america latina Dinamiche territoriali A CURA DI CAmIllo RobeRtInI e FRAnCesCA CoRReR elIsA AlegRe Agís olIvIA CAsAgRAnDe mIChele De lAURentIIs pARIDe bollettIn ChIARA sCARDozzI lAURA mUgnAnI AnDRés RUggeRI mARCo semenzIn gIovAnnA vettRAIno AnnAClAUDIA mARtInI
ComItAto sCIentIFICo patricia Ali (Universidad nacional Arturo Jauretche, buenos Aires, Argentina) gustavo Castagnola (Universidad nacional de tres de Febrero, buenos Aires, Argentina) Carlos Raúl etulain (Universidade estadual de Campinas, Campisinas, brasil) Antonio paolillo (Centro studi Ricerche latinoamericano, Crocetta del montello, Italia) Donatella schmidt (Università degli studi di padova, padova, Italia)
ReDAzIone Angela zanetti Camillo Robertini mattia Di miscia Francesca Correr
[email protected]
CopeRtInA Alessandro squatrito
pUbblICAzIone Il presente volume è stato impaginato e illustrato da michele elia durante il tirocinio in Computer Art del prof. Antonio Rollo, Accademia di belle Arti di bari. I caratteri utilizzati sono Abadi mt Condensed / Condensed light / Condensed extra bold
eDIzIone tutti i diritti riservati da oistros edizioni, Aprile 2015 pubblicazione elettronica Isbn 9788890674587 Il volume è stato sottoposto a un processo di peer review, secondo criteri di scientificità e obiettività www.oistros.it
america latina Dinamiche territoriali A CURA DI CAmIllo RobeRtInI e FRAnCesCA CoRReR elIsA AlegRe Agís olIvIA CAsAgRAnDe mIChele De lAURentIIs pARIDe bollettIn ChIARA sCARDozzI lAURA mUgnAnI AnDRés RUggeRI mARCo semenzIn gIovAnnA vettRAIno AnnAClAUDIA mARtInI
Sommario
introDuzione
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CAmIllo RobeRtInI e FRAnCesCA CoRReR
Viajar en DictaDura: una huiDa De Buenos aires a los anDes
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elIsA AlegRe Agís
«como traBajar la PieDra» storia Di marta e carlos tra GolPe, esilio e memoria Del temPo antico
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olIvIA CAsAgRAnDe
oro e orGanizzazioni inDiGene nella BoliVia Plurinacional Processi Decisionali Di un ayllu Del norD Potosí
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mIChele De lAURentIIs
inhokikré: reflexões a Partir De narratiVas meBenGokré soBre o território
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pARIDe bollettIn
hontat
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ChIARA sCARDozzI
la comunità Di ParaisóPolis a são Paulo Dinamiche sociali Di camBiamento urBano fra esclusione e iDentità
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lAURA mUgnAnI
las emPresas recuPeraDas en la arGentina: ocuPar, resistir, ProDucir
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AnDRés RUggeRI / mARCo semenzIn
la PrimaVera troPicale
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gIovAnnA vettRAIno
turismo e PaesaGGio nel salar Di uyuni, BoliVia
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AnnAClAUDIA mARtInI
BioGrafie DeGli autori
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«como traBajar la Piedra» Storia di marta e carloS tra GolPe, eSilio e memoria del temPo antico olIvIA CAsAgRAnDe
la strada per arrivare a casa di marta e Carlos comincia dopo un fiume, che si attraversa camminando sull’asfalto nuovo di un ponte in ricostruzione. Asfalto che brilla al sole e che sembra ancora morbido sotto i piedi, asfalto nuovo su un ponte antico come il suo nome: puente matanza. perché lì, mi racconta Carlos, sono stati ingannati i lonkos mapuche della zona: chiamati a riunione e poi uccisi senza pietà dall’esercito cileno.1 Dopo il ponte, sulla destra, si apre la campagna. la stradina sterrata di sassi grigi comincia tra bassi alberi da frutto e continua tra prati di fiori gialli. Camminando, ci si trova di fronte la montagna, che a guardarla dal basso sembra blu scuro, e alle spalle la punta innevata del vulcano llaima. Il puente matanza sparisce quasi subito alla vista, anche voltandosi a cercarlo. eppure c’è, nel suo vestito di asfalto nuovo, nella memoria della gente che abita questi luoghi. la storia di marta e Carlos raccoglie queste voci e queste memorie, attraversando con le parole e con il corpo vari momenti della storia mapuche e cilena, l’incontro e il disincontro tra diversi mondi.
