Importuosa litora?

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CONSIDERAZIONI DI STORIA ED ARCHEOLOGIA

DIRETTORE

GIANFRANCO DE BENEDITTIS

Comitato di redazione Angela Valeria Mariadiletta Federico

DI NIRO CEGLIA COLOMBO RUSSO

Paolo MAURIELLO Rosalba ANTONINI Carlo EBANISTA Maria Assunta CUOZZO

Segreteria Andrea CAPOZZI Anna MANDATO Francesca MASCITELLI Mario ZICCARDI

LA STAMPA DI QUESTO NUMERO È STATA POSSIBILE GRAZIE AL CONTRIBUTO DELL’IRESMO ISTITUTO REGIONALE PER GLI STUDI STORICI DEL MOLISE “V. CUOCO” ENTE DI DIRITTO PUBBLICO REGIONALE ISTITUITO CON L.R. NR. 26 DEL 2 SETTEMBRE 1977

Autorizzazione del Tribunale di Campobasso nr. 6/08 cr. n. 2502 del 17.09.2008 La rivista è scaricabile gratuitamente dal sito www.samnitium.com

INDICE

5 Michael Crowford PALLANUM AND MONTE PALLANO

10 Federico Russo I SANNITI NELLE FONTI LETTERARIE: EVOLUZIONE DI UN ETNONIMO

35 Davide Aquilano IMPORTUOSA LITORA?

69 Marilena Cozzolino, Vincenzo Gentile, Claudia Giordano, Paolo Mauriello IL CONTRIBUTO DELLA GEOFISICA NELLO STUDIO DELLE FORME INSEDIATIVE DEL SANNIO IN TERRITORIO MOLISANO

86 Giuseppe Di Carlo

                          

IMPORTUOSA LITORA? Davide Aquilano INTRODUZIONE* Nelle pagine che seguono si presenta una parte dei dati raccolti nel corso di una ricerca ormai ventennale. L’indagine ha interessato la costa abruzzese e quella molisana, da sempre considerate importuosa, se non addirittura inospitali. In realtà, gli studi più recenti stanno portando a conclusioni che vanno in tutt’altra direzione o, perlomeno, hanno il merito di collocare i fenomeni nel loro giusto contesto storico. Basti tener conto delle novità provenienti dai siti costieri di Casette Santini-Santo Stefano di Casalbordino (figg. 42-49)1, Punta Penna di Vasto (fig. 33)2, San Salvo (fig. 32)3 e foce del Biferno4. Il topos degli «importuosa litora»5 sta quindi perdendo il suo smalto sotto i colpi di una ricerca più attenta, in grado di penetrare quella scorza creata da secoli di luoghi comuni e consolidata da una recente e autorevole produzione letteraria (in primis, quelle di Silone e di D’Annunzio). L’impianto della ricerca è tipicamente storico, con particolare attenzione e riguardo ai dati archeologici ed al rapporto tra l’uomo e l’ambiente. È bene premettere che per comprendere appieno le scelte insediative ed infrastrutturali effettuate nel passato sulla costa abruzzese e molisana è necessario cancellare idealmente dalla carta geografica la ferrovia, la SS 16 (vecchia e nuova) e la A14, che hanno radicalmente cambiato la percezione del paesaggio ed hanno fortemente condizionato le scelte insediative in epoca contemporanea. Nel passato il condizionamento sulla viabilità e sugli insediamenti era invece imposto dalla morfologia stessa del territorio, che rendeva impossibile o fortemente sconsigliata la lunga percorrenza nelle immediate vicinanze della costa. Di conseguenza, una direttrice Nord-Sud prossima al mare è esistita soltanto per brevi tratti, proprio a causa degli ostacoli fisici imposti dai numerosi e brevi corsi d’acqua che scorrono verso il mare trasversalmente alla costa, paralleli tra loro, quasi come i denti di un pettine. Da questo dato 1. Carta dei principali centri di epoca romana in Abruzzo e in Molise con localizzazione dei siti indagati.

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Davide Aquilano 2 - Foto aerea di Vasto e del litorale vicino al centro urbano (anno 2000).

di fatto discendevano altre due necessità: numerosi approdi per estrarre ed introdurre merci ed altrettanti percorsi di collegamento con le aree interne che sfruttavano in genere i crinali ed i versanti laddove le valli sono abbastanza ampie7. Di estremo interesse è ciò che scrive Melchiorre Delfico nel 1784, quando viene incaricato di eseguire una Relazione geografico economica del tratto di paese marittimo dal Fortore al Tronto. L’illuminista teramano fornisce un quadro ragionato delle aree costiere abruzzesi e molisane alla fine del Settecento e quando parla dei traffici marittimi denuncia la totale assenza di infrastrutture e l’inerzia del «Governo» a tal proposito: le navi a Vasto erano costrette ad attraccare al largo e le merci venivano trasportate con piccole imbarcazione da e verso la spiaggia. Paragona, quindi, tale situazione, economicamente svantaggiosa per gli agricoltori, per i commercianti e per gli armatori, con quella ipoteticamente di gran lunga migliore – dal punto di vista dell’illuminista – esistente in quei luoghi nell’antichità, epoca alla quale risalgono i resti «… di qualche fabbrica destinata al riparo de’ navigli» alla marina di Vasto e sulla spiaggia di Santo Stefano in Rivo Maris8: sono questi i siti che saranno di seguito discussi insieme con quelli presenti sul litorale di Petacciato (figg. 34-41). URBANISTICA E TOPOGRAFIA DEL MUNICIPIUM HISTONIENSIUM9 I resti dell’antica Histonium si conservano nel centro storico di Vasto. L’esistenza di approdi direttamente collegati col centro urbano del municipium Histoniensium non è attestata dalle fonti documentarie, che ricordano, invece, il «Trinium portuosum»10, la cui foce è circa 10 Km a Sud di Vasto. Sebbene alla foce del fiume non esistano resti riferibili ad una struttura portuale – bisognerebbe meravigliarsi se vi si fossero conservate delle strutture murarie11 -, l’attestazione pliniana, l’insediamento scoperto di recente a San Salvo (fig. 32) e la costellazione di grandi fattorie (villae) presenti in quest’area spingono a ritenere che il porto ubicato nell’antichità alla foce del Trigno abbia svolto un ruolo di portata subregionale. In particolare, i resti scoperti a San Salvo, attualmente fruibili nel Parco Archeologico del Quadrilatero, dovevano appartenere ad un insediamento di mercato, che raccoglieva e distribuiva coi percorsi terrestri le merci in entrata verso l’entroterra, verso Nord e verso Sud, e quelle in uscita servendosi delle rotte marittime12. In rapporto diretto col capoluogo degli Histonienses erano sicuramente gli approdi, traditi dalla

Importuosa litora?

3 - Vasto, località Trave (foto Roberto Bruno, 2013).

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4 - Vasto, loc. Trave. Muro in blocchi squadrati di puddinga con funzione di contenimento e protezione dell’ex tracciato ferroviario. È stato erroneamente attribuito all’epoca romana (cfr. STAFFA 2002, p. 232).

presenza di frammenti di anfore da trasporto che si rinvengono numerosi sulle spiagge delle insenature naturali di località Trave, Casarza (fig. 2) e Meta13; dalle testimonianze epigrafiche e dai resti murari chiaramente riferibili ad insediamenti marittimi in località Trave e Concadoro (fig. 2, VA 02.1, 02.2)14. I materiali rinvenuti a Piazza Histonium, lungo il margine occidentale dell’abitato antico e medievale di Vasto, in uno spazio di pochi metri quadrati, e quelli recuperati in generale nell’area urbana, contribuiscono a delineare il quadro di una città pienamente inserita sin dalla prima età imperiale nei circuiti commerciali adriatici ed egeo-orientali15. Dell’impianto urbano della romana Histonium rimangono significative emergenze archeologiche nel centro storico dell’odierna Vasto16 e sono notevoli le testimonianze epigrafiche e materiali raccolti nel locale museo17. Divenuto municipio all’indomani del bellum sociale, i suoi abitanti furono iscritti nella tribù Arnensis ed il suo territorio doveva avere come confini il Sangro a Nord, il Trigno a Sud, il mare ad Est. Più problematica risulta la definizione del confine occidentale, anche se è molto probabile che questo sia stato ricalcato da quello dell’arcidiocesi di Chieti-Vasto 18. Nella prima età imperiale conobbe un notevole sviluppo urbanistico e monumentale, grazie anche all’evergetismo di importanti personaggi locali assorti alle più alte cariche senatoriali19. La posizione marittima lungo la Flaminia (tratto Ancona-Brindisi)20 – denominata localmente Traiana Frentana per una falsa interpretazione erudita settecentesca21 –, capace di attirare i traffici e di permettere lo sviluppo delle produzioni artigianali, il collegamento con l’hinterland agricolo, furono gli elementi geografico-economici che ne sostanziarono lo sviluppo. Tra gli edifici pubblici individuati con certezza si ricordano l’anfiteatro e le terme (fig. 2), nei pressi delle quali doveva trovarsi il macellum e dei magazzini di prima età imperiale22: si tratta, comunque, di un settore dell’impianto urbano nel quale si registra un’evidente espansione tra il IV ed il V secolo23, come dimostra la costruzione, all’epoca, di nuovi edifici, secondo un piano programmatico che previde l’adozione dello stesso orientamento (N/S-E/O) dell’impianto urbano di prima età imperiale. L’espansione sembra interessare anche spazi in precedenza occupati da una necropoli, come testimonierebbe il rinvenimento di due frammenti di iscrizioni funerarie24 e di un frammento di urna cineraria25. Il fattore determinante di questo fenomeno può essere individuato in un polo religioso, forse la cattedrale con l’episcopio (figg. 2, 05.2; 31), venutisi ad inserire in una zona periferica, nei pressi delle terme (fig. 2,

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5 - Vasto. A. rilievo di massima de “Il Trave”. B. ricostruzione ipotetica dei ruderi sommersi in località Trave (da Catania 1990).

Davide Aquilano

6 - Vasto. "Il Trave": da Sud (A) e da Nord (B).

05.1), del macellum e forse di un luogo di culto pagano - come farebbe ipotizzare una dedica al Sol Invictus di epoca severiana26 - all’incrocio tra una delle strade per il lido ed una delle principali arterie di penetrazione nel centro urbano27. A ben guardare, però, è più corretto affermare che la cattedrale è stata edificata in un punto della città romana divenuto nevralgico - grazie alla sua vicinanza all’area portuale del Trave-Concadoro-Casarsa (fig. 2, VA 01, VA 02) - nel momento in cui si è attivato un considerevole incremento dei traffici in Adriatico grazie allo spostamento dell’asse dell’Impero ad Oriente. Alla luce di questi dati, appare molto più che plausibile l’ipotesi avanzata da Luigi Murolo di far coincidere con gli esponenti del ceto dirigente di Histonium coloro ai quali - «possessoribus defensoribus et curialibus Aestumis consistentibus»28 - nel 507/511 viene ordinato da Teodorico di provvedere al trasporto a Ravenna delle colonne di marmo e delle lapidi che giacciono inutilizzate «in municipio ... vestro». Le altre ipotesi di identificazione sinora avanzate non sono convincenti29, mentre appare plausibile che il nome corrotto dalla tradizione manoscritta sia da riferirsi al municipium di Histonium, ubicato sulla costiera adriatica e dotato di un comodo ed attrezzato sistema portuale in grado di esaudire la richiesta del re goto. IL TRATTO DI COSTA TRA TRAVE E CASARZA DI VASTO: LE FONTI ARCHEOLOGICHE La presenza di resti archeologici in ambiente sottomarino lungo questo tratto di costa è tanto nota alla storiografia locale, quanto altrettanto sconosciuti ne sono i dati materiali e la loro documentazione, che si propone di seguito in via preliminare.

