che legano l’abate Adraldo a Desiderio di Montecassino (poi Papa Vittore III), non parrebbe impensabile che il presunto codice potesse provenire da ambiente cassinese dove, durante l’abbaziato di Desiderio e il pontificato di Gregorio VII, vi è un periodo di rinascita culturale e religiosa (così come a Novalesa con l’abbaziato di Adraldo, uno dei “costruttori” dell’abbazia stessa, in un periodo coincidente, oltre tutto, con un’ intensa e documentata attività dello scriptorium). Desiderio riunisce a Montecassino artisti esperti nell’arte musiva e pittorica provenienti direttamente da Costantinopoli, apre una scuola di artigianato artistico e si avvale dell’opera di artisti, in parte locali, ma buoni conoscitori della tecnica e della spiritualità bizantina e comunque con una conoscenza diretta dell’Oriente. E’ possibile che questo interscambio culturale si verifichi anche con i codici miniati, di cui Montecassino è il faro, e si potrebbe ipotizzare che qualche codice importante (tra cui il Codice Sinaita) dall’Italia centro-meridionale giungesse a Novalesa per una trascrizione. In tale contesto appare singolare una certa affinità artistica degli affreschi della cappella di S. Eldrado con alcuni degli affreschi di S. Angelo in Formis, voluti proprio da Desiderio di Montecassino e realizzati in un momento di poco successivo (inizio anni ’70 dell’XI secolo)52. E’ utile notare come a S. Angelo in Formis, oltre alla chiesa, al monastero, all’ospedale e agli altri fabbricati, esistesse altresì una cappella dedicata a S. Nicola di Mira, oggi non più esistente. Sotto l’abbaziato di Adraldo di Breme, da cui dipende il priorato novalicense, nell’abbazia di Novalesa, oltre agli affreschi della cappella di S. Eldrado, fioriscono i cantieri per la decorazione e, dove necessario, per la ricostruzione delle cappelle di S. Michele, del Salvatore e della cripta della chiesa abbaziale53. La scelta agiografico-iconografica non sembra casuale: nel caso di S. Nicola abbiamo già esposto alcune osservazioni; nel caso di S. Eldrado è evidente il riferimento a uno dei santi e degli abati maggiormente oggetto di devozione nella zona, quasi a voler richiamare il ricordo dell’epoca aurea dell’abbazia prima dei saccheggi saraceni e a rinvigorirne la potenza. La consacrazione dell’allora affrescata cappella di S. Michele, di S. Maria, del Salvatore (affrescata con l’effigie del Salvatore e le storie di S. Arnulfo) e di S. Eldrado (edifici, tutti, devastati dai “pagani” in un passato non troppo remoto e poi recuperati) pare avvenga ad opera del vescovo di Ventimiglia54 e va senza dubbio inserita nel quadro del programma di rilancio dell’abbazia voluta da Adraldo. Potrebbero risalire a quegli anni le “antichissime pitture”, ora scomparse, ammirate da Placido Bacco tra metà e fine Ottocento, raffiguranti la nobildonna romana Priscilla (nipote dell’imperatore Nerone) il cui ruolo leggendario nella storia della Novalesa è noto55, tanto da essere stata sepolta all’interno delle mura abbaziali, forse proprio nella cappella del Salvatore. La politica di rilancio del priorato novalicense viene in tal modo perseguita con la celebrazione dei personaggi 50