trattava soprattutto di voci da ascoltare incantati, come fiabe lontane, senza un’idea chiara del loro significato né della loro relazione con il mondo reale, o con il proprio stesso “essere mapuche”, un’identità che diviene dolorosamente chiara soltanto a partire dall’incontro con ciò che è altro. Anche per marta è così. Fino al trasferimento, con sua madre e i suoi fratelli, nella periferia povera della città di temuco, chi lei fosse e che lingua parlasse erano cose talmente ovvie e naturali da non aver bisogno di definizioni. ma l’arrivo in città, come per Carlos l’inizio della scuola, è lo scontro brutale che mette improvvisamente davanti all’altro, e i suoi occhi sprezzanti sono uno specchio deformante che restituisce immagini che non si comprendono, eppure penetrano così a fondo da fare venire voglia di nascondersi. tutto ciò che è vicino e familiare, dalle abitudini quotidiane alla cucina, diventa improvvisamente qualche cosa di cui vergognarsi, perché attraverso lo sguardo dell’altro diventa «brutto, inutile, stupido»: «io non sentivo nessuna sicurezza in me, non mi difendevo mai, al contrario uno comincia a credere che è tonta, inutile, brutta, buona a nulla».3 Carlos ricorda come l’inizio della scuola coincide per lui bambino con la «scoperta» improvvisa «di essere mapuche, di essere povero, che venivamo da una razza che non era delle migliori», una consapevolezza che passa attraverso il riflesso di occhi altrui: «questo perché lo dicevano gli altri, noi come bambini non ce ne rendevamo conto».4 Uno dei ricordi più chiari e più difficili è per marta l’abbandono della lingua, che ad un certo punto viene rinnegata nell’aula scolastica, così come, a casa, la
Come bAmbInI non Ce ne 1nellA«noI RenDevAmo Conto»: lA vIolenzA memoRIA e neglI sgUARDI Carlos ha vissuto fino all’adolescenza nella comunità paterna. Da bambino, quello era il suo mondo e tutto ciò che sapeva dell’altro, del winka,2 erano i racconti delle nonne e i nomi di luoghi che riconducevano a battaglie e scontri sanguinosi. ma si 23
nonna che parlava solo mapudungun veniva tenuta nascosta alle visite. Così marta ricorda con un dolore ancora vivo di aver negato come suoi i suoni della lingua madre, e di averli da allora nascosti così a fondo che per molti anni non sono più riemersi. la relazione con l’altro è ambivalente: da una parte la vergogna per le proprie origini e tentativi maldestri di assimilazione, ma anche una sottile reazione di difesa e soprattutto di rabbia. emozioni contrastanti che convivono nel ricordo sussurrato all’interno dell’ambiente protetto della comunità di una resistenza che dura per tre secoli alla Corona spagnola5 che convive con la memoria della sconfitta e degli orrori della cosiddetta pacificación de la Araucanía, che ha portato con sé la brutalità dell’esercito cileno e l’occupazione definitiva del territorio mapuche solo alla fine dell’ottocento. sono le voci degli anziani a ricordare la violenza di quel tempo lontano eppure presente, la paura del winka che arrivava e distruggeva, una paura indefinita e feroce, che scrutava le nuvole per cogliere i segnali di un cattivo presagio, perché il cielo avvisa quando si avvicina l’aggressore. Ricordi tramandati a pezzetti, storie e immagini e nomi di luoghi che arrivano come sospiri alle orecchie distratte dei nipoti, che oggi ricordano di aver sentito parlare di «uomini con la barba» o di «uomini a cavallo», di dolore e delle nuvole che sanno. Racconti che somigliano all’eco lontano delle fiabe, che non sembrano reali, che passano come immagini di mondi incantati o inventati, che esistono solo intorno al fuoco nelle parole della sera. ma che diventano improvvisamente reali anni dopo, quando l’arrivo nel mondo del winka catapulta in un passato che sembrava lontano. presente e passato sembrano schiacciarsi l’uno sull’altro, come se il tempo fosse ancora troppo poco profondo perché qualcosa vi si perda dentro. È il filo della violenza che tiene insieme i pezzi, prima nell’incontro-scontro con la società cilena, successivamente con il colpo di stato nel 1973. entrambi i momenti frantumano un mondo: quello familiare della comunità e della famiglia mapuche, le cui abitudini e i
cui abiti divengono improvvisamente motivo di vergogna e di disprezzo, quello acquisito, mai fino in fondo e un po’ maldestramente, della lotta sociale e politica del governo Allende, del sogno di un noi di uguaglianza, giustizia e “pane e socialismo”. la violenza subita sul proprio corpo riconnette con le parole degli anziani e la memoria storica della perdita della libertà del mondo mapuche, come un nodo che torna sempre, che si ripete e intreccia in se stesso sempre nuovi fili.
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pARtenze: golpe, esIlIo e l’eCo Del tempo AntICo
Aunque no existen cifras exactas del número de personas que huyó al exilio en los años en los que el general pinochet fue jefe del estado, solamente el Comité Intergubernamental para las migraciones europeas permitió la salida de 20 mil personas en 1980. otras fuentes calculan que el número total de quienes huyeron del régimen, ya fuera voluntariamente o expulsados, no fue inferior a 200.000 personas.6
Il colpo di stato del generale Augusto pinochet Ugarte mette brutalmente fine ad anni di grande fermento politico e sociale che hanno caratterizzato il governo di salvador Allende (1970-1973), che coinvolge soprattutto il mondo studentesco, operaio e contadino. In molti ricordano quel giorno di settembre come una rottura dolorosa del sogno di un socialismo raggiunto attraverso la democrazia, come un’interruzione improvvisa e definitiva. marta ricorda soprattutto il rumore di soldati che marciano sulla strada, di cavalli, lo stridere dei bandi annunciati alla radio. Carlos viene arrestato7 una settimana dopo il golpe, il 18 settembre 1973. marta, incinta di circa sette mesi, si trovava a casa di sua madre. Ricorda la ricerca disperata di Carlos, l’angoscia del non sapere dove si trovasse né che cosa gli stesse succedendo:
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il mondo a cui appartengono è negato due volte. Ferito, nella celebrazione della storia dei vincitori sui vinti e nel corpo di Carlos:
Una vicina mi è venuta ad avvisare che stavano... stavano pestando tutti i compañeros [...] e, e... avevano portato via Carlos, mi hanno detto. Allora io cercai di uscire, e c’era un, un, un cordone di, di carabineros per tutta la strada, e c’era molta gente che stava guardando... e... e non mi hanno lasciato. non mi hanno lasciato. A spintoni, io dicevo devo andare a vedere il mio compagno, il papà di mio figlio, e mi dicevano... ci spingevano, ci insultavano... a me... non mi hanno lasciato passare, mi dissero «se ne vada o vuole morire por sapa?!»... mi dissero... a spintoni... e allora siamo rimasti lì tutta la, tutta la notte, non so fino a che ora è durato, è durato a lungo, e noi disperati lì cercando di passare, non ci hanno lasciati. non ci hanno lasciati passare. [...] Il giorno dopo abbiamo cominciato a cercare, non c’era nessuno, e abbiamo cominciato a andare al, al commissariato, all’ospedale, al, al reggimento...8
Io mi ricordo che noi siamo arrivati... siamo stati torturati immediatamente, ma violentemente, non così... come sta, che cosa è successo, no, subito, tortura, così. Allora mano a mano che la tortura continua, il corpo si adatta, ma all’inizio è super violento. È una cosa però... fiuuuh! È come... non so, pu, buttarti in acqua gelata o in acqua bollente... così violento. eh ya... io dissi che in quel momento già non c’era ritorno, già non...io mi dissi perché a noi? perché ci bastonavano così, perché..? Io mi dissi è l’ultimo giorno in cui ho visto il sole, in cui ho visto il cielo, non lo vedrò più, per questa violenza così grande.9
le domande di Carlos rimangono senza risposte. non solo allora, ma anche oggi, così tanti anni dopo, nel tempo immobile del suo racconto al grande tavolo di legno. nelle sue parole la violenza non si spiega: è la sua incomprensibilità che le metafore e il ricorso a suoni cercano di esprimere, di trasmettere. l’assenza di senso caratterizza la tortura, l’impossibilità di connettere un significato alla mortificazione e violazione del corpo, nello stesso modo in cui il dolore fisico che provoca non è mai del tutto rappresentabile attraverso le parole.10 Il mondo intorno è improvvisamente distante, lontanissimo, irraggiungibile. All’impossibilità di comprendere segue la cruda e improvvisa consapevolezza che Carlos non vedrà più né il sole né il cielo. È la relazione di senso tra se stessi e il mondo ad essere interrotta. eppure qualcosa di questa violenza è familiare, qualcosa che torna nella memoria silenziosa del corpo e nell’eco di parole ascoltate tanto tempo prima. Come la data del 18 settembre squarcia il velo del tempo e riporta indietro, e la perdita dell’indipendenza di un popolo viene violentemente schiacciata sulla perdita della libertà personale per Carlos, la violenza subita viene associata ai racconti della nonna della violenza antica, quella dell’esercito
la disperazione di marta e della sua ricerca di Carlos, che durerà circa una settimana, torna a farsi presente attraverso il racconto, nelle parole spezzate e ripetute, nel suo continuare a dire «non ci hanno lasciato passare». Carlos, seduto accanto a lei sul tavolo di legno nel loro cortile, ascolta attentamente e in silenzio. Il ripetersi delle parole, il frammentarsi del discorso in continui blocchi e riprese richiama l’impossibilità di muoversi per andare oltre il cordone di polizia che circondava la zona, per capire che cosa stesse succedendo. Il corpo è bloccato, così come le parole fanno fatica a uscire. la voce di marta si fa aspra al ricordo della data precisa che spezza la sua narrazione: nell’intimità della memoria il giorno terribile non è l’11 ma il 18 settembre. si tratta di una data che ha significati molteplici e interconnessi. Il 18 settembre è il giorno della dichiarazione d’indipendenza del Cile dalla Corona spagnola, un giorno di festa per la società cilena. ma è anche il giorno in cui la sconfitta della Corona segna l’inizio della fine del territorio indipendente mapuche. per marta e Carlos rimane il giorno in cui tutto il loro mondo è stato stravolto, e il suo coincidere con l’Indipendenza del Cile, appare come una coincidenza grottesca eppure significativa: 25
cileno nei confronti delle comunità mapuche alla fine dell’ottocento. Come accade in altri contesti dell’America latina, ad esempio quello guatemalteco analizzato da Judith n. zur, questo parallelo è terribilmente evidente alle persone che vivono l’esplodere della violenza dei regimi dittatoriali come un ritorno della Conquista,11 un evento che sembra in qualche modo ripetersi, non nella sua concretezza fattuale ma nel suo significato. ecco allora che il gioco della memoria dà al racconto di Carlos e marta una forma circolare che rifiuta la linearità e sottolinea invece una profonda connessione con la memoria storica della comunità. la vita terribile conosciuta nei racconti si fa presente, le parole ascoltate tante volte «come da lontano», durante l’infanzia, nei racconti che per loro bambini rimanevano al confine sottile della leggenda invadono il presente in una consapevolezza improvvisa, in cui le sfumature di fiaba si rivelano improvvisamente reali:
sguardi, così come oggi la violenza della dittatura è penetrata nei corpi di coloro che sono venuti dopo: i figli che sentono un dolore che non hanno vissuto. È nei primi anni di esilio in Francia, a cui marta e Carlos sono costretti, con una partenza improvvisa e frenetica, dopo che Carlos viene salvato da un provvidenziale intervento esterno, che questo nodo torna come un’onda e sembra non lasciare scampo, sommandosi a tutto quel dolore tramandato eppure rimasto silenzioso, a dare forma ai corpi e alle espressioni del viso, a far sì che gli occhi si abbassassero a terra e la voce mapuche si sforzasse di modularsi sullo spagnolo, che ritorna come una rabbia per l’impossibilità di comprendere eventi che lasciano senza forza e che penetrano così a fondo da richiamare la memoria antica di altri eventi troppo simili: Io nei primi anni di esilio... mi nacque molta molta violenza, molta, era come se io non volessi parlare e non volessi imparare la lingua... non volevo niente. non volevo neppure mangiare. I primi tempi non volevo mangiare, non volevo... allora la gente che mi stava vicino mi faceva ragionare perché io mangiassi per il bebè che avrei avuto e che poi ho avuto e che dovevo aiutare a vivere... però... è come se ti nascesse un desiderio di, di distruzione perché non puoi comprendere.13
Carlos: mia nonna mi raccontava che passavano degli uomini a cavallo molto violenti e che... lei era molto molto addolorata. Così quando io ero piccolo, mi diceva: «figlio, io non voglio vederti qui con una donna bianca» così, perché per lei era un castigo, portarle una donna... olivia:... una winka in casa... Carlos: chiaro... uh! per mia nonna era terribile... diceva no, quello potrebbe essere il castigo più grande! però io non capivo... se la violenza, quella violenza io non l’avevo conosciuta... la conobbe mio padre... però più tardi io la conobbi con la dittatura, però quel tipo di violenza io non la conobbi... cercavo di capire mia nonna, e come adesso molti giovani non hanno vissuto quello che si visse durante la dittatura però lo sentono dai loro genitori, così...12
la violenza scivola indietro, verso il passato, ma allo stesso modo tocca il futuro. È proprio nella connessione tra il momento del golpe e le storie degli anziani ascoltate da bambini che marta e Carlos cominciano a sentire come sia penetrata nel corpo, avvelenandolo, diventando invisibile e impalpabile mentre le sue cicatrici si trasformano in rabbia, in vergogna, in piedi strascicati e sguardi bassi. Come dice Carlos: «quella violenza che ti hanno iniettato, che faccio con questa violenza? Dove la lascio, come la tolgo, come..? non c’era nessuna soluzione».14 la violenza antica e la violenza del golpe sembrano intrecciarsi, diventando fili attorcigliati dello stesso nodo che stringe la gola, che ha portato a
per Carlos, la violenza che penetra nel corpo è riconnessa a una violenza penetrata in altri corpi prima del suo, e che in qualche modo è stata tramandata non solo nei racconti ascoltati da bambino nella comunità, una rabbia e un dolore mai del tutto compresi eppure «sentiti», trasmessi nei gesti e negli 26
rinnegare la propria lingua da ragazzini, davanti alla vergogna di un dito puntato e all’affermazione della professoressa che quella non fosse neppure una lingua, lo stesso nodo che portava Carlos a seguire i gesti della nonna nelle cerimonie a cui lui partecipava di nascosto dal prete. Un nodo stretto in un incontro che nasce nella violenza e su di essa costruisce l’equilibrio di vinti e vincitori. È l’incomprensibilità delle ferite subite sul proprio corpo che sembra costringere a tornare sul nodo di questa violenza più antica, riconoscendo le sue cicatrici, e cominciare a sciogliere i fili.
grado di comunicare con il medico, ed è quel panico a farle decidere di imparare il francese, l’inizio di un aprirsi lento ma profondo a quel mondo ignoto che alla fine riporterà al proprio. A qualche anno dal loro arrivo, marta e Carlos cominciano a muoversi nella società francese, abbandonando gradualmente il nido sicuro e malinconico del circolo di soli esiliati cileni,17 e in questo movimento verso una lingua e una società sconosciuti si trovano, senza quasi rendersene conto, a riscoprire il mondo delle proprie origini. prima di tutto, perché i francesi sono affascinati dal loro essere indigeni, un interesse un po’ esotizzante che in quegli anni caratterizza gli ambienti legati ai movimenti sociali e ai partiti di sinistra da cui spesso proveniva la solidarietà nei confronti degli esiliati cileni: «quando eravamo in Francia il fatto di essere indigeni mapuche ci ha fatto un favore perché ai francesi piaceva la differenza».18 È quindi a partire da questo «interesse umano, non per ridere di te o per disprezzarti», che marta e Carlos cominciano a raccontare la propria storia e la storia mapuche, e raccontandola la riscoprono, cominciando a partecipare a incontri e dibattiti sulla questione indigena nelle Americhe, entrando in contatto con altre realtà in cui ritrovano una storia simile alla propria, ritrovando un’identità che in Cile veniva negata e guardata con disprezzo. nei luoghi dell’esilio, lo sguardo dell’altro è uno specchio che imbellisce e restituisce un’immagine positiva. Allo stesso tempo, ha inizio una pratica di vita differente. marta e Carlos, dopo qualche anno a parigi, si trasferiscono nel sud della Francia e cominciano a lavorare con un gruppo che si occupa del restauro del patrimonio rurale. vanno a vivere in un piccolo paese in cui sono quasi gli unici stranieri, e la vita quotidiana assume un altro ritmo, ritrovando gradualmente tratti di quel mondo lasciato indietro, in un fare che nasce anche dalla necessità di «vivere quello di cui stai parlando, che stai condividendo con gli altri». È questo secondo momento dell’esilio che Carlos definisce un apprendistato, che dà loro
3RItoRnI: le pARole AltRI speCChI A partir de 1984, comenzaron a aparecer las primeras listas de personas autorizadas por el gobierno militar a regresar, provocando entusiasmo entre los exiliados […] a finales de 1988, el exilio se terminó formalmente, con lo que se incrementó en retorno; en todo caso, la onR reconoce oficialmente como periodo de retorno hasta el 1994.15
