Hercules Musarum in Circo Flaminio. Dalla dedica di Fulvio Nobiliore alla Porticus Philippi, in ArchClass. 64, 2014, pp. 401-431.

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Descripción

nuova serie

Rivista del Dipartimento di Scienze dell’antichità Sezione di Archeologia classica, etrusco-italica, cristiana e medioevale

Fondatore: giulio q. giglioli Direzione Scientifica maria paola baglione, gilda bartoloni, luciana drago, enzo lippolis, laura michetti, gloria olcese, domenico palombi, maria grazia picozzi, francesca romana stasolla

Direttore responsabile: gilda bartoloni

Redazione: franca taglietti, fabrizio santi

Vol. LXV - n.s. II, 4 2014

«L’ERMA» di BRETSCHNEiDER - ROMA

Comitato Scientifico Pierre Gros, Sybille Haynes, Tonio Hölscher, Mette Moltesen, Stephan Verger

Il Periodico adotta un sistema di Peer-Review

Archeologia classica : rivista dell’Istituto di archeologia dell’Università di Roma. Vol. 1 (1949). - Roma : Istituto di archeologia, 1949. - Ill. ; 24 cm. - Annuale. - Il complemento del titolo varia. - Dal 1972: Roma: «L’ERMA» di Bretschneider. ISSN 0391-8165 (1989) CDD 20.   930.l’05

ISBN CARTACEO 978-88-913-0898-6 ISBN DIGITALE 978-88-913-0895-5 ISSN 0391-8165 ©  COPYRIGHT  2014 - SAPIENZA UNIVERSITà DI ROMA Aut. del Trib. di Roma n. 104 del 4 aprile 2011

Volume stampato con contributo della Sapienza Università di Roma

INDICE DEL VOLUME LXV

ARTICOLI Colonna G., Gli scavi Santangelo nell’area urbana di Veio (1945-1952) .......... di Fazio C., Guidone S., Disiecta membra nella basilica di Santa Maria in Trastevere......................................................................................................... Drago L., Bonadies M., Carapellucci A., Predan C., Il pittore di Narce e i suoi epigoni a Veio......................................................................................... Ferrara F.M., Demetriade in Tessaglia. La polis e il palazzo reale macedone... Gobbi A., Milletti M., Le lekythoi a reticolo e la loro diffusione lungo la dorsale tirrenica..................................................................................... Petrucci I., La decorazione scultorea della facciata principale del casino Borghese dall’epoca del principe Camillo ai giorni nostri. Nuove ricerche per la collezione di antichità............................................................................ Santi F., Vecchi e nuovi scavi nel tempio di Iuno Sospita a Lanuvio. Considerazioni sulla pianta del tempio tardo-arcaico................................................................

p. 59 » 227 » 7 » 181 » 139 » 255 » 103

NOTE E DISCUSSIONI Bevilacqua G., Contesto e fuori contesto: alcune osservazioni topografiche sulle iscrizioni ‘magiche’ di Roma................................................................... Camporeale G., Iconografie abnormi nei vasi di impasto falisci e capenati del VII secolo a.C. ................................................................................................ Carafa P., Le origini di Roma: dati archeologici, ricostruzione storica e la città dell’VIII secolo a.C.......................................................................................... Cossu V., Un colombario di liberti e di liberte di Mecenate: alcune considerazioni.... De Stefano F., Hercules Musarum in Circo Flaminio. Dalla dedica di Fulvio Nobiliore alla Porticus Philippi.......................................................................

» 513 » 331 » 291 » 461 » 401



indice del volume lxv

Gerogiannis G.M., Città greche a impianto non regolare: il caso di Larisa di Tessaglia nelle fasi ottomane e bizantine......................................................... Pacetti M.S., Su alcuni specchi etruschi rinvenuti nel Viterbese......................... Paolucci G., Peleo e Teti su un’anfora etrusca a figure nere da Tolle (Chianciano Terme).............................................................................................................. Riccomini A.M., Porciani L., Su una statuetta con imperatore e barbaro nel Museo di Antichità di Torino........................................................................... Taborelli L., Per le produzioni e i commerci del lykion nella Sicilia sud-orientale..... Taglietti F., Un nuovo sarcofago con scene dell’oltretomba ad Ariccia. Qualche riflessione......................................................................................................... Vasselli E., Appunti per un censimento dei colombari urbani: il caso di Vigna Aquari...............................................................................................................

p. 533 » 363 » 351 » 499 » 393 » 433 » 473

RECENSIONI E SEGNALAZIONI Anguissola A. (ed.), Privata Luxuria. Towards an Archaeology of Intimacy: Pompeii and Beyond (R. Olivito).................................................................. Beykan M., Ionische Kapitelle auf Prokonnesos. Produktion und Export römischer Bauteile, Istanbuler Forschungen 53 (N. M ugnai).. ............. Cascino R., Di Giuseppe H., Patterson H. (eds.), Veii. The Historical Topography of the Ancient City. A restudy of John Ward Perkins’s Survey (G. Bartoloni)............................................................................................... Kokkorou-Alevras G., Niemeier W.D. (Hrsg./Εκδ.), Neue Funde archaischer Plastik aus griechischen Heiligtümern und Nekropolen. Νέα ευρήματα αρκαïκής γλυπτικής από ελλενικά ιερά και νεκροπόλεις (F. Santi)............... La Torre G.F., Torelli M. (a cura di), Pittura ellenistica in Italia e in Sicilia. Linguaggi e tradizioni (I. Bragantini).......................................................... Maschek D., Rationes decoris. Aufkommen und Verbreitung dorischer Friese in der mittelitalischen Architektur des 2. und 1. Jahrhunderts v. Chr, Wiener Forschungen zur Archäologie, Band 14 (P. Pensabene)................................ Nenna M.-D (éd.), L’enfant et la mort dans l’Antiquité, II. Types de tombes et traitement des enfants dans l’antiquité gréco-romaine (C. Vismara)........... Ovadiah A., Turnheim Y., Roman Temples, Shrines and Temene in Israel, RdA Suppl. 30 (E. Borgia)..................................................................................... Pisani M., Avvolti dalla morte. Ipotesi di ricostruzione di un rituale di incinerazione a Tebe (A. De Cristofaro).................................................................. Taloni M., Le tombe da Riserva del Truglio al Museo Pigorini di Roma (M. Arizza).................................................................................................... Venturini F., I mosaici di Cirene di età ellenistica e romana (E. Gasparini)....

» 577 » 583 » 607 » 587 » 565 » 593 » 595 » 568 » 612 » 620 » 624

Pubblicazioni ricevute............................................................................................. » 633

HERCULES MUSARUM IN CIRCO FLAMINIO DALLA DEDICA DI FULVIO NOBILIORE ALLA PORTICUS PHILIPPI* Il trionfo di M. Fulvio Nobiliore

Nel 186 a.C. M Fulvius Nobilior, console del 189 e censore del 179 a.C.1, poteva dedicare i ludi in onore di Giove Ottimo Massimo che aveva votato durante la vittoriosa e controversa, campagna condotta in Etolia nell’ambito del conflitto contro Antioco III di Siria. Per la celebrazione di tali ludi, «honoris eius causa», Nobiliore fece venire «multi artifices ex Graecia»2. Tuttavia, più che il ricorso ad artisti ellenici, la maggiore novità che Nobiliore portò con sé dalla Grecia fu il culto di Hercules Musarum3. Nel 187 a.C. le statue delle Muse fecero il loro ingresso a Roma nel grandioso trionfo celebrato dal generale4. Il vincitore della Lega Etolica e conquistatore di Ambracia dedicò l’aedes Herculis Musarum in circo Flaminio, in un anno non ricordato dalle nostre fonti5. Egli, inoltre, prelevò dal santuario di Honos et Virtus l’edicola bronzea delle Camene dedicata, secondo la tradizione, da Numa Pompilio6, e la trasportò «in aedem Herculis»7. In questo modo Nobiliore compiva un gesto di particolare valore culturale: egli non solo aderiva all’identificazione tra le ninfe latine e le divinità greche, cantata a Roma già da Livio Andronico alla

* Devo molto di questo lavoro, frutto della mia tesi di laurea Magistrale, al prof. Paolo Carafa ed al prof. Eugenio La Rocca – rispettivamente relatore e correlatore del mio elaborato – con i quali ho avuto la possibilità di un confronto sempre proficuo e ricco di stimoli. Un ringraziamento va anche al prof. Andrea Carandini che, assieme al prof. Carafa, mi ha “iniziato” allo studio dei paesaggi urbani antichi, ed al prof. Piero Alfredo Gianfrotta, che ha messo a mia disposizione tutto il materiale relativo ai saggi compiuti negli anni ’80 presso l’area dell’aedes Herculis Musarum e della porticus Philippi. 1 RE VII Fulvius 91. 2 Liv. XXXIX 4-5, 22.2. 3 Contra Gobbi 2009. 4 Liv. XXXIX 5, 15; XXXVIII 9, 13; Plin N.H., XXXV. 66. Si veda anche I. It. XIII, 1, p. 556. Catone avrebbe stigmatizzato la luxuria di Nobiliore in una sua orazione (Cic., pro Arch. 22). Il Generale, un tempo alleato politico di Catone e successivamente passato al partito degli Scipioni, fu accusato dal censore di aver portato all’assedio di Ambracia poeti e non soldati. Sull’argomento, cfr. Pittenger 2008. 5 Sulla questione si veda di seguito. 6 L’edicola si trovava originariamente presso un lucus nelle vicinanze di porta Capena, dove Numa incontrava la ninfa Egeria. Colpita da un fulmine, fu traslata nel tempio di Honos et Virtus, votato nel 222 a.C. da M. Claudio Marcello e dedicato da suo figlio nel 205. 7 Serv., ad Aen. 1.8.

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fine del III secolo e accolta da Ennio, ma le riuniva, anche fisicamente, in circo Flaminio, trasferendo le Camene dall’area immediatamente all’esterno di porta Capena e le Muse da Ambracia8. Nell’ambito dello stesso “manifesto culturale” rientrava anche l’esposizione presso il tempio dei fasti commentati dallo stesso Nobiliore9. Il trionfo di Marcio Filippo

L’avvento del principato e l’attuazione del sistema propagandistico che si incentrava intorno alla figura di Augusto determinò un drastico mutamento nella possibilità per i magistrati di Roma di dedicare monumenti pubblici. Fino ad allora la concessione di nuovi appalti era stata prerogativa del senato. I patres erano ben attenti a gestire e/o limitare la capacità degli ottimati di autocelebrarsi, mitigando gli eccessi di coloro che, come Nobiliore, miravano a unire il proprio nome e le proprie imprese ad un edificio che ne assicurasse la memoria nel paesaggio della città10. Con Augusto, il diritto di decidere quali cittadini potessero restaurare o edificare ex novo monumenti pubblici passò nelle mani del princeps11. Egli, come è noto, sfruttò tale prerogativa fino in fondo, nell’ambito di quel programma edilizio che mirava a legare il nuovo assetto monumentale di Roma alla sua persona. Tra i personaggi che furono esortati a partecipare a questo programma fu L. Marcius Philippus12, fratellastro e cognato di Augusto13. Fu tribunus plebis nel 49 a.C., praetor nel 44 a.C., consul suffectus nel 38 a.C. e trionfatore ex Hispania nel 33 a.C.14. Egli costruì, ex manubiis, intorno al tempio di Nobiliore una porticus che da lui prese il nome, la porticus Philippi e curò anche un restauro dell’aedes15. 8 Questa operazione rappresentò il completamento di un processo sincretistico avviato già dalla fine del III secolo a.C. quando Livio Andronico traducendo in latino il proemio dell’Odissea traspose il vocativo «Mοῦσα» con il termine «Camena» (Liv. Andr., fr. 1). Anni dopo, Ennio negli Annales avrebbe scritto «Musas quas memorant nosces esse Camenas» (Enn., ap. Varro, 1, 1, 7). Cfr. La Rocca 2006, p. 106 ss. 9 Macr., Sat. 1.12.6. 10 Sull’argomento, La Rocca 1987. Vesperini associa il tempio alla composizione degli Annales da parte di Ennio. Entrambe le opere sarebbero da considerasi “monumenta”, finalizzati a ricordare al popolo romano la gloria di Fulvio Nobiliore e della sua gens (2012, p. 75). 11 Suet., Aug. 29. 12 Ov., fast. 6.799-812; Suet., Aug. 29; Mart. 5.49.12 s. 13 RE XIV Marcius 77. Oggi gli studiosi sono concordi nell’escludere l’identificazione di L. Marcius Philippus con il patrigno di Augusto, console del 56 a.C. (RE XIV Marcius 76), come ipotizzato da Hülsen (Hülsen 1907, 1.3, 545). 14 Shipley 1931, p. 29 ss; cfr. Degrassi, Inscr. It. XIII.1, 569. 15 Suet., Aug. 29; Tac., Ann. 3, 72. 1. Lo storico afferma che Filippo finanziò il suo intervento «ex ostiles exuuiae». Anche Ovidio (Ov., fast. VI, v. 799 ss.) indica in Marcio Filippo il fondatore dell’aedes Herculis Musarum e l’autore dell’associazione tra Ercole e le Muse. È possibile che il tentativo di accreditare la paternità dell’intero complesso monumentale – aedes Herculis Musarum e porticus – a Marcio Filippo, sia spiegabile con la finalità adulatoria di compiacere, tramite lui, il princeps e, al tempo stesso, di rimuovere il ricordo di Fulvio Nobiliore, figura non confacente al modello di austeritas propugnato dalla politica augustea (cfr. Coarelli 1997, p. 456 ss.).