Purtroppo tale scoperta, nonostante l’autorevolezza di A. Kapustin, non ebbe vasto seguito a causa dell’opposizione di un altro valente paleografo, Leonid Kavelin, e della tendenza conservatrice della chiesa ortodossa. Vedere G. CIOFFARI, Dizionario enciclopedico del Centro Studi Nicolaiano, sito Internet. 51 G. VALAGUSSA, Dal IX secolo al Duecento: tra il mito carolingio e la tradizione lombarda, in Pittura in Alto Lario e in Valtellina dall’Alto Medioevo al Settecento, Milano 1995, pp. 3-8 e 210-212. 52 Tale ricco programma di pitture è contraddistinto, esattamente come a Novalesa, dal messaggio di salvezza e denota un pieno accordo con la rinascita culturale e religiosa svolta dai monasteri benedettini per volere di Gregorio VII e basata sulla funzione dell’arte. Così si esprimeva Gregorio Magno: «La pittura si impiega nelle chiese affinché coloro che non sanno leggere leggano almeno sulle pareti, vedendo, le stesse cose che non saprebbero leggere sui libri» (“ut in parietibus videndo legant quae legere in codicibus non valent”) in Gregorius I, Registri, IX, 208, in Monumenta Germanica Epistolae, II, Berolini 1893, p. 195. 53 C. SEGRE MONTEL, Affreschi medievali alla Novalesa e in Valle di Susa. Testimonianze di pittura murale tra VIII e XII secolo, in La Novalesa. Ricerche. Fonti documentarie. Restauri, atti del convegno-dibattito (Novalesa, 10-12 luglio 1981), Susa 1988, pp.61-112. 54 C. CIPOLLA, Chronicon Novaliciense in Monumenta Novaliciensia vetustiora, Roma, 1901, vol. II, p. 279. 55 C. SEGRE MONTEL, Affreschi medievali alla Novalesa, p. 91.

e degli avvenimenti più significativi della storia del monastero dalle origini al secolo XI nonché dei santi (locali e non) particolarmente venerati a quel tempo e collegati, in modi differenti, all’abbazia. Il rilancio della vita monastica non è circoscritto al recupero degli antichi edifici compresi nel recinto claustrale, ma si dispiega con modalità ben più articolate. Non a caso al periodo di cui stiamo trattando risale anche una rinnovata attività dello scriptorium novaliciense; la biblioteca di Novalesa, prima delle razzie saracene, è fornita di un cospicuo numero di codici, molti dei quali vanno persi negli anni cupi dell’abbandono forzato della Valle Cenischia da parte dei monaci. A partire dal Chronicon, scritto per mano di uno dei primi monaci inviati a Novalesa da Breme e certo collocabile negli anni ’60 del secolo XI (redatto con l’intento di evidenziare l’antichità e l’aristocratica origine dell’abbazia), si riprende a trascrivere e copiare con un fervore culturale a cui non sono estranee sia la positiva influenza cluniacense che un’operazione assai complessa di riordino dell’archivio e di duplicazione di documenti, mal conservatisi o compromessi, con finalità di tutela giuridica dei beni patrimoniali dell’abbazia. A seguire ( per citare alcuni codici superstiti a noi pervenuti)56, abbiamo la Vita Heldradi (su cui si basa, probabilmente, il ciclo di affreschi nell’omonima cappella), l’importante santorale contenente le vitae e le passiones di parecchi santi (san Valerico abate, san Sisto Papa, sant’Agostino, san Cipriano, santa Giustina, san Maurizio e altri martiri tebei, i santi Cosma e Damiano, san Biagio, la Vita sancti Nicolai e l’inno a san Nicola di Mira, la vita di san Mauro abate e di molti altri santi e sante), la vita e il martirio di santa Caterina, la vita di santa Maria Egiziaca, due Messali, due libri di canti liturgici, una parte dell’Historia Langobardorum, una copia del Martyrologium Adonis. Di alcuni di questi santi l’abbazia possedeva anche le reliquie, in qualche caso donate da Carlo Magno (ad es. quelle di Valerico, di Cosma e Damiano), il che farebbe supporre una volontà di riaffermazioni delle nobilissime radici della Novalesa attraverso il tramandare il ricordo dei passati fasti. Il patrimonio di reliquie che in quegli anni è presente in abbazia è alquanto ricco 57: vi sono reliquie di sant’Eldrado, polvere di san Nicola, reliquie di san Vincenzo, di sant’Andrea apostolo, di sant’Arnulfo, per non citarne che alcune. Campagne di lavori per ricostruire i fabbricati distrutti, cicli affrescati, codici, reliquie: indubitabilmente l’epoca di Adraldo abate attesta, per il cenobio novalicense, la ritrovata prosperità, il rinsaldamento della memoria interna e del glorioso passato, ma anche il preciso intento della legittimazione ideologica e giuridica della propria esistenza e dei propri diritti sulla Valle di Susa e del Cenischia dopo 70 anni di lontananza forzata dei monaci.