nei primi anni di rabbia e di nostalgia, in cui la rottura con il mondo familiare somiglia a una pianta strappata senza alcun riguardo per le radici, marta rifiuta categoricamente di imparare il francese, la bocca bloccata nell’articolarne anche il minimo suono. la distanza dal mondo in cui è precipitata sembra incorporata in questo blocco della parola. la nostalgia, lo strappo da un passato che si continua ad avere davanti agli occhi,16 si aggiunge alla rottura del golpe: il mondo di prima non c’è più, e il mondo di adesso è sfocato e incomprensibile. Così come marta aveva rinnegato la propria lingua materna per nascondersi tra i suoni della società cilena, nel primo periodo dell’esilio la sua rabbia è espressa principalmente nel rifiuto ad articolare il francese. Finché un giorno sua figlia si ammala e la donna che aveva sempre aiutato come interprete non c’è. marta è presa dal panico perché non è in 27
forma come se fosse un’ascia. Come lavorare la pietra, che imparano a modellare nella costruzione della propria casa ma anche di se stessi, mentre le pietre che portano dentro sono rimodellate e limate nel lento processo di ritorno: «si imparava a costruire, e in qualche modo a costruirsi anche, fu molto molto molto positivo per me, fu così come scoprire di nuovo nel sud della Francia che il cielo era azzurro, che il sole era il sole e ti riscaldava».19 Il mondo cambia forma e colore, il corpo si scalda di nuovo al sole, e la nostalgia diventa una pratica attiva, che ricostruisce pezzetti di se stessi che sono stati lasciati non in quel paese dall’altra parte del mare ma in angoli bui della propria infanzia, in angoli nascosti agli occhi sprezzanti di un altro che costringe la lingua a imparare altri suoni e il corpo in altri abiti. È nell’esilio che marta e Carlos riprendono, ad esempio, a fare il pane che facevano da bambini o a lavorare a telaio:
gli parlavamo, li invitavamo a bere mate, poi si fermavano a mangiare... e così vivevamo».21 Così il ritorno a sé, il lento districare i fili della violenza e della negazione legate alla propria identità comincia lontano dai luoghi noti, familiari, propri. È un ritorno che anticipa quello fisico, quello ai luoghi abbandonati per forza e che ora sembrano chiamare a sé, ora che la distanza ha reso possibile uno sguardo diverso, limando e aggiustando le deformazioni che uno specchio crudele aveva impresso così profondamente. Alla fine degli anni novanta, marta e Carlos tornano alla propria terra. È un ritorno che dovrà passare attraverso altri specchi e altri sguardi, andando oltre al ricordo abbellito dalla nostalgia e dall’affascinato sguardo francese. È un ritorno che parte dal corpo e dalla lingua. Il momento arriva perché «eravamo maturi per tornare». si erano integrati e si erano riscoperti. Avevano cresciuto una figlia. Avevano costruito una casa. È un ritorno che spezza l’anima, dice marta, perché la figlia, ormai grande e con un figlio a sua volta, rimane in Francia. ma è anche un richiamo a cui non è possibile sottrarsi, perché la notte Carlos non riesce a dormire e una malattia della pelle comincia a segnargli le mani. per questo dice che non è una questione di volontà, ma di necessità profonda di rispondere a un richiamo:
Questo, questo ci aiutò a ricostruirci e a rincontrarci con noi stessi, soprattutto a incontrarci con noi stessi. [...] lì c’erano cose da fare e tu ti senti felice quando impari a costruire un pezzettino di muro, quando impari a tessere a telaio, quando impari a lavorare un pochino qualunque cosa, cominci a renderti conto che è possibile fare tutto e questo ci incitò a, a ricordare quello che sapevamo da qui. Allora abbiamo cominciato a ricordare che facevamo il pane, allora abbiamo cominciato a fare di nuovo il nostro pane, che qui avevamo imparato a fare da piccoli, e per la gente di là era come una festa fare il pane...!20
Quello che io dicevo a marta, o anche ai nostri amici... è più forte di me quello che mi sta succedendo, perché il mio spirito della cordillera, del vulcano mi richiedono... e poi la famiglia, perché molte volte marta diceva: “è per la tua famiglia?” è per tutto quello che non ho potuto vivere... non ho potuto vivere nella mia... [...] nella mia gioventù, dovevo viverlo adesso, e non troppo vecchio dicevo io, che potessimo costruire di nuovo, fare la nostra casa, [...] fino a che il nostro corpo è in grado, possiamo fare qualcosa, e qualcosa di positivo, costruttivo, verso il resto. [...] con tutto quello che abbiamo studiato, con tutto quello che abbiamo letto, con tutto quello che... l’andare e venire... quello che non... dovevamo viverla,
le pratiche che tornano a galla, che da angoli nascosti del ricordo tornano alla superficie delle mani e dell’abitudine, sono condivise con i francesi, affascinati e coinvolti in un dialogo che contribuisce alla ricostruzione di se stessi anche attraverso lo sguardo dell’altro che sembra restituire la parola, come nel racconto di Carlos rispetto all’usanza di bere mate e la curiosità dei vicini: «bevevamo mate fuori... ci vedevano e dicevano che cosa staranno facendo? si staranno drogando? Ci parlavano, noi 28
della pacificazione dell’Araucanía, una guerra sanguinosa eppure quasi dimenticata, camuffata sotto questo nome rassicurante e grottesco. si potrebbe poi parlare di un’assimilazione mai definitiva, del lento processo di riorganizzazione del mondo mapuche nel corso del novecento e di quelle che James scott ha definito «forme quotidiane di resistenza».24 o ancora degli anni del governo Allende, e infine il golpe di pinochet, del processo di esilio e ritorno vissuto da migliaia di cileni e mapuche. ma per questa volta, solo per questa volta, cammino lungo la strada di sassi grigi, arrivo fino alla casa che marta e Carlos hanno costruito al loro ritorno, quasi quindici anni fa, mi siedo al grande tavolo di legno con loro e le loro parole inesatte e perfette. Da qui, nei giorni senza nuvole si vede il vulcano.
