“Cantería e ingeniería del Renacimiento en el puente de Zuazo en Cádiz”. Lexicon. Storia e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo, nº 20, 2015, pp. 7-20

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Descripción

Marco Rosario Nobile Editoriale Alicia Cámara Cantería e ingeniería del Renacimiento en el puente de Zuazo en Cádiz

Edizioni Caracol

SOMMARIO

LEXICON Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo

Luis Arciniega García Puentes de cantería en el Reino de Valencia de la Edad Moderna: construcción y polisemia Maurizio Vesco Michelangelo Blasco versus Ferdinando Fuga: una nuova attribuzione per il ponte sul Milicia in Sicilia Alfredo Buccaro Il dibattito scientifico e tecnico in materia di ponti in età borbonica: tradizione teorica ed esperienze nel territorio meridionale Antonella Armetta Ponti siciliani fra Sette e Ottocento. Il modello dell’acquedotto romano PONTI DI SICILIA (XVI-XIX SECOLO) Catalogo della mostra a cura di Antonella Armetta e Maurizio Vesco

LEXICON n. 20 - 2015

€ 15,00

ISSN: 1827-3416 ISBN: 978-88-98546-45-9

Ponti in pietra nel Mediterraneo in età moderna Edizioni Caracol

n. 20 - 2015

LEXICON Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo

Ponti in pietra nel Mediterraneo in età moderna

n. 20 / 2015

Edizioni Caracol

Lexicon. Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo Ponti in pietra nel Mediterraneo in età moderna Rivista semestrale di Storia dell’Architettura N. 20/2015 ISSN: 1827-3416 ISBN: 978-88-98546-45-9 Tribunale di Palermo. Autorizzazione n. 21 del 20 luglio 2005 Edizioni Caracol - Palermo Direttore responsabile: Marco Rosario Nobile Consiglio direttivo: Marco Rosario Nobile (Università degli Studi di PalermoDirettore responsabile) Paola Barbera (Università degli Studi di Catania) Maria Sofia Di Fede (Università degli Studi di Palermo) Emanuela Garofalo (Università degli Studi di Palermo) Stefano Piazza (Università degli Studi di Palermo) Fulvia Scaduto (Università degli Studi di Palermo) Maurizio Vesco (Università degli Studi di Palermo) Comitato scientifico: Beatriz Blasco Esquivias (Universidad Complutense de Madrid) Monique Chatenet (Centre André Chastel, Paris) Claudia Conforti (Università Roma Tor Vergata) Fernando Marías (Universidad Autónoma de Madrid) Alina Payne (Harvard University, Cambridge – MA) Comitato editoriale: Begoña Alonso Ruiz (Universidad de Cantabria), Isabella Rachele Balestreri (Politecnico di Milano), Dirk De Meyer (Ghent University), Joan Domenge I Mesquida (Universitat de Barcelona), Alexandre Gady (Université de Paris IVSorbonne), Adriano Ghisetti Giavarina (Università Chieti Pescara), Mercedes Gómez-Ferrer (Universitat de Valencia), Javier Ibañez Fernández (Universidad de Zaragoza), Elisabetta Molteni (Università Ca’ Foscari Venezia), Erik H. Neil (Academy Art Museum, Easton, Maryland), Walter Rossa (Universidade de Coimbra), Sandrine Victor (Université d'Albi), Arturo Zaragozá Catalán (Generalitat Valenciana, Real Academia de Bellas Artes San Carlos de Valencia) Capo redattore: Domenica Sutera Redazione: Giuseppe Antista, Antonella Armetta, Maria Mercedes Bares, Mirco Cannella, Sabina Montana, Federica Scibilia

Lexicon. Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo è una rivista internazionale avente l’obiettivo di diffondere studi e notizie riguardanti la storia dell’architettura in Sicilia e nel bacino del Mediterraneo. Fondata nel 2005, Lexicon. Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo ha una cadenza semestrale. Le proposte devono essere inviate al direttore della rivista, presso il Dipartimento di Architettura, Viale delle Scienze Edificio 8, 90128 Palermo o in alternativa ai seguenti indirizzi di posta elettronica: [email protected] e [email protected]. Gli scritti pervenuti saranno valutati dal consiglio direttivo e dal comitato editoriale che, di volta in volta, sottoporranno i testi ai referees, secondo il criterio del blind peer review. La rivista adotta un modello di condotta e un codice etico ispirati a obiettivi di correttezza e professionalità, che trovano riferimento in quanto stabilito dal Committee on Pubblication Ethics (COPE). Il codice etico e di condotta della rivista è consultabile su http://www.edizionicaracol.it/codice-etico.htlm. I sommari dei numeri precedenti sono consultabili su http://www.edizionicaracol.it/lexicon.htm Amministrazione: Caracol snc, Piazza Don Luigi Sturzo, 14 – Palermo

The research leading to these results has received funding from the European Research Council under the European Union’s Seventh Framework Programme (FP7/20072013)/ ERC grant agreement n. 295960 - COSMED

In copertina: G. Curiale, N. Cozzi, Progetto per il ponte sul Milicia del Capitano Ingegnere Michelangelo Blasco, 1738 (Madrid, Biblioteca Nacional de España, Sala Goya, inv. 28675).

© 2015: by Edizioni Caracol Stampa: Tipografia Priulla - Palermo Per abbonamenti rivolgersi alla casa editrice Caracol ai seguenti recapiti: e-mail: [email protected] tel. 091-340011

SOMMARIO

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Marco Rosario Nobile Editoriale

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Alicia Cámara Cantería e ingeniería del Renacimiento en el puente de Zuazo en Cádiz

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Luis Arciniega García Puentes de cantería en el Reino de Valencia de la Edad Moderna: construcción y polisemia

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Maurizio Vesco Michelangelo Blasco versus Ferdinando Fuga: una nuova attribuzione per il ponte sul Milicia in Sicilia

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Alfredo Buccaro Il dibattito scientifico e tecnico in materia di ponti in età borbonica: tradizione teorica ed esperienze nel territorio meridionale

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Antonella Armetta Ponti siciliani fra Sette e Ottocento. Il modello dell’acquedotto romano

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PONTI DI SICILIA (XVI-XIX SECOLO) Catalogo della mostra a cura di Antonella Armetta e Maurizio Vesco

Hieronymus Cock, Veduta di un ponte, 1551-1575.

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Editoriale

«Abbiate fede nello cavalcone. Isso è forte», così il mistico Zenone, dell’indimenticata Armata Brancaleone, esortava a superare una passarella lignea che, come tutti sanno, non avrebbe retto ai saltelli ripetuti del sant’uomo. La lingua pseudo medievale e i termini creati per l’occasione da Monicelli si proponevano di espungere qualsiasi aurea simbolica e autorevolezza etimologica ai lemmi, evitando accuratamente quanto poteva evocare connotazioni implicite o più profonde. Così il grado semantico di “cavalcone”, prossimo allo zero, si distanziava smisuratamente e volutamente da quello di “ponte”. Chi si occupa di storia dell’architettura non può limitarsi a contabilizzare le fonti, valutare i dati e decifrare gli indispensabili caratteri tecnici di un’opera, ridurre cioè la complessità dei significati (in altri termini – sia con l’ausilio di documenti che di eventuali formule matematiche – studiare “cavalconi”) ma deve fissare, di volta in volta, sguardi e interrogativi attuali, che siano in grado di fornire rinnovate spiegazioni, coscienti sempre della provvisorietà che ogni “racconto” comporta. La formazione di un numero monografico come questo nasce dalla bella mostra e dalla giornata di studi organizzata e coordinata da Antonella Armetta e da Maurizio Vesco (Ponti in pietra nel Mediterraneo in età moderna, Palermo, Archivio di Stato, dicembre 2014-gennaio 2015). Un editoriale non può assumersi l’ambizione di registrare, neanche sinteticamente, le intenzioni degli autori, gli approfondimenti puntuali intorno a un tema, come quello dei ponti, che comunque già in molteplici occasioni è stato oggetto di indagini, studi, considerazioni, spesso autorevoli. Gli intrecci mutevoli che la costruzione di un ponte genera, inglobando ingredienti tecnici, modulazioni formali e intenzioni simboliche, sarebbero un argomento in buona parte scontato se tra le storie qui raccontate non si annidassero specificità, protagonismi, occasioni, scale e punti di osservazione inediti. Di tutto questo siamo grati agli autori dei saggi: Alicia Cámara, Luis Arciniega, Alfredo Buccaro e, infine, Antonella Armetta e Maurizio Vesco, questi ultimi anche nella qualità di curatori che hanno seguito con attenzione la nascita del numero. Marco Rosario Nobile