4. La riforma cluniacense tra Novalesa e Gap. Una straordinaria coincidenza evidenzia come nel periodo in cui Adraldo è abate di Breme, nella non lontana Gap venga nominato vescovo nel 1063 Arnulfo (sant’Arnulfo di Gap)58. Il dato singolare è che anche Arnulfo è un monaco della Trinité di Vendôme, come lo è stato Adraldo, ed è proprio Ugo di Semur, abate cluniacense, legato papale di papa Alessandro II, a deporre il vescovo simoniaco e nicolaita di Gap, Ripert di Mévouillon, per sostituirlo con Arnulfo, nel pieno spirito della riforma cluniacense. Egli è uno dei vescovi che partecipano alla diffusione della riforma gregoriana tra Sud della Francia e Nord-Ovest dell’Italia, accanto al vescovo Géraud di Sisteron, a Ugo di Die e all’abate Adraldo di Novalesa. Arnulfo è testimone del rilancio di una politica riformatrice del Papato, tesa a combattere contro il peso delle parentele aristocratiche nell’accesso ai seggi episcopali e contro la simonia che ne è la conseguenza diretta; favorisce particolarmente il 56

Si veda C. SEGRE MONTEL, I percorsi delle reliquie, tra thece degnissime, libri miraculorum e immagine depicte, in Uomo e spazio nell’alto medioevo (L Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 4-9 aprile 2002). 57 C. BERTOLOTTO, La cassa di sant’Eldrado e i reliquiari ritrovati, in Novalesa. Una storia tra fede e arte, Atti del Convegno del 21 agosto 1999, Beinasco 2000, pp. 97-106. 58 Vedere E. MAGNANI, Cluny, Saint-André de Gap, le Dévoluy. L’implantation clunisienne en Haute-Provence-milieu X-XI siècle, Grenoble 2005, pp. 101-119 e anche AA.VV., Maisons monastiques médiévales en Provence et Dauphiné (Actes du colloque de SaintAndré-de-Rosans del 2008), a cura di A. PLAYOUST, 2010.

