Il ruolo della corporate entrepreneurship nello sviluppo dell\'impresa: l\'esperienza Selex-ES (Sintesi)

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Dipartimento di Impresa e Management Corso di Laurea - Economia e Direzione delle Imprese Cattedra - Strategie d’Impresa

IL RUOLO DELLA CORPORATE ENTREPRENEURSHIP NELLO SVILUPPO DELL’IMPRESA: L’ESPERIENZA SELEX-ES (-SINTESI-)

REL A T O R E Chiar. mo Prof. Enzo Peruffo

CANDIDATO Francesco Armillis Matr. 647891

CORRELATORE Chiar. mo Prof. Luca Pirolo ANNO ACCADEMICO

2013/2014

SINTESI TESI CAPITOLO 1 “CORPORATE ENTREPRENEURSHIP” Tra le determinanti delle performance dell’impresa, una delle misure più importanti da tenere in considerazione è la modalità con cui essa si confronta con il progresso tecnologico del mercato e progetta l’innovazione. La crescente importanza del contenuto tecnologico nell’attuale offerta di prodotti e servizi richiede un avanzamento continuo da parte delle imprese nel seguire e anticipare tali tendenze, tanto che sottovalutare l’influenza di queste dinamiche può significare l’assottigliamento del vantaggio competitivo e, in ultimo luogo, la cessazione dell’attività d’impresa. A tale proposito diventa, dunque, fondamentale organizzare nell’impresa processi e strutture per le attività strutturate di Ricerca e Sviluppo in modo da poter garantire che l’offerta di prodotti e servizi sia sempre competitiva dal punto di vista tecnologico e rappresenti così un modo per differenziarla da quella dei competitor. Questo intento era in precedenza attuato esclusivamente da realtà di industry per definizione ad alto contenuto tecnologico (elettronica, informatica, telecomunicazioni, etc.), mentre col passare del tempo un numero sempre maggiore di imprese ha intuito le potenzialità derivanti da un processo continuo di innovazione dedicandosi in modo organizzato alla Ricerca e Sviluppo. Le modalità con cui è possibile ottenere un’innovazione rilevante per

la

strategia

dell’impresa,

sono

molteplici:

vanno

dall’apprendimento di sistemi già implementati da altre realtà e il successivo adattamento alle proprie attività, a metodi di realizzazione di capitale tecnologico essenzialmente interni all’organizzazione. Quest’ultimo caso ha tra i vantaggi quello di disporre di un’attività la

quale rende in quell’ambiente in modo migliore rispetto a qualsiasi altra realtà poiché progettata specificamente per quel contesto, e non semplicemente “adattata” da un altro ambiente. Un’efficace strategia di R&S permette all’impresa di poter individuare le idee maggiormente promettenti, e poterle trasformare in progetti direttamente validi per i risultati dell’impresa. L’analisi delle dinamiche innovative nelle organizzazioni prende luogo dalla descrizione del ruolo del management e del singolo imprenditore nel processo innovativo. E’ la figura imprenditoriale che, infatti, dà il via ai processi di Ricerca e Sviluppo e ne decide forma ed entità in base alle proprie indicazioni, influenzandone i risultati con il proprio operato. E’ necessario dare il giusto peso alla funzione che la figura imprenditoriale svolge nel processo innovativo, descrivendone le azioni e gli orientamenti possibili e il modo in cui l’innovazione dipende da essa. Sulla componente imprenditoriale molteplici sono state le interpretazioni della sua funzione in un’impresa e in particolare delle responsabilità in campo tecnologico. Tra di essi non va tralasciato il contributo di Schumpeter, il quale fonda una importante parte del suo operato sulla descrizione dei tratti dell’imprenditore, del quale descrive una serie di benefici per la società ed è tra i primi economisti a segnalarne l’importanza nel promuovere e influenzare le attività innovative per un’impresa. Il contributo della teoria non si ferma, però, al lavoro dell’economista austriaco: Knight concentrò, ad esempio, la ricerca sulla fattispecie dell’assunzione del rischio evidenziando come l’imprenditore fosse orientato a esporsi, esponendo le proprie