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CANTERÍA E INGENIERÍA DEL RENACIMIENTO EN EL PUENTE DE ZUAZO EN CÁDIZ*

Alicia Cámara Catedrática, Universidad Nacional de Educación a Distancia (UNED) [email protected] Abstract Stereotomy and Engineering of the Renaissance in the Zuazo Bridge in Cadiz Through drawings we can study one of the most famous stone bridges of the Sixteenth century, which affected the defense of a bay that was key for the monarchy and it's control and trade of the Indias. The fact that several of the best experts in stereotomy in Spain, as well as great engineers all were in Cadiz during the turn of the century makes it a remarkable case study for the history of construction. If we analyze the unpublished documents about this bridge we can also understand how the movement of profesionals in the Spanish monarchy worked, as both venetian engineer Juan Marín, expert in foundations in water, and Tiburzio Spannocchi, the Main Engineer of the Spanish Crown worked in it, as well as several stonemasons from Bizkaia (Basque Country). Keywords Bridge Engineering, Cádiz, Juan Marín, Tiburzio Spannocchi, Stone Construction

El puente de Zuazo fue uno de los más famosos puentes de piedra del siglo XVI, porque comunicaba a Cádiz con tierra firme y por consiguiente resultó ser un elemento estratégico para garantizar el control y comercio con las Indias, ya que Cádiz defendía la gran bahía que garantizaba la llegada de las flotas de Indias hasta Sevilla [fig. 1]. Por ello es uno de los puentes de cuya construcción se conserva más documentación, puesto que fue supervisada por el Consejo de Guerra, cuyos fondos guarda el Archivo General de Simancas. También se conservan dibujos que muestran la evolución del puente mientras intervenían canteros e ingenieros en su construcción y reformas, que analizamos junto con una documentación inédita que ejemplifica una vez más la circulación de profesionales en los reinos de la monarquía hispánica. En el intervinieron el ingeniero veneciano Juan Marín, experto en cimentación en agua, canteros de origen vizcaíno, o el Ingeniero Mayor de los Reinos de España, Tiburzio Spannocchi. Además, aspiró a ser maestro del puente el ingeniero y tratadista Cristóbal de Rojas, poco antes de que llegaran a la ciudad otros dos grandes tratadistas de cantería españoles de la época, Ginés Martínez de Aranda y Alonso de Vandelvira. Todo ello convierte a este puente en rico caso de estudio para la historia de la cantería y la ingeniería en el Renacimiento.

Que Cádiz era una isla lo sabían todos, y así en el Tesoro de la Lengua castellana o española de Sebastián de Covarrubias, del año 1611, lo primero que se dice de «Cáliz» es que «en lenguaje vulgar y corrupto se dice la isla que está cerca del estrecho de Gibraltar, en el mar Océano, dicha Gades, Gadira»1. Era una de las islas del Océano, famosa y antigua, que al decir de los cronistas, había sido llamada Tartesos, Carteia, Eritrea y Gadir, con inmensas riquezas que no dejaron de alabar los autores antiguos2. Si leemos una consulta de la Junta de Guerra de 1647, cualquiera diría que Cádiz era el centro del orbe, como lo parecía en el dibujo circular de la bahía [fig. 2] (en el que se representa el puente), porque no sólo era la llave que aseguraba las costas andaluzas, sino que era también «la defensa principal de España», y aseguraba «el comercio universal del orbe y los tesoros de las Indias»3. Por eso fue tan famoso el puente que aseguró el acceso por tierra a la ciudad, cuya ubicación vemos en el dibujo del atlas de Pedro Texeira de 16344 [fig. 3], así que no nos puede extrañar que en 1592 el duque de Medina Sidonia escribiera que había que cerrar con piedra el arco principal, ya que el puente «importa tanto como la fortificación»5. De hecho, y por la vulnerabilidad de una isla, Vespasiano Gonzaga opinó que Cádiz debía estar abastecida para soportar un largo asedio, porque si el

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enemigo tomaba el puente de Zuazo, o entraba por el y hacía una trinchera que atravesara también el arrecife, sería muy difícil socorrerla. Era sin duda algo a tener en cuenta si se quería conservar el gran puerto natural que era Cádiz, porque, recordaba Vespasiano, no había hasta la frontera francesa mas que otros dos igualmente buenos, que eran Rosas y Cartagena6. Para comprender en todo su alcance la atención que mereció este puente por parte del duque de Medina Sidonia y del Consejo de Guerra, quizá sea necesario

Fig. 1. Bahía de Cádiz y entrada al Guadalquivir con la llegada de los barcos de la flota de Indias, en P. Texeira, Descripción de España y de las costas y puertos de sus reinos, 1634 (Biblioteca de la Universidad de Uppsala).

Fig 2. Bahía de Cádiz, 1626 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, Archivo General de Simancas, MPD 06, 044).

recordar la concepción global que tenía la monarquía española de sus reinos, que situaba a Cádiz a medio camino entre el Atlántico y el Mediterráneo, de lo cual podemos poner tres ejemplos no de teóricos o historiadores, sino procedentes del mundo de la ingeniería militar y la fortificación. El primero son las palabras del príncipe Juan Andrea Doria el 11 de agosto de 1597, al informar sobre la fortificación de Cádiz en el momento en que se debatían los proyectos tras el ataque inglés del año anterior. Expresaba que uno de los temores era que desde Levante llegase una gran armada de galeras y los moros de Berbería7. Así pues, aunque Cádiz sea una ciudad atlántica, tener el Mediterráneo a sus espaldas la hacía todavía más vulnerable. En la misma línea de concepción global de un peligro que podía unir dos mares se manifestaba el ingeniero Leonardo Turriano. En el manuscrito en el que describió las plazas de Orán y Mazalquivir, escribió que si el turco se apoderase del puerto de Mazalquivir, se haría dueño del reino de Fez y Marruecos, y si eso sucediera habría llegado hasta el Mar Océano, se hubiera apoderado de Canarias, y desde allí, aliado con otros enemigos, hubiera podido pasar a las Indias8. Como vemos, las espaldas del Atlántico, ese mar Mediterráneo, eran importantes incluso para el dominio de las Indias. Finalmente, y en ese sentido, el ingeniero Spannocchi expresó muy claramente lo que significaba Cádiz para la monarquía española cuando escribió que de ella dependía «el entorno total de la gran contratación de las Indias»9 . El nombre del puente procede de un segoviano llamado Juan Sánchez de Zuazo, quien lo fabricó en el siglo XV10, aunque sus orígenes parece que se remontaban a la antigüedad romana. En 1485 a Juan de Zuazo «cuyo es el castillo de la Puente de Zuazo» le obligaron a no impedir que la villa de Puerto Real tuviera una barca para llevar pasajeros de la Matagorda a Cádiz11. Así pues, el paso entre la isla y tierra firme siempre estuvo protegido por una fortificación, ya que se habla de un castillo en el siglo XV, y veremos que los ingenieros Fratin y Spannocchi se ocuparon de reformar y ampliar esa defensa, hasta llegar al gran desarrollo del recinto defensivo que vemos en algún proyecto del siglo XVIII [fig. 4]. Por otra parte, Juan de Zuazo había monopolizado la comunicación de la isla de Cádiz con tierra firme, que acabaría convertida en piedra en el puente, y sin duda el cobro de los derechos de paso le darían buenos ingresos.