adesso il secondo, terzo passo era viverla, quella connessione con la natura, quella connessione con la cultura, quella connessione con la gente di qui, e con il nostro intorno, questo era quello che dovevamo... era quello che ci mancava.22
per marta il viaggio verso casa comincia con uno studio sulla poesia mapuche. nel tornare a pronunciare suoni dimenticati eppure ancora presenti in qualche angolo della memoria si produce una sorta di riconciliazione con il suo «essere mapuche», riscoperto nella poesia, nel re-incontro con la lingua rinnegata da bambina, e che questa volta la riporta a se stessa e che poi condurrà anche i suoi passi alla terra lasciata tanto tempo prima: Io non avevo mai più parlato la lingua con nessuno con nessuno con nessuno... ed era come se fosse stata cancellata da me, ed era come... e in più avevo ben presente che lo avevo rinnegato da giovane, allora il fatto di cominciare a leggerla e di, di cominciare a scoprire... creava un’emozione fortissima in me. e le prime volte che ho voluto cominciare a ripetere le poesie ad alta voce non mi venivano, perché mi, mi veniva il pianto, e non potevo, era una cosa orribile... però bella allo stesso tempo. [...] e poi ho cominciato a imparare poesie a memoria, e più le ripetevo, più le imparavo, era come se mi stessi mettendo in un mondo... un mondo di qui. [...] allora era come cominciare a viaggiare a partire da un’altra dimensione con la poesia, io volavo in quel tempo di studio. 23
note: 1. lonko è una parola mapuche che significa “capo”. I mapuche sono un gruppo indigeno del centro-sud del Cile, che oggi corrisponde a circa il 10% della popolazione cilena. 2. Winka è il termine mapuche per definire il non mapuche, si potrebbe tradurre con “straniero”, ma ha in sé anche le connotazioni negative di “ladrone” e “invasore”. 3. marta, intervista a Carlos e marta, melipeuco, 07.12.2012. 4. Carlos, intervista a Carlos e marta, melipeuco, 22.12.2012. 5. la società mapuche mantiene un territorio indipendente fino alla fine del XIX secolo, resistendo alla Conquista spagnola che riconosce, con vari trattati sottoscritti dalla Corona, l’esistenza di una nación mapuche il cui territorio va dal fiume biobio all’isola di Chiloè. la perdita definitiva delle terre e dell’indipendenza arriva successivamente al costituirsi della repubblica, con l’occupazione del territorio mapuche nel 1881. Cfr. pablo marimán et al., escuha Winka!
epIlogo Il racconto di marta e Carlos intreccia memorie incorporate e voci che risuonano come un’eco, oscillando avanti e indietro sul filo di incontri e violenza, di dolore e ricostruzione. tutto questo potrebbe essere tratteggiato a partire da processi sociali e politici, date ed eventi della storia, spiegazioni e riferimenti che guardano alle vicende umane dall’alto di un comprensivo - e sicuramente anche utile - sguardo d’insieme. si potrebbe allora parlare 29
Cuatro ensayos de historia nacional mapuche y un epilogo sobre el futuro, lom, santiago 2006, e José bengoa, historia del pueblo mapuche, lom, santiago 2008 (1° ed. 1985). 6. ACnUR 2000, la situación de los refugiados en el mundo 2000. Cincuenta años de acción humanitaria, cit. in estela Aguierre, sonia Chamorro m., memoria gráfica del exilio chileno, 1973-1989, ocho libros editores, santiago, 2008, p. 45. 7. non entro nei dettagli per quanto riguarda l’arresto di Carlos, legato alla sua frequentazione di alcuni ambienti politici di sinistra. non è possibile soffermarmi in questa sede sulla complessa realtà politica del Cile tra la fine degli anni ’60 e il momento del colpo di stato di pinochet, per un’analisi di questo particolare momento della storia del Cile, con un’attenzione particolare al formarsi di memorie conflittuali, cfr. steve J. stern, Remembering pinochet’s Chile: on the eve of london 1998, Duke Up, Durham 2004. 8. marta, intervista a Carlos e marta, melipeuco, 22.12.2012. la parola sapo viene utilizzata anche per riferirsi ai collaboratori del regime, quindi alle “talpe”. In questo caso si potrebbe tradurre con “spiona”. 9. Carlos, ibidem. 10. Cfr. elaine scarry, the body in pain. the making and Unmaking of the World, oxford University press, new York 1985, e elizabeth Jelin, state Repression and the labors of memory, University of minnesota press, minneapolis 2003. 11. Cfr. Judith zur, violent memories. mayan war Widows in guatemala, Westview press, oxford 1998. 12. Carlos, intervista a Carlos e marta, melipeuco, 07.12.2012. 13. marta, intervista a Carlos e marta, melipeuco, 22.12.2012. 14. Carlos, ibidem. 15. loreto Rebolledo, memorias del desarraigo. testimonios de exilio y de retorno de hombres y mujeres de Chile, santiago, Catalonia, 2006, p. 114. 16. su questo aspetto di particolare percezione spazio-temporale legata all’esilio cfr. loreto Rebolledo, cit. sul tema dell’esilio cileno più in generale, cfr. anche Diana Kay, Chileans in exile: private struggles,
public lives, the macmillan press, london 1987. 17. In generale si parla di “esilio cileno”, non distinguendo tra persone di origine mapuche e chi si identifica invece come cileno. 18. Carlos, intervista a Carlos e marta, melipeuco, 22.12.2012. 19. marta, ibidem. 20. marta, ibidem. 21. Carlos, ibidem. 22. Carlos, ibidem. 23. marta, ibidem. 24. Cfr. James scott, Weapons of the Weak, Yale University press, new haven 1985.