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Importuosa litora?

7 - Vasto. “Il Trave”, foto riprese da Est: A. frattura tra i tronconi 1 e 2; B. frattura tra i tronconi 3 e 4; C. foro passante nella parte bassa della muratura. Foto ripresa da Sud: D. testata.

8 - Vasto. “Il Trave”, testata sud, da Est (A) e da Ovest (B). Uno dei muri adagiati sul fondale, immediatamente ad Ovest de “Il Trave” (C) (cfr. fig. 5 A). 9 - Vasto. L’area del Trave da Nord-Ovest.



   

10 - 11- Vasto, località Trave. Resti murari in opera reticolata mista nei pressi della battigia.

SITO VA 01. TRAVE Il sito dista circa 600 metri in linea d’aria dalla città storica di Vasto ed è raggiungibile di rettamente grazie ad alcuni percorsi, un tempo carrabili, che lo collegano direttamente con il centro urbano (fig. 2) 30 . E’ una piccola insenatura posta immediatamente a Nord della spiaggia di Vasto Marina, dove i ciottoli prendono il posto della sabbia e la costa inizia ad elevarsi sul mare. La località prende il suo nome da un muro in opera cementizia, il “Trave” appunto, che corre quasi parallelo alla costa, con direzione N/S, a circa 80 metri dalla battigia (fig. 3). Nei terreni a monte della S.S. 16 Adriatica sono presenti anche alcuni resti di strutture antiche e moderne, probabilmente calate verso il mare dal centro urbano in seguito alla rovinosa frana del 195631 . Un’altra frana, anch’essa importante per dimensioni ed effetti, si verificò nel 1816 32 . In quell’occasione il mare arretrò temporaneamente di circa 100 - 150 metri, mettendo alla scoperto i ruderi normalmente sommersi dalle acque:«… le acque marine fra ‘l Trave e Casarza bagnano oggi avanzi quadrilateri di stanze con costruzione a quadrucci o tessellata, le quali sembrano scavate ne’ duri scogli; il tempo e l’acqua marina gli à alterati… Confonder non debbonsi quegli avanzi co’ rottami di antiche fabbriche, con due pezzi di colonnato di mattoni cotti, vari pavimenti di opera reticolata e muri di mattoni a triangolo, i quali lo scoscendimento del 1816 elevò dal sommosso lido e che dal mare e dalla molle argilla vennero novellamente quasi del tutto occultati»33. L’interessante testimonianza del Marchesani riporta che, oltre ai ruderi normalmente visibili in località Trave, nel corso della frana del 1816 se ne videro per breve tempo altri, sino allora sommersi dalle acque. In effetti, quei ruderi ci sono ancora sott’acqua: opera reticolata (figg. 15-16), laterizia - «muri di mattoni a triangolo» (figg. 17-18) - e « due pezzi di colonnato di mattoni cotti» (cfr. fig. 19).



 

12 - Vasto, località Trave. Resti murari in opera reticolata mista nei pressi della battigia.

- I resti murari Di seguito sono riportati i dati rilevati nel corso di una serie di ricognizioni subacquee eseguite nell’arco di oltre vent’anni, a più riprese, soprattutto per approfittare dei rarissimi momenti in cui la visibilità sottomarina è accettabile. Si tenga presente, inoltre, che non sono state effettuate azioni di pulizia dei resti o di scavo nel sito e che, quindi, quello che viene riportato in questa sede è il frutto dell’osservazione diretta. Hanno partecipato alle attività l’Istruttore Subacqueo Corrado Malorni, Marco Rapino e, per un breve periodo, Roberta Pierantoni34. In questo discorso si tenga ben presente che i lavori di realizzazione e manutenzione dell’ex tracciato ferroviario (fig. 4) hanno spesso utilizzato in maniera copiosa e sistematica il materiale inerte presente sulla riva (conglomerato naturale), modificando fortemente l’aspetto del litorale e distruggendo le strutture antiche esistenti nell’area di azione dei lavori di costruzione. Entrando nello specifico dei danni che le presenze antiche e medievali possono aver subìto, si precisa che: - le possenti opere ferroviarie di contenimento al Trave, a Concadoro e a Casarza, sono state realizzate in puddinga (il loro spessore supera i 200 cm), cioè con gli scogli naturali di conglomerato prelevati dal posto o provenienti da luoghi non molto distanti; 13 - Vasto, località Trave. Troncone di muro curvo in opera laterizia sulla riva.

14 - Vasto, località Trave. Resto di fondazione visibile fino al 1991 sulla scarpata che sovrasta la battigia.



   

15 - 16 - Vasto, località Trave. Resti murari in opera reticolata (mista?) fra il Trave ed il Monumento alla Bagnante.

17 - 18 - Vasto, località Trave. Resti murari in opera laterizia fra il Trave ed il Monumento alla Bagnante.

 



- gli scogli collocati a protezione dei possenti muri in puddinga o ammucchiati come consolidanti del terrapieno della linea ferroviaria, furono prelevati anche dal mare prospiciente e frantumati, demolendo od occultando le strutture murarie eventualmente lì esistenti. Cercando di mettere ordine nel caos dei resti murari presenti in località Trave, se ne espongono di seguito i dati salienti. Fig. 4. I «… possenti resti murari realizzati in opera quadrata di grandi blocchi di conglomerato locale, lavorati a bugnato», ritenuti erroneamente antichi35, altro non sono che i muri di contenimento moderni del terrapieno sul quale è transitato il treno fino al 2005. Figg. 3, nr. 34; 5-8. Il cosiddetto Trave è un muro in opus caementicium, forse una fondazione, spesso ca. 200 cm, alto ca. 200 cm, lungo ca. 30 m36, spezzato in quattro parti (fig. 5 A) e fornito, alla base della parte emergente dal fondale sabbioso, di grossi fori, interpretabili come impronte 19 - Vasto, località Trave. Resti di colonne in opera laterizia negative lasciate dai murali trasversali usati per fra il Trave ed il Monumento alla Bagnante. contenere la pressione del caementum sulla cassaforma al momento della gittata (fig. 7 C)37. Fig. 5 A. Alcuni tronconi di muri giacciono, adagiati sul fondale, immediatamente ad Ovest del Trave, verso la riva (fig. 8 C). Si tratta dei residui degli alzati o dei livelli superiori del Trave, abbattuti dal moto ondoso, come conferma anche la loro posizione rispetto alla fondazione: dalla parte opposta al verso della forza d’urto del mare. Su alcune di queste murature si scorgono porzioni di paramenti in mattoni che, per l’esiguità delle superfici visibili, è in dubbio se siano parti di paramenti in opus latericium o in opus mixtum. Figg. 3; 5 B; 9. Frammenti di scogli di conglomerato sono sparsi tra il Trave e la struttura identificabile coi muri 23-33. Allo stato attuale non si può escludere una situazione riconducibile a quanto riportato nella fig. 5 B, ma nemmeno la si può avvalorare. Figg. 9-12, nrr. 23-33. Nei pressi della battigia sono presenti cospicui resti di una struttura in opera reticolata mista, che sembrano formare un angolo retto a Nord-Ovest. L’unico tratto nella sua posizione originaria sembra il nr. 32 (largo ca. cm 120), che risulta avere all’incirca lo stesso orientamento del Trave (nr. 34). Allo stesso muro dovevano appartenere i tronconi 27, 28-33, che sono in posizione di crollo. Un altro muro (nr. 23), sebbene collassato e, quindi, non in 20 - Vasto, località Trave. Resti murari postantichi nei pressi del Monumento alla Bagnante.

   

21 -Vasto, località Concadoro, sito VA 02.2. Resti murari sulla battigia: da Nord (A), da Sud (B).

22 - Vasto, località Concadoro, sito VA 02.2. Resti murari sulla battigia.

situ, presenta ancora visibili i paramenti delle facce est ed ovest, che consentono di misurarne la notevole larghezza (ca. 270 cm). Non è da escludere che i nrr. 23-34 appartengano ad un’unica struttura rettangolare, così come ipotizzato nella fig. 3 e dal disegno riportato da Giuseppe Catania in più articoli sin dal 1968 sulla base delle informazioni ricevute dai sommozzatori Michele Benedetti e Bruno Smargiassi (fig. 5) 38. Fig. 13. Un tratto di muro curvo in opus latericium, adagiato con la parte concava in alto, è visibile sulla battigia nei pressi del trabocco del Trave. Fig. 14. Nei pressi della riva, sulla scarpata argillosa, fino al 1991 era ancora visibile una fondazione in caementicium (fig. 14), attualmente scomparsa poiché scalzata dall’erosione marina. Figg. 15-19. Il fondale del tratto compreso tra il Trave ed il Monumento alla Bagnante è cosparso da un cospicuo numero resti di strutture, tra le quali si distinguono muri in reticolato (figg. 15-16) e laterizio (figg. 17-18). Alcuni di questi sono in situ o si sono spostati di poco, come alcune nicchie (fig. 18), un angolo di vasca e due colonne in mattoni, del diametro di ca. 70 cm (fig. 19). Fig. 20. Nei pressi del Monumento alla Bagnante (figg. 2; 9) sono presenti anche spezzoni di murature postantiche, molto probabilmente riferibili alle fasi medievali o moderne delle strutture portuali39. SITO VA 02. CONCADORO/ CONCARELLA/ CUNGARELLE L’area attrezzata per gli approdi doveva estendersi verso Nord, come attestano i possenti resti murari semissomersi che si trovano tra il Trave e Concadoro/ Concarella/ Cungarelle/. Su tale linea in-

 

23 - Vasto, località Concadoro, sito VA 02.2. Resti di un grande pilastro articolato: da Nord (A), da Ovest (B).



24 - Vasto, località Concadoro, sito VA 02.2. Paramento in opera laterizia conservatosi nella parte ovest del grande pilastro (cfr. fig. 23).

terpretativa spingono anche i reperti rivenuti sulla spiaggia e nello specchio di mare antistante Concadoro, cioè il segmento di costa compreso tra il Trave e Casarza (fig. 2). Il tratto in questione non è accessibile da terra ed i resti sono raggiungibili soltanto camminando lungo la battigia, sugli scogli, oppure dal mare. - I resti murari Figg. 2, VA 02.2; 21-24. All’incirca a metà della distanza tra le punte occupate dai trabocchi del Trave e di Concadoro c’è una concentrazione di possenti muri ridotti a tronconi e sparsi lungo la battigia o sommersi nell’immediato specchio d’acqua. Si tratta essenzialmente di opere murarie in cementizio idraulico particolarmente tenace. I muri sono stati molto probabilmente distrutti durante i lavori di contenimento e consolidamento della sede ferroviaria, che passa qualche decina di metri più a monte. L’unico paramento visibile è quello in laterizio conservatosi su un possente blocco di cementizio, molto probabilmente un pilastro articolato, che reca le seguenti misure: 340 x 110 x 280 cm (figg. 23-24). Figg. 2, VA 02.1; 25-26. Altra concentrazione di muri antichi rotti, poco più a Sud del sito VA 02.2. In particolare, si segnala l’alzato di un enorme pilastro a pianta quadrata (240 x 240 x 280 cm si altezza residua) che doveva poggiare sulla fondazione, ancora in situ, dalla quale è stata divelta e ruotata, probabilmente nel corso dei lavori di consolidamento del terrapieno fer roviario.