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El ingeniero veneciano Juan Marín Entre 1574 y 1590 Juan Marín fue el maestro mayor del puente de Zuazo y de la fortificación de Cádiz. Nació y se formó en Venecia «en el arte fabricatoria pública y militar»12. Es un personaje desconocido por la historiografía, a la vez que un excelente ejemplo de cómo se formaban los ingenieros, y de la circulación de profesionales de la arquitectura por las fronteras de la monarquía. Conocemos varios memoriales suyos que nos dan noticia de su carrera en España. Proclama ser uno de esos hombres que aspirando a «la virtud y la gloria destierran de sí las tinieblas de la ignorancia», así que él, formado en Venecia, ciudad que califica de famosa, con los preceptos de su padre y abuelo, ingenieros del senado veneciano «y hombres de grande inteligencia en esta profesión», resume ese aprendizaje en «estudios, fatigas, speriencias y pláticas de diversos años». Todo ese aprendizaje, que basa en los estudios teóricos y sobre todo en la experiencia, le había llevado a conocer secretos importantes para la guerra al final de su vida, cuando en 1588 ofreció a Felipe II sus inventos13. Para explicarnos como llegó a Cádiz un ingeniero veneciano, no nos basta sólo con saber de la importancia de esas fortificaciones y ese puente, o que 1574, cuando llegó, fue un año clave porque entonces se renovaron los esfuerzos en fortificaciones por parte de la monarquía tras la toma de La Goleta por los turcos, debemos recordar también que existía una fuerte relación de Cádiz con Venecia. Sobre esa relación, Agustín de Horozco, relataba en 1598 que los venecianos habían reedificado la ermita de San Sebastián tras su ruina en 1587, con estas palabras, y que en la torre habían colocado «un león con dos alas en el cuerpo, diadema en la cabeza, i un libro abierto en las manos, según tiene por significación el glorioso evangelista San Marcos, patrón de aquella ciudad»14. Quizá por ello Juan Marín, que en los memoriales firma ya con su nombre castellanizado, pudo tener las relaciones necesarias en la ciudad como para que le contrataran como maestro del puente. Sin duda lo que le avalaría sería la experiencia que tenían los constructores venecianos de fundar edificios sobre el agua, aunque con el tiempo Marín se consideró experto también en fortificación y en ingenios para la guerra. La estima en que se le tuvo se ve en el salario, que fue de trescientos ducados al año15, menos que lo que ganará Cristóbal de Rojas como ingeniero en las fortificaciones de la ciudad, que

fueron 40 escudos al mes, pero más de lo que mucho después, en 1608, ganaría Alonso de Vandelvira como maestro mayor de la ciudad, que fueron veinticinco escudos al mes16. Juan Marín fue a la corte a comienzos de 1589, para mostrar al rey en persona, entre otros, un ingenio para poner en defensa una armada, «de navíos de alto bordo y de remos», y otros «secretos y ardides de guerra»17. Parece casi mágico lo que proponía, porque ninguna de las balas del enemigo dañarían la armada ni a la gente de mar y tierra que en ella iría, y en cambio podría atacar al enemigo sin que los bajeles de remo sufrieran ningún daño. Probablemente este tipo de afirmaciones, expuestas en la carta firmada en Cádiz el 18 de diciembre de 1588 es lo que hizo que un rey tan necesitado de ingenios de guerra naval, y más tras el desastre de la Armada contra Inglaterra, le llamara a la corte para escuchar y valorar sus inventos. Era preciso saber qué era aquello «que asta ahora no se a oído ni visto». Además quería dar al rey su opinión sobre la fortificación de Cádiz que tan bien conocía18, a la vez que pretendía pedir el título de ingeniero general, para

Fig. 3. Cádiz, en P. Texeira, Descripción de España..., cit.

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el cual, decía, llevaba formándose tantos años. El procedimiento para llegar hasta el rey fue el mismo que el seguido por otros ingenieros, y se justificaba la presencia en la corte por la necesidad de ser oído directamente por el rey («se sirva de oírme»). Allí, con la planta y el compás, como todos los ingenieros, explicaría al rey los problemas de esa fortificación. Así que fue a la corte, al parecer sin que el corregidor de la ciudad de Cádiz pusiera ningún problema para su desplazamiento, manteniéndole el sueldo que tenía en las obras del puente y la fortificación de Cádiz. No sabemos si pudo tener algo que ver en las facilidades para que consiguiera acceder al rey, la vinculación de las obras de Cádiz y su puente al duque de Medina Sidonia, que fue quien dirigió la Armada, e incluso el que en Cádiz se hubieran construido barcos para esa empresa, lo que llevaría al ataque inglés a Cádiz de 1587, para dificultar esas construcciones de navíos. En definitiva, que Marín había estado en uno de los centros que estuvieron en el ojo del huracán de la política atlántica de la monarquía. En su memorial de 20 de mayo de 1589 dice que lleva

ya cinco meses en la corte por orden del rey, y explica que, de esos secretos y ardides, sólo ha hecho el modelo de galeón puesto en defensa que el rey ha visto. Otro es una trinchea móvil para tiro de arcabuz, «en la qual se verá admirable provecho por su ligereza y por el modo de offender y desvaratar el esquadrón de cavallería e infantería enemiga»19. Otro invento era «enjugar la polbora con fuego en Mar y Tierra», es decir, secar la pólvora mojada, lo que era sin duda uno de los problemas más graves a los que se podía enfrentar un ejército. Y sigamos, porque no acababan aquí las maravillas del veneciano, otro de sus ingenios era cómo «fortificar y fabricar debaxo de la mar que ha visto Andrés de Alva, secretario de la guerra». También sabía como detener los navíos de fuego para que no llegaran hasta la Armada, hacer puentes con rapidez para el paso de la artillería y caballería, que la artillería fuera por terrenos pantanosos, hacer escalas… 20 . El hecho de que uno de los inventos que quería presentar al rey fuera cómo fortificar y fabricar debajo del mar nos habla de sus orígenes, pero también de lo necesario

Fig. 4. Puente de Zuazo en 1724 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, MPD 33, 026).