bIblIogRAFIA Aguierre estela, Chamorro m. sonia,“l”: memoria gráfica del exilio chileno, 1973-1989, ocho libros editores, santiago 2008. bengoa José, historia del pueblo mapuche, lom, santiago 2008 (1° ed. 1985). Kay Diana, Chileans in exile: private struggles, public lives, the macmillan press, london 1987. Jelin elizabeth, state Repression and the labors of memory, University of minnesota press, minneapolis 2003. marimán pablo et al., escuha Winka! Cuatro ensayos de historia nacional mapuche y un epilogo sobre el futuro, lom, santiago 2006. Rebolledo loreto, memorias del desarraigo. testimonios de exilio y de retorno de hombres y mujeres de Chile, Catalonia, santiago 2006. scarry elaine, the body in pain. the making and Unmaking of the World, oxford University press, new York 1985. scott James, Weapons of the Weak, Yale University press, new haven 1985. stern steve J., Remembering pinochet’s Chile: on the eve of london 1998, Duke Up, Durham 2004. zur Judith, violent memories. mayan war Widows in guatemala, Westview press, oxford 1998. 30
BioGrafie deGli autori
elIsA AlegRe Agís.
“Discipline etnoantropologiche” presso l’Università di Roma la sapienza. la tesi dottorale (“tinku e oro. Conflitto e politica indigena in un ayllu boliviano”) ha avuto per oggetto la risposta delle organizzazioni indigene al tentativo di sfruttamento di risorse minerarie dei propri territori. I piani di sfruttamento di una miniera d’oro hanno generato tensioni espresse tanto nel campo politico locale come nei rituali festivi. Il conflitto minerario, visto in relazione alla storia politica della bolivia contemporanea, ha permesso di intendere l’ayllu come luogo di espressione di nuovi e complessi modelli di cittadinanza, in cui riforme neo liberiste, agenti economici globali e retoriche umanitarie si combinano con pratiche di potere pensate come ancestrali.
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laurea in servizio sociale (Università di valencia). laurea in Antropologia sociale e culturale, master in Antropologia medica e salute internazionale (Università Rovira i virgili (tarragona)
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olIvIA CAsAgRAnDe nata a bolzano nel 1983, ha condotto i suoi studi presso l’Università degli studi di bologna e l’Università Ca’ Foscari di venezia, dove ha conseguito nel 2009 la laurea magistrale in Antropologia Culturale, etnologia, etnolinguistica. È attualmente impegnata nella scrittura della tesi per il Dottorato in studi storici e Antropologici presso l’Università di verona. ha condotto diversi periodi di ricerca nel sud del Cile, interessandosi a temi di antropologia politica del mondo mapuche dalla dittatura pinochet ad oggi. I suoi principali interessi di ricerca sono: memoria individuale e collettiva, violenza politica e forme di resistenza, narrazione autobiografica e storie di vita. la sua tesi di Dottorato tratta il tema dell’esilio durante la dittatura pinochet attraverso l’analisi delle storie di vita di persone mapuche tra i luoghi dell’esilio e il sud del Cile.
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pARIDe bollettIn laurea triennale in storia – Università degli studi di padova (2005) e magistrale in scienze Antropologiche – Università degli studi di perugia (2007). Dottorato in Antropologia – Università degli studi di siena (2011). Attualmente post-dottorato presso il Centro de estudos Ameríndios dell’Università di são paulo e ricercatore associato dell’Università Federale di pernambuco. esperienza nell’area antropologica, con enfasi sull’etnologia del mondo indigeno.
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mIChele De lAURentIIs
ChIARA sCARDozzI
Dottorato in Antropologia e studi storico-linguistici presso l’Università di messina con una tesi etnografica svolta nella bolivia andina. laurea in “teorie e pratiche dell’Antropologia” e laurea magistrale in
nata nel 1984 a Civitavecchia (Rm), consegue con il massimo dei voti la laurea magistrale in Discipline etno-Antropologiche all’Università degli studi di 115
AnDRés RUggeRI
Roma “la sapienza” e un master in Agroecologia presso la Universidad de Córdoba. nel 2014 riceve il premio di laurea “Francesca Cappelletto” dell’Università degli studi di verona. e’attualmente dottoranda e “cultore della materia” in Antropologia Culturale presso il Dipartimento di storia Culture Religioni dell’Università “la sapienza”; ricercatrice per la missione etnologica Italiana mAe “sudAmerica-mercosur” e consulente nell’ambito di progetti di cooperazione allo sviluppo. Dopo alcune esperienze in Italia, dal 2009 sviluppa la sua attività di ricerca nella regione semiarida del gran Chaco Argentino con popolazione indigena e campesinos, su temi legati al diritto alla terra, ai processi di restituzione territoriale, l’etnicità, i conflitti socio-ambientali. I primi risultati della ricerca sono stati pubblicati nel volume intitolato territorios en negociación. Un análisis etnográfico de los procesos de convivencia entre indígenas y criollos en el pilcomayo salteño (2013, salta-Argentina, stampa Impresiones-Fundapaz). Il progetto fotografico honhat viene esposto nel 2013 a buenos Aires, nell’ambito del “II encuentro mundial del gran Chaco Americano”, e nel 2014 a Roma, durante la rassegna “materiali di Antropologia visiva –mAv”.