risorse finanziarie e la reputazione a servizio di un’idea, evidenziando la capacità del singolo di recuperare dati empirici e probabilità statistiche e di effettuare stime sull’andamento dell’ambiente competitivo in relazione all’impresa; Israel Kirzner analizzò il contributo

della

figura

imprenditoriale

nel

raggiungimento

dell’equilibrio di mercato, toccando, in particolare, i temi dell’etica e della circolazione della conoscenza; tra gli altri contributi importanti alla

definizione

del

tema

dell’imprenditorialità,

è

possibile

sottolineare, poi, il lavoro di Acs nell’approfondire il ruolo delle Piccole Medie Imprese nell’economia attuale. Oltre agli autori citati, saranno, poi, negli anni diversi i contributi della teoria inerenti tale tema, specie se affiancati da una struttura maggiormente analitica (si vedano gli studi di Aghion e Howitt). L’apporto dell’imprenditore è, dunque, fondamentale per dare il via e sostenere le attività tecnologiche di un’impresa, ma oltre questo vanno analizzate le modalità con cui, poi, il management struttura i progetti di innovazione all’interno dell’organizzazione: è detta innovation strategy quella parte della strategia globale d’impresa riguardante l’insieme di scelte di medio-lungo termine riguardo gli investimenti fatti in tecnologia, quali la gestione di un laboratorio di Ricerca e Sviluppo, la gestione di nuovi prodotti, servizi, business model innovativi, etc. Un’impresa può adottare diversi tipi di innovation strategy a seconda di parametri quali la rapidità nel produrre innovazione rispetto al mercato, il grado di rischio assunto nelle attività tecnologiche, il livello di differenziazione dai competitor. L’innovation strategy permette inoltre di suddividere il processo tecnologico in fasi, a ciascuna delle quali

A seconda del modo con cui verrà costruita l’innovation strategy i risultati nei processi innovativi saranno differenti, a significare che le performance positive nella “produzione” di innovazione non dipendono dal semplice orientamento al progresso tecnologico, ma soprattutto dal modo con cui saranno predisposte le strategie per il suo conseguimento. In tale processo appare, dunque, fondamentale il contributo della gestione dell’impresa per decisioni quali la ricerca delle opportunità, la selezione, la configurazione dei progetti, lo sviluppo e l’apprendimento finale. Entrando più nello specifico del tema delle attività innovative nell’organizzazione, si può, poi, analizzare il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, l’insieme di risorse dell’impresa quali il capitale umano, le strutture, i mezzi finanziari adibiti all’elaborazione di nuove tecnologie per l’ottimizzazione dei prodotti e servizi esistenti o per la realizzazione di nuovi. Sono principalmente di due tipi i fattori i quali influenzano la creazione di un Dipartimento di R&S: variabili di tipo esogeno quali le dinamiche dell’economia e la sua influenza sull’impresa, dette Schumpeteriane (le dimensioni dell’organizzazione, la concentrazione di mercato); fattori caratterizzanti uno specifico settore quali ad esempio il grado di sviluppo tecnologico di quell’industry, un approccio del settore di tipo demand pull e la possibilità o meno di appropriarsi delle conoscenze dei competitor. I maggiori interventi richiesti al management nella gestione dei Dipartimenti di Ricerca e Sviluppo riguardano: la collocazione dei laboratori, se centralizzati o di tipo periferico; le modalità di controllo, tra forme dette “organiche” le quali lasciano flessibilità e spazio ai ricercatori e forme “meccanicistiche” caratterizzate da una

rigida disposizione gerarchica in cui ruoli e procedure sono definite con precisione. All’interno del Dipartimento di R&S un parametro cruciale è la creatività dei ricercatori (la quale, come visto, può però essere vincolata da un sistema troppo strutturato) essa va stimolata adeguatamente poiché lasciando ad essi la possibilità di contribuire con le proprie idee a nuovi progetti apre all’impresa una serie di nuove possibilità ottenute in maniera diretta ed effettivamente più efficace. Il potere decisionale in questi casi viene condiviso dunque con i componenti delle funzioni di ricerca, attribuendo loro una funzione di analisi e selezione dei casi più adeguati per l’organizzazione. Il

contributo

individuale

dell’imprenditore

è

evidenziato

ulteriormente in sede di valutazione dei risultati prodotti dalle attività di Ricerca e Sviluppo, tema considerato insidioso per via delle caratteristiche di tali investimenti quali l’esteso arco temporale e la difficoltà di isolare i risultati di un dato progetto. Considerati alcuni esempi di metodi diffusi di valutazione degli investimenti quali il VAN, il ROI, essi in questo caso non appaiono adatti a fornire valutazioni corrette: è in queste circostanze maggiormente efficace utilizzare, ad esempio, valutazioni con un forte contributo soggettivo quali l’analisi del valore della proprietà intellettuale generata, ovvero i metodi di Balance Scorecard e Data Envelopment Analysis.