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que era eso en las obras de fortificación de las fronteras marítimas del rey, ya que era el invento que había visto el secretario del Consejo de Guerra. Marín sabía qué era lo necesario para la guerra en mar y tierra, aunque parece saber más de la guerra en el mar, pero no fue el único que en ese año presentó sus ingenios para la guerra al rey, también lo hizo por ejemplo el alemán Martin Alteman21. Sobre la fortificación, criticaba en 1588 el proyecto de Fratin, quien «aunque era soldado y hábil no tubo raçon de ensancharse tanto en esta fortificación», «y el acaballa será casi infinito», además de que resultaría muy costosa, más de seiscientos mil ducados, necesitando todo un ejército para defenderla, «y no será tan fuerte como siendo más recogida»22, en todo lo cual coincidía con las críticas que con el tiempo sufrió este proyecto de Jacome Palearo Fratin para Cádiz23. Y si lo sabía era porque había sido teniente en la fortificación en ausencia del Fratin «y e visto la intención de todos los ingenieros que V. Md. a embiado a ella antes y después del fratín»24. Sus argumentos demuestran que efectivamente sabía de fortificación porque explicaba que, al reducirla, los baluartes serían «más conmunicables y alcançarán la arcabucería de uno a otro», que siempre fue principio de eficacia de la fortificación renacentista. Proponía también cómo cerrar con nuevas fortificaciones la bahía, que estaba «abierta para amigos y enemigos» hasta dejar tan solo el canal central, por donde entraban y salían las naves, pero de manera que la artillería pudiera hundir a cualquier navío enemigo. Orgulloso de sus treinta y seis años de servicio, muchos de ellos en guerras y fábricas del rey, consiguió que le asignaran al servicio del prior don Fernando, un poderoso militar, hijo natural del III Duque de Alba, experto en las guerras de Flandes y Portugal, pero sobre todo cortesano y miembro de los consejos de estado y guerra del rey25. Entrar al servicio de uno de los grandes militares que había llegado a consejero del rey fue sin duda un enorme triunfo, y la culminación de una carrera iniciada en Venecia y desarrollada en la lejana Cádiz. En ese momento de plenitud profesional, aseguraba que reforzaría «su yngenio y arte», pedía el título de ingeniero y un sueldo, y no dejaba de señalar que el rey había guardado en su recámara el modelo que él había hecho, suponemos que refiriéndose al galeón26. Poco le duró la satisfacción, porque en 1590 murió en la corte, sin haber regresado a Cádiz.

Canteros, ingenieros y un duque Aunque Juan Marín murió en 1590, es a él a quien recuerda la relación del año 1597 del saqueo inglés del año anterior como maestro mayor del puente, «obra maravillosa y de inmenso gasto», que se había cimentado dejando caer los sillares de piedra hasta llegar al nivel del agua, sobre lo cual se hicieron los arcos. Esas piedras con el agua salada «se abrazan y conglutinan de tal manera unas con otras, que se viene a hacer todo una dura roca». En esa fecha no estaba cerrado el arco central, que se pasaba con maderos gruesos. En la traza había proyectadas dos torres bien artilladas para su defensa27. Los problemas de cantería y de fortificación fueron los que ocuparon a los responsables de la obra del puente, siendo en última instancia el consejo de guerra quien decidía, pero siempre escuchando la opinión del duque de Medina Sidonia, capitán del Mar Océano y Costas de Andalucía28. Al duque se puede ligar también otra de las obras de Juan Marín como fueron las trazas de 1583 para las torres grandes y pequeñas de la costa de Sanlúcar, el dominio del duque, en las que firmaba como maestro de la puente y fortificación de Cádiz [fig. 5]. Pese a los elogios a la cimentación del puente, el ingeniero Cristóbal de Rojas, que se había formado como cantero y siempre hizo alarde de sus conocimientos de cantería29, criticó duramente la cimentación del puente de Zuazo. Todos sabían que esa era la clave de un buen puente de piedra, porque dado su peso debía tener unos cimientos fuertes y estables. Lo cierto es

Fig. 5. J. Marín, Planta y elevación de las torres grandes para fortificar la costa de Sanlúcar de Barrameda hasta el cabo de Santa María (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, MPD 05, 022).

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que para cuando Rojas escribió su crítica, en 1607, debía estar bastante harto de los ingenieros extranjeros, porque precisamente las tres obras que dice que estaban cimentadas echando piedra en el mar, habían sido construidas por italianos. Eran Cabeza Seca en Lisboa, que además generó una gran polémica por su forma entre Spannocchi y Leonardo Turriano30, el muelle de Málaga, construido por Fabio Borsotto31, y este puente de Zuazo, del que sabemos ahora que el castellanizado nombre de Juan Marín esconde un ingeniero veneciano. La opinión de Rojas sobre esa manera de cimentar arrojando grandes piedras al mar hasta alcanzar la superficie del agua, que era la manera de construir generalizada a finales del XVI32, no podía ser más demoledora, pues «lo mismo hiciera uno que naciera en Indias donde no saben fabricar, porque semejante fabricar no es cosa ni de arte ni nueva, porque ha muchos años que los romanos lo usaban en la guerra para cegar los fosos de agua»33. Rojas proponía su propia invención, pero lo cierto es que hoy el puente de Zuazo sigue en pie [fig. 6]. Antes de la llegada del veneciano experto en fundar sobre el agua, el puente de piedra lo había iniciado uno de esos canteros procedentes del norte de España, Esteban de Guilisasti, de Vizcaya en este caso, que como sabemos fueron los responsables de la excelente cantería de la arquitectura del Renacimiento español. La familia Guilisasti procedía de Usurbil, en Guipúzcoa, y varios de sus miembros se habían especializado en hacer piedras de moli-

Fig. 6. Puente de Zuazo en la actualidad.

no34. El puente se había iniciado en 1549 «por traza y parecer» de Esteban de Guilisasti, después de haberse consultado a maestros de Málaga y Jerez de la Frontera. El hermano de Esteban, maestro mayor de la obra, Nicolás Guilisasti, fue maestro mayor de los pontones, y se ocupó de extraer la piedra de las canteras de Santi Petri. El que fue una obra que siempre mereció toda la atención de la ciudad, del duque de Medina Sidonia y del consejo de guerra, lo muestra que en 1572 la visitó Juan Pedro Livadote, «ingeniero que dixo ser de su magestad», en compañía de Asensio de Maeda, «maestro mayor de las yglesias de Granada y de ciertas obras de la ciudad de Sevilla», para «dar traça y orden en lo que en ella se debía haçer para que fuese la dha obra fuerte y en toda perfection»35. Asensio de Maeda es bien conocido para la historiografía del Renacimiento, y apuntemos tan solo que Juan Pedro Livadote fue un ingeniero italiano muy vinculado al duque de Medina Sidonia, para quien trabajó en obras de arquitectura, y como ingeniero trabajó en obras públicas en Madrid, y visitó las torres de la costa de Andalucía. A Juan Marín le sustituyó el vizcaíno Miguel de Arteaga36, yerno de Esteban de Guilisasti, que se hizo cargo de la obra hasta que murió, habiendo trabajado tanto él como su hermano Nicolás en las fortificaciones de la ciudad37. Así que una vez pasado el periodo de Juan Marín, a quien sin duda se elegiría por su habilidad para fundar en el agua, la obra volvió a manos de un cantero, de la misma familia, en

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un comportamiento de la profesión que explica también la transmisión de muchos de los oficios de la construcción en la época moderna. En 1590, al tiempo que se nombraba a Arteaga, el duque envió al rey dos trazas en la que se indicaba el estado del puente [figs. 7-8]. Se pensaba entonces dar la obra a destajo para acabarla de una vez, ya que llevaba muchos años esperando a ser finalizada38. También ese año Cristóbal de Rojas pidió que, a cambio de que se le aumentara el sueldo que tenía por ejecutar la fábrica de las fortificaciones, se le encargara también la obra del puente, «edificio público» donde siempre habían trabajado «maestros muy suficientes en el arte de cantería»39. No lo consiguió, y además la fortificación del puente estuvo en manos de ingenieros que llegaron de la corte, lo que tampoco debió gustarle mucho: en 1587 el Consejo de Guerra había pensado en Jorge Fratin para ir a Cádiz, donde utilizaría la traza de su famoso hermano Jacome, ya fallecido, para la torre del puente de Zuazo40, aunque finalmente fue Spannocchi el que viajó a Cádiz, y a comienzos del siglo XVII, siendo ya Rojas ingeniero, siguió siendo Spannocchi quien informó sobre el puente en todos sus aspectos. El entorno del puente era también importante para la seguridad, y así, donde acababa el puente salía un arrecife artificial, que habían hecho los romanos sobre una zona de pantanos. Había que repararlo todos los años porque el agua se lo llevaba41. Pero

más importante fue decidir qué hacer con los arcos, si mantener los tres, y si hacer en piedra el arco central. En su viaje de 1587, Spannocchi propuso tapar uno de los arcos del puente, el que estaba hacia la parte de la isla, ya que serían suficientes los otros dos, y así lo podemos ver en el dibujo que hizo [fig.