25 - Vasto, località Concadoro, sito VA 02.1. Resti murari sulla battigia: da Sud (A), da Ovest (B).

   

26 - Vasto, località Concadoro, sito VA 02.1. Resti di un grande pilastro sulla battigia: particolare del paramento attualmente sulla faccia superiore (A); il pilastro da Sud (B).

SITI VA 01, VA 02. I MATERIALI CERAMICI Nel tratto di mare immediatamente a Nord del trabocco del Trave, verso Concadoro, sono presenti numerosi frammenti ceramici riferibili a grandi contenitori da trasporto di prima età imperiale, accumulati dalle correnti contro le barriere naturali di scogli parallele alla costa, che, tra l’altro, testimoniano antichi limiti di costa. Uno di questi frammenti è stato prelevato nel 1992 e consegnato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo. Si tratta della parte superiore di un’anfora Dressel 6A, databile tra l’età augustea e quella giulio-claudia (fig. 27 A)40. Numerosi sono i frammenti ceramici (fig. 27 B-C) e di laterizi presenti tra i ciottoli delle piccole spiagge del Trave e di Concadoro (fig. 2), che aumentano di numero in quella più grande di Casarza (fig. 27 B-D), che sarà oggetto di una futura ricerca. Nella maggior parte dei casi tali reperti sono ormai del tutto privi delle loro caratteristiche originarie: sono diventati ciottoli o pezzi informi coi margini arrotondati, ma talora si riesce a riconoscervi frammenti di tegoloni o di mattoni triangolari (fig. 27 D) provenienti da strutture di epoca romana. Sono presenti anche numerosi frammenti ceramici medievali e moderni come protomaioliche di fine XIII secolo (fig. 27 B), maioliche ed invetriate di XVI secolo (fig. 27 C). SITI VA 01, VA02. I RITROVAMENTI NEL PASSATO: EPIGRAFI E SCULTURE Si pubblica di seguito quanto era stato integralmente già riportato dallo scrivente nella sua tesi di laurea41, nel frattempo ripreso e pubblicato da altri42, spesso confondendo e mescolando le località e i dati43.

 



Nel passato l’area compresa tra il Trave e Casarza, cioè Cancadoro, ha restituito importanti reperti, raccolti e schedati da Luigi Marchesani, primo direttore del locale museo archeologico, oggi a lui intitolato44. Si tratta soprattutto di frammenti di statue e di iscrizioni, per le quali si aggiornano i relativi repertori, soprattutto per i dati di rinvenimento45. 1. CIL IX 2925 a (nel tratto di spiaggia fra Casarza e Trave)46; 2. CIL IX 2925 b (nel tratto di spiaggia fra Casarza e Trave)47. In entrambi i casi non è possibile interpretare i testi per il numero esiguo di lettere conservatesi. I frammenti sono molto erosi a causa della lunga permanenza in acqua. Datazione: I-II secolo d.C. 27 - Vasto. A. parte superiore di anfora da trasporto 3. CIL IX 2942 (nel tratto di spiaggia fra Ca- Dressel 6 A, dallo specchio d’acqua di Concadoro; B. fondo di scodella in protomaiolica (fine XIII secolo) sarza e Trave)48. Si tratta con molta probabilità di una testimo- dalla spiaggia di Casarza; C. frammenti di ceramica invetriata (XVI secolo) dalla spiaggia di Casarza; D. nianza dei lavori relativi a strutture d’approdo o, frammenti ceramici e di laterizi tra i ciottoli della comunque, che avevano a che fare con l’acqua [- spiaggia di Casarza. - -]aqqua[- - -], che qualcuno, di cui non si conserva il nome, fece eseguire a proprie spese [- - -d]e s(ua) p(ecunia) f(ecit)49. 4. CIL IX 2921 (nel tratto di spiaggia fra Casarza e Trave)50. Epigrafe funeraria. 5. «Busto di animale in marmo bianco trovato nel lido del Trave in aprile 1853»51. Il reperto è stato visto da chi scrive nel 1994 nel magazzino del locale museo archeologico, senza numero d’inventario. Si tratta del frammento di una piccola statua, forse un cavallo, databile alla prima età imperiale. 6. Testa di putto in marmo italico bianco a grossi cristalli, databile alla fine del I secolo d.C. 52. «Fu rinvenuta nel dicembre 1882 alla contrada della Trave, presso il casello ferroviario 199, da un cantoniere che scavava un fosso per piantarvi un’acacia»53. 7. Circa 700 m a Sud del Trave, nella contigua località Spiaggia, «Nel mese di marzo ultimo, varie antichità vennero a luce anche presso la stazione della strada ferrata, in un terreno del sig. Alfonso Genova. Trattasi di parecchi muri, e di pavimenti della stessa struttura di quelli della contrada Torricella. Né vi mancarono i grandi dolii, fracassati dai lavoratori, e né anche i tegoloni iscritti. In uno vedesi l’ultima parte del bollo di altra tegola istoniese, riprodotta nel n. 6078, 35 del vol. IX del C. I. L. cioè: ap oLAV g.v. H-G In altro leggesi la marca: C SILI»54 Sicuramente non proviene da questa fonte, alla quale viene erroneamente attribuita, la notizia relativa a «muri e pavimenti usciti durante la costruzione della Stazione Ferroviaria»55. Nel 1888, sono ribaditi alcuni dati già forniti due anni prima, arricchendo di poco il quadro dei ritro-



28 - Vasto, località Angrella, sito VA 04.1 (cfr. fig. 2). Resti murari del monastero di Santa Maria in Valle con paramenti ricchi di materiale antico di riutilizzo.

   

29 - Vasto, località Angrella, sito VA 04.1 (cfr. fig. 2). Resti murari del monastero di Santa Maria in Valle.

vamenti, ma specificando meglio la località:«… or sono due anni, in un fondo rustico del sig. Alfonso Genova, in contrada Spiaggia, poco distante dalla stazione ferroviaria, costruendosi una nuova casa, si scoprirono alla profondità di circa m. 1,00, dei muri laterizi, abbastanza solidi, con resti di pavimenti diversi a piccoli quadrelli di creta cotta, di m. 0,46 di lato, e ad opus spicatum. Si ebbero pure frammenti 30 - Vasto, via Santa Lucia, sito VA 04.2 (cfr. fig. 2). di tegoloni, mattoni, pietre e tufi, ed una grossa pieFacciata est del convento omonimo con evidenti ele- tra calcare larga m. 0,70, lunga più di un metro, che menti antichi riutilizzati nel paramento murario. dovè essere stata la soglia di una porta. Si scoprirono poi due doli, con molte lesioni; e di oggetti scritti, due frammenti di un titolo sepolcrale marmoreo». Proseguendo nella descrizione dei ritrovamenti, vengono pubblicati i due bolli laterizi già descritti nel 1886, ai quali si aggiunge quello circolare Hosidi Hilari x, del tipo CIL IX 6078, 11656. La località Spiaggia è quella che inizia a Sud del Trave e prosegue su questo lato verso la vecchia stazione ferroviaria.

 



8. Potrebbe essere l’area del Trave quella dove è stato scoperto, agli inizi del Novecento, una base di statua pedestre iscritta57. La statua, di cui rimangono i supporti di piombo per i piedi, raffigurava un certo Gaius Hosidius Geta urbanus cerialis, probabilmente il legato di Claudio al quale fu affidata la conquista della Britannia nel 43 d.C.58. Sinora il reperto è stato ritenuto di «provenienza ignota», ma l’identificazione del luogo di rinvenimento nelle vicinanze della zona costiera attrezzata in età romana per gli approdi gli consegna un significato storico di non secondaria importanza: in questo caso non si ricorda l’Osidio Geta grande condottiero e 31 - Vasto, via Roma, sito VA 05.2 (cfr. fig. 2). Resti della navata o di conquistatore (che ottenne gli orna- una delle navate di destra della probabile cattedrale paleocristiana menta triumphalia), ma l’Osidio di Histonium (da A QUILANO 2003). Geta nella sua funzione di cerialis urbanus, cioè membro della corporazione degli ex sacerdoti di Cerere59, la dea che richiama ovviamente i cereali - il principale prodotto di esportazione di questi territori assieme col vino e con l’olio - ma anche la dea nutrice e della fertilità dei campi. Significativa, in tal senso, la menzione degli urbani ceriales in ben quattro iscrizioni di prima età imperiale provenienti dal territorio di Vasto60 se collegata ad un contesto sociale che considerava la produzione agricola il principale pilastro dell’economia locale. Su questo punto convergono in maniera decisa anche i risultati delle recenti indagini archeologiche e degli studi di carattere topografico sul territorio61. SITO VA 04. CASARZA Piccola insenatura, circa 1 Km a Nord del “Trave”. Sulla spiaggia di Casarza la quantità di materiale ceramico e fittile presente tra i ciottoli aumenta di molto, ma di strutture non c’è alcuna evidenza sulla terraferma. Le indagini subacquee non sono state svolte in maniera tale da poter escludere che possano esserci dei resti murari in ambiente sottomarino, sempre per il solito problema della visibilità. - L’Angrella ed il monastero di Santa Maria in Valle Casarza si trova al termine del fosso dell’Angrella (Fig. 2, VA 04.1)62. Il percorso principale per raggiungere il sito partiva anch’esso dall’angolo nord-orientale della città antica 63. Un altro collegamento, sicuramente modificato dalle continue piccole frane che si susseguono in quest’area, era quello che attraversava la valle dell’Angrella, dov’era ubicato il monastero di Santa Maria in Valle. Nelle numerose murature medievali sparse nell’area (figg. 3, VA 04.1; 28-29) sono presenti elementi di epoca romana riutilizzati (fig. 28)64, come anche nei paramenti del vicino rudere del convento di Santa Lucia (figg. 2, VA 04.2; 30)65. Nella valle dell’Angrella, infatti, fu segnalata nel secolo scorso una