radicamento del priorato cluniacense di Saint-André a Gap ed eclissa la sinistra reputazione del suo predecessore, Ripert il simoniaco, ricordando a tutti con le sue azioni gli stretti legami tessuti tra Gap e la Chiesa di Roma a favore della riforma. Per inciso, può essere utile ricordare che il priorato cluniacense di Saint-André di Gap si inserisce, già a partire dal X secolo, con l’abbaziato di Maiolo, in una politica di espansione e di attività riformatrice di Cluny al di fuori della Borgogna, creando un reticolato che si estende, oltre che nel nord Italia, dapprima in Provenza e in Alta Provenza, e in seguito nelle terre circostanti, instaurando buoni rapporti con le famiglie dell’alta aristocrazia locale. D’altra parte Inguilberta, sposa di Guglielmo d’Aquitania, fondatore di Cluny, era sorella di Luigi il Cieco, re di Provenza, e Cluny fu destinataria di molte donazioni da parte della nobiltà provenzale, e non solo provenzale. Già al tempo di Odilone vi fu una donazione importante da parte di Roubaud, fratello di Guglielmo II. Saint-André di Gap è stato, in ordine di tempo, l’ultimo priorato cluniacense di una certa importanza ad essere creato in Provenza. Dalla sua fondazione vi si ritrova il reticolato aristocratico tradizionale di Cluny in Alta Provenza, prova del rinforzamento e della continuità della devozione cluniacense in seno all’aristocrazia locale lungo tutto l’XI secolo. Le origini della chiesa di Saint-André di Gap risalgono almeno al 1010, quando al vescovo Féraud viene richiesto di consacrarla; il trasferimento di Saint-André a Cluny e all’abate Odilone, il 27 marzo 1029, fu realizzato dal medesimo vescovo e dai suoi canonici. A parte il caso su citato del vescovo Ripert, vi furono sempre rapporti molto stretti tra Cluny e il priorato di Gap; ciò è senza dubbio da porre in relazione con l’attività riformatrice di Cluny in Provenza, soprattutto dell’abate Ugo di Semur: legato papale, Ugo presiede, come si è menzionato in precedenza, diversi concili ad Avignone (1060, 1063, 1066) e ancora nel 1074, accompagnato dai suoi abati provenzali. Comunque sia, il priorato di Gap è riconosciuto dalla società locale nell’XI secolo come luogo di vita monastica e liturgica. Riceve donazioni dalle famiglie della zona che vedono i monaci come efficaci intermediari con l’aldilà, e, soprattutto, suscita delle conversioni. In sintesi, la rete cluniacense in Provenza e a nord della Durance, iniziata da Maiolo grazie a relazioni dell’abate nella regione, si caratterizza per il sostegno dell’aristocrazia regionale (i conti e i loro alleati), ma anche per lo sforzo di negoziazione e di composizione delle controversie nei confronti delle potenze signorili concorrenti, dei vescovi, dei monaci di altri monasteri e dei signori laici. Nel corso dell’XI secolo, durante l’abbaziato di Odilone, che si pone come continuatore dell’opera di Maiolo, poi di Ugo di Semur, la posizione di Cluny si consolida in Provenza. Sono sempre le medesime famiglie nobiliari che vi si trovano implicate, trasmettendo da una generazione all’altra il loro attaccamento ai Cluniacensi, dal momento che riservano la maggior parte dei loro doni ai monasteri provenzali. Alla luce di questi dati, non pare avventato ipotizzare una buona conoscenza tra Adraldo, abate di Breme e Novalesa e Arnulfo di Gap, anch’egli chiamato a diffondere la riforma della Chiesa proprio in quelle terre d’Oltralpe percorse dallo spirito cluniacense a cui lo stesso Adraldo era stato formato. E’ suggestivo constatare che anche S. Eldrado, a cui evidentemente Adraldo era particolarmente devoto, provenisse proprio da Ambel, non lontano da Gap, e forse l’eccezionale valorizzazione del suo culto non è estranea alla sua terra di origine: un modo di rendere omaggio a un santo speciale, per la sua provenienza da una regione molto sensibile all’influenza di Cluny. 5. Il ritorno oltralpe. L’abbaziato bremetense di Adraldo si conclude all’incirca alla fine degli anni ’60 del secolo; difatti nel 1069 egli andrà a rivestire l’importante ruolo di vescovo di Chartres, una delle diocesi più importanti della Gallia59. Succede al vescovo Roberto di Tours, morto il 23 dicembre 1068 a Souvigny (secondo altre versioni nel 1069), di ritorno da un viaggio a Roma, come evidenziato nel Cartario di Saint-Père60, abbazia situata nella diocesi di Chartres. L’illustre incarico episcopale a Notre-Dame di Chartres ha quasi il profilo di un “ritorno a casa” da parte di Adraldo, data la 59

In merito alle dinamiche storico-politiche del territorio della diocesi di Chartres nel Medioevo si veda l’ottimo studio di A. CHÉDEVILLE, Chartres et ses campagnes (XIe-XIIIe s.), Mayenne 1991. 60 M. GUERARD, Cartulaire de l’Abbaye de Saint-Père de Chartres, Parigi 1840, pp. 12-14.

prossimità di Chartres con l’Eure-et-Loire, sua terra di provenienza. Nelle Mèmoires de la Societé archéologique d’Eure-et-Loire si legge testualmente che Roberto di Tours fu sostituito da uno dei più curiosi e colti personaggi del suo tempo, Arrald, che fu, nell’ordine, monaco a Vendôme, dove aveva delle proprietà, religioso a Cluny, dove assistette l’abate Odilone sul suo letto di morte, priore a Payerne in Svizzera, abate a Breme presso Pavia. Egli era stato guida del cardinale Pier Damiani nel suo viaggio a Cluny nel 1063. Era un uomo istruito nelle lettere, abile nelle arti, religioso nei suoi atti, ammirevolmente eloquente nei suoi discorsi. Di primo acchito poteva sembrare rigido e severo, ma se si riusciva a 61 penetrare nel suo intimo, lo si trovava, al contrario, come se fosse un’altra persona, buono, prudente, ossequioso .