Fig. 7. Puente de Zuazo, arco central, 1592 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, MPD 08, 068).

Fig. 8. Puente de Zuazo, 1592 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, MPD 13, 037).

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9], en el que dibuja también la torre que se debía hacer hacia la parte de tierra, que bastaría para la defensa42. Sin embargo, el duque de Medina Sidonia pensaba que dos arcos no bastarían para que pasase todo el caudal de agua del canal. Más tarde, en 1592, también el duque informó desde Sanlúcar que se había quemado el arco central del puente por ser provisional de madera, al quemarse dos naves que estaban en carena en el río Santipetri43, y que convenía cerrar de piedra el arco principal44. El proyecto se concretó tras la visita al puente, por orden del duque, del corregidor don Fernando de Añasco, otros diputados de la ciudad y el maestro mayor de la fortificación, que era Francisco Armentia, quien había sustituido a Rojas durante la estancia de este en Bretaña, así que se puede decir que fue un proyecto colectivo, en el que opinaron muchos, y no todos expertos en construcción, pero sí en la funcionalidad exigida al puente. El presupuesto, detallando todas las partidas, fue elaborado por los maestros de cantería de la ciudad.

Fig. 9. T. Spannocchi, Rasguño del puente de Zuazo, 1587 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, SGU 03352, 90).

Envió entonces el duque las dos trazas citadas, que son de enorme interés para la historia de la construcción en piedra. En los dibujos vemos la grúa y el puente cimbrado, siendo la cimbra lo más difícil de hacer un arco de piedra. Se dibujan con precisión los tajamares del arco central que eran semicirculares y bajos, tal como se construyeron. Este fue un tema debatido incluso entre los tratadistas, por considerar algunos que los tajamares en ángulo recto y altos eran más eficaces para cortar el agua, lo que se había experimentado en Castilla y León a lo largo del siglo XVI, y era la opinión por ejemplo de Fray Lorenzo de San Nicolás en su Arte y uso de arquitectura, ya en el siglo XVII45. De altos tajamares y en ángulo recto fue el puente de Ariza sobre el río Guadalimar, proyectado en 1562 en las cercanías de Úbeda por Andrés de Vandelvira y construido entre 1564 y 1581, con un cuidado trabajo en las dovelas de los arcos46, hoy sumergido en el embalse de Giribaile. La excelencia en la cantería de los Vandelvira, padre e hijo, de tradición familiar, se remonta al suegro de Andrés, el maestro cantero Francisco de Luna47, natural de Alcaraz como el mismo Vandelvira, que hizo el puente de San Pablo en Cuenca, cuyos arcos cerrará el yerno, y cuya imponente construcción se puede ver en el dibujo esa ciudad realizado por van den Wyngaerde de 156548. Al hijo de Andrés, Alonso de Vandelvira, nos lo encontraremos a comienzos del siglo XVII en las obras de fortificación de Cádiz, trabajando codo con codo con Cristóbal de Rojas, quien pensaba que era tan excelente en su profesión que si Vandelvira hubiera estado en Roma, hasta allí habría habido que ir a buscarlo para que trabajara en Cádiz49. Para construir un puente, o reformarlo como es el caso, era necesario todo un trabajo previo, así que en agosto de 1592, se decidió que en ese invierno se harían las grúas, pontón y cimbrias, es decir todo lo que fuese de madera, para comenzar en febrero a traer la piedra de Santi Petri, sustituyendo también las piedras requemadas, y una vez reunido todo el material en tres meses se cerraría el arco. Costaría 5.227 ducados50. Los dos tajamares de la parte del mediodía estaba, uno por comenzar, y el otro con una hilada. Llevarían «migajón» dentro, pero sin labrar. A los dos tajamares de la parte de Puerto Real sólo les faltaban dos hiladas. Se presupuestaron también las enjutas entre los tajamares y el arco. Cada una de las 450 piedras necesarias para cerrar el arco (42 hiladas de 10 piedras cada una, más las que se

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pudieran romper) costaría 2 ducados, en total 900 ducados. Diferenciaban en ese precio lo que costaba extraerlas (dos reales y medio), trasladarlas (dos), subirlas al puente donde se labraban (dos), y asentarlas, que era lo más caro, cuatro reales51. Dudan si hacer sobre arco o dejar sólo un arco, en cuyo caso se le echaría «una torta de ormigón porque los coches y carros no le atormenten», pero piensan que sería mejor hacer los dos arcos para que no cayera el de arriba. Eso haría subir dos pies el firme, obligando a allanar el paso con tierra, con nuevas piedras de sillería, que al ser cuadradas de 27 pies costarían más caras, 3 ducados. También se calcula el coste del «migajón» de en medio, y los dos «callejones» para poner las grúas, labrar las piedras y dar paso a la gente. La cimbria para el arco tenía que llevar diez cimbrones y cada uno de ellos cinco pinos reales52. Se detalla cada una de las partidas, y así por ejemplo, las dos grúas costarían cuatrocientos ducados cada una, la cimbra 700 ducados… y van subiendo las partidas, hasta llegar al coste citado.

Pero como siempre, todo avanzaba muy lentamente, y en 1595 ese ojo seguía sin cerrarse de piedra, y sin reparar los caminos del arrecife53. Y menos mal, porque el puente tuvo que romperse durante el ataque inglés de 1596 para que pudieran salir las galeras54. Por eso en los proyectos siempre se pensó en un puente con dos vertientes, y no horizontal, tal como vemos en el dibujo de 1648 [fig. 10] para permitir el paso de barcos desarbolados, aunque el puente en la actualidad tiene una inclinación que es mucho menos acusada que la de ese dibujo, y se parece más a los de 1592 y 1602. En el informe que acompañaba los dibujos de 1592 se especificaba que el «rehinchimiento» desde la clave del arco hasta una distancia de cuarenta pies en cada lado iba señalado en pardo, y podemos comprobar la inclinación que debió tener. El hecho de no ser de rasante horizontal dificultaría algo el tránsito de los carros, y de ahí sin duda la suavidad de la pendiente, que sin embargo conseguiría evitar la necesidad de los desagües del agua de lluvia por caños late-

Fig. 10. El puente de Zuazo en 1648 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, MPD 50, 083).