   

consistente presenza di ruderi antichi 66, attualmente non identificabili, forse perché sconvolti o ricoperti di terra in conseguenza della forte instabilità idrogeologica del sito. Il monastero è menzionato per la prima volta in un documento del 1276. Si tratta di un esposto con cui l’abate di Casanova denunciava a Carlo I d’Angiò alcuni soprusi perpetrati da un certo Andrea De Sulliaco ai danni della sua comunità. Tra gli altri misfatti, l’abate lamentava il furto di tutti gli attrezzi della barca di Santa Maria in Valle, normalmente usata dai monaci per inviare le vettovaglie alla comunità cistercense di Santa Maria di Tremiti67. La posizione del monastero era chiaramente legata alla presenza dello scalo di Casarza, tramite il quale erano garantiti i collegamenti con Tremiti e con altre località. Il monastero all’epoca si trovava nel territorio di Vasto, ma nell’XI-XII secolo doveva rientrare nei confini del Castellum de Torrecella, proprietà condivisa attorno alla metà dell’XI secolo tra i monaci di santo Stefano in Rivo Maris e quelli di Santa Maria di Tremiti, ai quali era appartenuto almeno fino al 1172, mentre nel 1176 appare tra le proprietà di San Giovanni in Venere68. I monaci tremitensi mantennero ancora per molto tempo il controllo sul monastero, come dimo32 - San Salvo. Resti dell’abitato antico (A) e particostra il documento del 1276 ed il possesso, ancora nel lare del mosaico tardoromano (B). 1557, di alcuni magazzini nel porto della Meta69, nel cuore di quello che era stato il territorio di Torricella nell’XI e nel XII secolo70. SITO VA 04. CASARZA: I RITROVAMENTI NEL PASSATO CIL IX 2861. Si tratta di un frammento di iscrizione, datata alla fine del II secolo d.C. 71, che ricorda l’acquisto di frumento ad opera di due personaggi al fine di sopperire alla penuria locale del prodotto: [- - -]niens et ti/[- - -] / [- - -]. caritat(e) ann[onae cum] / [frume]nti copia non e[sset - - ] / [- - -] L modios sin[g(ulis) emerent] / [- - -]d[- - -] Il nome dei due personaggi non è interamente ricostruibile, mentre la quantità di frumento da loro acquistata si conserva forse integralmente - «[- - -] L modios». Il fatto che l’iscrizione sia stata rinvenuta a Casarza prova che qui arrivava e da qui partiva merce e che la lastra era stata collocata sul posto ad futuram rei memoriam. IL TRATTO DI COSTA TRA TRAVE E CASARZA DI VASTO: LE FONTI DOCUMENTARIE Per le fonti documentarie il discorso è quanto mai complesso, perché esse annoverano una serie di testi falsi e/o interpolati da Pietro Polidori e che purtroppo continuano ad essere considerati acriticamente anche nelle ricostruzioni storiche più recenti72. In realtà, alcuni documenti potrebbero avere un fondo di verità, ma sono stati talmente interpolati

 



dall’erudito settecentesco, che utilizzarli significherebbe piegare l’interpretazione dei fenomeni storici a quella tendenziosità tipica del falsario erudito, che spesso fa comodo a talune ricostruzioni73. Tra i documenti tanto famosi a livello locale quanto indegni di fede storica è il Chronicon rerum memorabilium monasterii Sancti Stephani Protomaryris ad Rivum Maris74, uno smaccato centone polidoriano75. Tra le altre cose, il cronista medievale riporta di aver partecipato ad una cerimonia in onore di papa Alessandro III a Vasto, in occasione del lungo soggiorno forzato del pontefice in questa città nel febbraio 1177 a causa del mare burrascoso76. La fonte primaria che riporta il fatto è la cronaca di Romualdo Salernitano, che nell’edizione muratoriana riporta erroneamente «Vasta», che serve a Pietro Polidori per inventare - all’epoca senza tema di smentita - una permanenza a Vasto del 33 - Vasto, località Punta Penna. Le principali presenze archeologiche. pontefice. Il crollo del castello polidoriano, già fortemente criticato a ragione dallo Schipa77, avviene nel momento in cui appare l’edizione critica della fonte, che certifica «Vestam»78 come lezione genuina, consentendo di identificare in Vieste la località del soggiorno forzato del pontefice. L’invenzione polidoriana ha dato il destro ad altri esiti fantasiosi, come lo sbarco del pontefice proprio al Trave79, fatto tra l’altro non menzionato neppure nella falsa Cronaca. Se si esclude Pennaluce, all’epoca centro autonomo dal punto di vista giurisdizionale80, la protesta inoltrata nel 1276 dal priore di Santa Maria in Valle è per il momento la più antica attestazione documentaria di un’attività mercantile a Vasto. La prima menzione di attività portuali strutturate con portolani a Vasto, prescindendo dalle pseudofonti polidoriane - secondo le quali «… i Sovrani della Normanna dinastia… resero Vasto emporio di commercio»81 - è del 1289, quando si concesse a Jacopo Sterparolo di estrarre dal Guastaimone (Vasto) 100 salme di frumento da conferire a Monopoli82. IL TRATTO DI COSTA TRA TRAVE E CASARZA DI VASTO: L’INTERPRETAZIONE DEI DATI La principale evidenza che deriva dall’osservazione della distribuzione dei resti archeologici lungo la costa vastese è quella di un sistema portuale di tipo diffuso, con punti di attracco attrezzati lungo quasi tutta la costiera nei pressi dell’abitato antico, preferibilmente nelle conche, sia perché meglio riparate dai venti, sia perché ricche d’acqua, in quanto geomorfologicamente altro non sono che foci di brevi corsi. Lo stesso sistema di localizzazione si ritrova, poi, per tutto il bassomedioevo e la prima età moderna, fino a quando – sembrerebbe attorno alla metà del XVII secolo - le attività vengono concentrate nel tratto di



   

34 - Petacciato - Termoli. Carta archeologica dell’area di Valle San Giovanni.

costa immediatamente sottostante all’abitato, a Casarza, al Trave ed alla Spiaggia83. Un quadro di tale situazione, ancora vigente alla metà del XIX secolo, è offerta dalle Consuetudini Municipali di Vasto. In esse sono riportate le tariffe e le norme di regolamentazione del trasporto delle merci da e verso le località d’approdo, che sono Trave, Spiaggia, Casarza e Punta Penna84. I resti murari presenti in località Trave non sono direttamente riferibili a strutture portuali, ma ad un insediamento a diretto contatto col mare, di cui il Trave rappresenta il muro che conteneva la spinta del terreno dall’interno e quella dei flutti dall’esterno. Il fatto che le strutture siano leggermente sommerse è imputabile ad un fenomeno riconducibile al bradisismo negativo. Il movimento tettonico di superficie fu invece di carattere positivo nel corso della grande frana del 1816, quando le acque, ritirandosi, misero temporaneamente allo scoperto, «... avanzi co’ rottami di antiche fabbriche, con due pezzi di colonnato di mattoni cotti, vari pavimenti di opera reticolata e muri di mattoni a triangolo» (cfr. figg. 15-19)85. E’ altrettanto evidente che tali strutture erano funzionali ad accogliere navi di media e piccola stazza a causa dei fondali poco profondi, mentre le più grandi potevano attraccare leggermente al largo e provvedere con imbarcazioni più piccole alla movimentazione delle merci. L’attività portuale è attestata anche sul piano epigrafico, oltre che dall’evidenza topografica della viabilità storica e dal posizionamento delle strutture di carattere commerciale nell’ambito dell’organizzazione urbanistica di Histonium86. Per quanto riguarda le murature identificabili al Trave e a Concadoro, si tratta di opera reticolata mista, databile nell’ambito del I secolo d.C., ed opera laterizia plausibilmente databile alla stessa epoca. I resti compresi nel tratto Trave-Concadoro sono riconducibili perlopiù a possenti strutture, tra le quali si distinguono due grandi pilastri (figg. 23; 25). I paramenti, laddove visibili, sono in opus latericium, anch’essi plausibilmente riferibili alla prima età imperiale. Non mancano muri ascrivibili all’epoca postantica ca. 100 m a Sud del Trave, individuabili sia per il riutilizzo di materiali antichi, sia per l’uso di mattoni rettangolari al posto di quelli tagliati a mo’ di triangolo (fig. 20). Per essi la definizione cronologica non può essere puntuale, come non si può escludere che un’analisi più attenta e sistematica, che necessita della pulizia delle superfici mu-

 



35 - Petacciato, località Torre di Petacciato. Foto aerea del sito archeologico sommerso (PE 15).

rarie ricoperte di incrostazioni e di alghe, possa rivelare la presenza di muri riferibili ad altre epoche, tra l’altro già ipotizzata senza però il conforto dei dati a disposizione87. Sulla circolazione delle merci e sulle produzioni di anforacei, il quadro dei ritrovamenti sinora pubblicato conferma la partecipazione dell’area histoniense ai traffici mercantili mediterranei sia per quanto riguardo le importazioni che le esportazioni88. Lo stesso vale per le altre classi ceramiche, per le quali è attestata un’elevata quantità di prodotti provenienti dal Nordafrica e dall’area microasiatica tra il IV ed il VI secolo d.C., come stanno confermando le recenti ricerche sul territorio che a breve saranno rese note. PETACCIATO Le ricerche storiche relative ai confini delle giurisdizioni municipali dell’area frentana sono rimaste ferme alle affermazioni del Mommsen, che collocava il confine meridionale di Histonium sul fiume Trigno ed attribuiva il territorio a Sud del fiume a Buca e ad Uscosium89, entrambi di dubbia localizzazione. Se Buca fosse identificabile con Termoli o con Petacciato o con Valle San Giovanni, la ricostruzione mommseniana troverebbe un fondamento, ma non necessariamente è così90e la si può accettare soltanto per rimanere coerenti ad una classificazione geografica di comodo perché ormai consolidata nella tradizione storiografica. Il territorio di Petacciato è particolarmente ricco di siti archeologici, ma non è mai stato oggetto di ricerche sistematiche o di campagne di scavo91. SITO PE 15. TORRE DI PETACCIATO I fondali nel tratto di mare di fronte alla Torre di Petacciato 92 (figg. 34, PE 15; 35) sono noti localmente per i frequenti ritrovamenti archeologici. Le recenti esplorazioni subacquee condotte da



36 - Petacciato, sito PE 15. Muri in opus latericium in ambiente sottomarino.

   

37 - Petacciato. Reperti provenienti dal sito PE 15. A. tegolone con bollo laterizio Verecund(i); B. mattone subpedale; C. mattone subquadrato con lato di cm 21-23; D. mattone di colonnina; E. cubilium e ciottolo sbozzato con tracce di malta.