CAPITOLO 2 “L’INNOVAZIONE NEI BUSINESS MODEL” Stabilita l’importanza che gli investimenti di Ricerca e Sviluppo hanno per la competitività dell’impresa, essa ha dunque bisogno di uno

schema che programmi la strategia prendendo in considerazione tali variabili. Il modello in questione è il business model, il quale sintetizza le politiche strategiche future dell’impresa sulle modalità di creazione di valore

nell’ambiente

competitivo,

considerando

il

capitale

tecnologico a disposizione e le risorse come ‘input’ e trasformandole, tramite il mercato e i consumatori, in ‘output’. Il concetto di business model fa la sua comparsa principalmente nelle imprese con alto turnover di tecnologie per via delle loro capacità analitiche e direzionali, per esplorare ipotesi alternative riguardo costi e profitti: fissa un nuovo modo con cui l’impresa deciderà di operare sul mercato ed il criterio con cui manterrà tale profitto nel tempo. Per comprendere le potenzialità di un valido business model si verifica se sia di ausilio nel rispondere ad alcuni temi della strategia quali: Come creare valore?; Per chi creare valore?; Qual è la fonte di competenza?; Quale posizionamento competitivo scegliere?; Come realizzare profitti?; Quali sono le strategie riguardo il tempo, la portata e le dimensioni?. A prescindere dal tipo di settore e dal percorso dall’impresa, ci sono alcuni parametri per determinare se un business model sia progettato in modo da permettere il raggiungimento di performance positive: è tale, ad esempio, se genera in modo continuato value proposition, il valore e i benefici che l’organizzazione è in grado di trasferire ai clienti, ovvero il conseguimento di strutture di costo vantaggiose, o ancora la possibilità di catturare valore significativo per i business considerati.

Come detto, dunque, il business model ha il compito basilare di pianificare la value proposition e determinare le modalità con cui le entrate renderanno sostenibile l’attività dell’impresa, ma esso, in un certo senso, risulta essere una metodologia più ampia rispetto alla vera e propria strategia di business. Il business model, infatti, predispone in modo più generico le modalità con cui l’impresa creerà valore per i clienti, ma ciò diviene inefficace se i concorrenti si impossessano dello stesso modello e lo utilizzano a loro favore. Per quanto possa essere progettato per una singola impresa, infatti, un business model è comunque piuttosto appropriabile dai player esterni e molto spesso accade che in poco tempo esso sia involontariamente condiviso da più competitor dello stesso settore. E’ per questo motivo che bisogna affiancare al business model una efficace strategia globale di business rappresenta un modo per evitare che gli sforzi nella pianificazione del primo risultino vani poiché conquistati dai concorrenti. La progettazione del business model interesserà tutte le funzioni dell’organizzazione

e,

sebbene

essa

possa

rappresentare

un’opportunità per incrementare la value proposition, può risultare un processo articolato e complesso. E’, dunque, necessaria innanzitutto un’attenta fase di fattibilità del modello intero, durante la quale confrontare costi e benefici eventualmente ottenibili dall’elaborazione del modello, a cui potrà seguire in caso di riscontro positivo, l’effettiva progettazione e implementazione. Nella fase di realizzazione del business model verranno considerati elementi quali il livello di dettaglio, la facilità di lettura, l’accuratezza del modello.