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rales. De rasante horizontal había sido el monumental puente de Segovia en Madrid, obra de Juan de Herrera, pero no lo fue el citado de Ariza por Vandelvira, aunque el problema se resolvió de otra manera, ya que en principio, al parecer, fue una línea recta en pendiente, y no en doble vertiente como se ve ahora55. También en el dibujo realizado por Spannocchi en 1587, se aprecia que la amplitud del ojo central que se quería hacer obligaba a la doble caída del puente, y esa característica nunca cambió una vez acabado, lo que comprobamos no solo por las fotos, sino también en la preciosa vista que en el siglo XVIII hizo del puente Mariano Sánchez [fig. 11]. Por otra parte, ya hemos visto que siempre fue un puente fortificado, y es lo que hizo que para él proyectaran defensas tanto Fratín como Spannochi. Se debatió si debía tener dos fuertes, opinión que defendía el conde de Fuentes – a quien nos encontraremos años después como gobernador de Milán y experto en fortificaciones – uno a cada lado, o tan sólo uno. En 1597 se decidió hacer sólo el fuerte de la parte de la isla, presupuestado en 1500 ducados56 y que en la

parte de tierra firme se hiciera sobre un arco una plataforma para tres o cuatro piezas de artillería. No se hizo nada, y en 1648 se decidió retomar esa decisión, para con esa fortificación, que aparece en el dibujo de ese año, evitar que los enemigos pudieran pasar por el puente y quemar los barcos que se llevaban en invierno a la Carraca, ya que el puente era para la defensa de Cádiz «la parte más necessaria y por donde se puede recelar qualquiera desdicha de poder entrar embarcaçiones»57. Antes de ello, el Ingeniero Mayor de los Reinos de España, Tiburzio Spannocchi, se había vuelto a ocupar del puente en su última visita a Cádiz en 1603. Como ya lo conocía, el año antes, en 1602, hizo un informe y un dibujo, además de una detallada relación de cómo acabarlo [fig. 12]. Se centró en la construcción en piedra, en concreto en la medida de las piezas de cantería para hacer el pretil, unidas por «gafas» de hierro, o el empedrado del suelo. Uno de los problemas que se planteaba en ese año era dónde construir la torre, si al final del puente o en medio. Spannocchi, siempre tan amigo de su opinión, no se

Fig. 11. M. Sánchez, Puente de Zuazo, 1782 (España, Patrimonio Nacional).

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muestra en cambio en este caso muy beligerante, y opina que se debe hacer en la entrada del puente, pero admite que se pueda hacer en el centro, lo que no impediría afrontar las obras que eran necesarias en ese año de 1602. El problema era que si se construía en el centro se sobrecargaría el arco, y no podría ser lo grande que se requería por no ser bastante el ancho del puente, y sobre todo, al ser un arco con vertientes hacia ambos lados desde el arco central, iba a ser difícil de defender. La nueva torre estaría mejor a la entrada de la puente, como vemos en los rasguños de 1587, y no en medio, para así «no cargar

el arco de tan gran máquina»58. Todo ello lo acompañó de una traza que, si bien no está firmada, parece hecha de su mano. En ella quiere mostrar por ejemplo que el pretil debía rematarse de forma redonda. Con respecto a la piedra, sugiere no usar la que siempre se usó en Cádiz, que fue la de Santi Petri, sino que se sacara del foso de la puerta de tierra de Cádiz, con lo que se ganaría hacer el foso y de paso abastecer de piedra la fábrica del puente. Sin embargo, debía ser el que había cogido la obra a destajo quien lo decidiera, porque no era justo obligarle a ello. A lo que se opone es a que el destajero pueda aprovechar

Fig. 12. Puente de Zuazo, acompañando el informe de Tiburzio Spannocchi, 1602 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, MPD 34, 011).

Fig. 13. Planta de la bahía de Cádiz donde se rindió el navío inglés El Amor Verdadero, 1615 (España, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, AGS, MPD 19, 202).

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la piedra que había al lado del puente, aunque solo fuera la que cubría el agua en bajamar, por ser muy inconveniente para la obra. En ese año de 1602 seguía sin cerrarse el arco principal, y el duque de Medina Sidonia consultó de nuevo para hacerlo con los canteros, así como con el ingeniero Cristóbal de Rojas59 . Fue un año clave para entender por qué Cádiz se convirtió en un centro especializado en cantería en la época, en cuyas fortificaciones trabajaron o informaron maestros procedentes de Sevilla, y en concreto de la fábrica de su lonja, como Minjares o el mismo Alonso de Vandelvira60. En 1602 había muerto Francisco de Armentia, maestro mayor de las fortificaciones, y los dos aspirantes a sustituirle eran nada menos que Alonso de Vandelvira, maestro mayor de la Lonja de Sevilla, y Ginés Martínez de Aranda, que era quien había hecho la catedral de Cádiz, así como Diego de Argüello61. Tanto a Vandelvira como a Martínez de Aranda les debemos dos de los mejores tratados de cantería del renacimiento español. Spannocchi recomendó que el cargo se le diera a Ginés Martínez de Aranda, porque era «persona de mucha experiencia en fábricas y entiende bien qualquier medida»62, y fue el finalmente seleccionado, aunque inmediatamente dejaría la ciudad siguiendo a su protector, el obispo don Maximiliano, nombrado ese mismo año

de 1602 arzobispo de Santiago de Compostela63. El puente de Zuazo no tuvo la monumentalidad del puente más famoso probablemente de la época, que fue el que proyectó Juan de Herrera para la corte, con sus bolas escurialenses, integrado en el proceso de monumentalización urbana emprendido por Felipe II en la capital de su monarquía, pero fue un puente clave para la defensa de la bahía de Cádiz, y por consiguiente de la carrera de Indias. En ese Tesoro de la Lengua castellana que citábamos al comienzo, hay otra entrada que es «Cádiz», en la que leemos que es «uno de los mejores puertos y ciudades de Europa; fue llamada Gades de Hércules, creyendo los antiguos que era el non plus ultra y fin de la tierra, de cuyos siglos se conserva el siguiente epitafio: Yo, Eliodoro, loco, natural de Cartago, mandé en mi testamento me enterrasen en este sepulcro, aquí en el cabo del mundo, por ver si había otro más loco que yo en venir a verme»64. En el siglo XVII hacía ya tiempo que Cádiz no estaba en el cabo del mundo, y no había que estar loco para llegar a ella, es más, estaba muy expuesta a los ataques enemigos desde el mar [fig. 13]. Para los amigos, y desde tierra firme, el puente de Zuazo facilitaba el acceso a la ciudad. Las columnas de Hércules se habían traspasado, y Cádiz era ya un lugar central y estratégico para el dominio de la mar Océana.

* Este trabajo forma parte del proyecto de I+D+i El dibujante ingeniero al servicio de la monarquía hispánica. Siglos XVI-XVIII (DIMH), HAR2012-31117, Ministerio de Economía y Competitividad (España). 1

S. COVARRUBIAS OROZCO, Tesoro de la lengua castellana o española (1611), ed. de Felipe C. R. Maldonado y Manuel Camarero, Madrid 1995, p. 237.

2

Esta riquezas «largamente nos refiere Strabon con la autoridad de Homero, y Anacreonte». J. DAMETO, Historia General del Reyno Balearico. Dedicado

a los muy Ill. Y Mag.ss. Jurados de Mallorca el doctor Juan Dameto su Chronista, Mallorca 1631, p. 16. 3

Archivo General de Simancas (AGS), Guerra y Marina, leg. 1697, s.f., «Junta de presidios concurriendo en ella el conde de Castrillo».

4

El atlas de Texeira ha sido publicado por F. PEREDA, F. MARÍAS, El Atlas del Rey Planeta. La «Descripoción de España y de las costas y puertos de sus rei-

nos» de Pedro Texeira (1634), Hondarribia 2002. 5

AGS, Guerra y Marina, leg. 352, f. 138. El duque desde Sanlúcar el 24 mayo de 1592.

6

La opinión de Vespasiano Gonzaga se encuentra entre papeles recopilados en 1648 por Jerónimo de Soto, entre los que se encuentra el dibujo del

puente que reproducimos. Jerónimo de Soto era hijo del ingeniero del mismo nombre, que trabajó al lado de Spannocchi hasta la muerte de este, y heredó muchas de sus responsabilidades. AGS, Guerra y Marina, leg. 1697, s.f. 7

AGS, Guerra y Marina, leg. 499, f. 28.