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Il complesso monumentale: lo stato della questione

Tre questioni restano ancora aperte in relazione al complesso aedes Herculis Musarum-porticus Philippi: 1. La cronologia del voto e della dedica del tempio. 2. L’origine e la natura della figura divina di Hercules Musarum 3. Il tipo di intervento realizzato da Fulvio Nobiliore e quello messo in atto da L. Marcius Philippus. 1. La definizione della cronologia del voto e della dedica del tempio, è resa problematica dalla loro mancata menzione da parte di Tito Livio nelle sezioni conservate della sua opera16. La questione, ampiamente dibattuta dagli studiosi17, ruota intorno a quattro testimonianze, due epigrafiche e due letterarie: a. Una iscrizione incisa su una base in peperino, rinvenuta a Roma, presso il monastero di Sant’Ambrogio della Massima, edificio che insiste sul tempio di Ercole18. b. Una seconda epigrafe anch’essa incisa su una base in peperino e trovata a Tusculum, luogo di origine della gens Fulvia19. c. Un passo della pro Archia di Cicerone20, nel quale l’oratore riferisce che Fulvio Nobiliore «non dubitavit Martis manubias Musis consacrare». d. Il passaggio di una orazione del retore Eumenius, letta nel 298 d.C. in occasione della riapertura delle scuole di Autun21, nel quale il panegirista afferma che «aedem Herculis Musarum in circo Flaminio Fulvius ille Nobilior ex pecunia censoria fecit»22. Sulla base di questi elementi sono state avanzate due ipotesi: l’una che propone una cronologia “alta” della dedica, legata al trionfo del 187 a.C. o comunque agli anni immediatamente successivi alla presa di Ambracia e che riconosce in una parte delle manubiae accumulate in Grecia dal generale i fondi necessari a costruire il tempio, una seconda che propende per una datazione “bassa” l’anno 179 a.C., quando Nobiliore ricoprì la censura, e che individua nella pecunia censoria citata da Eumenio i fondi a cui il magistrato avrebbe attinto per la costruzione del tempio23. 16

Sull’argomento, si veda l’ampia trattazione di Aberson (Aberson 1994, p. 206) ed anche le considerazioni proposte da Coarelli (Coarelli 1997, p. 455 ss.); contra Gobbi 2009. 17 Si vedano note 28-30. 18 CIL, VI 1307. Essa recava incisa sul lato frontale l’iscrizione: M Folvius M f. | Ser. n. Nobilior | cos. Ambracia coepit 19 Su di essa è il testo: M Fulvius M f. | Ser. n. cos. | Aetolia coepit 20 Cic., Arch. 27. 21 Eumen., Paneg. 9 (4), 7, 3. 22 Eumen., Paneg. 9 (4), 7, 3. 23 Vi è anche chi afferma la sostanziale impossibilità di offrire una datazione riguardo al voto ed alla dedica dell’aedes Herculis Musarum Si veda: Cesano, Diz Epigr., III, p. 703 ss.; Badian 1972, pp. 189-190; Jocelyn 1972, p. 1006. Diverso è il caso di Gagè (1955) il quale a p. 314 dà la data del 179 a.C. e a p. 336 quella del 187 a.C.

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Coloro che accettano una cronologia connessa al trionfo del 187 a.C. rifiutano la testimonianza di Eumenio (d), spiegandola con un errore del panegirista, dovuto alla distanza temporale rispetto ai fatti trattati, oppure semplicemente con un lapsus24. Le due basi iscritte (a-b) confermerebbero la notizia ciceroniana di una consacrazione del bottino di guerra alle Muse25. Infatti, la menzione di Ambracia e dell’Etolia nei due testi, sembrerebbe indicare che esse sostenessero due delle opere che Fulvio Nobiliore portò dalla Grecia. In queste iscrizioni egli è ricordato soltanto come consul; ciò indicherebbe che la dedica di tali basi, e delle opere che esse sostenevano, sarebbe anteriore al 179 a.C., anno della censura26. Gli studiosi che sostengono la seconda ipotesi fondano le proprie argomentazioni sulla testimonianza di Eumenio (d)27 e sullo stato lacunoso e corrotto del testo liviano relativo all’anno 179 a.C., il quale, tra le righe perdute, avrebbe potuto contenere la menzione della dedica di Nobiliore28. La maggiore obiezione all’ipotesi di una realizzazione del tempio ex pecunia censoria è rappresentata dalla difficoltà per questi magistrati di gravare sull’erario pubblico per la costruzione di edifici templari, specie se realizzati ex novo e con finalità celebrative29. Questa considerazione va ad aggiungersi alla testimonianza di Cicerone relativa alla con24 Richardson 1977, p. 351 ss.; Tamm 1961, p. 157 ss. Aberson ha osservato come tali ipotesi appaiano poco convincenti se si considera che Eumenio fu alto funzionario della Cancelleria Imperiale e sicuramente aveva accesso ad un repertorio di topoi connessi al tema dell’arte e della forza, che contemplavano anche le vicende dell’aedes Herculis Musarum (Aberson 1994, p. 208). 25 In questo filone interpretativo si inseriscono diversi studiosi, tra cui coloro che per primi si occuparono – o semplicemente fecero menzione – dell’aedes Herculis Musarum, benché la maggior parte di essi non affronti specificamente il problema, dando il dato come un assunto. Essi evidenziarono la connessione della dedica del tempio con la presa di Ambracia (Bayet 1926, p. 240; Sichterman 196) o – i più – con il trionfo di M. Fulvius Nobilior del 187 a.C. (Rossi 1869, p. 66 ss.; Klügmann 1871, p. 262 ss.; Peter 1886-1890, col. 2971; Marquardt 1889-1890, II, p. 69; RE, VIII, 1, s.v. Hercules, col. 576; Jordan, Hulsen 1907, III, 544-545; Platner, Ashby 1929, p. 255; Lundstrom, 1931, p. 89 ss.; Skutsch 1944, p. 79, 1976; Boemer 1958, II, p. 390; Bona 1960, p. 126; Tamm 1961, p. 161, n. 2; Webster 1964, p. 276 ss.; Broughton 1968, I, p. 369; Cancik 1969, p. 323; Scullard 1969, p. 368, n. 2; Jory 1970, p. 234; Ronconi 1974, pp. 15-16; Grimal 1975, p. 277; Richardson 1977, p. 355; Gianfrotta 1983, p. 376; Pietilä-Castrén 1987, p. 101; Viscogliosi 1996, p. 18). La Rocca si è maggiormente soffermato sulla questione della cronologia del tempio, argomentando in favore di una datazione alta. Egli sottolinea come nelle manubiae di guerra a cui fa riferimento Cicerone sia da riconoscere la totalità del bottino preso da Nobiliore in Grecia con il quale il trionfatore poteva disporre l’edificazione di edifici ex novo senza gravare sull’erario pubblico (La Rocca 2006, p. 102; Id. 2012, p. 72 ss.). 26 La Rocca 2006, pp. 102-103; Id. 2012, p. 7 s. 27 Coloro che propongono la cronologia alta della dedica del tempio sottolineano come il retore gallo sia vissuto quattrocento anni dopo i fatti da lui descritti, la sua interpretazione della vicenda sarebbe quindi meno affidabile di fonti cronologicamente più vicine alla fondazione del tempio. 28 Cfr. Coarelli 1996, p. 460. 29 Già Mommsen (Mommsen 1887-18883, pp. 456-457) aveva rilevato che la possibilità per un censore di avere accesso ai fondi erariali per l’edificazione di un tempio fosse molto rara anche se non da escludere a priori. Sull’istituto della censura si veda De Ruggiero 1925 e Suolahti 1963.



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sacrazione, da parte di Nobiliore, delle manubiae di Marte alle Muse (c). Il passo ciceroniano è stato variamente interpretato30. Da ultimo, Aberson, riprendendo uno studio di Shatzman, ha provato a dimostrare come l’erezione del tempio all’epoca della censura non confligga con la notizia della pro Archia inerente ad una consacrazione delle manubiae – intese non soltanto come «argent monnayé» ma anche come oggetti, in questo caso opere d’arte – offerti alla divinità31. Un elemento che potrebbe essere dirimente ai fini della questione relativa alla dedica dell’aedes Herculis Musarum, è quello dell’assegnazione ai nuovi censori, da parte del senato, di un vectigal annuum. Livio infatti riferisce che, al momento della nomina di Marco Fulvio Nobiliore e di Marco Emilio Lepido alla censura, questi richiesero e ottennero la concessione di una imposta straordinaria, valida solo per quell’anno, «qua in opera publica uterentur»32. Qualora si accettasse l’ipotesi di una cronologia “bassa” della dedica del tempio, si potrebbe ipotizzare che la sua costruzione fosse stata finanziata, non propriamente con la pecunia censoria, difficilmente adoperabile per questo tipo di operazioni, ma con i proventi dell’imposta straordinaria menzionata da Livio. Questa possibilità non si accorderebbe con la testimonianza di Eumenio, che parla espressamente di pecunia censoria. Si potrebbe pensare che con questa espressione il retore abbia potuto fare riferimento ad una somma di denaro effettivamente concessa nella disponibilità dei censori per la realizzazione di “opere pubbliche”, ma non ascrivibile al budget ordinario che questi magistrati annualmente amministravano. Rimarrebbe aperta, in ogni caso, la questione relativa al significato dell’espressione «opera publica» usata da Livio, da collegarsi all’erezione di un edificio celebrativo. 2. La figura divina di Hercules Musarum rappresenta un unicum nel panorama dei culti sia di Roma che del mondo greco fino ad oggi noti. Non possediamo, infatti, attestazioni di altri templi o, più in generale, di luoghi sacri dedicati a questa divinità con una simile epiclesi. Ciò ha condotto alcuni studiosi ad interrogarsi anche sulla effettiva presenza di Ercole nel tempio dedicato da Fulvio Nobiliore33. Immagini del dio con cetra, lira o doppio flauto, fanno la loro apparizione alla fine del VI secolo a.C. sulla ceramica attica34. Le raffigurazioni riproducono la figura di Ercole Musico, 30 Martina ha proposto di leggere l’espressione Martis manubiae, non con il significato tecnico di “bottino di guerra” – che sarebbe apparso incoerente con la notizia di Eumenio – ma con quello, più astratto, di “vittoria” (Martina 1981, p. 52 ss.). Cfr. Shatzman 1972, p. 172 e n. 21; Coarelli 1997, p. 455 e La Rocca 2006, p. 103. 31 shatzman 1972, pp. 177-205; Aberson 1994, p. 200. 32 Liv. XL, 46, 16. Sull’argomento, si vedano Coarelli 1997, p. 459; Bastien 2007, p. 332. Cfr. La Rocca 2012, p. 46, n. 55. 33 Si veda, da ultimo, Vesperini 2012, pp. 96-97. 34 Boardman 1988, p. 810 ss., nn. 1438-1447 (kythara e leonté); nn. 1448-1454 (con lyra o kythara seduto e vestito); nn. 1460-1463 (stante con la kythara). A proposito di tale “comparsa”, si sono sviluppate due teorie: a) quella che fa capo a Dugas e che ipotizza l’esistenza di un episodio nel quale Ercole avesse dimostrato la sua abilità di musico al cospetto di Hermes ed Athena. Tale episodio avrebbe rappresentato il precedente mitico da cui avrebbe avuto origine la tradizione figurativa attica di Ercole Musico. Lo studioso, inoltre, ha individuato nell’Eracle musico tardo-arcaico un simbolo pitagorico (Dugas 1960; cfr. Schauenburg 1979, p. 75). b) la seconda teoria è quella che nega l’esistenza di una tradizione mitologica, legata ad Ercole Musico,