Corrado Malorni hanno confermato la presenza di strutture di epoca romana (fig. 36) distribuite su una superficie piuttosto ampia ed ancora da definire nella loro articolazione (fig. 35). L’esistenza di murature in ambiente sottomarino era comunque deducibile in base al recupero, nel passato, in quelle acque, di numerosi elementi murari, come cubilia, mattoni, tegoloni, questi ultimi dotati spesso di bollo laterizio (fig. 37)93. La posizione delle strutture spinge a ritenere che si tratti dei resti di un insediamento sommerso dalle acque marine in conseguenza di un bradisismo negativo riconducibile, come nel caso del Trave di Vasto, ai movimenti franosi di modellazione della falesia antica. Lungo il versante di quest’ultima, alle spalle della torre, la località Valle di San Giovanni reca(va) importanti testimonianze archeologiche riferibili all’epoca italico-frentana, romana e medievale, che molto probabilmente costituiscono, a seconda delle epoche, il sistema di riferimento locale dell’insediamento oggi sommerso 94. Il santuario italico-frentano (fig. 34, PE 14) è stato purtroppo fortemente compromesso, se non addirittura del tutto distrutto, da un edificio moderno e dalle sue pertinenze. Il contesto sacro di Valle San Giovanni, unitamente ad un deposito votivo ubicato poco più a monte, in località Demanio Spugne, è stato in parte recuperato, studiato e pubblicato di recente95 e forse ad esso si riferisce la segnalazione, non ulteriormente specificata, di resti «nell’area di Petacciato, dove, a pochi metri dal mare, è documentato anche un santuario ellenistico»96. I resti di una ricca villa romana sono stati probabilmente distrutti nel luglio 2012 (fig. 34, PE 13) per porre fine ad una “scomoda” discontinuità nella coltivazione di un campo. Dalle

 

38 - 39 - Petacciato, località Valle San Giovanni. Sito PE 13: rocchio di colonna in pietra calcarea e frammento di pavimento in opus spicatum nell’accumulo di materiali archeologici asportato clandestinamente nel luglio 2012 assieme coi resti della struttura antica.

strutture antiche proveniva un grande accumulo di rottami edili, tra i quali non potevano non notarsi un rocchio di colonna in pietra calcarea bianca (fig. 38), grandi frammenti di pavimenti in opus spicatum (fig. 39), tronconi di muri coi paramenti in ciottoli con la faccia a vista spac cata, frammenti di cornici marmoree e piccoli frammenti di pavimenti musivi. Alcuni reperti sono stati recuperati da privati e consentono di avere almeno una vaga idea della ricchezza della villa (figg. 40; 41): mattoni circolari, un bollo laterizio 97 frammenti di capitelli corinzi in marmo, pavimenti musivi ed in opus spicatum, grappe di piombo, grandi contenitori in pietra, laterizi di colonne, grappe di piombo. Tra il materiale ceramico raccolto durante una ricognizione eseguita nel 1994 dalla Parsifal Cooperativa di Vasto, si segnalano frammenti ceramici di epoca neolitica (d’impasto e del tipo “Catignano”), di età ellenistica (ceramica a vernice nera), di prima età imperiale (terra sigillata italica), di età tardoromana (sigillata africana e ceramica dipinta a bande) e medievale (una placchetta di fibbia tipica del XIIXIII secolo). La varietà del materiale recuperato, tra l’altro in una semplice ricognizione di superficie, 40 - Petacciato, località Valle San Giovanni. Reperti recuperati da privati nel sito PE 13 (foto di Corrado Malorni): mattone di colonnina (A); bollo laterizio CIL IX 6078, 128; (B); frammento di pavimentazione musiva (C); mattoni di colonne e grappa di piombo (D); fondo di coppa a vernice nera con decorazione impressa a palmette (E); grande contenitore di pietra calcarea (F).



    41 - Petacciato, località Valle San Giovanni. Reperti recuperati da privati nel sito PE 13 (foto di Corrado Malorni): frammenti di cornici di marmo (A, B); frammenti di capitelli corinzi di marmo (C-E); pesi da telaio (F). .

trova conferma anche nella peculiarità di alcuni elementi, che spingono ad un approfondimento: nel sito è stato rinvenuto un frammento di kalypter hegemon, che potrebbe indiziare la presenza di un edificio di culto o, comunque, di prestigio, di epoca ellenistica, mentre alcuni mattoni circolari (fig. 40, A) appartenevano molto probabilmente alle colonnine delle suspensurae di una terma privata di epoca imperiale. Non è da escludere che questo fosse anche il sito della chiesa di San Giovanni, ricordata nei documenti dell’abbazia di Santa Maria di Tremiti dal 1038, quando il conte di Chieti Trasmondo (IV) 98 cedette alla comunità benedettina isolana la quarta parte del porto alla foce del Tecchio, le chiese di San Paolo, di San Nicola99, di San Giovanni e di San Michele, ubicate nel territorio di Petacciato, ricevendo in cambio alcune proprietà tremitensi nella zona di Vasto100. 42 - Casalbordino, località Casette Santini – Santo Stefano (da STAFFA 2002). Macrosito CA 01 (cfr. fig. 1). A sinistra (X): planimetria dei resti antichi esistenti in località S. Stefano - Casette Santini: D) tracciato della via Flaminia adriatica poi ripreso in età medievale dal tratturo L’Aquila-Foggia; A) resti di villa romana, basilica paleocristiana e monastero altomedievale e medievale di S. Stefano in Rivo Maris; B) resti della statio di Pallanum scavati nel 1991 lungo il tracciato della via Flaminia adriatica C); resti probabilmente riferibili ad un piccolo approdo visibili o inglobati nelle case del piccolo borgo marinaro di Casette Santini. A destra (Y): planimetria generale di statio o mansio di Pallanum scavata nel 1991 lungo il tracciato della via Flaminia adriatica, in località S. Stefano - Casette Santini (ril. Davide Aquilano, dis. Autore).



 

43 - Casalbordino, località Casette Santini. Resti della probabile statio di Pallanum (cfr. fig. 42, X, B), settore Nord: residuo di pavimentazione a mosaico dell’ambiente N.

44 - Casalbordino, località Casette Santini. Resti della probabile statio di Pallanum (cfr. fig. 42, X, B), settore Nord: muro con paramenti di ciottoli con la faccia a vista spaccata.

Altri siti di particolare interesse sono quelli distribuiti lungo l’ex SS 16 o nei pressi di essa, come una probabile necropoli in località Vaccareccia (fig. 34, PE 11), testimoniata dai resti di fosse riempite con ciottoli, tipiche delle sepolture italico-frentane, e alcuni piccoli insediamenti agricoli (fig. 34, PE 12). Tali presenze confermano l’importanza di questo percorso nell’antichità e nel pieno medioevo come arteria principale dalla quale si diramavano strade secondarie che raggiungevano i luoghi di mercato, gli insediamenti e gli approdi come quello oggi sommerso di fronte alla Torre di Petacciato. Si ha notizia di alcuni ritrovamenti effettuati in ambiente sottomarino nel tratto tra Termoli e Petacciato, in località “L’Aspro”, una lunga scogliera parallela alla costa: ca. 4 Km a Sud di Pe tacciato, a 700 m dalla battigia, a 10 m di profondità, il 23 agosto 1989 l’Istruttore Subacqueo Corrado Malorni recuperò e consegnò alla Guardia di Finanza di Termoli alcuni reperti, giunti infine in Soprintendenza il 7 febbraio 1990: un’ancora di ferro ad una mazza (il braccio è lungo 110 cm), un’anfora di I secolo d.C., due colli d’anfora ed altri tre frammenti d’anfora 101. Attorno alla metà degli anni novanta la Soprintendenza e lo S.T.A.S. hanno svolto indagini subacquee per chiarire la natura di alcune anomalie registrate in mare poco a largo del tratto di costa tra Termoli e Petacciato 102 . Il problema della localizzazione di Buca. Elisa Salvatore Laurelli propone di localizzare Buca «… presso lo scalo ferroviario di Petacciato» sulla base di una sua personale ricostruzione del sistema di rilevamento geodetico utilizzato da Strabone103. La geografa non conosceva i resti presenti nell’area di Valle di San 45 - Casalbordino, località Casette Santini (cfr. fig. 42, X, C). Possente muratura, spessa ca. 170 cm, con paramento sud in opera reticolata (mista?) e paramento nord in opera laterizia.



46 - Casalbordino, località Casette Santini (cfr. fig. 42, X, C). Paramento in opera reticolata (mista?) con ripresa seriore in ciottoli posti in opera con faccia spaccata a vista e mattoni.

   

47 - Casalbordino, località Casette Santini (cfr. fig. 42, X, C), Ambiente termale all’interno degli edifici moderni.

Giovanni e ciò dà maggiore forza alla sua ipotesi di identificare Buca con i resti dell’insediamento presenti nei fondali di fronte alla Torre di Petacciato (figg. 34; 35), visto che l’autrice non deve dimostrare nulla e, a differenza di altri, non deve difendere ricostruzioni elaborate sulla base di premesse fittizie e/o effimere. La certezza, però, non è data, perché anche per questa ricostruzione non è stata ancora validata la premessa: la ricostruzione del sistema di rilevamento geodetico straboniano. La localizzazione di Buca a Punta Penna di Vasto 104 potrebbe essere plausibile come quelle che la vogliono a Termoli 105 , a Campomarino 106 o lungo la costa petacciatese: Buca potrebbe essere stata un antico centro portuale o, comunque, un centro costiero non dotato di autonomia amministrativa, ma rientrante nell’ambito del municipium Histoniensium 107 . In questa prospettiva, l’unica realtà degna di rilievo per la soluzione della questione sembrerebbe essere San Salvo (fig. 32) 108 . La localizzazione di Buca nei pressi di Sambuceto, una frazione di Bomba, non ha argomenti meno validi delle altre proposte 109 , come funziona anche l’ardita ricostruzione che vuole risolvere l’incongruenza tra le fonti con la proposta dell’esistenza di più insediamenti col nome “Buca”: una alla foce del Sangro, l’altra alla foce del Biferno 110 . A questo punto, ci si consenta di dare un paio di contributi alla questione, anch’essi infondati, ma allo stesso tempo plausibili: 1) con San Salvo si giustificherebbe anche la terza Buca, quella alla foce del Trigno; 48 - Casalbordino, località Santo Stefano. Resti della probabile chiesa abbaziale: i paramenti in ciottoli interno (in alto) ed esterno del muro di fondo meridionale.

 