8

A. CÁMARA, Leonardo Turriano al servicio de la Corona de Castilla, en A. CÁMARA, R. MOREIRA, M. VIGANÒ, Leonardo Turriano, ingeniero del rey, Madrid

2010, pp. 15-120, p. 88. 9

AGS, Guerra y Marina, leg. 610, f. 52. Informe de Spannocchi desde Cádiz el 30 de junio de 1603.

10

En julio del año 1435 «murió el Dotor Iuan Sanchez de Zuaço, ilustre Segoviano, que fabricó la famosa puente de Cádiz, nombrada hasta hoi puen-

te de Zuaço. Yaze en el templo Parroquial de San Esteban de nuestra Ciudad en la capilla de la Madalena». D. DE COLMENARES, Historia de la insigne ciudad de Segovia y compendio de las historias de Castilla, Segovia 1640, p. 340. Suárez de Salazar por su parte escribe que el nombre se debe a «cierto caballero deste apellido, a quien en tiempos pasados dieron los Reyes de Castilla la Isla, que oy llamamos de León», p. 134. Ponz recoge esta historia en el siglo XVIII, ver P. CHÍAS, T. ABAD, La bahía de Cádiz: territorio fortificado y paisaje, en P. CHÍAS, T. ABAD, El Patrimonio fortificado. Cádiz y el Caribe: una relación transatlántica, Alcalá de Henares 2011, pp. 26-169, cit., p. 96.

19 11

AGS, Registro del Sello de Corte, leg. 148504, f. 231.

12

AGS, Guerra y Marina, leg. 228, f. 66.

13

Ibidem.

14

A. DE HOROZCO, Historia de la ciudad de Cádiz, [1598] Cádiz 1845, p. 191. «En lo último deste campo está la hermita de San Sebastian, que es de buena

capacidad, i la capilla mayor está en el hueco de una torre, que conoci yo, de razonable altura, quadrada, obrada de mamposteria, que casi la mayor parte della se cayó el año de 1587, un dia despues de San Sebastian , con un recisimo temporal. Dicese que aviendose caido otra vez muchos años á, se levantó i renovó a costa de la nacion veneciana, cuyo trato en esta ciudad i navegacion de sus navios por estos mares era grande en aquella sazon, lo qual comprueban con la memoria de una piedra blanca quadrada que estaba casi en lo mas alto de la torre a la parte del mediodia figurado en ella un leon con dos alas en el cuerpo, diadema en la cabeza, i un libro abierto en las manos, segun tiene por significacion el glorioso evangelista San Marcos, patron de aquella ciudad». 15

AGS, Contaduría Mayor de Cuentas, 2ª época, leg. 375, ff. 295-299.

16

Sobre estas fortificaciones y los que trabajaron en ellas, se puede ver A. CÁMARA, Cristóbal de Rojas. De la cantería a la ingeniería. En Ingenieros del

Renacimiento, a cura de A. Cámara, B. Revuelta, Madrid 2014, pp. 135-161. 17

AGS, Guerra y Marina, leg. 269, f. 10. Tras exponer sus inventos en el memorial, solicita que, o se le atienda, o se le ordene partir de la corte. Estamos

utilizando también la carta de diciembre de 1588 en la que explica con más detalle algunas de sus propuestas, que está en el f. 66 del mismo legajo. 18

AGS, Guerra y Marina, leg. 228, f. 66. 18 de diciembre de 1588. «Y es de creer que abiendo catorce años que estoi en esta ciudad terne reconocida la

naturaleza de todos los sitios y puestos della y lo que está fuerte y flaco y por donde el enemigo puede ofendella ansí por la mar como por la tierra». 19

Según el diccionario de Covarrubias, una trinchea es «el valo o fosa que se hace para dividirse del enemigo, y que no pueda fácilmente acometer

el real o a la fuerza». 20

AGS, Guerra y Marina, leg. 269, f. 10. Memorial de «Joan Marin Ingeniero Veneziano» el 20 de mayo de 1589, cuando llevaba ya cinco meses en la

corte, llamado por el rey para presentarle sus inventos. Pide que se abrevie la decisión sobre él, ya que son muchos los gastos que está teniendo, y el modelo del galeón lo ha hecho a su costa. 21

AGS, Guerra y Marina, leg. 270, ff. 160 y 161. Se trata de un ingeniero artillero que había traído desde Alemania don Diego de Córdoba en 1555, y

en ese año de 1589 ofrecía balas, trincheas y otras «cosas de ingenios» al rey. Hay más oferta de «ingenios de guerra» al rey en esos años, como los que presentó Bernardino Dávila, vecino de Talavera en 1590 para la jornada de Inglaterra. Ivi, leg. 312, f. 53. 22

AGS, Guerra y Marina, leg. 228, f. 66. 18 de diciembre de 1588.

23

Sobre estas fortificaciones, como un estado de la cuestión, puede verse, A. CÁMARA, El viaje del dibujante ingeniero: reconstruyendo Cádiz en 1603, en

Il cantiere della città. Strumenti, maestranze e tecniche dal Medioevo al Novecento, a cura di A. Casamento, Roma 2014, pp. 121-146. 24

AGS, Guerra y Marina, leg. 228, f. 66.

25

S. FERNÁNDEZ CONTI, El prior Don Hernando de Toledo, capitán de Felipe II y de sus consejos de estado y guerra, en Il perfetto capitano: Immagini e realtà (seco-

li XV-XVII), a cura de M. Fantoni, Roma 2001, pp. 87-134. El prior don Fernando fue caballero de la orden de Malta, y en sus largos años como militar en Flandes o Cataluña, en especial en la frontera con Francia, se hubo de ocupar de fortificaciones y en la costa de las torres, sobre todo de las de los Alfaques de Tortosa, y se puede decir que fue un experto guerrero, con una intervención destacada en la campaña de Portugal, aunque su vocación fue la de cortesano, y en ese periodo final de su vida, ya como consejero del rey, es cuando Juan Marín fue destinado a su servicio. Morirá en 1591, un año después que el ingeniero. 26

AGS, Guerra y Marina, leg. 269, f. 230.

27

Relación de lo sucedido durante el ataque inglés escrita en 1597, reproducida en P. DE ABREU, Historia del saqueo de Cádiz por los ingleses en 1596,

Cádiz, 1866, p. 76. 28

Sobre el duque, ver L. SALAS ALMELA, Medina Sidonia: el poder de la aristocracia, 1580-1670, Madrid 2009.

29

A. CÁMARA, Cristóbal de Rojas..., cit.

30

R. MOREIRA, Leonardo Turriano en Portugal, en A. CÁMARA, R. MOREIRA, M. VIGANÒ, Leonardo Turriano..., cit., pp. 121-201, referencias a esta obra y su

cimentación en pp. 170-171. 31

A. CÁMARA, De Palermo a Málaga. Fabiano Bursotto y la ingeniería de puertos en el Renacimiento, en «Lexicon. Storia e architettura in Sicilia», 7, 2008, pp.