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ma non contemplano la congiunzione dell’eroe con le nove Muse. La tradizione letteraria sembra per lungo tempo ignorare la figura di Hercules in veste di musico e quando essa è menzionata, il dio non è comunque messo in relazione alle Muse35. Boyancé ha individuato l’origine dell’associazione tra Ercole e le dee delle arti nella dottrina pitagorica36, evidenziando i risvolti politici che questa attribuiva a tali figure divine37. Accogliendo l’ipotesi dell’origine pitagorica dell’unione di Ercole e le Muse, dobbiamo domandarci come tale connubio sia giunto nel circo Flaminio. La spiegazione a questo interrogativo risiede nel tipo di atteggiamento che traspare da quanto riferiscono le fonti circa la strategia politica di M. Fulvius Nobilior. Tutte le scelte e gli atti compiuti dal generale romano sembrano infatti finalizzati ad un unico obbiettivo: quello di costruire un’immagine di se stesso quale di un primus rispetto agli altri ottimati del suo tempo. Ciò attraverso una serie di rimandi, a Numa, a Pirro e agli antenati più illustri della sua gens ed un comportamento paragonabile a quello di un sovrano ellenistico. Tuttavia, per la prima volta, questo tipo di atteggiamento sarebbe stato rivolto, non al mondo greco, ma a Roma38. Paradigmatico a questo proposito è il legame tra il generale e il poeta Ennio. Quest’ultimo seguì il console in terra epirota – novità assoluta per il mondo romano – per assistere allo svolgimento delle vicende belliche e per glorificare le gesta del suo patronus39. Ennio, inoltre, avrebbe coltivato interessi di stampo pitagorico40. È stato ipotizzato che il poeta abbia svolto un ruolo nel processo di precedente la fine del VI secolo a.C. e che propone di individuare la nascita di tale figura divina nell’ambito della temperie storica ateniese all’epoca di Pisistrato e dei Pisistratidi. Non è da dimenticare che il demo di Filaide, da cui proveniva Pisistrato, era compreso nella regione che per prima avrebbe tributato onori divini ad Eracle (Paus. 1, 32, 4. Cfr. Boardman 1972; Marconi 1996, p. 766; Angiolillo 1997, p. 219; Fontana 2004, p. 308). È stato osservato come, benché non si possa escludere un interesse particolare di Pisistrato per la figura di Eracle, sia probabilmente più corretto interpretare la sua diffusione sulla ceramica e nell’architettura monumentale come un fenomeno collettivo, direttamente legato alla figura di Atena (Blok 1990, pp. 17-28; cfr. da ultimo, Santi 2010, pp. 330-339, con bibliografia precedente). 35 Sulle connessioni di Eracle con personaggi legati alle arti e, in particolare alla musica, e sul tema della paideia del dio, si veda Detienne 1960, pp. 31-32; Boardman 1988, pp. 810-811; Fontana 2004, p. 305 ss.; Gobbi 2009. 36 Boyancé 1972. Cfr. Detienne 1960, p. 19 ss.; Fabrizi 2008, p. 205. 37 In diversi passaggi del De vita Pythagorica di Giamblico si sottolinea come per i seguaci del filosofo, Ercole incarnasse la figura dell’eroe che si eleva, non più però in virtù delle doti guerresche, bensì grazie alle sue qualità morali ed intellettuali. Da questa concezione del dio all’associazione con le Muse il passo è breve. Anche queste ultime acquisivano, nell’ambito della dottrina pitagorica un valore nuovo e, per cosi dire, politico. Sempre Giamblico riferisce che Pitagora, in una sua orazione ai Crotoniati, avesse indicato le Muse come dee dell’armonia intesa in senso politico ed avesse esortato i cittadini ad offrire loro un culto (Hyambl., De vita Pithagorica, 45-50, 152, 155). 38 Sull’argomento, cfr. Vesperini 2012, p. 80 ss. 39 Il poeta avrebbe composto una praetexta intitolata significativamente Ambracia, che doveva narrare la presa della città, e nel XV libro degli Annales, probabilmente descrisse le vicende dell’intera campagna (Fabrizi 2008; Vesperini 2012, p. 27 ss., con bibliografia precedente). 40 Ciò sarebbe confermato dall’esposizione della teoria della metempsicosi nel proemio degli Annales (vv. 2-11 Sk) e dalla composizione dell’Epicharmus, opera che traeva il nome dal poeta comico siracusano anch’egli seguace della dottrina pitagorica.



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elaborazione delle dottrine pitagoriche in chiave funzionale alla cultura romana, nella quale il fulcro delle speculazioni e della venerazione non sarebbero stati più gli dei, bensì gli uomini valorosi, artefici di grandi imprese41. Attraverso la celebrazione di tali imprese e la loro elaborazione sul piano culturale ed artistico, personaggi come Fulvio Nobiliore avrebbero potuto raggiungere gloria e imperitura memoria42. È in questo contesto che bisogna leggere la fondazione dell’aedes Herculis Musarum ed è da questa prospettiva che si devono ricercare i motivi dell’introduzione a Roma di un culto tanto peculiare. 3.1) La questione inerente la natura dell’intervento edilizio promosso da Fulvio Nobiliore verte intorno a quattro testimonianze letterarie: (a) un passo di Tito Livio relativo alla sua censura, nel quale lo storico attribuisce al generale la costruzione di una non meglio precisata porticus ad fanum Herculis43, (b) un secondo passo di Livio in cui si fa menzione di un’aedes edificata nel 218 a.C.44, (c) il già citato passo di Eumenio del 298 d.C., (d) un passaggio del commento di Servio all’Eneide45, il quale annota che Nobiliore pose all’interno di una non meglio specificata aedes Herculis l’edicola delle Muse, che precedentemente era collocata presso i templi di Honos et Virtus, causando in questo modo il mutamento del nome in aedes Herculis et Musarum Da queste testimonianze, circa la natura dell’intervento di Nobiliore, è derivata una serie di ipotesi. Alcuni studiosi, sulla base del passo di Eumenio (c), che individua nel generale colui il quale edificò (fecit) il tempio, attribuiscono a Fulvius Nobilior la realizzazione ex novo dell’aedes Herculis Musarum46. Altri autori, in virtù della testimonianza serviana (d), hanno ipotizzato la giustapposizione del culto delle Muse, introdotto da Nobiliore, ad uno precedente, dedicato ad Ercole. In passato, è stato proposto di identificare nel tempio di Hercules Magnus Custos il luogo sacro che avrebbe successivamente subito la nuova dedica47. Questa ipotesi è stata, tuttavia, confutata con varie argomentazioni da Coarelli48. 41

I prodromi di questo fenomeno sono stati ravvisati già all’epoca di Appio Claudio Cieco (Ferrero 1955, pp. 210-211; Storchi Marino 2000, p. 338; Fontana 2004, p. 313, 2006, p. 239). 42 Sull’incontro tra M. Fulvius Nobilior e le dottrine pitagoriche si sono sviluppate nel tempo due teorie: una che fa capo a Boyancé (Boyancé 1972, p. 227 ss.), il quale ha individuato nel pitagorismo dell’Italia meridionale il contesto culturale con cui il console romano sarebbe venuto – direttamente o indirettamente – a contatto ed una seconda teoria, propugnata da Burkert, che si fondava sulla testimonianza del retore Eumenius, il quale riferisce che Nobiliore avrebbe appreso dell’esistenza di un culto di Eracle Musagete in Grecia (Burkert 1961, pp. 241-242). 43 Liv. XL, 51, 6. 44 Liv. XXI, 62, 9. 45 Serv., Aen. I. 8. 46 Di questo parere sono Martina 1981, pp. 51-52; Coarelli 1997, p. 452 ss. e La Rocca 2006, p. 101 ss. 47 Castagnoli 1961, p. 608; Marchetti-Longhi 1970, p. 145 ss.; Olinder 1974, p. 57 ss. 48 Lo studioso ha osservato come luogo il tempio di Hercules Custos non possa essere stato sostituito dal tempio di Hercules Musarum perché continua a vivere nel I sec. a.C., come basta a dimostrare la menzione di Ovidio (Ov., fast. VI, 209-212), e come anche il dies natalis dei due culti risulti differente. Infine, appurata la collocazione topografica dell’aedes Bellonae di fianco al tempio di Apollo Sosiano, risulterebbe incomprensibile la notizia ovidiana per la quale l’aedes sarebbe sorta altera pars Circi rispetto al tempio suddetto, dal momento che sappiamo che l’aedes Herculis Musarum si trovava sullo stesso lato del circo Flaminio rispetto al tempio di Bellona (Coarelli 1997, pp. 453-454.).