2) Buca è il nome assunto dalla frentana Histonium, ubicata sul promontorio di Punta Penna, dopo che i Romani fondarono la loro Histonium nel sito oggi coincidente con il centro storico di Vasto: in questo modo si mettono d’accordo la tesi della localizzazione della Histonium frentana a Punta Penna e quella che vuole qui la Buca romana. CASALBORDINO, CASETTE SANTINI – SANTO STEFANO IN RIVO MARIS (CA 01) Da molto tempo nota per i resti di strutture antiche e medievali, l’area di Santo Stefano in Rivo Maris negli ultimi decenni è stata interessata da scavi e ricerche archeologiche condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo111 e dalla Cattedra di Archeologia Medievale dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti 112. Di estremo interesse sono i ruderi - sinora non indagati dell’abbazia di Santo Stefano (fig. 48), fondata nella prima metà dell’XI secolo ad opera di Trasmondo (IV)103, figlio del conte di Chieti Landolfo («Transmundus filius Landulfi comitis, cuius hereditariis prediis idem monasterium fundatum est»114), nell’ambito di un generale e vivace movimento di riorganizzazione politica ed economica che interessò la costa meridionale abruzzese e quella molisana nella prima metà dell’XI secolo115. In realtà, la menzione più antica del monastero è sinora quella del febbraio 1034, quando la «terra sancti Stephani» è ricordata nella confinazione di alcune proprietà site «in locum qui nominatur Planasi»116, donate da Siolfo, figlio di Alberto, al monastero di Santa Maria di Tremiti117. Questi dati, difficilmente contestabili, sono sicuramente da preferire a quelli forniti dall’apocrifa Cronaca di Santo Stefano in Rivo Maris118, che in questa sede si tralascia deliberatamente di prendere in considerazione. Se i ruderi del monastero attendono ancora di essere indagati, tra il 1974 ed il 1976 la Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo ha svolto degli scavi archeologici nei vicini resti di una basilica paleocristiana intitolata probabilmente a Santo Stefano Protomartire (fig. 49)119. L’edificio, arricchito con pregevoli mosaici pavimentali databili alla fine del V-VI secolo, si inserisce in un’area precedentemente occupata da costruzioni di prima età imperiale120, che insistevano sul margine del terrazzo marino che domina la spiaggia sottostante, dove anche sono stati rinvenuti i resti di altre strutture antiche (fig. 42 X). Un grande edificio a pianta rettangolare (ca. 35 x 50 m), in uso tra la prima età imperiale ed il VI secolo inoltrato, forse anche parte del VII121, è stata individuato nel 1991 nel corso dei lavori di raddoppio della linea ferroviaria adriatica (fig. 42 Y), a ca. 150 m dall’odierna battigia. La struttura è stata tranciata nel mezzo dal passaggio della ferrovia, che ne ha interrotto la continuità. I resti si trovano all’interno dell’ampia superficie del tratturo L’Aquila-Fog- 49 - Casalbordino, località Santo Stefano. Planimetria dei gia122 (largo in media ca. 110 m), vicino ad un resti della chiesa paleocristiana indagata nel 1974-1976 gruppo di case, le Casette Santini, note da sem- (da TULIPANI 2001). pre per la presenza di resti di prima età imperiale (fig. 42 X)123 e di una fantomatica galleria che avrebbe messo in collegamento il sito con l’abbazia di Santo Stefano. In realtà, una “galleria” è stata riportata alla luce nel corso dei recenti lavori di ristrutturazione di uno degli edifici del gruppo di case per adibirlo a locale di ristorazione (fig. 47): si tratta del condotto che diffondeva l’aria calda dal praefurnium agli ambienti riscaldati di un impianto termale. Si conserva anche il livello inferiore delle suspensurae: un



   

piano di mattoni quadrati sul quale erano impostati i piccoli pilastri in laterizio che reggevano il pavimento. Quel poco che è stato indagato, rispetto alla totalità ed alla complessità dei resti, è riferibile, quindi, ad un impianto termale di tutto rispetto (fig. 47) e ad una sorta di edificio polifunzionale (fig. 42 Y), con ambienti di servizio, ma anche con finiture di buon livello, come una pavimentazione musiva (fig. 43). Tali presenze, assieme con quelle antiche e tardoantiche che insistono nell’area dell’abbazia di Santo Stefano consentono di localizzare qui l’insediamento che nella Tabula Peutingeriana è denominato Pallanum, toponimo tra l’altro oggi conservatosi a breve distanza nella forma “Pallano”124. Si tratterebbe, quindi, di una mutatio o di una statio - identificabile nell’edificio scavato nel 1991 (fig. 42 Y) - dalla quale si staccava un percorso che, penetrando nell’interno lungo la valle dell’Osento, giungeva su Monte Pallano, dove si trovava la Pallanum dei Lucani125. Il forte legame tra Santo Stefano in Rivo Maris e l’area di Monte Pallano si conserva nel medioevo sino alle soglie dell’età moderna nella distribuzione delle proprietà fondiarie dell’abbazia, che aveva in Santo Stefano in Lucana126 - monastero ubicato alle falde del Monte127 - il caposaldo di un sistema produttivo ed insediamentale bipolare che si sviluppava e si muoveva tra la costa (quota quasi 0 m s.l.m.) e la montagna (ca. 1000 m.s.l.m), con una perfetta e reciproca integrazione dei due ambienti, ad ulteriore conferma del carattere “trasversale” della distribuzione degli insediamenti e dei percorsi viari nell’Abruzzo adriatico fino all’avvento dei moderni percorsi a sviluppo longitudinale128. Nell’antichità e nel medioevo, l’articolato insediamento di Casette Santini – Santo Stefano (la Pallanum della Tabula Peutingeriana) dovette rappresentare, quindi, uno snodo tra la strada litoranea Flaminia129 e la rotta marittima che dal mare continuava il suo percorso per terra, verso l’interno collinare e montuoso, sfruttando la valle dell’Osento, un piccolo fiume che, nato dalle pendici di Monte Pallano, dopo ca. 40 Km sfocia immediatamente a Nord-Ovest delle Casette Santini e dei ruderi dell’abbazia di Santo Stefano in Rivo Maris. CONCLUSIONI Al termine di questa rapida rassegna di siti archeologici medioadriatici, si può concludere prima di tutto rispondendo negativamente alla domanda posta nel titolo e dal titolo. Gli «importuosa litora», infatti, sono da considerarsi l’esito di una romantica mitopoiesi, che ha generato senz’altro esiti apprezzabili in ambito letterario ed artistico, ma che – malgrado la forte tentazione – non può essere utilizzata nella ricostruzione storica, se non a danno della realtà effettuale delle cose. I parametri di chi si occupa di storia non possono essere quelli del poeta o del narratore, ma devono avere come valore primo la ricerca dell’oggettività. A questo punto non resta che continuare l’attività di documentazione dei dati, in modo tale da arrivare ad una vera (ri)costruzione delle dinamiche storiche, che in passato sono state lasciate alla mercé di eruditi locali capaci persino di inventare od interpolare le fonti. Aspettare altro tempo significa regalare tempo al tempo, che continua insaziabile ed irreparabilmente a divorare i resti archeologici sia con l’azione degli agenti naturali (cfr. fig. 10) sia per mano dell’uomo: si pensi – sempre rimanendo nell’ambito di questo contributo – ai danni enormi causati ai siti archeologici di Casette Santini e di Trave-Concadoro-Casarza dalla costruzione e dai lavori di manutenzione della linea ferroviaria adriatica ed alla distruzione, negli ultimi tre lustri, dei resti di strutture antiche nella Valle di San Giovanni nel territorio di Petacciato. Un’ultima considerazione, che è più una constatazione: le testimonianze archeologiche, cioè le fonti materiali, reali, che hanno una voce propria e non prestata, non sono assenti, ma il grande assente è forse oggi la volontà di cercarle, perché ci sono.

 



NOTE Le indagini sono il frutto di un lavoro di gruppo, di cui fanno parte, oltre all’autore, Corrado Malorni e Marco Rapino. Le foto, i disegni ed i grafici, laddove non diversamente specificato, sono dell’autore. 1 - Infra. 2 - AQUILANO 2011, ivi bibl. prec. 3 - Infra. 4 - Porto romano, in particolare DE BENEDITTIS 2008; Campomarino. 5 - La definizione «importuosa Italiae litora» si trova in un passo di Livio (X, 2, 4-15), in cui si narra dello spartano Cleonimo, che durante la sua navigazione nell’Adriatico volle evitare sia le coste prive di porti dell’Italia sia quelle orientali, infestate dai pirati. 6 - Da ultimo, sull’argomento, si rimanda a FELICE 2010b, una documentata e spietata disamina dei luoghi comuni relativi all’Abruzzo nata all’indomani del terremoto aquilano del 6 aprile 2009. 7 - Cfr. AQUILANO 1997a. 8 - Il testo del Delfico è stato ripreso da FELICE 1983, p. 59:«Come il viaggiatore s’avvicina al Trigno pare che cominci a respirare con più ameni spettacoli campestri. Le rustiche abitazioni così s’incominciano a vedere con qualche frequenza ed approssimandosi alla città di Vasto, gl’Histoni degli antichi, si gode l’aspetto di una bella coltivazione specialmente degli oliveti, che occupano in massima parte il suo vasto territorio. La popolazione di questa città sorpassa le diecimila ed in generale la proprietà è molto divisa, la gente attiva e non miserabile. Il suo sito è uno dei più vaghi ed ameni e senza dubbio il più poetico di tutto il litorale. Sulla sua spiaggia s’imbarcano centoventi e più mila tomoli di grano, tanta quantità d’olio, che senza individuarla nella misura propria del paese, si valuta nella somma di circa cinquantamila ducati. E’ pur con orrore che si debbano avventurare tante derrate senza che il Governo abbia pensato giammai ad assicurare in qualche modo le speranze de’ proprietari e le equivoche sostanze fortune de’ negozianti. Eppure non lungi dal Vasto si scovrono ancora sul lido gli avanzi antichi di qualche fabbrica destinata al riparo de’ navigli, che ivi in ogni tempo sono concorsi a scaricare que’ luoghi de’ liberali e sovrabbondanti prodotti della natura. Si deve credere che quel tratto accosto a’ litorali fusse ancora altre volte ancor più abitato, giacché presso la spiaggia del luogo detto S. Stefano sono ancora degni di vedersi de’ ruderi di magnifici edifici di bellissimo travaglio reticolato: indici di una antica potenza ed opulenza mercantile da recuperare». Ben diversa la situazione descritta nel tratto Fortore-Trigno. Dopo aver accennato all’imbarco posto alla foce del Fortore, da dove venivano estratte le «… sovrabbondanti derrate della Provincia di Capitanata», il Delfico aggiunge «Da San Severo al Trigno vi sono ancora due altri luoghi addetti agli imbarchi, cioè Campo Stavino [Campo Marino] e Termoli, piccola terra il primo e piccolissima e misera città il secondo, perché non contiene che poco più di mille abitanti e toltane una ricca casa mercantile ed alcuni piccoli proprietari, tutto il resto è una vera miseria… Le campagne di questo luogo sono d’una desolazione afflittiva. Vasti e negletti i boschi, amplissime sterpaglie, cattivissimi pascoli occupano tanto gran tratto di paese, che potrebbe dare la sussistenza ad una numerosa popolazione. Tutto questo tratto marino non ha però alcun comodo navale, e per conseguenza non vi restano navigli di alcuna sorta, e solo in Termoli per comodo della pesca si mantengono due o tre coppie di barche pescherecce, che si costumano nell’Adriatico». 9 - Per una storia di lungo periodo di Vasto: FELICE 2010a. Per l’antichità e l’età di mezzo: MUROLO 1995. Preziosa raccolta di dati archeologici e di fonti documentarie rimane MARCHESANI 1841. 10 - PLIN., III, 106. 11 - Il regime torrentizio del fiume non avrebbe consentito la costruzione di strutture portuali, ma il semplice utilizzo della foce come luogo di sbarco ed imbarco nella buona stagione. Tra l’altro, anche se fossero esistite strutture portuali, esse andrebbero ricercate più a Nord, poiché la foce del fiume tende a spostarsi verso Sud. 12 - Strutturalmente collegato al porto fluviale è sicuramente l’abitato antico e medievale rinvenuto di recente nel centro storico di San Salvo: AQUILANO 2009; FAUTOFERRI et alii 2010; FAUSTOFERRI, AQUILANO 2010 (2008); Iidem 2012 (2011). La funzione portuale della foce del Trigno è ben documentata anche per il medioevo: AQUILANO 1997a, p. 63, n. 13; AQUILANO 2008. La ricchezza dell’insediamento sansalvese trova esplicita conferma anche nella tipologia, nella varietà (33 litotipi) e nella quantità dei marmi recuperati nel corso delle indagini archeologiche. Molti di essi provengono dall’Africa settentrionale e dal Mediterraneo orientale: SPADANO, VIGLIETTI 2011, pp. 1288-1295. Altrettanto evidente è come tale ricchezza è stata favorita dalla presenza dell’approdo alla foce del fiume Trigno, che ha consentito di abbattere i costi di trasporto con l’utilizzo delle vie marittime piuttosto che di quelle terrestri. 13 - Il sito della Metà sarà oggetto di una prossima ricognizione terrestre e subacquea. 14 - Infra. 15 - VERROCCHIO 1995. 16 - MARINUCCI 1973, pp. 10-15; AQUILANO 1991, pp. 26-117; Histonium; MUROLO 1995, pp. 26-28, 33-40. 17 - MARINUCCI 1973; Museo di Vasto. *