Le stesse qualità gli saranno riconosciute anche dai Necrologi di Notre-Dame e di SaintPère, che vanteranno la bellezza dei suoi doni, degli oggetti d’arte con cui ha arricchito le chiese e, non ultima, la sua grande eloquenza. «Rischiarato dai raggi della scienza», lo definirà il Necrologio del Capitolo di Notre-Dame. Il 6 dicembre 1070, nel primo anno del suo episcopato, forse in omaggio alle sue origini vindocinensi, Adraldo dedica una cappella a Notre-Dame-de-Pitié nell’abbazia della Trinité di Vendôme, nel camposanto, costruita come luogo di devozione per la gente del popolo, per i poveri e per i servitori del monastero. La cappella, intitolata alla Vergine, viene dedicata anche a un insieme di santi: S. Leone Papa, S. Eutropio vescovo di Saintes e martire, S. Lerne confessore e vescovo di Saintes, S. Colomba abate, S. Brigida vergine. Durante il suo episcopato favorisce la scuola della cattedrale di Chartres, fondata da Fulberto nel 1006, beneficiandola del suo sapere e dell’esperienza che aveva acquisito a Cluny e durante i suoi viaggi: non vi si insegna soltanto la teologia, ma anche la geometria, la medicina, la filosofia e la musica liturgica. Come episcopo di Chartres Adraldo continua ad intrattenere rapporti con i personaggi più ragguardevoli del suo tempo: nel 1070, Gugliemo il Conquistatore, re d’Inghilterra, fa iniziare la costruzione di un prezioso campanile sul punto centrale del transetto della cattedrale di Chartres, per l’anima della figlia Adeliza, prematuramente scomparsa (Adeliza, filia regis Anglorum, pro cujus anima pater eius… jussit fieri campanarium quod est super aecclesiam preciosum et bonum). La cattedrale di Chartres all’epoca è un cantiere in continua evoluzione: è stata distrutta una prima volta dal fuoco nell’858, quando i Normanni entrano in Chartres, e poi ancora nel 973 e nel 1020. Quest’ultimo incendio pare sia stato causato da un fulmine e buona parte della struttura a quei tempi è lignea, perciò l’incendio si propaga con estrema facilità, tanto che sia la cattedrale che una parte della città vengono gravemente compromesse. Dopo il secondo devastante incendio il religiosissimo vescovo Fulberto si impegna sin da subito nella ricostruzione, ottenendo sovvenzioni dai re di Francia, d’Inghilterra, di Danimarca e dai duchi più potenti di allora, ma muore nel 1029, quando i lavori non sono ancora molto avanzati. L’edificio costruito da Fulberto è provvisorio e la costruzione della cattedrale è a lungo sospesa sino alla seconda metà dell’XI secolo. E’ più che probabile che il robusto campanile fatto erigere da Guglielmo il Conquistatore si inserisca in questo prodigioso sforzo ricostruttivo che è in pieno svolgimento proprio ai tempi dell’episcopato di Adraldo62. Negli anni successivi le qualità diplomatiche e dialettiche di Adraldo sono evidenti nella molteplicità dei ruoli rivestiti: è presente prima al concilio di Sens (1071), dove sottoscrive alcune carte regie, e poi nel 1072, lo troviamo come mediatore in una contestazione tra gli abati di Vendôme (Oderic) e di Saint Aubin (Otbran) e il legato papale in Francia Giraudo, cardinale vescovo di Ostia, riguardo al possesso del priorato di Craon63. Sempre nel 1072, tra la primavera e l’estate, sappiamo che compie un viaggio in Longobardiam, ma non ne conosciamo l’esatto motivo64. Il primo luglio 1070 (o forse 1073) papa Alessandro II con il Privilegium Alexandri Papae II raccomanda ad Adraldo di proteggere l’abbazia della Trinità dai numerosi tentativi di

61

Si veda AA. VV., Memoires de la Societé archéologique d’Eure et Loire, Chartres 1858. C. HEADLAM, The story of Chartres, Londra 1902, pp. 89-90. 63 Si veda R. CEILLIER, Histoire générale des auteurs sacrés, Parigi 1858. 64 Carta CCXXX del Cartulaire de l’abbaye cardinale, I, pp. 361-363. 62