Il business model può rappresentare, inoltre, un valido strumento per la programmazione delle attività innovative facendo leva sulle qualità creative e la capacità tecniche dell’impresa: essendo un buono strumento per beneficiare di una visione generale dell’attività dell’impresa, permette di coglierne le potenzialità innovative ed agire sui

punti

del modello

ritenuti

meno

performanti. Questo

comportamento è ancor più amplificato se all’utilizzo del business model è affiancato un processo di sperimentazione ed analisi dei risultati ottenuti: si parlerà di experimentation nel caso di utilizzo diretto della nuova forma di modello tramite le applicazioni sul mercato, e di effectuation nel caso le nuove soluzioni vengano testate direttamente ancor prima di formulare nuove ipotesi. CAPITOLO 3 “IL FINANZIAMENTO DELL’INNOVAZIONE” Uno dei temi più importanti ed allo stesso tempo complessi, per l’innovazione in ambito di impresa, riguarda il reperimento e il successivo impiego delle risorse finanziarie adibite alle attività di Ricerca e Sviluppo. L’attività in questione, in maniera maggiore rispetto ad altre funzioni, appare critica per via di diversi motivi di origine sia interna che esterna all’organizzazione. In primis, il finanziamento risulta difficoltoso per via dell'ingente mole di risorse necessarie a far partire e sostenere le attività innovative: le fasi di analisi e progettazione, talvolta la presenza di più progetti paralleli, l’implementazione nel mercato delle soluzioni trovate, rappresentano tutte circostanze per le quali viene richiesto all’impresa uno sforzo importante per promuovere tali piani innovativi ed ottenere un vantaggio competitivo.

Altri fattori che influenzano la possibilità di finanziare progetti innovativi riguardano l’impossibilità di garantire il rendimento di un investimento in tecnologia per via dell’incertezza nei risultati da esso ottenuti, la possibilità che la conoscenza creata diventi oggetto di appropriazione da parte dei competitor e la struttura del capitale con il quale è finanziata l’impresa e la forma prevalente tra le varie possibilità di finanziamento. L’attività di finanziamento dei processi di innovazione può essere ricondotta a tre maggiori modalità di azione, i quali tra loro presentano alcune diversità e rispondono a necessità differenti. Le tre modalità sono dunque: il private equity, gli strumenti finanziari ibridi o a prevalenza equity ed i finanziamenti a medio lungo termine. Per quanto i finanziamenti di lungo periodo siano adattati il più possibile alle necessità della Ricerca e Sviluppo, i primi due strumenti elencati risultano più appropriati per questo fine, poiché evitano che il piano sia eccessivamente rigido e vincolato dalle scadenze di interessi passivi: i fondi privati e gli strumenti ibridi restano dunque metodologie più indicate per via della loro flessibilità. L’attività di Private Equity fa riferimento alle operazioni nelle quali l’intermediario finanziario, detto investitore istituzionale, amministra, scambia o partecipa al capitale di rischio di una società terza la quale gode di particolari prospettive di crescita future e beneficia di un certo capital gain in sede di dismissione dell’investimento. Il caso degli strumenti finanziari ibridi, riguarda la situazione nella quale l’equity, sebbene nell’investimento rappresenti in proporzione la quota maggiore, non è l’unico mezzo con il quale viene supportata l’operazione di finanziamento, essendo presente anche una parte di

finanziamento a titolo di debito. Gli attori maggiormente orientati all’uso di questi strumenti sono le banche d’affari, le Società di Gestione del Risparmio ed altri Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio. Nell’ultimo caso, invece, la forma del finanziamento è legata esclusivamente all’uso del debito ed utilizza principalmente la forma contrattuale del mutuo, il quale potrà essere coperto o meno da garanzie reali. La particolarità dei mutui concessi in sede di finanziamento di attività di sviluppo dell’innovazione è la realizzazione di un piano di rimborso adeguato alle tempistiche degli investimenti, in particolare stimando la finestra temporale entro cui essi determineranno un rendimento per l’impresa. Sebbene il giudizio finale spetti, comunque, sempre agli investitori potenziali, il ruolo dell’imprenditore nell’influenzare le decisioni di investimento di questi ultimi riveste un ruolo molto importante e la sua azione può essere sfruttata sotto vari punti di vista e in svariati ambiti:

l’agire

dell’imprenditore

è

segno

dell’andamento

dell’impresa. Ciò si può riscontrare primariamente nelle informazioni comunicate al mercato, in avvenimenti dal carattere più o meno informali o ordinario ed, appunto, da un coinvolgimento in prima persona nel finanziamento dell’innovazione. Un altro parametro importante il quale influenza le modalità con le quali si procede allo sviluppo dell’innovazione, è rappresentato dal tema della protezione della proprietà tecnologica concepita all’interno dell’impresa. Le vie per proteggere le innovazioni generate internamente sono molteplici e rispondono alla necessità di impedire ad altri agenti di utilizzare a proprio favore le tecnologie sviluppate generando da esse un rendimento costante nel tempo a proprio

favore. Tali procedimenti sono, dunque, utili mezzi a favore dell’organizzazione per disporre delle proprie tecnologie in maniera ottimale, delimitando nel mercato i vantaggi ottenibili da esse. Bisogna sottolineare come non necessariamente una completa chiusura alle possibilità di utilizzo delle tecnologie dell’impresa sia la soluzione ottimale: negli ultimi anni va diffondendosi il principio per cui, talvolta, un’apertura parziale al contributo del mercato può rappresentare per l’impresa un valido sostegno alle politiche di innovazione. In questo modo, infatti, permettendone l’utilizzo a soggetti esterni all’impresa, quali ad esempio i partner commerciali, è possibile permettere una più rapida affermazione della propria tecnologia rendendola disponibile nel mercato in modo più rapido. Oltre all’influenza diretta che ha la strategia dell’impresa sul finanziamento dell’innovazione, un supporto a queste attività può derivare anche da una politica attiva delle Amministrazioni pubbliche. Le politiche di governo di una nazione possono, infatti, promuovere con alcune direttive l’iniziativa di Ricerca e Sviluppo sostenendo le imprese le quali siano in grado di produrre nuove tecnologie e possono inoltre permetterne e facilitarne la diffusione e stimolare allo stesso tempo la nascita di nuovi poli ed idee. Il compito cui sono chiamati a ricoprire gli enti statali riguarda, dunque, garantire l’esistenza delle condizioni favorevoli alla generazione di idee e l’implementazione di nuove tecnologie attraverso la creazione di un ambiente competitivo vantaggioso, un ambiente globalmente ‘fertile’ per la creazione delle innovazioni e un sistema organizzativo diretto e flessibile il quale non ostacoli il processo di Ricerca.

Le azioni che possono intraprendere le amministrazioni sono molteplici: una di queste propria dell’economia industriale, riguarda l’analisi del fabbisogno di infrastrutture, reti, lo sfruttamento dei rapporti con gli atenei universitari e, dunque, il successivo sviluppo di queste attività. Una spinta importante allo sviluppo delle possibilità tecnologiche delle imprese, poi, può essere data dallo stato tramite l’uso di strumenti di Partenariato Pubblico-Privato (PPP). Tra le azioni svolte dai governi a sostegno dell’innovazione, trovano luogo le manovre e iniziative volute dall’Unione Europea per incentivare lo sviluppo di nuove tecnologie per le imprese della Comunità, intendendo ciò indirettamente come un beneficio al servizio della popolazione europea. Un esempio delle strategie proposte dall’Unione Europea è rappresentato da “Horizon 2020”, un piano con termine nel 2020 caratterizzato dallo stanziamento di finanziamenti per un valore stimato di circa 80 miliardi di Euro a coprire il fabbisogno di fondi per la Ricerca e Sviluppo in svariati campi. In particolare, il programma può essere idealmente suddiviso in tre diverse macro-aree, quali: Excellence Science, Competitive Industries e Social Challenges. CAPITOLO 4 “CASO DI STUDIO EMPIRICO - SELEX ES” Come conclusione del lavoro viene proposta un’applicazione pratica delle tematiche in questione, la quale permette di ottenere un punto di vista più vicino alla realtà aziendale. Soggetto dell’analisi è Selex ES, società facente capo al Gruppo Finmeccanica. Essa rappresenta a livello internazionale uno tra i più importanti player nell’industry dell’elettronica e vanta nel suo portafoglio-prodotti svariate applicazioni in distretti quali difesa,

aerospazio e smart system. Il primo insieme racchiude una serie di tecnologie organizzate da Selex mirate all’utilizzo in aereonautica e nelle missioni spaziali, quali sensori, radar, equipaggiamenti per il combattimento, avionica, etc. (uno dei progetti più importanti ai quali collabora Selex ES è il velivolo multiruolo Eurofighter Typhoon, al