   

18 - AQUILANO 1999; FAUSTOFERRI 2003, p. 179. 19 - AQUILANO 1991, pp. 29-32. 20 - FIRPO 1990, p. 179, n. 162. Sulla viabilità nella Provincia Samnii, si rimanda al fondamentale DE BENEDITTIS 2010 e, relativamente al solo Abruzzo, ZENODOCCHIO 2008. 21 - Sull’attività di falsario di Pietro Polidori si veda infra, n. 73. 22 - Panarii (magazzini per il pane) e un macellum sono attestati epigraficamente (CIL IX 2854) nella zona nord-est dell’impianto urbano, vicino alle terme. 23 - La situazione non è molto dissimile a quella venutasi a creare ad Aquileia, dove il gruppo episcopale nasce in periferia, nelle immediate vicinanze di una strada di penetrazione nel settore meridionale della città, laddove erano concentrati mercati, horrea, terme e case private (CANTINO WATAGHIN 1989, p. 186). In linea generale, infatti, l’ubicazione delle cattedrali viene a rispondere ad «esigenze di convenienze-raccordo con zone a maggiore densità abitativa o con direttrici di traffico, disponibilità di spazio, fattori economici della fondazione e via dicendo» (TESTINI et alii 1989 (1986), p. 13) 24 - CIL IX 2866, 2935. Per la loro provenienza si veda L. Marchesani, Esposizione, p. 69, nrr. 154-155. Per una localizzazione più puntuale del luogo di rinvenimento si veda Inventari, pp. 76-78. 25 - CIL IX 2899. Per la provenienza si veda Museo Comunale, p. 41, nr. 37. 26 - CIL IX 2838. 27 - AQUILANO 2003 (1993); AQUILANO 1999, pp. 437-438. 28 - MUROLO 1988, pp. 49-50; Idem 1992, pp. 29-32. Del tutto improbabile l’identificazione con Sestino (AR) proposta dubitativamente dal Mommsen, editore delle Variae per i MGH, viste le estreme difficoltà che avrebbe affrontato un viaggio terrestre nel trasportare materiale così pesante ed ingombrante. La tradizione storiografica che identifica in Ostuni il centro interessato dall’ordine di Teodorico (SAITTA 1993, p. 103, n. 283; p. 114) non tiene sufficientemente conto del fatto che nel testo si parla di municipium, status che non è attestato per il centro pugliese. 29 - Variarum, III, 9. 30 - Il paesaggio è oggi fortemente compromesso dalle presenze invasive della SS16 e dell’ex tracciato ferroviario, che hanno intercettato i tradizionali percorsi interrompendone la continuità. 31 - La frana del 1816 interessò i fronti nord-orientale e sud-orientale della piattaforma su cui insiste la città antica, mentre quella del 1856 provocò lo scoscendimento di buona parte della zona mediana del fronte orientale. Su quest’ultima si rimanda a IZZI BENEDETTI 1998 ed al ricco dossier online curato da Lino Spadaccini: http:// noivastesi.blogspot.it /search/label/FRANE%20DI%20VASTO. 32 - MARCHESANI 1841, pp. 287-290. 33 - MARCHESANI 1841, p. 11. 34 - Una prima relazione sulle indagini è contenuta nella tesi di laurea della Pierantoni (PIERANTONI 1999), a sua volta basata sulla mia tesi di specializzazione (AQUILANO 1997b) 35 - STAFFA 1995, p. 81. Il grossolano errore è stato ripetuto in STAFFA 2002, p. 232 e sta entrando ormai nella letteratura archeologica anche più accorta, vista la recente accettazione in SPADANO, VIGLIETTI 2011, p. 1283. 36 - Si rettificano in questo caso i dati riportati dalla Pierantoni nella sua tesi, dove si parla dei fori passanti alla base del Trave (fig. 7 C) ad una profondità di ca. 3,5 m: poiché i fori sono stati lasciati dai travetti orizzontali usati per bloccare le paratie entro cui è stato gettato il caementum e questi si sarebbero trovati all’incirca a metà dell’altezza della fondazione, l’A. calcola l’altezza complessiva di quest’ultima in ca. 7 m (PIERANTONI 1999, p. 119). È vero che i fori sono alla base della parte visibile, ma ad una profondità inferiore ai 2 m, che doveva necessariamente essere la stessa anche ai tempi delle immersioni della Pierantoni. Inoltre, sfugge la plausibilità della motivazione tecnica addotta per il calcolo dei 7 metri: in realtà, in più di un tratto si scorge la base inferiore della fondazione che, quindi, non può superare i 2 m di altezza. 37 - Ai lati del Trave, dalla parte della battigia la profondità dell’acqua non supera i ca. 170 cm, mentre verso il mare aperto si arriva a ca. 210 cm di profondità massima, laddove la sabbia è stata scalzata dal moto ondoso alla base del muro, consentendo di verificare così il limite inferiore del muro. 38 - CATANIA 1990. In realtà lo stato attuale dei fondali in questo punto non consente di confermare quanto riportato nel disegno ricostruttivo (fig. 5 B). Probabilmente è stata fatta confusione con i resti murari presenti nel tratto di mare fra il Trave ed il Monumento alla Bagnante, dove, effettivamente, esistono dei resti di colonne in laterizio (fig. 19). 39 - Infra. 40 - Il ritrovamento è il frutto di un’immersione svolta dallo scrivente con Corrado Malorni il 18 maggio 1992. 41 - AQUILANO 1991, pp. 88-90. 42 - Già qualche anno dopo: STAFFA 1995. 43 - Un esempio per tutti: «Ben più vicino alla città era il sito c.d. del Trave, ove nell’insenatura di Casarsa sono stati a

 



più riprese rinvenuti...» (STAFFA 1995, p. 80) come se Casarza fosse all’interno dell’areale più ampio del toponimo “Il Trave”, fatto evidentemente non rispondente alla realtà (cfr. fig. 2) 44 - Sul museo di Vasto: MUROLO 2003, pp. 25-46; DE MENNA 2008. Sulla figura del Marchesani storico ed archeologo si rimanda a MUROLO 1992, pp.199-242. 45 - Si aggiornano in questa sede i repertori epigrafici CIL, MARINUCCI 1973 e successive edizioni, BUONOCORE 1983, BUONOCORE 1991 e la rivista AE. 46 - MARINUCCI 1973, nr. 66. 47 - Ibidem, nr. 67. Nel CIL le due iscrizioni compaiono erroneamente come se fossero ognuna su una delle facce della stessa lastra. 48 - Ibidem, nr. 81. 49 - AQUILANO 1991, p. 89. 50 - MARINUCCI 1973, nr. 63. 51 - MARCHESANI 1853-1868, p. 15, nr. 96; tav. XI. 52 - Museo di Vasto, nr. 6. 53 - I dati di rinvenimento sono nell’inedito manoscritto Inventari, p. 223, nr. 361; tav. XVII. 54 - NSc 1886, p. 433. 55 - STAFFA 2002, p. 233. 56 - NSc 1888, p. 461. 57 - Il luogo di rinvenimento, «… alla Marina», sinora sconosciuto ai repertori epigrafici ed alla storiografia in generale, è ricordato in una lettera inviata a Luigi Manzi dall’allora Soprintendente alle Antichità delle Marche e degli Abruzzi Innocenzo Dall’Osso. Il contenuto della missiva è stato pubblicato da Luigi Anelli sul giornale locale, da lui diretto, Istonio, 3-17 dicembre 1911, p. 2. Dovrebbe trattarsi di un sito diverso da quello in località Spiaggia, visto che nella lettera non si fa menzione dei ritrovamenti effettuati in questa località nel periodo 1886-1888. 58 - AE, 1976, 180. Sull’identificazione del personaggio si vedano MARINUCCI 1973, nr. 96; BUONOCORE 1983, p. 132 sg, nr. 4. 59 - DE RUGGIERO 1900, s.v. «Ceriales». 60 - CIL IX 2835, 2857 e BUONOCORE 1983, p. 133, nrr. 4, 5. 61 - AQUILANO et alii, c.s. 62 - Sulla derivazione dal substrato italico del toponimo e sulle implicazioni storico-paesaggistiche: MUROLO 1988, pp. 45-46. Il toponimo vastese è attestato nella forma “Angrella” su base documentaria, senza soluzione di continuità, almeno dal 1647 (Archivio Comunale di Vasto, fasc. 1, nr. 42). A supporto di quanto esposto da Murolo e della riconducibilità all’ambito semantico di “valle” del termine di origine italica “ancrae”, si consideri anche l’iscrizione, della metà del IV secolo d.C. trovata a Chieti, che sancisce l’obbligo per gli abitanti di Histonium di provvedere alla manutenzione della via Valeria «… ab ancrabis hic» (AE, 1947, 41): “Ancrae” sono le Gole di Popoli, come provato da un’altra iscrizione trovata nei pressi della stazione di Alanno, che reca lo stesso riferimento alle “Ancrae” e la stessa formula prescrittiva, ma questa volta relativa ai Teatini (AE, 1947, 42). 63 - Supra. 64 - AQUILANO 1996. 65 - Sul rapporto tra Santa Maria in Valle e Santa Lucia: MARCHESANI 1841, pp. 267-268. 66 - MARCHESANI 1841, pp. 23-24. Da qui proviene anche un inedito frammento di iscrizione, della quale rimane una sola lettera: Inventari, p. 35 (con disegno). 67 - RA, XII, nr. 10, pp. 191-192. 68 - Per le indagini archeologiche nel sito dell’abitato: STAFFA 2002, pp. 229-232. 69 - FELICE 1983, pp. 17; 49, n. 126. 70 - AQUILANO 1997b. 71 - BUONOCORE 1983. Sull’interpretazione del testo epigrafico: DUNCAN JONES 1974, p. 209. MROZEK 1975, pp. 12, 14. 72 - In particolare, ci si riferisce ad Andrea Rosario Staffa, seguito a ruota anche nelle ricostruzioni storiche di più ampio respiro dalle quali ci si aspetterebbe maggiore prudenza ed accortezza. 73 - Il metodo polidoriano di falsificazione è stato ricostruito da JACOB 1986. 74 - Sull’annosa questione relativa all’autenticità del documento si rimanda per il momento a PIZZANI, FILANDRI SCAPICCI 1976. 75- Per il testo della cronaca: SARACENI 1877, pp. 3-7; SCHIPA1885, pp. 569-574. Si rimanda allo Schipa a causa dell’attuale oggettiva difficoltà di reperimento del primo. 76 - SARACENI 1877, pp. 6-7; SCHIPA 1885, pp. 573-574: «… et populorum multitudo magna ex omni ordine gentium venerunt ad Vastum propter reverentia Domni Apostolici… et EGO ROLANDUS indignus Decanus et Prior Monasterii S. Stephani accessi cum illis, et idem Apostolicus universos accepit affabaliter». 77 - SCHIPA 1885. Per la questione di Alessandro III, nello specifico: ibidem, pp. 565-568. 78 - Romualdi, p. 270: «Alexander igitur papa ab Anagnia [se] mouens et per Terram Laboris Beneuentum veniens…