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Secondo Richardson, Nobiliore avrebbe dedicato un tempio alle sole Muse, le cui statue aveva trasportato a Roma dalla Grecia, mentre il culto di Ercole sarebbe da considerarsi come una aggiunta successiva, operata da Q. Marcius Philippus al momento dell’edificazione della porticus omonima49. Altri ancora hanno ipotizzato che Fulvius Nobilior non abbia edificato un tempio bensì una porticus, quella di cui parla Tito Livio, con la quale avrebbe circondato un preesistente luogo di culto dedicato ad Ercole50. 3.2) Diversa è la problematica relativa al tipo di intervento attuato da Marcio Filippo. Tralasciando la questione inerente l’apparente tentativo di attribuire la paternità dell’intero complesso monumentale al fratellastro di Augusto51, ci si è interrogati sull’entità del restauro messo in atto da Filippo e sull’aderenza delle caratteristiche del tempio che ci sono note dalla Forma Urbis rispetto all’edificio originario52. Gli studiosi si sono divisi tra chi sostiene la recenziorità dell’impianto planimetrico raffigurato sulla Forma Urbis rispetto al tempio dell’inizio del II secolo a.C.53 e chi, invece, propende per una sostanziale conservazione delle fattezze repubblicane dell’aedes Herculis Musarum54. Come vedremo, le caratteristiche a noi note del monumento sembrerebbero avvalorare questa seconda ipotesi. È probabile che l’intervento di Marcius Philippus presso il tempio voluto da M. Fulvius Nobilior e la costruzione del portico abbiano comportato la ridedicazione dell’intero complesso. Infatti, siamo a conoscenza di due dies natalis relativi al tempio di Hercules Musarum, frutto, forse, di una prima dedica, quella di Fulvio Nobiliore, e di una seconda, attribuibile al fratellastro di Augusto. Secondo i Fasti Philocaliani, il 13 giugno si celebrava un natalis Musarum. Degrassi ha individuato in tale ricorrenza l’anniversario della fondazione di una aedes Musarum55. Secondo Martina, dal momento che a Roma l’unico tempio dedicato ad Ercole e alle Muse era quello del circo Flaminio, è molto probabile che i Fasti Philocaliani ci abbiano tramandato il più antico dies natalis del monumento dedicato da Fulvio Nobiliore56. Ovidio, nei suoi Fasti, colloca il dies natalis dell’aedes Herculis Musarum al 30 di giugno57. Questa ricorrenza potrebbe riferirsi alla nuova dedica di L. Marcius Philippus58. Infatti, in età augustea assistiamo alla ridedicazione di numerosi monumenti, i quali, in misura diversa, andarono soggetti ad interventi edilizi. In particolare, alcuni di essi subirono un mutamento del dies natalis, che spesso 49 Filippo avrebbe mutuato la figura di Ercole Musagete da una serie monetale di Pomponio Musa, databile intorno al 64 a.C. Richardson 1977, pp. 453-454. Cfr. Hollstein 1993, pp. 174-175. 50 Anche Maria Teresa Marabini Moevs propone di identificare il culto preesistente con quello di Hercules Magnus Custos (Marabini Moevs 1981 pp. 1-2). Secondo Alessandra Gobbi, Nobiliore avrebbe edificato la porticus presso il tempio di Ercole privo di epiclesi citato da Livio (Gobbi 2009, p. 221 ss.). Cfr. Coarelli 1997, pp. 453-454. Lo studioso riconduce i culti di Ercole menzionati per il 218 e per il 189 a.C. a quello di Ercole presso l’ara Massima, databile alla fine del IV secolo a.C. 51 Sull’argomento, si veda Coarelli 1997, p. 456 ss. 52 Si veda di seguito, il paragrafo relativo alle fonti documentarie. 53 Olinder 1974, pp. 111-112. 54 Coarelli 1997, p. 478. 55 CIL, I, 1, p. 320; Degrassi, Inscr. It., XIII, 2, (1963), p. 471. 56 Martina 1981, p. 54. 57 Ov., fast. 6.799-812. 58 Boemer 1957-1958, loc. cit.



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venne fatto coincidere con quello del princeps: il 23 settembre59. Tuttavia, la possibilità che un calendario della metà del IV secolo d.C. riporti la menzione di un anniversario sostituito all’epoca di Augusto da uno nuovo risulta quantomeno difficoltosa. Ancora meno praticabile appare però l’eventualità che i Fasti Philocaliani si riferiscano ad un secondo culto alle Muse – di cui abbiamo già sottolineato la peculiarità a Roma – non altrimenti noto. Bisogna riconoscere che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, la menzione del 13 giugno rimane un quesito ancora tutto da chiarire60. Le informazioni relative all’aedes Herculis Musarum e alla porticus Philippi tramandateci dagli autori antichi si fermano alle opere edilizie di Marcio Filippo. Tuttavia, possiamo ipotizzare che la porticus, e forse il tempio, abbiano subito ulteriori restauri, legati principalmente agli incendi che a più riprese sconvolsero il Campo Marzio e l’area in circo. Infatti, alla luce di un riesame dei rinvenimenti che si sono susseguiti a partire dal XIX secolo e, soprattutto, della documentazione degli scavi sistematici condotti nel 1983, si può ipotizzare che il complesso monumentale raffigurato sulla lastra 31 della Pianta Marmorea non sia quello inaugurato nel 33 a.C. da Marcio Filippo, ma una sua modifica successiva. Questa nuova analisi ha, infatti, evidenziato una intrinseca incongruenza circa la pertinenza delle diverse strutture note ad un unico monumento o a un’unica fase edilizia. Inoltre, la corretta georeferenziazione, eseguita per il Sistema informativo archeologico di Roma antica61, dei frammenti della FUR e delle piante dello scavo degli anni ’80 del ’900 nonché dei rinvenimenti precedenti, dimostra che la pianta della porticus riprodotta sulla Forma Urbis e alcune delle evidenze archeologiche emerse dagli scavi non coincidono. D’altro canto, i limiti indicati dalla FUR difficilmente possono essere considerati frutto di un errore; infatti, come si vedrà di seguito, essi sembrano combaciare con alcune strutture interpretabili come pertinenti alla seconda fase del monumento62. A ciò si aggiunga che la planimetria di altri monumenti presenti sulla lastra 31 della Pianta Marmorea è perfettamente coincidente con le evidenze archeologiche ancora in situ di quegli stessi monumenti63. Le fonti documentarie e le evidenze archeologiche (Fig. 1)

Il primo e più importante documento utile a delineare la planimetria del monumento è la Forma Urbis severiana64. La pianta, riprodotta sulla lastra 31 e integrata da un disegno rinascimentale, è identificata dall’iscrizione – associata a quella della porticus Octaviae –

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È questo il caso di Nettuno, Apollo, Giunone Regina, Giove Statore e Marte (Degrassi, Inscr. It. XIII, 2, (1963), p. 512 ss.; Gros 1976, p. 33 ss.; Herz 1978, p. 1147 ss.; La Rocca 1985, p. 358 ss.). 60 Ringrazio il professor Palombi per avermi sottoposto questa problematica. 61 Crespi, Fabiani, Carafa, D’Alessio, 2011, pp. 128-152; Carandini, Carafa 2012. 62 Si veda paragrafo successivo. 63 Si veda la planimetria del portico di Ottavia – al netto delle modificazioni severiane non contemplate dalla Forma Urbis – e le strutture ancora visibili in situ. 64 Il tempio, assieme all’intero complesso monumentale, è riprodotto sui frammenti bb, cc, dd, hh, integrati dai disegni rinascimentali dei settori ee, ff e gg, della lastra 31 della Pianta Marmorea. (Carettoni, Colini, Cozza, Gatti 1960).

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Fig. 1. R  oma, Via del portico di Ottavia. Area dell’aedes Herculis Musarum e della porticus Philippi; le evidenze archeologiche e la raffigurazione della Forma Urbis (Rielaborazione grafica autore).



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[PORTI]CUS OCTAVIAE ET FIL[IPPI]65. Essa riproduce un quadriportico orientato in senso S-N, col fronte rivolto verso il circo Flaminio ed allineato a quello del vicino portico di Ottavia. I quattro bracci della porticus – di cui quello posteriore presenta una ambulatio più larga rispetto agli altri tre – sono bordati da una fila di colonne – 10 × 16 – e, più esternamente, da una linea continua che starebbe ad indicare la presenza di un dislivello e di uno o più gradini tra il piano della porticus e quello della piazza. Quest’ultimo è caratterizzato da una seconda fila di punti, simile a quella indicante il colonnato ma non in linea con essa, variamente interpretata. L’ipotesi più convincente appare ancora quella di Castagnoli, il quale ha proposto di riconoscervi filari di alberi66. Al centro della porticus è raffigurato il tempio. Esso è identificato dalla legenda AEDIS HERCULI[S MUSAR]UM e presenta l’aspetto di una tholos del diametro di m 11, dotata di un pronao. L’edificio sorge al di sopra di quello che sembra un podio quadrangolare, provvisto di due bracci che si dipartono dal lato frontale di esso. Questi bracci inquadrano uno spazio rettangolare all’interno del quale è presente un elemento circolare. Sul lato settentrionale del podio è collocata una esedra. L’accesso al tempio è costituito da una scalinata posta al centro del lato frontale del suddetto podio. I primi rinvenimenti di alcune strutture pertinenti con ogni probabilità al complesso monumentale dell’aedes Herculis Musarum e della porticus Philippi risalgono alla seconda metà del XIX secolo. Nel 1872 fu osservato un muro in blocchi di tufo nelle fondazioni di un edificio situato sul lato orientale di piazza Mattei67 (Figg. 1, 6, a). Contestualmente all’individuazione di questa struttura muraria fu scoperto anche uno dei piedistalli su cui doveva essere collocata una statua68. Un anno dopo, nel 1873, in una cantina al numero 9 di via del Portico di Ottavia – inserito nella fondazione della facciata dell’edificio, a m 2,30 sotto il livello stradale attuale – si rinvenne un muro in opera quadrata di blocchi di tufo69 (Figg. 1, 4, b). Di esso si conservano tre filari sormontati da una fascia di lastre di travertino70, per una lunghezza di circa m 5,80. Al centro della struttura muraria sembra possibile individuare tre blocchi di tufo, coronati da una lastra di travertino, messi in opera trasversalmente rispetto all’orientamento del muro. Su di esso poggiava una colonna in peperino. Una seconda colonna, analoga, era situata ad un interasse di circa m 3 dalla precedente. Entrambe sono certamente posteriori alle fasi antiche del monumento ed ascrivibili ad età medievale71. Nel 1890, durante i lavori per la realizzazione di un condotto fognario in via del Portico di Ottavia, furono scoperti i resti di un colonnato di ordine corinzio con colonne del diametro all’imoscapo di m 0,66 e con un interasse di m 3,4072 65

Per una lettura alternativa si veda Richardson 1992. Castagnoli 1983, p. 99. Non convince l’ipotesi di una doppia fila di colonne fiancheggianti un secondo muro parallelo a quello di limite. Cfr. Richardson 1974; Porcari 2008, p. 177. 67 Esso era lungo circa m 6 ed alto circa m 1,50. 68 Gianfrotta 1985, p. 376; ACS, MPI, DIR GEN AA. BB. AA., I vers., b. 63, fasc. 133, sez. 7, f. 438; Lanciani, Forma Urbis, tav. XXI. 69 Alti circa m 0,55, e lunga tra i m 1,50 ad 1,80 (Castagnoli 1983, pp. 93-94; Gianfrotta 1985, p. 376). 70 Alte circa m 0,25. 71 Castagnoli 1983, p. 94. 72 Più precisamente la struttura fu rinvenuta a m 3.10 di profondità sotto il livello stradale. Essa aveva inizio a m 6,78 dall’angolo di via della Reginella e continuava in direzione della porticus Octaviae (Gatti 1890a, p. 66 ss.; Id. 1890b, pp. 31-32; Lanciani Cod. Vat., 13039, f. 126 r; Id., Forma Urbis, tav. XXI; RT, VI, pp. 316-319; ASC, Rip. X Comm Arch., 1888, 1292, III q. 66