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Antropologo sociale dell’Università di buenos Aires. Dal 2002 dirige il programma Facultad Abierta, che sviluppa attività di estensione universitaria e ricerca con fabbriche recuperate. ha diretto la realizzazione di tre rilevamenti nazionali di imprese recuperate nel 2002, 2004 e 2009 (il quarto è ora in processo) e creato il Centro de Documentación de empresas Recuperadas in seno alla Cooperativa Chilavert Artes gráficas. È autore di vari libri e articoli sul tema e coordinatore dell’Incontro Internazionale “la economía de los trabajadores”, che vanta di quattro edizioni con ricercatori e lavoratori di venti paesi. ha partecipato a congressi e come professore invitato tenuto corsi e conferenze in varie università in Argentina, Uruguay, brasile, Cuba, messico, Francia, spagna, norvegia e Cina.
mARCo semenzIn Dottorando presso il Dipartimento di Filosofia,sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’Università di padova. I suoi interessi di ricerca comprendono lo studio delle migrazioni e la sociologia dell’organizzazione. e’ autore di effetti della crisi occupazionale sui migranti nel nord est Italiano: marocchini e Rumeni tra ritorni e stabilizzazione(mondi migranti 2013) e con D. sacchetto Workers’ Cooperatives in Italy between solidarity and Autocratic Centralism (in corso di pubblicazione). Attualmente sta lavorando alla ricerca Cooperare in pratica. Uno studio sulle “imprese recuperate” in Argentina ed Italia, incentrata sull’analisi della cultura organizzativa delle fabbriche autogestite dai lavoratori e dalle lavoratrici
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lAURA mUgnAnI nasce a luino nel 1985. Consegue la laurea triennale in “teorie e pratiche dell’Antropologia” presso l’Università “la sapienza”, svolgendo la ricerca per la tesi presso il museo nazionale “l. pigorini”. nel 2012 svolge la ricerca sul campo per la laurea magistrale all’interno di una favela di são paulo, indagando i processi di urbanizzazione e il loro impatto sulla popolazione. ha intrapreso ora il percorso dottorale con argomento: le reti sociali legate alla migrazione sudamericana in Italia.
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gIovAnnA vettRAIno nata a marzo del 1986, durante l’anno del 2012/13 ha soggiornato fra Florianópolis e santa Catarina, come studentessa dell’Università Federale di santa Catarina, dove ha superato il processo di selezio116
re (1973-1976). Collabora con la rivista «prohistoria» (Argentina) e con «lo straniero». ha presentato i frutti delle sue prime ricerche al XXXvI Convegno internazionale di americanistica di perugia (maggio 2014) e al convegno dell’associazione persistenze o Rimozioni, “lavoro”, (bologna 2015). Fra le prime pubblicazioni (AA. vv.) “Questa terra è la mia terra”.
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ne per “mestrado” 2014 in teoria della modernità, presentando un progetto di ricerca in merito allo studio analitico del tropicalismo in termini di “scrittura (auto)biografica del presente”. Il progetto di ricerca, pertanto, analizzerà attraverso la produzione tropicalista, nello specifico verdade tropical (1997) di Caetano veloso, la conformazione della società nella “post-comunicazione” che fonde nell’ “individuo sincretico” la sfera del pubblico e privato.
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AnnAClAUDIA mARtInI
mIChele elIA
si e’ laureata in Antropologia Culturale con una tesi sul rapporto tra i sensi e il turismo nel salr di Uyuni, bolivia. ha poi seguito un corso di giornalismo presso la scuola lelio basso di Roma, e ha lavorato per Repubblica come architetto dell’informazione. A settembre ha iniziato un dottorato in geografia del turismo all’Universita’ di groningen, in olanda.
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laurea triennale presso l’Accademia di belle Arti di bari nel 2014. Attualmente studente al biennio specialistico presso la medesima istituzione e tirocinante presso la cattedra di Computer Art.
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AntonIo Rollo Docente di Computer Art presso l’Accademia di belle Arti di bari.
[email protected]
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FRAnCesCA CoRReR (Italia 1987) si laurea in antropologia culturale a venezia con una tesi su un conflitto ambientale in bolivia e i relativi posizionamenti politici ed identitari. ha pubblicato la sua tesi triennale all’interno del volume “bolivia. evoluzioni economiche e nuove dinamiche geopolitiche” e collaborato con un saggio al libro collettaneo “Questa terra è la mia terra”. Attualmente segue un master di antropologia visiva all’Università di barcellona.
[email protected]
CAmIllo RobeRtInI (Italia 1987) è laureato in storia presso le università di perugia e venezia “Ca’ Foscari”. Attualmente è dottorando in studi storici presso l’Università di Firenze-siena. sta sviluppando una ricerca sulla classe operaia argentina durante la dittatura milita117