spoliazione dei beni, dando al vescovo di Chartres il potere di scomunicare i persecutori65. Il fatto è sicuramente indicativo: l’abbazia di Vendôme usufruisce sin dalla sua fondazione dell’esenzione delle giurisdizione episcopale, rivendica la sua autonomia rispetto al potere dei vescovi e si impone come formidabile potenza nel sud-ovest della diocesi di Chartres. La richiesta ad Adraldo di intervenire è evidentemente l’ultima possibilità di soluzione di conflitti lunghi e complessi: l’autorità episcopale, evidentemente, agli occhi del pontefice (e non solo) è sufficientemente accreditata per risolvere i problemi giacenti da tempo66. Il 27 novembre 1073 Adraldo è destinatario di una lettera scritta da un altro papa, Gregorio VII (che gli invia l’importante missiva da Argenta), affinché si adoperi perché venga reintegrato nel suo ruolo Isamberto, abate di Saint Laumer, recatosi in pellegrinaggio a Gerusalemme e sostituito dall’abate Guidone67. Una seconda lettera di Gregorio VII, datata Tivoli 10 settembre 1074, e inviata anche a tutti gli altri vescovi di Francia, invita i vescovi a operare per il benessere morale del regno di Francia, guastato, a detta del pontefice, da quelli che egli definisce i crimini del re. In seguito una lunga controversia oppone Adraldo ai monaci dell’abbazia di Saint-Père, dove costringe all’allontanamento l’abate Uberto, colpevole di essere troppo sensibile ai beni terreni e per questo avverso a molti monaci, sostituendolo con il rigoroso Eustachio, del monastero di Corbie, più zelante e convinto seguace della Regola oltre che in stretti rapporti con Cluny68. Delle poco più di 170 carte e diplomi sottoscritte dal re Filippo I di Francia nel suo lungo regno, almeno 4 sono controfirmate, in qualità di consigliere e testimone, anche da Adraldo, il che dà la misura dell’alta considerazione di cui godeva presso la corte regia. Si tratta di due carte del 25 aprile 1071 69, nella prima delle quali il re Filippo I conferma la donazione della chiesa di S. Savina vergine sita nei pressi di Troyes (donazione fatta da Tetbaudo, conte di Troyes) al monastero di Montier-la-Celle; nella seconda Filippo I conferma la donazione della chiesa di S. Andrea (fatta dal vescovo di Troys Ugone) allo stesso monastero cellense del Beato Pietro. In entrambi i casi la decisione viene ufficializzata in un atto pubblico a seguito di una supplica di Bernardo, abate del suddetto monastero. I due documenti sono redatti in Senonico palatio (Sens), probabilmente nel corso del concilio di cui sopra, e recano il monogramma del re e le firme di un arcivescovo e di altri sei vescovi, oltre al signum di Adraldo Carnotensis episcopi. Nel 1070, tra il 18 marzo e il 4 agosto, a Parigi, dietro preghiera dell’abate Gerbert, Filippo I conferma al monastero di St. Pierre-le-Vif l’immunità già accordata dai sovrani suoi predecessori; ancora una volta troviamo in calce la firma di Adraldo. Vi è poi un atto di singolare valore, che testimonia ulteriormente l’attaccamento di Adraldo alle radici cluniacensi e la devozione nei confronti del monastero in cui il vescovo di Chartres servì per tanto tempo: si tratta di una carta con la quale Adraldo e i canonici di Chartres concedono a Cluny la prebenda di S. Maria, prebenda che deteneva precedentemente un certo Fulcherio, figlio di Nivelone, che vi rinuncia per la salvezza della sua anima. La donazione viene confermata da Riccardo, metropolita di Sens e la carta risulta firmata anche dal re Filippo I (“regiaque manu postea roboratam”), sicuramente per dare maggiore efficacia alla concessione; Adraldo si autodefinisce pervaso dalla pariter bona fama virtutum Cluniacensis monasterii, tamquam fiorenti ortuli suavissimo liliorum atque rosarum odore70 (sia dalla buona fama di virtù del monastero cluniacense che dal soavissimo profumo di gigli e rose dei suoi fioriti giardini): parole che suonano come un omaggio al cenobio cluniacense.