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(Figg. 1, 6, c). Tale colonnato era orientato ed allineato esattamente nella stessa maniera di quello dell’attigua porticus Octaviae. Nello stesso anno e sempre in via del Portico di Ottavia, durante gli sterri per la realizzazione della sede dell’Unione cooperativa capitolina al civico 49, a circa m 7 sotto il livello moderno, si rinvenne il settore di una platea in travertino che conservava, sul limite sud-ovest, il tratto di una cunetta di scolo73. Un secondo settore del colonnato individuato nel 1890 venne in luce nel 1911 in prossimità dello sbocco di via di S. Ambrogio in via del portico di Ottavia (Figg. 1, 6, c). Si trattava di un muro in pietrame di tufo largo m 1 sormontato da lastre di travertino su cui poggiava ancora una base di colonna costituita da due tori ed una scozia sulla quale doveva impiantarsi un fusto di colonna di diametro analogo a quello delle colonne precedentemente scoperte74. Nel 1947, presso piazza Mattei, a m 3,50 sotto il livello stradale, venne in luce la porzione di un piano di travertino75. A questi rinvenimenti di tipo strutturale ed architettonico bisogna aggiungere quello, compiuto nel 1867, di una base marmorea la quale recava incisa l’epigrafe M Fulvius M f. / Ser. n. Nobilior / cos Ambracia cepit. Essa fu scoperta a poca distanza dal portone di ingresso del monastero di S. Ambrogio (Fig. 1, e)76. Solo nel 1983 furono compiuti dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, su richiesta dell’Istituto di Topografia Antica dell’Università di Roma, dei saggi di scavo finalizzati ad una maggiore comprensione del monumento. I saggi condotti furono tre. Uno (Figg. 1-2, 4, f), nella parte centrale del cortile dell’Istituto tecnico per l’alimentazione, mise in luce due muri paralleli, alti circa m 0,60 e foderati di marmo greco, i quali andavano a fiancheggiare un ambitus pavimentato con lastre di marmo77. In corrispondenza dell’estremità meridionale dello stretto corridoio marmoreo gli scavatori individuarono la porzione di una struttura curvilinea costituita da una serie di conci di cappellaccio. Sulla base della curvatura residua, è stato possibile calcolare quale fosse il diametro generale del cerchio, che risulta essere di circa m 1178. Il secondo saggio (Fig. 1, g), compiuto nel giardino del Monastero di S. Ambrogio, non produsse i risultati sperati a causa dell’individuazione di strutture medievali e rinascimentali che avevano tagliato i livelli antichi79. Il terzo saggio (Figg. 1, 3-4, h) è stato condotto nel vano ipogeo sottostante il portico della chiesa di S. Ambrogio. Gli scavi misero in luce, a m 3,85 di profondità dal piano di calpe73 Le lastre di travertino costituenti la platea misurano mediamente m 1,33 di larghezza, m 0,37 di altezza e una lunghezza variabile tra m 1,30 e 2,10. La cunetta presentava una larghezza di m 0.36 nella parte superiore e di m 0,25 in quella inferiore e fu messa in luce per una lunghezza di m 30. La distanza del tratto di platea messo in luce rispetto alle colonne ancora in situ del portico di Ottavia è di m 11 (Gatti 1890, p. 243). 74 ACS, Arch. Gatti, fasc. 10, R. IX, cc. 3816-3817; ASSAR Giornali di Scavo, V, 1911, pp. 2666, 2853; Gatti 1911, pp. 87-88. 75 ACS, Arch. Gatti, fasc. 10, R. IX, c. 3676; Porcari 2008, p. 181. 76 CIL, VI 1307 = I2 615 = ILS 16 = ILLRP I, 124. 77 Dei due muri, quello occidentale era costituito da filari di blocchi di tufo marrone, mentre quello orientale era costituito da blocchi di tufo grigio sormontato da spezzoni di travertino. Entrambi conservavano la cornice inferiore della foderatura marmorea. Sopra i due muri antichi poggiavano due strutture murarie medievali, forse ascrivibili al «monasterium S. Mariae quae appellatur Ambrosii» (Castagnoli 1983, pp. 95-96; Gianfrotta 1985, pp. 377-378). 78 Ibid. 79 Gianfrotta 1985, p. 380 ss.



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Fig. 2. R  oma. Pianta delle strutture pertinenti al tempio di Hercules Musarum e del condotto rivestito di marmo (f) (da Gianfrotta 1985, fig. 8).

Fig. 3. R  oma. Pianta delle sostruzioni della porticus Philippi, sottostanti il portico della chiesa di S. Ambrogio (h) (da Gianfrotta 1985, fig. 13).

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stio moderno, un muro in blocchi di tufo lionato dell’Aniene80, caratterizzato da una serie di blocchi aggettanti, identico per tecnica costruttiva e materiali a quello individuato nella fondazione al 9 di via del Portico di Ottavia (Figg. 1, 4, b). Questa struttura è identificabile con una sostruzione ad anterides ed erismae, del tipo descritto da Vitruvio nel sesto libro del de Architectura81. Essa segnava un forte dislivello tra due zone, una superiore, rivolta ad ovest, verso il tempio di Hercules Musarum, e una inferiore, ad est, verso la porticus Octaviae. La parete orientale del muro che guarda la zona inferiore (un’area aperta o un piccolo ambitus), era interamente rivestita di intonaco bianco con riquadri di linee rosse. Si tratta di uno schema decorativo a imitazione di una superficie marmorea, tipico della fine del I secolo a.C.82. Questa parete decorata è risultata visibile per un’altezza di m 2,60, tuttavia, gli stessi scavatori, sulla base del ritrovamento di un ortostato dello stesso muro ancora in situ, si accorsero che essa avrebbe potuto scendere fino alla profondità di m 4,70 al di sotto del livello pavimentale dell’ambiente attuale83. Una risega di m 0,50 tra la parte intonacata e il bordo interno dei muri è interpretabile, con ogni probabilità, come l’alloggiamento di una zoccolatura marmorea asportata84. Sul lato opposto a quello intonacato, il muro presenta tre erismae85 – quelle oggi visibili – distanziate l’una dall’altra da un intervallo di m 2,07 (7 piedi). Nella zona superiore, quella situata sul lato dell’aedes Herculis Musarum, erano tre muri in cementizio, paralleli a quello di tufo. Dei tre, quello più orientale, si appoggiava alla struttura in filari ed era connesso al muro “mediano” tramite brevi setti trasversali – di cui ne sono visibili due – in opus reticulatum. Questi ultimi si trovano allineati trasversalmente alle erismae. Il muro in cementizio più occidentale è quello meno visibile, perché in gran parte ancora nascosto dalle costruzioni moderne. La struttura cosi descritta è osservabile soltanto per il breve tratto individuato al di sotto del pavimento del piccolo ambiente sotto il portico di S. Ambrogio, adoperato nel passato come deposito di carbone; tuttavia appare chiaro come essa continuasse sia verso sud che verso nord. Prova di ciò è, per il lato meridionale, l’esistenza di un ulteriore blocco di tufo visibile all’interno del muro moderno che segna la parete di fondo di tale ambiente e, per il lato settentrionale, la terza erisma ancora in vista, sulla quale va ad appoggiarsi la scala moderna e che deve continuare, con analoga struttura, al di sotto di essa e poi lungo la stessa direttiva. è probabile che questa struttura di muri paralleli dotati di setti trasversali dovesse avere la funzione di contenimento di un terrapieno e che sorreggesse una pavimentazione86.

80 I blocchi di ogni filare sono lunghi circa m 2 e larghi circa m 0,50; i blocchi in posizione perpendicolare al muro sono lunghi circa m 1,15 e larghi circa m 0,50. Il muro era lungo circa m 7. 81 Vitr., de Arch. 6. 8. 82 Viscogliosi 1996, p. 147. Contra Porcari 2008. Concorde con la datazione proposta da Viscogliosi è il prof. M. Papini, che ringrazio per la consulenza orale che mi ha offerto e per la disponibilità accordatami. 83 Gianfrotta 1985, p. 383. 84 Ibid. 85 Tali erismae misurano circa m 1 × 1,15. 86 Castagnoli 1983, p. 98.



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Le architetture ricostruite

Periodo I (dal 186/179 a.C. al 33 a.C.) L’aedes Herculis Musarum Conosciamo la planimetria del tempio grazie alla raffigurazione della Forma Urbis integrata da un disegno rinascimentale di cui già si è detto87. Relativamente a questa testimonianza, alcune incertezze sono legate alla fase edilizia raffigurata e all’aderenza dell’impianto planimetrico rappresentato sulla lastra 31 rispetto a quello originario voluto da Nobiliore. Questo interrogativo si lega a quello relativo all’entità del restauro operato nel 33 a.C. da L. Marcius Philippus. Un dato che potrebbe far pensare ad una continuità del tempio nelle forme che conosciamo dalla FUR è la sua stessa planimetria. Essa – cosi peculiare da costituire sostanzialmente un apax – sembra essere più coerente con le tendenze ellenizzanti ed innovatrici di Fulvio Nobiliore che con il programma di recupero dell’architettura tradizionale romano-italica propugnato da Augusto. Non appare casuale il fatto che il più vicino confronto con l’aedes Herculis Musarum – benché cronologicamente più tardo di una ottantina d’anni – sia rappresentato dal tempio B di Largo Argentina, il quale era dotato anch’esso di una serie di podi che inquadravano uno spazio quadrangolare antistante alla cella88. In ogni caso, ad oggi, non disponiamo di dati sufficienti per affermare con assoluta certezza che l’impianto planimetrico presente sulla lastra 31 della Forma Urbis rispecchi quello dell’epoca di Nobiliore. Nulla si è conservato dell’elevato dell’edificio. A giudicare dalla raffigurazione della Forma Urbis, esso doveva consistere in una tholos chiusa del diametro di circa m 11, priva di peristasi e dotata di un pronao. Al di sotto del piano pavimentale della cella, in posizione opposta rispetto all’ingresso89, si apriva uno stretto condotto foderato di marmo, il quale immetteva nello spazio retrostante il tempio90. L’aedes poggiava su un podio costituito da una struttura quadrangolare – di m 21 × 20 – che era quella propriamente destinata a sostenere il tempio. Sui lati est ed ovest del quadrato si aprivano due nicchie larghe m 4 e profonde m 1,50. Il lato frontale, cioè quello meridionale, era occupato dalla scalinata, mentre in quello posteriore era ricavata una grande esedra. Dal lato frontale del podio si dipartivano due bracci91, che possiamo immaginare della stessa altezza del basamento, dal profilo articolato su entrambi i lati in nicchie rettangolari analoghe a quelle del podio. Le nicchie erano inquadrate da avancorpi quadrangolari. Queste strutture sono interpretabili come basamenti su cui erano collocate statue, forse alcune delle opere d’arte che Fulvio Nobiliore trasferì a Roma dalla Grecia92. Nel complesso, l’insieme di podio e bracci for87

Si veda paragrafo precedente. Marchetti-Longhi 1932-1933; Coarelli 1981, p. 19 ss.; Caprioli 2011, p. 89 ss.; D’Alessio 2012, p. 503 ss.; De Stefano 2012, p. 544 ss. 89 La cui altezza, ricavabile dal rapporto tra le dimensioni complessive del monumento, doveva essere di circa m 4. 90 Largo circa m 0,90 e lungo circa m 2,40. 91 Essi erano lunghi circa m 32. 92 Al suo rientro nell’Urbe il generale vittorioso portò con sé, come parte del bottino di guerra, una ingen88

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mava una struttura i cui lati lunghi erano costituiti esternamente da una sequenza di sette avancorpi inquadranti sei nicchie mentre, dei lati corti, il posteriore era caratterizzato dalla grande esedra e l’anteriore dall’accesso allo spiazzo interno. Circa l’altezza di questo podio non disponiamo di rapporti dimensionali che ci aiutino, come invece accade per la cella. In mancanza di altri elementi utili alla definizione di tale misura, si può utilizzare il numero dei gradini che consentivano l’accesso al tempio – 5 – raffigurati sulla FUR. Assumendo per ogni gradino una alzata media di m 0,25-0,30, si ricava l’altezza di m 1,20-1,5093. Una struttura dalle caratteristiche cosi peculiari trova, come si è detto, affinità con il tempio B di Largo Argentina94. L’aedes Fortunae Huiusce Diei era infatti dotata di una serie di basi95 – di tre di esse possediamo attestazioni archeologiche, ma è possibile ricostruirne un totale di quattro, o sei, – le quali inquadravano lo spazio antistante il tempio. È ipotizzabile che anche tali basamenti sostenessero delle statue. Come presso l’aedes Fortunae Huiusce Diei, anche i due bracci del podio del tempio di Ercole recingevano un’area, di circa m 14 × 28, il cui accesso era costituito dallo spazio compreso tra due basi più lunghe che chiudevano il lato sud96. Al suo interno, stando al disegno integrativo della FUR, era un elemento circolare97. Esso è stato variamente interpretato. Alcuni vi hanno identificato l’altare del tempio. Questa soluzione, che sembra la più convincente, è resa plausibile dal fatto che spesso le are dei templi dedicati ad Ercole presentano una forma circolare98. Anche la posizione del cerchio giustificherebbe tale ipotesi, in quanto si trova immediatamente davanti alla scalinata d’accesso all’edificio templare e in asse con esso99. Una seconda possibilità è quella che vi individua l’edicola delle Camene100. Un’altra ipotesi riconosce nel sistema del recinto con risalti la tecnica costruttiva dei ninfei con fontane. Una simile struttura potrebbe essere tipologicamente affine alle vasche del templum Pacis, cioè ad euripi rialzati rispetto al piano di calpestio, rivestiti di marmo e sui quali dovevano essere posti dei gruppi scultorei101. Nulla sappiamo della decorazione tissima quantità di opere d’arte, 785 signa aenea e 230 signa marmorea, razziate nella capitale nemica e nel territorio circostante (Liv. XXXVIII, 4-11). 93 Coarelli 1997, p. 476. 94 Coarelli ha ipotizzato che la quantità di analogie tra il tempio B di Largo Argentina e l’aedes Herculis Musarum possa spiegarsi con un rapporto di dipendenza dell’impianto architettonico del primo rispetto al secondo. Il tempio di Ercole, secondo questa ipotesi, avrebbe funto da modello per il più tardo edificio dedicato la Lutazio Catulo (Coarelli 1997, p. 476). Questa possibilità rappresenterebbe un ulteriore indizio in favore dell’antichità dell’impianto planimetrico dell’aedes Herculis Musarum rispetto al restauro operato da Marcio Filippo. 95 Alte circa m 2,25. 96 Largo m 4. 97 Esso presenta un diametro di circa m 4. 98 Verzàr-Bass 1985. 99 Cfr. Coarelli 1997. 100 Tamm 1961, p. 164; Viscogliosi 1997, p. 19. 101 Un interessante confronto rispetto a questo tipo di istallazione, riscontrabile in ambito privato, è costituito dal sistema di fontane-ninfeo della casa di Ottavio Quartione a Pompei. Il lungo giardino della domus è attraversato da un euripo che ha nel mezzo una vasca con pareti a risalti ed al suo interno una fontana con gradini (Maiuri, Pane 1947, p. 8 ss., tavv. I-VIII; Spinazzola 1953, p. 396 ss.). Secondo La Rocca, nel caso