   

Dehinc per Troiam et Sipontum Uestam uenit». 79 - STAFFA 2002, p. 233. 80 - La prima menzione di attività portuali strutturate a Pennaluce è del 1240: A QUILANO 1997a, p. 113. Fondato da Federico II, questo centro portuale ebbe una storia piuttosto breve, ma intensa per i traffici mercantili, come dimostrano sia la documentazione scritta sia le fonti archeologiche: ibidem; AQUILANO 2003 (2002); AQUILANO 2011. 81 - MARCHESANI 1841, p. 185. 82 - Syllabus, II, 1, p. 42. 83 - FELICE 1983, p. 25. 84 - MARCHESANI 1841, pp. 109-112. In età moderna Punta Penna era senz’altro al servizio della zona nord del territorio di Vasto. Sull’importanza di Punta Penna sul piano storico-archeologico: AQUILANO 1997a; Idem 2003 (2002), STAFFA 2002, pp. 223-229, quest’ultimo con interpolazioni dei dati (cfr. Idem 2011, n. 59, al quale si rimanda anche per il quadro storico ed archeologico sull’insediamento frentano). Il porto della Meta fu attivo almeno fino ai primi decenni del Seicento, ma da circa un secolo gli erano stati preferiti gli approdi distribuiti tra Casarza, Trave e Spiaggia (FELICE 1983, pp. 16-18). Dubbia appare la notizia della distruzione del porto in conseguenza delle regie prammatiche emanate tra il 1649 ed il 1651, come giustamente rilevato dal Felice (Ibidem, p. 18, in particolare, n. 128). Luigi Murolo ha trovato un nuovo ed interessante documento, datato 1621, ottobre 21, relativo al «caricatoio » della Meta. Il testo, pubblicato nella mostra In partibus Dalmatiae (Vasto, 2014), riporta l’atto di nomina di Lorenzo Bottaro di Vasto come mastro di scalo alla Meta da parte del locale mastrogiurato: Protocolli notarili, c. 21. 85 - MARCHESANI 1841, p.11. 86 - Supra. 87 - SPADANO, VIGLIETTI 2011, p. 1283, n. 10, dove si colloca nell’età antonina la costruzione del porto, in evidente contrasto con la maggior parte delle murature riconoscibili, che sono in opera reticolata mista. 88 - VERROCCHIO 1995. 89 - CIL IX, pp263-265. 90 - Infra. 91 - Per una sintesi dei ritrovamenti archeologici nel territorio di Petacciato, che si evita di riportare in questa sede, si rimanda a DE FILIPPO 2000. 92 - Sulla Torre di Petacciato si rimanda a MARINO 1977. 93 - Verecund(i) è noto come marchio di fabbrica di vasellame in terra sigillata italica diffusa nel Sud della Germania Superiore nella prima età imperiale: JUNG, SCHÜCKER 2006. Non necessariamente si tratta della stessa fabbrica. 94 - Quanto di seguito esposto ha attinto ai risultati delle Indagini conoscitive per l’individuazione di siti archeologici nella costa molisana, svolte nel 1995 dalla Parsifal Società Cooperativa di Vasto per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise sotto la direzione della dott.ssa Angela Di Niro. Anche la ricognizione inglese lungo la valle del Biferno ha interessato quest’area, sebbene in maniera marginale (fig. 34): B ARKER 1995a; BARKER 1995b 95 - SARDELLA 2008. 96 - DI NIRO 1986, p. 235. 97 - Del tipo CIL IX 6078, 128. 98 - Infra, n. 114. 99 - Di San Nicola rimangono i resti di una chiesa con tre absidi, conservatesi per tutta l’altezza dei cilindri. I ruderi sono conosciuti a livello locale e riportati sulla cartografia IGM (154 I NE) come “Tomba di San Nicola”: 41° 59’ 51.09” N 14° 51’ 17.62” E. 100 - Tremiti, doc. 22, p. 72. 101 - Reperti dello stesso genere, di cui non si conosce l’attuale luogo di conservazione, furono rinvenuti negli anni ’60 nella stessa zona: DI DONATO 1969. 102 - Tra il 1992 ed il 1994 sono state eseguite prospezioni di fronte alla Torre Sinarca e alla stazione di Coppella, portando al recupero di frammenti di anfore e di «… pezzi di muro fatti con tegoloni legati con malta»: Archivio della Soprintendenza del Molise. Le indicazioni presenti nel documento consultato erano piuttosto generiche e non consentono di definire il luogo o i luoghi di rinvenimento. 103 - SALVATORE LAURELLI 1986, p.180. 104 - STAFFA 2002, pp. 226-227. Recentemente: TEDESCHI 2014, al quale si rimanda, in particolare alle pp. 6-9, per un’analisi aggiornata della querelle su “Buca” (Ibidem, n. 25) e sui contributi notevoli che l’A. ha messo sul tavolo a livello documentario per riaprire la discussione su alcune questioni di storia medievale abruzzese. 105 - LA REGINA 1984, p. 164. 106 - CARROCCIA 1992.

 



107 - BARKER 1995a, pp. 227-229. 108 - Cfr. supra, n. 12. In effetti, l’unico sito che presenta resti degni di un centro abitato di una certa consistenza è San Salvo, se si esclude Punta Penna, che, però, registra una quasi totale cessazione della funzione insediamentale agli inizi del I secolo a.C. (AQUILANO 2011). Le indagini archeologiche sinora svolte a Termoli non hanno restituito resti di epoca antica che consentano di identificarvi un abitato di una certa consistenza. 109 - CUOMO 1996, pp. 37-38. 110 - CAIAZZA 2010, in particolare pp. 59-60. 111 - Per un quadro generale dei resti archeologici antichi e medievali presenti nell’area si rimanda a STAFFA 2002, pp. 200-208. 112 - La compianta Anna Maria Giuntella, titolare all’epoca della cattedra di Archeologia Medievale, aveva avviato un articolato programma di ricerca partendo dagli scavi eseguiti nel sito della basilica sotto la direzione dell’allora soprintendente Valnea Santa Maria Scrinari (S ANTAMARIA SCRINARI 1978) ed affidando a Luciana Tulipani lo studio specifico del contesto paleocristiano e medievale, per il quale si veda infra. 113 - Sul personaggio si rimanda a FELLER 1998, p. 620. 114 - Acta Pontificum, nr. 113. Nell’analitica ricostruzione della genealogia degli Attonidi, l’autore non tiene conto della bolla di Leone IX a favore di Santo Stefano. 115 - AQUILANO 1997a, p. 64. 116 - Sulla localizzazione di Planasi si rimanda al fondamentale MUROLO 1994, pp. 12-13. Si segnala che nel febbraio del 1022 l’imperatore Enrico II tenne un placito «… in loco qui nominatur Sancto Petro in Planaci» per dirimere un’annosa questione tra i conti di Chieti Pandolfo ed Atto da una parte e l’abbazia di Montecassino dall’altra, sul possesso di estese proprietà fondiarie nella contea di Termoli (MGH, DD, III, nr. 465, p. 591. 117 - Tremiti, doc. 15, p. 52. Altri documenti tremitensi menzionano le proprietà fondiarie di Santo Stefano nelle confinazioni: cfr. TULIPANI 2001, n. 41, al quale si rimanda per un compiuto studio sui resti delle basilica. 118 - Supra, nn. 73-75. 119 - TULIPANI 2001. 120 - Nel terreno ad Est della basilica sono presenti tessere musive pavimentali ed i tipici cubilia dell’opus reticulatum. Alla stessa tecnica muraria fa riferimento nel 1797 il Giustiniani (cfr. STAFFA 2002, p. 253, n. 148). 121 - Ibidem, p. 206. 122 - L’edificio è stato descritto ibidem. Lo scrivente ha seguito gli scavi del settore nord, dove, contrariamente a quanto affermato dall’editore, non c’è alcuna traccia di muri in opera reticolata, ma soltanto di opere murarie a sacco con paramenti in ciottoli con la faccia a vista spaccata e ricorsi di mattoni (fig. 44): si tratta di un tipo di muratura che sembra prendere piede nell’area vastese a cominciare dalla metà del II secolo d.C. (cfr. FAUSTOFERRI, AQUILANO 2012 (2011), p. 68), come confermerebbe un muro in opera reticolata presente in un edificio delle Casette Santini. In questo caso il paramento in ciottoli spaccati ha ripreso quello in opera reticolata che, quindi, è di epoca anteriore (fig. 46). Lo stesso rapporto fisico-cronologico è rilevabile a San Salvo, nel Parco Archeologico del Quadrilatero (ibidem, pp. 68-69). Non si può comunque negare che l’abbondante disponibilità in loco della materia prima (i ciottoli) abbia dato vita ad una tecnica che è stata utilizzata parallelamente a quella tipica della tradizione propriamente romana (l’opus reticulatum) anche in epoca precedente al II secolo d.C. Ad ogni modo, la cronologia dell’edificio in questione andrebbe revisionata anche sulla base di altri elementi, come il mosaico rinvenuto nell’ambiente N (fig. 43). 123 - STAFFA 2002, p. 206. 124 - AQUILANO 1991, p. 23, ripreso da TULIPANI 1997, p. 50. L’area indicata dal toponimo Pallano è oggi di limitata estensione perché l’originario macrotoponimo è stato nel tempo soppiantato in buona parte da altri toponimi seriori, come, ad esempio, lo stesso “Santo Stefano”, “Piana Sabelli”, ecc. 125 - Verrebbe così confermata l’ipotesi avanzata a suo tempo da Giovanni Colonna (COLONNA 1955, p. 168). Su Monte Pallano e sull’abitato di recente indagato: FAUSTOFERRI 1997, pp. 39-42. 126 - Su Santo Stefano in Lucana si rimanda a TEDESCHI 2014. 127 - Sulla localizzazione dei resti, verificata e confermata nell’estate 2013 nell’ambito di una ricognizione autoptica svolta con Carlo Tedeschi, si rimanda a COLONNA 1955, p. 170. In realtà, nel sito non è rimasto nulla di quanto visibile negli anni cinquanta, ma la tradizione orale e gli stessi proprietari del fondo vi confermano la presenza, oggi occultata, dei resti del monastero altomedievale. 128 - Supra, n. 7. 129 - Supra, n. 20. Interessante a tal proposito è il ritrovamento di due frammenti di un cippo miliare tra il materiale riutilizzato nelle murature della fase altomedievale della basilica paleocristiana di Santo Stefano: TULIPANI 1997, p. 53, fig. 20. L’interpretazione più plausibile del mutilo testo epigrafico sembra essere quella che riconosce nell’imperatore Magnenzio (350-353) il destinatario della dedica in esso contenuto: DE BENEDITTIS 2010, p. 35, n. 18.

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