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Carta CCXXXVIII del Cartulaire de l’abbaye cardinale, I, pp. 377-378. G. COMBALBERT, Les évêques, les conflits et la paix aux portes de la Normandie: les exemples des dioceses de Chartres et d’Évreux, Caen 2007, pp. 139-148. 67 Si veda W. WATTENBACH, E. DÜMMLER, P. JAFFÉ, Bibliotheca Rerum Germanicarum, Berlino 1864, pp. 50-51. 68 Si veda J.B. SOUCHET, La France pontificale. Diocèse de Chartres, Chartres 1867. 69 Carte 186 e 190 del Cartulaire de Montier-la-Celle, ed. Abbé CH. LALORE, Parigi 1882, pp. 191-199. 70 Carta 3427 (Charta qua Adraldus, Carnotensis episcopus, et canonici ejusdem ecclesiae notum faciunt se praebendam quamdam Sanctae Mariae Cluniacensibus concessisse) in Chartes de l’abbaye de Cluny, pp. 537-539 oppure in Ecole de chartes, ELEC, Cartulaire de Notre-Dame de Chartres, tomo I, XVII, web. 66

Adraldo muore il 10 febbraio 1075, in età avanzata. Si legge nel Necrologio di Chartres: “ Il 4 delle idi di febbraio morì Arralde, vescovo di questa chiesa, consacrata alla misericordiosissima Madre di Dio, e abate di Breme, uomo alquanto eloquente, rischiarato dai raggi della scienza; egli amò teneramente questa Chiesa custodita dal suo zelo, e durante la sua vita la arricchì di molti ornamenti, come piviali superbi e casule assai preziose. Egli vegliò su di essa come un santo pastore e le donò un calice d’oro di ammirevole fattura, che desiderò che fosse utilizzato ogni giorno all’altare maggiore. Alla sua morte lasciò alla Chiesa la sua cappella con i suoi ornamenti episcopali e una grande somma di denaro destinata a ottenere la remissione dei suoi peccati”. Il Necrologio di Saint-Jean en Vallée (dipendente da Chartres) si esprime così: «Il 4 delle idi di febbraio morì Arralde, vescovo di Chartres, che accordò ai canonici di Santo Stefano, che egli aveva fondato, gli anniversari delle prebende di Notre-Dame». Il monaco Paolo, del monastero di Saint-Père (monastero dipendente da Chartres), nel Cartario relativo si esprime parlando di improvvisa notizia della morte terribile71 (il che potrebbe far pensare ad un avvenimento inaspettato) e sostiene che Adraldo aveva voluto alla guida di Saint-Père un monaco senza valore, dopo aver allontanato l’abate in carica e buona parte dei monaci. Asserisce inoltre che Adraldo abbia sottratto all’abbazia di Saint-Père buona parte delle sue ricchezze e lamenta la sua eccessiva severità nel controllo del cibo consentito (assolutamente non era permesso consumare carne o pesce, ma soltanto verdure e legumi crudi e privi di condimento) e il fatto che Adraldo considerasse l’oro e l’argento come incitamenti alla superbia e alla lascivia72. Per quanto riguarda il monaco “senza valore” che Adraldo avrebbe posto alla guida di Saint-Père, si tratta di Eustachio, monaco di Corbie, che andava a sostituire Uberto, troppo legato ai beni terreni. Conoscendo le posizioni di Adraldo in campo religioso e sapendo della sua convinta adesione alla riforma, non possiamo non pensare che la critica del monaco Paolo sia, quanto meno, interessata e di parte, dal momento che molti uomini di chiesa non erano così convinti della necessità di un’opera di moralizzazione e talora la contrastavano. Tuttavia anche il monaco Paolo, che era avverso ad Adraldo e che scrive della sua terribile morte non può non riconoscergli la grande eloquenza e le grandi capacità: su questi aspetti il giudizio di amici e nemici è unanime. Nel 1075, alla morte di Adraldo, all’abbazia di Novalesa la renovatio è sulla via del compimento; se anche il monastero non vedrà più tornare l’“età dell’oro” delle origini e il prestigio dell’antica protezione carolingia, anzi, a partire dal XII secolo inizierà un lungo declino, tuttavia la Regola benedettina, attraversando più di mille anni di storia, continuerà a diffondere nel tempo il suo messaggio con il medesimo dinamismo che animò Adraldo e i padri fondatori nella loro vita monastica.

GIULIANA GIAI

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“…ac nisi cito inaudita mortis atrocitas malis suis imposuisset finem…” in Cartulaire de l’Abbaye de Saint-Père de Chartres” doc. XI. 72 Si veda J.B. Souchet, La France pontificale. Diocèse de Chartres, Chartres, 1867.

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