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interna della cella. È possibile immaginare che nelle pareti di quest’ultima fossero ricavate nicchie, all’interno delle quali sarebbero state collocate le statue delle nove Muse e, probabilmente, una di Ercole. All’interno delle nicchie presenti lungo tutto il perimetro del podio del tempio, è invece stato proposto di identificare il luogo in cui Fulvius Nobilior avrebbe affisso le tabulae con incisi i fasti da lui stesso commentati: dodici nicchie per i dodici mesi102. Coarelli, che pure non esclude la possibilità che essi fossero conservati nell’archivio del tempio, ha individuato un elemento a suffragio di tale ipotesi sulla base del confronto con i fasti di Verrio Flacco103: Svetonio afferma, infatti, che essi erano incisi su un monumento ad emiciclo che sorgeva nel foro di Preneste104. A completamento di questo monumento, addossata all’emiciclo, era una tholos nella quale era posta la statua dello stesso Verrio Flacco105. Una seconda possibilità è quella che individua nella grande esedra incassata nel lato posteriore del podio del tempio – come per il monumento ad emiciclo del foro di Preneste – il luogo deputato ad ospitare i fasti. Alcuni studiosi hanno proposto di identificare in essa la sede della schola o collegium poetarum di cui fanno menzione le fonti106. Tuttavia, è forse possibile immaginare che l’esedra raffigurata sulla Forma Urbis, ed in parte individuata durante gli scavi degli anni ’80 del secolo scorso, potesse ospitare uno specchio d’acqua. Ciò è ipotizzabile sulla base della presenza del condotto rivestito di marmo, situato a livello delle fondazioni della cella e al di sotto del suo piano di calpestio. La sua posizione e le misure esigue ne rendono difficile l’interpretazione come un corridoio, anche perché, nel caso, bisognerebbe ipotizzare l’esistenza di un ambiente all’interno delle fondazioni del tempio sul quale si aprisse l’ipotetico passaggio. Più praticabile appare, invece, la possibilità che esso fosse parte di una vasca o di una fontana ornamentale, situato sul lato posteriore del monumento, all’interno dell’esedra. In questo caso sarebbe necessario ipotizzare la presenza di una cisterna al di sotto della dell’aedes Herculis Musarum, l’acqua avrebbe potuto scorrere in canali posti lungo il perimetro dei due lunghi bracci che inquadrano la piazza. All’interno di questa, l’elemento circolare potrebbe essere interpretato come una struttura connessa a questi euripi, una fontana a sua volta, oppure, qualora lo spazio interno fosse stato interamente occupato dall’acqua, come la base per un gruppo scultoreo (La Rocca 2006, p. 113). 102 Macr., Sat. 1.12.6. 103 Coarelli 1997, p. 482; Degrassi 1963; p. 107 ss. 104 Suet., gramm 17. 105 Già Boyancé (Boyancé 1955, p. 229, n. 3) e Michels (Michels 1967, p. 125, n. 18) avevano ipotizzato un nesso tra i fasti di Verrio Flacco e quelli di Fulvio Nobiliore. 106 Da ultimo, Coarelli (Coarelli 1997, p. 463 ss.) ha ripreso e perfezionato una teoria già avanzata da Birgitta Tamm (Tamm 1961, p. 157 ss.). Lo studioso fonda la sua proposta sulla base di un passo di Marziale (Mart., III. 20, 1; 8 ss.) da cui si ricaverebbe che a Roma, nel Campo Marzio, esisteva un tempio destinato alle riunioni e alle declamazioni pubbliche dei poeti e che questo tempio fosse dedicato alle Muse. Dal momento che in città quello di Hercules Musarum era l’unico luogo di culto dedicato alle dee delle arti, Coarelli ha proposto di riconoscere in esso il monumento in questione. Contrario a questa ipotesi è Crowther (Crowther 1973, p. 576), il quale ipotizza che vi sia una distinzione tra il collegium poetarum e la schola poetarum. Martina, a proposito di questa teoria, ha sottolineato come in realtà non vi siano espliciti riferimenti nelle fonti alla schola in relazione all’aedes Herculis Musarum Lo studioso individua, quale luogo deputato ad ospitare il collegium poetarum, il tempio di Minerva in Aventino, dove, dal tempo della seconda guerra Punica, era stato fondato un collegium scribarum histrionumque (Martina 1981, p. 66).

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cella del tempio – elemento, a dire il vero, inusuale – per l’alimentazione dello specchio d’acqua107. Il tempio di Hercules Musarum si configura come uno dei primi – se non il primo tentativo – di introdurre a Roma modelli architettonici derivati dal mondo ellenistico. L’impianto a tholos dell’aedes, l’uso del marmo greco per il suo rivestimento interno108, la presenza di donari di sculture e di opere d’arte greca e, forse, di euripi e di vegetazione, nonché la stessa destinazione del culto, sembrano connotare il monumento come una sorta di Mousaion – erede simbolico di quello crotoniate di Pitagora? – a Roma. Alla luce di tutte le considerazioni svolte sinora, appare chiaro come il significato delle scelte di Fulvio Nobiliore e la valenza ideologica dell’edificazione dell’aedes Herculis Musarum possano intendersi soltanto nell’ottica di una stratificazione di livelli semantici, da quelli più semplici, comprensibili con maggiore immediatezza, a quelli più complessi e sofisticati109. a. Il livello semantico più immediato è rappresentato dalla localizzazione del tempio e dalle opere d’arte che lo ornavano110. La posizione al centro del lato settentrionale del circo Flaminio, nel punto che proprio a partire da quegli anni stava assurgendo a fulcro monumentale della pompa trionfale, rappresentava un chiaro rimando alle imprese di Nobiliore in Etolia. Allo stesso modo, i meravigliosi oggetti che ornavano l’edificio, prelevati da Ambracia e dagli altri territori di conquista, accordandosi perfettamente al contesto in cui erano stati inseriti, assolvevano alla stessa funzione111. b. Il secondo livello semantico è rappresentato dalle forme architettoniche del tempio112. L’impianto dell’edificio – come sarà anche per l’aedes Iovis Statoris e per la porticus Metelli – si distaccava dalle forme dell’architettura italica e ciò doveva essere evidente anche agli occhi dell’osservatore meno edotto in materia. Un tempio ispirato a forme non tipicamente italiche, costruito dopo un trionfo celebrato per la sconfitta della lega etolica poteva essere percepito, esso stesso, come parte delle manubiae Martis. c. Nel solco del processo di elaborazione, e rifunzionalizzazione, di nuovi modelli culturali con elementi della tradizione si inquadra la collocazione presso l’aedes dell’edicola delle Camene e l’accostamento tra queste ultime e le Muse. Prima che a livello ideologico e simbolico, tale connubio doveva creare un certo effetto sul piano visivo: la solennità ellenistica delle statue delle divinità greche113 – che dobbiamo immaginare di grandi dimensioni – accostate alla veneranda arcaicità dell’e107

Ringrazio il professor Lippolis per avermi suggerito questa ipotesi interpretativa relativa al condotto. Accettando l’ipotesi che quello rinvenuto presso il condotto che collegava la cella alla zona posteriore del podio sia ascrivibile alla prima fase dell’edificio. 109 Zanker 1997; Id. 2000a; Id. 2000b. 110 Plin., N.H. XXXV, 66, 113-114, 144; Cic., pro Arch., XI, 27; Eumen., Paneg. 7. 3. 111 Hölscher 2003. 112 Sulla questione inerente l’impianto originario dell’aedes o della possibilità che la pianta riprodotta sulla Forma Urbis rappresenti un restauro successivo rispetto al tempio di Nobiliore, si veda di seguito. 113 Cfr. Marabini Moevs 1981; Martina 1981, p. 40 ss.; Gobbi 2009, p. 223 ss., con bibliografia precedente. 108



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dicola numana. In questa operazione è, inoltre, possibile riscontrare un rimando alla figura di Numa Pompilio. Negli anni in cui venivano scoperti sul Gianicolo i libri del mitico re, improntati alla dottrina pitagorica e si diffondeva la tradizione di una frequentazione di Numa con lo stesso Pitagora114, inserire l’edicola da lui edificata all’interno del tempio dedicato ad una divinità dalle forti connotazioni pitagoriche, rappresentava un chiaro riferimento alla figura del sovrano esperto di cose sacre e filosofo che aveva dotato Roma del suo ordinamento giuridico e sacrale. A questo riguardo, è stata anche avanzata la possibilità che i simulacri delle Muse prelevate da Nobiliore ad Ambracia fossero state a loro volta asportate da Crotone, da parte di Pirro, circa cento anni prima115. d. La collocazione nell’Aedes Herculis Musarum, da parte di Nobiliore, della sua opera, il de Fastis ricopre, dal punto di vista simbolico, un’importanza pari a quella dell’accostamento Muse-Camene116. Secondo Giovanni Lido, Fulvio117, avendo letto i libri di Numa, avrebbe formulato nel suo componimento l’idea per cui l’uomo, attraverso lo studio degli astri e delle cose celesti, avrebbe potuto penetrare l’azione del dio fautore di tutte le cose118. Fulvio Nobiliore, con il componimento di un’opera di argomento astrologico sullo studio dei fasti – evidentemente di impostazione pitagorica – non solo ribadiva il nesso ideologico tra se stesso e la figura di Numa Pompilio, ma affermava la supremazia di quella schiera di uomini che, attraverso la speculazione filosofica, si avvicinavano al dio. Tutto ciò sotto la guida e la tutela di Ercole e delle Muse, paladini e garanti dell’armonia politica. Inoltre, secondo alcuni studiosi, sarebbe stato Fulvio Nobiliore ad introdurre l’usanza di annotare sul calendario, oltre ai giorni fasti e nefasti, i dies natales dei monumenti119. Era questo uno strumento attraverso il quale le imprese dei viri triumphales, spesso connesse alla dedica di monumenta, venivano inscindibilmente legate alle vicende che avevano determinato la grandezza di Roma. e. In ultimo, la natura stessa della figura divina di Hercules Musarum, guida e difensore delle Muse, secondo l’interpretazione di Eumenio120. L’aedes dedicata a questa divinità può a buon diritto essere inserita nel novero di quegli edifici sacri – templi e santuari – costruiti dai viri triumphales in onore delle proprie divinità tutelari, ipostasi divine delle virtù peculiari dei generali che stavano facendo grande Roma.