7-22. 32

Por ejemplo, así se había construido el muelle de la ciudad de Tortosa, y así se proponía cimentar la torre trazada por Spannocchi para los Alfaques

de Tortosa en 1594. AGS, Guerra y Marina, leg. 402, f. 33. 33

Cristóbal de Rojas lo escribe en Cádiz, el 20 de enero de 1607, cuando propone su propio sistema, que acompaña de un dibujo, en el que explica

cómo se clavan las estacas en el fondo, y las piedras, una vez agujereadas, se bajan por la estaca. Así se harán hiladas de piedra «como quien hace un patio», cruzando las hiladas, como si se construyera en tierra. Una vez se llegue al nivel del agua, se construirá encima con mampostería. Otra posibilidad es hacer todo el armazón de madera en tierra, como una caja, que luego se llevará al agua, y se llenará de piedras, aunque el primer sistema, que ensarta las piedras, lo considera mucho mejor. C. DE ROJAS, Tres tratados sobre fortificación y milicia, Madrid 1985, pp. 347-350. 34

A. AGUIRRE SORONDO, Piedras de molino del siglo XV al XIX, IV Congreso Internacional de Molinología, Mallorca 2005, II, pp. 101-124, p. 105. En 1571 tra-

bajaban en Usurbil (Guipúzcoa) como «canteros de azer piedras de molino» Domingo de Gulisasti, de 43 años, y Juanes de Gulisasti, con el mismo

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20 oficio y de 27 años, con su hermano Juan López de Gulisasti. 35

AGS, Contaduría Mayor de Cuentas, 2ª época, leg. 375, s.f.

36

AGS, Guerra y Marina, leg. 294, f. 207.

37

AGS, Guerra y Marina, leg. 281, f. 195. La ciudad de Cádiz al rey el 27 de febrero de 1590, pidiendo que se apruebe el nombramiento y salario de

Miguel de Arteaga. En 1557 habían informado sobre la fortificación de la ciudad de Cádiz Esteban de Guilisasti y su hermano Nicolás, cuando se ocupaba de ella el ingeniero Giovan Battista Calvi. Ivi, leg. 65, ff. 171 y 172. 38

AGS, Guerra y Marina, leg. 285, f. 283. Carta del duque al rey, de 30 de junio de 1590, en respuesta a la orden recibida el 19 de dicho mes, «tocante

a la fabrica del puente de Çuazo he hecho hazer la traça della que V Md vera y el estado en que se halla aquel edificio y lo que resta por acabar del ques lo que se a señalado con puntos rojos y asimismo lo que parece se debria hazer en los baluartes para la guarda de la dicha puente». 39

AGS, Guerra y Marina, leg. 306, f. 129. Argumentaba que no había «en toda aquella comarca maestro más suficiente para acabar la dicha puente

como conviene para perpetuidad della siendo como es edificio público y de mucha importancia adonde siempre a avido maestros muy suficientes en el arte de Cantería». 40

AGS, Guerra y Marina, leg. 208, ff. 281 y 402. Jorge Fratín no fue porque en ese año estaba reconociendo las fortificaciones de Galicia.

41

AGS, Guerra y Marina, leg. 346, f. 314. En el año 1591 no se había podido reparar por falta de dinero, y la ciudad pedía que se volviera a dar el dine-

ro, ya que era imprescindible para la comunicación de la ciudad. «de la postrera piedra de la puente de çuaço para yr a la tierra firme sale un aracife de legua y quarto de largo y quatro baras en ancho que los Romanos hicieron sobre unos pantanos esteros y cachones para serviçio de la dicha ciudad». La ciudad lo ha ido manteniendo con paredes estacadas y otros reparos «porque como la puente se çerró y los tres ojos della no son capaçes para beber toda el agua del braço de mar quando creçe y asi por la parte del norte creçen un palmo más las aguas vibas en alto y con el curso de los caminantes y ser tierra movediça las aguas pasan por ella y se lavan llevando y descubriendo los dos pantanos y esteros». Las lluvias de ese año han contribuido a romper el arrecife y la alcantarilla, por lo que no la ciudad no ha podido ser abastecida al faltar el camino, estando a punto de perecer de hambre, ya que las tormentas han impedido también el abastecimiento por mar. 42

AGS, Secretaría de Guerra, leg. 3352, f. 91.

43

Instituto de Historia y Cultura Militar (IHCM), Colección Aparici, tomo 3, p. 185.

44

AGS, Guerra y Marina, leg. 352, f. 138. La ciudad ya tenía sacada la piedra para cerrar ese arco principal, y el de madera roto ya se estaba reparan-

do sin comunicarlo al rey porque si no, no se podía pasar a la ciudad. El duque desde Sanlúcar el 24 de mayo de 1592. Responde así a la petición del cabildo de la ciudad, de 16 de mayo de 1592 (ivi, f. 139). 45

M.A. ARAMBURU ZABALA, La arquitectura de puentes en Castilla y león, 1575-1650, Valladolid 1992, pp. 59, 75.

46

P. GALERA ANDREU, Andrés de Vandelvira, Madrid 2000, p. 146.

47

Ivi, p. 145.

48

R. KAGAN, Ciudades del Siglo de Oro. Las Vistas Españolas de Anton Van den Wyngaerde, Madrid 1986, pp. 243-252.

49

IHCM, Colección Aparici, tomo 6, legajo 683 de la sección de Mar y Tierra.

50

AGS, Guerra y Marina, leg. 355, f. 125.

51

No salen las cuentas de la suma, según las normas aceptadas de equivalencia, de 11 reales el ducado, por lo que sería un ducado y no dos, pero eso

es lo que leemos en el documento. 52

La cimbria es «la vara torcida y el arco de madera sobre el cual se forma la vuelta de la bóveda». S. COVARRUBIAS OROZCO, Tesoro de la lengua caste-

lla..., cit., p. 313. 53

AGS, Guerra y Marina, leg. 424, f. 119. El obispo (16 de febrero de 1595) atribuye el retraso a que la piedra se saca de unos bajíos junto a la isla de

Santi Petri, y los temporales han impedido extraerla, pero espera que el ojo se pueda cerrar en el verano. 54

Carta de Gaspar de Añastro, proveedor de las Galeras, al presidente, jueces y oficiales de la casa de contratación de Sevilla (Ms. de la BNE) en P.

DE ABREU, Historia del saqueo de Cádiz..., cit. p. 21. 55

I. GONZÁLEZ TASCÓN, Felipe II. Los ingenios y las máquinas. Ingeniería y obras públicas en la época de Felipe II, Madrid 1999, p. 127.

56

AGS, Guerra y Marina, leg. 499, f. 6. Papel de Andrés de Prada, secretario del Consejo, 7 de febrero de 1597.

57

AGS, Guerra y Marina, leg. 1697, s.f. Resulta de interés señalar que es más necesario en estos años que en 1597, por tener nuevos enemigos, que eran

los rebeldes catalanes y portugueses. 58

AGS, Guerra y Marina, leg. 599, f. 209. Valladolid, 1 de octubre de 1602.

59

AGS, Guerra y Marina, leg. 599, f. 210. El duque de Medina Sidonia desde Sanlúcar el 24 de octubre de 1602.

60

Sobre Vandelvira en Sevilla y su reconocimiento como un excelente cantero, que le llevó a trabajar como aparejador en la lonja de mercaderes a las

órdenes del maestro mayor de obras reales Juan de Minjares, llegando a ser desde 1600 maestro mayor de esa obra, ver, F.J. HERRERA GARCÍA, La etapa sevillana de Alonso de Vandelvira (1588-1609). Nuevas aportaciones, en «Laboratorio de arte», 26, 2014, pp. 95-119. 61

AGS, Guerra y Marina, leg. 599, f. 194. Y J. CALVO LÓPEZ, “Cerramientos y trazas de montea” de Ginés Martínez de Aranda, Madrid 1999, pp. 40-41.

62

AGS, Guerra y Marina, leg. 610, f. 52.

63

En diciembre de 1603 ya estaba Martínez de Aranda en Santiago. J. CALVO LÓPEZ, “Cerramientos y trazas de montea”…, cit., pp. 50-51.

64

S. COVARRUBIAS OROZCO, Tesoro de la lengua castellana…, cit., p. 230.

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