quale

contribuisce

fornendo

parti

sia

dell’avionica

sia

dell’armamento). Il secondo insieme riguarda, invece, le soluzioni specifiche o integrate per il supporto alle missioni di terra o navali e la predisposizione di strategie di intervento. Infine il gruppo dei sistemi per la sicurezza e degli smart systems, riguarda il complesso di prodotti indirizzati in questo caso principalmente all’uso non militare, con obiettivi che spaziano dalla gestione energetica di edifici e complessi, all’informatizzazione di servizi pubblici e la realizzazione di opere completamente automatizzate. Nell’insieme degli smart system è possibile comprendere le soluzioni di smart buildings e smart cities: nel primo caso si intendono indicare gli edifici residenziali e commerciali dotati di soluzioni le quali permettono di automatizzare o eseguire da remoto azioni che in precedenza dovevano essere realizzate necessariamente in prima persona, ovvero consentono una gestione mirata e sostenibile delle attività domestiche e operative; con un’accezione più ampia di smart cities si identificheranno, dunque, i complessi di edifici gestiti in maniera intelligente concorrendo in questo modo alla formazione di centri urbani votati ad una gestione più ecologica e digitale. La trasformazione smart di una città passa per l’evoluzione dei servizi erogati comunemente ai cittadini quali trasporti, sanità,

energia, etc., nonché da un passaggio completo al formato digitale della gestione degli stessi. Il segmento delle soluzioni smart riguardanti la costruzione e l’amministrazione degli edifici rappresenta una delle sezioni di maggiore interesse e per il quale potrebbero esserci ampie prospettive di crescita. Si stima, infatti, che la richiesta di soluzioni per la gestione automatizzata delle strutture sia destinata a crescere in modo pressoché costante toccando nel 2022 un volume di affari pari a circa il doppio di quanto registrato nel 2013. A livello geografico le aree principalmente interessate dal fenomeno saranno in primis gli stati del Nord America e dell’Asia con più o meno il medesimo contributo e a seguire gli stati del Vecchio Continente. Sebbene il mercato delle smart cities ed in particolare il segmento smart buildings non abbia ancora espresso appieno il suo potenziale, risultando aperto ad una possibile crescita rilevante nei prossimi anni, tuttavia risulta un’area contraddistinta dalla presenza di una molteplicità di concorrenti alcuni già attivi nel settore e altri i quali presumibilmente seguiranno e faranno il loro ingresso in modo graduale. Molte di queste aziende, di tipo multinazionale e fortemente diversificate, avendo a disposizione un patrimonio di conoscenze vasto ed in grado di raggiungere le richieste dei vari punti del paradigma smart, si pongono già da oggi come ‘specialisti’ del settore e offrono una serie di soluzioni integrate: è il caso di Siemens AG, General Electric Co., IBM, Honeywell. E’ stato studiato, inoltre, Di-BOSS (Digital Building Operating System Solutions), un prodotto sviluppato da Selex per il mercato degli smart buildings, il quale permette di gestire in modo evoluto gli

immobili garantendo una connettività più semplice e più elevati standard di sicurezza. Tramite una estesa informatizzazione dell’edificio, il gestore ottiene costantemente una vasta mole di dati sullo stato di varie sezioni dello stesso e, sia con l’intervento della manutenzione, che con il contributo diretto del sistema, l’immobile raggiunge i livelli obiettivo richiesti. La soluzione Di-BOSS raccoglie informazioni provenienti da molteplici fonti quali i sistemi dell’edificio, le previsioni meteo, gli occupanti della struttura stessa e rielabora autonomamente tali dati in modo da sfruttare in modo più efficiente la struttura. Il target principale per cui implementare un sistema Di-BOSS è riscontrabile soprattutto nella maggiore efficienza energetica e conseguente risparmio di risorse, ma ulteriori ragioni giustificano l’uso di tale tecnologia, quali un maggiori comfort e sicurezza offerti ed infine la possibilità di unificare sotto il controllo di un unica soluzione tutti i sistemi necessari all’infrastruttura, con un miglioramento dell’accessibilità e dell’efficacia.

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