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Testimoniata criticamente da Cicerone (Cic., de Re publ. II. 15, 28), Dionigi di Alicarnasso (Dion. II. 59), Livio (Liv. I. 18; XL. 29), Diodoro Siculo (Diod. VIII. 14), Plutarco (Plut., Num I. 3; VIII. 4-10), Plinio (Plin., N.H., XIII. 26). L’origine di tale notizia va probabilmente ascritta ad Aristoxenos di Taranto, cfr. La Rocca 2006, pp. 108-109 con ampia bibliografia sull’argomento. 115 Vesperini 2012, pp. 78-80. 116 Censorin. de Die Natali, 20. 4; 22. 9; Macr., Sat. 1. 12. 16 e 13. 21. 117 Gli studiosi sono concordi nel riconoscere nel Fulvio citato da Giovanni Lido M. Fulvius Nobilior. 118 Joh. Lydus, Ost., 16. Cfr. La Rocca 2006, pp. 109-110. 119 Rüpke 1995, pp. 331-368; Vesperini 2012, pp. 77-78. 120 Eumen., Paneg. 5(9), 7.

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Fig. 4. R  oma. Ipotesi ricostruttiva della porticus Philippi in età augustea (Rielaborazione grafica da D’Alessio 2012, tav. 223).

Periodo II (33 a.C.-IV secolo) Fase I (33 a.C.-80 d.C. ca.) (Fig. 4) La porticus Philippi La porticus Philippi si inserì in un contesto già intensamente edificato, limitato a est dal portico di Metello, ad ovest dalla porticus Octavia, a sud dall circus Flaminius, da cui era separato da una strada, ed a nord dall’area su cui di lì a poco sarebbe stato costruito il teatro di Balbo. La prima conseguenza della costruzione di questo monumento fu l’innalzamento del livello interno allo spazio recinto dalla porticus. Gli architetti del cognato del princeps come d’altro canto tutti coloro che in questa fase operarono nell’area del circo, si premurarono di mettere in sicurezza i monumenti rispetto alle frequenti esondazioni del Tevere. Alla prima fase del monumento sono ascrivibili le strutture b ed h (Fig. 3). Quest’ultima è stata unanimemente interpretata dagli studiosi come il limite orientale della porticus riprodotta sulla FUR, quello cioè che prospettava verso il lato occidentale del portico di



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Ottavia, da cui, nella Pianta Marmorea, era diviso da un ambitus largo circa m 5121. Questa interpretazione sarebbe confermata dal fatto che tale muro presenta, sul lato est, una decorazione ad intonaco, a dimostrazione che la sua facciata dovesse essere a vista. Questa ipotesi si è rivelata parzialmente errata, in quanto il muro di limite rappresentato sulla Forma Urbis e quello scoperto durante lo scavo non coincidono (Fig. 1). La sostruzione a anterides e erismae, correttamente georeferenziata, viene a trovarsi nell’area interna e scoperta del quadriportico rappresentato nella Pianta Marmorea, in uno spazio intermedio tra il podio del tempio e la linea di limite dell’ambulacro della porticus. Secondo l’interpretazione che qui si propone, la struttura ad anterides e erismae con la parete esterna intonacata, non è identificabile con il limite del portico raffigurato sulla Pianta Marmorea, bensì con uno più arretrato nel quale è possibile riconoscere una fase precedente del monumento rispetto a quella riprodotta sulla FUR. Nonostante la tentazione di individuare in questa prima struttura la «porticus ad fanum Herculis» di cui parla Tito Livio122, appare più probabile che in essa si debba identificare la fase di impianto della porticus Philippi, databile ad età augustea. Questo tipo di cronologia è ricavabile sulla base di due dati: 1) l’uso, per l’edificazione di tale struttura, del tufo dell’Aniene, il quale, utilizzato a partire dalla metà del II secolo a.C., trova la sua massima diffusione proprio in età augustea, 2) la trama decorativa dell’intonaco applicato alla faccia esterna (est) del muro, databile all’età di Augusto123. Riguardo alla struttura muraria che abbiamo convenzionalmente chiamato b, si è detto che al suo interno mi è sembrato di individuare un filare aggettante molto simile a quelli presenti nel muro del lato orientale (h) ed i resti di un secondo all’estremità occidentale di tale muraglione. Secondo gli studiosi che si sono occupati dell’assetto architettonico della porticus Philippi, sulla struttura muraria b, su cui sono collocate due colonne medievali, avrebbe dovuto impostarsi anche in antico un colonnato, il quale è stato identificato come quello meridionale della porticus Philippi124. In realtà, il muro b potrebbe identificarsi sì come un settore della porticus, ma non con un colonnato, bensì con un tratto della parete di fondo del braccio sud, il quale non sarebbe stato ornato sul fronte da alcuna colonna. Infatti, avendo identificato la struttura h – anch’essa dotata di filari aggettanti – come parte della sostruzione che sosteneva la parete di fondo del braccio est del portico, a meno di non ipotizzare un colonnato rialzato sopra la parete intonacata che corresse lungo tutto il perimetro esterno della porticus, dobbiamo escludere la possibilità che il muro con gli avancorpi sostenesse colonne. In base alla forma di tale muro ed alla sua posizione, possiamo immaginare, per gli avancorpi, un’altra funzione. Un’ipotesi potrebbe essere quella di sostegno per una fila di paraste. Dal momento che il muro di via del portico di Ottavia appare del tutto simile a quello del lato orientale, mi sembra plausibile estendere questo tipo di ricostruzione anche per la parete di fondo del braccio sud, di cui purtroppo non vediamo il lato meridionale, cioè quello prospettante il circo Flaminio, perché del tutto obliterato da costruzioni moderne, ma che possiamo immaginare ugual121

Carettoni Colini, Cozza, Gatti 1960, lastra 31. Liv. XL, 51, 6 123 L’apparato decorativo era costituito da una trama di linee rosse di uguale spessore, che disegnavano una serie di riquadri rettangolari concentrici. Esso, tuttavia, potrebbe essere anche il frutto di un intervento augusteo su una struttura preesistente. L’uso del tufo dell’Aniene rende, però, questa possibilità meno plausibile. 124 Castagnoli 1983, p. 94. 122

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Fig. 5. N  apoli, Museo Nazionale. Inv. 6759, rilievo dall’anfiteatro di Capua con raffigurazione di una porticus, I sec. a.C. (D-DAI-ROM-37.949).

mente intonacato e decorato alla stessa maniera della faccia esterna del muro in tufo h. Queste paraste avrebbero ornato le pareti di fondo della porticus Philippi augustea. Possiamo proporre, in forma di ipotesi, che gli spazi intermedi tra di esse potessero ospitare alcune delle opere d’arte – i pinakes? – di cui sappiamo il monumento fosse decorato125. A questo proposito un possibile confronto iconografico proviene dall’anfiteatro di Capua (Fig. 5). Qui è stato rinvenuto un rilievo marmoreo, databile al I secolo a.C., sul quale è raffigurato l’interno di una porticus126. Al centro della raffigurazione è una statua loricata di dimensioni eccezionali, davanti alla quale sono due are e due arbusti; attorno alla statua ed agli altari corrono i due bracci di quello che con ogni probabilità è un quadriportico. Di esso possiamo apprezzare il colonnato, di ordine corinzio, ed una falda del tetto. Al di sotto di esso sono visibili le pareti di fondo del portico. Al loro interno, negli spazi compresi 125 Tra le opere d’arte presenti nella porticus, si ricordano una Elena di Zeuxis (Plin., N.H., 35, 66), un Dioniso, un Alessandro giovane e un Ippolito terrificato dal toro, realizzate dal pittore Antiphilos e un ciclo troiano di Theorus (Plin., N.H., 35, 114). Circa le opere esposte nella porticus e sul loro legame con la famiglia di Augusto, cfr. Bravi 2012, p. 130. 126 Napoli, Museo Nazionale, inv. 6759.



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tra una colonna e l’altra, sono ricavate una serie di nicchie di grandi dimensioni; in una di queste è visibile la statua di un personaggio femminile stante, vestito di un lungo peplo e con uno scudo deposto (una Minerva?). La raffigurazione del rilievo di Capua sembra rispecchiare perfettamente le caratteristiche della porticus Philippi dell’età di Augusto. Essa si configura come un portico dal perimetro esterno di circa m 83 e largo m 45,5 (circa 280 × 153 piedi). La definizione delle dimensioni dell’ingombro del monumento sono ricostruibili con relativa precisione riproducendo specularmente il limite orientale – quello a noi archeologicamente noto – della porticus (h) sul lato occidentale, adoperando come asse quello del tempio, e operare lo stesso procedimento anche per il lato sud, per il quale disponiamo del muro visibile nelle cantine di via del portico di Ottavia (b). Una seconda possibilità, relativamente al lato settentrionale, è che esso fosse situato in posizione più arretrata rispetto al lato sud, creando uno spazio più largo tra il limite della porticus ed il podio del tempio, come poi sarà nella fase successiva. La possibile presenza di paraste, di cui conosceremmo l’andamento, è utile per ricostruire il colonnato prospiciente il cortile. Infatti, se ad ogni parasta presente sulla parete di fondo della porticus corrispondeva dall’altro lato una colonna, possiamo ricostruire l’interasse – circa m 3 (circa 10 piedi) – ed il numero complessivo delle colonne: 25 × 13. La porticus si apriva su un giardino alberato, sul quale, probabilmente, era sopraelevato e accessibile da gradini. La sostruzione su cui si impostava era molto alta, almeno m 4,70127. Essa assecondava il declivio naturale prodotto dal digradare del livello del campo Marzio da nord a sud, verso il Tevere e, allo stesso tempo, difendeva il complesso monumentale dalle frequenti piene del fiume. Esternamente, era decorata da uno strato di intonaco con una trama di quadrilateri rossi su fondo bianco. La copertura del portico era probabilmente a falda unica, con displuvio rivolto verso l’interno. L’accesso al monumento avveniva da un ingresso posto presumibilmente al centro del lato sud, quello che prospettava sul circus Flaminius. Data la notevole altezza del podio, è ipotizzabile che alla porticus si accedesse tramite una scalinata accostata parallelamente al lato meridionale del basamento, forse analoga a quella coeva della vicina porticus Octaviae128. Con la costruzione di un grande quadriportico lungo il percorso del trionfo, Marcio Filippo aveva probabilmente voluto richiamarsi alle figure dei viri triumphales. Allo stesso tempo, nell’ambito del programma edilizio augusteo nel circo Flaminio, la porticus Philippi costituì, lungo il lato settentrionale di quest’ultimo, un elemento di cerniera per gli altri complessi monumentali dell’area, i quali furono tutti collegati alla figura di Augusto e della sua gens. Il portico infatti sorse tra la porticus Octavia, edificata da Cn. Octavius probabilmente per celebrare il suo trionfo navale de Rege Perseo del 166 a.C., e la vecchia porticus Metelli, oramai prossima ad essere ridedicata come Octaviae, in un punto che si presentava ancora “vuoto”, anzi, occupato dall’aedes Herculis Musarum. Questo tempio, date le sue peculiari caratteristiche e l’“ingombrante” personalità del dedicante, si sarebbe prestato con qualche difficoltà ad essere ricondotto ai principi ispiratori del programma ideologico augusteo. La porticus Philippi andò a completare 127

Gianfrotta 1983, p. 383. Tale altezza corrisponde a quella attestata per la struttura i. Quest’ultima soluzione sembra preferibile rispetto ad una scala posta perpendicolarmente al fronte del portico, la quale avrebbe occupato uno spazio eccessivo, non solo pregiudicando il passaggio di una strada innanzi alla porticus, ma invadendo l’area stessa del circus Flaminius. 128

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una sequenza di edifici monumentali che, a partire dal teatro di Marcello, per finire al portico voluto da Gaio Ottavio, presso il quale Augusto depose le insegne riconquistate ai Dalmati nel 38 a.C., apparivano tutti intimamente connessi con la persona del princeps e con la sua famiglia. Fase II (80 d.C.-IV secolo) (Fig. 6) Nella sua seconda fase, la porticus Philippi subì un radicale rifacimento, che comportò un considerevole ampliamento delle sue dimensioni. L’intervento consistette nella riedificazione del monumento su scala maggiore, con allineamento del suo lato frontale a quello della porticus Octaviae. Appartengono alla seconda fase della porticus Philippi le strutture a e c. Il muro in blocchi di tufo a, rinvenuto nel lato orientale di piazza Mattei, non può appartenere alla fase di impianto dell’edificio, perché situato molto più ad ovest rispetto al limite della porticus augustea che abbiamo ricostruito sulla base della struttura h. Sembra lecito assegnarlo alla sua seconda fase in quanto coincide perfettamente con il limite occidentale del portico riprodotto sulla Pianta Marmorea. Inoltre, per caratteristiche ed orientamento, esso sembra accordarsi perfettamente con le strutture c che pure si possono ascrivere alla seconda fase della porticus Philippi. Come si è visto, le strutture definite c appartengono ad un unico colonnato di cui si sono potuti osservare i resti in due momenti diversi, nel 1890 e nel 1911. Esso ci consente di determinare il limite meridionale del nuovo portico129, il quale appare anche in questo caso coincidente con la planimetria presente sulla lastra 31 della Forma Urbis e allineato a quello della vicina porticus Octaviae. La conseguenza forse più importante dell’attribuzione delle strutture c al lato meridionale del portico di Filippo è che il suo fronte principale non sarebbe stato chiuso da una parete continua, come nella fase precedente, bensì “aperto”, cioè colonnato in modo da creare un “effetto trasparenza” del tempio attraverso elementi porticati130. Questo dato contrasta con la raffigurazione della porticus restituitaci dalla Pianta Marmorea dove il fronte del monumento sembra chiuso, e non colonnato. Le ipotesi avanzate per spiegare tale incongruenza sono sostanzialmente due: una la attribuisce ad un errore della Forma Urbis che non avrebbe riportato il colonnato131; una seconda invece assegna tale struttura ad un rifacimento posteriore alla raffigurazione marmorea, e precisamente ad un restauro di età severiana132. Gros ha sottolineato come appaia improbabile che la linea del fronte del portico raffiguri un muro reale, in quanto essa è singola ed incisa con un tratto molto leggero. Questa, dunque, sarebbe sostitutiva della situazione reale, che avrebbe, invece, contemplato il colonnato133. 129

Di questo avviso sono anche Castagnoli (Castagnoli 1983), Gianfrotta (Gianfrotta 1985) e Porcari (Porcari 2008). 130 Gros 1976, pp. 82-83. 131 Gros 1976, p. 81 ss.; Castagnoli 1983. 132 Porcari 2008. 133 Meno convincente appare l’ipotesi per la quale il colonnato avrebbe circondato l’intero perimetro del portico.



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Fig. 6. R  oma. Ipotesi ricostruttiva della porticus Philippi in età flavia (Rielaborazione grafica da D’Alessio 2012, tav. 232).

Circa la cronologia dell’edificio riprodotto sulla lastra 31 della Pianta Marmorea esistono almeno due possibilità: 1) la Forma Urbis riproduce una situazione posteriore all’incendio dell’80 d.C. ed ascrivibile ad un possibile restauro Domizianeo. Questa ipotesi sarebbe resa plausibile dalla capillarità degli interventi di questo imperatore nell’area in circo, proprio a causa del violento incendio134; 2) l’impianto risalirebbe ad età severiana, e precisamente a dopo l’incendio di Commodo. In questo caso, l’ampliamento della porticus si inquadrerebbe nell’ambito dei lavori di Settimio Severo e Caracalla e con esso anche l’edificazione del fronte colonnato135. Questa seconda possibilità appare meno plausibile, in quanto la raffigurazione della porticus Octaviae presente sulla lastra 31 molto probabilmente è antecedente l’età severiana, in quanto il braccio frontale del por-

134 Domiziano restaurò il tempio delle Ninfe, circondandolo con un quadriportico, l’area sacra di Largo Argentina fu ripavimentata con un lastricato in travertino, furono edificate nuove strutture e gli edifici al suo interno ristrutturati. Furono restaurati anche il teatro di Balbo e la porticus Octaviae. Cfr. D’Alessio 2012, p. 519 ss. 135 È questa l’ipotesi avanzata da Porcari (Porcari 2008).

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tico, quello nel quale si inseriscono i propilei, è ancora costituito da un doppio colonnato, mentre sappiamo come il restauro severiano del complesso monumentale, databile al 203 d.C., eliminò il colonnato interno erigendovi, al suo posto, un muro continuo136. Questo dato – anche se non esclude la possibilità che il fronte colonnato della porticus Philippi sia ascrivibile ugualmente ad età severiana – testimonia che l’ampliamento del portico è cronologicamente riferibile ad un momento successivo all’età augustea e precedente il 203 d.C. Per ammettere una datazione post 191 d.C. del solo fronte colonnato bisognerebbe ipotizzare un doppio intervento: uno domizianeo, a cui si dovrebbe l’ampliamento della porticus, ed uno severiano, che avrebbe comportato l’inserimento del colonnato. Sulla base della raffigurazione visibile sulla Forma Urbis, in cui i fronti delle due porticus appaiono perfettamente allineati e delle considerazioni svolte, possiamo ipotizzare che al momento del rifacimento domizianeo sia stato messo in atto il progetto di creare una grande scenografia sul lato nord del circo tramite l’unificazione delle facciate dei due portici che su di esso affacciavano. Ciò avrebbe comportato l’avanzamento del fronte della porticus Philippi sino ad allinearlo con quello della porticus Octaviae e, con ogni probabilità, l’omologazione delle proporzioni degli ordini, che avrebbero dovuto risultare delle stesse dimensioni per entrambi i portici. Sul lato opposto, il braccio posteriore della porticus presentava una profondità di circa m 8,6, 2 metri più ampia di quelle degli altri lati. Un elemento peculiare di questa zona del monumento sono i segni presenti lungo la parete di fondo di tale braccio. Si tratta di quadrati con un punto al centro. In base al loro numero, che è ricostruibile per un totale di nove segni, è stato proposto di identificarli con le statue delle nove Muse137. Tuttavia, il culto di Hercules Musarum non è da concepirsi come un semplice accostamento di due entità divine, ma come un sistema inscindibile e complementare. Di conseguenza appare difficile pensare che a questa unitarietà cultuale si contrapponesse una divisione spaziale delle statue di culto. Queste, stando all’interpretazione appena formulata, avrebbero dovuto essere tutte poste nella cella del tempio, forse all’interno di nicchie ricavate nella parete circolare, o con la statua di Ercole in posizione preminente. In ogni caso, appare difficile immaginare che la statua del dio si fosse trovata dentro l’aedes mentre quelle delle Muse fossero state collocate, non solo esternamente ad essa, ma addirittura al di fuori del tempio, benché praticamente a ridosso di esso, in un braccio della porticus Philippi. Inoltre, è da citare almeno un caso in cui allo stesso simbolo presente nella porticus Philippi è stato possibile attribuire il corrispondente archeologico. Esso è costituito dalle colonne dell’aedes Iunonis Reginae. Queste – anch’esse riprodotte sulla FUR come un quadrato con un punto all’interno – sono ancora in situ e visibili dalla base al capitello presso alcuni stabili in via di Sant’Angelo in Pescheria. L’ipotesi di un rifacimento cosi radicale della porticus Philippi all’epoca di Domiziano138 – che potrebbe apparire eccessivo nella sua totalità – trova giustificazione nella violenza dell’incendio dell’80 d.C., nel corso del quale probabilmente andò distrutta anche la porticus Octavia139. 136

Ciancio Rossetto 2009 con bibliografia precedente. Coarelli 1997, p. 483. 138 Già ipotizzato da Rodríguez Almeida (Rodríguez Almeida 1986, pp. 9-15). 139 Sulla porticus Octavia, cfr. Viscogliosi 1996, p. 154 ss.; Coarelli 1997, p. 515 ss.; D’Alessio 2012, p. 500. 137



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Il perimetro esterno del nuovo portico fu aumentato fino a misurare circa m 60 × 91 (circa 202 × 307 piedi). La porticus avrebbe presentato l’ambulatio dei bracci sud, est ed ovest, di circa m 6,6 (ca. 22 piedi), mentre il braccio nord, quello di fondo, sarebbe stato profondo m 8,6 e caratterizzato da un sistema architettonico-decorativo fatto di colonne aggettanti su alti basamenti. In base ai rinvenimenti effettuati in via del portico di Ottavia, possiamo formulare un’ipotesi ricostruttiva della peristasi del portico. Sarebbe stata di ordine corinzio, composta da 22 colonne sui lati lunghi e 14 sui lati corti, con un intercolumnio di circa m 3,40-3,45 (11,5 piedi). La loro altezza era di circa m 6,6140. Il fronte di questo monumento, a differenza di quello di età augustea, doveva essere dotato di un lungo colonnato141, il quale avrebbe prodotto un effetto trasparenza rispetto agli edifici interni142. Questo fronte presentava le stesse caratteristiche e le stesse proporzioni – con colonne dello stesso ordine, di pari dimensioni e con analogo intercolumnio – di quello della porticus Octaviae, alla quale il portico di Filippo era connesso da due passaggi sul lato orientale che attraversavano uno stretto ambitus. Dobbiamo, dunque, immaginare che le facciate dei due monumenti, essendo sostanzialmente uguali e perfettamente allineate, andassero a creare un unico grande colonnato, lungo circa m 180. È possibile che un impianto tanto monumentale sia stato pensato e realizzato dagli architetti dell’imperatore anche in funzione dei ludi saeculares, celebrati da Domiziano nell’88 d.C.143. È molto probabile, infatti, che uno degli snodi principali della processione che partiva dal foro e terminava nel Trigarium fosse proprio la lunga strada che costeggiava il lato settentrionale del circo e sulla quale si affacciavano i portici di Filippo e di Ottavia. Francesco De Stefano bibliografia Aberson 1994: M Aberson, Temples votifs et butin de guerre dans la Rome républicaine, Roma 1994. Angiolillo 1997: S. Angiolillo, «Arte e cultura nell’Atene di Pisistrato e dei Pisistratidi», in Bibliotheca archeologica, 4, Bari 1997. Badian 1972: E. Badian, «Ennius and his friends», in Ennius Entretiens Hardt, 17, pp. 151-208. Bayet 1926: J. Bayet, «Les origines de l’Hercule romaine», in B.E F.A.R., f. 32, 1926. Bastien 2007: J. Bastien, Le triomphe romain et son utilisation politique à Rome aux trois derniers siècles de la république, École française de Rome, Roma 2007. Blok 1990: J. Blok, «Patronage and the Pisistratidae», in BABesch 65, 1990 pp. 17-28. Boardman 1972: J. Booardman, «Herakles, Peisistratos and Sons», in RA 1972, pp. 57-72. Boardman 1988: J. Booardman, s.v. Herakles, in LIMC 4, 1, Zürich 1988. Böemer 1958: F. Böemer, P. Ovidius Naso, Die Fasten, II, Heidelberg 1958. Bohem 1912: A. Bohem, s.v. Hercules, in RE, VIII, 1. 140

Per cui 1 modulo sarebbe stato pari a circa m 0,66. Composta da 18 colonne con un interasse pari a circa m 3,40. 142 Gros 1976, pp. 81-84. 143 Valli 2007, pp. 33-59; Id. 2009, p. 308 ss. 141

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